Chiusura del “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence” presso la Al-Fida’ Square
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa, il Santo Padre Francesco ha salutato nella residenza in cui è ospitato S.E. Sheikh Nahyan bin Mubarak Al Nahyan, Ministro della Tolleranza degli Emirati Arabi Uniti, S.E. Rustam Minnikhanov, Presidente della Repubblica del Tatarstan, e il Premio Nobel per la Pace (2014) Sig. Kailash Satyarthi.
Quindi, al termine dell’incontro il Papa si è trasferito in auto ad Al-Fida’ Square presso il Sakhir Royal Palace per la chiusura del “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”.
Al Suo arrivo, alle ore 10.00 (8.00 ora di Roma), il Papa è stato accolto dal Re del Bahrein, Sua Maestà Hamad bin Isa bin Salman Al Khalifa, e dal Grande Imam di Al-Azhar, Professor Ahmad Al-Tayyeb. Insieme si sono recati nel giardino per la cerimonia dell’Albero della Pace. Mentre raggiungevano il palco, ha avuto luogo l’esibizione di alcuni aerei ed elicotteri da parata.
Dopo la recita della preghiera e i discorsi di Sua Maestà il Re del Bahrein e del Grande Imam di Al-Azhar, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso. Al termine il Papa è rientrato in auto alla Residenza Papale dove ha pranzato in privato.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha rivolto ai presenti nel corso della chiusura del “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”:
Discorso del Santo Padre
Maestà,
Altezze Reali,
caro Fratello, Dottor Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar,
caro Fratello Bartolomeo, Patriarca Ecumenico,
distinte Autorità religiose e civili,
Signore e Signori!
Vi saluto cordialmente, grato per l’accoglienza ricevuta e per la realizzazione di questo Forum di dialogo, organizzato sotto il patrocinio di Sua Maestà il Re del Bahrein. Tale Paese trae il proprio nome dalle sue acque: la parola Bahrein evoca infatti “due mari”. Pensiamo alle acque del mare, che mettono in contatto le terre e in comunicazione le genti, collegando popoli distanti. «Ciò che la terra divide, il mare unisce», recita un antico detto. E il nostro pianeta Terra, guardandolo dall’alto, si presenta come un vasto mare blu, che congiunge rive diverse. Dal cielo sembra ricordarci che siamo un’unica famiglia: non isole, ma un solo grande arcipelago. È così che l’Altissimo ci vuole e questo Paese, un arcipelago di oltre trenta isole, può ben simboleggiarne il desiderio.
Eppure, viviamo tempi in cui l’umanità, connessa come mai prima, risulta molto più divisa che unita. Il nome “Bahrein” può aiutarci ancora a riflettere: i “due mari” di cui parla si riferiscono alle acque dolci delle sue sorgenti sottomarine e a quelle salmastre del Golfo. Similmente, oggi ci troviamo affacciati su due mari dal sapore opposto: da una parte il mare calmo e dolce della convivenza comune, dall’altra quello amaro dell’indifferenza, funestato da scontri e agitato da venti di guerra, con le sue onde distruttrici sempre più tumultuose, che rischiano di travolgere tutti. E, purtroppo, Oriente e Occidente assomigliano sempre più a due mari contrapposti. Noi, invece, siamo qui insieme perché intendiamo navigare nello stesso mare, scegliendo la rotta dell’incontro anziché quella dello scontro, la via del dialogo indicata da questo Forum: «Est e ovest per la coesistenza umana».
Dopo due tremende guerre mondiali, dopo una guerra fredda che per decenni ha tenuto il mondo con il fiato sospeso, tra tanti disastrosi conflitti in ogni parte del globo, tra toni di accusa, minacce e condanne, ci troviamo ancora in bilico sull’orlo di un fragile equilibrio e non vogliamo sprofondare. Un paradosso colpisce: mentre la maggior parte della popolazione mondiale si trova unita dalle stesse difficoltà, afflitta da gravi crisi alimentari, ecologiche e pandemiche, nonché da un’ingiustizia planetaria sempre più scandalosa, pochi potenti si concentrano in una lotta risoluta per interessi di parte, riesumando linguaggi obsoleti, ridisegnando zone d’influenza e blocchi contrapposti. Sembra così di assistere a uno scenario drammaticamente infantile: nel giardino dell’umanità, anziché curare l’insieme, si gioca con il fuoco, con missili e bombe, con armi che provocano pianto e morte, ricoprendo la casa comune di cenere e odio.
Queste sono le amare conseguenze, se si continuano ad accentuare le opposizioni senza riscoprire la comprensione, se si persiste nell’imposizione risoluta dei propri modelli e delle proprie visioni dispotiche, imperialiste, nazionaliste e populiste, se non ci si interessa alla cultura dell’altro, se non si presta ascolto al grido della gente comune e alla voce dei poveri, se non si smette di distinguere in modo manicheo chi è buono e chi cattivo, se non ci si sforza di capirsi e di collaborare per il bene di tutti. Queste scelte stanno davanti a noi. Perché in un mondo globalizzato si va avanti solo remando insieme, mentre, navigando da soli, si va alla deriva.
Nel mare in burrasca dei conflitti teniamo davanti agli occhi il Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, nel quale si auspica un fecondo incontro tra Occidente e Oriente, utile a risanare le rispettive malattie[1]. Siamo qui, credenti in Dio e nei fratelli, per respingere “il pensiero isolante”, quel modo di vedere la realtà che ignora il mare unico dell’umanità per focalizzarsi solo sulle proprie correnti. Desideriamo che le liti tra Oriente e Occidente si ricompongano per il bene di tutti, senza distrarre l’attenzione da un altro divario in costante e drammatica crescita, quello tra Nord e Sud del mondo. L’emergere dei conflitti non faccia perdere di vista le tragedie latenti dell’umanità, come la catastrofe delle disuguaglianze, per cui la maggior parte delle persone che popolano la Terra sperimenta un’ingiustizia senza precedenti, la vergognosa piaga della fame e la sventura dei cambiamenti climatici, segno della mancanza di cura verso la casa comune.
Su tali temi, dibattuti in questi giorni, i leader religiosi non possono non impegnarsi e dare il buon esempio. Abbiamo un ruolo specifico e questo Forum ci offre un’ulteriore opportunità in tal senso. È nostro compito incoraggiare e aiutare l’umanità, tanto interdipendente quanto disconnessa, a navigare insieme. Vorrei dunque delineare tre sfide, che emergono dal Documento sulla Fratellanza umana e dalla Dichiarazione del Regno del Bahrein, su cui si è riflettuto in questi giorni. Esse riguardano l’orazione, l’educazione e l’azione.
Anzitutto l’orazione, che tocca il cuore dell’uomo. In realtà, i drammi che soffriamo e le pericolose lacerazioni che sperimentiamo, «gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo» (Gaudium et spes, 10). Lì sta la radice. E dunque, il pericolo maggiore non risiede nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nell’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini. Non è un difetto della nostra epoca, esiste da quando l’uomo è uomo e con l’aiuto di Dio è possibile porvi rimedio (cfr Lett. enc. Fratelli tutti, 166).
Ecco perché la preghiera, l’apertura del cuore all’Altissimo è fondamentale per purificarci dall’egoismo, dalla chiusura, dall’autoreferenzialità, dalle falsità e dall’ingiustizia. Chi prega, riceve nel cuore la pace e non può che farsene testimone e messaggero; e invitare, anzitutto attraverso l’esempio, i propri simili a non diventare ostaggi di un paganesimo che riduce l’essere umano a ciò che vende, compra o con cui si diverte, ma a riscoprire la dignità infinita che ciascuno porta impressa. L’uomo religioso, l’uomo di pace è colui che, camminando con gli altri sulla terra, li invita, con dolcezza e rispetto, a elevare lo sguardo al Cielo. E porta nella sua preghiera, come incenso che sale verso l’Altissimo (cfr Sal 141,2), le fatiche e le prove di tutti.
Ma, perché ciò possa avvenire, una premessa è indispensabile: la libertà religiosa. La Dichiarazione del Regno del Bahrein spiega che «Dio ci ha indirizzati verso il dono divino della libertà di scelta» e dunque “ogni forma di costrizione religiosa non può portare una persona a una significativa relazione con Dio”. Ogni costrizione, cioè, è indegna dell’Onnipotente, in quanto Egli non ha consegnato il mondo a degli schiavi, ma a delle creature libere, che rispetta fino in fondo. Impegniamoci allora perché la libertà delle creature rispecchi quella sovrana del Creatore, perché i luoghi di culto siano protetti e rispettati, sempre e ovunque, e la preghiera sia favorita e mai ostacolata. Ma non è sufficiente concedere permissioni e riconoscere la libertà di culto, occorre raggiungere la vera libertà di religione. E non solo ogni società, ma ogni credo è chiamato a verificarsi su questo. È chiamato a chiedersi se costringe dall’esterno o libera dentro le creature di Dio; se aiuta l’uomo a respingere le rigidità, la chiusura e la violenza; se accresce nei credenti la vera libertà, che non è fare quel che pare e piace, ma disporsi al fine di bene per cui siamo stati creati.
Se la sfida dell’orazione riguarda il cuore, la seconda, l’educazione, concerne essenzialmente la mente dell’uomo. La Dichiarazione del Regno del Bahrein afferma che «l’ignoranza è nemica della pace». È vero, dove mancano opportunità di istruzione aumentano gli estremismi e si radicano i fondamentalismi. E, se l’ignoranza è nemica della pace, l’educazione è amica dello sviluppo, purché sia un’istruzione veramente degna dell’uomo, essere dinamico e relazionale: dunque non rigida e monolitica, ma aperta alle sfide e sensibile ai cambiamenti culturali; non autoreferenziale e isolante, ma attenta alla storia e alla cultura altrui; non statica ma indagatrice, per abbracciare aspetti diversi ed essenziali dell’unica umanità a cui apparteniamo. Ciò consente, in particolare, di entrare nel cuore dei problemi senza presumere di avere la soluzione e di risolvere in modo semplice problemi complessi, bensì con la disposizione ad abitare la crisi senza cedere alla logica del conflitto. La logica del conflitto ci porta sempre a una distruzione. La crisi ci aiuta a pensare e a maturare. È infatti indegno della mente umana credere che le ragioni della forza prevalgano sulla forza della ragione, utilizzare metodi del passato per le questioni presenti, applicare gli schemi della tecnica e della convenienza alla storia e alla cultura dell’uomo. Ciò richiede di interrogarsi, di entrare in crisi e di saper dialogare con pazienza, rispetto e in spirito di ascolto; di imparare la storia e la cultura altrui. Così si educa la mente dell’uomo, alimentando la comprensione reciproca. Perché non basta dirsi tolleranti, occorre fare veramente spazio all’altro, dargli diritti e opportunità. È una mentalità che comincia con l’educazione e che le religioni sono chiamate a sostenere.
In concreto, vorrei sottolineare tre urgenze educative. In primo luogo, il riconoscimento della donna in ambito pubblico: “nell’istruzione, nel lavoro, nell’esercizio dei propri diritti sociali e politici” (cfr Documento sulla fratellanza umana). In questo, come in altri ambiti, l’educazione è la via per emanciparsi da retaggi storici e sociali contrari a quello spirito di solidarietà fraterna che deve caratterizzare chi adora Dio e ama il prossimo.
In secondo luogo, «la tutela dei diritti fondamentali dei bambini» (ibid.), perché essi crescano istruiti, assistiti, accompagnati, non destinati a vivere nei morsi della fame e nei rimorsi della violenza. Educhiamo, ed educhiamoci, a guardare le crisi, i problemi, le guerre, con gli occhi dei bambini: non è ingenuo buonismo, ma lungimirante sapienza, perché solo pensando a loro il progresso si specchierà nell’innocenza anziché nel profitto, e contribuirà a costruire un futuro a misura d’uomo.
L’educazione, che inizia nell’alveo della famiglia, prosegue nel contesto della comunità, del villaggio o della città. Per questo mi preme sottolineare, in terzo luogo, l’educazione alla cittadinanza, al vivere insieme, nel rispetto e nella legalità. E, in particolare, l’importanza stessa del «concetto di cittadinanza», che «si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri». Occorre impegnarsi in questo, affinché si possa «stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli» (ibid.).
Veniamo così all’ultima delle tre sfide, quella che concerne l’azione, potremmo dire le forze dell’uomo. La Dichiarazione del Regno del Bahrein insegna che “quando si predicano odio, violenza e discordia si dissacra il nome di Dio”. Chi è religioso rigetta questo, senza alcuna giustificazione. Con forza dice “no” alla bestemmia della guerra e all’uso della violenza. E traduce con coerenza, nella pratica, tali “no”. Perché non basta dire che una religione è pacifica, occorre condannare e isolare i violenti che ne abusano il nome. E nemmeno è sufficiente prendere le distanze dall’intolleranza e dall’estremismo, bisogna agire in senso contrario. «Per questo è necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre condannare un tale terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni» (Documento sulla Fratellanza umana). Anche il terrorismo ideologico.
L’uomo religioso, l’uomo di pace, si oppone anche alla corsa al riarmo, agli affari della guerra, al mercato della morte. Non asseconda “alleanze contro qualcuno”, ma vie d’incontro con tutti: senza cedere a relativismi o sincretismi di sorta, persegue una sola strada, quella della fraternità, del dialogo, della pace. Questi sono i suoi “sì”. Percorriamo, cari amici, questa via: allarghiamo il cuore al fratello, avanziamo nel percorso di conoscenza reciproca. Stringiamo tra di noi legami più forti, senza doppiezze e senza paura, in nome del Creatore che ci ha posto insieme nel mondo quali custodi dei fratelli e delle sorelle. E, se diversi potenti trattano tra di loro per interessi, denaro e strategie di potere, dimostriamo che un’altra via d’incontro è possibile. Possibile e necessaria, perché la forza, le armi e il denaro non coloreranno mai di pace il futuro. Incontriamoci dunque per il bene dell’uomo e in nome di Colui che ama l’uomo, il cui Nome è Pace. Promuoviamo iniziative concrete perché il cammino delle grandi religioni sia sempre più fattivo e costante, sia coscienza di pace per il mondo! E qui rivolgo a tutti il mio accorato appello, perché si ponga fine alla guerra in Ucraina e si avviino seri negoziati di pace.
Il Creatore ci invita ad agire, specialmente a favore di troppe sue creature che non trovano ancora abbastanza posto nelle agende dei potenti: poveri, nascituri, anziani, ammalati, migranti... Se noi, che crediamo nel Dio della misericordia, non prestiamo ascolto ai miseri e non diamo voce a chi non ha voce, chi lo farà? Stiamo dalla loro parte, adoperiamoci per soccorrere l’uomo ferito e provato! Così facendo, attireremo sul mondo la benedizione dell’Altissimo. Egli illumini i nostri passi e congiunga i nostri cuori, le nostre menti e le nostre forze (cfr Mc 12,30), perché all’adorazione di Dio corrisponda l’amore concreto e fraterno al prossimo: per essere insieme profeti di convivenza, artefici di unità, costruttori di pace. Grazie.
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[1] «L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente» (Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, 4 febbraio 2019).
[01687-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Majesté,
Altesses Royales,
cher Frère, Docteur Al-Tayyeb, Grand Imam d’Al-Azhar,
cher Frère Bartholomée, Patriarche œcuménique
distinguées Autorités religieuses et civiles,
Mesdames et Messieurs !
Je vous salue cordialement, et je vous suis reconnaissant pour l’accueil que j’ai reçu ainsi que pour la réalisation de ce Forum de dialogue organisé sous le patronage de Sa Majesté le Roi du Bahreïn. C’est de ses eaux que ce pays tire son nom. Le mot Bahreïn évoque, en effet, “deux mers”. Nous pensons aux eaux de la mer qui mettent en contact les terres et en communication les personnes, reliant des peuples éloignés. « Ce que la terre divise, la mer unit », dit un vieil adage. Et notre planète Terre, quand on la regarde d’en haut, ressemble à une vaste mer bleue qui relie différents rivages. Cela nous rappelle du ciel que nous sommes une seule famille : non pas des îles, mais un seul grand archipel. C’est ainsi que le Très-Haut nous veut, et ce pays, un archipel de plus de trente îles, symbolise bien ce désir.
