Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Processione Penitenziale e Santa Messa con Rito di benedizione e imposizione delle Ceneri, 02.03.2022


Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Nel pomeriggio di oggi - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima – ha avuto luogo una celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane.

Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.

Alle ore 17.00, al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha presieduto la celebrazione della Santa Messa con il Rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.

Riportiamo di seguito l’omelia preparata dal Santo Padre Francesco per l’occasione, che è stata letta dall’Em.mo Card. Pietro Parolin dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Testo in lingua italiana

In questo giorno, che apre il tempo di Quaresima, il Signore ci dice: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Può sorprendere, ma nel Vangelo di oggi la parola che ricorre più volte è ricompensa (cfr vv 1.2.5.16). Solitamente, al Mercoledì delle Ceneri la nostra attenzione si concentra sull’impegno richiesto dal cammino di fede, più che sul premio a cui esso va incontro. Eppure oggi il discorso di Gesù ritorna ogni volta su questo termine, ricompensa, che sembra essere la molla del nostro agire. C’è infatti in noi, nel nostro cuore, una sete, un desiderio di raggiungere una ricompensa, che ci attira e muove ciò che facciamo.

Il Signore distingue però due tipi di ricompensa a cui può tendere la vita di una persona: da un lato c’è la ricompensa presso il Padre e dall’altro la ricompensa presso gli uomini. La prima è eterna, è quella vera, definitiva, è lo scopo del vivere. La seconda, invece, è transitoria, è un abbaglio a cui tendiamo quando l’ammirazione degli uomini e il successo mondano sono per noi la cosa più importante, la maggiore gratificazione. Ma è un’illusione: è come un miraggio che, una volta raggiunto, lascia a mani vuote. L’inquietudine e la scontentezza sono sempre dietro l’angolo per chi ha come orizzonte la mondanità, che seduce ma poi delude. Chi guarda alla ricompensa del mondo non trova mai pace e nemmeno sa promuovere la pace. Perché perde di vista il Padre e i fratelli. È un rischio che corriamo tutti, per questo Gesù ci avverte: «State attenti». È come se dicesse: “Avete la possibilità di godere un’infinita ricompensa, una ricompensa senza pari: badate perciò di non lasciarvi abbagliare dall’apparenza, inseguendo ricompense da quattro soldi, che vi muoiono in mano”.

Il rito delle ceneri, che riceviamo sul capo, vuole sottrarci all’abbaglio di anteporre la ricompensa presso gli uomini alla ricompensa presso il Padre. Questo segno austero, che ci porta a riflettere sulla caducità della nostra condizione umana, è come una medicina dal sapore amaro ma efficace per curare la malattia dell’apparenza. È una malattia spirituale, che schiavizza la persona, portandola a diventare dipendente dall’ammirazione altrui. È una vera e propria “schiavitù degli occhi e della mente” (cfr Ef 6,6; Col 3,22), che induce a vivere all’insegna della vanagloria, per cui quel che conta non è la pulizia del cuore, ma l’ammirazione della gente; non lo sguardo di Dio su di noi, ma come ci guardano gli altri. E non si può vivere bene accontentandosi di questa ricompensa.

E il guaio è che questa malattia dell’apparenza insidia anche gli ambiti più sacri. È su questo che Gesù insiste oggi: anche la preghiera, anche la carità, anche il digiuno possono diventare autoreferenziali. In ogni gesto, anche nel più bello, può nascondersi il tarlo dell’autocompiacimento. Allora il cuore non è completamente libero, perché non cerca l’amore per il Padre e per i fratelli, ma l’approvazione umana, l’applauso della gente, la propria gloria. E tutto può diventare una sorta di finzione nei confronti di Dio, di sé stessi e degli altri. Per questo la Parola di Dio ci invita a guardarci dentro, per vedere le nostre ipocrisie. Facciamo una diagnosi delle apparenze che ricerchiamo e proviamo a smascherarle. Ci farà bene.

Le ceneri mettono in luce il nulla che si nasconde dietro l’affannosa ricerca delle ricompense mondane. Ci ricordano che la mondanità è come polvere, che viene portata via da un po’ di vento. Sorelle e fratelli, non siamo al mondo per inseguire il vento; il nostro cuore ha sete di eternità. La Quaresima è un tempo donatoci dal Signore per tornare a vivere, per essere curati interiormente e per camminare verso la Pasqua, verso ciò che non passa, verso la ricompensa presso il Padre. È un cammino di guarigione. Non per cambiare tutto dall’oggi al domani, ma per vivere ogni giorno con uno spirito nuovo, con uno stile diverso. A questo servono la preghiera, la carità e il digiuno: purificati dalle ceneri quaresimali, purificati dall’ipocrisia dell’apparenza, ritrovano tutta la loro forza e rigenerano un rapporto vivo con Dio, con i fratelli e con sé stessi.

La preghiera umile, fatta «nel segreto» (Mt 6,6), nel nascondimento della propria camera, diventa il segreto per far fiorire la vita all’esterno. È un dialogo caldo di affetto e di fiducia, che consola e apre il cuore. Soprattutto in questo tempo di Quaresima, preghiamo guardando il Crocifisso: lasciamoci invadere dalla commovente tenerezza di Dio e mettiamo nelle sue ferite le ferite nostre e le ferite del mondo. Non lasciamoci prendere dalla fretta, stiamo in silenzio davanti a Lui. Riscopriamo l’essenzialità feconda del dialogo intimo con il Signore. Perché Dio non gradisce le cose appariscenti; invece ama lasciarsi trovare nel segreto. È “la segretezza dell’amore”, lontana da ogni ostentazione e da toni eclatanti.

Se la preghiera è vera, non può che tradursi in carità. E la carità ci libera dalla schiavitù peggiore, quella da noi stessi. La carità quaresimale, purificata dalle ceneri, ci riporta all’essenziale, all’intima gioia che c’è nel donare. L’elemosina, fatta lontano dai riflettori, dà pace e speranza al cuore. Ci svela la bellezza del dare che diventa un ricevere e così permette di scoprire un segreto prezioso: donare fa gioire il cuore più che ricevere (cfr At 20,35).

Infine, il digiuno. Esso non è una dieta, anzi ci libera dall’autoreferenzialità della ricerca ossessiva del benessere fisico, per aiutarci a tenere in forma non il corpo, ma lo spirito. Il digiuno ci riporta a dare il giusto valore alle cose. In modo concreto, ci ricorda che la vita non va sottomessa alla scena passeggera di questo mondo. E il digiuno non va ristretto solo al cibo: specialmente in Quaresima si deve digiunare da ciò che ci dà una certa dipendenza. Ognuno ci pensi, per fare un digiuno che incida veramente sulla sua vita concreta.

Ma se la preghiera, la carità e il digiuno devono maturare nel segreto, non sono segreti i loro effetti. Preghiera, carità e digiuno non sono medicine solo per noi, ma per tutti, perché possono cambiare la storia. Prima di tutto perché chi ne prova gli effetti, quasi senza accorgersene, li trasmette anche agli altri; e soprattutto perché la preghiera, la carità e il digiuno sono le vie principali che permettono a Dio di intervenire nella vita nostra e del mondo. Sono le armi dello spirito, ed è con esse che, in questa giornata di preghiera e di digiuno per l’Ucraina, imploriamo da Dio quella pace che gli uomini da soli non riescono a raggiungere e a costruire.

