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Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2022, 24.02.2022


Intervento della Rev.da Suor Alessandra Smerilli, F.M.A.

Intervento dell’Em.mo Card. Francesco Montenegro

Intervento di Don Massimo Mostioli

 

Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2022 dal titolo “Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti” (Gal 6,9-10a).

Sono intervenuti: la Rev.da Suor Alessandra Smerilli, F.M.A., Segretario ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; l’Em.mo Card. Francesco Montenegro, Arcivescovo emerito di Agrigento e Membro del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; e Don Massimo Mostioli della Diocesi di Pavia, impegnato nella pastorale per i Rom nel solco dell’esperienza di fraternità avviata da Don Mario Riboldi.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

 

Intervento della Rev.da Suor Alessandra Smerilli, F.M.A.

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Testo in lingua italiana

Nello scorrere a volte lento, a volte cadenzato, a volte frenetico, delle nostre giornate, il tempo di Quaresima ci è offerto come momento propizio per rimetterci in cammino nella giusta direzione, quella dell’amore a Dio e al prossimo, che ci caratterizza come cristiani. È il primo e grande comandamento in cui Gesù ha riconosciuto il cuore pulsante del vero Israele. Questo cammino chiede costanza e tanta pazienza, a causa delle delusioni, dei fallimenti, della tentazione di chiuderci in noi stessi. Papa Francesco nel suo Messaggio ci invita dunque a non stancarci di fare il bene e di operare il bene verso tutti. La citazione della Lettera di San Paolo ai Galati, che apre il testo, ci ricorda come l’invito sia esigente, ma anche e subito quanto sia ricco di promessa: “Se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo”.

Nel solco dell’Enciclica Fratelli tutti e dell’intero magistero di Papa Francesco, sin dal suo primo viaggio a Lampedusa, il paolino “operiamo il bene verso tutti” vuol dire nessuno escluso. Siamo invitati a vivere nella casa comune come una famiglia comune. Il Santo Padre ci invita ad entrare nella Quaresima interiorizzando più radicalmente che cosa significhi guardare ogni persona che incontriamo con gli occhi di Cristo e riconoscendo gli occhi di Cristo. Spogliarci del superfluo, alleggerirci, assumere seriamente la chiamata alla conversione significa, nella Chiesa in questo momento storico, esprimere più distintamente nella nostra vita e con le nostre relazioni quell’amore che si effonde dalla vita intima di Dio, che lega il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. Non è infatti una opinione politica, ma il desiderio tipico di chi sta presso Dio “che la vita abbia la sua verità e bellezza non tanto nell’avere quanto nel donare, non tanto nell’accumulare quanto nel seminare il bene e nel condividere” (MQ 1).

Papa Francesco indugia sull’immagine della semina e dell’agricoltura, evocata da San Paolo, suggerendo la domanda su che tempo sia il nostro. Venti di guerra, dopo decenni di scriteriato riarmo, con un aumento di spesa crescente in armamenti, e una pandemia che ha mietuto vittime, esasperato le diseguaglianze, messo in luce ciò che non funziona nei nostri economici e sociali, imposto nuovi interrogativi, non possono farci perdere la speranza. Dio crede nella terra e se ne cura come un agricoltore non abbandona il suo campo. Che tempo è questo, nel campo di Dio? In un incontro con la Commissione Vaticana Covid-19, Papa Francesco ci ha invitati ad essere quel terreno fertile che crea le condizioni perché il seme possa germogliare. Ci ha chiesto di preparare il futuro, perché possa essere diverso dal presente. E sappiamo che può mettersi all’opera solo chi è mosso dalla speranza.

Il nostro Dio non conosce la solitudine e non ama fare da solo. La Quaresima non è un tempo cristiano se ci ritira dal mondo: il deserto del digiuno e delle tentazioni va abitato con l’ostinazione e la fede di chi guardando le pietre vede la mietitura. Vede l’impossibile, forse. Ma Quaresima è ritorno al Dio cui nulla è impossibile. Il Messaggio si conclude, come tradizionalmente, con un riferimento alla Vergine. In lei - scrive papa Francesco, insistendo sull’immagine guida del Messaggio - è germogliato il Figlio. In un mondo desertificato da tanti e spregiudicati giochi di potere, in Maria la Chiesa riconosce la fecondità che il cammino di conversione può donare a ogni sua figlia e ad ogni suo figlio. Noi crediamo nei germogli.

[00287-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Dans le flux parfois lent, parfois rythmé, parfois frénétique du temps de nos journées, le Carême nous est offert comme un moment propice pour repartir dans la bonne direction, celle de l'amour de Dieu et du prochain, qui nous caractérise en tant que chrétiens. C'est le premier et plus important commandement dans lequel Jésus a reconnu le cœur battant du véritable Israël. Ce chemin demande de la constance et beaucoup de patience, en raison des déceptions, des échecs, de la tentation de se refermer sur soi-même. Dans son Message, le Pape François nous invite à ne pas nous lasser de faire le bien et de travailler au bien de tous. La citation de la Lettre de Saint Paul aux Galates, qui ouvre le texte, nous rappelle combien cette invitation est exigeante, mais aussi et immédiatement à quel point elle est riche de promesses : « car le moment venu, nous récolterons, si nous ne perdons pas courage ».

Dans le sillage de l'Encyclique Fratelli tutti et de tout le magistère du Pape François, depuis son premier voyage à Lampedusa, le « travaillons au bien de tous » de Saint Paul veut dire sans exclure qui que ce soit. Nous sommes invités à vivre dans la maison commune comme une seule famille. Le Saint-Père nous invite à entrer dans le Carême en intériorisant plus radicalement ce que signifie regarder chaque personne que nous rencontrons avec les yeux du Christ, reconnaissant en elle les yeux du Christ. Se dépouiller du superflu, s'alléger, prendre au sérieux l'appel à la conversion signifie, dans l'Église en ce moment de l'histoire, exprimer plus nettement dans notre vie et par nos relations cet amour qui jaillit de la vie intime de Dieu, liant le Père et le Fils dans l'Esprit Saint. « Que la vie ait sa vérité et sa beauté non pas tant dans la possession que dans le don, non pas tant dans l’accumulation que dans la semence du bien et dans le partage » (MC 1) est un désir typique de ceux qui sont avec Dieu, ce n’est guère une opinion politique.

Le Pape François se penche sur l'image des semailles et de l'agriculture, évoquée par Saint Paul, suggérant la question de savoir quel est notre temps. Un vent de guerre, après des décennies de réarmement insensé, avec des dépenses d'armement croissantes, et une pandémie qui a fait des victimes, exacerbé les inégalités, mis en évidence ce qui ne fonctionne pas dans nos systèmes économiques et sociaux, et imposé de nouvelles questions, ne peuvent pas nous faire perdre notre espoir. Dieu croit en la terre et en prend soin tout comme un agriculteur n'abandonne pas son champ. Quelle heure est-il dans le champ de Dieu ? Lors d'une réunion avec la Commission Covid-19 du Vatican, le Pape François nous a invités à être ce sol fertile qui crée les conditions permettant à la semence de germer. Il nous a demandé de préparer l'avenir, afin qu'il soit différent du présent. Et nous savons que seuls ceux qui sont animés par l'espoir peuvent se mettre au travail.