Pourtant, nous vivons une époque où l’humanité, connectée comme jamais elle ne l’a été auparavant, est beaucoup plus divisée qu’unie. Le nom “Bahreïn” peut nous aider à réfléchir encore : les “deux mers” dont il parle se réfèrent aux eaux douces de ses sources sous-marines et aux eaux saumâtres du Golfe. De même, nous nous trouvons aujourd’hui face à deux mers aux saveurs opposées : d’une part la mer calme et douce de la coexistence commune, d’autre part la mer amère de l’indifférence, endeuillée par les affrontements et agitée par des vents de guerre, avec ses vagues destructrices toujours plus tumultueuses qui risquent d’emporter tout le monde. Et, malheureusement, l’Orient et l’Occident ressemblent de plus en plus à deux mers opposées. Nous, au contraire, nous sommes ici réunis parce que nous voulons naviguer sur la même mer, en choisissant la voie de la rencontre plutôt que celle de l’affrontement, la voie du dialogue indiquée par ce Forum : « Est et Ouest pour la coexistence humaine ».
Suite à deux terribles guerres mondiales, suite à une guerre froide qui a tenu le monde en haleine pendant des décennies, au milieu de tant de conflits désastreux partout dans le monde, au milieu d’intonations accusatrices, de menaces et de condamnations, nous sommes toujours sur le bord d’un équilibre fragile et nous ne voulons pas sombrer. Un paradoxe nous frappe : alors que la plus grande partie de la population mondiale se trouve unie par les mêmes difficultés, frappée par de graves crises alimentaires, écologiques et pandémiques, et aussi par une injustice planétaire de plus en plus scandaleuse, des puissants se concentrent dans une lutte résolue pour des intérêts partisans, en exhumant des langages obsolètes, en redessinant des zones d’influence et des blocs opposés. On a l’impression d’assister à un scénario dramatiquement enfantin : dans le jardin de l’humanité, au lieu de soigner l’ensemble, on joue avec le feu avec des missiles et des bombes, avec des armes qui provoquent des pleurs et des morts, en recouvrant la maison commune de cendres et de haine.
Telles seront les amères conséquences tant que l’on continuera à accentuer les oppositions sans redécouvrir la compréhension, tant que l’on persistera dans l’imposition résolue de ses modèles et de ses visions despotiques, impérialistes, nationalistes et populistes, tant que l’on ne s’intéressera pas à la culture de l’autre, tant que l’on n’écoutera pas le cri des gens ordinaires et la voix des pauvres, tant que l’on ne cessera pas de distinguer de manière manichéenne qui est bon et qui est mauvais, tant que l’on ne s’efforcera pas de se comprendre et de collaborer pour le bien de tous. Ces choix s'offrent à nous. Dans un monde globalisé, c’est seulement en ramant ensemble que l’on avance, tandis qu’on part à la dérive en naviguant seul.
Sur la mer orageuse des conflits gardons devant les yeux le Document sur la Fraternité humaine pour la paix mondiale et la coexistence pacifique dans lequel une rencontre féconde entre Occident et Orient est souhaitée, précieuse pour guérir les maladies de chacun[1]. Nous sommes ici, croyants en Dieu et dans les frères, pour repousser “la pensée isolante”, cette façon de voir la réalité qui ignore la mer unique de l’humanité pour se concentrer uniquement sur ses propres courants. Nous désirons que les querelles entre Orient et Occident soient résolues pour le bien de tous, mais sans détourner l’attention d’un autre fossé qui grandit constamment et dramatiquement, le fossé entre le Nord et le Sud. Que l’émergence des conflits ne fasse pas perdre de vue les tragédies latentes de l’humanité, comme la catastrophe des inégalités où la plupart des personnes qui peuplent la terre font l’expérience d’une injustice sans précédent, la plaie honteuse de la faim et le malheur du changement climatique, signe du manque de soins envers la maison commune.
Sur ces thèmes débattus ces jours-ci, les responsables religieux ne peuvent pas ne pas s’engager et donner le bon exemple. Nous avons un rôle spécifique à jouer et ce Forum nous offre une opportunité supplémentaire à cet égard. Il est de notre devoir d’encourager et d’aider l’humanité, autant interdépendante que déconnectée, à naviguer de concert. Je voudrais donc exposer trois défis qui apparaissent dans le Document sur la Fraternité humaine et dans la Déclaration du Royaume du Bahreïn, sur lesquels on a réfléchi ces jours-ci. Ils concernent la prière, l’éducation et l’action.
Tout d’abord la prière, qui touche le cœur de l’homme. En fait, les drames que nous subissons et les déchirures dangereuses que nous subissons, « les déséquilibres qui travaillent le monde moderne, sont liés à un déséquilibre plus fondamental qui prend racine dans le cœur même de l’homme » (Gaudium et spes, n. 10). C’est là que se trouve la racine. Et donc, le plus grand danger ne réside pas dans les choses, dans les réalités matérielles, dans les organisations, mais dans l’inclination de l’être humain à s’enfermer dans l’immanence de son moi, de son groupe, de ses intérêts mesquins. Ce n’est pas un défaut de notre époque, cela existe depuis que l’homme est homme et, avec l’aide de Dieu, il est possible d’y remédier (cf. Lett. enc. Fratelli tutti, n. 166).
C'est pourquoi la prière, l'ouverture du cœur au Très-Haut, est fondamentale pour nous purifier de l'égoïsme, de la fermeture, de l'autoréférence, du mensonge et de l'injustice. Celui qui prie reçoit la paix dans son cœur et ne peut qu’en devenir le témoin et le messager ; et inviter, avant tout par l'exemple, ses semblables à ne pas devenir les otages d'un paganisme qui réduit l'être humain à ce qui se vend, s’achète ou amuse, mais à redécouvrir la dignité infinie que chacun porte comme une emprunte. L'homme religieux, l'homme de paix, c’est celui qui, cheminant avec les autres sur la terre, les invite avec douceur et respect à lever le regard vers le Ciel. Et il porte dans sa prière, comme l'encens qui monte vers le Très-Haut (cf. Ps 141, 2), les fatigues et les épreuves de tous.
Mais, pour que cela puisse avoir lieu, une prémisse est indispensable : la liberté religieuse. La Déclaration du Royaume du Bahreïn explique que « Dieu nous a orientés vers le don divin de la liberté de choix » et ainsi « aucune forme de contrainte religieuse ne peut conduire une personne à une relation significative avec Dieu ». Toute contrainte est indigne du Tout Puissant, car Il n’a pas donné le monde à des esclaves mais à des créatures libres qu’il respecte jusqu’au bout. Engageons-nous alors pour que la liberté des créatures reflète la liberté souveraine du Créateur, pour que les lieux de culte soient protégés et respectés, toujours et partout, et que la prière soit favorisée et jamais entravée. Mais il ne suffit pas d’accorder des permissions et de reconnaître la liberté de culte, il faut atteindre la vraie liberté de religion. Et non seulement chaque société, mais chaque croyance est appelée à s’examiner sur ce sujet. Elle est appelée à se demander si elle oblige de l’extérieur ou bien libère de l’intérieur les créatures de Dieu; si elle aide l’homme à repousser les rigidités, la fermeture et la violence ; si elle accroît chez les croyants la vraie liberté, qui ne consiste pas à faire ce dont on a envie et ce qui plaît, mais à se disposer pour le bien en vue duquel nous avons été créés.
Si le défi de la prière concerne le cœur, le deuxième, l’éducation, concerne essentiellement l’esprit de l’homme. La Déclaration du Royaume du Bahreïn affirme que « l’ignorance est ennemie de la paix ». Il est vrai que, là où les possibilités d’instruction font défaut, les extrémismes augmentent et les fondamentalismes s’enracinent. Et, si l’ignorance est ennemie de la paix, l’éducation est amie du développement, pourvu qu’il s’agisse d’une instruction vraiment digne de l’homme en tant qu’être dynamique et relationnel. Elle n’est donc pas rigide ni monolithique, mais ouverte aux défis et sensible aux changements culturels ; non pas autoréférentielle ni isolante, mais attentive à l’histoire et à la culture d’autrui ; non pas statique mais curieuse, pour embrasser des aspects divers et essentiels de l’unique humanité à laquelle nous appartenons. Cela permet, en particulier, d’entrer au cœur des problèmes sans prétendre avoir la solution et résoudre de manière simple des problèmes complexes, mais avec la disposition à habiter la crise sans céder à la logique du conflit. La logique du conflit nous conduit toujours à la destruction. La crise nous aide à penser et à mûrir. Il est en effet indigne de l’esprit humain de croire que les raisons de la force l’emportent sur la force de la raison, d’utiliser des méthodes du passé pour des questions présentes, d’appliquer les schémas de la technique et de la rentabilité à l’histoire et à la culture de l’homme. Il est nécessaire de s’interroger, d’entrer en crise et de savoir dialoguer avec patience, respect et dans un esprit d’écoute ; d’apprendre l’histoire et la culture d’autrui. C’est ainsi que l’on éduque l’esprit de l’homme, en nourrissant la compréhension mutuelle. Parce qu’il ne suffit pas de se dire tolérants, il faut vraiment faire de la place à l’autre, lui donner des droits et des opportunités. C’est une mentalité qui commence par l’éducation et que les religions sont appelées à soutenir.
Concrètement, je voudrais souligner trois urgences éducatives. Premièrement, la reconnaissance de la femme dans le domaine public, dans l’instruction, dans le travail, dans l’exercice de ses droits sociaux et politiques (cf. Document sur la Fraternité humaine). En cela, comme dans d’autres domaines, l’éducation est la voie pour s’émanciper d’héritages historiques et sociaux contraires à cet esprit de solidarité fraternelle qui doit caractériser celui qui adore Dieu et aime le prochain.
Deuxièmement, la défense des droits fondamentaux des enfants (ibid.), pour qu’ils grandissent instruits, assistés, accompagnés, non pas destinés à vivre dans les morsures de la faim et dans les remords de la violence. Éduquons, et éduquons-nous, à regarder les crises, les problèmes, les guerres, avec les yeux des enfants : ce n’est pas de l’angélisme naïf mais une sagesse clairvoyante, car ce n’est qu’en pensant à eux que le progrès se reflétera dans l’innocence plutôt que dans le profit, et contribuera à construire un avenir à mesure de l’homme.
L’éducation qui commence au sein de la famille se poursuit dans le contexte de la communauté, du village ou de la ville. C’est pourquoi je tiens à souligner, en troisième lieu, l’éducation à la citoyenneté, au vivre ensemble, dans le respect et dans la légalité. Et, en particulier, l’importance même du « concept de citoyenneté », qui « se base sur l’égalité des droits et des devoirs ». Il faut s’engager en ce sens afin que l’on puisse « établir dans nos sociétés le concept de pleine citoyenneté et renoncer à l’usage discriminatoire du terme minorités, qui porte avec lui les germes du sentiment d’isolement et d’infériorité ; il prépare le terrain aux hostilités et à la discorde et prive certains citoyens des conquêtes et des droits religieux et civils, en les discriminant » (ibid.).
Nous arrivons ainsi au dernier des trois défis, celui qui concerne l’action, nous pourrions dire les forces de l’homme. La Déclaration du Royaume du Bahreïn enseigne que « lorsque l’on prêche la haine, la violence et la discorde, on désacralise le nom de Dieu ». L’homme religieux rejette cela, sans aucune justification. Avec force il dit “non” au blasphème de la guerre et à l’utilisation de la violence. Et il traduit avec cohérence, dans la pratique, ces “non”. Car il ne suffit pas de dire qu’une religion est pacifique, il faut condamner et désigner les violents qui abusent de son nom. Et il ne suffit pas non plus de prendre ses distances avec l’intolérance et l’extrémisme, il faut agir dans le sens contraire. « Pour cela, il est nécessaire d’interrompre le soutien aux mouvements terroristes par la fourniture d’argent, d’armes, de plans ou de justifications, ainsi que par la couverture médiatique, et de considérer tout cela comme des crimes internationaux qui menacent la sécurité et la paix mondiale. Il faut condamner ce terrorisme sous toutes ses formes et ses manifestations » (Document sur la Fraternité humaine), y compris le terrorisme idéologique.
L’homme religieux, l’homme de paix, s’oppose aussi à la course au réarmement, aux affaires de la guerre, au marché de la mort. Il ne soutient pas “des alliances contre quelqu’un”, mais des voies de rencontre avec tous : sans céder à des relativismes ou à des syncrétismes d’aucune sorte, il suit une seule voie, celle de la fraternité, du dialogue, de la paix. Ce sont là ses “oui”. Parcourons, chers amis, cette voie : élargissons notre cœur au frère, avançons dans le parcours de connaissance réciproque. Nouons entre nous des liens plus forts, sans duplicité et sans peur, au nom du Créateur qui nous a placés ensemble dans le monde comme gardiens des frères et des sœurs. Et, si plusieurs puissants négocient entre eux pour des intérêts, de l’argent et des stratégies de pouvoir, montrons qu’une autre voie de rencontre est possible. Possible et nécessaire, car la force, les armes et l’argent ne coloreront jamais l’avenir de paix. Rencontrons-nous donc pour le bien de l’homme, et au nom de Celui qui aime l’homme dont le Nom est Paix. Promouvons des initiatives concrètes pour que le chemin des grandes religions soit toujours plus concret et constant, qu’il soit une conscience de paix chacun ! Et j’adresse ici à chacun un pressant appel pour que soit mis fin à la guerre en Ukraine et que de sérieuses négociations de paix soit engagées.
Le Créateur nous invite à agir, spécialement en faveur de trop de ses créatures qui ne trouvent pas encore assez de place dans les agendas des puissants : les pauvres, les enfants à naître, les personnes âgées, les malades, les migrants... Si nous, qui croyons au Dieu de miséricorde, nous n’écoutons pas les pauvres et ne donnons pas de la voix aux sans-voix, qui le fera ? Soyons de leur côté, œuvrons pour secourir l’homme blessé et éprouvé ! Ce faisant, nous attirerons sur le monde la bénédiction du Très-Haut. Qu’Il éclaire nos pas et unisse nos cœurs, nos esprits et nos forces (cf. Mc 12, 30), afin qu’à l’adoration de Dieu corresponde l’amour concret et fraternel du prochain : pour être ensemble des prophètes de coexistence, artisans d’unité, constructeurs de paix. Merci.
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[1] « L’Occident pourrait trouver dans la civilisation de l’Orient des remèdes pour certaines de ses maladies spirituelles et religieuses causées par la domination du matérialisme. Et l’Orient pourrait trouver dans la civilisation de l’Occident beaucoup d’éléments qui pourraient l’aider à se sauver de la faiblesse, de la division, du conflit et du déclin scientifique, technique et culturel. Il est important de prêter attention aux différences religieuses, culturelles et historiques qui sont une composante essentielle dans la formation de la personnalité, de la culture et de la civilisation orientale ; et il est important de consolider les droits humains généraux et communs, pour contribuer à garantir une vie digne pour tous les hommes en Orient et en Occident » (Document sur la fraternité humaine pour la paix mondiale et la coexistence pacifique, 4 février 2019).
[01687-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Your Majesty, Your Royal Highnesses,
Dear Brother, Dr Al-Tayyeb, Grand Imam of Al-Azhar,
Dear Brother Bartholomew, Ecumenical Patriarch,
Distinguished Religious and Civil Authorities,
Ladies and Gentlemen,
I greet you all most cordially and I am grateful for your welcome to this Forum of dialogue organized under the patronage of His Majesty the King of Bahrain. This country takes its name from its waters: the name Bahrain means “two seas”. It make us think of the waters of the sea, which bring lands and nations into contact and connect distant peoples. In the words of an ancient proverb, “What the land divides, the sea unites”. The Earth, seen from above, appears as a vast blue sea that unites different shores. From the heavens, it seems to remind us that we are indeed one family: not islands, but one great archipelago. This is how the Most High wants us to be, and this country, which is an archipelago of over thirty islands, can well symbolize that desire.
Yet we are living at a time when humanity, connected as never before, appears much more divided than united. Here too, the name “Bahrain” can help us to reflect: the “two seas” of which it speaks refer to the fresh waters of its underwater springs and the brackish waters of the Gulf. Nowadays, in a somewhat similar way, we find ourselves overlooking two seas with very different waters: the calm, freshwater sea of a serene life together, and the salty sea of indifference, marred by clashes and swept by the winds of war, its destructive billows growing ever more tumultuous, threatening to overwhelm us all. Tragically, East and West increasingly resemble two opposing seas. We, on the other hand, are here together because we all intend to set sail on the same waters, choosing the route of encounter rather than that of confrontation, the path of dialogue indicated by the title of this Forum: “East and West for Human Coexistence”.
