Omelia del Santo Padre
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Questa sera, alle ore 19.30, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore 2022.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:
Omelia del Santo Padre
Questa notte, che cosa dice ancora alle nostre vite? Dopo due millenni dalla nascita di Gesù, dopo molti Natali festeggiati tra addobbi e regali, dopo tanto consumismo che ha avvolto il mistero che celebriamo, c’è un rischio: sappiamo tante cose sul Natale, ma ne scordiamo il significato. E allora, come ritrovare il senso del Natale? E soprattutto, dove andare a cercarlo? Il Vangelo della nascita di Gesù sembra scritto proprio per questo: per prenderci per mano e riportarci lì dove Dio vuole. Seguiamo il Vangelo.
Inizia infatti con una situazione simile alla nostra: tutti sono presi e indaffarati per un importante evento da celebrare, il grande censimento, che richiedeva molti preparativi. In tal senso, il clima di allora era simile a quello che ci avvolge oggi a Natale. Ma da quello scenario mondano il racconto del Vangelo prende le distanze: “stacca” presto l’immagine per andare a inquadrare un’altra realtà, su cui insiste. Si sofferma su un piccolo oggetto, apparentemente insignificante, che menziona per ben tre volte e sul quale i protagonisti del racconto convergono: dapprima Maria, che pone Gesù «in una mangiatoia» (Lc 2,7); poi gli angeli, che annunciano ai pastori «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (v. 12); quindi i pastori, che trovano «il bambino, adagiato nella mangiatoia» (v. 16). La mangiatoia: per ritrovare il senso del Natale bisogna guardare lì. Ma perché la mangiatoia è così importante? Perché è il segno, non casuale, con cui Cristo entra nella scena del mondo. È il manifesto con cui si presenta, il modo in cui Dio nasce nella storia per far rinascere la storia. Che cosa ci vuole dire dunque attraverso la mangiatoia? Ci vuole dire almeno tre cose: vicinanza, povertà e concretezza.
1. Vicinanza. La mangiatoia serve a portare il cibo vicino alla bocca e a consumarlo più in fretta. Essa può così simboleggiare un aspetto dell’umanità: la voracità nel consumare. Perché, mentre gli animali nella stalla consumano cibo, gli uomini nel mondo, affamati di potere e di denaro, consumano pure i loro vicini, i loro fratelli. Quante guerre! E in quanti luoghi, ancora oggi, la dignità e la libertà vengono calpestate! E sempre le principali vittime della voracità umana sono i fragili, i deboli. Anche in questo Natale un’umanità insaziabile di soldi, insaziabile di potere e insaziabile di piacere non fa posto, come fu per Gesù (cfr v. 7), ai più piccoli, a tanti nascituri, poveri, dimenticati. Penso soprattutto ai bambini divorati da guerre, povertà e ingiustizia. Ma Gesù viene proprio lì, bambino nella mangiatoia dello scarto e del rifiuto. In Lui, bambino di Betlemme, c’è ogni bambino. E c’è l’invito a guardare la vita, la politica e la storia con gli occhi dei bambini.
Nella mangiatoia del rifiuto e della scomodità, Dio si accomoda: viene lì, perché lì c’è il problema dell’umanità, l’indifferenza generata dalla fretta vorace di possedere e consumare. Cristo nasce lì e in quella mangiatoia lo scopriamo vicino. Viene dove si divora il cibo per farsi nostro cibo. Dio non è un padre che divora i suoi figli, ma il Padre che in Gesù ci fa suoi figli e ci nutre di tenerezza. Viene a toccarci il cuore e a dirci che l’unica forza che muta il corso della storia è l’amore. Non resta distante, non resta potente, ma si fa prossimo e umile; Lui, che sedeva in cielo, si lascia adagiare in una mangiatoia.
Fratello, sorella, Dio stanotte si fa vicino a te perché gli importa di te. Dalla mangiatoia, come cibo per la tua vita, ti dice: “Se ti senti consumato dagli eventi, se il tuo senso di colpa e la tua inadeguatezza ti divorano, se hai fame di giustizia, io, Dio, sono con te. So quello che tu vivi, l’ho provato in quella mangiatoia. Conosco le tue miserie e la tua storia. Sono nato per dirti che ti sono e ti sarò sempre vicino”. La mangiatoia del Natale, primo messaggio di un Dio infante, ci dice che Lui è con noi, ci ama, ci cerca. Coraggio, non lasciarti vincere dalla paura, dalla rassegnazione, dallo sconforto. Dio nasce in una mangiatoia per farti rinascere proprio lì, dove pensavi di aver toccato il fondo. Non c’è male, non c’è peccato da cui Gesù non voglia e non possa salvarti. Natale vuol dire che Dio è vicino: rinasca la fiducia!
2. La mangiatoia di Betlemme, oltre che di vicinanza, ci parla anche di povertà. Attorno a una mangiatoia, infatti, non c’è molto: sterpaglie e qualche animale e poco altro. Le persone stavano al caldo negli alberghi, non nella fredda stalla di un alloggio. Ma Gesù nasce lì e la mangiatoia ci ricorda che non ha avuto altro intorno, se non chi gli ha voluto bene: Maria, Giuseppe e dei pastori; tutta gente povera, accomunata da affetto e stupore, non da ricchezze e grandi possibilità. La povera mangiatoia fa dunque emergere le vere ricchezze della vita: non il denaro e il potere, ma le relazioni e le persone.
E la prima persona, la prima ricchezza, è proprio Gesù. Ma noi vogliamo stare al suo fianco? Ci avviciniamo a Lui, amiamo la sua povertà? O preferiamo rimanere comodi nei nostri interessi? Soprattutto, lo visitiamo dove Lui si trova, cioè nelle povere mangiatoie del nostro mondo? Lì Egli è presente. E noi siamo chiamati a essere una Chiesa che adora Gesù povero e serve Gesù nei poveri. Come disse un vescovo santo: «La Chiesa appoggia e benedice gli sforzi per trasformare le strutture di ingiustizia e mette soltanto una condizione: che le trasformazioni sociali, economiche e politiche ridondino in autentico beneficio per i poveri» (O.A. Romero, Messaggio pastorale per il nuovo anno, 1° gennaio 1980). Certo, non è facile lasciare il caldo tepore della mondanità per abbracciare la bellezza spoglia della grotta di Betlemme, ma ricordiamo che non è veramente Natale senza i poveri. Senza di loro si festeggia il Natale, ma non quello di Gesù. Fratelli, sorelle, a Natale Dio è povero: rinasca la carità!
3. Arriviamo così all’ultimo punto: la mangiatoia ci parla di concretezza. Infatti, un bimbo in una mangiatoia rappresenta una scena che colpisce, persino cruda. Ci ricorda che Dio si è fatto davvero carne. E allora su di Lui non bastano più le teorie, i bei pensieri e i pii sentimenti. Gesù, che nasce povero, vivrà povero e morirà povero, non ha fatto tanti discorsi sulla povertà, ma l’ha vissuta fino in fondo per noi. Dalla mangiatoia alla croce, il suo amore per noi è stato tangibile, concreto: dalla nascita alla morte il figlio del falegname ha abbracciato le ruvidità del legno, le asperità della nostra esistenza. Non ci ha amato a parole, non ci ha amato per scherzo!
E dunque, non si accontenta di apparenze. Non vuole solo buoni propositi, Lui che si è fatto carne. Lui che è nato nella mangiatoia, cerca una fede concreta, fatta di adorazione e carità, non di chiacchiere ed esteriorità. Lui, che si mette a nudo nella mangiatoia e si metterà a nudo sulla croce, ci chiede verità, di andare alla nuda realtà delle cose, di deporre ai piedi della mangiatoia scuse, giustificazioni e ipocrisie. Lui, che è stato teneramente avvolto in fasce da Maria, vuole che ci rivestiamo di amore. Dio non vuole apparenza, ma concretezza. Non lasciamo passare questo Natale, fratelli e sorelle, senza fare qualcosa di buono. Visto che è la sua festa, il suo compleanno, facciamogli regali a Lui graditi! A Natale Dio è concreto: nel suo nome facciamo rinascere un po’ di speranza in chi l’ha smarrita!
Gesù, guardiamo a Te, adagiato nella mangiatoia. Ti vediamo così vicino, vicino a noi per sempre: grazie, Signore. Ti vediamo povero, a insegnarci che la vera ricchezza non sta nelle cose, ma nelle persone, soprattutto nei poveri: scusaci, se non ti abbiamo riconosciuto e servito in loro. Ti vediamo concreto, perché concreto è il tuo amore per noi: Gesù, aiutaci a dare carne e vita alla nostra fede. Amen.
[02018-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Cette nuit, que nous dit-elle encore pour nos vies ? Deux mille ans après la naissance de Jésus, après tant de Noëls fêtés dans les décorations et les cadeaux, après tant de consumérisme voilant le mystère que nous célébrons, il y a un risque : nous savons beaucoup de choses sur Noël, mais nous en oublions le sens. Comment alors retrouver le sens de Noël ? Et surtout, où aller le chercher ? L'Évangile de la naissance de Jésus semble avoir été écrit justement pour cela : nous prendre par la main et nous ramener là où Dieu le veut. Suivons l’Évangile.