O Signore, Tu che vedi nel segreto e ci ricompensi al di là di ogni nostra attesa, ascolta la preghiera di quanti confidano in Te, soprattutto dei più umili, dei più provati, di coloro che soffrono e fuggono sotto il frastuono delle armi. Rimetti nei cuori la pace, ridona ai nostri giorni la tua pace. E così sia.

[00327-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

En ce jour qui ouvre le temps du Carême, le Seigneur nous dit : «Ce que vous faites pour devenir des justes, évitez de l’accomplir devant les hommes pour vous faire remarquer. Sinon, il n’y a pas de récompense pour vous auprès de votre Père qui est aux cieux » (Mt 6, 1). Cela peut paraître surprenant, mais dans l’Évangile d’aujourd’hui, la parole qui revient plusieurs fois est récompense (cf. vv 1.2.5.16). Habituellement, le Mercredi des Cendres, notre attention est attirée sur l’effort exigé par le chemin de foi, plus que sur le prix dont il est couronné. Pourtant, aujourd’hui, le discours de Jésus revient à chaque fois sur ce terme, récompense, qui semble être le ressort de notre action. En effet, il y a en nous, dans notre cœur, une soif, un désir d’atteindre une récompense qui nous attire et qui motive ce que nous faisons.

Le Seigneur distingue cependant deux types de récompenses auxquelles la vie d’une personne peut tendre : d’une part la récompense auprès du Père et, de l’autre, la récompense auprès des hommes. La première est éternelle; c’est la vraie, la définitive, elle est le but de la vie. La seconde, par contre, est transitoire, elle est une fausse route dans laquelle nous nous engageons quand l’admiration des hommes et le succès mondain deviennent pour nous la chose la plus importante, la satisfaction la plus grande. Mais c’est une illusion : c’est comme un mirage qui, une fois atteint, laisse les mains vides. L’inquiétude et le mécontentement sont toujours au tournant pour celui qui a comme horizon la mondanité qui séduit mais, ensuite, déçoit. Celui qui regarde la récompense du monde ne trouve jamais la paix, et il ne sait pas même promouvoir la paix car il perd de vue le Père et les frères. C’est un risque que nous courons tous et c’est pourquoi Jésus nous avertit: « faites attention ». C’est comme s’il disait : “Vous avez la possibilité de jouir d’une récompense infinie, une récompense sans égale : veillez donc à ne pas vous laisser aveugler par l’apparence en poursuivant des récompenses de moindre valeur, qui vous filent entre les doigts”.

Le rite des cendres que nous recevons sur la tête veut nous soustraire à l’aveuglement qui consiste à mettre la récompense auprès des hommes avant la récompense auprès du Père. Ce signe austère qui nous fait réfléchir sur la caducité de notre condition humaine est comme un remède au goût amer, mais efficace, pour guérir la maladie de l’apparence. Il s’agit d’une maladie spirituelle qui asservit la personne, la conduisant à devenir dépendante de l’admiration d’autrui. C’est un véritable “esclavage des yeux et de l’esprit” (cf. Ep 6, 6; Col 3, 22) qui pousse à vivre à l’enseigne de la vaine gloire selon laquelle ce qui compte n’est pas la pureté du cœur mais l’admiration des gens ; non pas le regard de Dieu sur nous, mais la manière dont les autres nous regardent. Et l’on ne peut bien vivre en se contentant de cette récompense.

Le problème est que cette maladie de l’apparence menace même les domaines les plus sacrés. C’est sur cela que Jésus insiste aujourd’hui : même la prière, la charité et le jeûne peuvent devenir autoréférentiels. Dans chaque geste, même le plus beau, le ver de l’autosatisfaction peut se cacher. Le cœur n’est pas alors complètement libre car il ne cherche pas l’amour pour le Père et pour les frères, mais l’approbation humaine, les applaudissements des gens, la gloire. Et tout peut devenir une sorte de fiction vis à vis de Dieu, de soi-même et des autres. C’est pourquoi la Parole de Dieu nous invite à regarder à l’intérieur de nous-mêmes, pour voir nos hypocrisies. Faisons un diagnostic des apparences que nous recherchons ; essayons de les démasquer. Cela nous fera du bien.

Les cendres mettent en lumière le néant qui se cache derrière la recherche effrénée des récompenses mondaines. Elles nous rappellent que la mondanité est comme de la poussière emportée par le vent. Sœurs, frères, nous ne sommes pas dans le monde au gré du vent;notre cœur a soif d’éternité. Le Carême est un temps donné par le Seigneur pour revivre, pour être soignés intérieurement et pour marcher vers la Pâque, vers ce qui ne passe pas, vers la récompense auprès du Père. C’est un chemin de guérison, non pas pour tout changer du jour au lendemain, mais pour vivre chaque jour dans un esprit nouveau, avec un style différent. C’est à cela que servent la prière, la charité et le jeûne : purifiés par les cendres du Carême, purifiés de l’hypocrisie de l’apparence, ils retrouvent toute leur force et régénèrent un rapport vivant avec Dieu, avec les frères et avec soi-même.

La prière humble, faite « dans le secret » (Mt 6, 6), dans la discrétion de sa chambre, devient le secret pour faire fleurir la vie à l’extérieur. Elle est un dialogue chaleureux d’affection et de confiance qui console et ouvre le cœur. Surtout en ce temps de Carême, prions en regardant le Crucifié : laissons-nous envahir par l’émouvante tendresse de Dieu et mettons dans ses blessures les nôtres et celles du monde. Ne nous laissons pas prendre par la précipitation, restons en silence devant Lui. Redécouvrons ce qu’il y a d’essentiel et de fécond dans le dialogue intime avec le Seigneur. Car Dieu n’aime pas les choses spectaculaires; il aime au contraire se laisser trouver dans le secret. C’est “le secret de l’amour”, loin de toute ostentation et des couleurs éclatantes.

Si la prière est vraie, elle ne peut que se traduire en charité. Et la charité nous libère du pire esclavage, celui de nous-mêmes. La charité du carême, purifiée par les cendres, nous ramène à l’essentiel, à la joie intime qu’il y a à donner. L’aumône, faite loin des projecteurs, donne paix et espérance au cœur. Elle nous révèle la beauté du don qui devient un recevoir et permet ainsi de découvrir un secret précieux : donner fait se réjouir le cœur, plus que recevoir (cf. Ac 20, 35).

Enfin, le jeûne. Il n’est pas un régime, au contraire, il nous libère de l’autoréférentialité de la recherche obsessionnelle du bien-être physique, pour nous aider à maintenir en forme non pas le corps, mais l’esprit. Le jeûne nous porte à donner sa juste valeur aux choses. De façon concrète, il nous rappelle que la vie ne doit pas être soumise à la scène passagère de ce monde. Et le jeûne ne doit pas se limiter seulement à la nourriture : en particulier durant le Carême, on doit jeûner de ce qui nous donne une certaine dépendance. Que chacun y réfléchisse pour faire un jeûne qui affecte vraiment sa vie concrète.

Mais si la prière, la charité et le jeûne doivent mûrir dans le secret, leurs effets ne sont pas secrets. La prière, la charité et le jeûne ne sont pas des remèdes seulement pour soi, mais pour tous : ils peuvent en effet changer l’histoire. Tout d’abord parce que celui qui en éprouve les effets, presque sans s’en rendre compte, les transmet aussi aux autres; et surtout parce que la prière, la charité et le jeûne sont les voies principales qui permettent à Dieu d’intervenir dans notre vie et dans la vie du monde. Ce sont les armes de l’esprit, et c’est avec elles que, en cette journée de prière et de jeûne pour l’Ukraine, nous implorons de Dieu cette paix que les hommes à eux seuls ne parviennent pas à construire.