After two terrible world wars, a cold war that for decades kept the world in suspense, catastrophic conflicts taking place in every part of the globe, and in the midst of accusations, threats and condemnations, we continue to find ourselves on the brink of a delicate precipice and we do not want to fall. It is a striking paradox that, while the majority of the world’s population is united in facing the same difficulties, suffering from grave food, ecological and pandemic crises, as well as an increasingly scandalous global injustice, a few potentates are caught up in a resolute struggle for partisan interests, reviving obsolete rhetoric, redesigning spheres of influence and opposing blocs. We appear to be witnessing a dramatic and childish scenario: in the garden of humanity, instead of cultivating our surroundings, we are playing instead with fire, missiles and bombs, weapons that bring sorrow and death, covering our common home with ashes and hatred.
Such will be the bitter consequences if we continue to accentuate conflict instead of understanding, if we persist in stubbornly imposing our own models and despotic, imperialist, nationalist and populist visions, if we are unconcerned about the culture of others, if we close our ears to the plea of ordinary people and the voice of the poor, if we continue simplistically to divide people into good and bad, if we make no effort to understand one another and to cooperate for the good of all. These are the choices before us since, in a globalized world, we only advance by rowing together; if we sail alone, we go adrift.
On the stormy sea of conflicts, let us keep before our eyes the Document on Human Fraternity for World Peace and Living Together, which calls for a fruitful encounter between West and East, to help cure their respective maladies.[1] We are here, as men and women who believe in God and in our brothers and sisters, to reject “isolating thinking”, the approach to reality that overlooks the great sea of humanity by concentrating only on its own narrow currents. We want the divergences between East and West to be settled for the good of all, without distracting attention from another divergence that is constantly and dramatically increasing: the gap between the North and the South of the world. The emergence of conflicts should not cause us to lose sight of the less evident tragedies in our human family, such as the catastrophic inequality whereby the majority of people on our planet experience unprecedented injustice, the shameful scourge of hunger and the calamity of climate change, a sign of our lack of care for the common home.
When it comes to such issues, which we have discussed in these days, religious leaders must surely commit themselves and set a good example. We have a specific role to play, and this Forum has offered us a further opportunity in this regard. It is our duty to encourage and assist our human family, interdependent yet at the same time disconnected, to sail the sea together. I would therefore like to propose three challenges that emerge from the Document on Human Fraternity and from the Kingdom of Bahrain Declaration, on both of which we have reflected in these days. These challenges have to do with prayer, education and action.
First of all, prayer, which touches the human heart. Truth to tell, the tragedies we are enduring, the dangerous divisions we are experiencing, and “the imbalances under which the modern world labours are linked with a more basic imbalance which is rooted in the heart of man” (Gaudium et Spes, 10). That is their ultimate cause. Consequently, the greatest risk lies not in specific objects, material realities or institutions, but in our human inclination to close ourselves in our own immanence, our own group, our own petty interests. This is not a failing of our age: it has been present from the beginning of humanity and, with God’s help, it can be overcome (cf. Fratelli Tutti, 166).
For this reason, prayer, the opening of ours hearts to the Most High, is essential for purifying ourselves of selfishness, closed-mindedness, self-referentiality, falseness and injustice. Those who pray receive peace of heart; they cannot fail to bear witness to this and to invite others, above all by their example, not to fall prey to a paganism that reduces human beings to what they sell, buy or are entertained by, but instead to rediscover the infinite dignity with which each person is endowed. The followers of the religions are men and women of peace who, as they journey alongside others on this earth, invite them, with gentleness and respect, to lift their gaze to heaven. They bring to their prayer, like incense that rises to the Most High (cf. Ps 141:2), the trials and tribulations of all.
For this to be the case, however, there is one essential premise, and that is religious freedom. The Kingdom of Bahrain Declaration explains that “God instructs us to exercise the divine gift of freedom of choice” and consequently, “compelled religion cannot bring a person into a meaningful relationship with God”. Any form of religious coercion is unworthy of the Almighty, since he has not handed the world over to slaves, but to free creatures, whom he fully respects. Let us commit ourselves, then, to ensuring that the freedom of creatures reflects the sovereign freedom of the Creator, that places of worship are always and everywhere protected and respected, and that prayer is favoured and never hindered. It is not enough to grant permits and recognize freedom of worship; it is necessary to achieve true freedom of religion. Not only every society, but also every creed is called to self-examination in this regard. It is called to question whether it coerces God’s creatures from without, or liberates them from within; whether it helps people to reject rigidity, narrow-mindedness and violence; whether it helps believers to grow in authentic freedom, which is not doing what we want, but directing ourselves to the good for which we were created.
If the challenge of prayer regards the heart, the second challenge, that of education, essentially concerns the mind. The Kingdom of Bahrain Declaration states that “ignorance is the enemy of peace”. It is true, for where opportunities for education are lacking, extremism increases and forms of fundamentalism take root. Yet if ignorance is the enemy of peace, education is the friend of development, provided that it is an education truly befitting men and women as dynamic and relational beings. An education that is not rigid and monolithic, but open to challenges and sensitive to cultural changes; not self-referential and isolating, but attentive to the history and culture of others; not stagnant, but inquisitive and open to embracing different and essential aspects of the one human family to which we belong. In that way, it can enter into the heart of problems without claiming to have easy answers to resolve complex issues, but willing instead to embrace a crisis without seeing it in terms of conflict. Conflict always leads to destruction. A crisis helps us to think and grow. For it is unworthy of the human mind to think that power should prevail over reason, to bring the methods of the past to present-day issues, to apply models based on technology or mere convenience to the history and culture of human beings. This means that we must raise questions, allow ourselves to be challenged, learn to enter into dialogue patiently, respectfully and with a willingness to listen, to learn the history and culture of others. That is how to educate human minds: by encouraging mutual understanding. For it is not enough to say we are tolerant: we really have to make room for others, granting them rights and opportunities. This is an approach that begins with education and it is one that the religions are called support.
Concretely, I would emphasize three urgent educational priorities. First, the recognition of women in the public sphere: namely, their right “to education, to employment, [and] their freedom to exercise their social and political rights” (cf. Document on Human Fraternity). In this, as in other areas, education is the path to liberation from historical and social legacies opposed to the spirit of fraternal solidarity that ought to mark those who worship God and love their neighbour.
Second, “the protection of the fundamental rights of children” (ibid.), so that they can grow up, receive schooling, be helped and supported, so as not to live in the grip of hunger and violence. Let us teach others, and learn ourselves, how to view crises, problems and wars through the eyes of children: this is not a mark of naiveté, but of farsighted wisdom, because only if we are concerned for them will progress be reflected in innocence rather than profit, and lead to the building of a better and more humane future.
Education begins in the heart of the family and continues within a community, village or city. Third, then, I would stress education for citizenship, for living in community, in respect for one another and for the law. Then too, the particular importance of the “concept of citizenship”, which “is based on the equality of rights and duties”. Here, commitment is demanded, so that we can “establish in our societies the concept of full citizenship and reject the discriminatory use of the term minorities which engenders feelings of isolation and inferiority. Its misuse paves the way for hostility and discord; it undoes any successes and takes away the religious and civil rights of some citizens who are thus discriminated against” (ibid.).
And so, we come to the last of our three challenges, that which concerns action, we might say our human abilities. The Kingdom of Bahrain Declaration states that whenever hatred, violence and discord are preached, God's name is desecrated. All who are religious reject these things as utterly unjustifiable. They forcefully reject the blasphemy of war and the use of violence. And they consistently put this rejection into practice. For it is not enough to proclaim that a religion is peaceful; we need to condemn and isolate the perpetrators of violence who abuse its name. Nor is it enough to distance ourselves from intolerance and extremism; we need to counter them. “This is why it is so necessary to stop supporting terrorist movements fueled by financing, the provision of weapons and strategy, and by attempts to justify these movements, even using the media. All these must be regarded as international crimes that threaten security and world peace. Such terrorism must be condemned in all its forms and expressions” (Document on Human Fraternity). And also ideological terrorism.
Religious men and women, as people of peace, are likewise opposed to the race to rearmament, to the commerce of war, to the market of death. They do not support “alliances against some”, but means of encounter with all. Without yielding to forms of relativism or syncretism of any sort, they pursue a single path, which is that of fraternity, dialogue and peace. These are the things they support. Dear friends, let us pursue this path; let us open our hearts to our brothers and sisters; let us press forward on the journey towards greater knowledge and understanding of one another. Let us strengthen the bonds between us, without duplicity or fear, in the name of the Creator who has put us together in this world as guardians of our brothers and sisters. And if different potentates deal with each other on the basis of interests, money and power plays, may we show that another path of encounter is possible. Possible and necessary, since force, arms and money will never paint a future of peace. So let us encounter one another for the sake of humanity and in the name of the One who loves humanity, the One whose name is peace. Let us promote concrete initiatives to ensure that the journey of the great religions will be ever more effective and ongoing, a conscience of peace for our world! I address to all my heartfelt appeal for an end to the war in Ukraine and the start of serious negotiations for peace.
The Creator invites us to act, especially on behalf all those many creatures of his who do not yet find a sufficient place on the agenda of the powerful: the poor, the unborn, the elderly, the infirm, migrants… If we who believe in the God of mercy, do not give a hearing to the poor and a voice to the voiceless, who will do it? Let us take their side; let us make every effort to assist a humanity wounded and sorely tried! By doing so, we will draw down upon our world the blessing of the Most High. May he enlighten our journey and join our hearts, our minds and our strength (cf. Mk 12:30), so that our worship of God may be matched by a concrete and fraternal love of our neighbour. So that, together, we may be prophets of community, artisans of unity and builders of peace. Thank you.
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[1]“The West can discover in the East remedies for those spiritual and religious maladies that are caused by a prevailing materialism. And the East can find in the West many elements that can help free it from weakness, division, conflict and scientific, technical and cultural decline. It is important to pay attention to religious, cultural and historical differences that are a vital component in shaping the character, culture and civilization of the East. It is likewise important to reinforce the bond of fundamental human rights in order to help ensure a dignified life for all the men and women of East and West” (Document on Human Fraternity for World Peace and Living Together, 4 September 2019).
[01687-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Majestät,
Königliche Hoheiten,
lieber Bruder, Doktor Al-Tayyeb, Großimam von Al-Azhar,
lieber Bruder Bartholomäus, Ökumenischer Patriarch,
verehrte religiöse und zivile Autoritäten,
meine Damen und Herren!
Herzlich grüße ich Sie und bin dankbar für den Empfang und für die Durchführung dieses Dialogforums, das unter der Schirmherrschaft Seiner Majestät des Königs von Bahrain steht. Der Name dieses Landes leitet sich von seinen Gewässern ab: Das Wort Bahrain bedeutet nämlich „zwei Meere“. Denken wir an die Wasser des Meeres, die Länder in Kontakt und Menschen in Austausch miteinander bringen, indem sie ferne Völker verbinden. Ein altes Sprichwort besagt: »Was das Land trennt, vereint das Meer«. Und unser Planet Erde sieht aus der Höhe betrachtet aus wie ein riesiges blaues Meer, das verschiedene Ufer miteinander verbindet. Vom Himmel aus scheint er uns daran zu erinnern, dass wir eine einzige Familie sind: keine Inseln, sondern ein einziger großer Archipel. Genauso will uns der Allerhöchste haben, und dieses Land, ein Archipel von über dreißig Inseln, kann den Wunsch danach gut symbolisieren.
Und doch leben wir in Zeiten, in denen die Menschheit, die verbunden ist wie nie zuvor, zugleich viel mehr getrennt als geeint erscheint. Der Name „Bahrain“ kann uns helfen, weiter nachzudenken: Die „zwei Meere“, von denen er spricht, beziehen sich auf das Süßwasser seiner Unterwasserquellen und auf das Salzwasser des Golfs. In ähnlicher Weise sehen wir uns heute zwei Meeren gegensätzlichen Geschmacks gegenüber: auf der einen Seite das ruhige und angenehme Meer des gemeinsamen Zusammenlebens, auf der anderen Seite das bittere Meer der Gleichgültigkeit, das von Konflikten heimgesucht und von Stürmen des Krieges aufgewühlt wird, mit seinen zerstörerischen Wellen, die immer heftiger werden und alle fortzureißen drohen. Und leider ähneln der Osten und der Westen zunehmend zwei entgegengesetzten Meeren. Wir hingegen sind hier zusammen, weil wir dasselbe Meer zu befahren beabsichtigen, indem wir den Kurs der Begegnung und nicht den der Konfrontation wählen, den Weg des Dialogs, den dieses Forum weist: »Der Osten und der Westen für ein menschliches Zusammenleben«.
Nach zwei schrecklichen Weltkriegen, nach einem Kalten Krieg, der die Welt jahrzehntelang in Atem gehalten hat, inmitten so vieler katastrophaler Konflikte in allen Teilen der Welt, inmitten von Anschuldigungen, Drohungen und Verurteilungen, befinden wir uns noch auf der Kippe, am Rande eines fragilen Gleichgewichts und wollen nicht abstürzen. Ein Paradoxon fällt auf: Während sich ein Großteil der Weltbevölkerung durch die gleichen Schwierigkeiten vereint sieht und von schweren Ernährungs-, Umwelt- und Pandemiekrisen sowie von einer immer skandalöseren weltweiten Ungerechtigkeit betroffen ist, konzentrieren sich einige wenige Mächtige auf einen entschlossenen Kampf für Partikularinteressen, indem sie überholte Ausdrucksweisen wieder ausgraben und Einflusszonen und einander entgegengesetzte Blöcke neu abstecken. So scheinen wir ein auf dramatische Weise kindisches Szenario mitzuerleben: Statt sich um das Ganze zu kümmern, spielt man im Garten der Menschheit mit Feuer, mit Raketen und Bomben, mit Waffen, die Tränen und Tod verursachen und das gemeinsame Haus mit Asche und Hass überziehen.
Das sind die bitteren Folgen, wenn man stets die Gegensätze betont, ohne wieder zu einer Verständigung zu finden, wenn man darauf beharrt, seine eigenen despotischen, imperialistischen, nationalistischen und populistischen Modelle und Visionen durchzusetzen, wenn man sich nicht für die Kultur des anderen interessiert, wenn man nicht auf die Schreie der einfachen Menschen und auf die Stimme der Armen achtet, wenn man nicht aufhört, auf manichäische Weise zu unterscheiden, wer gut und wer böse ist, wenn man sich nicht bemüht, einander zu verstehen und zum Wohle aller zusammenzuarbeiten. Wir stehen vor der Wahl. Denn in einer globalisierten Welt kommen wir nur voran, wenn wir gemeinsam rudern, während wir abdriften, wenn wir alleine segeln.
In der stürmischen See der Konflikte haben wir das Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt vor Augen, in dem eine fruchtbare Begegnung zwischen dem Westen und dem Osten erhofft wird, die zur Heilung ihrer jeweiligen Krankheiten nützlich ist.[1] Wir, die wir an Gott und die Geschwisterlichkeit der Menschen glauben, sind hier, um „das isolierende Denken“ zurückzuweisen, jene Art, die Realität zu sehen, die das eine Meer der Menschheit ignoriert und sich nur auf die eigenen Strömungen fokussiert. Wir wollen, dass die Streitigkeiten zwischen dem Osten und dem Westen zum Wohle aller wieder beigelegt werden, ohne die Aufmerksamkeit von einer anderen Kluft abzulenken, die beständig und dramatisch wächst: die zwischen dem globalen Norden und dem globalen Süden. Das Aufkommen der Konflikte darf nicht dazu führen, dass wir die latenten Tragödien der Menschheit aus den Augen verlieren, wie die Katastrophe der Ungleichheit, wegen der die Mehrheit der Menschen, die die Erde bevölkern, eine noch nie dagewesene Ungerechtigkeit erfährt, die beschämende Geißel des Hungers und das Unheil des Klimawandels, ein Zeichen der mangelnden Sorge für das gemeinsame Haus.
Bei diesen Themen, die in diesen Tagen diskutiert werden, können die Religionsführer nicht umhin, sich einzusetzen und ein gutes Beispiel zu geben. Wir haben eine spezifische Rolle zu erfüllen, und dieses Forum bietet uns eine weitere Gelegenheit dazu. Es ist unsere Aufgabe, die ebenso voneinander abhängige wie voneinander getrennte Menschheit zu ermutigen und ihr zu helfen, gemeinsam unterwegs zu sein. Ich möchte daher drei Herausforderungen skizzieren, die sich aus dem Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen und aus der Erklärung des Königreichs Bahrain ergeben, über die wir in diesen Tagen nachgedacht haben. Sie betreffen das Gebet, die Erziehung und das Handeln.
