Intervento dell’Em.mo Card. Marcello Semeraro
Intervento di S.E. Mons. Marco Mellino
Intervento del Prof. Gianfranco Ghirlanda, S.I.
Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa di presentazione della Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium” sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo.
Sono intervenuti: l’Em.mo Card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi; S.E. Mons. Marco Mellino, Segretario del Consiglio di Cardinali; e il Prof. Gianfranco Ghirlanda, S.I., Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana, Facoltà di Diritto Canonico.
Ne riportiamo di seguito gli interventi:
Intervento dell’Em.mo Card. Marcello Semeraro
Con la pubblicazione della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium giunge a conclusione un cammino iniziato nove anni or sono; da quando, cioè, insieme con l’annuncio della costituzione di un Consiglio di Cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale, Papa Francesco annunciò pure l’avvio di una riforma della Curia Romana (13 aprile 2013). Le fasi e i momenti principali di questo processo e le sue progressive attuazioni saranno fra poco richiamati da S.E. Mons. Marco Mellino, segretario del Consiglio di Cardinali.[1]
La scelta di una prospettiva
Uno dei primi compiti del Consiglio di Cardinali fu senz’altro la scelta di una prospettiva per la nuova costituzione apostolica, alla maniera di quanto fu fatto per le due precedenti riforme curiali: la costituzione Regimini Ecclesiae universae (1967) di san Paolo VI e la costituzione apostolica Pastor Bonus (1988) di san Giovanni Paolo II.[2]
La riforma di san Paolo VI ebbe come principale finalità la corrispondenza alle istanze del Concilio Vaticano II sicché, nel disporre e realizzare la riforma della Curia, egli si riferì esplicitamente ai desideri espressi dai Padri Conciliari.[3] Si guarderà, in proposito, in modo particolare al decreto Christus Dominus, dove si trovano importanti elementi di principio, che tornano senz’altro – esplicitamente e implicitamente – nelle formulazioni sia di Pastor Bonus, sia di Predicate Evangelium.
I n breve, per il decreto conciliare si trattava non solo della natura della Curia romana, ma anche e soprattutto della necessità di riorganizzarla «in modo nuovo e conforme alle necessità dei tempi, dei paesi e dei riti, specialmente per quanto riguarda il loro numero, il loro nome, le loro competenze, i loro metodi di lavoro ed il coordinamento delle loro attività» (n. 9).
Quanto alla sua natura della Curia romana, il Concilio Vaticano II ricorda
a) che essa è una realtà di servizio; è uno strumento che collabora e aiuta il Papa nel governo di tutta la Chiesa. Scrive il Concilio che «nell’esercizio della sua suprema, piena ed immediata potestà sopra tutta la Chiesa, il romano Pontefice si avvale (utitur) dei dicasteri della curia romana» (Christus Dominus, 9). Si tratta di un principio fondamentale, su cui tornerò.
b) Di conseguenza, i vari dicasteri «compiono il loro lavoro nel suo nome e nella sua autorità (nomine et auctoritate illius), a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori (in bonum Ecclesiarum et in servitium Sacrorum Pastorum)» (Ibid.).
c) Poco più avanti, al n. 10 Christus Dominus ribadisce che tutti i dicasteri «sono stati costituiti per il bene della Chiesa universale» deducendo da ciò l’opportunità che la Curia romana presenti «un carattere veramente universale».
Quanto alla riforma attuata da san Giovanni Paolo II, anche il testo di Pastor Bonus ricorda i principi presenti in Christus Dominus, sicché la Curia romana
a) «in tanto vive e opera, in quanto è in relazione col ministero petrino e su di esso si fonda» (n. 7). Pertanto, «la caratteristica principale di tutti e di ciascun dicastero della Curia romana è quella ministeriale» (Ibid.).
b) Anche in questo caso si precisa: «Poiché … il ministero di Pietro, come «servo dei servi di Dio», viene esercitato nei confronti sia della Chiesa universale sia del Collegio dei Vescovi della Chiesa universale, anche la Curia romana, che serve il successore di Pietro, appartiene al servizio della Chiesa universale e dei Vescovi» (Ibid.)
Nella sua ampia Introduzione, poi, la costituzione Pastor bonus afferma subito la sua prospettiva teologica: la communio, una scelta alle origini e alla cui base ci fu senz’altro l’assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi convocata dallo stesso Giovanni Paolo II a venti anni dalla chiusura del Concilio (1985) nella cui relazione finale si legge l’affermazione perentoria: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio».
La riforma curiale ora promulgata da Francesco ha senz’altro analogie con queste precedenti riforme. Alla maniera di Paolo VI, infatti, che per avviare la riforma della Curia romana si richiamava alle indicazioni in precedenza giunte del Concilio, anche Francesco farà riferimento ad una indicazione precedente: «un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il Conclave».[4] Come, poi, accaduto per la redazione di Pastor Bonus, anche nel processo di redazione della nuova costituzione si cercò un principio ispiratore ecclesiologico e lo si individuò nella missionarietà. Le ragioni non sono difficili da riconoscere.
Tutti sappiamo, infatti, che proprio nella fase iniziale del suo servizio sulla Cattedra di Pietro, Francesco ha pubblicato la sua prima esortazione apostolica: la Evangelii gaudium (24 novembre 2013) dando ad essa esplicitamente «un significato programmatico» (n. 25). Si tratta, oltretutto, di un documento indispensabile per comprendere il processo di riforma inteso e avviato da Papa Francesco. Fu proprio riflettendo su quel testo che in sede di Consiglio di Cardinali si comprese presto che se riforma della Curia romana doveva esserci, essa doveva inserirsi in un ben più ampio progetto di «riforma». Con quell’esortazione apostolica, infatti, il Papa aveva consegnato alla Chiesa la sua speranza che tutte le comunità si adoperino fattivamente «per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno», perché «ora non ci serve una “semplice amministrazione”» (Ibid.). La stessa ben nota espressione: «trasformazione missionaria della Chiesa» con cui esordisce Evangelii gaudium, è da leggersi in prospettiva di «riforma».
Per comprendere adeguatamente cosa intende Francesco, sarà utile riferirsi a quanto egli stesso aveva detto il 28 luglio 2013 durante il viaggio a Rio de Janeiro per la 28° GMG. Incontrando i vescovi responsabili del CELAM il Papa aveva distinto due dimensioni della missione: una programmatica e l’altra paradigmatica. Disse che «la missione programmatica, come indica il suo nome, consiste nella realizzazione di atti di indole missionaria. La missione paradigmatica, invece, implica il porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari». La distinzione è molto importante ed è implicita in Evangelii gaudium dove Francesco scrive di sognare «una «scelta missionaria (= missione paradigmatica) capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale (= missione programmatica) diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27). Altrimenti detto, i cambiamenti strutturali devono essere il frutto di una scelta pastorale e questo vale, ovviamente, anche per la Curia romana.
Il titolo della costituzione apostolica risponde, dunque, a questa ispirazione. Esso era già in implicitamente reso noto nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede del 25 aprile 2018, dove si legge che tra i vari temi che andranno a formare il nuovo documento c’è da tener conto del fatto che «l’annuncio del Vangelo e lo spirito missionario» saranno la «prospettiva che caratterizza l’attività di tutta la Curia». Quanto, poi, all’espressione Praedicate Evangelium (che intenzionalmente vuole collegarsi a quella di Evangelii gaudium) è tratta, com’è facile vedere, da Mc 16,15: un mandato che, come aveva scritto san Giovanni Paolo II in Redemptoris missio, costituisce «il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità nel mondo odierno» (n. 2).
Ciò che da tale scelta di prospettiva ne è derivato quanto all’organizzazione della Curia romana sarà richiamato dal Segretario del Consiglio di Cardinali nell’intervento che seguirà a questo mio. Vale, in ogni caso, ciò che il Preambolo della Costituzione, riprendendo espressioni da Christideles laici di Giovanni Paolo II, ricorda al n. 4: «Per la riforma della Curia romana è importante avere presente e valorizzare anche un altro aspetto del mistero della Chiesa: in essa la missione è talmente congiunta alla comunione da poter dire che scopo della missione è proprio quello “di far conoscere e di far vivere a tutti la «nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella storia del mondo”».
Poco più avanti nello stesso numero, collegandosi al tema della «sinodalità» introdotto da Francesco nel Discorso del 17 ottobre 2015 in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il Preambolo scrive: «Questa vita di comunione dona alla Chiesa il volto della sinodalità … Questa sinodalità della Chiesa, poi, la si intenderà come il “camminare insieme del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore”. Si tratta della missione della Chiesa, di quella comunione che è per la missione ed è essa stessa missionaria» (n. 5).
Su come la Costituzione apostolica abbia tradotto nei fatti tale affermazione lo dirà nel suo intervento il Segretario del Consiglio di Cardinali. Quanto a me ricorderò soltanto che la proposta di assumere la sinodalità tra i principi ispiratori nel lavoro di riforma della Curia romana giunse insistente dai Capi Dicastero nella riunione avuta col Santo Padre il 24 novembre 2014. In quel contesto di disse che la sinodalità tra i Dicasteri è da ritenersi assai importante e dovrebbe svilupparsi nella Curia come una vera e propria cultura, aiutata da un sistema di comunicazione che consenta di sapere cosa fanno gli altri per evitare duplicati di attività e programmi.
Alcuni principi-guida per la riforma della Curia romana
Il n. 3 del Preambolo avverte che pure la riforma della Curia romana deve essere intesa nel contesto della missionarietà della Chiesa e, dopo avere accennato alle diverse riforme succedutesi dal XVI secolo ad oggi, conclude affermando che «questa nuova Costituzione apostolica si propone di meglio armonizzare l’esercizio odierno del servizio della Curia col cammino di evangelizzazione, che la Chiesa, soprattutto in questa stagione, sta vivendo».
C’è da dire che la decisione di Francesco di avviare un processo di riforma della Curia romana ha avuto come effetto quello di risvegliare l’attenzione nei riguardi dell’idea stessa di «riforma»: un tema e, soprattutto, un termine per riconciliarsi col quale la Chiesa cattolica ha dovuto attendere l’evento del Vaticano II. Citerò solo il decreto Unitatis redintegratio, dove al n. 6 si legge: «La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a [questa] continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno».
Non è certo il momento e il luogo per sviluppare un tema così impegnativo. A parte, tuttavia, la ripresa dell’antico assioma sull’ecclesia semper reformanda – e, magari, di una Curia semper reformanda – si è ormai convinti che «la riforma è una dimensione costitutiva della chiesa, di ogni chiesa, proprio perché si tratta della Chiesa di Cristo, il quale è la “forma” e il “formatore” della chiesa, in un dinamismo spirituale che fa di lui un perenne ri-formatore della sua sposa».[5] In breve si potrebbe dire che la riforma è un’istanza fondamentalmente spirituale e costitutiva della Chiesa, che s’esprime anche in riforme.[6] Anche per Francesco: quando parla della «riforma della Curia romana», egli non lo fa mai a prescindere dalla reformatio Ecclesiae. È ad essa, anzi, che egli guarda principalmente e questo mi pare importante al fine di (per usare una sua espressione) «recorrer parcelas pero avizorando pampas, mirar fragmentos pero contemplando formas».[7]
Quanto ad essa, dunque, Papa Francesco ha costantemente accompagnato il lavoro del Consiglio di Cardinali non soltanto con la sua presenza a tutte le sessioni di lavoro, ma pure guidandone l’opera specialmente mediante i suoi interventi – ben conosciuti – al tradizionale incontro pre-natalizio con la Curia romana.
Nel discorso del 22 dicembre 2016, in particolare, egli richiamò ben dodici criteri-guida della riforma (individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità). Mi soffermo su alcuni.