O Seigneur, Toi qui vois dans le secret et qui nous récompenses au-delà de toute attente, écoute la prière de ceux qui se confient à Toi, surtout celle des plus humbles, des plus éprouvés, de ceux qui souffrent et qui fuient sous le vacarme des armes. Remets dans les cœurs la paix, redonne à nos jours ta paix. Amen.

[00327-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Today, as we embark on the Lenten season, the Lord says to us: “Beware of practicing your piety before others in order to be seen by them; for then you have no reward from your Father in heaven” (Mt 6:1). It may be surprising, but in today’s Gospel, the word we hear most frequently is reward (cf. vv 1.2.5.16). Usually, on Ash Wednesday, we think more of the commitment demanded by the journey of faith, rather than the prize that is its goal. Yet today Jesus keeps returning to that word, reward, which can appear to be the reason for our actions. Yet within our hearts, in fact, there is a thirst, a desire for a reward, which attracts and motivates us.

The Lord, however, speaks of two kinds of reward to which our lives can tend: a reward from the Father and, on the other hand, a reward from others. The first is eternal, the true and ultimate reward, the purpose of our lives. The second is ephemeral, a spotlight we seek whenever the admiration of others and worldly success become the most important thing for us, our greatest gratification. Yet the latter is merely an illusion. It is like a mirage that, once we get there, proves illusory; it leaves us unfulfilled. Restlessness and discontent are always around the corner for those who look to a worldliness that attracts but then disappoints. Those who seek worldly rewards never find peace or contribute to peace. They lose sight of the Father and their brothers and sisters. This is a risk we all face, and so Jesus tells us to “beware”. As if to say: “You have a chance to enjoy an infinite reward, an incomparable reward. Beware, then, and do not let yourself be dazzled by appearances, pursuing cheap rewards that disappoint as soon as you touch them”.

The rite of receiving ashes on our heads is meant to protect us from the error of putting the reward received from others ahead of the reward we receive from the Father. This austere sign, which leads us to reflect on the transience of our human condition, is like a medicine that has a bitter taste and yet is effective for curing the illness of appearances, a spiritual illness that enslaves us and makes us dependent on the admiration of others. It is a true “slavery” of the eyes and the mind (cf. Eph 6:6, Col 3:22). A slavery that makes us live our lives for vainglory, where what counts is not our purity of heart but the admiration of others. Not how God sees us, but how others see us. We cannot live well if we are willing to be content with that reward.

The problem is that this “illness of appearances” threatens even the most sacred of precincts. That is what Jesus’ tells us today: that even prayer, charity and fasting can become self-referential. In every act, even the most noble, there can hide the worm of self-complacency. Then our heart is not completely free, for it seeks, not the love of the Father and of our brothers and sisters, but human approval, people’s applause, our own glory. Everything can then become a kind of pretense before God, before oneself and before others. That is why the word of God urges us to look within and to recognize our own hypocrisies. Let us make a diagnosis of the appearances that we seek, and let us try to unmask them. It will do us good.

The ashes bespeak the emptiness hiding behind the frenetic quest for worldly rewards. They remind us that worldliness is like the dust that is carried away by a slight gust of wind. Sisters and brothers, we are not in this world to chase the wind; our hearts thirst for eternity. Lent is the time granted us by the Lord to be renewed, to nurture our interior life and to journey towards Easter, towards the things that do not pass away, towards the reward we are to receive from the Father. Lent is also a journey of healing. Not to be changed overnight, but to live each day with a renewed spirit, a different “style”. Prayer, charity and fasting are aids to this. Purified by the Lenten ashes, purified of the hypocrisy of appearances, they become even more powerful and restore us to a living relationship with God, our brothers and sisters, and ourselves.

Prayer, humble prayer, prayer “in secret” (Mt 6:6), in the hiddenness of our rooms, becomes the secret to making our lives flourish everywhere else. Prayer is a dialogue, warm in affection and trust, which consoles and expands our hearts. During this Lenten season, let us pray above all by looking at the Crucified Lord. Let us open our hearts to the touching tenderness of God, and in his wounds place our own wounds and those of our world. Let us not be always in a rush, but find the time to stand in silence before him. Let us rediscover the fruitfulness and simplicity of a heartfelt dialogue with the Lord. For God is not interested in appearances. Instead, he loves to be found in secret, “the secrecy of love”, far from all ostentation and clamour.

If prayer is real, it necessarily bears fruit in charity. And charity sets us free from the worst form of enslavement, which is slavery to self. Lenten charity, purified by these ashes, brings us back to what is essential, to the deep joy to be found in giving. Almsgiving, practised far from the spotlights, fills the heart with peace and hope. It reveals to us the beauty of giving, which then becomes receiving, and thus enables us to discover a precious secret: our hearts rejoice more at giving than at receiving (cf. Acts 20:35).

Finally, fasting. Fasting is not a diet. Indeed, it sets us free from the self-centred and obsessive quest of physical fitness, in order to help us to keep in shape not only our bodies but our spirit as well. Fasting makes us appreciate things for their true worth. It reminds us in a concrete way that life must not be made dependent upon the fleeting landscape of the present world. Nor should fasting be restricted to food alone. Especially in Lent, we should fast from anything that can create in us any kind of addiction. This is something each of us should reflect on, so as to fast in a way that will have an effect on our actual lives.

Prayer, charity and fasting need to grow “in secret”, but that is not true of their effects. Prayer, charity and fasting are not medicines meant only for ourselves but for everyone: they can change history. First, because those who experience their effects almost unconsciously pass them on to others; but above all, because prayer, charity and fasting are the principal ways for God to intervene in our lives and in the world. They are weapons of the spirit and, with them, on this day of prayer and fasting for Ukraine, we implore from God that peace which men and women are incapable of building by themselves.

O Lord, you see in secret and you reward us beyond our every expectation. Hear the prayers of those who trust in you, especially the lowly, those sorely tried, and those who suffer and flee before the roar of weapons. Restore peace to our hearts; once again, grant your peace to our days. Amen.

[00237-EN.01] [Original text: Italian]

 

Traduzione in lingua tedesca

 

An diesem Tag, der die Fastenzeit eröffnet, sagt uns der Herr: » Hütet euch, eure Gerechtigkeit vor den Menschen zu tun, um von ihnen gesehen zu werden; sonst habt ihr keinen Lohn von eurem Vater im Himmel zu erwarten« (Mt 6,1). Es mag überraschen, aber das Wort, das im heutigen Evangelium am häufigsten vorkommt, ist Lohn (vgl. V. 1.2.5.16). Am Aschermittwoch richtet sich unsere Aufmerksamkeit für gewöhnlich auf den Einsatz, den der Weg des Glaubens erfordert, und nicht auf die Belohnung, zu der er führt. Doch heute kommt Jesus in seiner Predigt immer wieder auf diesen Begriff des Lohns zurück, der die Triebfeder für unser Handeln zu sein scheint. In der Tat gibt es in uns, in unseren Herzen, einen Durst, ein Verlangen nach dem Erreichen eines Lohns, der uns anzieht und uns zu dem antreibt, was wir tun.