Zuallererst das Gebet, das das Herz des Menschen berührt. Tatsächlich hängen die Dramen, die wir erleiden, und die gefährlichen Verletzungen, die wir erfahren, »die Störungen des Gleichgewichts, an denen die moderne Welt leidet, mit jener tiefer liegenden Störung des Gleichgewichts zusammen, die im Herzen des Menschen ihren Ursprung hat« (Gaudium et spes, 10). Darin liegt die Wurzel. Die größte Gefahr liegt also nicht in den Dingen, in den materiellen Gegebenheiten, in den Organisationen, sondern in der Neigung der Menschen, sich in der Immanenz des eigenen Ichs, der eigenen Gruppe, der eigenen kleinlichen Interessen zu verschließen. Dies ist kein Defekt unserer Epoche, er besteht, seit der Mensch Mensch ist, und mit Gottes Hilfe kann er behoben werden (vgl. Enzyklika Fratelli tutti, 166).
Deshalb ist das Gebet, die Öffnung des Herzens für den Allerhöchsten, von grundlegender Bedeutung, um uns von Egoismus, Verschlossenheit, Selbstbezogenheit, Falschheit und Ungerechtigkeit zu reinigen. Wer betet, empfängt in seinem Herzen den Frieden und kann nicht anders, als dessen Zeuge und Bote zu werden; und seinesgleichen vor allem durch sein Beispiel einzuladen, nicht zu Geiseln eines Heidentums zu werden, das den Menschen auf das reduziert, was er verkauft, kauft oder womit er sich vergnügt, sondern die unendliche Würde wiederzuentdecken, die einem jeden Menschen eingeprägt ist. Der religiöse Mensch, der Mensch des Friedens, ist derjenige, der mit anderen auf der Erde unterwegs ist und sie sanft und respektvoll einlädt, den Blick zum Himmel zu erheben. Und er nimmt die Mühen und Prüfungen aller in sein Gebet mit hinein, wie Weihrauch, der zum Allerhöchsten aufsteigt (vgl. Ps 141,2).
Doch damit dies geschehen kann, ist eine Voraussetzung unerlässlich: die Religionsfreiheit. Die Erklärung des Königreichs Bahrain sagt, dass »Gott uns auf das göttliche Geschenk der Entscheidungsfreiheit hingelenkt hat« und daher »jede Form von religiösem Zwang einen Menschen nicht in eine bedeutungsvolle Beziehung zu Gott bringen kann«. Das heißt, jeglicher Zwang ist des Allmächtigen unwürdig, denn er hat die Welt nicht Sklaven übergeben, sondern freien Geschöpfen, die er vollumfänglich achtet. Bemühen wir uns also darum, dass die Freiheit der Geschöpfe die souveräne Freiheit des Schöpfers widerspiegelt, dass die Kultorte immer und überall geschützt und respektiert werden und dass das Gebet begünstigt und niemals behindert wird. Aber es reicht nicht aus, Genehmigungen zu erteilen und die Freiheit der Religionsausübung anzuerkennen, sondern es muss echte Religionsfreiheit erreicht werden. Und nicht nur jede Gesellschaft, sondern jede Glaubensrichtung ist aufgerufen, sich selbst daraufhin zu prüfen. Sie ist aufgerufen, sich zu fragen, ob sie von außen Zwang ausübt oder im Inneren der Geschöpfe Gottes befreit; ob sie dem Menschen hilft, Starrheit, Verschlossenheit und Gewalttätigkeit abzulehnen; ob sie in den Glaubenden die wahre Freiheit wachsen lässt, die nicht darin besteht, zu tun, was man will, sondern sich auf das Ziel des Guten auszurichten, für das wir geschaffen wurden.
Wenn die Herausforderung des Gebets das Herz betrifft, betrifft die zweite, die Erziehung, im Wesentlichen den Verstand des Menschen. Die Erklärung des Königreichs Bahrain sagt, dass »die Unwissenheit der Feind des Friedens ist«. Es stimmt, dort wo Bildungsmöglichkeiten fehlen, nimmt Extremismus zu und verwurzelt sich Fundamentalismus. Und wenn Unwissenheit der Feind des Friedens ist, dann ist Bildung der Freund der Entwicklung, vorausgesetzt, dass es sich um eine Bildung handelt, die des Menschen wirklich würdig ist, der ein dynamisches und relationales Wesen ist: sie darf also nicht starr und monolithisch sein, sondern muss offen sein für Herausforderungen und sensibel für kulturelle Veränderungen; nicht selbstbezogen und isolierend, sondern aufmerksam für die Geschichte und die Kultur anderer; nicht statisch, sondern suchend, um verschiedene und wesentliche Aspekte der einzigen Menschheit zu umfassen, zu der wir gehören. Dies ermöglicht es vor allem, zum Kern der Probleme vorzudringen, nicht indem man sich anmaßt, die Lösung zu kennen und komplexe Probleme auf einfache Weise zu lösen, sondern indem man bereit ist, die Krise zu durchleben, ohne der Logik des Konflikts zu verfallen. Die Logik des Konflikts führt uns immer zur Zerstörung. Die Krise hilft uns nachzudenken und zu reifen. Es ist nämlich des menschlichen Geistes nicht würdig zu glauben, dass Gewaltargumente stärker sind als die Macht der Vernunft; Methoden der Vergangenheit für Fragen der Gegenwart zu benutzen; Schemata der Technik und Zweckmäßigkeit auf die Geschichte und Kultur des Menschen anzuwenden. Dies erfordert, sich zu hinterfragen, in eine Krise einzutreten und mit Geduld, Respekt und im Geiste des Zuhörens einen Dialog führen zu können; die Geschichte und die Kultur des anderen kennenzulernen. So erzieht man den menschlichen Geist, indem man das gegenseitige Verständnis nährt. Da es nicht ausreicht, sich tolerant zu nennen, muss man dem Anderen wirklich Platz einräumen, ihm Rechte und Chancen geben. Das ist eine Denkweise, die mit der Erziehung beginnt und die die Religionen zu unterstützen aufgerufen sind.
Konkret möchte ich drei erzieherische Dringlichkeiten hervorheben. Erstens, die Anerkennung der Frau im öffentlichen Bereich: „in der Bildung, bei der Arbeit, bei der Ausübung ihrer sozialen und politischen Rechte“ (vgl. Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen). In diesem wie in anderen Bereichen ist Erziehung der Weg, sich von historischen und sozialen Vermächtnissen zu emanzipieren, die jenem Geist geschwisterlicher Solidarität entgegenstehen, der diejenigen kennzeichnen muss, die Gott anbeten und ihren Nächsten lieben.
Zweitens »der Schutz der Grundrechte der Kinder« (ebd.), damit sie gebildet, unterstützt und begleitet aufwachsen und nicht dazu bestimmt sind, in den Klauen des Hungers und in den Pranken der Gewalttätigkeit zu leben. Erziehen wir und erziehen wir uns selbst dazu, Krisen, Probleme und Kriege mit den Augen der Kinder zu betrachten: Das ist kein naives Gutmenschentum, sondern weitsichtige Weisheit. Denn nur, wenn wir an sie denken, wird sich der Fortschritt in Unschuld statt in Profit spiegeln und dazu beitragen, eine Zukunft aufzubauen, die dem Menschen angemessen ist.
Die Erziehung, die im Schoß der Familie beginnt, setzt sich im Rahmen der Gemeinschaft, des Dorfes oder der Stadt fort. Deshalb ist mir drittens wichtig, die Erziehung zur Staatsbürgerschaft, zum Zusammenleben im Respekt und in der Legalität zu betonen. Und insbesondere die Bedeutung des »Konzepts des Bürgerrechts«, das »auf der Gleichheit der Rechte und der Pflichten beruht«. Es ist notwendig, sich dafür einzusetzen, dass »in unseren Gesellschaften die Auffassung des vollwertigen Bürgerrechts festgelegt und auf eine diskriminierende Verwendung des Begriffs Minderheiten verzichtet wird. Diese bringt den Samen des Gefühls der Isolation und der Minderwertigkeit mit sich; sie bereitet der Feindseligkeit und dem Unfrieden den Boden und nimmt die Errungenschaften und die religiösen und zivilen Rechte einiger Bürger weg, während sie diese diskriminiert« (ebd.).
Damit sind wir bei der letzten der drei Herausforderungen, derjenigen, die das Handeln betrifft, wir könnten sagen, die Kräfte des Menschen. Die Erklärung des Königreichs Bahrain lehrt, dass man, „wenn man Hass, Gewalttätigkeit und Zwietracht predigt, den Namen Gottes schändet“. Wer religiös ist, lehnt dies ohne jede Rechtfertigung ab. Er sagt mit Nachdruck „Nein“ zum Fluch des Krieges und zum Ausüben von Gewalttätigkeit. Und er setzt solche „Nein“ in der Praxis konsequent um. Denn es reicht nicht aus zu sagen, dass eine Religion friedlich ist, es ist nötig, die Gewalttätigen, die ihren Namen missbrauchen, zu verurteilen und zu isolieren. Und es reicht auch nicht aus, sich von Intoleranz und Extremismus zu distanzieren, man muss ihnen auch durch Handeln entgegentreten. »Deswegen ist es notwendig, die Unterstützung für die terroristischen Bewegungen durch Bereitstellung von Geldern, Waffen, Plänen oder Rechtfertigungen und auch durch die medizinische Versorgung einzustellen und all dies als internationale Verbrechen anzusehen, die die weltweite Sicherheit und Frieden bedrohen. Man muss einen derartigen Terrorismus in all seinen Formen und Erscheinungen verurteilen« (Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen). Auch den ideologischen Terrorismus.
Der religiöse Mensch, der Mensch des Friedens, stellt sich auch gegen das Wettrüsten, gegen die Kriegsgeschäfte, gegen den Markt des Todes. Er begünstigt keine „Bündnisse gegen jemanden“, sondern Wege der Begegnung mit allen: ohne sich irgendeinem Relativismus oder Synkretismus hinzugeben, verfolgt er nur einen Weg, den der Geschwisterlichkeit, des Dialogs und des Friedens. Dies sind seine „Ja“. Lasst uns diesen Weg gehen, liebe Freunde: Lasst uns unser Herz für unsere Geschwister weit machen, lasst uns auf dem Weg eines gegenseitigen Kennenlernens voranschreiten. Lasst uns stärkere Bande zwischen uns knüpfen, ohne Doppelzüngigkeit und ohne Furcht, im Namen des Schöpfers, der uns als Hüter unserer Brüder und Schwestern gemeinsam in die Welt gestellt hat. Und wenn verschiedene Mächtige untereinander um Interessen, Geld und Machtstrategien verhandeln, dann zeigen wir, dass ein anderer Weg der Begegnung möglich ist. Möglich und notwendig, denn Gewalt, Waffen und Geld werden die Zukunft niemals mit Frieden einfärben. Begegnen wir uns also zum Wohle des Menschen und im Namen dessen, der den Menschen liebt und dessen Name Friede ist. Lasst uns konkrete Initiativen fördern, damit der Weg der großen Religionen immer proaktiver und beständiger wird, sodass er ein Friedensgewissen für die Welt ist! Und an dieser Stelle richte ich meinen Appell von Herzen an alle, den Krieg in der Ukraine zu beenden und ernsthafte Friedensverhandlungen aufzunehmen.
Der Schöpfer lädt uns zum Handeln ein, vor allem zugunsten zu vieler seiner Geschöpfe, die in den Agenden der Mächtigen noch nicht genügend Platz finden: Arme, Ungeborene, ältere Menschen, Kranke, Migranten... Wenn wir, die wir an den Gott der Barmherzigkeit glauben, nicht auf die Elenden hören und nicht den Stimmlosen eine Stimme geben, wer wird es dann tun? Lasst uns auf ihrer Seite stehen, bemühen wir uns, den verwundeten und geprüften Menschen zu Hilfe zu kommen! Auf diese Weise werden wir den Segen des Allerhöchsten auf die Welt lenken. Er möge unsere Schritte erleuchten und unsere Herzen, unseren Verstand und unsere Kräfte vereinen (vgl. Mk 12,30), damit der Anbetung Gottes die konkrete und geschwisterliche Nächstenliebe entspricht: damit wir gemeinsam Propheten des Zusammenlebens, Schöpfer der Einheit und Friedensstifter sind. Danke.
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[1] »Der Westen könnte in der Kultur des Ostens Heilmittel für einige seiner geistigen und religiösen Krankheiten finden, die von der Vorherrschaft des Materialismus hervorgerufen wurden. Und der Osten könnte in der Kultur des Westens viele Elemente finden, die ihm hilfreich sind, sich vor der Schwachheit, der Spaltung, dem Konflikt und vor dem wissenschaftlichen, technischen und kulturellen Abstieg zu retten. Es ist wichtig, den religiösen, kulturellen und historischen Unterschieden Aufmerksamkeit zu schenken, die ein wesentlicher Bestandteil in der Bildung der Persönlichkeit, der Kultur und der Zivilisation des Ostens sind. Es ist auch wichtig, die allgemeinen gemeinsamen Menschenrechte zu festigen, um dazu beizutragen, ein würdiges Leben für alle Menschen im Westen und im Osten zu gewährleisten« (Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt, 4. Februar 2019).
[01687-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Majestad,
Altezas Reales,
querido Hermano, Doctor Al-Tayyeb, Gran Imán de Al-Azhar,
querido Hermano Bartolomé, Patriarca Ecuménico,
distinguidas autoridades religiosas y civiles,
señoras y señores:
Los saludo cordialmente, agradecido por la acogida recibida y por la realización de este Foro de diálogo, organizado bajo el patrocinio de Su Majestad el Rey de Baréin. Este país toma el nombre de sus aguas: la palabra Baréin evoca, en efecto, “dos mares”. Pensemos en las aguas del mar, que conectan las tierras y ponen en comunicación a las personas, uniendo pueblos distantes. «Lo que la tierra divide, el mar lo une», dice un antiguo refrán. Y nuestro planeta tierra, visto desde lo alto, se presenta como un inmenso mar azul, que junta costas diversas; desde el cielo parece recordarnos que somos una única familia; no islas, sino un único y gran archipiélago. Es de este modo que el Altísimo nos quiere y este país, un archipiélago de más de treinta islas, bien puede simbolizar su deseo.
Y, sin embargo, vivimos tiempos en los que la humanidad, conectada como nunca antes lo había estado, se encuentra mucho más dividida que unida. El nombre “Baréin” puede seguir ayudándonos a reflexionar: los “dos mares” de los que habla se refieren a las aguas dulces de sus fuentes submarinas y a las aguas saladas del Golfo. Análogamente, hoy nos encontramos ante dos mares de sabor opuesto: por una parte, el mar calmo y dulce de la convivencia común; por otra, el mar amargo de la indiferencia, ensombrecido por conflictos y agitado por vientos de guerra, con sus olas destructoras cada vez más turbulentas, que amenazan con arrastrarnos a todos. Y, lamentablemente, Oriente y Occidente se asemejan cada vez más a dos mares contrapuestos. Nosotros, en cambio, estamos aquí reunidos porque queremos navegar en el mismo mar, eligiendo la ruta del encuentro y no la del conflicto, la vía del diálogo indicada por este Foro: «Oriente y Occidente por la convivencia humana».
Después de dos terribles guerras mundiales, después de una guerra fría que durante décadas tuvo al mundo en vilo, en medio de tantos conflictos desastrosos en todas partes del globo, entre voces de acusación, amenaza y condena, nos encontramos aún tambaleantes en el borde de un equilibrio frágil, y no queremos desplomarnos. Llama la atención una paradoja: mientras la mayor parte de la población mundial está unida por las mismas dificultades, afligida por graves crisis alimentarias, ecológicas y pandémicas, así como por una injusticia planetaria cada vez más escandalosa, algunos poderosos se concentran en una lucha decidida por intereses particulares, desenterrando lenguajes obsoletos, redefiniendo zonas de influencia y bloques contrapuestos. De este modo, parece que estamos presenciando un escenario dramáticamente infantil: en el jardín de la humanidad, en vez de cuidar del conjunto, se juega con fuego, misiles y bombas, con armas que provocan llanto y muerte, llenando la casa común de cenizas y odio.
Estas serán las amargas consecuencias, si se siguen acentuando las oposiciones sin redescubrir la comprensión, si se persiste en la firme imposición de los propios modelos y de las propias visiones despóticas, imperialistas, nacionalistas y populistas, si no nos interesamos en la cultura de los demás, si no se escucha el clamor de la gente común y la voz de los pobres, si no se deja de distinguir de modo maniqueo quién es bueno y quién es malo, si no nos esforzamos por entendernos y colaborar por el bien de todos. Estas decisiones están ante nosotros. Porque en un mundo globalizado sólo salimos adelante remando juntos; en cambio, si navegamos solos, vamos a la deriva.