Il principio della sussidiarietà fu enunciato per la prima volta nella Dottrina Sociale della Chiesa al n. 80 della Quadragesimo anno e fu da Pio XII riconosciuto valido anche per la vita sociale della Chiesa. Ogni attività sociale è per natura sua sussidiaria; essa deve servire di sostegno per i membri del corpo sociale, e non mai distruggerli e assorbirli: così la formulava Pio XII nell’allocuzione ai nuovi cardinali del 20 febbraio 1946, precisando tuttavia che ciò doveva intendersi «senza pregiudizio della struttura gerarchica» della Chiesa.[8] Un’allusione a questo principio si trova nell’art. 3 §3 dello «Statuto» del nuovo Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale«, dove si legge: «Il Dicastero si adopera perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza materiale e spirituale – se necessario anche mediante opportune strutture pastorali – agli ammalati, ai profughi, agli esuli, ai migranti, agli apolidi, ai circensi, ai nomadi e agli itineranti».
A questo principio è collegato quello della decentralizzazione. In considerazione del fatto che il Successore di Pietro è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli (LG 23; cf. n. 18) la Curia romana è non soltanto strumento al servizio del Romano Pontefice, ma anche strumento di servizio per le Chiese particolari. Il n. 8 del Preambolo lo mette in evidenza: «La Curia romana è al servizio del Papa, il quale, in quanto successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli. In forza di tale legame (la sottolineatura è mia) l’opera della Curia romana è pure in rapporto organico con il Collegio dei Vescovi e con i singoli Vescovi, e anche con le Conferenze episcopali e le loro Unioni regionali e continentali, e le Strutture gerarchiche orientali, che sono di grande utilità pastorale ed esprimono la comunione affettiva ed effettiva tra i Vescovi».
Al concetto di decentralizzazione Francesco fece esplicito ricorso in Evangelii gaudium n. 16, dove si legge: «Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”». Poco più avanti, dopo avere ricordato la funzione delle Conferenze Episcopali, Francesco aggiunse questa considerazione: «Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria» (n. 32). Il termine decentralizzazione lo riprese poi nel discorso del 17 ottobre 2015, commemorativo del 50mo del Sinodo dei Vescovi.
Tra i criteri-guida per la riforma della Curia romana, nel discorso del 22 dicembre 2016 Francesco inserì pure quello della gradualità. Spiegava: «la gradualità è il frutto dell’indispensabile discernimento che implica processo storico, scansione di tempi e di tappe, verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni ad experimentum. Dunque, in questi casi non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma».
In questa ottica si leggeranno le «anticipazioni» che in questi anni – sino a tempi recenti con la lettera apostolica motu proprio del 14 febbraio 2022 con la quale Francesco ha modificato la struttura interna della Congregazione per la Dottrina della Fede – sono state attuate in vista della attuale riorganizzazione generale. Questo modo di procedere non è per nulla nuovo; si dirà, anzi, che è consueto in simili questioni.
Si ricorderà, difatti, che anche con Paolo VI ci furono delle innovazioni anticipatrici della costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae: così, col motu proprio Pastorale munus del 30 nov. 1963, si concedeva ai Vescovi residenziali 40 facoltà e 8 privilegi; ancora, col motu proprio Integrae servandae del 7 dic. 1965 sempre Paolo VI cambiava il nome e la struttura della Sacra Congregazione del Sant’Offizio. Di nuovo, col motu proprio De Episcoporum munerìbus del 15 giu. 1966 si diede esecuzione ad alcuni principi conciliari sui poteri dei Vescovi (cf. LG 27; ChD 8a) e ciò non solo allargando le già ampie facoltà del Pastorale munus, ma pure introducendo nell’ordinamento canonico la norma dell’elenco delle riserve pontificie in sostituzione di quella sull’elenco delle facoltà ai Vescovi. Non basta ancora, perché col motu proprio Ecclesiae sanctae del 6 ag. 1966 sempre Paolo VI promulgava le norme che davano esecuzione ad alcuni decreti del Concilio, aumentando ancora i poteri dei Vescovi e privando di conseguenza quasi integralmente di competenza la Dataria apostolica, che sarà poi ufficialmente soppressa. Di solo una settimana prima della promulgazione della Regimini Ecclesiae universae c’è poi il motu proprio Pro comperto sane (6 ag. 1967), documento fondamentale di cui dirò fra poco.
Non è da escludere che questo criterio (importante per conservare alla Curia romana il suo carattere di «servizio») possa rimanere pure a promulgazione avvenuta! Anche questo, d’altra parte, è già accaduto con le precedenti riforme. Paolo VI, ad esempio, dopo solo due anni dalla Regimini Ecclesiae universae procedette allo sdoppiamento dell’antica Congregazione dei Riti dando vita alle due nuove Congregazioni delle Cause dei Santi e del Culto divino;[9] quest’ultima, poi, cessò ben presto di funzionare autonomamente essendo unita, nel 1975 alla Congregazione della Disciplina dei Sacramenti per formare con essa un unico dicastero sotto la denominazione congiunta di Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ancora nel 1973 Paolo VI decretò la soppressione dell’antica Cancelleria Apostolica, portando le sue ormai residue competenze nella Segreteria di Stato.
Anche Giovanni Paolo II dopo il riordinamento della Curia romana operato con la Pastor bonus apportò ulteriori modifiche: ad esempio con la costituzione nel 1993 di un nuovo dicastero risultante dalla fusione in un unico organismo dei due Pontifici Consigli della Cultura e per il Dialogo con i non credenti. Contestualmente Giovanni Paolo II decretò lo sganciamento dalla Congregazione per il Clero della Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio e Storico della Chiesa conferendole assoluta autonomia sotto la diversa denominazione di Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa.
Il senso e la ragione delle forme d’intervento che ho appena esemplificato, potrebbero bene illustrarsi alla luce di ciò che Francesco ha scritto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium circa il principio (come egli lo enuncia) che «il tempo è superiore allo spazio». Questo principio – spiegava il Papa – permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone… Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci» (n. 223). A questo principio, il Papa, nel tempo intercorso fra l’inizio del lavoro di riforma della Curia romana ad oggi, è stato sempre fedele.
Un altro importante principio seguito nel processo di riforma della Curia romana è stato quello della tradizione, ch’è il principio della fedeltà alla storia e della continuità col passato. È proprio secondo questo principio che sarebbe stato fuorviante (oltre che fantasioso) pensare a una riforma tale da stravolgere l’intero impianto curiale. Nella Curia, difatti, ci sono Dicasteri che riguardano azioni fondamentali dell’agire ecclesiale, quali l’annuncio del Vangelo, la tutela della fede e la custodia dei costumi, la vita liturgica, il servizio della communio e della carità… Altri Dicasteri riguardano poi le persone e gli stati di vita nella Chiesa. Tutto ciò deve necessariamente essere conservato anche se, come per ogni struttura di servizio, ha sempre bisogno di una permanente sorta di «manutenzione».
Per altro verso e quasi a suo equilibrio si penserà al principio dell’innovazione. All’interno di questo criterio di innovazione si colloca pure la scelta e la nomina a Prefetto del Dicastero per la comunicazione di un fedele laico: decisione non improvvisata da parte del Papa; anzi appositamente studiata con il contributo di autorità in materia. Anche in questo caso, però, la scelta di Francesco ha un precedente significativo.
Prima ho citato san Paolo VI ed ora penso al totale capovolgimento che con la sua riforma curiale ebbe la Segreteria di Stato: dall’ultimo posto occupato tra i vari organismi curiali si trovò all’improvviso collocata in testa a tutti i dicasteri: non si trattò solto di una trasformazione strutturale giacché diveniva «una specie di Segreteria generale della Chiesa».[10] Altrettanto, se non più rilevante, sarà il già ricordato motu proprio Pro comperto sane col quale Paolo VI supererà il principio seguito ininterrottamente dal tempo della riforma di Sisto V (1588) secondo cui i dicasteri romani erano, nella loro composizione, legati al collegio cardinalizio e funzionavano quindi unicamente come congregationes cardinalium. Da qui la denominazione di «congregazione» finora riservato ad alcuni dicasteri della Curia romana. Col suo motu proprio Paolo VI superava tale principio stabilendo la cooptazione di vescovi diocesani come membri delle Congregazioni della Curia romana. Il cambiamento era stato auspicato dal Concilio;[11] con la sua attuazione, Paolo VI segnò un cambiamento d’epoca.
Si potrebbe, non senza ragione, ritenere di analoga portata la scelta fatta da Francesco di porre fedeli laici alla guida di un Dicastero.[12] Anche questa scelta fu, seppure timidamente, auspicata dal Vaticano II[13] sicché, pensando dopo più di cinquant’anni a questa attuazione delle istanze del Vaticano II, mi tornano alla memoria le parole di Francesco nel dialogo privato che ebbe il 23 settembre 2018 coi gesuiti dei Paesi baltici. A un giovane gesuita lituano che gli aveva domandato come avrebbero potuto aiutarlo, il Papa rispose: «Sento che il Signore vuole che il Concilio si faccia strada nella Chiesa. Gli storici dicono che perché un Concilio sia applicato ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada. Dunque, se vuoi aiutarmi, agisci in modo da portare avanti il Concilio nella Chiesa. E aiutami con la tua preghiera. Ho bisogno di tanta preghiera».[14]
Il Preambolo, dunque, al n. 10 asserisce: «Il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa… Ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo missionario “nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù”. Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità».
Questo è ribadito dal n. 5 dei Principi e criteri per il servizio della Curia romana sull’«Indole vicaria della Curia romana». Qui si stabilisce che «qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi». Alla base di tale scelta c’è il fatto che «ogni Istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale».[15]
Tutto si innesta, evidentemente, sulla teologia del laicato promossa dal Vaticano II e approfondita e sviluppata nei decenni successivi.[16] Di ciò tratterà fra poco nel suo intervento il p. G. Ghirlanda S. J. In fin dei conti, la scelta di abbandonare il termine «Congregazione» potrebbe essere considerato anche alla luce di quanto è stato appena detto. Questa terminologia, infatti, che risale alla Immensa aeterni Dei (1588) di Sisto V, supponeva che titolari di presidenza delle «Congregazioni» fossero unicamente i Cardinali. Si parlava, quindi di Sacrae Congregationes Cardinalium. Ora non è più così. Il termine Dicastero lascia intendere che in linea di principio, secondo la natura del Dicastero, possono svolgere tale ufficio tutti i battezzati: chierici, persone di vita consacrata, fedeli laici.
Quanto al termine «dicastero», nelle precedenti legislazioni ricorreva con grande frequenza, ma sempre con valore sintetico, generale. La Regimini Ecclesiae Universae spiegava, ad esempio, che con esso si annoveravano «le Sacre Congregazioni, i Tribunali e gli Uffici, con l’aggiunta dei Segretariati, istituiti con valida e solida motivazione»; in Pastor Bonus si legge che «col nome di dicasteri si intendono: la Segreteria di Stato, le Congregazioni i Tribunali, i Consigli e gli Uffici, cioè la Camera apostolica, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica, la Prefettura degli affari economici della Santa Sede».[17]
In Praedicate Evangelium «Dicastero» non è più un termine generico, ma designa unicamente i sedici organismi chiamati con tale nome, le cui competenze si ricavano da quanto è spiegato nella medesima costituzione apostolica.
Un ulteriore principio seguito dal Consiglio di Cardinali per la riforma della Curia romana è quello della concentrazione su quanto è davvero necessario per la Chiesa universale. È un principio che potrebbe anche essere chiamato «di semplificazione» ed è quello che ha già suggerito l’accorpamento in alcuni Dicasteri di precedenti Pontifici Consigli e anche alcune altre realtà curiali.