Notre Dieu ne connaît pas la solitude et n'aime pas travailler tout seul. Le Carême n'est pas un temps chrétien s'il nous retire du monde : le désert du jeûne et de la tentation doit être habité avec l'obstination et la foi de ceux qui regardent les pierres et y voient la récolte. Ils voient l'impossible, peut-être. Cependant, le Carême est un retour au Dieu pour qui rien n'est impossible. Le Message se termine, comme le veut la tradition, par une référence à la Vierge. En elle - écrit le Pape François, insistant sur l'image directrice du Message - le Fils a germé. Dans un monde désertifié par tant de jeux de pouvoir sans scrupules, l'Église reconnaît en Marie la fécondité que le chemin de conversion peut donner à chacune de ses filles et de ses fils. Nous croyons aux bourgeons.

[00287-FR.01] [Texte original: Italien]

 

Traduzione in lingua inglese

In the sometimes slow, sometimes hectic flow of our days, the time of Lent is offered to us as a time of opportunity to redirect our path in the right direction, that of loving God and neighbor, which is what defines us as Christians. It is the first and greatest commandment that Jesus acknowledged as the beating heart of the true Israel. This path requires perseverance and a great deal of patience, given the disappointments, failures, and the temptation to withdraw into ourselves. Pope Francis in his Message therefore invites us to not tire of doing good and doing good to all. The quote from St. Paul's Epistle to the Galatians, which introduces the Message, reminds us of how challenging this invitation is, yet how rich in promise: "For if we do not give up, in due time we will reap”.

In line with the Encyclical Fratelli Tutti and the entire Magisterium of Pope Francis ever since his first trip to Lampedusa, St. Paul's "let us do good to all" implies that no one is excluded. We are invited to inhabit the common home as a common family. The Holy Father encourages us to begin Lent by interiorizing ever more deeply what it means to look at those we encounter with the eyes of Christ and to recognize in their gazes the eyes of Christ. Eliminating what is superfluous, simplifying our lives and taking the call to conversion seriously means, for the Church at this particular moment in history, expressing more distinctly in our lives and in our relationships that love which flows from the intimate life of God, that love which unites the Father and the Son to the Holy Spirit. It is not in fact a political opinion, but the typical desire of those who are with God "that life’s truth and beauty may be found not so much in possessing as in giving, not so much in accumulating as in sowing and sharing goodness" (LM 1).

Pope Francis dwells on the image of sowing and farming evoked by St. Paul, suggesting that we ask ourselves what times we are living in. Winds of war, after decades of reckless rearmament, with increasing arms expenditure, and a pandemic that has claimed many lives, exacerbated inequalities, highlighted what is not working in our economic and social systems, and forced us to ask new questions… cannot make us lose hope. God believes in the Earth and cares for it in the same way that a farmer does not abandon his land. What time is this, in God's field? In a meeting with the Vatican Covid-19 Commission, Pope Francis invited us to be that fertile soil that creates the conditions for the seeds to grow. He asked us to prepare the future so that it can be different from the present. And we know that only those who are moved by hope can set to work.

Our God does not know separateness and does not like to be alone. Lent is not a real “Christian time” if it leads us to withdraw from the world: the desert of fasting and temptation must be inhabited by the perseverance and faith of those who look at the stones and see the harvest. Perhaps we see the impossible. But Lent is a return to that God for whom nothing is impossible. The Message concludes, as is tradition, with a reference to the Virgin Mary. In her - writes Pope Francis, insisting on the guiding image of the Message - the Son has blossomed. In a world that has been made barren by so many reckless power games, the Church recognizes in the Virgin Mary the fruitfulness that the journey of conversion can bestow upon all her sons and daughters. We have faith in the sprouting buds!

[00287-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

En el curso a veces lento, a veces acompasado, a veces frenético de nuestros días, el tiempo de Cuaresma se nos ofrece como un momento propicio para retomar la dirección correcta en el camino, la del amor a Dios y al prójimo, que nos caracteriza como cristianos. Es el primer y gran mandamiento en el que Jesús reconoció el corazón palpitante del verdadero Israel. Este camino pide constancia y mucha paciencia, con motivo de las decepciones, los fracasos, la tentación de encerrarse en sí mismo. En su mensaje, el Papa Francisco nos invita a no cansarnos de hacer el bien y de hacerlo a todos. La cita de la Carta de San Pablo a los Gálatas que abre el texto, nos recuerda lo exigente que es la invitación, pero inmediatamente también lo rica que es la promesa: "Porque si no desfallecemos, cosecharemos los frutos a su debido tiempo".

En la línea de la Encíclica Fratelli tutti y de todo el magisterio del Papa Francisco, desde su primer viaje a Lampedusa, el "hagamos el bien a todos" paulino no excluye a nadie. Estamos invitados a vivir en la casa común como una misma familia. El Santo Padre nos invita a entrar en la Cuaresma interiorizando más radicalmente lo que significa mirar a cada persona que encontramos con la mirada de Cristo y reconociendo los ojos de Cristo. Despojarse de lo superfluo, aligerarse, tomar en serio la llamada a la conversión significa, en la Iglesia de este momento histórico, expresar más claramente en nuestra vida y con nuestras relaciones ese amor que brota de la vida íntima de Dios, que une al Padre y al Hijo en el Espíritu Santo. No se trata, en efecto, de una opinión política, sino del deseo típico de los que están con Dios "para que la verdad y la belleza de nuestra vida no radiquen tanto en el poseer cuanto en el dar, no estén tanto en el acumular cuanto en sembrar el bien y compartir" (MQ 1).

El Papa Francisco se detiene en la imagen de la siembra y de la agricultura, evocada por San Pablo, sugiriendo la pregunta de qué tiempo es el nuestro. Los vientos de guerra, tras décadas de rearme insensato, con gastos crecientes en armamento y una pandemia que se ha cobrado víctimas, ha agravado las desigualdades, ha puesto de manifiesto lo que no funciona en nuestros sistemas económicos y sociales y ha impuesto nuevos interrogantes, no pueden hacernos perder la esperanza. Dios cree en la tierra y la cuida como un agricultor que no abandona su campo. ¿Qué tiempo es este en el campo de Dios? En un encuentro con la Comisión Vaticana Covid-19 el Papa Francisco nos invitaba a ser esa tierra fértil que crea las condiciones para que la semilla germine. Nos pedía que preparáramos el futuro, para que fuera diferente del presente. Y sabemos que sólo quien está movido por la esperanza puede ponerse a trabajar.

Nuestro Dios no conoce la soledad y no le gusta ir solo. La Cuaresma no es un tiempo cristiano si nos retira del mundo: el desierto del ayuno y de la tentación debe ser habitado con la insistencia y la fe de quien, mirando las piedras, ve la cosecha. Ve lo imposible, tal vez. Pero la Cuaresma es una vuelta al Dios para quien nada es imposible. El mensaje concluye, como es tradicional, con una referencia a la Virgen. En ella - escribe el Papa Francisco, insistiendo en la imagen guía del Mensaje - ha brotado el Hijo. En un mundo desertizado por tantos juegos de poder sin escrúpulos, la Iglesia reconoce en María la fecundidad que el camino de la conversión puede dar en cada una de sus hijas e hijos. Creemos en los brotes.

[00287-ES.01] [Texto original: Italiano]

Intervento dell’Em.mo Card. Francesco Montenegro

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Testo in lingua italiana

Il Messaggio che Papa Francesco indirizza a tutta la Chiesa in occasione della Quaresima di quest’anno, che avrà inizio con la celebrazione delle Ceneri il prossimo 2 marzo, prende le mosse da una citazione della lettera ai Gal: “Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione operiamo il bene verso tutti” (Gal 6,9-10a).