En el tormentoso mar de los conflictos tengamos ante nuestros ojos el Documento sobre la Fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común, en el que se hacen votos por un fecundo encuentro entre Occidente y Oriente, útil para sanar sus respectivas enfermedades.[1] Estamos aquí, creyentes en Dios y en los hermanos, para rechazar “el pensamiento aislante”, ese modo de ver la realidad que ignora el mar único de la humanidad para focalizarse sólo en las propias corrientes. Deseamos que las disputas entre Oriente y Occidente se resuelvan por el bien de todos, sin desviar la atención de otra brecha en constante y dramático crecimiento, la que se da entre el Norte y el Sur del mundo. Que la aparición de los conflictos no haga perder de vista las tragedias latentes de la humanidad, como la catástrofe de las desigualdades, por la que la mayor parte de las personas que pueblan la tierra experimenta una injusticia sin precedentes, la vergonzosa plaga del hambre y la calamidad de los cambios climáticos, signo de la falta de cuidado hacia la casa común.
Sobre dichos temas, que se han discutido en estos días, los líderes religiosos no podemos dejar de comprometernos y de dar buen ejemplo. Tenemos un papel específico y este Foro nos ofrece una nueva oportunidad en este sentido. Nuestra tarea es animar y ayudar a la humanidad, tan interdependiente como desconectada, a navegar conjuntamente. Quisiera, por tanto, delinear tres desafíos que se desprenden del Documento sobre la Fraternidad humana y de la Declaración del Reino de Baréin, sobre los que se ha reflexionado en estos días. Estos desafíos se refieren a la oración, la educación y la acción.
En primer lugar, la oración, que toca el corazón del hombre. En realidad, los dramas que sufrimos y las peligrosas laceraciones que experimentamos, «los desequilibrios que fatigan al mundo moderno están conectados con ese otro desequilibrio fundamental que hunde sus raíces en el corazón humano» (Gaudium et spes, 10). Allí está la raíz. Y, por lo tanto, el mayor peligro no reside en las cosas, en las realidades materiales, en las organizaciones, sino en la inclinación del ser humano a cerrarse en la inmanencia del propio yo, del propio grupo, de los propios intereses mezquinos. No es un defecto de nuestra época, existe desde que el hombre es hombre, pero con la ayuda de Dios es posible dominarlo (cf. Carta enc. Fratelli tutti, 166).
Es por eso que la oración, la apertura del corazón al Altísimo es fundamental para purificarnos del egoísmo, de la cerrazón y de la autorreferencialidad, de las falsedades y de la injusticia. El que reza, recibe la paz en el corazón y no puede sino ser su testigo y mensajero; e invitar, principalmente por medio del ejemplo, a sus semejantes, a no convertirse en rehenes de un paganismo que reduce al ser humano a aquello que vende, que compra o con lo que se divierte, sino a redescubrir la dignidad infinita que cada uno lleva grabada. El hombre religioso, el hombre de paz es aquel que, caminando con los otros en el mundo, los invita, con dulzura y respeto, a elevar la mirada al cielo. Y lleva en su oración, como incienso que sube hacia el Altísimo (cf. Sal 141,2), las fatigas y las pruebas de todos.
Pero, para que esto pueda suceder, es indispensable una premisa: la libertad religiosa. La Declaración del Reino de Baréin explica que «Dios nos instruye para ejercer el regalo divino de la libertad de elección» y, por tanto, “toda forma de coacción religiosa no puede conducir a una persona a una relación significativa con Dios”. Es decir que toda coacción es indigna del Omnipotente, porque Él no ha entregado el mundo a esclavos, sino a criaturas libres, a las que respeta totalmente. Comprometámonos entonces para que la libertad de las criaturas refleje la libertad soberana del Creador, para que los lugares de culto sean protegidos y respetados, siempre y en todas partes, y la oración se promueva y nunca sea obstaculizada. Pero no es suficiente conceder permisos y reconocer la libertad de culto, es necesario alcanzar la verdadera libertad religiosa. Y no sólo cada sociedad, sino cada credo está llamado a examinarse sobre esto. Está llamado a preguntarse si obliga desde el exterior o libera interiormente a las criaturas de Dios; si ayuda al hombre a rechazar la rigidez, la cerrazón y la violencia; si hace que aumente en los creyentes la libertad verdadera, que no significa hacer lo que nos dé la gana, sino orientarnos al bien para el que hemos sido creados.
Si el desafío de la oración se refiere al corazón, el segundo, la educación, concierne esencialmente a la mente del hombre. La Declaración del Reino de Baréin afirma que «la ignorancia es enemiga de la paz». Es verdad, donde faltan oportunidades de instrucción aumentan los extremismos y se arraigan los fundamentalismos. Y, si la ignorancia es enemiga de la paz, la educación es amiga del desarrollo, siempre que sea una instrucción realmente digna del hombre, ser dinámico y relacional; por lo que no debe ser rígida y monolítica, sino abierta a los desafíos y sensible a los cambios culturales; no autorreferencial y aislante, sino atenta a la historia y a la cultura de los demás; no estática sino inquisitiva, para abrazar aspectos diversos y esenciales de la única humanidad a la que pertenecemos. Eso permite, en particular, ir al centro de los problemas sin presumir de tener la solución y de resolver de modo sencillo problemas complejos, sino con la disposición de asumir la crisis sin ceder a la lógica del conflicto. La lógica del conflicto siempre nos lleva a la destrucción. La crisis nos ayuda a pensar y a madurar. En efecto, es indigno de la mente humana creer que las razones de la fuerza prevalezcan sobre la fuerza de la razón, utilizar métodos del pasado para las cuestiones presentes, aplicar los esquemas de la técnica y de la conveniencia a la historia y a la cultura del hombre. Esto requiere interrogarse, entrar en crisis y saber dialogar con paciencia, respeto y espíritu de escucha; aprender la historia y la cultura de los demás. Así se educa la mente del hombre, alimentando la comprensión recíproca. Porque no basta llamarnos tolerantes, es necesario dejar espacio al otro verdaderamente, darle derechos y oportunidades. Es una mentalidad que comienza con la educación y que las religiones están llamadas a sostener.
En concreto, quisiera destacar tres emergencias educativas. En primer lugar, el reconocimiento de la mujer en ámbito público, “en la instrucción, en el trabajo, en el ejercicio de los propios derechos sociales y políticos” (cf. Documento sobre la fraternidad humana). En este, como en otros ámbitos, la educación es el camino para emanciparse de resabios históricos y sociales contrarios a ese espíritu de solidaridad fraterna que debe caracterizar a quien adora a Dios y ama al prójimo.
En segundo lugar, «la protección de los derechos fundamentales de los niños» (ibíd.), para que crezcan instruidos, atendidos, acompañados, no destinados a vivir con el tormento del hambre o los lamentos por la violencia. Eduquemos, y eduquémonos, para mirar las crisis, los problemas, las guerras, con los ojos de los niños. No es un buenismo ingenuo, sino una sabia amplitud de miras, porque sólo pensando en ellos el progreso se verá reflejado en la inocencia y no en las ganancias, y contribuirá a construir un futuro conforme al hombre.
La educación, que empieza en el seno de la familia, continúa en el contexto de la comunidad, del pueblo o de la ciudad. Por eso quisiera subrayar, en tercer lugar, la educación a la ciudadanía, a vivir juntos, en el respeto y la legalidad. Y, en particular, la importancia misma del «concepto de ciudadanía», que «se basa en la igualdad de derechos y deberes». Es necesario esforzarse en esto, para que se pueda «establecer en nuestra sociedad el concepto de plena ciudadanía y renunciar al uso discriminatorio de la palabra minorías, que trae consigo las semillas de sentirse aislado e inferior; prepara el terreno para la hostilidad y la discordia y quita los logros y los derechos religiosos y civiles de algunos ciudadanos al discriminarlos» (ibíd.).
Llegamos así al último de los tres desafíos, el que concierne a la acción, podríamos decir a las fuerzas del hombre. La Declaración del Reino de Baréin enseña que “cuando se predica el odio, la violencia y la discordia se profana el nombre de Dios”. El que es religioso rechaza esto, sin ningún pretexto; dice “no” con fuerza a la blasfemia de la guerra y al uso de la violencia. Y traduce con coherencia, en la práctica, estos “no”. Porque no basta decir que una religión es pacífica, es necesario condenar y aislar a los violentos que abusan de su nombre. Y ni siquiera es suficiente tomar distancia de la intolerancia y del extremismo, es preciso actuar en sentido contrario. «Por esto es necesario interrumpir el apoyo a los movimientos terroristas a través del suministro de dinero, armas, planes o justificaciones y también la cobertura de los medios, y considerar esto como crímenes internacionales que amenazan la seguridad y la paz mundiales. Tal terrorismo debe ser condenado en todas sus formas y manifestaciones» (Documento sobre la Fraternidad humana). También el terrorismo ideológico.
El hombre religioso, el hombre de paz, se opone también a la carrera armamentística, al negocio de la guerra, al mercado de la muerte. No apoya “alianzas contra alguien”, sino caminos de encuentro con todos; sin ceder a relativismos o sincretismos de ningún tipo, sigue una sola senda, la de la fraternidad, el diálogo y la paz. Estos son sus “sí”. Recorramos, queridos amigos, este camino; abramos el corazón al hermano, avancemos en el proceso de conocimiento recíproco. Estrechemos entre nosotros lazos más fuertes, sin dobleces y sin miedo, en nombre del Creador que nos ha puesto juntos en el mundo como custodios de los hermanos y de las hermanas. Y, si varios poderosos negocian entre ellos por intereses, dinero y estrategias de poder, demostremos que es posible otra vía de encuentro. Posible y necesaria, porque la fuerza, las armas y el dinero nunca teñirán de paz el futuro. Por tanto, encontrémonos por el bien del hombre y en nombre de Aquel que ama al hombre, cuyo Nombre es Paz. Promovamos iniciativas concretas para que el camino de las grandes religiones sea cada vez más efectivo y constante, ¡que sea conciencia de paz para el mundo! Y aquí hago un llamamiento a todos, para que se ponga fin a la guerra en Ucrania y se entablen serias negociaciones de paz.
El Creador nos invita a actuar, especialmente en favor de tantas de sus criaturas que todavía no encuentran suficiente espacio en las agendas de los poderosos: pobres, niños por nacer, ancianos, enfermos, migrantes. Si nosotros, que creemos en el Dios de la misericordia, no escuchamos a los indigentes y no damos voz a quien no la tiene, ¿quién lo hará? Estemos de su parte, esforcémonos por socorrer al hombre herido y probado; obrando de este modo, atraeremos la bendición del Altísimo sobre el mundo. Que Él ilumine nuestros pasos y una nuestros corazones, nuestras mentes y nuestras fuerzas (cf. Mc 12,30) para que la adoración a Dios concuerde con el amor concreto y fraterno al prójimo, y para ser juntos profetas de convivencia, artífices de unidad, constructores de paz. Gracias.
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[1] «El Occidente podría encontrar en la civilización del Oriente los remedios para algunas de sus enfermedades espirituales y religiosas causadas por la dominación del materialismo. Y el Oriente podría encontrar en la civilización del Occidente tantos elementos que pueden ayudarlo a salvarse de la debilidad, la división, el conflicto y el declive científico, técnico y cultural. Es importante prestar atención a las diferencias religiosas, culturales e históricas que son un componente esencial en la formación de la personalidad, la cultura y la civilización oriental; y es importante consolidar los derechos humanos generales y comunes, para ayudar a garantizar una vida digna para todos los hombres en Oriente y en Occidente» (Documento sobre la Fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común, 4 febrero 2019).
[01687-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Majestade,
Altezas Reais,
Caro Irmão, Doutor Al-Tayyeb, Grande Imã de Al-Azhar,
Caro Irmão Bartolomeu, Patriarca Ecuménico,
Distintas Autoridades religiosas e civis,
Senhoras e Senhores!
Saúdo-vos cordialmente, grato pelo acolhimento recebido e pela realização deste Fórum de diálogo organizado sob o patrocínio de Sua Majestade o Rei do Bahrein. O nome deste país deriva das suas águas: de facto, a palavra «Bahrein» evoca «dois mares». Pensemos nas águas do mar que põem em contacto as terras, e em comunicação as pessoas, ligando povos distantes. «O que a terra divide, o mar une»: afirma um dito antigo. E o nosso planeta Terra, visto do alto, apresenta-se como um vasto mar azul, que liga margens distintas. Do céu, parece recordar-nos que somos uma família: não ilhas, mas um único grande arquipélago. É assim que o Altíssimo nos quer, e bem pode simbolizar o seu anseio este país, um arquipélago de mais de trinta ilhas.
Contudo vivemos tempos em que uma humanidade, interligada como nunca, se apresenta bem mais dividida do que unida. E o nome do «Bahrein» pode ajudar-nos a ir mais longe na nossa reflexão: os «dois mares», que evoca, referem-se às águas doces das suas nascentes submarinas e às águas salobras do Golfo. De modo semelhante, encontramo-nos hoje perante dois mares de sabor oposto: por um lado, o mar calmo e doce da convivência comum, por outro, o mar amargo da indiferença, afligido por confrontos e agitado por ventos de guerra, com as suas devastadoras ondas sempre mais tumultuosas, com o risco de nos arrastar a todos. Infelizmente, Oriente e Ocidente assemelham-se cada vez mais a dois mares contrapostos. Entretanto nós estamos aqui juntos, porque pretendemos navegar no mesmo mar, escolhendo a rota do encontro em vez da do confronto, o caminho do diálogo indicado por este Fórum: «Oriente e Ocidente em prol da coexistência humana».
Após duas Guerras Mundiais tremendas, depois duma guerra fria que manteve o mundo em suspense durante dezenas de anos, encontramo-nos ainda num equilíbrio frágil a balouçar sobre o precipício feito de tantos conflitos desastrosos por toda a parte do globo, entre rumores de acusação, ameaças e condenações, e não queremos afundar. Impressiona este paradoxo: enquanto a maior parte da população mundial se encontra unida pelas mesmas dificuldades, atormentada por graves crises alimentares, ecológicas e pandémicas, bem como por uma injustiça planetária cada vez mais escandalosa, uns poucos poderosos concentram-se decididamente numa luta por interesses de parte, desenterrando linguagens obsoletas, redesenhando áreas de influência e blocos contrapostos. Tem-se a impressão de assistir a uma cena dramaticamente infantil: no jardim da humanidade, em vez de cuidar do todo, brincamos com o fogo, com mísseis e bombas, com armas que provocam pranto e morte, cobrindo a casa comum de cinzas e de ódio.
E veremos multiplicar-se estas amargas consequências, se continuarmos a acentuar as oposições sem redescobrir a compreensão, se persistirmos na decidida imposição dos próprios modelos e visões despóticas, imperialistas, nacionalistas e populistas, se não nos interessarmos com a cultura do outro, se não prestarmos ouvidos ao clamor da gente comum e à voz dos pobres, se não deixarmos de distinguir de forma maniqueísta quem é bom e quem é mau, se não nos esforçarmos por compreender e colaborar para o bem de todos. Estas opções estão diante de nós, porque, num mundo globalizado, só se avança remando juntos; ao passo que, navegando sozinho, vai-se à deriva.
No mar borrascoso dos conflitos, tenhamos diante dos olhos o Documento sobre a Fraternidade Humana em prol da Paz Mundial e da Convivência Comum, onde se almeja um encontro fecundo entre Ocidente e Oriente, útil para sarar as respetivas doenças.[1] Encontramo-nos aqui, crentes em Deus e nos irmãos, para rejeitar «o pensamento isolante», aquele modo de ver a realidade que ignora o mar único da humanidade para se concentrar apenas nas suas próprias correntes. Desejamos que os litígios entre Oriente e Ocidente se resolvam para bem de todos, sem desviar a atenção dum outro desnível, em constante e dramático crescimento, que é o desnível entre Norte e Sul do mundo. Que os conflitos emergentes não façam perder de vista as tragédias latentes da humanidade, como a catástrofe das desigualdades na qual a maioria das pessoas que povoam a Terra experimenta uma injustiça sem precedentes, a vergonhosa chaga da fome e a calamidade das alterações climáticas, sinal da falta de cuidado para com a casa comum.
Sobre tais temas debatidos nestes dias, não podem deixar de se comprometer e dar bom exemplo os líderes religiosos. Temos um papel específico e este Fórum proporciona-nos mais uma oportunidade nesse sentido. É nossa tarefa encorajar e ajudar a humanidade, tão interdependente como desconexa, a navegar em conjunto. Assim queria delinear três desafios, que sobressaem do Documento sobre a Fraternidade Humana e da Declaração do Reino do Bahrein e sobre os quais se refletiu nestes dias. Dizem respeito à oração, à educação e à ação.