Der Herr unterscheidet jedoch zwischen zwei Arten von Lohn, die ein Mensch in seinem Leben anstreben kann: zum einen den Lohn beim Vater und zum anderen den Lohn bei den Menschen. Der erste ist ewig, er ist der wahre, endgültige Lohn, er ist das Ziel des Lebens. Der zweite hingegen ist vergänglich, er ist ein Blendwerk, zu dem wir neigen, wenn die Bewunderung der Menschen und der weltliche Erfolg für uns das Wichtigste, die größte Befriedigung sind. Aber das ist eine Täuschung: Es ist wie ein Trugbild, das uns, wenn wir es erreicht haben, mit leeren Händen zurücklässt. Unruhe und Unzufriedenheit befinden sich für diejenigen, deren Horizont die Weltlichkeit ist, die verführt, aber dann enttäuscht, immer in unmittelbarer Nähe. Wer auf den Lohn der Welt schaut, findet keinen Frieden und kann den Frieden auch nicht fördern. Denn er verliert den Vater und die Geschwister aus den Augen. Es ist ein Risiko, das wir alle eingehen, und deshalb warnt uns Jesus: »Seid wachsam«. Es ist, als würde er sagen: „Ihr habt die Möglichkeit, in den Genuss eines unendlichen Lohns ohnegleichen zu gelangen: Hütet euch also davor, euch von Äußerlichkeiten blenden zu lassen und billigem Lohn nachzujagen, der in euren Händen zerrinnt“.

Der Ritus der Aschenauflegung auf unser Haupt soll uns der falschen Vorstellung entreißen, den Lohn bei den Menschen dem Lohn beim Vater voranzustellen. Dieses schroffe Zeichen, das uns zum Nachdenken über die Vergänglichkeit unseres menschlichen Daseins anregt, ist wie eine bittere, aber wirksame Medizin, um die Krankheit des Scheins heilen. Es handelt sich um eine geistige Krankheit, die den Menschen versklavt und ihn dazu bringt, von der Bewunderung anderer abhängig zu werden. Es ist eine regelrechte „Sklaverei der Augen und des Geistes“ (vgl. Eph 6,6; Kol 3,22), die dazu führt, unter dem Banner der Eitelkeit zu leben, so dass nicht die Reinheit des Herzens zählt, sondern die Bewunderung der Menschen; nicht der Blick Gottes auf uns, sondern der Blick der anderen auf uns. Und man kann kein gutes Leben führen, wenn man sich mit diesem Lohn zufriedengibt.

Das Unglück ist, dass diese Krankheit des Scheins selbst den heiligsten Bereichen nachstellt. Das ist es, worauf Jesus heute beharrt: Sogar Gebet, Nächstenliebe und Fasten können selbstbezogen sein. In jeder noch so schönen Geste kann sich der Wurm der Selbstgefälligkeit verbergen. Dann ist das Herz nicht völlig frei, denn es sucht nicht die Liebe zum Vater und zu den Geschwistern, sondern die menschliche Anerkennung, den Beifall der Menschen, den eigenen Ruhm. Und alles kann zu einer Art Vortäuschung gegenüber Gott, gegenüber sich selbst und gegenüber den anderen werden. Deshalb lädt uns das Wort Gottes ein, in uns selbst hineinzuschauen, um unsere Heucheleien zu erkennen. Diagnostizieren wir den Schein, nach dem wir trachten, und versuchen wir, ihn zu entlarven. Das wird uns guttun.

Die Asche bringt die Nichtigkeit ans Licht, die sich hinter der krampfhaften Suche nach weltlichen Belohnungen verbirgt. Sie erinnert uns daran, dass die Weltlichkeit wie Staub ist, der von einem Windhauch weggeweht wird. Schwestern und Brüder, wir sind nicht auf dieser Welt, um dem Wind nachzujagen; unser Herz dürstet nach Ewigkeit. Die Fastenzeit ist eine Zeit, die der Herr uns geschenkt hat, um zum Leben zurückzukehren, um innerlich geheilt zu werden und um auf Ostern zuzugehen, auf das, was nicht vergeht, auf den Lohn beim Vater. Sie ist ein Weg der Heilung. Nicht um von heute auf morgen alles zu ändern, sondern um jeden Tag mit einem neuen Geist, mit einem anderen Stil zu leben. Dazu dienen das Gebet, die Nächstenliebe und das Fasten: gereinigt durch die Asche der Fastenzeit, gereinigt von der Heuchelei des Scheins, entfalten diese drei ihre ganze Kraft und erneuern die lebendige Beziehung zu Gott, zu den Brüdern und Schwestern und zu sich selbst.

Das demütige Gebet, das „im Verborgenen“ (Mt 6,6), in der Abgeschiedenheit der eigenen Kammer, verrichtet wird, wird zum Geheimnis, um das Leben draußen zum Blühen zu bringen. Es ist ein liebevoller Dialog der Zuneigung und des Vertrauens, der tröstet und das Herz öffnet. Beten wir besonders in dieser Fastenzeit mit Blick auf den Gekreuzigten: Lassen wir uns von der bewegenden Zärtlichkeit Gottes einnehmen und legen wir unsere Wunden und die der Welt in seine Wunden. Lassen wir uns nicht hetzen und verweilen wir in Stille vor ihm. Entdecken wir die fruchtbare Bedeutung des vertrauten Dialogs mit dem Herrn wieder. Denn Gott sind nicht die aufsehenerregenden Dinge wohlgefällig, sondern er liebt es, sich im Verborgenen zu zeigen. Es ist „die Vertraulichkeit der Liebe“, die weit entfernt ist von aller Zurschaustellung und lauten Tönen.

Wenn das Gebet echt ist, kann es sich nicht anders, als sich in Nächstenliebe zu übertragen. Und die Nächstenliebe befreit uns von der schlimmsten Sklaverei, nämlich der unserer selbst. Die durch die Asche gereinigte Nächstenliebe in der Fastenzeit bringt uns zurück zum Wesentlichen, zur innigen Freude des Gebens. Das Almosen, das abseits des Rampenlichts gegeben wird, gibt dem Herzen Frieden und Hoffnung. Es offenbart uns die Schönheit des Gebens, das zum Empfangen wird, und ermöglicht uns so, ein kostbares Geheimnis zu entdecken: Geben erfüllt das Herz mit mehr Freude als nehmen. (vgl. Apg 20,35).

Schließlich das Fasten. Es ist keine Diät, sondern befreit uns von der Selbstbezogenheit des zwanghaften Strebens nach körperlichem Wohlbefinden, um uns zu helfen, nicht den Körper, sondern den Geist in Form zu halten. Das Fasten führt uns wieder dazu, den Dingen den richtigen Wert zu geben. Es erinnert uns konkret daran, dass das Leben nicht der vergänglichen Bühne dieser Welt unterworfen werden darf. Und das Fasten sollte sich nicht nur auf das Essen beschränken: Gerade in der Fastenzeit sollten wir in all dem fasten, was uns in eine gewisse Abhängigkeit bringt. Darüber sollte jeder nachdenken, um auf eine Weise zu fasten, die sich wirklich auf sein konkretes Leben auswirkt.