Il preambolo della Costituzione
Prima di concludere il mio intervento, desidero proporre un rapido sguardo alla struttura del Preambolo, termine che sarà inteso nel senso che aveva nella latinità ed anzi, aggiungerei, quale «chiave di lettura». Esso si compone di dodici numeri, il primo dei quali dà ragione della scelta del titolo, esplicitandolo subito nei due richiami alla conversione missionaria della Chiesa e alla Chiesa quale mistero di comunione (cf. nn. 2-4).
I nn. 5-9 mettono a fuoco il servizio specifico della Curia romana (cf. n. 8); tema questo, posto per un aspetto in riferimento al servizio del Primato e del Collegio dei vescovi (cf. nn. 5-6) e peraltro ai temi della communio episcoporum e delle Conferenze episcopali (cf. nn. 7 e 9).
La parte conclusiva (i nn. 11-12) riguarda il significato della riforma della Curia romana. Ne leggo pochi passaggi iniziali: «La riforma della Curia romana sarà reale e possibile se germoglierà da una riforma interiore, con la quale facciamo nostro «il paradigma della spiritualità del Concilio», espressa dall’«antica storia del Buon Samaritano» …». Sono qui riprese alcune parole di san Paolo VI in uno sguardo retrospettivo verso il Concilio Vaticano II.[18] Nella Praedicate Evangelium di Francesco ci rimandano quella sua ispirazione ignaziana, che egli stesso dichiarò nel suo già citato discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2016. Qui il Papa riprese l’adagio deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare.[19]
Si tratta di passaggi progressivi che richiamano il percorso delle quattro settimane degli Esercizi Spirituali, dove la prima corrisponde alla cosiddetta «via purgativa» (deformata reformare), la seconda a quella chiamata «via illuminativa» (reformata conformare), la terza e quarta settimana corrispondono alla «via unitiva» (conformata confirmare e confirmata transformare). In questi passaggi la parola «forma», con le diverse accezioni denotate dai diversi prefissi, ha il significato di un lasciarsi plasmare da Dio, come in principio egli fece con Adamo.[20]
La prima eco, dunque, che la parola «riforma» suscita nell’animo di Francesco è una riforma della propria vita. Tutto questo si collega armonicamente con ciò che egli stesso intende quando parla di Ecclesia semper reformanda. Così il 10 novembre 2015 a Firenze, nel V Convegno nazionale della Chiesa italiana: «La riforma della Chiesa … non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività».
Se si comprende questa concezione della riforma della Curia romana non sembreranno fuori di luogo l’inserimento, fra i Principi e criteri per il servizio della Curia romana un numero dedicato alla spiritualità (cf. n. 6). Per Francesco, infatti, «riforma» è molto più di un qualunque mutamento strutturale. Si tratta, invece, di operare in modo che la Chiesa, pur nello scorrere del tempo e nei mutamenti della storia conservi ossia la sua trasparenza (sacramentalità) nei riguardi del progetto di Dio che la fa esistere e in essa dimora.
Questo vale anche per la Curia. Ciò che, insomma, per essa si chiama «riforma» è intimamente connesso al volto di Chiesa in uscita missionaria, come si legge in Evangelii gaudium: «La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (n. 27).
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[1] Per alcuni miei precedenti interventi sul tema della riforma della Curia romana, cf. M. Semeraro, La riforma di Papa Francesco, ne «Il Regno - Attualità» 14/2016, 433-441; In atto. Riforma della Curia, ne «Il Regno-attualità 2/2018», 1-7; Papa Francisco, La reforma de la Curia Romana. Ediciόn preparada y comentada por Mons. Marcello Semeraro, LEV-Romana, Città del Vaticano-Madrid, 2017.
[2] Per una storia di queste riforme cf. N. Del Re, La Curia romana, Lineamenti storico-giuridici, LEV, Città del Vaticano 19984, 53-58.
[3] Di grande utilità sarebbe in questo caso la rilettura del Discorso di Paolo VI alla Curia romana del 21 settembre 1963. Il termine «riforma» ricorre più volte. Riguardo alla Curia romana sono significative due affermazioni: «Che debbano essere introdotte nella Curia Romana alcune riforme non è solo facile prevedere, ma è bene desiderare», è la prima; l’altra affermazione riguarda un legame tra la Ecclesia semper reformanda e la Curia semper reformanda. L’affermazione di san Paolo VI è questa è la seguente: «il proposito di ammodernamento nelle strutture giuridiche e di approfondimento nella coscienza spirituale non solo non trova resistenza per quanto riguarda il centro della Chiesa, la Curia Romana, ma trova la Curia stessa all’avanguardia di quella perenne riforma, di cui la Chiesa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha perpetuo bisogno». Il rapporto tra riforma della Chiesa e riforma della Curia si ritrova nella scelta di Francesco: cf. Principi e criteri per il servizio della Curia romana, n. 12.
[4] Cf. Comunicato della Segreteria di Stato del 13 aprile 2013: «Il Santo Padre Francesco, riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle Congregazioni Generali precedenti il Conclave, ha costituito un gruppo di Cardinali per consigliarLo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana».
[5] S. Xeres, La riforma come dimensione essenziale delle Chiesa. Panorama storico, in M. Wirz (a cura di), «Riformare insieme la Chiesa», Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano 2016, 59. Sul tema nel magistero di Francesco, cf. R. Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica. L’ecclesiologia di papa Francesco, LEV, Città del Vaticano 2017; M. Semeraro, La riforma della Chiesa secondo Papa Francesco, in R. Luciani, M. Teresa Compte (coords) «En camino hacia una Iglesia sinodal. Da Pablo VI a Francisco» Fundacion Pablo VI, PPC, Boadilla del Monte (Madrid), 2020, 11-22. Più in generale, cf. A. Spadaro, C. M. Galli (edd.), La riforma e le riforme nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2016.
[6] Cf. L. Manicardi, «Riformare: elementi spirituali», in Wirz, Riformare insieme la Chiesa cit., 40.
[7] J. M. Bergoglio S.J., Meditaciones para religiosos, ed. Diego de Torres, San Miguel-Buenos Aires [1982], 11 (rist. ed. Mensajero, Bilbao 2014, 17): tr. it. Nel cuore di ogni padre. Alle radici della mia spiritualità, Rizzoli, Milano 2014, 7: «percorrere cortile scorgendo praterie, guardare frammenti, ma contemplare forme».
[8] Si terrà, dunque, conto che la Chiesa pur essendo una realtà misterica e, al tempo stesso, una realtà storico-sociale: «Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino» (LG 8).
[9] Cf. la costituzione Sacra Rituum Congregatio dell’8 maggio 1969.
[10] Del Re, La Curia romana, 75.
[11] «Viene altresì auspicato che tra i membri dei dicasteri siano annoverati anche alcuni vescovi, specialmente diocesani, che possano in modo più compiuto rappresentare al sommo Pontefice la mentalità, i desideri e le necessità di tutte le Chiese»: Christus Dominus, n. 10.
[12] Attualmente è il caso soltanto del Dicastero per la Comunicazione.
[13] «i Padri conciliari stimano che sia molto utile che i sacri dicasteri chiedano, più che in passato, il parere di laici che si distinguano per virtù, dottrina ed esperienza, affinché anch’essi svolgano nella vita della Chiesa il ruolo che loro conviene»: Christus Dominus, n. 10.
[14] Papa Francesco, «Credo che il Signore stia chiedendo un cambiamento nella Chiesa». Dialogo privato con i gesuiti dei Paesi baltici, ne «La Civiltà Cattolica» 2018, IV, 111.
[15] Cf. pure le Norme generali, art. 15.
[16] Su questo tema cf. V. Mignozzi, Esiste un’autorità dei christiideles laici nella Chiesa? Linee interpretative (sostenibili) in prospettiva ecclesiologica, in «Apulia Theologica» gennaio-giugno 2018, 151-172.
[17] Norme generali, art. 2 §1. L’art. 2 precisava che «i dicasteri sono giuridicamente pari fra di loro». L’art. 1 definiva la Curia romana come «l’insieme dei dicasteri e degli organismi che coadiuvano il romano Pontefice nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari, esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del Popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo». In Praedicate Evangelium l’art. 12 §1 delle Norme generali recita: «La Curia romana è composta dalla Segreteria di Stato, dai Dicasteri e dagli Organismi, tutti giuridicamente pari tra loro».
[18] Cf. Paolo VI, Allocuzione per l’ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II (7 dicembre 1965).
[19] È possibile che Bergoglio nel riferire l’adagio si ispiri a G. Fessard, La dialectique des exercices spirituels de S. Ignace de Loyola, Aubier, Paris, 1966 (ed. spagnola: La dialéctica de los ejercicios espirituales de San Ignacio de Loyola, Mensajero–Sal Terrae, Bilbao–Santander 2010, 52–53). Per questo cf. D. A. Lugo S. J., En camino hacia la libertad: el fin de los Ejercicios Espirituales y la gracia de Dios: tesi discussa alla Universidad Pontificia Comillas, Madrid 2020; cf pure M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano 2017, 19. 99-103; S. Madrigal Terrazas S. I., Maestri spirituali di Papa Francesco. Hugo Rahner, Miguel Ángel Fiorito, Gaston Fessard, ne «La Civiltà Cattolica» 2022, I, 590-604.
[20] Cf. Antonio Spadaro S. J, «La riforma secondo Francesco. Le radici ignaziane», ne La Civiltà Cattolica 2015/4, 114-131 (quad. 3968 – 24 ottobre 2015).
[00417-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Intervento di S.E. Mons. Marco Mellino
1. Elaborazione del testo
Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco scrive: “Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale”[1]. Assecondando tale spirito e con questo preciso intento, anche in forza del mandato e delle precise indicazioni che le Congregazioni generali tenutesi nei giorni prima del Conclave avevano puntualizzato per il nuovo Pontefice che sarebbe stato eletto, il Santo Padre, in questi anni, coadiuvato dal Consiglio di Cardinali[2], ha discusso e riflettuto a lungo su tale aspetto, con il preciso intento di proporre la revisione della Costituzione apostolica Pastor bonus. Si è messo in ascolto delle osservazioni, dei pareri, dei suggerimenti e delle istanze dei Capi Dicastero della Curia romana, incontrandoli personalmente nelle sessioni del Consiglio di Cardinali, ma anche tenendo riunioni interdicasteriali ed un Concistoro di Cardinali (12 e 13 febbraio 2015). Ha, inoltre, accolto pareri e indicazioni giunti da episcopati locali ed altri[3]. In tal modo, insieme con il Consiglio di Cardinali, è andata maturando una visione d’insieme, che si è progressivamente delineata in un progetto di riforma di cui il testo promulgato è il risultato. Esso è frutto di un’elaborazione che ha visto compiersi diversi passaggi coerenti col principio che “una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto”[4].
A quasi cinque anni dall’inizio dei lavori (28 settembre 2013), le diverse considerazioni maturate nelle riflessioni e discussioni affrontate nelle sessioni del Consiglio di Cardinali hanno portato alla stesura di una prima bozza (datata settembre – dicembre 2018), che nella redazione delle sue varie parti, oltre alla scelta di ideale continuità con la Costituzione apostolica Pastor Bonus, conteneva i criteri e i principi guida del nuovo impianto costituzionale.
Questo testo è stato oggetto di attenta revisione e discussione nelle sessioni di febbraio ed aprile del 2019 del Consiglio di Cardinali, per venire poi sottoposto alla consultazione di tutti i Superiori dei Dicasteri e degli Istituti della Curia romana e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede. È stato altresì inviato a tutte le Conferenze episcopali, i Patriarcati e le Chiese Arcivescovili Maggiori; alle Rappresentanze Pontificie; a tutte le Pontificie Università presenti in Urbe e ad alcune fra quelle presenti nei diversi continenti indicate personalmente dal Santo Padre; ad alcune Agenzie di informazione scelte per aree continentali e linguistiche.