Il commence en effet par une situation similaire à la nôtre : tout le monde est occupé et s'affaire à un événement important à célébrer, le grand recensement qui demande beaucoup de préparatifs. En ce sens, l'atmosphère de l'époque est semblable à celle qui nous entoure aujourd'hui à Noël. Mais le récit évangélique s’éloigne de ce décor mondain. Il quitte très vite ce cadre pour souligner une autre réalité sur laquelle il insiste. Il s'attarde sur un petit objet, apparemment insignifiant, qu'il mentionne à trois reprises et sur lequel les acteurs du récit convergent : d'abord Marie qui pose Jésus «dans une mangeoire» (Lc 2, 7) ; ensuite les anges qui annoncent aux bergers «un nouveau-né emmailloté et couché dans une mangeoire» (v. 12) ; enfin les bergers qui trouvent « le nouveau-né couché dans la mangeoire» (v. 16). La mangeoire : c’est là qu’il faut regarder pour retrouver le sens de Noël. Mais pourquoi la mangeoire est-elle si importante ? Parce qu'elle est le signe, et ce n’est pas un hasard, avec lequel le Christ entre sur la scène du monde. Elle est le manifeste avec lequel il se présente, la manière de Dieu de naître dans l'histoire afin de faire renaitre l’histoire. Que veut-il donc nous dire à travers la mangeoire ? il veut nous dire au moins trois choses : la proximité, lapauvreté et le concret.
1. Proximité. La mangeoire sert à porter la nourriture à la bouche et à la consommer plus rapidement. Elle peut donc symboliser un aspect de l'humanité : l’avidité à consommer. Alors que les animaux de l'étable consomment de la nourriture, les hommes avides de pouvoir et d'argent, consomment leurs proches, leurs frères. Combien de guerres! En combien de lieux, aujourd'hui encore, la dignité et la liberté sont-elles foulées aux pieds ! Et les principales victimes de l’avidité humaine sont toujours les personnes fragiles, les faibles. En ce Noël, une fois encore, l’humanité insatiable d'argent, insatiable de pouvoir et insatiable de plaisir ne laisse aucune place aux plus petits, aux enfants à naître, nombreux, aux pauvres, aux oubliés; comme pour Jésus (cf. v. 7). Je pense surtout aux enfants dévorés par les guerres, la pauvreté et l'injustice. Mais c’est là justement que Jésus vient, enfant dans la mangeoire du rejet et de l'exclusion. Dans l’enfant de Bethléem, se trouve tout enfant. Et c’est une invitation à regarder la vie, la politique et l'histoire avec les yeux des enfants.
Dieu s’installe dans la mangeoire de l’exclusion et de l'inconfort. Il va là parce que c'est là que se trouve le problème de l'humanité: l'indifférence générée par l’empressement avide de posséder et de consommer. Le Christ naît là et, dans cette mangeoire, nous le découvrons proche. Il va là où l’on dévore la nourriture, pour se faire notre nourriture. Dieu n'est pas un père qui dévore ses enfants, mais le Père qui, en Jésus, fait de nous ses enfants et nous nourrit de satendresse. Il vient toucher nos cœurs et nous dire que la seule force qui change le cours de l'histoire est l'amour. Il ne reste pas distant, il ne reste pas puissant, mais il se fait proche et humble. Lui qui siège dans le ciel, se laisse coucher dans une mangeoire.
Frère, sœur, Dieu cette nuit se fait proche de toi parce que tu lui importes. De la mangeoire, il te dit, comme une nourriture pour ta vie: "Si tu te sens consumé par les événements, si ta culpabilité et ton inaptitude te dévorent, si tu as faim de justice, moi, Dieu, je suis avec toi. Je sais ce que tu vis, je l'ai éprouvé dans cette mangeoire. Je connais tes misères et ton histoire. Je suis né pour te dire que je suis et serai toujours proche de toi ". La mangeoire de Noël, premier message d'un Dieu enfant, nous dit qu'Il est avec nous, qu'Il nous aime, qu'Il nous cherche. Courage, ne te laisses pas vaincre par la peur, la résignation, le découragement. Dieu naît dans une mangeoire pour te faire renaître justement là où tu pensais avoir touché le fond. Il n'y a aucun mal, aucun péché dont Jésus ne veuille ni ne puisse te sauver. Noël signifie que Dieu est proche : Que renaisse la confiance !
2. La mangeoire de Bethléem nous parle non seulement de proximité, mais aussi de pauvreté. Autour d'une mangeoire, en effet, il n'y a pas grand-chose : des mauvaises herbes et quelques animaux et rien d'autre. Les gens étaient au chaud dans les hôtels, pas dans l'étable froide d'une auberge. Mais Jésus naît là, et la mangeoire nous rappelle qu'il n'avait personne autour de lui, sauf ceux qui l'aimaient : Marie, Joseph et des bergers. Tous des gens pauvres, unis par l'affection et l’étonnement, et non par les richesses et les grandes possibilités. La mangeoire pauvre fait apparaître les véritables richesses de la vie : non pas l'argent ni le pouvoir, mais les relations et les personnes.
Et la première personne, la première richesse, c'est précisément Jésus. Mais voulons-nous rester à ses côtés ? Nous rapprochons-nous de Lui, aimons-nous sa pauvreté ? Ou bien préférons-nous rester à l'aise dans nos propres intérêts ? Surtout, Le visitons nous là où il se trouve, c'est-à-dire dans les pauvres mangeoires de notre monde ? C’est là qu’il est présent. Et nous sommes appelés à être une Église qui adore Jésus pauvre, et qui sert Jésus dans les pauvres. Comme l'a dit un saint évêque : «L'Église soutient et bénit les efforts visant à transformer les structures d'injustice et n'y met qu'une seule condition : que les transformations sociales, économiques et politiques se fassent au profit authentique des pauvres» (O.A. Romeo, Message pastoral pour la nouvelle année, 1er janvier 1980). Bien sûr, il n'est pas facile de quitter la chaleur de la mondanité pour embrasser la beauté dépouillée de la grotte de Bethléem, mais rappelons-nous que, sans les pauvres, ce n'est pas vraiment Noël. Sans eux, nous célébrons Noël, mais pas celui de Jésus. Frères, sœurs, à Noël, Dieu est pauvre : Que renaisse la charité!
3. Nous arrivons ainsi au dernier point : la mangeoire nous parle du concret. Un enfant dans une mangeoire est en effet une scène qui frappe, même si elle est dure. Elle nous rappelle que Dieu s'est vraiment fait chair. Et donc les théories sur Lui, les belles pensées et les sentiments pieux ne suffisent pas. Jésus, qui naît pauvre, qui vivra pauvre et mourra pauvre, n'a pas fait beaucoup de discours sur la pauvreté, mais il l'a vécue pleinement pour nous. De la mangeoire à la croix, son amour pour nous a été tangible, concret : de la naissance à la mort, le fils du charpentier a embrassé la rugosité du bois, les aspérités de notre existence. Il ne nous a pas aimés en paroles, il ne nous a pas aimés pour rire !
Et donc, Il ne se contente pas des apparences. Il ne se contente pas de bonnes intentions, Lui qui s'est fait chair. Lui qui est né dans la mangeoire, il veut une foi concrète, faite d'adoration et de charité, et non de bavardages et d'apparences extérieures. Lui qui s'est mis à nu dans la mangeoire et qui se mettra à nu sur la croix, il nous demande la vérité: aller à la réalité nue des choses, déposer au pied de la mangeoire les excuses, les justifications et les hypocrisies. Lui qui a été tendrement enveloppé de langes par Marie, il veut que nous revêtions l'amour. Dieu ne veut pas de l'apparence, mais du concret. Ne laissons pas passer ce Noël, frères et sœurs, sans faire quelque chose de bon. Puisque c'est sa fête, son anniversaire, offrons-lui des cadeaux qui Lui sont agréables ! À Noël, Dieu est concret : en son nom, faisons renaître un peu d’espérance chez ceux qui l'ont perdue !
Jésus, nous te regardons, couché dans la mangeoire. Nous Te voyons si proche, proche de nous pour toujours : merci, Seigneur. Nous Te voyons pauvre, nous enseignant que la vraie richesse ne réside pas dans les choses, mais dans les personnes, surtout les pauvres : pardonne-nous si nous ne t'avons pas reconnu et servi en eux. Nous te voyons concret, parce que ton amour pour nous est concret : Jésus, aide-nous à donner chair et vie à notre foi. Amen.
[02018-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
What does this night still have to say to our lives? Two thousand years after the birth of Jesus, after so many Christmases spent amid decorations and gifts, after so much consumerism that has packaged the mystery we celebrate, there is a danger. We know many things about Christmas, but we forget its real meaning. So how do we rediscover the meaning of Christmas? First of all, where do we go to find it? The Gospel of Jesus’ birth appears to have been written precisely for this purpose: to take us by the hand and lead us where God would have us go. So let us follow the Gospel.