Il testo si presenta come una riflessione su ogni singola espressione del testo sacro, arricchita da citazioni del Magistero – in particolare le Encicliche Spe salvi e Fratelli tutti e l’Esortazione Evangelii Gaudium – e dalla lettura della situazione storica che stiamo vivendo.

La Quaresima è tempo propizio per una rinnovata conversione e per l’accoglienza umile della Parola che “tutto rinnova”, mentre ci prepara a vivere in modo autentico il mistero pasquale. Affinché questo tempo sia vissuto nel migliore dei modi il Papa ci offre un aiuto, sostanziato dalla Parola di Dio.

Provo a tracciare in sintesi i contenuti del testo del Messaggio, mentre anch’io approfitto di questa presentazione alla stampa, per invitare a leggere integralmente il testo e a farne motivo di riflessione costante durante il tempo di grazia che ci apprestiamo a iniziare. Il Messaggio insiste, in particolare sulla metafora della semina e del raccolto, sull’incoraggiamento a non stancarsi a fare il bene, e sulla pazienza da mantenere nell’attesa che i frutti maturino.

1. L’immagine della semina e del raccolto è spesso utilizzata nella Sacra Scrittura. Il Papa la valorizza nella linea di Dio e in quella del credente. È Dio che semina la sua Parola, i germi di grazia, il desiderio di bene e di santità. Ma anche il credente è chiamato a seminare per se stesso, per gli altri e per il mondo che abita. La Quaresima viene presentata come un tempo propizio per accogliere la semina di Dio, soprattutto attraverso l’ascolto e la meditazione della sua Parola. Abbracciare l’invito alla conversione e attivare processi di cambiamento per allontanarsi dal male e per rivestirsi di Cristo Gesù passa attraverso l’accoglienza del seme della Parola, sempre nuova ed efficace. Ma il tempo quaresimale è anche tempo di impegno per ogni credente affinché si eserciti nell’arte della semina sapendo che nessun germe di bene andrà mai sprecato. La forza rinnovatrice della Pasqua deve spingere tutti a seminare il bene, la giustizia, la bontà, la carità, per delle relazioni pienamente rinnovate; a questo proposito così si esprime il Papa: “Seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostre agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio”.

La semina – quella che Dio realizza nei nostri cuori e quella che anche noi ci impegniamo a fare – fa pensare subito alla mietitura. La Quaresima si presenta come un tempo di grazia in cui intravediamo i frutti da raccogliere. La morte e la risurrezione di Cristo hanno reso possibile quanto diceva l’apostolo: “Se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose di prima sono passate, ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17). La risurrezione di Cristo alimenta in tutti la speranza di continuare a seminare, anche quando non si vedono i frutti del seme gettato nel terreno.

2. Proprio su quest’ultimo passaggio si innesta il secondo passaggio del Messaggio per la Quaresima. Quando la storia ci fa toccare con mano tanti e gravi segni di fallimento e di crisi si potrebbe essere tentati di scoraggiarsi e di gettare la spugna. La grande speranza che ci arriva dalla Pasqua deve spingere tutti a non stancarsi a fare il bene verso tutti. Più forte della stanchezza o della delusione che si possono sperimentare deve essere la voglia di continuare a camminare mantenendo fisso lo sguardo su Colui che può tutto. Nel Messaggio il Santo Padre individua tre ambiti della vita cristiana in cui tradurre l’esortazione a non stancarsi. Non stancarsi di pregare perché nessuno si potrà mai salvare senza Dio ed è proprio nella preghiera che si ritrova la forza per lottare e per attraversare le prove. Non stancarsi di estirpare il male dalla propria vita. Durante la quaresima, attraverso il digiuno e valorizzando di più il sacramento della riconciliazione ci si può allenare a contrastare tutto ciò che fa male a noi stessi e agli altri. E infine, non stancarsi a fare il bene nella carità operosa verso il prossimo. La Quaresima è tempo propizio per prendersi cura degli altri, per chinare lo sguardo su chi è nel bisogno, per soccorrere chi non ce la fa e per risollevare i poveri e gli emarginati.

3. Nell’ultimo passaggio il Santo Padre insiste sull’invito a essere pazienti e a fare un passo alla volta come il saggio agricoltore di cui parla la Scrittura. La Quaresima è, in qualche modo, immagine e specchio di tutta quanta la vita del cristiano. Come tale costituisce un allenamento, una vera e propria palestra. Di fronte a ogni battuta d’arresto o alle difficoltà che possono fiaccare la quaresima ci ricorda che sempre si può ricominciare, con l’aiuto della misericordia di Dio, sempre ci si può rialzare e riprendere la sequela del Maestro per giungere con Lui alla Croce e alla Risurrezione. Il riferimento alla Vergine Maria chiude il testo; a Lei si chiede la pazienza affinché la Quaresima di quest’anno “porti frutti di salvezza eterna”.

“Non stanchiamoci di fare il bene”. Questo invito sul quale il Santo Padre ci invita a riflettere penso acquisti un valore particolare alla luce della situazione storica che stiamo vivendo. La crisi sanitaria, economica e sociale a motivo della pandemia, i venti di guerra che soffiano in diverse parti del mondo, lo scandalo della fame in varie aree del pianeta, le disuguaglianze accentuate dalla mancanza di lavoro o dallo sfruttamento dei più deboli, sono tutte realtà che ci interpellano come Chiesa. Cosa possiamo fare? Il Messaggio del Papa costituisce una pista di impegno e di responsabilità. Ciascuno per la propria parte siamo chiamati a non stancarci a fare il bene, a seminare giustizia e carità, a non desistere dal percorrere strade di promozione umana, a lavorare assiduamente affinché ognuno sia rispettato nella propria dignità. Questa Quaresima è il tempo che il Signore ci regala, è l’occasione che ci offre per compiere il bene e per portare la luce del Risorto in mezzo al mondo

[00286-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Le Message du Pape François à toute l'Église pour le Carême de cette année, qui commencera par la célébration des Cendres le 2 mars, s’inspire d’un passage de la lettre aux Galates : « Ne nous lassons pas de faire le bien, car le moment venu, nous récolterons, si nous ne perdons pas courage. Ainsi donc, lorsque nous en avons l’occasion, travaillons au bien de tous » (Gal 6, 9-10a).

Le texte se présente comme une réflexion sur chaque expression du texte sacré, enrichie par des citations du Magistère - en particulier des Encycliques Spe salvi et Fratelli tutti, ainsi que de l'Exhortation Evangelii Gaudium - et par une lecture de la situation historique que nous vivons.

Le Carême est un temps propice à une conversion renouvelée et à l'accueil humble de la Parole qui "renouvelle tout", car il nous prépare à vivre le Mystère pascal de manière authentique. Pour que ce temps soit vécu de la meilleure façon possible, le Pape nous offre une aide, étayée par la Parole de Dieu.

Je vais essayer de résumer le contenu du texte du Message, tandis que je profite moi aussi de cette présentation à la presse pour vous inviter à lire le texte dans son intégralité et à en faire une opportunité de réflexion constante pendant le temps de grâce que nous allons commencer. Le Message insiste en particulier sur la métaphore des semailles et de la récolte, sur l'encouragement à ne pas se lasser de faire le bien et sur la patience à garder en attendant que le fruit mûrisse.