Raccolte tutte le osservazioni e le proposte pervenute da suddetta consultazione, il Santo Padre e il Consiglio di Cardinali, nelle sessioni di giugno e settembre 2019, hanno esaminato, discusso e votato ogni emendamento, arrivando così alla stesura di un testo che, nel mese di ottobre 2019, è stato nuovamente sottoposto alla consultazione di alcuni dei Capi Dicastero della Curia romana e nel mese di gennaio 2020 è stato inviato ai Cardinali residenti in Urbe per un loro parere insieme ad eventuali suggerimenti.
Tutti gli emendamenti pervenuti da questa seconda consultazione sono stati nuovamente oggetto di esame, discussione e votazione, in parte nella sessione del Consiglio di Cardinali tenutosi nel mese di febbraio 2020 e quelli restanti, non avendo potuto tenersi le programmate sessioni a motivo della pandemia, sono stati esaminati per via telematica. Il risultato del loro lavoro è stata la bozza del testo, datato 8 giugno 2020, consegnato dai Cardinali del Consiglio al Santo Padre.
Da quel momento tutto è stato rimesso alla considerazione del Papa, il quale, fin dal mese di luglio 2020, ha esaminato personalmente gli emendamenti tenendo presente le osservazioni, le indicazioni e le proposte pervenute e compiendo proprie scelte, quale Supremo Legislatore.
Il risultato di questa elaborazione è stato il testo che, in data 16 settembre 2020, è stato sottoposto alla considerazione della Congregazione per la Dottrina della Fede e al Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, chiedendo di far pervenire in merito un parere complessivo sullo stesso, insieme alle eventuali puntuali e circoscritte osservazioni che sarebbero state ritenute opportune, sia in merito all’aspetto dottrinale che a quello giuridico.
Le suddette Istituzioni curiali hanno provveduto a far pervenire quanto richiesto e il Santo Padre, avvalendosi del loro competente contributo, è pervenuto alla formulazione definitiva del testo promulgato in data 19 marzo 2022, Solennità di San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria, e che entrerà in vigore domenica 5 giugno 2022, Solennità di Pentecoste.
2. Un “tassello” che porta a compimento la riforma della Curia romana
In questi anni, mentre con il Consiglio di Cardinali portava avanti lo studio del progetto della revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus, Papa Francesco ha posto in essere diversi provvedimenti di riforma[5], pertanto il testo della nuova Costituzione apostolica si colloca fra questi provvedimenti attuati finora. Si aggiunge ad essi, a dimostrazione che l’opera della riforma è più ampia del solo testo della Costituzione in parola e che la stessa è parte di essa. Per un verso, quindi, è un tassello che si inserisce in un mosaico più ampio e articolato. D’altra parte è pur vero, però, che con questo testo la riforma della Curia romana trova la sua forma compiuta.
Alcuni di questi provvedimenti hanno riguardato l’istituzione o la riorganizzazione di organismi della stessa Curia romana, che il testo promulgato ha conformemente recepito. Si tratta:
- della Sezione della Segreteria di Stato per il Personale di ruolo diplomatico della Santa Sede [6];
- della costituzione in due Sessioni del Dicastero per la Dottrina della Fede[7];
- della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori[8];
- del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita[9];
- del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale[10];
- del Dicastero per la Comunicazione[11];
- del Consiglio per l’economia;
- della Segreteria per l’economia[12];
- dell’Ufficio del Revisore Generale[13];
- della Commissione di Materie Riservate[14];
- del Comitato per gli Investimenti[15];
- dell’inserimento della Cappella Musicale Pontificia nell’Ufficio delle Celebrazioni
- Liturgiche del Sommo Pontefice (art. 233 § 2)[16].
Per quanto riguarda le Istituzioni collegate con la Santa Sede: l’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria[17].
3. Il titolo è indicativo di una prospettiva
Il titolo della Costituzione in parola - Praedicate Evangelium (tratto dall’espressione di Mc. 16,15: il mandato affidato dal Risorto ai suoi discepoli) - fa riferimento all’evangelizzazione tout court ed indica la prospettiva nella quale il testo è stato elaborato: la missionarietà[18]. Tale scelta si spiega alla luce dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium - al quale intenzionalmente si ricollega –, che rimane il documento indispensabile per comprendere il processo di riforma che Papa Francesco sta attuando ed indica chiaramente che il cuore della riforma muove da quello che è il primo e più importante compito della Chiesa: l’evangelizzazione. San Paolo VI ha affermato che “evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare”[19]. Da ciò ne segue che la dimensione missionaria deve essere capace di trasformare ogni struttura ecclesiale. Lo stesso Papa Francesco ha affermato: “La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie”[20]; diversamente la riforma sarebbe solamente una riorganizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico[21].
Atteso che la missionarietà, la “Chiesa in uscita” è l’asse portante che struttura il testo della Costituzione apostolica in parola, ciò rende ragione della creazione del Dicastero per l’Evangelizzazione e l’ordine di posizione assegnatogli nel Titolo V riguardante i Dicasteri.
A scanso di equivoci, è bene precisare che tutti i Dicasteri godono di pari dignità giuridica[22] e che tutti esercitano potestà di giurisdizione, pertanto l’ordine del loro posto nell’elenco non ha di per sé alcun valore giuridico, ma – almeno per i primi tre - è quanto meno significativo. Pertanto, la scelta di assegnare al Dicastero per l’Evangelizzazione l’ordine di precedenza esplicita la prospettiva della missionarietà nella quale è stata compiuta la visione generale della riforma curiale.
Ciò non intende affatto preporre l’attività dell’evangelizzare alla stessa fede in Cristo (posponendo il Dicastero per la Dottrina della Fede a quella per l’Evangelizzazione). Questa scelta la si comprende bene alla luce del cambiamento di epoca che storicamente si sta compiendo e che richiede inevitabilmente alla Chiesa di affrontare sfide inedite, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes, sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo[23]. Lo ha affermato chiaramente il Santo Padre in un passaggio del Discorso alla Curia romana del 2019: “Quando [la Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli] furono istituite, si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso questa situazione non esiste più… Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica… Tutto questo comporta necessariamente dei cambiamenti e delle mutate attenzioni anche nei suindicati Dicasteri, come pure nell’intera Curia”[24].
Questa priorità e centralità dell’evangelizzazione è evidenziata altresì dalla voluta scelta che a presiedere il Dicastero per l’Evangelizzazione sia il Papa stesso[25] e ciascuna delle due Sezioni da cui è costituito (la Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo e la Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari) sia retta in suo nome e per sua autorità da un Pro-Prefetto.
Infine, è significativo il fatto che, nell’ordine stabilito, al Dicastero per l’Evangelizzazione seguono il Dicastero per la Dottrina della Fede e il Dicastero per il servizio della Carità, che non solo si affiancano, ma formano, ciascuno per la sua competenza, un tutt’uno nell’azione missionaria alla quale la Curia romana è chiamata e costituiscono una triade che “dà il timbro” a tutto il testo della Costituzione apostolica. Alla luce di questa visione d’insieme, nella quale è stato ripensato lo spirito del servizio curiale, appare evidente la ragione per cui si sia voluto elevare l’Elemosineria Apostolica a Dicastero[26].
4. La Curia romana è a servizio
La Curia romana è per sua natura un organismo di servizio[27]. È l’istituzione della quale il Papa si avvale ordinariamente nell’esercizio del suo supremo Ufficio pastorale e della sua missione universale nel mondo[28]. In ragione di questo servizio al ministero petrino, la Curia romana si pone altresì al servizio dei Vescovi[29]. Pertanto essa “è al servizio del Papa, successore di Pietro, e dei Vescovi, successori degli Apostoli, secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno”[30].
Questa concezione della Curia romana, senza mutarne la natura giuridica[31], evidenzia ed esplicita che il suo servizio si esprime nella dedizione al bene della Chiesa universale e allo stesso tempo delle Chiese particolari. Essa è al servizio del Papa: esiste e agisce solo in quanto serve il Santo Padre e serve al Santo Padre; in suo nome e con la sua autorità adempie la propria funzione (potestà ordinaria vicaria). Nello stesso tempo l’azione della Curia romana non può prescindere dal riferimento al ministero dei Vescovi, sia in quanto membri del Collegio episcopale, sia in quanto pastori della Chiesa particolare. Essa, infatti, è strumento di comunione e di partecipazione alle sollecitudini ecclesiali nella misura e in cui lo è il Romano Pontefice ed entro i limiti della Sua pur suprema potestà e missione[32].
Proprio in forza di questa sua diaconia collegata con il ministero petrino la Curia romana è, perciò, da una parte strettissimamente congiunta con i Vescovi di tutto il mondo, e, dall’altra, gli stessi Vescovi e le loro Chiese sono i primi e principali beneficiari della sua opera[33]. Essa esercita questo servizio nel rispetto di quella comunione gerarchica e sinodale cui partecipano tutti i successori degli Apostoli[34].
Da ciò si evince che il sostantivo che qualifica la Curia romana - servizio - oltre a delinearne la natura esprime altresì lo spirito con cui è chiamata ad operare[35], sia verso il Santo Padre che i Vescovi, nei riguardi dei quali, per tale ragione, nel suo agire, non deve mai condizionare, né tanto meno ostacolare i loro rapporti e contatti, bensì favorire tra gli stessi la comunione reciproca, affettiva ed effettiva[36]. La Curia romana, dunque, non si colloca tra il Papa e i Vescovi, ma appunto si pone al servizio, ossia espleta il compito che le è proprio nei riguardi di entrambi “secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno”[37], senza lasciare adito ad equivoci ed incomprensioni da chi essa dipenda ultimamente e quali siano le sue competenze nell’ambito delle quali è chiamata a fare il suo servizio per il bene della Chiesa tutta.
5. La sinodalità
La sinodalità è un tratto proprio e distintivo della Chiesa; è una dimensione costitutiva della stessa e la qualifica da sempre. Non si tratta, pertanto, di un atteggiamento da avere o qualcosa da fare, bensì riguarda propriamente ciò che la Chiesa è. Tocca la sua la natura e la sua identità[38]. È semplicemente ciò a cui è chiamata. Pertanto la sinodalità anima anche le strutture in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime in modo istituzionale[39].
Per la Curia romana ciò significa che l’esercizio del suo servizio dev’essere sinodale[40]. Gli aspetti di questa sinodalità sono i seguenti: intradicasteriale, interdicasteriale, con i vari livelli della Chiesa, con la Segreteria Generale del Sinodo (dei Vescovi). Di ciascuno richiamiamo alcune norme a modo di esempio:
Sinodalità intradicasteriale:
- i Membri di un Dicastero sono rappresentanti della totale realtà dei fedeli del popolo di Dio: chierici (di tutti i vari gradi), membri di Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica e laici (art. 15);
- all’interno di ciascun Dicastero, Organismo o Ufficio ciascuno è chiamato ad adempiere il proprio ruolo in modo che la sua operosità favorisca un funzionamento disciplinato ed efficace, al di là delle diversità culturali, linguistiche e nazionali (art. 9 § 2);
- si prescrive l’uso in modo regolare e fedele degli organi previsti: il Congresso e la Sessione ordinaria (Principi e criteri per il servizio della Curia romana, 9; art. 10, 25, 26 § 2);
- la convocazione della Sessione plenaria deve adempiersi ogni due anni, tranne che l’Ordo servandus di un Dicastero disponga un periodo di tempo maggiore (art. 26 § 3);
Sinodalità interdicasteriale:
- abituali riunioni dei Capi Dicastero, presiedute dal Romano Pontefice e coordinate dal Segretario di Stato (Principi e criteri per il servizio della Curia romana, 8, art. 34);
- consuete Riunioni interdicasteriali (Principi e criteri per il servizio della Curia romana, 9; art. 10);
- Commissioni interdicasteriali per trattare, quando è necessario, affari di competenza mista che richiedono una consultazione reciproca e frequente (art. 28 § 5);
- convergenza fra i vari Dicasteri, Organismi o Uffici in una dinamica di mutua collaborazione, ciascuno secondo la propria competenza (art. 9 § 1);
- nella preparazione di un documento generale da parte di un’Istituzione curiale è prevista la richiesta di osservazioni, emendamenti e suggerimenti alle atre Istituzioni curiali coinvolte (art. 29 § 1);
- per favorire un migliore coordinamento dei vari settori dei Dicasteri, degli Organismi e degli Uffici della Curia, è compito della Segreteria di Stato, in qualità di segreteria papale (art 44), espletare la sua importante funzione volta proprio alla realizzazione dell’unità e dell’interdipendenza fra gli stessi, favorire il coordinamento senza pregiudizio dell’autonomia di ciascuno (art. 46)[41].