It starts with a situation not unlike our own: everyone is bustling about, getting ready for an important event, the great census, which called for much preparation. In that sense, the atmosphere was very much like our modern celebration of Christmas. Yet the Gospel has little to do with that worldly scenario; it quickly shifts our gaze to something else, which it considers more important. It is a small and apparently insignificant detail that it nonetheless mentions three times, always in relation to the central figures in the narrative. First, Mary places Jesus “in a manger” (Lk 2:7); then the angels tell the shepherds about “a child wrapped in swaddling clothes and lying in a manger” (v. 12); and finally, the shepherds, who find “the child lying in the manger” (v. 16). In order to rediscover the meaning of Christmas, we need to look to the manger. Yet why is the manger so important? Because it is the sign, and not by chance, of Christ’s coming into this world. It is how he announces his coming. It is the way God is born in history, so that history itself can be reborn. What then does the manger tell us? It tells us three things, at least: closeness, poverty and concreteness.
Closeness. The manger serves as a feeding trough, to enable food to be consumed more quickly. In this way, it can symbolize one aspect of our humanity: our greed for consumption. While animals feed in their stalls, men and women in our world, in their hunger for wealth and power, consume even their neighbours, their brothers and sisters. How many wars have we seen! And in how many places, even today, are human dignity and freedom treated with contempt! As always, the principal victims of this human greed are the weak and the vulnerable. This Christmas too, as in the case of Jesus, a world ravenous for money, hungry for power and pleasure does not make room for the little ones, for so many unborn, poor and forgotten children. I think above all of the children devoured by war, poverty and injustice. Yet those are the very places to which Jesus comes, a child in the manger of rejection and refusal. In him, the Child of Bethlehem, every child is present. And we ourselves are invited to view life, politics and history through the eyes of children.
In the manger of rejection and discomfort, God makes himself present. He comes there because there we see the problem of our humanity: the indifference produced by the greedy rush to possess and consume. There, in that manger, Christ is born, and there we discover his closeness to us. He comes there, to a feeding trough, in order to become our food. God is no father who devours his children, but the Father who, in Jesus, makes us his children and feeds us with his tender love. He comes to touch our hearts and to tell us that love alone is the power that changes the course of history. He does not remain distant and mighty, but draws near to us in humility; leaving his throne in heaven, he lets himself be laid in a manger.
Dear brother, dear sister, tonight God is drawing near to you, because you are important to him. From the manger, as food for your life, he tells you: “If you feel consumed by events, if you are devoured by a sense of guilt and inadequacy, if you hunger for justice, I, your God, am with you. I know what you are experiencing, for I experienced it myself in that manger. I know your weaknesses, your failings and your history. I was born in order to tell you that I am, and always will be, close to you”. The Christmas manger, the first message of the divine Child, tells us that God is with us, he loves us and he seeks us. So take heart! Do not allow yourself to be overcome by fear, resignation or discouragement. God was born in a manger so that you could be reborn in the very place where you thought you had hit rock bottom. There is no evil, there is no sin, from which Jesus does not want to save you. And he can. Christmas means that God is close to us: let confidence be reborn!
The manger of Bethlehem speaks to us not only of closeness, but also of poverty. Around the manger there is very little: hay and straw, a few animals, little else. People were warm in the inn, but not here in the coldness of a stable. Yet that is where Jesus was born. The manger reminds us that he was surrounded by nothing but love: Mary, Joseph and the shepherds; all poor people, united by affection and amazement, not by wealth and great expectations. The poverty of the manger thus shows us where the true riches in life are to be found: not in money and power, but in relationships and persons.
And the first person, the greatest wealth, is Jesus himself. Yet do we want to stand at his side? Do we draw close to him? Do we love his poverty? Or do we prefer to remain comfortably ensconced in our own interests and concerns? Above all, do we visit him where he is to be found, namely in the poor mangers of our world? For that is where he is present. We are called to be a Church that worships a Jesus who is poor and that serves him in the poor. As a saintly bishop once said: “The Church supports and blesses efforts to change the structures of injustice, and sets down but one condition: that social, economic and political change truly benefit the poor” (O.A. ROMERO, Pastoral Message for the New Year, 1 January 1980). Certainly, it is not easy to leave the comfortable warmth of worldliness to embrace the stark beauty of the grotto of Bethlehem, but let us remember that it is not truly Christmas without the poor. Without the poor, we can celebrate Christmas, but not the birth of Jesus. Dear brothers, dear sisters, at Christmas God is poor: let charity be reborn!
We now come to our last point: the manger speaks to us of concreteness. Indeed, a child lying in a manger presents us with a scene that is striking, even crude. It reminds us that God truly became flesh. As a result, all our theories, our fine thoughts and our pious sentiments are no longer enough. Jesus was born poor, lived poor and died poor; he did not so much talk about poverty as live it, to the very end, for our sake. From the manger to the cross, his love for us was always palpable, concrete. From birth to death, the carpenter’s son embraced the roughness of the wood, the harshness of our existence. He did not love us only in words; he loved us with utter seriousness!
Consequently, Jesus is not satisfied with appearances. He who took on our flesh wants more than simply good intentions. He who was born in the manger, demands a concrete faith, made up of adoration and charity, not empty words and superficiality. He who lay naked in the manger and hung naked on the cross, asks us for truth, he asks us to go to the bare reality of things, and to lay at the foot of the manger all our excuses, our justifications and our hypocrisies. Tenderly wrapped in swaddling clothes by Mary, he wants us to be clothed in love. God does not want appearances but concreteness. Brothers and sisters, may we not let this Christmas pass without doing something good. Since it is his celebration, his birthday, let us give him the gifts he finds pleasing! At Christmas, God is concrete: in his name let us help a little hope to be born anew in those who feel hopeless!
Jesus we behold you lying in the manger. We see you as close, ever at our side: thank you Lord! We see you as poor, in order to teach us that true wealth does not reside in things but in persons, and above all in the poor: forgive us, if we have failed to acknowledge and serve you in them. We see you as concrete, because your love for us is palpable. Jesus, help us to give flesh and life to our faith. Amen.
[02018-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Was sagt diese Nacht unserem Leben noch? Nach zwei Jahrtausenden seit der Geburt Jesu, nach vielen Weihnachtsfesten inmitten von Schmuck und Geschenken, nach so viel Konsum, der das Geheimnis, das wir feiern, verhüllt hat, besteht die Gefahr, dass wir viel über Weihnachten wissen, aber die Bedeutung dieses Festes vergessen. Wie können wir also den Sinn von Weihnachten wiederfinden? Und vor allem: Wo kann man danach suchen? Das Evangelium von der Geburt Jesu scheint genau dafür geschrieben worden zu sein: um uns bei der Hand zu nehmen und uns wieder dorthin zu führen, wo Gott uns haben will. Folgen wir dem Evangelium.
Es beginnt mit einer Situation, die der unseren ähnlich ist: Alle sind mit einem wichtigen Ereignis beschäftigt, der großen Volkszählung, die viel Vorbereitung erforderte. In diesem Sinne war die Atmosphäre damals ähnlich wie die, die uns heute zu Weihnachten umgibt. Doch von diesem weltlichen Geschehen entfernt sich die Erzählung des Evangeliums, alsbald löst sie sich von dieser Perspektive, um eine andere Realität in den Blick zu nehmen, die ihr eigentliches Anliegen ist. Sie konzentriert sich auf einen kleinen, scheinbar unbedeutenden Gegenstand, der dreimal erwähnt wird und um den herum sich die Protagonisten der Geschichte versammeln: zuerst Maria, die Jesus »in eine Krippe« legt (Lk 2,7); dann die Engel, die den Hirten ankündigen, das sie »ein Kind finden, das, in Windeln gewickelt, in einer Krippe liegt« (V. 12); und schließlich die Hirten, die »das Kind, das in der Krippe lag« finden (V. 16). Die Krippe: Um den Sinn von Weihnachten wiederzuentdecken, muss man dort suchen. Aber warum ist die Krippe so wichtig? Weil sie das nicht zufällige Zeichen ist, mit dem Christus die Weltbühne betritt. Sie ist das Manifest, mit dem er sich präsentiert, die Art und Weise, wie Gott in die Geschichte hineingeboren wird, um die Geschichte wieder neu aufleben zu lassen. Was will er uns also durch die Krippe mitteilen? Er will uns mindestens drei Dinge mitteilen: Nähe, Armut und Konkretheit.
1. Nähe. Die Krippe dient dazu, das Essen nahe an den Mund zu bringen und es schneller verzehren zu können. Sie kann somit einen Aspekt des Menschseins symbolisieren: die Unersättlichkeit im Konsumieren. Denn während die Tiere im Stall Nahrung zu sich nehmen, verzehren die macht- und geldhungrige Menschen in der Welt sogar ihre Nächsten, ihre Brüder und Schwestern. Wie viele Kriege gibt es! Und an wie vielen Orten werden auch heute noch Würde und Freiheit mit Füßen getreten! Und die Hauptleidtragenden der menschlichen Gier sind immer die Schwachen, die Armen. Auch dieses Weihnachten macht eine Menschheit, die unersättlich nach Geld, unersättlich nach Macht und unersättlich nach Vergnügen strebt, keinen Platz für die Kleinen, für die vielen ungeborenen, armen, vergessenen Menschen, so wie es bei Jesus auch war (vgl. V. 7). Ich denke dabei besonders an die Kinder, die von Krieg, Armut und Ungerechtigkeit verschlungen werden. Aber Jesus kommt genau dorthin, als Neugeborener in die Krippe der Ausgrenzung und Ablehnung. In ihm, dem Kind von Betlehem, ist jedes Kind repräsentiert. Und es lädt uns ein, das Leben, die Politik und die Geschichte mit den Augen der Kinder zu betrachten.