1. L'image des semailles et de la récolte est souvent utilisée dans les Saintes Écritures. Le Pape la met en valeur dans la perspective de Dieu et celle du croyant. C'est Dieu qui sème sa Parole, les semences de la grâce, le désir de bonté et de sainteté. Cependant, le croyant est aussi appelé à semer pour lui-même, pour les autres et pour le monde où il vit. Le Carême est présenté comme un temps propice pour accueillir les semailles de Dieu, notamment par l'écoute et la méditation de sa Parole. Accueillir l'invitation à la conversion en activant des processus de changement pour se détourner du mal et se revêtir du Christ passe par l'accueil de la semence de la Parole, toujours nouvelle et efficace. Mais le temps de Carême est aussi un temps d'engagement pour chaque croyant à pratiquer l'art de semer, sachant qu'aucune graine de bien ne sera jamais perdue. La force rénovatrice de Pâques doit nous pousser tous à semer le bien, la justice, la bonté, la charité, pour des relations pleinement renouvelées. Le Pape dit : « Semer le bien pour les autres nous libère de la logique étroite du gain personnel et confère à nos actions le large souffle de la gratuité, en nous insérant dans l'horizon merveilleux des desseins bienveillants de Dieu ».

Les semailles - celles que Dieu fait dans nos cœurs et celles que nous nous engageons à faire - font immédiatement penser à la récolte. Le Carême est présenté comme un temps de grâce au cours duquel nous entrevoyons les fruits à récolter. La mort et la résurrection du Christ ont rendu possible ce que l'Apôtre a dit : « Si donc quelqu’un est dans le Christ, il est une créature nouvelle. Le monde ancien s’en est allé, un monde nouveau est déjà né » (2Co 5,17). La résurrection du Christ nourrit en chacun l'espérance de continuer à semer, même quand on ne voit pas le fruit de la graine semée en terre.

2. C'est précisément sur ce dernier passage que se fonde le deuxième passage du Message pour le Carême. Lorsque l'histoire nous montre tant de signes graves d'échec et de crise, nous pourrions être tentés de nous décourager et de jeter l'éponge. La grande espérance qui nous vient de Pâques devrait encourager chacun à ne pas se lasser de travailler au bien de tous. Le désir de continuer à marcher, en gardant le regard fixé sur Celui qui peut tout faire doit dépasser la fatigue ou la déception que nous pouvons éprouver. Dans son Message, le Saint-Père identifie trois domaines de la vie chrétienne dans lesquels traduire l'exhortation à ne pas se lasser. Ne nous lassons pas de prier, car personne ne pourra jamais être sauvé sans Dieu, et c'est précisément dans la prière que l'on trouve la force de lutter et de traverser les épreuves. Ne nous lassons pas d'éliminer le mal de notre vie. Pendant le Carême, par le jeûne et en redécouvrant davantage le sacrement de la réconciliation, nous pouvons nous entraîner à lutter contre tout ce qui nous blesse et blesse les autres. Et enfin, ne nous lassons pas de faire le bien dans la charité concrète envers notre prochain. Le Carême est une bonne occasion de prendre soin des autres, de se pencher sur ceux qui sont dans le besoin, d'aider ceux qui ne peuvent pas s'en sortir et de relever les pauvres et les marginalisés.

3. Dans le dernier passage, le Saint-Père insiste sur l'invitation à être patient et à faire un pas après l'autre comme le sage fermier mentionné dans l'Écriture. Le Carême est, en quelque sorte, l'image et le miroir de toute la vie du chrétien. En tant que tel, il constitue un entraînement, un véritable gymnase. Face à chaque revers ou difficulté qui peut nous affaiblir, le Carême nous rappelle que nous pouvons toujours recommencer. A l'aide de la miséricorde de Dieu, nous pouvons toujours nous relever et reprendre la suite du Maître pour atteindre avec Lui la Croix et la Résurrection. Une référence à la Vierge Marie clôt le texte ; on lui demande le don de la patience, afin que le Carême de cette année puisse porter « des fruits de salut éternel ».

« Ne nous lassons pas de faire le bien ». Je pense que cette invitation, à laquelle le Saint-Père nous invite à réfléchir, revêt une valeur particulière à la lumière de la situation historique que nous vivons. La crise sanitaire, économique et sociale provoquée par la pandémie, le vent de guerre qui souffle dans diverses parties du monde, le scandale de la faim dans plusieurs régions de la planète, les inégalités accentuées par le manque de travail ou l'exploitation des plus faibles, sont autant de réalités qui nous interpellent en tant qu'Église. Que pouvons-nous faire ? Le message du Pape est une piste d'engagement et de responsabilité. Chacun de nous est appelé à s’engager à ne pas se lasser de faire le bien, à semer les graines de la justice et de la charité, à ne pas renoncer à poursuivre les voies du développement humain, et à travailler assidûment pour que la dignité de chacun soit respectée. Ce Carême est le temps que Dieu nous donne, c'est l'occasion qu'il nous offre de faire le bien et de porter la lumière du Seigneur ressuscité dans le monde.

[00286-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The Message that Pope Francis is addressing to the entire Church for this year's Season of Lent, which starts with the celebration of Ash Wednesday on March 2, 2022, begins with a quote from the letter to the Galatians: “Let us not grow tired of doing good, for in due time we shall reap our harvest, if we do not give up. So then, while we have the opportunity, let us do good to all” (Gal6:9-10).

The text offers a reflection on every single phrase of the sacred scripture, with quotes from the Magisterium - in particular the Encyclicals "Spe salvi" and "Fratelli tutti" and the Apostolic Exhortation "Evangelii Gaudium" – along with a view of the current state in history.

Lent is a time for renewed conversion and for humbly receiving the Word that "renews all things," as it prepares us to authentically experience the Paschal Mystery. In order for this time of grace to be lived to the full, the Pope presents us with a contribution grounded in the Word of God.

I will try to briefly outline the contents of the Message, while taking advantage of this presentation to the press to invite you to read the text in its entirety and to make it a reason for constant reflection during the time of grace that we are about to begin. In particular, the Message insists on the metaphor of “sowing and reaping”, on the encouragement to not grow weary in doing good, and on the patience we need while waiting for the fruits to ripen.

1. The image of sowing and reaping is often used in Sacred Scripture. The Pope emphasizes it in the context of God and the believer. It is God who sows his Word, the seeds of grace, the desire for goodness and holiness. But believers are also called to sow for themselves, for others and for the world they live in. Lent is presented as a propitious time to welcome God's sowing, especially through listening to and meditating on his Word. Embracing the invitation to conversion and activating processes of change to turn away from evil and to clothe ourselves of Christ Jesus, involves welcoming the seed of the Word, which is always new and effective. But Lent is also a time of commitment for every believer to practice the art of sowing, knowing that no seed of good will ever go to waste. The renewing force of Easter must spur everyone to sow good, justice, goodness, charity, in order to achieve fully renewed relationships. In this regard, says the Pope: "Sowing goodness for the benefit of others frees us from narrow self-interest, infuses our actions with gratuitousness, and makes us part of the magnificent horizon of God’s benevolent plan”.

Sowing - the sowing that God accomplishes in our hearts and the sowing that we must also be committed to - immediately brings to mind the harvest. Lent presents itself as a time of grace in which we can catch a glimpse of the fruits to be harvested. The death and resurrection of Christ made possible the Apostle’s statement: "So whoever is in Christ is a new creation: the old things have passed away; behold, new things have come" (2 Cor 5:17). Christ's resurrection is the strength that keeps us hopeful and committed to sowing, even when the fruits of the seed sown in the ground are not yet visible.