Wenn aber Gebet, Nächstenliebe und Fasten im Geheimen reifen müssen, so sind doch ihre Wirkungen nicht verborgen. Gebet, Nächstenliebe und Fasten sind nicht nur Medikamente für uns, sondern für alle: Sie können die Geschichte verändern: vor allem, weil diejenigen, die ihre Wirkungen erfahren, sie fast unbemerkt auf andere übertragen; und vor allem, weil Gebet, Nächstenliebe und Fasten die wichtigsten Wege sind, die es Gott ermöglichen, in unser Leben und in das Leben der Welt einzugreifen. Sie sind die Waffen des Geistes, und mit ihnen erflehen wir an diesem Gebets- und Fasttag für die Ukraine von Gott den Frieden, den Menschen allein nicht zu aufzubauen vermögen.

Herr, der du ins Verborgene siehst und uns über alle Erwartungen hinaus belohnst, erhöre die Gebete all derer, die auf dich vertrauen, besonders der Demütigsten, der am meisten Geprüften, derer, die leiden und unter dem Lärm der Waffen fliehen. Gib unseren Herzen den Frieden zurück, schenke unseren Tagen deinen Frieden wieder. Amen.

[00237-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

 

En este día, que abre el tiempo de Cuaresma, el Señor nos dice «Tengan cuidado de no practicar su justicia delante de los hombres para ser vistos por ellos: de lo contrario, no recibirán ninguna recompensa del Padre que está en el cielo» (Mt 6,1). Puede sorprender, pero en el Evangelio de hoy la palabra que más se repite es recompensa (cf. vv. 1.2.5.16). Normalmente, en el Miércoles de Ceniza nuestra atención se centra en el compromiso que requiere el camino de fe, más que en la recompensa a la que conduce. Sin embargo, hoy el discurso de Jesús vuelve siempre a este término, la recompensa, que parece ser el resorte principal de nuestra acción. De hecho, hay en nosotros, en nuestro corazón, una sed, un deseo de alcanzar una recompensa, que nos atrae e impulsa todo lo que hacemos.

Sin embargo, el Señor distingue entre dos tipos de recompensa a la que puede aspirar la vida de una persona; por un lado, está la recompensa del Padre y, por otro, la recompensa de los hombres. La primera es eterna, es la verdadera y definitiva recompensa, el propósito de la vida. La segunda, en cambio, es transitoria, es un disparate al que tendemos cuando la admiración de los hombres y el éxito mundano son lo más importante para nosotros, la mayor gratificación. Pero es una ilusión, es como un espejismo que, una vez alcanzado, nos deja con las manos vacías. La inquietud y el descontento están siempre a la vuelta de la esquina para aquellos cuyo horizonte es la mundanidad, que seduce, pero luego decepciona. Los que buscan la recompensa del mundo nunca encuentran la paz, ni saben tampoco cómo promoverla. Esto se debe a que pierden de vista al Padre y a sus hermanos y hermanas. Es un riesgo que todos corremos, por eso Jesús nos advierte: «Tengan cuidado». Es como si nos dijera: “Tienen la posibilidad de disfrutar de una recompensa infinita, una recompensa sin parangón: tengan cuidado, pues, de no dejarse deslumbrar por las apariencias, persiguiendo recompensas baratas, que se desvanecen en vuestras manos”.

El rito de la ceniza, que recibimos sobre la cabeza, tiene por objeto salvarnos del error de anteponer la recompensa de los hombres a la recompensa del Padre. Este signo austero, que nos lleva a reflexionar sobre la caducidad de nuestra condición humana, es como una medicina amarga pero eficaz para curar la enfermedad de la apariencia. Es una enfermedad espiritual, que esclaviza a la persona, llevándola a depender de la admiración de los demás. Es una verdadera “esclavitud de los ojos y de la mente” (cf. Ef 6,6; Col 3,22), que lleva a vivir bajo el signo de la vanagloria, de modo que lo que cuenta no es la limpieza del corazón, sino la admiración de la gente; no la mirada de Dios sobre nosotros, sino cómo nos miran los demás. Y no se puede vivir bien contentándose con esta recompensa.

El problema es que esta enfermedad de la apariencia socava incluso los ámbitos más sagrados. Y es sobre esto en lo que Jesús insiste hoy. Incluso la oración, la caridad y el ayuno pueden volverse autorreferenciales. En cada gesto, inclusive en el más bello, puede esconderse la carcoma de la autosatisfacción. Entonces el corazón no es completamente libre porque no busca el amor al Padre y a los hermanos, sino la aprobación humana, el aplauso de la gente, la propia gloria. Y todo puede convertirse en una especie de fingimiento ante Dios, ante uno mismo y ante los demás. Por eso la Palabra de Dios nos invita a mirar dentro de nosotros mismos, para ver nuestras hipocresías. Hagamos un diagnóstico de las apariencias que buscamos; tratemos de desenmascararlas. Nos hará bien.

La ceniza saca a la luz la nada que se esconde detrás de la búsqueda frenética de recompensas mundanas. Nos recuerdan que la mundanidad es como el polvo, que un poco de viento es suficiente para llevársela. Hermanas, hermanos, no estamos en este mundo para perseguir el viento; nuestros corazones tienen sed de eternidad. La Cuaresma es un tiempo que el Señor nos da para volver a la vida, para curarnos interiormente y caminar hacia la Pascua, hacia lo que permanece, hacia la recompensa del Padre. Es un camino de curación. No para cambiar todo de la noche a la mañana, sino para vivir cada día con un espíritu nuevo, con un estilo diferente. Este es el propósito de la oración, la caridad y el ayuno. Purificados por la ceniza cuaresmal, purificados de la hipocresía de las apariencias, recobran toda su fuerza y regeneran una relación viva con Dios, con los hermanos y consigo mismos.

La oración humilde, hecha «en lo secreto» (Mt 6,6), en el recogimiento de la propia habitación, se convierte en el secreto para hacer que la vida florezca hacia afuera. Es un cálido diálogo de afecto y confianza, que reconforta y abre el corazón. Especialmente en este período de Cuaresma, oremos mirando el Crucifijo: dejémonos invadir por la conmovedora ternura de Dios y pongamos en sus llagas nuestras heridas y las del mundo. No nos dejemos llevar por la prisa, estemos en silencio ante Él. Redescubramos la fecunda esencialidad del diálogo íntimo con el Señor. Porque a Dios no le gustan las cosas ostentosas, sino que le gusta dejarse encontrar en lo secreto. Es “el secreto del amor”, lejos de toda ostentación y de tonos llamativos.

Si la oración es verdadera, sólo puede traducirse en caridad. Y la caridad nos libera de la peor esclavitud, la de nosotros mismos. La caridad cuaresmal, purificada por la ceniza, nos devuelve a lo esencial, a la íntima alegría de dar. La limosna, hecha sin llamar la atención de los demás, da paz y esperanza al corazón. Nos revela la belleza del dar que se convierte en un recibir y así nos permite descubrir un valioso secreto: «La felicidad está más en dar que en recibir» (Hch 20,35).

Por último, el ayuno. No es una dieta, sino que más bien nos libera de la autorreferencialidad de la búsqueda obsesiva de bienestar físico, para ayudarnos a mantener en forma no el cuerpo sino el espíritu. El ayuno nos reconduce a darle a las cosas su valor correcto. En concreto, nos recuerda que la vida no debe estar sujeta a la escena pasajera de este mundo. El ayuno no debe limitarse sólo a la comida; en Cuaresma debemos ayunar, sobre todo, de lo que nos hace dependientes; que cada uno reflexione sobre esto, para hacer un ayuno que realmente tenga un impacto en la vida concreta de cada uno.