In die Krippe der Ablehnung und Unwirtlichkeit legt sich Gott hinein. Er kommt dorthin, weil dort das Problem der Menschheit liegt, die Gleichgültigkeit, die durch das unersättliche Verlangen nach Besitz und Konsum entsteht. Dort wird Christus geboren, und in dieser Krippe entdecken wir seine Nähe. Er kommt an diese Futterstelle, um uns zur Speise zu werden. Gott ist kein Vater, der seine Kinder verschlingt, sondern der Vater, der uns durch Jesus zu seinen Kindern macht und uns zärtlich nährt. Er kommt, um unsere Herzen zu berühren und uns zu sagen, dass die einzige Kraft, die den Lauf der Geschichte verändert, die Liebe ist. Er bleibt nicht fern, nicht mächtig, sondern kommt uns demütig ganz nah; er, der im Himmel thronte, lässt sich in eine Krippe legen.
Lieber Bruder, liebe Schwester, heute Nacht kommt Gott dir nahe, weil du ihm wichtig bist. Von der Krippe aus, als Nahrung für dein Leben, sagt er dir: „Wenn du dich von den Ereignissen aufgezehrt fühlst, wenn dein Schuldgefühl und deine Unzulänglichkeit dich auffressen, wenn du nach Gerechtigkeit hungerst, bin ich, Gott, bei dir. Ich weiß, was du erlebst, ich habe es in dieser Krippe selbst erfahren. Ich kenne dein Elend und deine Geschichte. Ich wurde geboren, um dir zu sagen, dass ich bei dir bin und immer bei dir sein werde“. Die Weihnachtskrippe, diese erste Botschaft des kindlichen Gottes, sagt uns, dass er bei uns ist, uns liebt und uns sucht. Nur Mut, lass dich nicht von Angst, Resignation und Verzweiflung überwältigen. Gott wird in einer Krippe geboren, damit du eben dort neu geboren wirst, da wo du meintest, den Tiefpunkt erreicht zu haben. Es gibt kein Übel, keine Sünde, aus der Jesus dich nicht retten will und kann. Weihnachten bedeutet, dass Gott nahe ist: möge das Vertrauen wieder neu aufleben!
2. Die Krippe von Betlehem spricht zu uns nicht nur von Nähe, sondern auch von Armut. Um eine Krippe herum gibt es in der Tat nicht viel: Stroh und ein paar Tiere und wenig anderes. Die Menschen hielten sich im Warmen auf, in den Herbergen, nicht im kalten Stall solch einer Unterkunft. Doch Jesus wird dort geboren, und die Krippe erinnert uns daran, dass er nichts sonst um sich hatte als diejenigen, die ihn liebten: Maria, Josef und die Hirten; alles arme Leute, die ihre Zuneigung und ihr Staunen verband und nicht ihr Reichtum und große Möglichkeiten. Die arme Krippe lässt also den wahren Reichtum des Lebens ans Licht kommen: nicht Geld und Macht, sondern Beziehungen und Personen.
Und die erste Person, der erste Reichtum, ist gerade Jesus. Aber wollen wir an seiner Seite stehen? Nähern wir uns ihm, lieben wir seine Armut? Oder ziehen wir es vor, bequem in unseren eigenen Interessen zu verharren? Und vor allem: besuchen wir ihn dort, wo er sich befindet, nämlich in den armen Krippen unserer Welt? Dort ist er gegenwärtig. Und wir sind aufgerufen, eine Kirche zu sein, die den armen Jesus anbetet und Jesus in den Armen dient. Wie ein heiliger Bischof sagte: »Die Kirche unterstützt und segnet die Bemühungen, die ungerechten Strukturen zu verändern, und stellt nur eine Bedingung: dass die sozialen, wirtschaftlichen und politischen Veränderungen wirklich den Armen zugutekommen« (O.A. Romero, Hirtenwort zum neuen Jahr, 1. Januar 1980). Natürlich ist es nicht leicht, die angenehme Wärme der Weltlichkeit zu verlassen um sich auf die karge Schönheit der Grotte von Betlehem einzulassen, doch wir sollten uns daran erinnern, dass es ohne die Armen kein richtiges Weihnachten gibt. Auch ohne sie feiert man Weihnachten, aber nicht das Weihnachten Jesu. Brüder, Schwestern, an Weihnachten ist Gott arm: möge die Nächstenliebe wieder neu aufblühen!
3. Damit kommen wir zum letzten Punkt: Die Krippe spricht zu uns von Konkretheit. Ein Neugeborenes in einer Krippe ist in der Tat eine Vorstellung, die betroffen macht, die fast grausam ist. Sie erinnert uns daran, dass Gott tatsächlich Fleisch geworden ist. Und so reichen Theorien, schöne Gedanken und fromme Gefühle in Bezug auf ihn nicht mehr aus. Jesus, der arm zur Welt kommt, der arm gelebt hat und arm gestorben ist, hat keine großen Reden über Armut gehalten, sondern hat sie bis ins Letzte für uns gelebt. Von der Krippe bis zum Kreuz war seine Liebe zu uns greifbar, konkret. Von der Geburt bis zum Tod nahm der Zimmermannssohn die Rauheit des Holzes, die Widrigkeiten unseres Lebens an. Er hat uns nicht mit Worten geliebt, er hat uns nicht zum Spaß geliebt!
Deshalb begnügt er sich nicht mit dem äußeren Anschein. Er, der Fleisch geworden ist, will nicht nur gute Vorsätze. Er, der in der Krippe geboren wurde, will einen konkreten Glauben, der aus Anbetung und Nächstenliebe besteht, nicht aus Geschwätz und Äußerlichkeiten. Er, der nackt in der Krippe liegt und nackt am Kreuz hängen wird, verlangt von uns Wahrheit, er will, dass wir die nackte Wirklichkeit der Dinge suchen und dass wir Ausreden, Rechtfertigungen und Heucheleien vor der Krippe ablegen. Er, der von Maria liebevoll in Windeln gewickelt wurde, möchte, dass wir uns mit Liebe bekleiden. Gott will nicht den Schein, sondern das Konkrete. Lassen wir dieses Weihnachten nicht verstreichen, liebe Brüder und Schwestern, ohne etwas Gutes zu tun. Da es sein Festtag, sein Geburtstag ist, sollten wir ihm Geschenke machen, die ihm gefallen! An Weihnachten ist Gott konkret: sorgen wir in seinem Namen dafür, dass in denen, die ihre Hoffnung verloren haben, wieder ein wenig Hoffnung auflebt!
Jesus, wir schauen auf Dich, der du in der Krippe liegst. Wir sehen Dich so nah, für immer nahe bei uns: Danke, Herr. Wir sehen Dich arm und du lehrst uns, dass der wahre Reichtum nicht in den Dingen liegt, sondern in den Menschen, besonders in den Armen: Vergib uns, wenn wir Dich in ihnen nicht erkannt und dir nicht in ihnen gedient haben. Wir sehen dich konkret, denn konkret ist deine Liebe zu uns: Jesus, hilf uns, unseren Glauben konkret zu leben. Amen.
[02018-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
¿Qué es lo que le sigue diciendo esta noche a nuestras vidas? Después de dos milenios del nacimiento de Jesús, después de muchas Navidades festejadas entre adornos y regalos, después de todo el consumismo que ha envuelto el misterio que celebramos, hay un riesgo: sabemos muchas cosas sobre la Navidad, pero nos olvidamos del significado. Y entonces, ¿cómo encontrar de nuevo el sentido de la Navidad? Y, sobre todo, ¿dónde buscarlo? El Evangelio del nacimiento de Jesús parece estar escrito precisamente para esto, para tomarnos de la mano y llevarnos allí donde Dios quiere. Sigamos el Evangelio.
De hecho, comienza con una situación parecida a la nuestra. Todos están ocupados, disponiendo la realización de un importante evento, el gran censo, que exigía muchos preparativos. En este sentido, el clima de entonces era semejante al que rodea hoy la Navidad. Pero la narración evangélica toma distancia de aquel escenario mundano; se separa de esa imagen para ir a encuadrar otra realidad, sobre la que insiste. Fija su atención en un pequeño objeto, aparentemente insignificante, que menciona tres veces y en el que convergen los protagonistas de la narración. En primer lugar, María, que coloca a Jesús «en un pesebre» (Lc 2,7); después los ángeles, que anuncian a los pastores «un niño recién nacido envuelto en pañales y acostado en un pesebre» (v. 12); finalmente, los pastores, que encuentran «al recién nacido acostado en el pesebre» (v. 16). Para encontrar de nuevo el sentido de la Navidad hay que mirar allí, al pesebre. Pero, ¿por qué el pesebre es tan importante? Porque es el signo —no casual— con el que Cristo entra en la escena del mundo. Es el manifiesto con el que se presenta, el modo con el que Dios nace en la historia para hacer renacer la historia. Por lo tanto, ¿qué es lo que nos quiere decir a través del pesebre? Nos quiere decir al menos tres cosas: la cercanía, la pobreza y lo concreto.