Sinodalità con i vari livelli dell’esistenza della Chiesa: Chiesa particolare, Conferenze episcopali, le loro Unioni regionali e continentali e le Strutture gerarchiche orientali[42]. Molteplici sono gli articoli del testo costituzionale che mettono in atto questo aspetto. Ci limitiamo a rilevarne tre dalle Norme generali:
- collaborazione nelle questioni più importanti (art. 36 § 1)[43];
- preparazione dei documenti di carattere generale aventi rilevante importanza o quelli che riguardano in modo speciale alcune Chiese particolari: saranno preparati tenendo conto del parere delle Conferenze episcopali, delle loro Unioni regionali e continentali e delle Strutture gerarchiche orientali coinvolte (art. 36 § 2);
- l’istituto della Visita ad limina Apostolorum, durante la quale, mediante un dialogo franco e cordiale, i Prefetti consigliano, incoraggiano, danno suggerimenti ed opportune indicazioni ai Vescovi al fine di contribuire al bene e allo sviluppo della Chiesa intera, all’osservanza della disciplina comune e nello stesso tempo raccolgono dagli stessi suggerimenti e indicazioni per offrire un servizio sempre più efficace (artt. 38 - 42).
Sinodalità con la Segreteria Generale del Sinodo (dei Vescovi)
- La Curia romana collabora, secondo le rispettive specifiche competenze, all’attività della Segreteria Generale del Sinodo (dei Vescovi) secondo quanto stabilito nella normativa propria del Sinodo stesso (art. 33).
- È significativo sottolineare che Curia romana e Sinodo (dei Vescovi), entrambi costituiti mediante propria Costituzione apostolica[44], sono le Istituzioni delle quali ordinariamente il Santo Padre si avvale nell’esercizio del suo supremo Ufficio pastorale e della sua missione universale nel mondo[45].
6. La corresponsabilità nella communio
Il servizio della Curia romana, sempre nel pieno rispetto della collegialità, si attua anche nello spirito di un “sano decentramento”[46], ossia nel saper valorizzare le capacità locali nell’affrontare e risolvere questioni che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa[47], al fine di garantire una più rapida efficacia dell’azione pastorale di governo dei Pastori agevolata dalla loro prossimità alle persone e alle fattispecie in loco che lo richiedono.
Questo criterio risponde al principio di sussidiarietà, il quale, in modo analogico, può essere applicato all’interno della vita della Chiesa, che è insieme mysterium e societas (LG 8), senza pregiudicarne la sua struttura gerarchica[48]. Nella Chiesa, infatti, alla sussidiarietà è preminente il principio di “comunione”, che regola i rapporti fra enti che non sono estrinseci e concorrenziali, bensì inscindibilmente immanenti l’uno all’altro[49], sebbene con quella strutturazione gerarchica che è propria di ogni comunione ecclesiale. La Chiesa, infatti, è una comunione il cui livello gerarchico è insuperabile. Ciò significa, pertanto, che si può certamente invocare ed applicare, quando è lecito e possibile, una “sana decentralizzazione” nella vita della Chiesa, ma non meramente in nome di un rapporto sussidiario fra due entità estrinseche, bensì in nome di quell’immanenza comunionale in cui fra i soggetti vige la norma del reciproco servizio e donazione, in cui la vitalità e il crescere dell’uno ricade a beneficio dell’altro[50]. Da qui il significato dell’espressione usata al riguardo nel testo della Costituzione in parola: “corresponsabilità nella communio”, nella quale davvero qualificante è il principio di “comunione” e dove il principio di “sussidiarietà” è recepito, inteso e applicato secondo la realtà del mysterium communionis proprio della Chiesa.
Diversi sono gli articoli della Costituzione in parola che si muovono in questa direzione con il preciso intento di favorire innanzitutto il senso della collegialità e della responsabilità pastorale, oltre che assecondare i principi di razionalità, efficacia ed efficienza.
Inoltre, proprio perché è strumento a servizio della comunione, la Curia romana, che in forza delle conoscenze che gli vengono dal suo servizio alla Chiesa universale è in grado di raccogliere ed elaborare la ricchezza delle migliori iniziative e delle proposte creative riguardanti l’evangelizzazione messe in atto dalle singole Chiese particolari, dalle Conferenze episcopali e dalle Strutture gerarchiche orientali, come anche il modo di agire di fronte a problemi e sfide, favorisce e promuove lo scambio di esperienze fra le diverse Chiese particolari e realtà ecclesiali[51], compiendo in tal modo non un mero servizio amministrativo e burocratico, bensì servendo ed incrementando la comunione[52].
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[1] FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 32, in AAS 105 (2013), pp. 1033 – 1034.
[2] Annunciato il 13 aprile 2013 ed istituito con Chirografo il 28 settembre 2013 per consigliare il Santo Padre nel governo della Chiesa universale (in AAS 105 [2013], pp. 875 – 876).
[3] Cfr. FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2016, in AAS 109 (2017), p. 43, nota 30.
[4] FRANCESCO, Discorso per il 50mo di istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015, in AAS 107 (2015), pp. 1138 – 1144.
[5] Cfr. FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2016, in AAS 109 (2017), pp. 44- 48. L’elenco andrebbe aggiornato con i provvedimenti posti negli anni a seguire.
[6] Comunicato della Segreteria di Stato del 21 novembre 2017.
[7] Motu proprio Fidem servare, del 11 febbraio 2022.
[8] Chirografo del 22 marzo 2014.
[9] Motu Proprio Sedula Mater, del 15 agosto 2016.
[10] Motu Proprio Humanam progressionem, del 17 agosto 2016.
[11] Motu Proprio L’attuale contesto comunicativo, del 27 giugno 2015. Eretto con la denominazione di Segreteria per la Comunicazione in seguito è stata denominata Dicastero.
[12] Con il Motu Proprio Fidelis dispensator et prudens, del 24 febbraio 2014, sono state erette la Segreteria per l’economia e il Consiglio per l’economia. Con il Motu Proprio dell’8 luglio 2014 è stata trasferita la Sezione Ordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica alla Segreteria per l’economia. Con il Motu Proprio I beni temporali, del 4 luglio 2016, seguendo come regola di massima importanza che gli organismi di vigilanza siano separati da quelli vigilati, sono stati meglio delineati i rispettivi ambiti di competenza della Segreteria per l’economia e dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Il 28 dicembre 2020 con il Motu proprio Una migliore organizzazione è stato convertito in legge ciò che aveva già era stata indicato nella lettera del 25 agosto 2020 indirizzata al Segretario di Stato circa il passaggio delle funzioni economiche e finanziarie dalla Segreteria di Stato all’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, per la gestione, e alla Segreteria per l’economia, per il controllo.
[13] Motu proprio Fidelis dispensator et prudens, del 24 febbraio 2014.
[14] Istituita il 29 settembre 2020.
[15] Comunicato della Santa Sede del 15 dicembre 2021.
[16] Motu Proprio Circa la Cappella Musicale Pontificia, del 17 gennaio 2019.
[17] Con Motu Proprio del 15 novembre 2013 è stata consolidata l’Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.), istituita da Benedetto XVI con Motu Proprio del 30 dicembre 2010 per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario. Con Chirografo del 5 dicembre 2020 è stato ridenominato e approvato il nuovo Statuto che muta il nome e competenze in Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF). È stata altresì inserita l’Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione della Qualità delle Università e Facoltà Ecclesiastiche eretta da Benedetto XI con Chirografo del 19 settembre 2007, la quale non ha avuto ulteriori revisioni.
[18] Il titolo era già stato implicitamente reso noto nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede del 25 aprile 2018 nel quale si precisava che tra i vari temi che sarebbero andati a formare il nuovo documento occorreva tenere presente che l’annuncio del vangelo e lo spirito missionario sarebbero stati la prospettiva che caratterizza l’attività di tutta la Curia romana. In seguito il titolo è stato comunicato per la prima volta nel briefing del 12 settembre 2018. Infine, Papa Francesco nel Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2019, ha detto: “Proprio ispirandosi a questo magistero dei Successori di Pietro dal Concilio Vaticano II fino ad oggi, si è pensato di proporre per l’instruenda nuova Costituzione Apostolica sulla riforma della Curia romana il titolo di Praedicate evangelium. Cioè l’atteggiamento missionario”. Il testo in parola, al momento presente non ancora pubblicato in AAS, è reperibile sul sito internet della Santa Sede.
[19] PAOLO VI, Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 14, in AAS 68 (1976), p. 13.
[20] FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 27, in AAS 105 (2013), p. 1031.
[21] Cfr. FRANCESCO, Discorso ai Vescovi responsabili del Consiglio episcopale latinoamericano (C.E.L.A.M.) in occasione della riunione generale di coordinamento, 28 luglio 2013, in AAS 105 (2013), p. 698, n. 3. Cfr. PE, Preambolo, nn. 2 e 3.
[22] PE, art. 12 § 1.
[23] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Redemptoris missio, 30, in AAS 83 (1991), p. 276.
[24] FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2019.
[25] Cfr. PE, art. 54.
[26] Nella Costituzione Apostolica Pastor bonus era un’istituzione collegata con la Santa Sede (cfr. PB, art. 193).
[27] L’“atteggiamento diaconale deve caratterizzare anche quanti, a vario titolo, operano nell’ambito della Curia romana la quale, come ricorda anche il Codice di Diritto Canonico, agendo nel nome e con l’autorità del Sommo Pontefice, «adempie alla propria funzione per il bene e al servizio delle Chiese» (can. 360; cfr CCEO can. 46). Primato diaconale “relativo al Papa”; e altrettanto diaconale, di conseguenza, è il lavoro che si svolge all’interno della Curia romana ad intra e all’esterno ad extra” (FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2017, in AAS 110 [2018], pp. 65 – 66).
[28] Cfr. PE, art 1. “Il rapporto che lega la Curia alle Diocesi e alle Eparchie è di primaria importanza. Esse trovano nella Curia Romana il sostegno e il supporto necessario di cui possono avere bisogno. È un rapporto che si basa sulla collaborazione, sulla fiducia e mai sulla superiorità o sull’avversità. La fonte di questo rapporto è nel Decreto conciliare sul ministero pastorale dei Vescovi, dove più ampiamente si spiega che quello della Curia è un lavoro svolto «a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori» (CD 9). La Curia romana, dunque, ha come suo punto di riferimento non soltanto il Vescovo di Roma, da cui attinge autorità, ma pure le Chiese particolari e i loro Pastori nel mondo intero, per il cui bene opera e agisce” (FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2017, in AAS 110 [2018], p. 70).
[29] Cfr. PE, Preambolo, 8; Principi e Criteri per il servizio della Curia romana, 1, 5.
[30] PE, art 1.
[31] Cfr. can. 360 CIC.
[32] Il Romano Pontefice è “perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (LG 23), presiede “alla comunione universale di carità” (LG 13) e conferma “nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22, 32)” (LG 25).