Pero si la oración, la caridad y el ayuno deben madurar en secreto, sus efectos sin embargo no son secretos. La oración, la caridad y el ayuno no son medicamentos sólo para nosotros, sino para todos; de hecho, pueden cambiar la historia. En primer lugar, porque quien experimenta sus efectos, casi sin darse cuenta, los transmite a los demás; y, sobre todo, porque la oración, la caridad y el ayuno son las principales vías que permiten a Dios intervenir en nuestras vidas y en la vida del mundo. Son las armas del espíritu, y es con ellas que, en esta jornada de oración y ayuno por Ucrania, imploramos a Dios esa paz que los hombres solos no pueden construir.

Oh Señor, tú que ves en lo secreto y nos recompensas más allá de todas nuestras expectativas, escucha las oraciones de todos los que confían en ti, especialmente de los más humildes, de los más probados, de los que sufren y huyen bajo el estruendo de las armas. Devuelve la paz a nuestros corazones, da de nuevo tu paz a nuestros días. Amén.

 

[00237-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Neste dia, que dá início ao tempo da Quaresma, o Senhor diz-nos: «Guardai-vos de fazer as vossas obras diante dos homens, para vos tornardes notados por eles; de outro modo, não tereis nenhuma recompensa do vosso Pai que está no Céu» (Mt 6, 1). Pode causar surpresa, mas no Evangelho de hoje a palavra que aparece mais vezes é recompensa (cf. 6, 1.2.5.16). Habitualmente, na Quarta-feira de Cinzas, a nossa atenção concentra-se mais sobre o empenho exigido pelo caminho de fé do que no prémio que daí nos advém. Contudo, hoje, o discurso de Jesus retorna regularmente a este termo, recompensa, que parece ser a mola do nosso agir. De facto em nós, no nosso coração, há uma sede, um desejo de alcançar uma recompensa, que nos atrai e move a cumprir aquilo que fazemos.

Mas o Senhor distingue dois tipos de recompensa, a que pode tender a vida duma pessoa: por um lado, temos a recompensa junto do Pai e, por outro, a recompensa junto dos homens. A primeira é eterna, é a verdadeira, definitiva, é o objetivo da existência. Ao contrário, a segunda é transitória, é um encandeamento que nos prende quando a admiração dos homens e o sucesso mundano representam para nós a coisa mais importante, a maior gratificação. Mas trata-se duma ilusão: é como uma miragem que, uma vez alcançada, nos deixa de mãos vazias. A inquietação e o descontentamento sempre aguardam ao virar da esquina quem possui como horizonte o mundanismo, que seduz, mas depois dececiona. Quem tem em vista a recompensa do mundo nunca encontra paz, nem sabe promover a paz, porque perde de vista o Pai e os irmãos. É um risco que todos corremos; por isso nos adverte Jesus: «Guardai-vos…»! É como se dissesse: «Tendes a possibilidade de gozar uma recompensa infinita, uma recompensa sem igual: por isso tende cuidado para não vos deixar deslumbrar pela aparência, perseguindo recompensas insignificantes, que vos morrem na mão».

O rito das cinzas, que recebemos sobre a cabeça, quer subtrair-nos ao encandeamento de preferir a recompensa junto dos homens à recompensa junto do Pai. Este sinal austero, que nos leva a refletir sobre a caducidade da nossa condição humana, é como um remédio de sabor amargo, mas eficaz para curar a doença da aparência. Trata-se duma doença espiritual, que escraviza a pessoa, levando-a a tornar-se dependente da admiração dos outros. É uma verdadeira «escravidão dos olhos e da mente» (cf. Ef 6, 6; Col 3, 22), que nos induz a viver buscando a vanglória, de modo que conta não a pureza do coração, mas a admiração do povo; não o olhar de Deus sobre nós, mas como nos olham os outros. E não é possível viver bem, contentando-se com esta recompensa.

O problema é que esta doença da aparência mina também os âmbitos mais sagrados. É sobre isto que Jesus insiste hoje: também a oração, a caridade e o jejum podem tornar-se autorreferenciais. Em cada gesto, mesmo no mais belo, pode esconder-se a traça da autocomplacência. Assim o coração não é completamente livre, porque não procura o amor ao Pai e aos irmãos, mas a aprovação humana, o aplauso do povo, a sua própria glória. E tudo se pode transformar numa espécie de ficção em relação a Deus, a si mesmo e aos outros. Por isso a Palavra de Deus convida-nos a olhar o nosso íntimo para ver as nossas hipocrisias. Façamos um diagnóstico das aparências que buscamos; tentemos desmascará-las. Far-nos-á bem.

As cinzas colocam em evidência o nada que se esconde por trás da afanosa procura das recompensas mundanas. Lembram-nos que o mundanismo é como o pó, que um pouco de vento arrasta. Irmãs, irmãos, não estamos no mundo para correr atrás do vento; o nosso coração tem sede de eternidade. A Quaresma é um tempo que o Senhor nos deu para voltarmos a viver, sermos curados interiormente e caminharmos para a Páscoa, para aquilo que não passa, para a recompensa junto do Pai. É um caminho de cura. Não para mudar tudo da noite para o dia, mas para viver cada dia com um espírito novo, com um estilo diferente. Para isto servem a oração, a caridade e o jejum: purificados pelas cinzas quaresmais, purificados da hipocrisia da aparência, reencontra-se a força plena para voltar a gerar uma relação viva com Deus, com os irmãos e consigo mesmo.

A oração humilde, feita «em segredo» (Mt 6, 6), no recanto do próprio quarto, torna-se o segredo para fazer florescer a vida no exterior. É um diálogo ardente de afeto e confiança, que consola e abre o coração. Sobretudo neste tempo de Quaresma, rezemos com os olhos fixos no Crucifixo: deixemo-nos invadir pela comovente ternura de Deus e, nas suas chagas, coloquemos as nossas e as do mundo. Não nos deixemos levar pela pressa, fiquemos em silêncio diante d’Ele. Redescubramos a essencialidade fecunda do diálogo íntimo com o Senhor. Com efeito, Deus não Se compraz com as coisas espetaculares; pelo contrário, gosta de Se deixar encontrar no segredo. É «o caráter secreto do amor», longe de toda a ostentação e de tonalidades espalhafatosas.

Se a oração for verdadeira, não pode deixar de se traduzir em caridade. E a caridade liberta-nos da escravidão pior: a escravidão de nós mesmos. A caridade quaresmal, purificada pelas cinzas, reconduz-nos ao essencial, à alegria íntima que existe no dar. A esmola, dada longe dos holofotes, dá paz e esperança ao coração. Revela-nos a beleza do dar que se torna receber, permitindo assim descobrir um segredo precioso: o dar alegra mais o coração do que o receber (cf. At 20, 35).

Por fim, o jejum. Este não é uma dieta; antes, liberta-nos da autorreferencialidade da busca obsessiva do bem-estar físico, para nos ajudar a ter em forma, não o corpo, mas o espírito. O jejum leva-nos de novo a dar o justo valor às coisas. Concretamente, recorda-nos que a vida não deve estar submetida ao cenário passageiro deste mundo. E o jejum não se deve restringir apenas ao alimento: especialmente na Quaresma, deve-se jejuar daquilo que gera em nós dependência. Cada qual pense nisto, para fazer um jejum que incida verdadeiramente na sua vida concreta.