1. La cercanía. El pesebre sirve para llevar la comida cerca de la boca y consumirla más rápido. Puede así simbolizar un aspecto de la humanidad: la voracidad en el consumir. Porque, mientras los animales en el establo consumen la comida, los hombres en el mundo, hambrientos de poder y de dinero, devoran de igual modo a sus vecinos, a sus hermanos. ¡Cuántas guerras! Y en tantos lugares, todavía hoy, la dignidad y la libertad se pisotean. Y las principales víctimas de la voracidad humana siempre son los frágiles, los débiles. En esta Navidad, como le sucedió a Jesús (cf. v. 7), una humanidad insaciable de dinero, insaciable de poder e insaciable de placer tampoco le hace sitio a los más pequeños, a tantos niños por nacer, a los pobres, a los olvidados. Pienso sobre todo en los niños devorados por las guerras, la pobreza y la injusticia. Pero Jesús llega precisamente allí, un niño en el pesebre del descarte y del rechazo. En Él, niño de Belén, está cada niño. Y está la invitación a mirar la vida, la política y la historia con los ojos de los niños.
En el pesebre del rechazo y de la incomodidad, Dios se acomoda, llega allí, porque allí está el problema de la humanidad, la indiferencia generada por la prisa voraz de poseer y consumir. Cristo nace allí y en ese pesebre lo descubrimos cercano. Llega donde se devora la comida para hacerse nuestro alimento. Dios no es un padre que devora a sus hijos, sino el Padre que en Jesús nos hace sus hijos y nos nutre de ternura. Llega para tocarnos el corazón y decirnos que la única fuerza que cambia el curso de la historia es el amor. No permanece distante, no permanece potente, sino que se hace próximo y humilde; Él, que estaba sentado en el cielo, se deja recostar en un pesebre.
Hermano, hermana, esta noche Dios se acerca a ti porque para Él eres importante. Desde el pesebre, como alimento para tu vida, te dice: “Si sientes que los acontecimientos te superan, si tu sentido de culpa y tu incapacidad te devoran, si tienes hambre de justicia, yo, Dios, estoy contigo. Sé lo que tú vives, lo he experimentado en el pesebre. Conozco tus miserias y tu historia. He nacido para decirte que estoy y estaré siempre cerca de ti”. El pesebre de la Navidad, primer mensaje de un Dios niño, nos dice que Él está con nosotros, nos ama, nos busca. Ánimo, no te dejes vencer por el miedo, por la resignación, por el desánimo. Dios nace en un pesebre para hacerte renacer precisamente allí, donde pensabas que habías tocado fondo. No hay mal, no hay pecado del que Jesús no quiera y no pueda salvarte. Navidad quiere decir que Dios es cercano. ¡Que renazca la confianza!
2. El pesebre de Belén, además de la cercanía, nos habla también de la pobreza. Alrededor del pesebre, de hecho, no hay muchas cosas: maleza y algún animal y poco más. La gente no estaba en el frío establo de una vivienda, sino resguardada en los albergues. Pero Jesús nace en el pesebre y allí nos recuerda que no tuvo a nadie alrededor, sino a aquellos que lo querían: María, José y los pastores; todos eran pobres, unidos por el afecto y el asombro; no por riquezas y grandes posibilidades. El humilde pesebre, por tanto, saca a relucir las verdaderas riquezas de la vida: no el dinero y el poder, sino las relaciones y las personas.
Y la primera persona, la primera riqueza, es precisamente Jesús. Pero, ¿queremos estar a su lado? ¿Nos acercamos a Él, amamos su pobreza, o preferimos quedarnos cómodos en nuestros intereses? Sobre todo, ¿lo visitamos donde Él se encuentra, es decir, en los pobres pesebres de nuestro mundo? Allí Él está presente. Y nosotros estamos llamados a ser una Iglesia que adora a Jesús pobre y sirve a Jesús en los pobres. Como dijo un obispo santo: «la Iglesia […] apoya y bendice los esfuerzos por transformar estas estructuras de injusticia y sólo pone una condición: que las transformaciones sociales, económicas y políticas redunden en verdadero beneficio de los pobres» (San Óscar Arnulfo Romero, «La Verdad, Fuerza de la Paz» Mensaje pastoral de Año Nuevo, 1 enero 1980). Cierto, no es fácil dejar la tibia calidez de la mundanidad para abrazar la belleza agreste de la gruta de Belén, pero recordemos que no es verdaderamente Navidad sin los pobres. Sin ellos se festeja la Navidad, pero no la de Jesús. Hermanos, hermanas, en Navidad, Dios es pobre. ¡Que renazca la caridad!
3. Llegamos así al último punto: el pesebre nos habla de lo concreto. En efecto, un niño en un pesebre representa una escena que impacta, hasta el punto de ser cruda. Nos recuerda que Dios se ha hecho verdaderamente carne. De manera que, respecto a Él, no son suficientes las teorías, los pensamientos hermosos y los sentimientos piadosos. Jesús, que nace pobre, vivirá pobre y morirá pobre; no hizo muchos discursos sobre la pobreza, sino la vivió hasta las últimas consecuencias por nosotros. Desde el pesebre hasta la cruz, su amor por nosotros fue tangible, concreto: desde su nacimiento hasta su muerte, el hijo del carpintero abrazó la aspereza del leño, la rudeza de nuestra existencia. No nos amó con palabras, no nos amó en broma.
Y, por tanto, no se conforma con apariencias. Él, que se hizo carne, no quiere sólo buenos propósitos. Él, que nació en el pesebre, busca una fe concreta, hecha de adoración y de caridad, no de palabrería y exterioridad. Él, que se pone al desnudo en el pesebre y se pondrá al desnudo en la cruz, nos pide verdad, que vayamos a la verdad desnuda de las cosas, que depositemos a los pies del pesebre las excusas, las justificaciones y las hipocresías. Él, que fue envuelto con ternura en pañales por María, quiere que nos revistamos de amor. Dios no quiere apariencia, sino cosas concretas. No dejemos pasar esta Navidad, hermanos y hermanas, sin hacer algo de bueno. Ya que es su fiesta, su cumpleaños, hagámosle a Él regalos que le agraden. En Navidad Dios es concreto, en su nombre hagamos renacer un poco de esperanza a quien la ha perdido.
Jesús, te miramos, acurrucado en el pesebre. Te vemos tan cercano, que estás junto a nosotros por siempre. Gracias, Señor. Te contemplamos pobre, enseñándonos que la verdadera riqueza no está en las cosas, sino en las personas, sobre todo en los pobres. Perdónanos, si no te hemos reconocido y servido en ellos. Te vemos concreto, porque concreto es tu amor por nosotros, Jesús, ayúdanos a dar carne y vida a nuestra fe. Amén.
[02018-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Esta noite, que significado tem ainda para as nossas vidas? Transcorridos dois milénios desde o nascimento de Jesus, após tantos Natais comemorados no meio de ornamentações e prendas, depois de tanto consumismo que envolveu o mistério que celebramos, corremos um risco: o de sabermos muitas coisas sobre o Natal, mas esquecermos o seu significado. Como voltar a encontrar o significado do Natal? E sobretudo aonde ir procurá-lo? O Evangelho do nascimento de Jesus parece escrito precisamente para isto: tomar-nos pela mão e levar-nos lá onde Deus quer. Sigamos o Evangelho!
De facto, começa com uma situação parecida com a nossa: todos estavam preocupados e atarefados com um evento importante em desenvolvimento – o grande recenseamento – que exigia muitos preparativos. Neste sentido, o clima de então era semelhante ao que nos envolve, hoje, no Natal. Mas a narração do Evangelho distancia-se daquele cenário mundano. Deixa de lado rapidamente aquela imagem para enquadrar e insistir noutra realidade; detém-se num pequeno objeto, aparentemente insignificante, que menciona três vezes e para o qual convergem os protagonistas da narração: primeiro Maria, que recostou Jesus «numa manjedoura» (Lc 2, 7); depois os anjos, que anunciam aos pastores «um menino envolto em panos e deitado numa manjedoura» (2, 12); em seguida os pastores, que encontram «o menino deitado na manjedoura» (2, 16). A manjedoura! Para voltar a encontrar o sentido do Natal, é preciso fixar nela o olhar. E por que é tão importante a manjedoura? Porque é o sinal, não casual, com que Cristo entra em cena no mundo. É o manifesto com que Se apresenta, o modo como Deus nasce na história para fazer renascer a história. Que nos quer dizer então a manjedoura? Quer-nos dizer pelo menos três coisas: proximidade, pobreza e concretismo.
1. Proximidade. A manjedoura serve para deixar o alimento mais próximo da boca e assim consumi-lo mais depressa. Deste modo pode simbolizar um aspeto da humanidade: a voracidade em consumir. Pois, enquanto os animais no estábulo consomem alimento, os homens no mundo, esfomeados de poder e dinheiro, consomem mesmo os seus vizinhos, os seus irmãos. Tantas guerras! Em tantos lugares, ainda hoje, são espezinhadas a dignidade e a liberdade! E as principais vítimas da voracidade humana são sempre os frágeis, os vulneráveis. Também neste Natal, uma humanidade insaciável de dinheiro, insaciável de poder e insaciável de prazer não dá lugar – como sucedeu com Jesus (cf. 2, 7) – aos mais pequenos, a tantos nascituros, pobres, abandonados. Penso sobretudo nas crianças devoradas por guerras, pobreza e injustiça. Mas é precisamente lá que vem Jesus, menino na manjedoura do descarte e da rejeição. N’Ele, menino de Belém, está cada criança. E está o convite a olhar a vida, a política e a história com os olhos das crianças.