2. The second passage of the Message for Lent is grafted onto this last point. When history presents us with so many tragic examples of crises and failures, we may be tempted to become discouraged and throw in the towel. The great hope that we receive from Easter should encourage us not to tire of doing good to all. The desire to keep on walking, fixing our gaze on the One who can do everything, must be stronger than any weariness or disappointment we may experience. In his Message, the Holy Father identifies three areas of Christian life where one can concretely apply the exhortation “not to grow tired”. Let us not grow tired of praying, because no one is saved without God, and it is precisely in prayer that one finds the strength to fight and overcome trials. Let us not grow tired of uprooting evil from our lives. During Lent, through fasting and by valuing the sacrament of reconciliation more, we can exercise in fighting against everything that can harm us and others. And finally, let us not grow tired of doing good in active charity towards our neighbors. Lent is a favorable time to take care of others, to look upon those in need, to come to the aid of those who cannot cope and to lift up the poor and the marginalized.

3. In the last passage, the Holy Father insists on the invitation to be patient and to take one step at a time, like the wise farmer mentioned in the Scripture. Lent is, in some way, the image and mirror of a Christian's entire life. As such, it constitutes a time and place of training and preparation, like a gym. Amid every setback or difficulty that can cause us to become discouraged, Lent reminds us that we can always start over. With the help of God's mercy, we can always get back up and resume following the Master and reach the Cross and Resurrection with Him. The reference to the Virgin Mary closes the Message; We ask Her for patience, so that this year's Lent may “bring forth fruits of eternal salvation”.

“Let us not grow tired of doing good”. I think that the Holy Father is asking us to really reflect upon this exhortation, and indeed it does take on a special meaning in light of the current world events. The health, economic and social crisis caused by the pandemic, the winds of war sweeping through different parts of the world, the scandal of hunger in various areas of the planet, the inequalities exacerbated by the lack of work or by the exploitation of the most vulnerable, are all realities that are challenging us as individuals and as the Catholic Church. What can we do? The Pope's Message offers a path for commitment and responsibility. Each one of us is called to do good, to sow the seeds of justice and charity, to pursue paths of human promotion, to work untiringly so that everyone's dignity is respected. This Lent is the time that the Lord has given us; it is the occasion that He offers us, to do good and to bring the light of the Risen Lord to the world.

[00286-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

El mensaje del Papa Francisco a toda la Iglesia para la Cuaresma de este año, que comenzará con la celebración de la Ceniza el 2 de marzo, se inspira en una cita de la carta a los Gálatas: "No nos cansemos de hacer el bien, porque si no desfallecemos, cosecharemos los frutos a su debido tiempo. Por tanto, mientras tenemos la oportunidad, hagamos el bien a todos" (Ga 6, 9-10a).

El texto se presenta como una reflexión sobre cada una de las expresiones del texto sagrado, enriquecida con citas del Magisterio - en particular de las Encíclicas Spe salvi y Fratelli tutti y la Exhortación Evangelii Gaudium - y con una lectura de la situación histórica que estamos viviendo.

La Cuaresma es un tiempo propicio para renovar nuestra conversión y para acoger con humildad la Palabra que "renueva todas las cosas", ya que nos prepara para vivir el Misterio Pascual de manera auténtica. Para vivir este tiempo de la mejor manera posible, el Papa nos ofrece una ayuda fundamentada en la Palabra de Dios.

Intentaré resumir el contenido del texto del Mensaje, al tiempo que aprovecho esta presentación a la prensa para invitaros a leer el texto en su totalidad y a utilizarlo para una reflexión constante durante el tiempo de gracia que nos disponemos a iniciar. El Mensaje insiste especialmente en la metáfora de la siembra y la cosecha, en la invitación a no cansarse de hacer el bien, y en la paciencia que hay que tener mientras se espera la maduración de los frutos.

1. Las imágenes de la siembra y de la cosecha se utilizan a menudo en la Sagrada Escritura. El Papa las valora desde la perspectiva de Dios y la del creyente. Es Dios quien siembra su Palabra, las semillas de la gracia, el deseo de bondad y santidad. Pero el creyente también está llamado a sembrar para sí mismo, para los demás y para el mundo en el que vive. La Cuaresma se presenta como un tiempo propicio para acoger la siembra de Dios, especialmente a través de la escucha y la meditación de su Palabra. Aceptar la invitación a la conversión e iniciar procesos de cambio para apartarse del mal y revestirse de Cristo pasa por acoger la semilla de la Palabra, siempre nueva y eficaz. Pero el período de Cuaresma es también un tiempo de compromiso para que cada creyente practique el arte de la siembra, sabiendo que ninguna semilla de bien se desperdiciará. La fuerza renovadora de la Pascua debe impulsarnos a todos a sembrar el bien, la justicia, la bondad, la caridad, para que las relaciones se renueven plenamente. Dice el Papa: "Sembrar el bien para los demás nos libera de las estrechas lógicas del beneficio personal y da a nuestras acciones el amplio alcance de la gratuidad, introduciéndonos en el maravilloso horizonte de los benévolos designios de Dios".

La siembra - que Dios hace en nuestros corazones y que nosotros nos comprometemos a hacer - nos hace pensar inmediatamente en la cosecha. La Cuaresma se presenta como un tiempo de gracia en el que se vislumbran los frutos a cosechar. La muerte y la resurrección de Cristo hicieron posible lo que dijo el Apóstol: "El que vive en Cristo es una nueva criatura: lo antiguo ha desaparecido, un ser nuevo se ha hecho presente" (2 Cor 5,17). La resurrección de Cristo alimenta en todos la esperanza de seguir sembrando, aunque no se vea el fruto de la semilla plantada en la tierra.

2. Precisamente en este último punto se basa el segundo pasaje del Mensaje para la Cuaresma. Cuando la historia nos muestra tantos signos graves de fracaso y de crisis, podríamos estar tentados de desanimarnos y tirar la toalla. La gran esperanza que nos viene de la Pascua debería animar a todos a no cansarse de hacer el bien a todos. Más fuerte que el cansancio o la decepción que podamos experimentar debe ser el deseo de seguir caminando, manteniendo la mirada fija en Aquel que todo lo puede. En su Mensaje, el Santo Padre identifica tres ámbitos de la vida cristiana en los que traducir la exhortación a no cansarse. No nos cansemos de rezar porque nadie puede salvarse sin Dios, y es precisamente en la oración donde se encuentra la fuerza para luchar y atravesar las pruebas. No nos cansemos de extirpar el mal de nuestra vida. Durante la Cuaresma, a través del ayuno y valorando más el sacramento de la reconciliación, podemos entrenarnos para luchar contra todo lo que nos hace daño a nosotros mismos y a los demás. Y por último, no nos cansemos de hacer el bien en la caridad activa hacia el prójimo. La Cuaresma es un buen momento para ocuparse de los demás, para enterarse de los necesitados, para ayudar a los que no pueden seguir adelante y para sacar a los pobres y marginados del desánimo.

3. En el último punto, el Santo Padre hace hincapié en la invitación a ser pacientes y, a la vez, a dar un paso, como el sabio agricultor mencionado en la Escritura. La Cuaresma es, en cierto modo, la imagen y el espejo de toda la vida del cristiano. En sí misma, constituye un entrenamiento, un verdadero gimnasio. Frente a cada revés o dificultad que pueda debilitarnos, la Cuaresma nos recuerda que siempre podemos volver a empezar, con la ayuda de la misericordia de Dios, siempre podemos levantarnos y retomar el seguimiento del Maestro para llegar con Él a la Cruz y a la Resurrección. Una referencia a la Virgen María cierra el texto; le pedimos la paciencia para que la Cuaresma de este año "dé frutos de salvación eterna".