Mas, se a oração, a caridade e o jejum devem amadurecer no segredo, os seus efeitos não são secretos. Oração, caridade e jejum não são remédios só para nós, mas para todos: podem, de facto, mudar a história. Não só porque quem sente os seus efeitos, quase sem se aperceber também os transmite aos outros, mas sobretudo porque a oração, a caridade e o jejum são os meios principais que permitem a Deus intervir na vida nossa e do mundo. São as armas do espírito e é com elas que, nesta jornada de oração e jejum pela Ucrânia, imploramos a Deus aquela paz que os homens sozinhos não conseguem construir.

Vós, Senhor, que vedes no segredo e nos recompensais além de toda a nossa expectativa, escutai a oração de quantos confiam em Vós, sobretudo dos mais humildes, dos mais provados, daqueles que sofrem e fogem sob o estrondo das armas. Colocai de novo a paz nos corações, concedei aos nossos dias a vossa paz. Amen.

[00327-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

W tym dniu, który rozpoczyna okres Wielkiego Postu, Pan do nas mówi: „Strzeżcie się, żebyście uczynków pobożnych nie wykonywali przed ludźmi po to, aby was widzieli; inaczej bowiem nie będziecie mieli nagrody u Ojca waszego, który jest w niebie” (Mt 6, 1). Może to dziwić, ale w dzisiejszej Ewangelii słowem, które powtarza się najczęściej, jest nagroda (por. w. 1.2.5.16). Zazwyczaj w Środę Popielcową nasza uwaga skupia się raczej na działaniach, jakich wymaga droga wiary, niż na nagrodzie, do której ona prowadzi. Jednak dzisiaj, Jezus w swojej mowie za każdym razem powraca do tego terminu - nagroda - który wydaje się być głównym motywem naszego działania. Istotnie, jest w nas, w naszych sercach, pragnienie, chęć osiągnięcia nagrody, która nas pociąga i pobudza nasze działania.

Pan rozróżnia jednak dwa rodzaje nagrody, do której może dążyć życie człowieka: z jednej strony jest to nagroda u Ojca, a z drugiej - nagroda u ludzi. Pierwsza z nich jest nagrodą wieczną, jest nagrodą prawdziwą, ostateczną, jest celem życia. Druga natomiast jest przejściowa, jest oślepiającym blaskiem, do którego się skłaniamy, gdy najważniejsze są dla nas podziw u ludzi i sukces doczesny, gdy stanowią największą gratyfikację. Jest to jednak złudzenie: jest to jak ułuda, która, kiedy się ją osiągnie, zostawia nas z pustymi rękoma. Niepokój i niezadowolenie zawsze czyhają na ludzi, dla których główną wartością jest zwodząca światowość. Kto liczy na nagrodę tego świata, nigdy nie znajdzie pokoju ani nie potrafi go promować. Dzieje się tak dlatego, że traci z oczu Ojca oraz swoich braci. Grozi to nam wszystkim i dlatego Jezus nas przestrzega: „uważajcie”. To tak, jakby mówił: „Macie możliwość cieszenia się nagrodą nieskończoną, niezrównaną: strzeżcie się więc, abyście nie dali się oślepić pozorom, goniąc za tanimi nagrodami za cztery grosze, które giną w waszych rękach”.

Obrzęd posypania głów popiołem ma nas uchronić przed błędem przedkładania nagrody u ludzi nad nagrodę u Ojca. Ten ascetyczny znak, który skłania nas do refleksji nad przemijalnością naszej ludzkiej kondycji, jest jak gorzkie, ale skuteczne lekarstwo, by uleczyć chorobę pozorów. Jest to choroba duchowa, która zniewala człowieka, uzależniając go od podziwu innych. Jest to istna „niewola oka i myśli” (por. Ef 6, 6; Kol 3, 22), która prowadzi do życia w duchu próżnej chwały, tak, że nie liczy się czystość serca, lecz podziw u ludzi; nie liczy się spojrzenie Boga na nas, lecz to, jak patrzą na nas inni. Nie można dobrze żyć, zadowalając się tą nagrodą.

Problem w tym, że ta choroba pozorów zagraża także najświętszym sferom. Na to właśnie nalega dzisiaj Jezus: także modlitwa, post i jałmużna mogą stać się odniesieniem do samego siebie. W każdym geście, nawet najpiękniejszym, może się ukryć robak samozadowolenia. Wówczas serce nie jest całkowicie wolne, ponieważ nie szuka miłości do Boga i do braci, lecz ludzkiej aprobaty, poklasku, własnej chwały. I wszystko może stać się pewnego rodzaju udawaniem przed Bogiem, przed sobą samym i przed innymi. Z tego powodu słowo Boże zachęca nas, abyśmy spojrzeli w głąb siebie, abyśmy zobaczyli nasze zakłamanie. Zdiagnozujmy pozory, których szukamy, spróbujmy je zdemaskować. Dobrze to nam zrobi.

Popiół uwypukla nicość, która kryje się za gorączkowym poszukiwaniem nagród doczesnych. Przypomina nam, że światowość jest jak pył, który zdmuchuje lekki podmuch wiatru. Siostry, bracia, nie jesteśmy na tym świecie, by uganiać się za wiatrem. Nasze serce pragnie wieczności. Wielki Post to czas dany nam przez Pana, abyśmy odżyli, zostali uzdrowieni wewnętrznie i podążali ku Wielkanocy, ku temu, co nie przemija, ku nagrodzie u Ojca. Jest to podróż uzdrawiająca. Nie po to, by zmienić wszystko z dnia na dzień, lecz po to, by przeżywać każdy dzień z nowym duchem, z odmiennym stylem. Temu służą modlitwa, post i jałmużna: oczyszczone przez wielkopostny popiół, oczyszczone z obłudy pozorów, odzyskują całą swą moc i odnawiają żywą relację z Bogiem, z braćmi oraz z samymi sobą.

Pokorna modlitwa, odmawiana „w ukryciu” (Mt 6, 6), w zaciszu swego pokoju, staje się sekretem rozkwitu życia na zewnątrz. Jest to serdeczny dialog uczuć i zaufania, który pociesza i otwiera serce. Szczególnie w tym okresie Wielkiego Postu módlmy się, patrząc na Krucyfiks: pozwólmy, by ogarnęła nas poruszająca czułość Boga i włóżmy w Jego rany nasze rany i rany świata. Nie pozwólmy, by ogarnął nas pośpiech, trwajmy przed Nim w milczeniu. Odkryjmy na nowo istotę intymnego dialogu z Panem. Bóg bowiem nie lubi rzeczy ostentacyjnych; lubi natomiast pozwalać się znaleźć w ukryciu. Jest to „tajemnica miłości”, daleka od wszelkiej ostentacji i uderzających tonów.

Jeśli modlitwa jest prawdziwa, może się przełożyć jedynie na jałmużnę. Ona uwalnia nas od najgorszej niewoli - niewoli nas samych. Wielkopostna jałmużna, oczyszczona przez popiół, ponownie odnosi nas do tego, co istotne, do wewnętrznej radości zawartej w dawaniu. Jałmużna, czyniona z dala od reflektorów, daje sercu pokój i nadzieję. Ukazuje nam piękno dawania, które staje się otrzymywaniem, i w ten sposób pozwala nam odkryć cenną tajemnicę: dawanie bardziej raduje serce niż otrzymywanie (por. Dz 20, 35).