Na manjedoura incómoda da rejeição, acomoda-Se Deus: vem para ali, porque nela está o problema da humanidade, a indiferença gerada pela pressa devoradora de possuir e consumir. Cristo nasce lá e, naquela manjedoura, descobrimo-Lo próximo. Vem aonde se devora o alimento para Se fazer nosso alimento. Deus não é um pai que devora os seus filhos, mas o Pai que, em Jesus, nos faz seus filhos e nutre de ternura. Vem tocar-nos o coração, dizendo que a única força que muda o curso da história é o amor. Não permanece distante nem permanece poderoso, mas faz-Se próximo e humilde; Ele, que estava sentado no Céu, deixa-Se recostar numa manjedoura.
Irmão, irmã, nesta noite Deus aproxima-Se de ti, porque Se importa contigo. Da manjedoura, como alimento para a tua vida, diz-te: «Se te sentes consumido pelos acontecimentos, se o teu sentimento de culpa e a tua inadequação te devoram, se tens fome de justiça, Eu – o teu Deus – estou contigo. Sei aquilo que tu vives, experimentei-o naquela manjedoura. Conheço as tuas misérias e a tua história. Nasci para te dizer que estou, e sempre estarei, próximo de ti». A manjedoura do Natal, primeira mensagem dum Deus menino, diz-nos que Ele está connosco, ama-nos, procura-nos. Coragem! Não te deixes vencer pelo medo, a resignação, o desânimo. Deus nasce numa manjedoura para te fazer renascer precisamente lá onde pensavas ter tocado o fundo. Não há mal, não há pecado de que Jesus não queira e não possa salvar-te. Natal significa dizer que Deus está próximo: renasça a confiança!
2. Além de proximidade, a manjedoura de Belém fala-nos também de pobreza. Na realidade, à volta duma manjedoura, não há grande coisa: tojo, qualquer animal e pouco mais. As pessoas hospedavam-se no quentinho dos albergues, não no estábulo frio duma pensão; mas aqui nasceu Jesus, e a manjedoura lembra-nos que nada mais havia em redor senão quem Lhe queria bem: Maria, José e alguns pastores… todos, pobres, irmanados pelo afeto e a maravilha, não por riquezas e grandes possibilidades. E assim a pobre manjedoura faz emergir as verdadeiras riquezas da vida: não o dinheiro nem o poder, mas as relações e as pessoas.
E a primeira pessoa, a primeira riqueza é precisamente Jesus. Mas nós… queremos mesmo estar ao seu lado? Aproximamo-nos d’Ele, amamos a sua pobreza? Ou preferimos cingir-nos comodamente aos nossos interesses? Sobretudo visitamo-Lo onde Se encontra, isto é, nas pobres manjedouras do nosso mundo? É lá que Ele está presente. E nós somos chamados a ser uma Igreja que adora Jesus pobre, e serve Jesus nos pobres. Como disse um santo bispo: «A Igreja apoia e abençoa os esforços tendentes a transformar as estruturas de injustiça colocando apenas uma condição: que as transformações sociais, económicas e políticas redundem em autêntico benefício para os pobres» (O. A. Romero, Mensagem Pastoral para o Novo Ano, 01/I/1980). Certamente não é fácil deixar o tépido calor do mundanismo para abraçar a nua beleza da gruta de Belém, mas lembremo-nos de que, sem os pobres, verdadeiramente não é Natal. Sem eles, festeja-se o Natal, mas não o de Jesus... Irmãos, irmãs, no Natal Deus é pobre: renasça a caridade!
3. Chegamos assim ao último ponto: a manjedoura fala-nos de concretismo. De facto, um bebé numa manjedoura constitui uma cena chocante, até mesmo uma cena dura. Lembra-nos que Deus Se fez verdadeiramente carne. Por isso, a seu respeito, já não bastam teorias, belos pensamentos e devotos sentimentos. Jesus, que nasce pobre, viverá pobre e morrerá pobre, não fez muitos discursos sobre a pobreza, mas viveu-a, em toda a sua profundidade, por nós. Da manjedoura à cruz, o seu amor por nós foi palpável, concreto: do nascimento à morte, o filho do carpinteiro abraçou a aspereza da madeira, a aspereza da nossa existência. Não nos amou com palavras, não nos amou por divertimento!
Por conseguinte não Se contenta com aparências. Não quer apenas bons propósitos, Ele que Se fez carne. Ele que nasceu na manjedoura, procura uma fé concreta, feita de adoração e caridade, não de palavreado e exterioridade. Ele, que Se deixa colocar na manjedoura nu e, nu, O colocarão na cruz, pede-nos verdade, descendo à realidade nua e crua das coisas, abandonando ao pé da manjedoura desculpas, justificações e hipocrisias. Ele, que foi ternamente envolvido em panos por Maria, quer que nos revistamos de amor. Deus não quer aparência, mas concretismo. Não deixemos passar este Natal, irmãos e irmãs, sem fazer algo de bom. Uma vez que é a festa d’Ele, o seu aniversário, ofereçamos-Lhe prendas de que Ele gosta! No Natal, Deus é concreto: em seu nome, façamos renascer um pouco de esperança em quem a perdeu!
Jesus, contemplamo-Vos recostado na manjedoura. Vemo-Vos tão próximo, perto de nós para sempre… Obrigado, Senhor! Vemo-Vos pobre, ensinando-nos que a verdadeira riqueza não está nas coisas, mas nas pessoas, sobretudo nos pobres: desculpai, Senhor, se não Vos reconhecemos e servimos neles. Vemo-Vos concreto, porque concreto é o vosso amor por nós: Jesus, ajudai-nos a dar carne e vida à nossa fé. Amen.
[02018-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Ta noc, cόż ona jeszcze mówi naszemu życiu? Po dwóch tysiącleciach od narodzin Jezusa, po wielu Świętach Bożego Narodzenia obchodzonych pośród ozdób i prezentów, po tak wielkim konsumpcjonizmie, który spowija tajemnicę, jaką celebrujemy, istnieje pewne ryzyko: wiemy bardzo wiele o Bożym Narodzeniu, ale zapominamy o jego znaczeniu. Jak zatem odnaleźć sens Świąt? A przede wszystkim – gdzie się udać, by go szukać? Ewangelia o narodzinach Jezusa wydaje się być napisana właśnie po to: by wziąć nas za rękę i zaprowadzić nas z powrotem tam, gdzie Bóg chce, abyśmy byli. Idźmy za Ewangelią.
Zaczyna się ona bowiem od sytuacji podobnej do naszej: wszyscy są zajęci i zapracowani, żeby móc świętować ważne wydarzenie – wielki spis ludności, który wymagał wielu przygotowań. W tym sensie ówczesna atmosfera była podobna do tej, która otacza nas dzisiaj w okresie Bożego Narodzenia. Ale od tego światowego scenariusza opowieść ewangeliczna się dystansuje: szybko „usuwa” obraz, aby przejść i utworzyć inną rzeczywistość, którą podkreśla. Zatrzymuje się na małym, pozornie nieznaczącym przedmiocie, który wymienia trzykrotnie i na którym skupiają się bohaterowie opowiadania: najpierw Maryja, która kładzie Jezusa „w żłobie” (Łk 2, 7); potem aniołowie, którzy zapowiadają pasterzom „Niemowlę owinięte w pieluszki i leżące w żłobie” (w. 12); wreszcie pasterze, którzy znajdują „Niemowlę leżące w żłobie” (w. 16). Żłóbek: musimy tam zajrzeć, aby odnaleźć sens Bożego Narodzenia. Ale dlaczego żłóbek jest tak ważny? Bo jest to znak nieprzypadkowy, z którym Chrystus wkracza na scenę świata. Jest to manifest, z którym się przedstawia, sposób, w jaki Bóg rodzi się w historii, by ożywić historię. Co zatem chce nam powiedzieć poprzez żłóbek? Chce nam powiedzieć przynajmniej trzy rzeczy: bliskość, ubóstwo i konkretność.
1. Bliskość. Żłóbek służy, by zbliżyć pokarm do ust i spożyć go jak najszybciej. Może więc symbolizować pewien aspekt człowieczeństwa: żarłoczność w konsumowaniu. Bowiem, podczas gdy zwierzęta w oborze konsumują pokarm, ludzie w świecie, zgłodniali władzy i pieniędzy, konsumują także swoich bliźnich, swoich braci. Ileż to wojen! A w ilu miejscach, jeszcze dzisiaj, deptana jest godność i wolność! A zawsze głównymi ofiarami ludzkiej żarłoczności są ci delikatni, słabi. Także w te święta Bożego Narodzenia ludzkość nienasycona pieniędzmi, nienasycona władzą i nienasycona przyjemnościami, nie czyni miejsca, tak jak to było w przypadku Jezusa (por. w. 7), dla maluczkich, dla tylu nienarodzonych, ubogich, zapomnianych. Myślę zwłaszcza o dzieciach pożeranych przez wojny, ubóstwo i niesprawiedliwość. Ale Jezus przychodzi właśnie tam, jako niemowlę w żłobie odpadków i odrzucenia. W Nim, Dzieciątku z Betlejem, jest każde dziecko. I jest zaproszenie do patrzenia oczami dzieci na życie, politykę i historię.