[33] Cfr. PB, Introduzione, 9. “È opportuno, allora, tornando all’immagine del corpo, evidenziare che questi “sensi istituzionali”, cui potremmo in qualche modo paragonare i Dicasteri della Curia romana, devono operare in maniera conforme alla loro natura e alla loro finalità: nel nome e con l’autorità del Sommo Pontefice e sempre per il bene e al servizio delle Chiese. Essi sono chiamati ad essere nella Chiesa come delle fedeli antenne sensibili: emittenti e riceventi. Antenne emittenti in quanto abilitate a trasmettere fedelmente la volontà del Papa e dei Superiori… L’immagine dell’antenna rimanda altresì all’altro movimento, quello inverso, ossia del ricevente. Si tratta di cogliere le istanze, le domande, le richieste, le grida, le gioie e le lacrime delle Chiese e del mondo in modo da trasmetterle al Vescovo di Roma al fine di permettergli di svolgere più efficacemente il suo compito e la sua missione di «principio e fondamento” (FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2017, in AAS 110 [2018], pp. 67 – 68).
[34] Cfr. PE, Principi e Criteri per il servizio della Curia romana, Introduzione.
[35] Cfr. PE, artt. 2 – 5: indole pastorale delle attività curiali; artt. 7 - 8: principi operativi della Curia romana.
[36] Cfr. PB, Introduzione, 8.
[37] PE, Preambolo, 8.
[38] Cfr. PE, Preambolo, 4. La sinodalità è “dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto” (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2018, n. 42). “La sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione” (FRANCESCO, Discorso ai fedeli di Roma, 18 settembre 2021. Il testo in parola, al momento presente non ancora pubblicato in AAS, è reperibile sul sito internet della Santa Sede.
[39] Cfr. Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, al n. 70.
[40] Cfr. FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2016, n. 9, in AAS 109 (2017), pp. 43 – 44.
[41] Cfr. FRANCESCO, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2016, n. 8, in AAS 109 (2017), pp. 43.
[42] Cfr. Principi e criteri per il servizio della Curia romana, 4. Strutture gerarchiche orientali: Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali e Arcivescovili maggiori, Consigli dei Gerarchi delle Chiese metropolitane sui iuris, Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris che esercitano la loro potestà nella stessa nazione o regione.
[43] Altra espressione di sinodalità: art. 107 § 2.
[44] Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi con Motu proprio Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965. Papa Francesco, con la Costituzione Apostolica Episcopalis communio (15 settembre 2018), lo ha profondamente rinnovato, inserendolo nella cornice della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, a tutti i livelli della sua esistenza.
[45] “Il Sinodo… presta un’efficace collaborazione al Romano Pontefice, secondo i modi da lui stesso stabiliti, nelle questioni di maggiore importanza, quelle cioè che richiedono speciale scienza e prudenza per il bene di tutta la Chiesa” (Costituzione Apostolica Episcopalis communio, n. 1).
[46] Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 32, in AAS 105 (2013), pp. 1033 – 1034.
[47] Cfr. PE, Principi e Criteri per il servizio della Curia romana, 2.
[48] “Un principio di generale valore, vale a dire: ciò che gli uomini singoli possono fare da sé e con le proprie forze, non deve essere loro tolto e rimesso alla comunità; principio che vale egualmente per le comunità minori e di ordine inferiore di fronte alle maggiori e più alte. Poiché – così proseguiva il sapiente Pontefice - ogni attività sociale è per natura sua sussidiaria; essa deve servire di sostegno per i membri del corpo sociale, e non mai distruggerli e assorbirli. Parole veramente luminose; che valgono per la vita sociale in tutti i suoi gradi, ed anche per la vita della Chiesa, senza pregiudizio della sua struttura gerarchica” (Pio XII, Discorso ai nuovi Cardinali, Concistoro 20 febbraio 1946, in AAS 38 [1946], pp. 144-145). “Que l’autorité ecclésiastique applique ici aussi le principe général de l’aide subsidiaire et complémentaire; que l’on confie au laïc les taches, qu’il peut accomplir, aussi bien ou même mieux que le prêtre, et que, dans les limites de sa fonction ou celles que trace le bien commun de l’Eglise, il puisse agir librement et exercer sa responsabilité” (Pio XII, Discorso circa l’apostolato dei laici, 5 ottobre 1957, in AAS 49 [1957], p. 927).
[49] Chiesa universale e Chiese particolari, Papa e Collegio dei Vescovi, sacerdozio ordinato e sacerdozio comune dei fedeli. “Il potere del Sommo Pontefice non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione, ordinario e immediato, con il quale i Vescovi… guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro, [potere che] anzi viene confermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo ed universale, come afferma solennemente San Gregorio Magno: “Il mio onore è quello della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratelli. Io mi sento veramente onorato, quando a ciascuno di loro non viene negato il dovuto onore” [cf. Epistola ad Eulog. Alexandrin., I, VIII, Ep. XXX]” (Cost. dogm. Pastor aeternus, III, in ASS 6 [1870-71], p. 43-44).
[50] Questa è la legge nell’unica Chiesa di Cristo, che altrimenti verrebbe di fatto frammentata in tanti soggetti estrinseci gli uni agli altri, e che chiede di essere assunta nella prassi ecclesiale per manifestare fattivamente ed esemplarmente la qualità di quell’unità di cui Cristo ha dotato la sua Chiesa come dono e compito nello stesso tempo.
[51] Cfr. PE, Principi e Criteri per il servizio della Curia romana, 4.
[52] Cfr. PE, art 1.
[00418-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Intervento del Prof. Gianfranco Ghirlanda, S.I.
1. Ruolo dei laici e carattere vicario della Curia
Un aspetto innovativo della Costituzione è quello del ruolo dei laici all’interno della Curia romana.
Il n. 5 dei Principi e criteri per il servizio della Curia Romana (= Principi e criteri) così si esprime: “Ogni Istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale. Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi”.
Una prima affermazione importante di questo numero - che è ovvia, ma talvolta sembra come che il suo contenuto non venga preso in considerazione - quella del carattere vicario della Curia, già affermato dalla Costituzione Apostolica Pastor Bonus, 8. È in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice, potestà ordinaria vicaria, che le Istituzioni curiali sono abilitate ad intervenire in modo autoritativo per competenza di materia, o su richiesta dei vescovi o per propria iniziativa se fosse necessario.
Da questo consegue l’altra affermazione del n. 5 dei Principi e criteri, effettivamente innovativa: «Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi». È un’affermazione importante perché rende chiaro che chi è preposto ad un Dicastero o altro Organismo della Curia non ha autorità per il grado gerarchico di cui è investito, ma per la potestà che riceve dal Romano Pontefice ed esercita a suo nome. Se il Prefetto e il Segretario di un Dicastro sono vescovi, ciò non deve far cadere nell’equivoco che la loro autorità venga dal grado gerarchico ricevuto, come se agissero con una potestà propria, e non con la potestà vicaria conferita loro dal Romano Pontefice. La potestà vicaria per svolgere un ufficio è la stessa se ricevuta da un vescovo, da un presbitero, da un consacrato o una consacrata oppure da un laico o una laica.
Inoltre, in Praedicate Evangelium, art. 15, si afferma: «I Membri delle Istituzioni curiali sono nominati tra i Cardinali dimoranti sia nell’Urbe che fuori di essa, ai quali si aggiungono, in quanto particolarmente esperti nelle cose di cui si tratta, alcuni Vescovi, soprattutto diocesani/eparchiali, nonché, secondo la natura del Dicastero, alcuni presbiteri e diaconi, alcuni membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica ed alcuni fedeli laici» e non si aggiunge quanto si trovava nel corrispondente n. 7 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus, che affermava: «… ma fermo restando che gli affari, i quali richiedono l’esercizio della potestà di governo, devono essere riservati a coloro che sono insigniti dell’ordine sacro». Secondo Praedicate Evangelium, art. 15, anche i laici possono svolgere tali affari, esercitando la potestà ordinaria vicaria di governo ricevuta dal Romano Pontefice con il conferimento dell’ufficio.
Ciò conferma che la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica.
Questo trova innanzitutto il suo fondamento nei cann. 208 e 204 CIC 1983 e 11 e 7 §1 CCEO, che assumono la dottrina conciliare (LG 31a; 32b).
Il can. 208 riconosce che in forza del battesimo fra tutti i fedeli «vige una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire» per cui tutti sono chiamati a cooperare all’edificazione del corpo di Cristo. In modo simile il can. 204 §1 afferma la responsabilità di tutti i battezzati riguardo all’attuazione della missione che Cristo ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Tuttavia, dato che la comunità cristiana è costituita dai diversi doni gerarchici e carismatici, opera dello Spirito Santo, quindi dai diversi ministeri e attività, secondo i due canoni citati si hanno differenti condizioni giuridiche tra i suoi membri e pluralità di relazioni giuridiche, per cui i modi di edificazione del corpo di Cristo e di attuazione della missione della Chiesa nel mondo differiscono, ma sono complementari tra di loro[1]. L’uguaglianza fondamentale tra tutti i battezzati, anche se nella differenziazione e complementarietà, fonda la sinodalità, di cui ha già parlato Mons. Marco Mellino.
Il can. 129 §2 CIC 1983 afferma: “Nell’esercizio della medesima potestà – menzionata nel §1, cioè quella di governo o di giurisdizione alla quale sono abili i chierici – i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto”, Nel can. 979 CCEO al posto di “fedeli laici” si trova “tutti gli altri fedeli cristiani”. Riguardo a quello che ora c’interessa mettere in luce il senso non cambia.
Quanto affermato nella Costituzione Apostolica Pradicate Evangelium è di grande importanza, perché la questione dell’ammissione dei laici all’esercizio della potestà di governo nella Chiesa coinvolge una questione più ampia: se la potestà di governo è conferita ai vescovi con la missione canonica e al Romano Pontefice per missione divina oppure dal sacramento dell’Ordine. Se la potestà di governo è conferita attraverso la missione canonica, essa in casi specifici può essere conferita anche ai laici; se è conferita col sacramento dell’Ordine, i laici non possono ricevere alcun ufficio nella Chiesa che comporti l’esercizio della potestà di governo. Per questo conviene offrire qualche dato per comprendere la novità apportata.
La questione è molto complessa e divide gli autori. Qui basti dire che essa fu dibattuta ripetutamente nel Concilio Vaticano II, ma alla fine questo non l’ha voluta dirimere nel senso dell’origine dal sacramento dell’Ordine, avendo cambiato l’unico testo della Lumen gentium (l’inizio del n. 28) che era rimasto formulato in questo senso[2].
Durante l’iter di riforma del Codice di Diritto Canonico la questione è stata di nuovo discussa e alla Congregazione Plenaria della Commissione allargata, tenutasi nei giorni 20-29 ottobre 1981, fu chiesto di sopprimere l’attuale can. 129 §2 e 1421 §2 sulla possibilità di avere un giudice laico in un tribunale di tre giudici, sulla base dell’affermazione che il Concilio Vaticano II aveva affermato l’origine di tutta la potestà di governo nella Chiesa dal sacramento dell’ordine. I due canoni sono rimasti, quindi la Commissione respinse la richiesta in quanto non risultava che il Concilio avesse affermato tale cosa[3]. Dato che la ragione portata per la soppressione aveva un carattere dottrinale, il fatto che i due canoni sono rimasti assume una portata dottrinale.
Giovanni Paolo II nel n. 43 dell’Es.ap. Pastores gregis del 16 ottobre 2003, facendo riferimento al can. 381 §1 CC 1983 e al can. 178 CCEO (nota n. 166), affermava esplicitamente che il Vescovo “è investito, in virtù dell'ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata ad esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo (munus pastorale) ricevuto nel Sacramento»[4].