Em primeiro lugar, a oração, que toca o coração do homem. Na realidade, os dramas que sofremos e as perigosas dilacerações que experimentamos, «os desequilíbrios de que sofre o mundo atual estão ligados com aquele desequilíbrio fundamental que se radica no coração do homem» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, 10). Aqui está a raiz. Consequentemente o perigo maior não reside nas coisas, nas realidades materiais, nas organizações, mas na inclinação do ser humano para se fechar na imanência do próprio eu, do seu grupo, dos seus interesses mesquinhos. Não é um defeito do nosso tempo; existe desde que o homem é homem mas, com a ajuda de Deus, é possível pôr-lhe remédio (cf. Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 166).
Por isso mesmo a oração, a abertura do coração ao Altíssimo, é fundamental para nos purificar do egoísmo, do isolamento, da autorreferencialidade, das falsidades e da injustiça. Quem reza, recebe no coração a paz, não podendo deixar de se fazer sua testemunha e mensageiro, convidando os seus semelhantes – primariamente através do exemplo – para não se tornarem reféns dum paganismo que reduz o ser humano àquilo que vende, compra ou com que se diverte, mas redescobrirem a dignidade infinita que cada um traz impressa. O homem religioso, o homem de paz é aquele que, ao caminhar na terra com os outros, os convida, com doçura e respeito, a levantarem o olhar para o Céu. E recorda na sua oração, como incenso que sobe ao Altíssimo (cf. Sal 141, 2), as canseiras e dificuldades de todos.
Mas, para que isso possa acontecer, há uma premissa indispensável: a liberdade religiosa. A Declaração do Reino do Bahrein explica que «Deus nos orientou para o dom divino da liberdade de opção» e, por conseguinte, «qualquer forma de coerção religiosa não pode levar a pessoa a uma relação significativa com Deus». Ou seja, toda a coerção é indigna do Omnipotente, pois Ele não entregou o mundo a escravos, mas a criaturas livres, a quem respeita profundamente. Então empenhemo-nos por que a liberdade das criaturas espelhe a liberdade soberana do Criador, para que os lugares de culto sejam protegidos e respeitados, sempre e em toda a parte, e a oração nunca seja obstaculizada, mas favorecida. Entretanto não basta conceder autorizações e reconhecer a liberdade de culto; é preciso alcançar a verdadeira liberdade de religião. E não só cada sociedade, mas também cada credo são chamados a examinar-se sobre isto. São chamados a interrogar-se se constringem as criaturas de Deus de fora ou as libertam dentro; se ajudam o homem a rejeitar a rigidez, o isolamento e a violência; se aumentam nos crentes a verdadeira liberdade, que não é fazer o que me apetece e vem à cabeça, mas predispor-se ao bem para o qual fomos criados.
Se o desafio da oração tem a ver com o coração, o segundo desafio – a educação – diz respeito essencialmente à mente do homem. A Declaração do Reino do Bahrein afirma que «a ignorância é inimiga da paz». É verdade que, onde faltam oportunidades de instrução, aumentam os extremismos e radicam-se os fundamentalismos. E, se a ignorância é inimiga da paz, a educação é amiga do progresso, desde que seja uma educação verdadeiramente digna do homem, ser dinâmico e relacional: por conseguinte não é rígida nem monolítica, mas aberta aos desafios e sensível às mudanças culturais; não é autorreferencial nem isoladora, mas atenta à história e à cultura alheia; não é estática, mas indagadora, para abraçar aspetos diversos e essenciais da única humanidade a que pertencemos. Isto permite, de modo particular, entrar no cerne dos problemas sem se presumir ter a solução e resolver de forma simplicista problemas complexos, mas com a predisposição a viver a crise sem ceder à lógica do conflito. Enquanto a lógica do conflito sempre nos leva à destruição, a crise ajuda-nos a pensar e amadurecer. De facto, é indigno da mente humana crer que as razões da força prevalecem sobre a força da razão, usar métodos do passado para as questões presentes, aplicar os esquemas da técnica e da conveniência à história e à cultura do homem. Isto requer questionar-se, entrar em crise e saber dialogar com paciência, respeito e espírito de escuta; aprender a história e a cultura alheia. Assim se educa a mente do homem, alimentando a compreensão recíproca. Porque não basta dizer que somos tolerantes, é preciso abrir verdadeiramente espaço ao outro, dar-lhe direitos e oportunidades. É uma mentalidade que começa com a educação e que as religiões são chamadas a apoiar.
Concretamente, quero destacar três urgências educativas. Em primeiro lugar, o reconhecimento da mulher na esfera pública: reconhecer o seu direito «à instrução, ao trabalho, ao exercício dos seus direitos políticos» (Documento sobre a Fraternidade Humana). Nisto, como noutras áreas, a educação é o caminho para se emancipar de resquícios históricos e sociais contrários àquele espírito de solidariedade fraterna que deve caraterizar quem adora a Deus e ama o próximo.
Em segundo lugar, «a tutela dos direitos fundamentais das crianças» (Ibidem), para que cresçam instruídas, assistidas, acompanhadas, não condenadas a viver nos mordimentos da fome e nos remordimentos da violência. Eduquemos – e eduquemo-nos – para olhar as crises, os problemas, as guerras com os olhos das crianças: não é ingénua bonacheirice, mas sabedoria clarividente, porque só pensando nelas é que o progresso se espelhará, não no lucro, mas na inocência e contribuirá para construir um futuro à medida do homem.
A educação, que tem início no seio da família, continua no contexto da comunidade, da aldeia ou da cidade. Por isso tenho a peito sublinhar, em terceiro lugar, a educação para a cidadania, para viver juntos, no respeito e na legalidade. E, em particular, a importância do «conceito de cidadania», que «se baseia na igualdade dos direitos e dos deveres». É preciso empenhar-se nisto, para que se possa «estabelecer nas nossas sociedades o conceito da cidadania plena e renunciar ao uso discriminatório do termo minorias, que traz consigo as sementes do isolamento e da inferioridade, prepara o terreno para as hostilidades e a discórdia e retira as conquistas e os direitos religiosos e civis de alguns cidadãos, discriminando-os» (Ibidem).
E chegamos, assim, ao último dos três desafios: aquele que diz respeito à ação, poder-se-ia dizer às forças do homem. A Declaração do Reino do Bahrein ensina que, «quando se prega ódio, violência e discórdia, profana-se o nome de Deus». Quem é religioso recusa-se a fazê-lo, sem precisar de qualquer justificação. Com vigor, diz «não» à blasfémia da guerra e ao uso da violência. E estes «nãos», tradu-los coerentemente na prática. Com efeito não basta dizer que uma religião é pacífica, é preciso condenar e isolar os violentos que abusam do seu nome. E não basta sequer distanciar-se da intolerância e do extremismo, é preciso agir em sentido contrário. «Por isso, é necessário interromper o apoio aos movimentos terroristas através do fornecimento de dinheiro, de armas, de planos ou justificações e também da cobertura mediática, e considerar tudo isto como crimes internacionais que ameaçam a segurança e a paz mundial. É preciso condenar tal terrorismo em todas as suas formas e manifestações» (Documento sobre a Fraternidade Humana), incluindo o terrorismo ideológico.
O homem religioso, o homem de paz, opõe-se também à corrida ao rearmamento, aos negócios da guerra, ao mercado da morte. Não sustenta «alianças contra ninguém», mas caminhos de encontro com todos: sem ceder a relativismos ou sincretismos de qualquer espécie, segue apenas uma estrada, a da fraternidade, do diálogo, da paz. Estes são os seus «sins». Percorramos, queridos amigos, este caminho: alarguemos o coração ao irmão, avancemos no percurso de conhecimento recíproco. Estreitemos entre nós laços mais fortes, sem duplicidade nem medo, em nome do Criador que nos colocou juntos no mundo como guardiões dos irmãos e das irmãs. E, se vários poderosos negoceiam entre si por interesses, dinheiro e estratégias de poder, demonstremos que é possível outro caminho de encontro; possível e necessário, porque a força, as armas e o dinheiro nunca colorirão de paz o futuro. Portanto encontremo-nos para o bem do homem e em nome d’Aquele que ama o homem, cujo Nome é Paz. Promovamos iniciativas concretas, para que o caminho das grandes religiões seja cada vez mais concreto e constante, seja consciência de paz para o mundo! E aqui dirijo a todos o meu veemente apelo a fim de que se ponha fim à guerra na Ucrânia e se dê início a sérias negociações de paz.
O Criador convida-nos a agir, especialmente a favor de tantas criaturas d’Ele que ainda não encontram espaço suficiente nas agendas dos poderosos: pobres, nascituros, idosos, doentes, migrantes... Se nós, que acreditamos no Deus da misericórdia, não prestamos ouvidos aos miseráveis e não damos voz àqueles que a não tèm, quem o fará? Estejamos do seu lado, esforcemo-nos por socorrer o homem ferido e provado! Assim fazendo, atrairemos sobre o mundo a bênção do Altíssimo. Que Ele ilumine os nossos passos e una os nossos corações, as nossas mentes e as nossas forças (cf. Mc 12, 30), para que, à adoração de Deus, corresponda o amor concreto e fraterno do próximo; para sermos, juntos, profetas da convivência, artesãos de unidade, construtores de paz. Obrigado!
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[1] «O Ocidente poderia encontrar na civilização do Oriente remédios para algumas das suas doenças espirituais e religiosas causadas pelo domínio do materialismo. E o Oriente poderia encontrar na civilização do Ocidente tantos elementos que o podem ajudar a salvar-se da fragilidade, da divisão, do conflito e do declínio científico, técnico e cultural. É importante prestar atenção às diferenças religiosas, culturais e históricas que são uma componente essencial na formação da personalidade, da cultura e da civilização oriental; e é importante consolidar os direitos humanos gerais e comuns, para ajudar a garantir uma vida digna para todos os homens no Oriente e no Ocidente» (Sua Santidade Papa Francisco e Grande Imã de Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, Documento sobre a Fraternidade Humana em prol da Paz Mundial e da Convivência Comum, 04/II/2019).
[01687-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Wasza Królewska Wysokość,
Wasze Królewskie Wysokości,
Drogi Bracie, Doktorze al-Tajebie,Wielki Imamie Al-Azharu,
Drogi Bracie Bartłomieju, Patriarcho Ekumeniczny,
Szanowni Przedstawiciele władz religijnych i cywilnych,
Panie i Panowie!
Witam was serdecznie, wdzięczny za zgotowane mi przyjęcie oraz za przeprowadzenie tego Forum Dialogu, zorganizowanego pod patronatem Jego Wysokości Króla Bahrajnu. Kraj ten wywodzi swoją nazwę od tutejszych wód – słowo Bahrajn przywołuje bowiem „dwa morza”. Myślimy o wodach morskich, które łączą lądy i umożliwiają kontakty ludziom, łącząc odległe ludy. „To, co dzieli ziemia, morze jednoczy” – głosi starożytne powiedzenie. A nasza planeta Ziemia, gdy patrzy się na nią z góry, wygląda jak rozległe, niebieskie morze, łączące różne brzegi. Z nieba zdaje się przypominać nam, że jesteśmy jedną rodziną – nie wyspami, lecz jednym wielkim archipelagiem. Takimi chce nas Najwyższy, a ten kraj, archipelag liczący ponad trzydzieści wysp, może być symbolem Jego pragnienia.
Żyjemy jednak w czasach, w których ludzkość, połączona jak nigdy dotąd, jest znacznie bardziej podzielona niż zjednoczona. Nazwa „Bahrajn” może nam pomóc w dalszej refleksji: „dwa morza”, o których mówi, odnoszą się do słodkich wód jego podwodnych źródeł i słonawych wód Zatoki. Podobnie dziś, mamy do czynienia z dwoma morzami o przeciwnych smakach – z jednej strony spokojne i łagodne morze współistnienia, z drugiej zaś gorzkie morze obojętności, wzburzane starciami i poruszone wichrami wojny, z jej coraz bardziej burzliwymi, niszczycielskimi falami, które grożą pochłonięciem wszystkich. I, niestety, Wschód i Zachód coraz bardziej przypominają dwa przeciwstawne morza. Natomiast my jesteśmy tu razem, ponieważ zamierzamy płynąć po tym samym morzu, obierając kurs na spotkanie, a nie konfrontację, drogę dialogu, wskazaną przez to Forum: „Wschód i Zachód na rzecz ludzkiego współistnienia”.
Po dwóch strasznych wojnach światowych, po zimnej wojnie, która przez dziesięciolecia trzymała świat w napięciu, przy tylu katastrofalnych konfliktach w każdej części globu, pośród tonów oskarżeń, gróźb i potępienia, wciąż znajdujemy się na krawędzi kruchej równowagi i nie chcemy zatonąć. Uderzający jest paradoks – podczas gdy większa część ludności świata jest zjednoczona tymi samymi trudnościami, nękana poważnymi kryzysami żywnościowymi, ekologicznymi i pandemicznymi, a także coraz bardziej skandaliczną niesprawiedliwością globalną, niewielu potężnych koncentruje się na zdecydowanej walce o interesy partykularne, ekshumując przestarzałe języki, wytyczając na nowo strefy wpływów i przeciwstawne bloki. Wydaje się, że jesteśmy świadkami dramatycznie infantylnego scenariusza: w ogrodzie ludzkości, zamiast troszczyć się o całość, igra się z ogniem, z pociskami i bombami, z bronią, które powodują płacz i śmierć, pokrywając wspólny dom popiołem i nienawiścią.
Takie są gorzkie konsekwencje, jeśli wciąż akcentuje się przeciwieństwa, nie odkrywając na nowo zrozumienia, jeśli się obstaje przy stanowczym narzucaniu własnych modeli i własnych despotycznych, imperialistycznych, nacjonalistycznych i populistycznych wizji, jeśli nie interesujemy się kulturą drugiego człowieka, jeśli nie słucha się krzyku zwykłych ludzi i głosu ubogich, jeśli nie przestaje się rozróżniać w sposób manichejski, kto jest dobry, a kto zły, jeśli nie podejmuje się wysiłku, by zrozumieć się nawzajem i współpracować dla dobra wszystkich. Przed nami są te wybory. Ponieważ w zglobalizowanym świecie, podąża się do przodu tylko wówczas, gdy wiosłuje się razem, natomiast płynąc samotnie, dryfuje się.
W burzliwym morzu konfliktów mamy przed oczyma Dokument o ludzkim braterstwie dla pokoju światowego i współistnienia, w którym wyrażone jest pragnienie owocnego spotkania Zachodu ze Wschodem, przydatnego dla uzdrowienia ich chorób[1]. Jesteśmy tutaj, ludzie wierzący w Boga i braci, aby odrzucić „mentalność izolującą”, ten sposób patrzenia na rzeczywistość, który ignoruje jedno morze ludzkości, a skupia się tylko na własnych nurtach. Pragniemy, aby spory między Wschodem a Zachodem zostały załagodzone dla dobra wszystkich, bez odwracania uwagi od innej przepaści, która stale i dramatycznie się powiększa – przepaści między Północą a Południem świata. Pojawienie się konfliktów nie powinno spowodować, że stracimy z oczu ukryte tragedie ludzkości, takie jak katastrofa nierówności, w wyniku której większość mieszkańców Ziemi doświadcza bezprecedensowej niesprawiedliwości, haniebnej plagi głodu i nieszczęścia zmian klimatycznych, będących oznaką braku troski o wspólny dom.
Odnośnie do tych kwestii, dyskutowanych w tych dniach, zwierzchnicy religijni nie mogą nie angażować się i nie dawać dobrego przykładu. Odgrywamy szczególną rolę, a to Forum daje nam w tym względzie kolejną okazję. Naszym zadaniem jest dodawanie otuchy i pomaganie ludzkości, równie współzależnej, jak i rozdzielonej, w płynięciu razem. Chciałbym zatem przedstawić trzy wyzwania, które wynikają z Dokumentu o ludzkim braterstwie i z Deklaracji Królestwa Bahrajnu, które były przedmiotem refleksji w tych dniach. Dotyczą one modlitwy, wychowania i działania.