W żłobie odrzucenia i niedogodności rozgościł się Bóg: przychodzi tam, ponieważ tam jest problem ludzkości, obojętność zrodzona przez nienasycony pęd do posiadania i konsumowania. Tam rodzi się Chrystus i w tym żłobie odkrywamy Jego bliskość. Przychodzi tam, gdzie pożerany jest pokarm, aby stał się naszym pokarmem. Bóg nie jest ojcem, który pożera swoje dzieci, ale Ojcem, który w Jezusie czyni nas swoimi dziećmi i karmi nas z czułością. Przychodzi, aby dotknąć naszych serc i powiedzieć nam, że jedyną siłą, która zmienia bieg dziejów jest miłość. Nie pozostaje daleki, nie pozostaje potężny, lecz staje się bliskim i pokornym; On, który zasiadał w niebie, daje się położyć w żłobie.
Bracie, siostro, dziś wieczorem Bóg czyni siebie bliskim, bo Jemu na tobie zależy. Ze żłóbka, jako pokarm dla twojego życia, mówi tobie: „Jeśli czujesz się pochłonięty wydarzeniami, jeśli pożera cię poczucie winy i nieudolność, jeśli łakniesz sprawiedliwości, Ja, Bóg, jestem z tobą. Wiem, co ty przeżywasz, doświadczyłem tego w tym żłobie. Znam twoje nędze i twoje dzieje. Urodziłem się, aby powiedzieć ci, że jestem blisko ciebie i zawsze będę blisko ciebie”. Bożonarodzeniowy żłóbek, pierwsze orędzie Boga-Dzieciątka, mówi nam, że On jest z nami, kocha nas, szuka nas. Odwagi, nie pozwól, by pokonał Cię strach, rezygnacja, zniechęcenie. Bóg rodzi się w żłobie, abyś odrodził się właśnie tam, gdzie myślałeś, żeś sięgnął dna. Nie ma takiego zła, grzechu, od którego Jezus nie chciałby i nie może cię ocalić. Boże Narodzenie oznacza, że Bóg jest blisko: niech odradzi się ufność!
2. Żłóbek w Betlejem mówi nam nie tylko o bliskości, ale także o ubóstwie. Wokół żłóbka nie ma tak naprawdę zbyt wiele: krzaki, kilka zwierząt i niewiele więcej. Ludzie mieli ciepło w gospodach, a nie w zimnej stajni jakiejś kwatery. Ale Jezus się tam narodził, a żłóbek przypomina nam, że nie miał wokół siebie nikogo innego, jak tylko tych, którzy go kochali: Maryję, Józefa i pasterzy; wszyscy oni byli ludźmi ubogimi, których łączyła miłość i zadziwienie, a nie bogactwo i wielkie możliwości. Ubogi żłóbek wydobywa więc prawdziwe bogactwo życia: nie pieniądze i władzę, lecz relacje i osoby.
A pierwszą osobą, pierwszym bogactwem, jest właśnie Jezus. Ale czy chcemy stanąć obok Niego? Czy zbliżamy się do Niego, czy miłujemy Jego ubóstwo? Czy też wolimy pozostać wygodni we własnych sprawach? Przede wszystkim, czy nawiedzamy Go tam, gdzie On jest, czyli w ubogich żłóbkach naszego świata? On jest tam obecny. A my jesteśmy powołani do bycia Kościołem, który adoruje ubogiego Jezusa i służy Jezusowi w ubogich. Jak powiedział pewien święty biskup: „Kościół popiera i błogosławi wysiłki zmierzające do przekształcenia struktur niesprawiedliwości, stawiając tylko jeden warunek: aby przemiany społeczne, gospodarcze i polityczne przynosiły autentyczny pożytek ubogim” (O. A. Romero, Orędzie duszpasterskie na Nowy Rok, 1 stycznia 1980). Oczywiście nie jest łatwo zostawić ciepło emanujące z tego co światowe, by objąć nagie piękno betlejemskiej groty, ale pamiętajmy, że nie ma prawdziwego Bożego Narodzenia bez ubogich. Bez nich świętuje się Boże Narodzenie, ale nie to Jezusowe. Bracia, siostry, w Boże Narodzenie Bóg jest ubogi: niech odrodzi się miłosierdzie!
3. W ten sposób dochodzimy do ostatniego punktu: żłóbek mówi nam o konkretności. Faktycznie, Dzieciątko w żłobie stanowi scenę poruszającą, wręcz surową. Przypomina nam, że Bóg rzeczywiście stał się ciałem. I tak, nie wystarczą już teorie, piękne myśli i pobożne uczucia o Nim. Jezus, który rodzi się ubogi, będzie żył ubogi i umrze ubogi, nie wygłosił wielu przemówień na temat ubóstwa, ale żył nim w pełni dla nas. Od żłóbka aż po krzyż Jego miłość do nas była namacalna, konkretna: od narodzin do śmierci Syn cieśli przyjął szorstkość drewna, chropowatość naszego istnienia. Nie kochał nas słowami, nie kochał nas na żarty!
Nie zadowala się zatem pozorami. On, który stał się ciałem nie chce jedynie dobrych postanowień. On, który narodził się w żłóbku, szuka wiary konkretnej wyrażającej się w adoracji i miłosierdziu, a nie w gadaninie i zewnętrznych pozorach. On, nagi w żłobie i nagi na krzyżu, żąda od nas prawdy, przejścia do nagiej rzeczywistości rzeczy, złożenia wymówek, usprawiedliwień i obłudy u stóp żłóbka. On, który został przez Maryję czule owinięty w pieluszki, chce, abyśmy się przyoblekli w miłość. Bóg nie chce pozoru, lecz konkret. Nie pozwólmy, aby te Święta, bracia i siostry, minęły bez uczynienia czegoś dobrego. Ponieważ jest to Jego święto, Jego urodziny, złóżmy Mu prezenty, które będą Jemu miłe! W Boże Narodzenie Bóg jest konkretny: w Jego imię ożywmy trochę nadziei w tych, którzy ją utracili!
Jezu, patrzymy na Ciebie, leżącego w żłobie. Widzimy Cię tak bliskiego, bliskiego nam na zawsze: dziękujemy Ci, Panie. Widzimy Cię ubogiego, uczącego nas, że prawdziwe bogactwo nie znajduje się w rzeczach, lecz w osobach, zwłaszcza ubogich: przebacz nam, jeśli Ciebie nie rozpoznaliśmy i nie służyliśmy Tobie w nich. Widzimy Cię konkretnego, bo konkretna jest Twoja miłość do nas: Jezu pomóż nam nadać ciało i życie naszej wierze. Amen.
[02018-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهيّ
في ليلة عيد الميلاد
السّبت 24 كانون الأوّل/ديسمبر 2022
بازيليكا القدّيس بطرس
ماذا تقول هذه الليلة لحياتنا؟ بعد ألفي سنة من ميلاد يسوع، وبعد أعياد الميلاد المجيدة العديدة التي احتفلنا بها بالزينة والهدايا، وبعد النّزعة الاستهلاكيّة الكثيرة التي أخفت السّر الذي نحتفل به، هناك خطر يهدِّدنا: نحن نعرف أمورًا كثيرة عن عيد الميلاد، لكنّنا ننسى معناها. إذن، كيف نكتشف من جديد معنى عيد الميلاد؟ وقبل كلّ شيء، إلى أين نذهب للبحث عنه؟ إنجيل ميلاد يسوع يبدو أنّه كُتِبَ بالتّحديد لهذا السبّب: حتّى يأخذنا بيدنا ويُعيدنا هناك حيث يريد الله. لنتبع الإنجيل.
في الواقع، إنجيل ميلاد يسوع يبدأ بحالة تشبه حالتنا: الجميع منشغل ومنهمك في حدث مهمّ سيحدث، وهو الإحصاء السّكاني الكبير، الذي كان يتطلّب الاستعدادات الكثيرة. بهذا المعنى، كان الجو في ذلك الوقت مشابهًا للجو الذي يحيط بنا اليوم في عيد الميلاد. لكن قصة الإنجيل تنأى بنا عن هذا المشهد الدنيوي: وتبرز بسرعة صورة الذهاب لتثبيت واقع آخر تركِّز عليه. تتوقّف عند موضوع صغير، يبدو لا أهميّة له، وتذكره ثلاث مرات، وتلتقي فيه شخصيّات القصة الرّئيسيّة: أوّلًا مريم، التي أضجَعَت يسوع "في مِذوَدٍ" (لوقا 2، 7)؛ ثمّ الملائكة، الذين بشَّروا الرعاة بأنّهم "سَيَجِدونَ طِفلًا مُقَمَّطًا مُضجَعًا في مِذوَد" (الآية 12)؛ ثمّ الرّعاة الذين وجدوا "الطِّفلَ مُضجَعًا في المِذوَد" (الآية 16). المِذوَد، لنجد من جديد معنى عيد الميلاد علينا أن ننظر إليه. لكن لماذا هذه الأهميّة للمِذوَد؟ لأنّه العلامة، وهذه ليست صدفة، التي دخل بها المسيح إلى مسرح العالم. هذا هو البيان الذي أتى به، وهذه هي الطّريقة التي وُلِدَ بها الله في التاريخ حتى يُولَد التاريخ من جديد. إذن ماذا يريد أن يقول لنا المِذوَد؟ يريد أن يقول لنا ثلاثة أمور على الأقل، وهي: القرب والفقر والواقعيّة.