Il fatto, poi, che il Motu proprio di Papa Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus del 15 agosto 2015[5], all’art. 1673 §3, ammetta che su un collegio di tre giudici due possano essere laici, pur disponendo che presidente debba essere un chierico, viene a rafforzare la previsione del can. 1421 §2, perché non si può porre in dubbio che possono i laici, che, esercitando la potestà di governo giudiziale ricevuta con la missione canonica, determinano la nullità o meno del matrimonio in causa.
Su questa linea sono i Principi e criteri, n. 5, e l’art. 15 della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Essi vengono a dirime la questione della capacità dei laici di ricevere uffici che comportano l’esercizio della potestà di governo nella Chiesa, purché non richiedano la ricezione dell’Ordine sacro, ed indirettamente affermano che la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’ordine, ma dalla missione canonica, altrimenti non sarebbe possibile quanto previsto nella Costituzione Apostolica stessa.
2. Il ruolo delle Conferenze episcopali, delle loro Unioni e delle Strutture gerarchiche orientali
La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium sviluppa il ruolo delle Conferenze episcopali, delle loro Unioni regionali e continentali.
Le Conferenze episcopali, sulla base del Decr. Christus Dominus 37 e 38, entrano nell’ordinamento della Chiesa latina come forma concreta di applicazione e sviluppo dello spirito collegiale per aiutare i Vescovi ad affrontare compiti pastorali e risolvere impegni e questioni ecclesiali di comune interesse e non per sostituirsi al loro specifico munus pastorale. Pertanto, non sono considerate strutture gerarchiche intermedie, bensì organismi di sussidiarietà che, come afferma il Preambolo ai nn. 7 e 8, non interferiscono con l’ufficio petrino o il governo delle Chiese particolari. Il Preambolo, dicendo nello stesso n. 7 che “sono attualmente uno dei modi più significativi di esprimere e servire la comunione ecclesiale nelle diverse regioni insieme al Romano Pontefice, garante dell’unità di fede e di comunione”, conferma che esprimono e favoriscono l’esercizio della “corresponsabilità nella communio” per l’utilità pastorale e il bene comune delle Chiese particolari attraverso l’esercizio congiunto di alcune funzioni loro proprie. Questo spirito collegiale, che ispira e guida l’attività delle Conferenze episcopali, muove altresì alla collaborazione tra le Conferenze di diverse regioni e pure continenti, dando adito in tal modo alle Unioni regionali e continentali[6].
In maniera corrispondente ed adeguata la Costituzione sottolinea anche il ruolo delle Strutture gerarchiche orientali, cioè i Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali e arcivescovili maggiori, i Consigli dei Gerarchi delle Chiese metropolitane sui iuris, le Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris che esercitano la loro potestà nella stessa nazione o regione[7].
È da ricordare, qui, che il can. 447 CIC 1983, richiamato nel suo contenuto dal n. 9 del Preambolo, appositamente dice che i Vescovi nella Conferenza Episcopale esercitano “congiuntamente” (coniunctim e non collegialiter) solo “alcune funzioni pastorali” (munera quaedam pastoralia), quindi non tutte. Si dice “congiuntamente” per evitare che si pensi che nelle Conferenze venga messa in atto la potestà collegiale dei Vescovi, che da essi può essere esercitata solo quando è convocato tutto il Collegio. Tuttavia, dato che il ministero episcopale ha una dimensione collegiale, le Conferenze l’esprimono nell’esercizio congiunto della potestà particolare che i Vescovi hanno sulle Chiese loro affidate. Inoltre, facendo il canone riferimento all’esercizio congiunto di solo “alcune funzioni pastorali” e non di tutte, vuole tutelare la responsabilità che per diritto divino hanno i Vescovi sulla Chiesa affidata alla loro cura.
Pertanto, come viene ribadito nel n. 7 del Preambolo, non è intaccata la potestà propria dei Vescovi/Eparchi nell’esercizio del loro ministero pastorale, quindi l’intento della Costituzione, espresso nel n. 9 del Preambolo, è quello di valorizzare le Conferenze episcopali, le loro Unioni regionali e continentali, nonché le Strutture gerarchiche orientali nelle loro potenzialità di attuazione della comunione dei Vescovi tra loro e col Romano Pontefice.
Quindi, secondo il n. 8 del Preambolo, le Conferenze episcopali, le loro Unioni, le Strutture gerarchiche orientali, ciascuna secondo la propria natura, sono un valido strumento che contribuisce, in forma molteplice e feconda, all’attuazione dell’affetto collegiale tra i membri del medesimo episcopato e provvede al bene comune delle Chiese particolari mediante un lavoro concorde e ben collegato dei rispettivi pastori, espressione di una cooperazione stretta ed indice della necessità della concordia di forze, quale frutto dello scambio di prudenza e di esperienza per il bene della Chiesa tutta. Si rivelano, dunque, di grande utilità pastorale ed esprimono la comunione affettiva ed effettiva tra i Vescovi.
3. Pontificia Commissione per la Tutala dei Minori
La Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, con Statuto proprio approvato dalla Segreteria di Stato il 21 aprile 2015[8], è stata istituita da Papa Francesco con un Chirografo del 22 marzo 2014[9], con lo scopo di proporre al Romano Pontefice le iniziative più opportune per la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili e per promuovere, unitamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la responsabilità delle Chiese particolari in tale ambito. Secondo l’art. 1 § 1 dello Statuto essa era un’Istituzione autonoma collegata con la Santa Sede, avente personalità giuridica pubblica (can.116).
Con l’art. 78 della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, essa viene istituita presso il Dicastero per la Dottrina della Fede con la stessa funzione consultiva e le stesse finalità che aveva (§ 2). In questo modo, la Commissione diventa parte effettiva della Curia romana, pur conservando una sua certa autonomia, perché è presieduta da un suo Presidente delegato e da un Segretario, nominati per cinque anni dal Romano Pontefice (art. 78 §4), ha i suoi ufficiali ed opera secondo norme proprie (§5).
Tale integrazione nella Curia romana, mostra un’attenzione particolare alla questione in oggetto ed indica quanto la Chiesa stia operando per prevenire che delitti tanto gravi continuino ad essere perpetrati da parte di chierici, membri di Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica e da fedeli che godano di dignità o compiano un ufficio o una funzione nella Chiesa. È importante, benché sia piuttosto difficile, presentare e far conoscere all’opinione pubblica, nonché alla stessa comunità ecclesiale, l’insieme degli sforzi crescenti e significativi che la Chiesa ha articolato in questi anni in merito alla protezione dei minori. Infatti, l’enfasi dei media è piuttosto concentrata sugli scandali, piuttosto che ad una più sana considerazione su come combattere gli abusi sessuali, non solo nella Chiesa, ma anche nella società.
Segno chiaro della maturazione della Chiesa riguardo agli abusi sessuali, è stata la riforma del Libro VI del Codice di Diritto Canonico sulle Sanzioni nella Chiesa, voluta da Papa Francesco, in quanto la Cost. ap. Pascite gregem Dei del 23 maggio 2021 nel can. 1398 configura gli abusi sessuali ponendolo sotto il titolo VI che è sui “Delitti contro la vita, la dignità e la libertà dell’uomo” e non sotto il Titolo V sui “Delitti contro obblighi speciali”, come nel caso del can. 1395 CIC 1983. Inoltre, il can. 1398 considera soggetti di tale delitto non solo i chierici, come il can. 1395 CIC 1983, ma anche i membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica e “qualunque fedele che goda di dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa”.
La collocazione della Pontificia Commissione, poi, è in coerenza col fatto che competenza del Dicastero per la Dottrina della Fede è promuovere e tutelare l’integrità della morale cattolica (art. 69) e, attraverso l’Ufficio disciplinare della Sezione disciplinare, giudicare come Tribunale Supremo Apostolico le cause riguardanti gli abusi sessuali (art. 76 §1). In questo modo la Pontifica Commissione ha il compito di prevenire tali delitti, mentre la Sezione Disciplinare del Dicastero quello di condurre l’azione penale contro di essi.
4. Organismi economici
Gli Organismi economici previsti negli artt. 205-227 della Cost. ap. Praedicate Evangelium sono: il Consiglio per l’Economia, la Segreteria per l’Economia, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, l’Ufficio del Revisore Generale, la Commissione di Materie Riservate, il Comitato per gli Investimenti. Eccetto l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, sono tutti stati istituiti da Papa Francesco[10]. L’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica è, però, stata rinnovata da Papa Francesco[11].
Si tratta di Organismi strettamente connessi tra di loro della massima importanza, per far sì che i beni temporali della Chiesa siano amministrati secondo i fini per cui la Chiesa li possiede: ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e carità, specialmente a servizio dei poveri (can. 1254 §2; Presbyterorum Ordinis 17c). Il criterio che regge connessione tra tali Organismi è la netta distinzione tra le competenze amministrative e finanziarie e quelle di controllo. Alcuni esempi. All’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), spetta sia l’amministrazione che la gestione finanziaria dei beni mobili e immobili della Santa Sede e, tramite l’Istituto per le Opere di Religione (IOR), degli Enti che hanno affidato a quart’ultima l’amministrazione dei propri beni (art. 219); invece alla Segreteria per l’Economia, come Segreteria papale, compete, attraverso due Aree funzionali distinte, il controllo e la vigilanza in materia amministrativa e finanziaria su tutte le Istituzioni curiali, gli Uffici e le Istituzioni collegate con la Santa Sede, quindi anche sull’APSA, nonché sull’Obolo di San Pietro e sugli altri fondi papali (artt. 212; 213 § 2). Il Consiglio per l’Economia è organo di vigilanza sullo stesso ambito della Segreteria per l’Economia, ma svolge una funzione consultiva, attenendosi alle migliori prassi riconosciute a livello internazionale in materia di pubblica amministrazione, al fine di avere una gestione amministrativa e finanziaria etica ed efficiente (art. 205). Il bilancio preventivo annuale e quello consuntivo consolidato della Santa Sede sono predisposti dalla Segreteria per l’Economia (art. 215.3), ma sono approvati dal Consiglio per l’Economia, che li sottopone al Romano Pontefice (art. 209 § 1). Inoltre, la Segreteria per l’Economia approva ogni atto di alienazione, acquisto o di straordinaria amministrazione realizzato dalle Istituzioni curiali e dagli Uffici e dalle Istituzioni collegate con la Santa Sede o che si riferiscono ad essa, che richiedano la sua approvazione ad validitatem in base ai criteri stabiliti dal Consiglio per l’Economia (artt. 218 § 1; 208).
Al Revisore Generale, che agisce in piena autonomia e indipendenza (art. Statuto, art. 2 § 1), compete la revisione del bilancio consolidato della Santa Sede, quindi di tutti i bilanci annuali delle singole Istituzioni e degli Uffici curiali, nonché delle Istituzioni collegate con la Santa Sede o che fanno riferimento ad essa (artt. 222; 223 § 1). Inoltre, svolge revisioni su: anomalie nell’impiego o attribuzione di risorse finanziarie o materiali; irregolarità nella concessione di appalti e nello svolgimento di transazioni o alienazioni; atti di corruzione o frode (art. 224 § 1).
La Commissione di Materie Riservate da una parte autorizza qualsiasi atto di natura giuridica, economica o finanziaria, che per il maggior bene della Chiesa o delle persone debba essere coperto da segreto e sottratto anche al controllo e alla vigilanza degli organi competenti, dall’altra parte controlla e vigila sui contratti della Santa Sede che secondo la legge richiedono riservatezza (art. 225). Infine, il Comitato per gli Investimenti è un organo consultivo, allo scopo di garantire la natura etica degli investimenti mobiliari della Santa Sede (art. 227).
Con il M. p. Una migliore organizzazione del 26 dicembre 2020[12], inoltre, Papa Francesco ha sancito il passaggio della gestione delle funzioni economiche e finanziarie dalla Segreteria di Stato all’APSA, e ne ha affidato il controllo alla Segreteria per l’economia.