Przede wszystkim modlitwa, która dotyka serca człowieka. W rzeczywistości, dramaty, które boleśnie przeżywamy, i groźne rozdarcia, których doświadczamy, „zakłócenia równowagi, na które cierpi świat współczesny, powiązane są z owym bardziej podstawowym zachwianiem równowagi, które zakorzenione jest w sercu człowieka” (Gaudium et spes, 10). Tu jest źródło. A zatem, największe niebezpieczeństwo nie tkwi w rzeczach, w rzeczywistości materialnej, w organizacjach, ale w skłonności istoty ludzkiej do zamykania się w immanencji własnego „ja”, własnej grupy, własnych małostkowych interesów. Nie jest to wada naszych czasów, istnieje ona tak długo, odkąd człowiek jest człowiekiem, a z Bożą pomocą można jej zaradzić (por. Enc. Fratelli tutti, 166).
Dlatego właśnie modlitwa, otwarcie serca na Najwyższego ma fundamentalne znaczenie dla oczyszczenia się z egoizmu, zamknięcia, autoreferencyjności, fałszu i niesprawiedliwości. Kto się modli, otrzymuje pokój w sercu i musi stać się jego świadkiem i posłańcem; i zachęcać, przede wszystkim poprzez przykład, swoich bliźnich, aby nie stawali się zakładnikami pogaństwa, które sprowadza człowieka do tego, co sprzedaje, kupuje lub czym się bawi, ale aby odkryli na nowo nieskończoną godność, którą każdy ma w sobie. Człowiek religijny, człowiek pokoju to ten, który chodząc z innymi po ziemi, delikatnie i z szacunkiem zachęca ich do podniesienia wzroku ku niebu. I niesie w swojej modlitwie, jak kadzidło wznoszące się do Najwyższego (por. Ps 141, 2), znoje i próby wszystkich.
Ale aby tak się stało, niezbędna jest jedna przesłanka: wolność religijna. Deklaracja Królestwa Bahrajnu wyjaśnia, że „Bóg ukierunkował nas ku boskiemu darowi wolności wyboru", a zatem „jakakolwiek forma przymusu religijnego nie może doprowadzić osoby do znaczącej relacji z Bogiem”. Oznacza to, że wszelki przymus jest niegodny Wszechmocnego, ponieważ nie powierzył On świata niewolnikom, lecz stworzeniom wolnym, które w pełni szanuje. Starajmy się więc, aby wolność stworzeń odzwierciedlała suwerenną wolność Stwórcy, aby miejsca kultu były chronione i szanowane, zawsze i wszędzie, a modlitwa była wspierana, a nigdy utrudniana. Ale nie wystarczy wydać zezwolenia i uznać wolność kultu, trzeba osiągnąć prawdziwą wolność religijną. I nie tylko każde społeczeństwo, ale każde wyznanie jest wezwane do dokonania weryfikacji w tej kwestii. Jest wezwane do postawienia sobie pytania, czy stosuje przymus zewnętrzny, czy też wyzwala wewnętrznie Boże stworzenia; czy pomaga człowiekowi odrzucić rygoryzm, zamknięcie i przemoc; czy zwiększa w wierzących prawdziwą wolność, która nie polega na czynieniu tego, co się chce i co się podoba, ale na usposobieniu się do dobra, dla którego zostaliśmy stworzeni.
Jeśli wyzwanie modlitwy dotyczy serca, to drugie – wychowanie, dotyczy zasadniczo umysłu człowieka. Deklaracja Królestwa Bahrajnu stwierdza, że „niewiedza jest wrogiem pokoju”. To prawda, tam, gdzie brakuje możliwości edukacyjnych, wzrasta ekstremizm i zakorzenia się fundamentalizm. A jeśli niewiedza jest wrogiem pokoju, to edukacja jest przyjaciółką rozwoju, pod warunkiem, że jest to edukacja naprawdę godna człowieka, istoty dynamicznej i relacyjnej; a więc nie rygorystyczna i monolityczna, lecz otwarta na wyzwania i wrażliwa na zmiany kulturowe; nie autoreferencyjna i izolująca, lecz szanująca historię i kulturę innych; nie statyczna, lecz dociekliwa, aby ogarnąć różne i zasadnicze aspekty jednego rodzaju ludzkiego, do którego należymy. Umożliwia to w szczególności wejście w sedno problemów bez zakładania, że posiada się rozwiązanie i że się rozwiąże w prosty sposób złożone problemy, ale raczej z gotowością do przeżywania kryzysu, nie poddając się logice konfliktu. Logika konfliktu zawsze prowadzi nas do destrukcji. Kryzys pomaga nam myśleć i dojrzewać. Doprawdy niegodne ludzkiego umysłu jest przekonanie, że racje siły przeważają nad siłą rozumu, stosowanie metod z przeszłości do kwestii aktualnych, stosowanie schematów techniki i korzyści do ludzkiej historii i kultury. Wymaga to stawiania sobie pytań, wejścia w kryzys i umiejętności prowadzenia dialogu cierpliwie, z szacunkiem i w duchu słuchania; poznawania historii i kultury innych. W ten sposób kształtuje się umysł człowieka, umacniając wzajemne zrozumienie. Bo nie wystarczy deklarować się jako osoba tolerancyjna, ale trzeba naprawdę zrobić miejsce dla drugiego, dać mu prawa i możliwości. Jest to sposób myślenia, który zaczyna się od edukacji, a który winien być wspierany przez religie.
Konkretnie, chciałbym podkreślić trzy pilne wyzwania edukacyjne. Po pierwsze, uznanie kobiet w sferze publicznej: „w edukacji, w pracy, w korzystaniu z ich praw społecznych i politycznych” (por. Dokument o ludzkim braterstwie). W tej, jak i w innych dziedzinach, edukacja jest drogą do wyzwolenia się z dziedzictwa historycznego i społecznego, sprzecznego z duchem braterskiej solidarności, który powinien cechować tych, którzy oddają cześć Bogu i miłują bliźniego.
Po drugie, „ochrona podstawowych praw dzieci” (tamże), tak aby dorastały wykształcone, wspomagane, otoczone opieką, a nie były skazane na życie w objęciach głodu i przemocy. Wychowujmy i wychowujmy siebie do patrzenia na kryzysy, problemy, wojny oczami dzieci – to nie jest naiwne myślenie życzeniowe, ale dalekowzroczna mądrość, bo tylko gdy będzie się myśleć o nich, postęp będzie się odzwierciedlał w niewinności, a nie w zysku, i przyczyni się do budowania przyszłości na miarę człowieka.
Wychowanie, które zaczyna się w środowisku rodzinnym, jest kontynuowane w kontekście wspólnoty, wsi lub miasta. Dlatego pragnę zwrócić uwagę, po trzecie, na edukację do życia obywatelskiego, do wspólnego życia w szacunku i praworządności. A w szczególności na samo znaczenie „pojęcia obywatelstwa”, które „opiera się na równości praw i obowiązków”. Trzeba się do tego zobowiązać, aby „w naszych społeczeństwach stworzyć koncepcję pełnego obywatelstwa i odrzucić dyskryminujące użycie określenia mniejszości, które rodzi poczucie izolacji i niższości. (…) toruje drogę wrogości i niezgodzie; niweczy wszelkie sukcesy i pozbawia niektórych obywateli praw religijnych i obywatelskich, którzy są w ten sposób dyskryminowani” (tamże).
I tak dochodzimy do ostatniego z trzech wyzwań, tego, które dotyczy działania, można powiedzieć, sił człowieka. Deklaracja Królestwa Bahrajnu naucza, że „kiedy głosi się nienawiść, przemoc i niezgodę, bezcześci się imię Boga”. Osoby religijne odrzucają to, bez żadnej dyskusji. Z mocą mówią „nie” bluźnierstwu wojny i stosowaniu przemocy. I konsekwentnie przekładają takie „nie” na praktykę. Ponieważ nie wystarczy powiedzieć, że dana religia jest pokojowa, konieczne jest potępienie i odizolowanie ludzi przemocy, którzy nadużywają jej imienia. Nie wystarczy też dystansować się od nietolerancji i ekstremizmu, trzeba działać w przeciwnym kierunku. „Dlatego konieczne jest zaprzestanie wspierania ruchów terrorystycznych poprzez dostarczanie finansów, broni i strategii oraz prób usprawiedliwiania tych ruchów, używając nawet mediów. Trzeba to wszystko uznać za zbrodnie międzynarodowe, zagrażające bezpieczeństwu i pokojowi na świecie. Taki terroryzm musi być potępiony we wszystkich jego formach i przejawach” (Dokument o ludzkim braterstwie). Także terroryzm ideologiczny.
Człowiek religijny, człowiek pokoju sprzeciwia się także wyścigowi zbrojeń, interesom wojennym, rynkowi śmierci. Nie popiera „sojuszy przeciwko komuś”, lecz drogi spotkania ze wszystkimi: nie ulegając relatywizmowi ani synkretyzmowi jakiegokolwiek rodzaju, podąża tylko jedną drogą – drogą braterstwa, dialogu, pokoju. To są jego „tak”. Podążajmy tą drogą, drodzy przyjaciele: poszerzajmy serce dla brata, idźmy naprzód drogą wzajemnego poznania. Zacieśniajmy więzi między nami, bez dwulicowości i bez strachu, w imię Stwórcy, który umieścił nas razem na świecie jako stróżów naszych braci i sióstr. A jeśli różni możni negocjują ze sobą interesy, pieniądze i strategie władzy, pokażmy, że jest możliwa inna droga spotkania. Możliwa i konieczna, bo siła, broń i pieniądze nigdy nie nadadzą przyszłości barw pokoju. Spotykajmy się zatem dla dobra człowieka i w imię Tego, który miłuje człowieka, którego imieniem jest Pokój. Promujmy konkretne inicjatywy, aby droga wielkich religii była coraz bardziej aktywna i stała, niech będzie sumieniem pokoju dla świata! I tu kieruję do wszystkich mój żarliwy apel o zakończenie wojny na Ukrainie i podjęcie poważnych negocjacji pokojowych.
Stwórca zaprasza nas do działania, zwłaszcza na rzecz zbyt wielu Jego stworzeń, które nie znajdują jeszcze wystarczającego miejsca w programach możnych – ubogich, nienarodzonych, starszych, chorych, migrantów... Jeśli my, wierzący w Boga miłosierdzia, nie wysłuchamy nieszczęśliwych i nie damy głosu pozbawionym możliwości wypowiedzi, to kto to uczyni? Bądźmy po ich stronie, starajmy się nieść pomoc człowiekowi poranionemu i ciężko doświadczonemu! Czyniąc tak, wybłagamy dla świata błogosławieństwo Najwyższego. Niech oświeca On nasze kroki i jednoczy nasze serca, nasze umysły i nasze moce (por. Mk 12, 30), aby oddawaniu czci Bogu odpowiadała konkretna i braterska miłość bliźniego; abyśmy razem byli prorokami współżycia, twórcami jedności, budowniczymi pokoju. Dziękuję.
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[1] „Zachód może odkryć na Wschodzie środki zaradcze na te choroby duchowe i religijne, które są spowodowane dominującym materializmem. A Wschód może znaleźć na Zachodzie wiele elementów, które mogą pomóc uwolnić go od słabości, podziału, konfliktu i upadku naukowego, technicznego i kulturowego. Ważne jest zwracanie uwagi na różnice religijne, kulturowe i historyczne, które są istotnym elementem kształtowania charakteru, kultury i cywilizacji Wschodu. Równie ważne jest umocnienie podstawowych praw człowieka, aby pomóc zapewnić godne życie wszystkim mężczyznom i kobietom Wschodu i Zachodu” (Dokument o ludzkim braterstwie dla pokoju światowego i współistnienia, 4 lutego 2019).
[01687-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى البحرين
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اختتام ”منتدى البحرين للحوار: الشّرق والغرب من أجل العيش الإنسانيّ معًا“
في عوالي
الجمعة 4 تشرين الثّاني/نوفمبر 2022
صاحب الجلالة،
أصحاب السّمو الملكيّ،
أخي العزيز فضيلة الإمام الأكبر، الدكتور أحمد الطيّب، شيخ الأزهر الشّريف،
أخي العزيز قداسة البطريرك برثلماوس، البطريرك المسكونيّ،
السُّلطات الدينيّة والمدنيّة المحترمين،
سيداتي سادتي،
أحيّيكم تحيّة قلبيّة، وأشكركم على حفاوة الاستقبال وعلى عقد منتدى الحوار هذا، الذي تمّ تنظيمه تحت رعاية صاحب الجلالة، ملك البحرين. يتَّخِذ هذا البلد اسمه من المياه المحيطة به: في الواقع، كلمة ”البحرين“ تذكّر بـ ”بحرَين“ اثنَين. لنفكّر في مياه البحر، التي تربط بين الأراضيّ وتوصل الناس بعضهم ببعض، وتربط بين الشّعوب البعيدة. يقول المثل القدّيم "ما تقسّمه الأرض، يوحّده البحر". وكوكبنا الأرض، إذا نظرنا إليه من عَلُ، يبدو وكأنّه بحر أزرق واسع، يربط بين شواطئ مختلفة. من السّماء، يبدو أنّها تذكّرنا بأنّنا عائلة واحدة: لسنا جزرًا، بل نحن مجموعة واحدة كبيرة من الجزر. هكذا يريدنا الإله العلِيّ. وهذا البلد، مجموعةُ جزرٍ مكوّنة من أكثر من ثلاثين جزيرة، يمكن أن يكون رمزًا لهذه الإرادة الإلهيّة.
ومع ذلك، فنحن نعيش في أوقات فيها البشريّة، المرتبطة بعضها مع بعض كما لم تكن من قبل، تبدو أكثر انقسامًا، وغير متّحدة. يمكن أن يساعدنا اسم ”البحرين“ في متابعة تفكيرنا: ”البحران“ اللذان يشير إليهما هما المياه العذبة في ينابيعها الجوفية، ومياه الخليج المالحة. كذلك، نجد أنفسنا اليوم أمام بحرَين متعارضَيْن في مذاقهما: من ناحية، العيش المشترك، بحر هادئ وعذب، ومن ناحية أخرى، البحر المرير من اللامبالاة، وتشوبه العلاقات، التي تثيرها رياح الحرب، وأمواجه المدّمرة والمضطربة بشكل متزايد، والتي تهدّد بهلاك الجميع. وللأسف، الشّرق والغرب يشبهان بصورة متزايدة بحرَين متخاصمَين. لكن، نحن هنا معًا لأنّنا عازمون على الإبحار في البحر نفسه، واختيارنا هو طريق اللقاء، بدلًا من طريق المواجهة، وطريق الحوار الذي يشير إليه هذا المنتدى: "الشّرق والغرب من أجل العيش الإنسانيّ معًا".
بعد حربَين عالميتَين مروِّعتَيْن، وبعد حرب باردة ظلَّ العالم فيها حابسًا أنفاسه، مدّة عشرات السّنين، وسط صراعات مدمّرة في كلّ جزء من العالم، وبين أصوات الاتهام والتّهديد والإدانة، ما زلنا نجد أنفسنا على حافة الهاوية في توازن هَشّ، ولا نريد أن نغرق. نحن أمام وضع تناقضات غريبة: من جهة، غالبيّة سكان العالم يجدون أنفسهم موحّدين بنفس الصّعوبات، ويعانون من أزمات خطيرة، في الغذاء والبيئة والوباء، بالإضافة إلى العبث المتزايد بكوكبنا، ومن ناحية أخرى، عدد قليل من أصحاب السّلطان يتركّزون في صراع حازم من أجل المصالح الخاصّة، يُحيُون اللغات القديمة (لغات الحرب)، ويعيدون رسم مناطق النفوذ والكتل المتعارضة.
وهكذا يبدو أنّنا نشاهد سيناريو مأساويّ وكأنّه وقوع في ”الطفولة“: في حديقة الإنسانيّة، بدلًا من أن نعتني ونهتمّ بالكلّ، نلعب بالنار، وبالصّواريخ والقذائف، وبأسلحة تسبّب البكاء والموت، ونُغَطِّي البيت المشترك بالرّماد والكراهية.
هذه هي العواقب المريرة: إن واصلنا في زيادة التّناقضات، ولم نَعُدْ إلى أن نكتشف من جديد مقدرتنا على التّفاهم، وإن استمررنا حازمين لفرض نماذجنا ورؤانا الاستبداديّة والإمبرياليّة والقوميّة والشّعبويّة، وإن كنّا لا نهتمّ بثقافة الآخر، وإن لم نستمع إلى صرخة عامّة الناس وصوت الفقراء، وإن لم نتوقّف عن التّمييز، على طريقة المانوية، بين صالح وشرير، وإن لم نجتهد في أن نفهم بعضنا بعضًا ولم نتعاون لخير الجميع. هذه الخيارات موجودة أمامنا. لأنّه في عالم مُعَولَم لا يمكن أن نتقدّم إلّا إذا وضعنا أيدينا على المجاديف معًا، لأنّنا إن أبحرنا وَحدنا ستتقاذفنا أمواج البحر.