“No nos cansemos de hacer el bien”. Creo que esta invitación, sobre la que el Santo Padre nos invita a reflexionar, tiene una importancia especial a la luz de la situación histórica que estamos viviendo. La crisis sanitaria, económica y social provocada por la pandemia, los vientos de guerra que soplan en diversas partes del mundo, el escándalo del hambre en varias zonas del planeta, las desigualdades acentuadas por la falta de trabajo o la explotación de los más débiles, son realidades que nos interpelan como Iglesia. ¿Qué podemos hacer? El Mensaje del Papa es un camino de compromiso y responsabilidad. Cada uno de nosotros está llamado a hacer el bien, a sembrar la semilla de la justicia y la caridad, a no desistir en buscar vías de desarrollo humano y a trabajar asiduamente para que se respete la dignidad de todos. Esta Cuaresma es el tiempo que el Señor nos regala, es la oportunidad que nos ofrece para hacer el bien y llevar la luz del Resucitado al mundo.

[00286-ES.01] [Texto original: Italiano]

Intervento di Don Massimo Mostioli

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Testo in lingua italiana

Sono don Massimo Mostioli, sacerdote della diocesi di Pavia e della Comunità Casa del Giovane, fondata dal Servo di Dio don Enzo Boschetti che, con Don Mario Riboldi mi hanno accompagnato al sacerdozio e all’incontro con gli zingari. Nel libro Mille anni di storia degli zingari, di François de Vaux de Foletier, un capitolo s’intitola “molti nomi per un popolo”. È per questa pluralità di nomi che preferisco utilizzare il termine “zingari”.

Don Mario Riboldi, recentemente scomparso, ha incarnato nel quotidiano l’esempio di una vita spesa con e per loro. Incoraggiato dall’allora Cardinale Montini, che per accostarli suggeriva “carità, prudenza e pazienza”, ha scelto di vivere in roulotte, nomade nelle tante comunità nomadi che hanno camminato con lui, con una capacità unica di creare ponti tra la Chiesa, il Papa, i Rom e i Sinti. Il suo servizio da discepolo, il suo farsi servo gli ha permesso di imparare costumi e lingua; ha tradotto il Vangelo in vari dialetti, per consentire agli zingari di andare alla sequela di Cristo. Ha scoperto la figura di uno “zingaro analfabeta con la stoffa da santo”, Ceferino (Zeffirino) Jiménez Malla, patrono di questo popolo e modello per le vocazioni che stavano tanto a cuore a questo “prete degli zingari”. Quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario della beatificazione di Zeffirino detto “El Pelé”, avvenuta a Roma il 4 maggio 1997.

Del Messaggio del Papa mi ha toccato l’appello di San Paolo ai Galati: “Di fronte … alla preoccupazione per le sfide che incombono, di fronte allo scoraggiamento per la povertà dei nostri mezzi… La Quaresima ci chiama a riporre la nostra fede e la nostra speranza nel Signore (cfr 1Pt 1,21), perché solo con lo sguardo fisso su Gesù Cristo risorto (cfr Eb 12,2) possiamo accogliere l’esortazione dell’Apostolo: “Non stanchiamoci di fare il bene” (Gal 6,9)”. Dal 1996, in questo si radica la mia esperienza di “assistente spirituale dei nomadi”. Come don Mario Riboldi, anch’io abito in un camper per incontrare ed essere accolto dagli zingari là dove si trovano, vivendo la loro vita e imparando la loro lingua. Sono felice di questo servizio, voglio bene agli zingari e anche loro a me, la possibilità di portare loro la Parola di Dio che salva e libera mi dà tanta gioia, malgrado i fallimenti, le delusioni e le incomprensioni, che però insegnano a crescere in umiltà. La nostra vocazione deve fare innamorare: io offro la mia passione, nutrita dal coraggio e dalla certezza che è il Signore che guida i nostri passi perché “lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 119). Mi accontento di dissodare il terreno per la semina della Parola, seguendo in particolare i gruppi di zingari cattolici: li avvicino per battesimi, comunioni e cresime, celebro messa e organizzo giornate in cui leggiamo e preghiamo con la Bibbia. Con il COVID un evento come un funerale, che richiama parenti da tutta Italia per rendere onore al defunto, diventa difficile da gestire per le forze dell’ordine. Prima della pandemia, organizzavo pellegrinaggi in Italia e all’estero, occasioni adatte alla loro sensibilità, che coinvolgevano intere famiglie.

Nell’attività pastorale, nella vita, le persone che incontriamo e che hanno bisogno non sono sempre brave, educate e gentili: a volte pretendono, fingono e ti imbrogliano… “Signore, se mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? E Gesù rispose: non ti dico fino a sette volte, ma a settanta volte sette.” È importante non lasciarsi intossicare dalla rabbia e dal rancore per il rischio di essere manipolati o di diventare una carta di credito, derivanti da una relazione impostata male: è sempre vero che tutti i problemi dobbiamo risolverli noi perché ci sentiamo indispensabili? ... Forse no. Molto spesso ci accostiamo agli zingari con tante buone intenzioni e buona volontà, ma con pochissima attenzione. La volontà non può sostituirsi all’attenzione, all’ascolto e all’amore, dobbiamo lasciarci toccare da situazioni che lasciano senza respiro. Ho scolpiti nella mente e nel cuore gli occhi tristi di una bambina zingara che ho battezzato e cresimato, con cui leggo la Bibbia da anni. Il papà, mio amico, è morto sul colpo sei anni fa in un incidente stradale mentre ubriaco accompagnava il fratello a comprare la droga perché prima lo aveva visto litigare per i soldi con la moglie. La giovane vedova del mio amico, mamma di questa bambina dagli occhi tristi, dopo quattro anni è scappata con un uomo sposato, lasciando la piccola e suo fratello alla suocera, madre di sette figli e rimasta vedova a quarantacinque anni. Ogni mattina passo da questa nonna per il caffè e sulle pareti vedo le foto dei bambini piccoli, ormai tutti sposati, e su un mobile quelle del marito e del figlio defunti con fiori e lumini sempre accesi. Questa nonna, semplice e buona, vive solo per i figli e i nipoti, viene sempre a messa e al rosario e a volte mi dice “siamo suore!”. Quando la sera ritorno al mio camper vedo dal vetro della porta la bambina dagli occhi tristi che gioca a carte con la nonna: quando vince, le scappa un sorriso.

Grazie.

[00288-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Je m’appelle Massimo Mostioli, je suis un prêtre du diocèse de Pavie et de la Communauté Casa del Giovane, fondée par le Serviteur de Dieu Don Enzo Boschetti qui, avec le P. Mario Riboldi, m'a accompagné au sacerdoce et à la rencontre avec les gitans. Dans le livre Mille ans d'histoire des Tsiganes de François de Vaux de Foletier, un chapitre est intitulé « Plusieurs noms pour un seul peuple ». C'est en raison de cette pluralité de noms que je préfère utiliser le terme "Tsiganes".