5. La riforma interiore: stato e disposizione interiore delle persone
Papa Francesco nel suo discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2020 affermava che stendere semplicemente il testo di una nuova Costituzione apostolica sulla Curia romana non è sufficiente per la sua riforma[13], in quanto, come metteva in luce nel discorso del 22 dicembre 2016 alla stessa Curia, essa “sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini ‘rinnovati’ e non semplicemente con ‘nuovi’ uomini. Non basta accontentarsi di cambiare il personale, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente. La riforma della Curia non si attua in nessun modo con il cambiamento delle persone – che senz’altro avviene e avverrà – ma con la conversione nelle persone… Come per tutta la Chiesa, anche nella Curia il semper reformanda deve trasformarsi in una personale e strutturale conversione permanente”[14].
Di conseguenza, secondo la Costituzione apostolica, perché le Istituzioni della Curia possano funzionare, il personale dev’essere qualificato e quindi applicarsi con dedizione e professionalità, avendo competenza negli affari che deve trattare, acquisita mediante lo studio e l’esperienza, alimentati da una formazione permanente. Tutto questo è da inquadrare in un’esemplarità di vita, che comporta dedizione, spirito di pietà e di accoglienza nello svolgimento delle proprie incombenze e anche un’esperienza di servizio pastorale (PE art. 5-7; Principi e criteri, n. 7). Dell’esemplarità di vita Papa Francesco ha particolarmente trattato nel M.p. La fedeltà nelle cose del 26 apr. 2021[15].
Quanto detto sopra non si applica solo agli officiali (art. 14 §§3 e 4), ma vale, evidentemente, per tutti coloro che operano nelle Istituzioni anche ai più alti gradi di responsabilità, in modo che le nomine non siano dettate da criteri di avanzamento di carriera o di scambi di favori, ma da criteri di servizio, in quanto persone incompetenti, specialmente nei posti di dirigenza, sono estremamente dannosi. Per questo è anche quanto mai opportuna la norma che le nomine sono tutte per cinque anni, per cui se la persona risulta inadatta per l’incarico ricevuto, non viene rinnovata in esso. Inoltre, è opportuna anche la norma che gli officiali chierici o membri di Istituti di Vita Consacrata o di Società di Vita Apostolica, scaduti i cinque anni d’incarico, ritornino alla propria diocesi o al proprio Istituto o Società, onde evitare un carrierismo automatico. Comunque, se la persona è valida ed in lei non si vedono aspirazioni di carriera, è bene che gli sia rinnovato l’incarico (art. 17 § 4).
Quindi, per offrire il servizio migliore e più efficace, l’art. 8 insiste sul fatto che l’organizzazione dell’attività di ogni Istituzione dev’essere retta da criteri di razionalità e funzionalità.
È questa la base naturale per il buon funzionamento della Curia, ma ciò che la anima dev’essere quella spiritualità che à descritta nel n. 6 dei Principi e criteri, che si alimenta della relazione di tutti i suoi membri con Cristo, per cui il servizio che viene prestato è unito all’esperienza dell’alleanza con Dio, nella consapevolezza gioiosa di essere discepoli-missionari al servizio di tutto il popolo di Dio.
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[1] La Congregazione per la Dottrina della Fede nella Lett. Iuvenescit Ecclesia del 15 mag. 2016, nn.11;13-15, ha affermato la coessenzialità dei doni carismatici e dei doni gerarchici in relazione alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù (cf. Enchiridion Vaticanum 32/700-743).
[2] Cf. Acta Synodalia III/I, 225; III/VIII, 96-97.
[3] Cf. Pontificium Consilium de Legum Textibus Interpretandis, Congregatio Plenaria diebus 20-29 actobris 1981 habita, Città del Vaticano 1991, 35-38.
[4] AAS 96 (2004) 825-927. Sulla stessa linea anche i nn. 8 e 9 della stessa Esortazione e i nn. 12, 64 e 159 del Dir. Apostolorum successores della Congregazione per i Vescovi del 22 febbr. 2004, in Enchiridion Vaticanum 22/1567-2159. È da notare che i sostenitori dell’origine dal sacramento dell’Ordine della potestà di governo lo fanno sulla base dell’identificazione tra munus e potestas, dovuta alla non corretta interpretazione della Cost. domm. Lumen gentium 21b.
[5] Cf. AAS 107 (2015) 958-970.
[6] Cf. cann. 447;449; Principi e criteri, n. 4; Giovanni Paolo ii, M. p. Apostolos suos, nn. 3-5. 12, 14, 20 in AAS 90 (1988), 641-658; Dir. Apostolorum successores, nn. 28-32, 24; Es. ap. Pastores gregis, 63. È bene precisare che le Conferenze episcopali non sono gli unici Ecclesiarum particularium coetus (cann. 431-459 CIC). Vi sono, infatti, le Province Ecclesiastiche, che sono istituzioni previste vincolativamente ex lege (can 431 CIC: componantur); questi particolari “raggruppamenti di Chiese” sono espressione di “istituzioni di comunione tra Chiese”. Vi sono, poi, il Concilio Plenario, per tutte le Chiese di una Conferenza episcopale (can 439 § 1 CIC) ed il Concilio Provinciale, per tutte le Chiese di una Provincia, (can 440 CIC) quali istituti di espressione sinodale. Infine il simbolismo del conferimento del pallio (cann. 437 § 1 CIC e, mutatis mudandis, 156 CCEO). Al riguardo, la Costituzione in parola non escludendo, né tanto meno negando tutte queste realtà ecclesiali e garantite comunque dal CIC, intende “valorizzare e potenziare pastoralmente” quella delle Conferenze episcopali.
[7] Cf. Preambolo n.9.
[8] Cf. AAS 107 (2015) 564-567.
[9] Cf. Ibid., 562-563.
[10] Cf. M.p. Fidelis dispensator et prudens, 24 febbr. 2014, AAS 106 (2014) 164-165; M.p. Confermando una tradizione, 8 lug. 2014; M.p. I beni temporali, 4 lugl. 2016, in AAS 108 (2016) 962-865. Gli statuti del Consiglio per l’Economia, della Segreteria per l’Economia e dell’Ufficio del Revisore Generale, sono stati approvati da Papa Francesco rispettivamente con il M.p. Il Conslgiope rl’Economia, 22 febbr. 2015; il M.p. La Segreteria per l’Economia, 22 febbr. 2015 e il M.p. L’Ufficio del Revisore Generale, in Enchiridion Vaticanum 31/153-262.
[11] M.p. Confermando una tradizione, 8 lug. 2014.
[12] Cf. L’Osservatore Romano 28 dic. 2020, 11.
[13] Cf. L’Osservatore Romano 21 dic. 2020, n.8.
[14] AAS 109 (2017) 37- 38.
[15] Papa Francesco dispone: «Considerato che quanti prestano la loro opera nei Dicasteri della Curia Romana, nelle istituzioni collegate alla Santa Sede, o che fanno riferimento ad essa, e nelle amministrazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano hanno la particolare responsabilità di rendere concreta la fedeltà di cui si parla nel Vangelo, agendo secondo il principio della trasparenza e in assenza di ogni conflitto di interesse, stabilisco quanto segue: §1 Nel Regolamento Generale della Curia Romana, dopo l’articolo 13, è inserito il seguente articolo “Articolo 13bis. §1 I soggetti inquadrati o da inquadrare nei livelli funzionali C, C1, C2 e C3, ivi compresi i Cardinali Capi Dicastero o Responsabili di Enti, nonché quelli che abbiano funzioni di amministrazione attiva giurisdizionali o di controllo e vigilanza di cui al §2, ivi inclusi i soggetti di cui agli articoli 10, 11 e 13§1 del presente Regolamento e 20 del Regolamento per il personale dirigente laico della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, devono sottoscrivere all’atto di assunzione dell’ufficio o dell’incarico e con cadenza biennale una dichiarazione nella quale attestano: a) di non aver riportato condanne definitive per delitti dolosi nello Stato della Città del Vaticano o all’estero e di non aver beneficiato in relazione agli stessi di indulto, amnistia, grazia e altri provvedimenti assimilabili o essere stati assolti dagli stessi per prescrizione; b) di non essere sottoposti a processi penali pendenti ovvero, per quanto noto al dichiarante, a indagini per delitti di partecipazione a un’organizzazione criminale; corruzione; frode; terrorismo o connessi ad attività terroristiche; riciclaggio di proventi di attività criminose; sfruttamento di minori, forme di tratta o di sfruttamento di esseri umani, evasione o elusione fiscale. c) di non detenere, anche per interposta persona, contanti o investimenti, ivi incluse le partecipazioni o interessenze di qualunque genere in società e aziende, in paesi inclusi nella lista delle giurisdizioni ad alto rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo come individuati con provvedimento dell’Autorità di Sorveglianza e Informazione Finanziaria, salvo che il dichiarante o i suoi consanguinei entro il terzo grado siano residenti in detti paesi o vi abbiano stabilito il domicilio per comprovate ragioni familiari, di lavoro o di studio; d) che tutti i beni, mobili e immobili, di proprietà o anche solo detenuti dal dichiarante ovvero i compensi di qualunque genere da questo percepiti, per quanto noto al dichiarante, hanno provenienza da attività lecite e non costituiscono il prodotto o il profitto di reato; e) di non detenere, per quanto a conoscenza del dichiarante, partecipazioni o interessenze di qualunque genere in società o aziende che operino con finalità e in settori contrari alla Dottrina Sociale della Chiesa; f) di non detenere, anche per interposta persona, contanti o investimenti, ivi incluse le partecipazioni o interessenze di qualunque genere in società e aziende, nei paesi inclusi nella lista delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali individuati con provvedimento della Segreteria per l’Economia, salvo che il dichiarante o i suoi consanguinei entro il terzo grado siano residenti in detti paesi o vi abbiano stabilito il domicilio per ragioni familiari, di lavoro o di studio e tali disponibilità siano state dichiarate alle autorità fiscali competenti. §2 Per funzioni di amministrazione attiva si intendono quelle che comportano la partecipazione ai procedimenti che determinano l’assunzione di impegni economici di qualunque tipo da parte dell’Ente. Le funzioni giurisdizionali di cui al paragrafo 1 sono solo quelle giudicanti. Il paragrafo 1 non si applica al personale di supporto degli organismi di controllo e vigilanza. Con provvedimento dell’Ufficio del Revisore Generale in quanto autorità anticorruzione sono individuati gli uffici e gli incarichi cui si applicano gli obblighi dichiarativi in base al presente paragrafo. §3 La dichiarazione di cui al paragrafo 1 è conservata dalla Segreteria per l’Economia nel fascicolo personale del dichiarante. Copia della stessa è trasmessa, per quanto di competenza, alla Segreteria di Stato. §4 Ove ne abbia ragionevole motivo, la Segreteria per l’Economia, avvalendosi delle strutture a ciò preposte nella Santa Sede o nello Stato della Città del Vaticano, può eseguire controlli sulla veridicità delle dichiarazioni presentate. §5 Fermi i casi di responsabilità penale, la mancata dichiarazione ovvero la dichiarazione falsa o mendace costituiscono grave illecito disciplinare ai sensi dell’articolo 76, §1, n. 2) e legittimano la Santa Sede a richiedere il danno eventualmente subito”. §2 All’articolo 40, paragrafo 1, del Regolamento Generale della Curia Romana, dopo la lettera m) è inserita la seguente lettera: “n) accettare o sollecitare, per sé o per soggetti diversi dall’Ente nel quale prestano servizio, in ragione o in occasione del proprio ufficio, doni, regali o altre utilità di valore superiore a euro quaranta”» (Communicationes 103, 2021, 75-78).
[00419-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0192-XX.02]