في بحر الصّراعات العاصف، لنضع أمام أعيننا ”وثيقة الأخوّة الإنسانيّة من أجل السّلام العالميّ والعيش المشترك“، ففيه أمل للقاءٍ مثمر بين الغرب والشّرق، مفيد لشفاء الأمراض فيهما[1]. نحن هنا، مؤمنون بالله وبالإخوة، لنرفض ”الفكر العازل“، وطريقة النظر إلى الواقع التي تتجاهل بحر البشريّة الواحد، لتركِّز فقط على التيارات الخاصّة فيه. نريد تسوية الخلافات بين الشّرق والغرب من أجل خير الجميع، من دون أن نغفل الانتباه إلى فجوة أخرى آخذة في النمو بثبات وبصورة مأسويّة، وهي الفجوة بين الشّمال والجنوب في العالم. ظهور الصّراعات يجب ألّا يجعلنا نغفل عن المآسيّ الكامنة في الإنسانيّة، مثل كارثة عدم المساواة، حيث يَختبر معظم الناس الذين يسكنون الأرض ظلمًا غير مسبوق، ومصيبة الجوع المخجلة، وكارثة تغيّر المناخ، نتيجة إهمال العناية بالبيت المشترك.
حول هذه القضايا، التي تمّت مناقشتها في هذه الأيام، قادة الديانات لا يمكن ألّا يلتزموا وألّا يقدّموا المثل الصّالح. لنا دور محدّد، وهذا المنتدى يوفّر لنا فرصة أخرى في هذا الاتجاه. إنّه واجبنا أن نشجّع الإنسانيّة ونساعدها على الإبحار معًا، فهي في الوقت نفسه مترابطة، وبقدر ما هي مترابطة فإنّها متباعدة بعضها عن بعض. لذلك أودّ أن أحدّد ثلاثة تحديّات نابعة من وثيقة الأخوّة الإنسانيّة وإعلان مملكة البحرين، الذي كان موضوع تفكيرنا في هذه الأيام. إنّها الصّلاة والتّربية والعمل.
أوّلًا، الصّلاة التي تلمس قلب الإنسان. في الواقع، المآسيّ التي نعانيها والتّمزقات الخطيرة التي نختبرها، "وعدم التوازنات التي يعاني منها العالم المعاصر مرتبطٌ بعدم التوازن العميق المتأصّل في قلب الإنسان" (دستور رعائي في الكنيسة في عالم اليوم، فرح ورجاء، 10). فالخطر الأكبر لا يكمن في الأشياء، أو في الوقائع الماديّة، أو في المنظمات، بل في ميل الإنسان إلى الانغلاق على جوهر كيانه، على ”الأنا“، وعلى جماعته، ومصالحه السّخيفة. هذا الميل ليس عيبًا في عصرنا فقط، فقد وُجِدَ منذ أن كان الإنسان إنسانًا، وبعون الله يمكن علاجه (راجع رسالة بابويّة عامة، كلّنا إخوة - Fratelli tutti، 166).
لهذا فإنّ الصّلاة وانفتاح القلب أمام العليّ أمرٌ أساسيّ لتطهير أنفسنا من الأنانيّة، والانغلاق، والمرجعيّة الذاتيّة، والأكاذيب والظلم. الذي يصلّي ينال السّلام في قلبه ولا يسعه إلّا أن يكون شاهدًا له ورسولًا، وداعيًا إليه، بمثاله أوّلًا، رفقاءَه حتّى لا يصيروا رهائن لوثنيّة تحصر الإنسان في ما يبيعه أو يشتريه أو في ما يتلهَّى به. عليه أن يدعوهم إلى أن يكتشفوا من جديد الكرامة اللانهائيّة المطبوعة في كلّ واحدٍ منّا. الإنسان المتديّن، إنسان السّلام، هو الذي يسير مع الآخرين على الأرض، ويدعوهم بلطف واحترام إلى أن يرفعوا نظرهم إلى السّماء. ويحمل في صلاته، مثل البخور الذي يرتفع إلى العليّ (راجع مزمور 141، 2)، جهود الجميع وشدائدهم.
لكن لكي يحصل هذا الأمر، هناك مقدّمة لا بدَّ منها، وهي: الحريّة الدينيّة. يقول إعلان مملكة البحرين إنّ "الله هدانا إلى عطيته الإلهيّة، عطيّة حريّة الاختيار"، "فلا يمكن لأيّ شكلٍ من أشكال الإكراه الدّيني أن يقود الشّخص إلى علاقة لها معنى مع الله". كلّ نوع من الإكراه يتنافى مع جلال الله وقدرته تعالى، لأنّ الله لم يسلّم العالم إلى عبيد، بل إلى مخلوقات حرّة، يحترمها احترامًا كاملًا. لذلك، لنلتزم، حتّى تكون حريّة المخلوقات مرآة لحريّة الخالق العظمى، وحتّى تكون أماكن العبادة محميّة ومحترمة، دائمًا وفي كلّ مكان، وتكون الصّلاة محمِيّةً لا يوضع أمامها أي عائق. ولا يكفي أن نمنح التّصاريح والاعتراف بحريّة العبادة، بل من الضّروري أن نَصِل إلى تحقيق الحريّة الدينيّة الحقيقيّة. وليس كلّ مجتمع فقط، بل كلّ معتقد مدعوٌّ إلى أن يتحقّق من نفسه في ذلك. إنّه مدعُوٌّ إلى أن يسأل نفسه هل يفرض قيودًا من الخارج على خلائق الله، أم يحرّرها من الداخل؟ هل يساعد الإنسان على أن ينبُذ التصلّب، والانغلاق والعنف، وهل يزيد في المؤمنين الحريّة الحقيقيّة، التي لا تقوم بأن تفعل ما يبدو لك ويَسُرُّكَ، بل أن نُعِدَّ أنفسنا لعمل الخير الذي خلقنا الله له.
تحدّي الصّلاة يخصُّ القلب. والتحدّي الثّاني، التّربية، يخُصّ أساسًا عقل الإنسان. يقول إعلان مملكة البحرين إنّ "الجهل هو عدوّ السّلام". هذا صحيح، لأنّه حيث تنقص فرص التّعليم، يزداد التطرّف وتتجذّر الأصوليّة. وإن كان الجهل عدوّ السّلام، فإنّ التّربية صديقة للتّنمية، شرط أن تكون تعليمًا يليق حقًّا بالإنسان، الكائن الديناميكيّ وذي العلاقات: إذن لا يكن التّعليم تزمّتًا ولونًا واحدًا منغلقًا، بل ليكن منفتحًا على التحدّيات وحسّاسًا للتّغيّرات الثقافيّة، وليس ذاتيّ المرجعيّة عازلًا، بل متنبّهًا لتاريخ وثقافة الآخرين، وليس جامدًا بل دائمًا في حالة بحث، لكي يشمل جوانب مختلفة وأساسيّة للإنسانيّة الواحدة التي ننتمي إليها. وهذا يسمح لنا، خصّوصًا، بأن ندخل إلى قلب المشاكل، دون أن ندَّعي أنّ لدينا الحلّ، ودون أن نحلّ المشاكل المعقّدة بالقول إنّها بسيطة، بل نكون مستعدين لمواجهة الأزمة دون أن نستسلم لمنطق الصّراع. منطق الصّراع يقودنا دائمًا إلى الدّمار. والأزمة تساعدنا على التّفكير وعلى النّضوج. في الواقع، لا يليق بالعقل البشريّ أنّ يسمح لمبرّرات القوّة بأن تسود على قوّة العقل، ولا يستخدم أساليب الماضي لحلّ المسائل الحاليّة، ولا يطبّق مخطّطات تقنيّة أو ما يلائم السّاعة على تاريخ الإنسان وثقافته. هذا يتطلّب منّا أن نتساءل، وأن نضع أنفسنا في أزمة، وأن نعرف كيف نحاور بصبر واحترام، وبروح الاستماع، وأن نتعلّم تاريخ وثقافة الآخرين. هكذا يتمّ تربية العقل البشريّ، وتغذيّة التّفاهم المتبادل. لأنّه لا يكفي أن نقول إنّنا متسامحون، بل علينا حقًا أن نُفسح المجال للآخر، ونعطيه الحقوق والفُرَص. إنّها عقليّة تبدأ بالتّربية، والأديان مدعوّة إلى دعمها.
على وجه التّحديد، أودّ أن أؤكّد على ثلاثة أمور تربوية مُلِحّة. أوّلًا، الاعتراف بالمرأة في المجال العام: "في التّعليمِ والعملِ ومُمارَسةِ حُقُوقِها الاجتماعيَّةِ السّياسيَّة" (راجع وثيقة الأخوّة الإنسانيّة من أجل السّلام العالمي والعيش المشترك). التّربية في هذا المجال، كما في المجالات الأخرى، هي الطّريق من أجل التّحرّر من الموروثات التاريخيّة والاجتماعيّة المناقضة لروح التّضامن الأخويّ، الذي يجب أن يتميّز به مَن يعبد الله ويحبّ القريب.
ثانيًا، "حماية حُقوق الأطفال الأساسيَّة" (المرجع نفسه)، حتّى يكبروا وقد تعلّموا، ووجدوا المساعدة اللازمة، والمرافقة، ولا يكون مصيرهم في أنياب الجوع ولسعات العنف. لِنربّ، ولْنربّ أنفسنا، لننظر إلى الأزمات، والمشاكل، والحروب، بعيون الأطفال: ليس الطّفولة السّاذجة، بل بالحكمة بعيدة النّظر، لأنّه إن فكّرنا فيهم فقط، سيظهر لنا التقدّم في البراءة، بدل الرِّبح، وسنساهم في بناء مستقبل يليق بالإنسان.
التّربية التي تبدأ في خليّة العائلة، تستمرّ في سياق الجماعة، والقريّة أو المدينة. لهذا، ثالثًا، أودّ أن أؤكّد على التّربية على المواطَنَة، وعلى العيش معًا، في الاحترام وضمن القوانين. وخصّوصًا، على أهميّة ”مفهوم المواطنة“ نفسها، الذي "يقومُ على المُساواةِ في الواجباتِ والحُقوقِ. لذا يَجِبُ العملُ على ترسيخِ مفهومِ المواطنةِ الكاملةِ في مُجتَمَعاتِنا، والتخلِّي عن الاستخدام الإقصائيِّ لمصطلح «الأقليَّاتِ» الذي يَحمِلُ في طيَّاتِه الإحساسَ بالعُزْلَةِ والدُّونيَّة، ويُمهِّدُ لِبُذُورِ الفِتَنِ والشِّقاقِ، ويَلغِي استحقاقاتِ وحُقُوقِ بعض المُواطِنين الدِّينيَّةِ والمَدَنيَّةِ، ويُؤدِّي إلى مُمارسةِ التّمييز ضِدَّهُم" (المرجع نفسه).
وهكذا نأتي إلى آخر تحدٍّ من التّحدّيات الثلاثة، وهو العمل، ويمكننا أن نقول قِوَى الإنسان. يقول إعلان مملكة البحرين إنّ "الدعوة إلى الكراهية والعنف والفتنة، هي تدنيس لاسم الله". يرفض المتديّن هذا الكلام، دون أي تبرير. يقول بقوّة ”لا“ للحرب التي هي تجديف على الله، واستخدام العنف. ويترجم هذا الـ ”لا“، بصوة متسقة في العمل. لأنّه لا يكفي أن نقول إنّ هذه الدّيانة مسالمة، بل من الضّروري أن نُدين ونَعزِل العنيفين الذين يسيئون إلى اسم الدين. ولا يكفي حتّى أن نَبتعِد عن التعصّب والتطرّف، بل يجب العمل في الاتّجاه المعاكس. "لذلك يجب وَقْفُ دَعْمِ الحَرَكاتِ الإرهابيَّةِ بالمالِ أو بالسّلاحِ أو التّخطيطِ أو التّبريرِ، أو بتوفيرِ الغِطاءِ الإعلاميِّ لها، ويجب اعتبارُ ذلك من الجَرائِمِ الدوليَّةِ التي تُهدِّدُ الأَمْنَ والسِّلْمَ العالميَّين، ويجب إدانةُ ذلك التَّطرُّفِ بكُلِّ أشكالِه وصُوَرِه“ (وثيقة الأخوّة الإنسانيّة من أجل السّلام العالمي والعيش المشترك). والتطرّف الأيديولوجيّ أيضًا.
الإنسان المتديّن، رَجُل السّلام، يعارض أيضًا السّباق إلى التّسلّح، وشؤون الحرب، وسُوقُ الموت. لا يدعم ”التّحالفات ضدّ أحدٍ ما“، بل يدعم طرق اللقاء مع الجميع: ودون الاستسلام للنسبيّة أو لتوفيقيّة المعتقدات من أيّ نوع، يسلك طريقًا واحدًا فقط، هو طريق الأخوّة والحوار والسّلام. هذه هي أجوبته عندما يقول ”نعم“. أيّها الأصدقاء الأعزّاء، لنسلك هذا الطّريق: ولنفتح قلبنا لأخينا، ولنتقدّم في طريق المعرفة المتبادلة. لنوَثِّقْ الرّوابط بيننا، من دون ازدواجيّة ومن دون خوف، باسم الخالق الذي وضعنا معًا في العالم حُرَّاسًا على الإخوة والأخوات. وإن تفاوضت قِوى مختلفة فيما بينها من أجل المصالح، المال، واستراتيجيّات السّلطة، لنبّيِّنْ نحن أنّ هناك طريقًا آخر ممكن للّقاء. وهو ممكن وضروريّ، لأنّ القوّة والسّلاح والمال لن يصنعوا مستقبل سلام إطلاقًا. لنلتقِ إذن من أجل خير الإنسان وباسم مَن أحبّ الإنسان، الذي اسمه سلام. لنشجّع المبادرات العمليّة، حتّى تكون مسيرة الأديان الكبرى دائمًا فعّالة وثابتة أكثر، لتكُنْ ضمير سلام للعالم! وهنا، أوجّه ندائي الشّامل إلى الجميع، حتّى يضعوا نهاية للحرب على أوكرانيا ويبدؤوا مفاوضات جادّة من أجل السّلام.
الخالق يدعونا إلى العمل، وخاصّة لصالح الكثير الكثير من مخلوقاته الذين ما زالوا لا يجدون مكانًا كافيًا في أجندات الأقوياء: الفقراء، والذين لم يولدوا بعد، وكبار السّنّ، والمرضى، والمهاجرون... إن كنّا نحن، الذين نؤمن بإله الرّحمة، لا نستمع إلى الفقراء، ولا نكون صوتًا لمن لا صوت لهم، فمن يفعل ذلك؟ لنكن إلى جانبهم، ولنعمل على مساعدة الإنسان الجريح والواقع في الشّدّة! إن فعلنا ذلك، سنجذب بركة الله تعالَى على العالم. ليُنِرْ خطواتنا ويوحّد قلوبنا وعقولنا وقِوانا (راجع مرقس 12، 30)، حتى تُكمَّل عبادتُنا لله بمحبّتنا الأخويّة والعمليّة للغير: لكي نكون معًا أنبياء العيش معًا، وصُنّاع الوَحدة، وبُناة السّلام. شكرًا.
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[1] "بإمكانِ الغَرْبِ أن يَجِدَ في حَضارةِ الشّرقِ عِلاجًا لبعضَ أمراضِه الرُّوحيَّةِ والدِّينيَّةِ التي نتَجَتْ عن طُغيانِ الماديِّة، والشّرق يمكِنه أن يجد في حضارةِ الغربِ عناصر كثيرة تساعِدُه على انتِشالِه من حالاتِ الضّعفِ والفُرقةِ والصِّراعِ والتَّراجُعِ العلميِّ والتقنيِّ والثقافيِّ. ومن المهمِّ الانتباهِ للفَوَارقِ الدِّينيَّةِ والثقافيَّةِ والتاريخيَّةِ التي هي مكوِّنٌ أساسيّ في تكوينِ شخصيَّةِ الإنسانِ الشّرقيِّ، وثقافتِه وحضارتِه. ومن المهم تَرسِيخِ الحقوقِ الإنسانيَّةِ العامَّةِ المُشترَكةِ، بما يُسهِمُ في ضَمانِ حياةٍ كريمةٍ لجميعِ البَشَرِ في الشَّرْقِ والغَرْبِ" (وثيقة الأخوةّ الإنسانيّة من أجل السّلام العالميّ والعيش المشترك، 4 شباط/فبراير 2019).
[01687-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0821-XX.02]