Le P. Mario Riboldi, récemment décédé, a incarné au quotidien l'exemple d'une vie consacrée à et pour eux. Encouragé par le cardinal Montini, qui suggérait « charité, prudence et patience » pour les approcher, il a choisi de vivre dans une caravane, nomade parmi les nombreuses communautés nomades qui marchaient avec lui, avec une capacité spéciale de construire des ponts entre l'Église, le Pape, les Rom et les Sinti. Son service en tant que disciple, le fait qu'il se soit fait serviteur lui ont permis d'apprendre les coutumes et la langue ; il a traduit l'Évangile en divers dialectes, pour permettre aux tsiganes de suivre le Christ. Il a découvert la figure d'un « gitan analphabète ayant l'étoffe d'un saint », Ceferino (Zéphirin) Jiménez Malla, le saint patron de ce peuple et un modèle pour les vocations si chères à ce "prêtre tsigan". Cette année marque le vingt-cinquième anniversaire de la béatification de Zéphirin, surnommé "El Pelé", qui eût lieu à Rome le 4 mai 1997.

Dans le message du Pape, j'ai été touché par l'appel de saint Paul aux Galates : « Face à ... l'inquiétude devant les défis qui nous attendent, face au découragement dû à la pauvreté de nos moyens ... le Carême nous appelle à placer notre foi et notre espérance dans le Seigneur (cf. 1P 1, 21), car c’est seulement avec le regard fixé sur Jésus-Christ ressuscité (cf. He 12, 2) que nous pouvons accueillir l'exhortation de l'Apôtre : ‘Ne nous lassons pas de faire le bien’ (Gal 6, 9) ». Depuis 1996, mon expérience en tant qu'"assistant spirituel des nomades" est ancrée dans ce contexte. Comme le P. Mario Riboldi, je vis moi aussi dans une caravane pour rencontrer les tsiganes là où ils sont et en être accueilli, en vivant leur vie et en apprenant leur langue. Je suis heureux de ce service, j'aime les tsiganes et ils m'aiment aussi, la possibilité de leur apporter la Parole de Dieu qui sauve et libère me donne une grande joie, malgré les échecs, les déceptions et les incompréhensions, qui nous apprennent à grandir en humilité. Notre vocation doit faire tomber amoureux : j'offre ma passion, nourrie par le courage et la confiance que c'est le Seigneur qui guide nos pas car « Ta parole est la lumière de mes pas, la lampe de ma route » (Ps 118). Je me contente de labourer la terre pour y semer la Parole, en suivant en particulier les groupes de tziganes catholiques : je les approche pour les baptêmes, les communions et les confirmations, je célèbre la messe et j'organise des journées où nous lisons et prions avec la Bible. Avec le COVID, un événement comme un enterrement, qui attire des proches de toute l'Italie pour honorer le défunt, devient difficile à gérer pour la police. Avant la pandémie, j'organisais des pèlerinages en Italie et à l'étranger, des occasions adaptées à leur sensibilité, impliquant des familles entières.

Dans la pastorale, dans la vie, les personnes que nous rencontrons et qui sont dans le besoin ne sont pas toujours honnêtes, polies et gentilles : parfois elles exigent, prétendent et nous trompent... «‘Seigneur, lorsque mon frère commettra des fautes contre moi, combien de fois dois-je lui pardonner ? Jusqu’à sept fois?’ Jésus lui répondit :‘Je ne te dis pas jusqu’à sept fois, mais jusqu’à soixante-dix fois sept fois’». Il est important de ne pas se laisser intoxiquer par la colère et le ressentiment, au risque d'être manipulé ou de devenir une sorte de carte de crédit, le résultat d'une relation mal établie : est-il toujours vrai que nous devons résoudre tous les problèmes parce que nous nous sentons indispensables ? Peut-être pas. Très souvent, nous approchons les tsiganes avec nos meilleures intentions et bonne volonté, mais avec très peu d'attention. La volonté ne peut pas remplacer l'attention, l'écoute et l'amour, nous devons nous laisser toucher par des situations qui nous laissent sans souffle. J'ai gravé dans mon esprit et dans mon cœur les yeux tristes d'une petite fille tsigane que j'ai baptisée et accompagnée à la confirmation, avec laquelle je lis la Bible depuis des années. Son père, un ami à moi, est mort instantanément il y a six ans dans un accident de voiture alors qu'il était ivre et qu'il conduisait son frère pour acheter de la drogue parce qu'il l'avait vu se disputer avec sa femme à propos d'argent. La jeune veuve de mon ami, la mère de cette fille aux yeux tristes, s'est enfuie avec un homme marié après quatre ans, laissant la fille et son frère à sa belle-mère, mère de sept enfants et veuve elle-même à 45 ans. Tous les matins, je me rends chez cette grand-mère pour prendre un café, et sur les murs je vois les photos de ses enfants lorsqu’ils étaient petits, maintenant tous mariés, et sur un meuble celles de son mari et de son fils décédés, avec des fleurs et des bougies toujours allumées. Cette mamie, simple et bonne, ne vit que pour ses enfants et petits-enfants, vient toujours à la messe et au chapelet et parfois elle me dit "nous sommes comme des religieuses !". Le soir, quand je rentre dans ma caravane, je peux voir à travers sa porte vitrée la petite fille aux yeux tristes qui joue aux cartes avec sa mamie : quand elle gagne, un sourire lui échappe.

Merci.

[00288-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

I am Fr. Massimo Mostioli, priest of the diocese of Pavia and of the Comunità Casa del Giovane, founded by the Servant of God Fr. Enzo Boschetti who, with Fr. Mario Riboldi, accompanied me to the priesthood and to the encounter with the Gypsies. In the book One Thousand Years of the History of Gypsies, by François de Vaux de Foletier, a chapter is entitled "many names for one people". It is because of this plurality of names that I prefer to use the term "Gypsies".

Fr. Mario Riboldi, who recently passed away, embodied in his daily life the example of a life spent with and for them. Encouraged by the then Cardinal Montini, who suggested "charity, prudence and patience" in approaching them, Fr. Riboldi chose to live in a caravan, a nomad among the many nomadic communities that walked with him, possessing the unique ability to create bridges between the Church, the Pope, the Roma and the Sinti. His discipleship was characterized by his service to the people, and this allowed him to learn their customs and language; he translated the Gospel into various dialects so that the Gypsies could follow Christ. He discovered the figure of an "illiterate gypsy with the makings of a saint", Ceferino (Zeffirino) Jiménez Malla, the patron saint of this people and a model for the vocations that were so dear to this "Gypsy priest". This year marks the twenty-fifth anniversary of the beatification of Zeffirino, known as "El Pelé", which took place in Rome on May 4, 1997.

Of the Message of the Holy Father for Lent, I was touched by St. Paul's appeal to the Galatians: In the face of concern over the challenges that lie ahead, in the face of discouragement over the poverty of our means “The Lenten season calls us to place our faith and hope in the Lord (cf. 1Pet 1:21), since only if we fix our gaze on the risen Christ (cf. Heb 12:2) will we be able to respond to the Apostle’s appeal, “Let us never grow tired of doing good” (Gal 6:9)”. Since 1996, my experience as "chaplain of the nomads" has been rooted in this. Like Fr. Mario Riboldi, I too live in a camper to meet and be welcomed by the Gypsies where they are, living their life and learning their language. I am happy with this service, I love the Gypsies and they love me, too. The possibility of bringing them the Word of God that saves and liberates gives me so much joy, despite failures, disappointments and misunderstandings, which however teach us to grow in humility. Our vocation must make us fall in love: I offer my passion, nourished by the courage and certainty that it is the Lord who guides our steps because " Your word is a lamp for my feet, a light for my path" (Ps 119). I am content to till the soil for the sowing of the Word, following in particular the groups of Catholic gypsies: I approach them for baptisms, communions and confirmations, I celebrate mass and organize days in which we read and pray with the Bible. Under the Covid pandemic, events such as funerals, which draw relatives from all over Italy to honor the deceased, are difficult for law enforcement to manage. Before the pandemic, I used to organize pilgrimages in Italy and abroad, occasions suited to their sensitivity, involving entire families.