1. القرب. يُستخدم المِذوَد لتقريب الطّعام من الفم ولاستهلاكه وأكله بشكل أسرع. فيمكن أن يرمز إلى وجه من أوجه الإنسانيّة: الشّراهة في الاستهلاك. الحيوانات في الإسطبل تأكل طعامها، والجائعون إلى السُّلطة والمال في العالم، يفترسون قريبهم وإخوتهم. الحروب كثيرة! والأماكن كثيرة التي تُداس فيها حتّى اليوم الكرّامة والحريّة! وأهمُّ ضحايا الشّراهة البشريّة هم دائمًا الضّعفاء والصّغار. حتّى في عيد الميلاد هذا، كما كان الحال بالنسبة ليسوع (راجع الآية 7)، الإنسانيّة التي لا تشبع بالمال والسُّلطة والملذات لا تفسح مجالًا للصّغار، والأطفال الكثيرين الذين لم يُولدوا بعد، والفقراء، والمنسيّين. أفكّر أوّلًا في الأطفال الذين التهمتهم الحروب والفقر والظلم. وجاء يسوع بالتّحديد إلى هناك، جاء طفلًا في مِذوَد الإقصاء والرّفض. فيه، في طفل بيت لحم، صورة كلّ طفل. وفيه دعوة إلى أن ننظر إلى الحياة والسّياسّة والتّاريخ بعيون الأطفال.
في مِذوَد الرّفض والإزعاج، الله يجد مقرَّه: جاء إلى هناك، لأنّ هناك توجد مشكلة الإنسانيّة، اللامبالاة التي يُولِّدُها نَهَمُ الامتلاك والاستهلاك. وُلِد المسيح هناك، وفي ذلك المِذوَد نجده قريبًا. جاء حيث يُلتَهَمُ الغذاء، حتى يجعل من نفسه غذاء لنا. الله ليس أبًا يلتهم أبناءه، بل هو الآب الذي يجعلنا في المسيح أبناءه، ويُغذّينا بحنانه. جاء ليَمَسّ قلوبنا وليقول لنا إنّ القوّة الوحيدة التي تغيّر مجرى التّاريخ هي المحبّة. لم يبقَ بعيدًا وصاحب سلطان، بل صار قريبًا ومتواضعًا. هو الجالس في السّماء، سمح لنفسه بأن يُضجَعَ في مِذوَد.
أخي، أختي، الله يقترب منك في هذه الليلة لأنّه مهتمٌّ بك. إنّه في المِذوَد غذاء لحياتك، ويقول لك: ”إن شعرت بالأحداث تفترسك، وإن افترسك شعورك بالخطيئة وعدم الرضى، وإن كنت جائعًا للعدل، فأنا الله معك. أعرف ما تعيشه أنت، لقد جربته في ذلك المِذوَد. وأعرف مآسيك وتاريخك. ولِدتُ لأقول لك إنّي قريبٌ منك وسأبقى قريبًا منك دائمًا“. مِذوَد عيد الميلاد، هو أوّل رسالة للطفل الإله، يقول لنا إنّ الله معنا، ويحبّنا، ويبحث عنا. تشجَّعْ، لا تسمح بأن يغلبك الخوف والاستسلام والإحباط. وُلِدَ الله في مِذوَد ليجعلك تُولَد من جديد بالتّحديد هناك، حيث كنت تعتقد أنّك وصلت إلى الحضيض. لا يوجد شرّ، ولا توجد خطيئة، لا يريد يسوع أو لا يستطيع أن يخلّصك منها. عيد الميلاد يعني أنّ الله قريب: فلتُولَد الثّقة من جديد!
2. يكلّمنا مِذوَدُ بيتَ لَحم على القرب، ويكلّمنا أيضًا على الفقر. في الواقع، لم يكن هناك أشياءٌ كثيرة حول المِذوَد: كان هناك أعشاب، وبعض الحيوانات وأشياءٌ أخرى قليلة. كان النَّاس جالسين في الدّفء في الفنادق، وليس في إسطبل بارد خارج المنزل. لكن يسوع وُلِد هناك، ويذكّرنا المِذوَد أنّه لم يكن حوله إلّا الذين أحبُّوه: مريم ويوسف والرُّعاة، وكلّهم كانوا أُناسًا فُقراء، تجمعهم المودّة والدّهشة، لا الغِنى والإمكانيّات الكبيرة. المِذوَد الفقير يُظهِر غِنَى الحياة الحقيقيّة: لا المال ولا السُّلطة، بل العلاقات والأشخاص.
والشّخص الأوّل، والغِنَى الأوّل هو يسوع بالتّحديد. ونحن، هل نريد أن نكون إلى جانبه؟ وهل نقترب منه، ونحبُّ فقره؟ أم نفضّل أن نبقى في رفاهيتنا وفي مصالحنا؟ وقبل كلّ شيء، هل نزوره حيث هو موجود، أيّ في المَذَاوِد الفقيرة في عالمنا؟ هو موجودٌ هناك. ونحن مدعوّون إلى أن نكون كنيسة تسجد ليسوع الفقير وتخدم يسوع في الفقراء. كما قال أحد الأساقفة القدّيسين: "الكنيسة تدعم وتبارك الجهود من أجل تغيير هيكليّات الظُّلم، وتضع شرطًا واحدًا فقط: أنّ التّغييرات الاجتماعيّة والاقتصاديّة والسّياسيّة تعود بالمنفعة الحقيقيّة على الفقراء" (أوسكار روميرو، رسالة رعويّة للسّنة الجديدة، 1 كانون الثّاني/يناير 1980). بالتّأكيد، ليس سهلًا أن نترك دفء الحياة الدنيويّة لكي نعانق جمال مغارة بيت لحم العارية. ولكن لنتذكّر أنّ عيد الميلاد من دون الفقراء لا يكون حقًّا عيد ميلاد. من دونهم نحن نحتفل بعيد الميلاد، ولكن ليس بعيد ميلاد يسوع. أيّها الإخوة والأخوات، في عيد الميلاد، الله فقير: فلتُولَد المحبّة من جديد!
3. وَصَلْنا هكذا إلى النّقطة الأخيرة: يكلّمنا المِذوَد على الواقعيّة (الأمور العمليّة). في الواقع، يمثّل الطّفل في المِذوَد مشهدًا مُدهشًا، بل قاسيًا. يذكّرنا أنّ الله تجسّد حقًا. لذلك، لم تَعُدْ تكفي النّظريّات للكلام عليه، ولا الأفكار الجميلة والمشاعر التّقيّة. يسوع، الذي وُلِدَ فقيرًا، سيعيش فقيرًا وسيموت فقيرًا، وهو لم يتكلّم كثيرًا على الفَقْر، بل عاشَهُ حتّى النّهاية من أجلنا. من المِذوَد حتّى الصَّليب، كانت محبّتُهُ لنا ملموسة وعمليّة: مِن الوِلادة حتّى الموت، عانق ابن النّجار خشونة الخشب، وقسوة حياتنا. لم يكن حبّه لنا بالكلام، ولا شيئًا من المزاح.
ولهذا، إنّه لا يكتفِي بالمظاهر. لا يُرِيد مقاصد حسنة فقط، هو الذي صار جسدًا. هو الذي وُلِد في مِذوَد، إنّه يبحث عن إيمان عمليّ، فيه سجود ومحبّة، لا ثرثرة ومظاهر خارجيّة. هو الذي كان عريانًا في المِذوَد وسيكون عريانًا على الصّليب، يطلب منّا الحقيقة، وأن نذهب إلى الحقيقة العارية في الأمور، وأن نترك أعذارنا وتبريراتنا ونفاقنا أمام المِذوَد. هو، الذي قمَّطَتْهُ مريم بِحنان، يريدنا أن نرتدي ثوب المحبّة. الله لا يريد المظاهر بل الواقعيّة. لا ندع عيد الميلاد هذا يمرّ من دون أن نعمل شيئًا جيّدًا. بما أنّه عيده، عيد ميلاده، لنقدّم له هدايا ترضيه! في عيد الميلاد، الله لمسناه بأيدينا: فلنُحيِ باسمه بعضَ الأمل والرّجاء في الذين فقدوه!
يسوع، إنّا ننظر إليك، مُضجَعًا في مِذوَد. نراك قريبًا جدًّا، قريبًا منّا إلى الأبد: شكرًا، أيّها الرّبّ يسوع. نراك فقيرًا، لتعلّمنا أنّ الغِنى الحقيقيّ ليس في الأشياء، بل في الأشخاص، وخاصّة في الفقراء: سامحنا، إن لم نستطع أن نتعرّف عليك ونخدمك فيهم. نراك واقعيًّا، لأنّ محبّتك لنا واقعيّة: ساعدنا لنجعل إيماننا واقعًا محسوسًا وحياة. آمين.
[02018-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0955-XX.02]