In pastoral work, in life, the people we meet and who are in need are not always good, polite and kind: sometimes they lie, deceive and cheat you... “Lord, if my brother sins against me, how often must I forgive him? As many as seven times? Jesus answered, ‘I say to you, not seven times but seventy-seven times’”. It is important not to be intoxicated by anger and resentment because of the risk of being manipulated or becoming a credit card, resulting from a badly set up relationship: is it always true that we have to solve all the problems because we feel indispensable? ... Maybe not. Very often we approach gypsies with many good intentions and good will, but with very little attention. Will cannot replace attention, listening and love, we must let ourselves be touched by situations that leave us breathless. I have engraved in my mind and heart the sad eyes of a little gypsy girl whom I baptized and confirmed, with whom I have been reading the Bible for years. My friend's father died suddenly six years ago in a car accident while drunk and driving his brother to buy drugs because he had seen him fighting with his wife over money. My friend's young widow, mother of this sad-eyed little girl, ran off with a married man after four years, leaving the little girl and her brother to her mother-in-law, mother of seven and widowed at the age of forty-five. Every morning I go to this grandmother's house for coffee and on the walls I see the photos of her young children, now all married, and on a piece of furniture those of her deceased husband and son with flowers and candles always lit. This grandmother, who is humble and good, lives only for her children and grandchildren, she always comes to mass and the rosary and sometimes she tells me "we are nuns!". When I return to my camper in the evening, I see through her glass door the little girl with sad eyes playing cards with her grandmother: when she wins, a smile lights up her face.

Thank you.

[00288-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Me llamo Massimo Mostioli, soy un sacerdote de la diócesis de Pavía y de la Comunidad Casa del Giovane, fundada por el Siervo de Dios Padre Enzo Boschetti que, con el Padre Mario Riboldi, me acompañó al sacerdocio y al encuentro con los gitanos. En el libro Mil años de historia de los gitanos, de François de Vaux de Foletier, hay un capítulo que se titula "muchos nombres para un solo pueblo". Debido a esta pluralidad de nombres, prefiero utilizar el término "gitanos".

El Padre Mario Riboldi, recientemente fallecido, encarnó en su día al día el ejemplo de una vida entregada con y para ellos. Animado por el entonces cardenal Montini, que le sugirió "caridad, prudencia y paciencia" para acercarse a los gitanos, el Padre Mario decidió vivir en una caravana, nómada en medio de las numerosas comunidades nómadas que caminaban con él. Tenía una capacidad única para tender puentes entre la Iglesia, el Papa, los gitanos y los sinti. Su servicio como discípulo, su manera de hacerse siervo, le permitió aprender las costumbres y el idioma: tradujo el Evangelio a varios dialectos, para que los gitanos pudieran seguir a Cristo. Descubrió la figura de un "gitano analfabeto con madera de santo", Ceferino Jiménez Malla, patrón de este pueblo y modelo para las vocaciones que tanto le gustaban a este "cura gitano". Este año se celebra el vigésimo quinto aniversario de la beatificación de Ceferino, conocido como "El Pelé", que tuvo lugar en Roma el 4 de mayo de 1997.

Del Mensaje del Papa, me ha conmovido el llamamiento de San Pablo a los Gálatas: "Frente … a la preocupación por los retos que nos conciernen, frente al desaliento por la pobreza de nuestros medios… la Cuaresma nos llama a poner nuestra fe y nuestra esperanza en el Señor (cf. 1 P 1,21), porque sólo con los ojos fijos en Cristo resucitado (cf. Hb 12,2) podemos acoger la exhortación del Apóstol: «No nos cansemos de hacer el bien» (Ga 6,9)". Desde 1996, mi experiencia como "capellán de los nómadas" se basa en esto. Al igual que Padre Mario Riboldi, yo también vivo en una caravana para ir al encuentro y ser acogido por los gitanos allí donde están, viviendo su vida y aprendiendo su lengua. Soy feliz con este servicio, amo a los gitanos y ellos también me aman, poder anunciar la Palabra de Dios que salva y libera me da mucha alegría, a pesar de fracasos, decepciones e incomprensiones, nos enseñan a crecer en humildad. Nuestra vocación debe enamorar: ofrezco mi pasión, alimentada por el coraje y la certeza de que es el Señor quien guía nuestros pasos porque "lámpara es tu Palabra para mis pasos, luz en mi sendero" (Sal 119). Me conformo con labrar la tierra para sembrar la Palabra, siguiendo particularmente a los grupos de gitanos católicos: me acerco a ellos para los bautizos, las comuniones y las confirmaciones, celebro la misa y organizo jornadas en las que leemos y rezamos con la Biblia. En tiempo de COVID, un evento como un funeral, que atrae a familiares de toda Italia para honrar al fallecido, se convierte en algo difícil de gestionar para las fuerzas del orden. Antes de la pandemia, organizaba peregrinaciones en Italia y en el extranjero, momentos adaptados a su sensibilidad, en las que participaban familias enteras.

En el trabajo pastoral, en la vida, las personas con las que nos encontramos y que están necesitadas no siempre son honestas, educadas y amables: a veces te exigen, fingen y engañan... "Señor, si mi hermano comete un delito contra mí, ¿cuántas veces debo perdonarlo? ¿Hasta siete veces? Y Jesús respondió: "No te digo hasta siete veces, sino hasta setenta veces siete". Es importante no dejarse contrariar por la ira y el resentimiento por el riesgo de ser manipulado o de convertirse en una tarjeta de crédito, resultado de una relación mal establecida: ¿es siempre cierto que tenemos que resolver todos los problemas porque nos sentimos indispensables? Tal vez no. Muy a menudo nos acercamos a los gitanos con muy buenas intenciones y buena voluntad, pero con muy poco cuidado. La voluntad no puede sustituirse al cuidado, la escucha y el amor, hay que dejarse tocar por las situaciones que nos dejan sin aliento. Tengo grabados en mi mente y en mi corazón los ojos tristes de una niña gitana a la que bauticé y confirmé, con la que llevo años leyendo la Biblia. Su padre, un amigo mío, murió instantáneamente hace seis años en un accidente de coche mientras estaba borracho y llevaba a su hermano a comprar drogas por haberle visto antes discutir con su mujer por dinero. La joven viuda de mi amigo, la madre de esta niña de ojos tristes, se fugó con un hombre casado al cabo de cuatro años, dejando a la niña y a su hermano a su suegra, madre de siete hijos y viuda ella misma a los 45 años. Todas las mañanas voy a la casa de esta abuela a tomar café, y en las paredes veo colgadas las fotos de los niños de pequeños, ahora todos casados, y en un mueble las de su marido e hijo muertos, con flores y velas siempre encendidas. Esta abuela, sencilla y buena, sólo vive para sus hijos y nietos, siempre viene a misa y al rosario y a veces me dice "¡somos monjas!". Cuando vuelvo a mi caravana por la noche, puedo ver a través del cristal de su puerta a la niña de ojos tristes jugando a las cartas con su abuela: cuando gana, se le escapa una sonrisa.

Gracias.

[00288-ES.01] [Texto original: Italiano]

[B0135-XX.02]