Wreszcie, post. Nie jest to dieta; wręcz przeciwnie, uwalnia nas on od obsesyjnego odnoszenia się do siebie i poszukiwania dobrego samopoczucia fizycznego, by pomóc nam utrzymać w dobrej kondycji nie ciało, lecz ducha. Post odnosi nas do właściwej wartości rzeczy. W konkretny sposób przypomina nam, że życie nie powinno być podporządkowane przemijającej scenie tego świata. Post nie powinien ograniczać się tylko do jedzenia. Zwłaszcza w okresie Wielkiego Postu powinniśmy pościć od tego, co nas uzależnia. Każdy powinien się nad tym zastanowić, żeby podjąć post, który będzie miał rzeczywisty wpływ na jego konkretne życie.

O ile jednak modlitwa, miłosierdzie i post muszą dojrzewać w ukryciu, to ich skutki nie są ukryte. Modlitwa, miłosierdzie i post nie są lekarstwami tylko dla nas, lecz dla wszystkich: mogą zmienić historię. Głównie dlatego, że ci, którzy doświadczają ich skutków, niemal nie zdając sobie z tego sprawy, przekazują je innym. Przede wszystkim dlatego, że modlitwa, post i jałmużna są głównymi drogami, które pozwalają Bogu wkraczać w nasze życie i w życie świata. Są bronią ducha, i to dzięki nim w tym dniu modlitwy i postu za Ukrainę błagamy Boga o pokój, którego ludzie nie są w stanie zbudować o własnych siłach.

O Panie, który widzisz w ukryciu i nagradzasz nas ponad wszelkie nasze oczekiwania, wysłuchaj modlitwy wszystkich, którzy Tobie ufają, a zwłaszcza najpokorniejszych, najbardziej doświadczanych, tych, którzy cierpią i uciekają pod hukiem broni. Wlej ponownie pokój w serca, przywróć Twój pokój naszym dniom. Amen.

[00327-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في أربعاء الرّماد

2 آذار/مارس 2022

بازيليكا القدّيسة سابينا

في هذا اليوم الذي يفتتح زمن الصّوم، قال لنا الرّبّ يسوع: "إِيَّاكُم أَن تَعمَلوا بِرَّكم بِمَرأًى مِنَ النَّاس لِكَي يَنظُروا إِليكم، فلا يكونَ لكُم أَجرٌ عندَ أَبيكُمُ الَّذي في السَّمَوات" (متّى 6، 1). مِنَ المُمكن أن يفاجئنا هذا الكلام، ولكن في إنجيل اليوم، الكلمة التي تردّدت مرّات عديدة هي الأَجْر (راجع الآيات 1. 2. 5. 16). عادةً، في يوم أربعاء الرّماد، يتمحور اهتمامنا حول الالتزام الذي تتطلّبه مسيرة الإيمان، بدلاً من أن نركّز على المكافأة التي ننتظرها. ومع ذلك، عاد كلام يسوع اليوم في كلّ مرّة إلى هذا التعبير، الأَجْر، الذي يبدو أنّه الحافز لأعمالنا. في الواقع، يوجد فينا، وفي قلوبنا، عطش، ورغبة في الحصول على أجرٍ، يجذبنا ويحرّك ما نفعله.

ومع ذلك، ميّز الرّبّ يسوع نوعين من الأجر (أو المكافأة) التي يمكن أن تتوجّه إليها حياة الشّخص، وهما: هناك الأجر من عند الآب، وهناك الأجر من عند الإنسان. الأوّل أبدي، وحقيقيّ، ونهائي، وهو هدف الحياة. بينما الثّاني مؤقّت، وهو هفوةٌ نميل إليها عندما يكون الإعجاب البشري والنّجاح الدنيوي هما أهمّ شيء بالنّسبة لنا، وأكثر ما يرضينا. ولكن هذا وهمٌ: إنّه مثل سراب ما إن وصلنا إليه، حتّى يتركنا خالِي الوِفَاض. إنّ القلق والاستياء هما دائمًا خلف الباب بالنّسبة لِمَن يَرَى أفقه في الحياة الدنيويّة، التي تُغري وتخيب الآمال. من ينظر إلى أَجْرِ العالم لن يجد السّلام ولن يعرف حتّى أن ينشر السّلام. لأنّه لا يرى الآب ولا يرى الإخوة. إنّه خطر يهددنا كلّنا، لهذا حذّرنا يسوع قائلًا: "إِيَّاكُم". كما لو أنّه كان يقول: ”لديكم الفرصة لأن تحصلوا على أجْرٍ لا نهاية له، وأجْرٍ لا مثيل له: إيّاكم إذًا أن تنخدعوا بالمظاهر، وتتبعوا الأجور الرّخيصة، مال قليل يموت بين أيديكم“.

إنّ رُتبة وضع الرّماد، الذي يوضع على رؤوسنا، تهدف إلى أن تجنّبنا العثرة في أن نضع الأجر من عند الإنسان قبل الأجر من عند الآب. هذه العلامة الحازمة، التي تحملنا على التّفكير في حالتنا البشريّة الزّائلة، تشبه الدّواء الذي طعمه مرٌّ، ولكنّه فعّال في معالجة مرض المظاهر. إنّه مرض روحيّ، يستعبد الشّخص، ويصيِّرُه معتمِدًا على إعجاب الآخرين. إنّها حقًّا وبالتّحديد ”عبوديّة العين والعقل“ (راجع أفسس 6، 6؛ قولسي 3، 22)، التي تقودنا إلى أن نعيش تحت شعار المجد الباطل، وما هو مُهِم للمجد الباطل ليس نقاء القلب، بل إعجاب النّاس، وليس نظرة الله إلينا، بل كيف ينظر إلينا الآخرون. ولا يمكن أن نعيش عيشة صالحة إن اكتفينا بهذا الأجر.

المشكلة هي أنّ مرض المظاهر يسيطر حتّى على أكثر الأجواء قداسة. وهذا ما أصرّ على قوله يسوع اليوم: حتّى الصّلاة والمحبّة والصّوم يمكن أن تصبح أمورًا نعملها من أجل ذاتنا. في كلّ لفتةٍ، حتّى في أجملها، يمكن أن تختبئ سوسة الإعجاب بالنّفس. عندئذ، لا يكون القلب حرًّا، لأنّه لا يبحث عن المحبّة من أجل الآب ومن أجل الإخوة، بل يبحث عن رضى الناس، وتصفيق النّاس، ومجده الخاص. ويمكن أن يصبح كلّ شيء نوعًا من التصنّع أمام الله، وأنفسنا والآخرين. لهذا، تدعونا كلمة الله إلى أن ننظر إلى داخلنا، حتّى نرى مراءاتنا. لنعمَلْ تشخيصًا للمظاهر التي نسعى إليها، ولنحاول أن نكشفها. سوف يساعدنا هذا.

يسلّط الرّماد الضّوء على الفراغ الذي يختبئ وراء بحثنا اللاهث عن الأجور الدنيويّة. إنّه يذكّرنا بأنّ الحياة الدنيويّة مثل الغُبار، الذي إن هبّت عليه ريح صغيرة حملته بعيدًا. أيّها الإخوة والأخوات، نحن لسنا في العالم لنسير وراء الرّيح، بل في قلبنا عَطشٌ إلى الأبديّة. أعطانا الرّبّ يسوع زمن الصّوم حتّى نعود إلى الحياة، وحتّى نُشفى داخليًّا، ونسير نحو الفصح، ونحو الذي لا يَفنَى، ونحو الأجر من عند الآب. إنّها مسيرة للشّفاء. ليس من أجل أن نغيّر كلّ شيء بين عشيّةٍ وضُحَاها، بل من أجل أن نعيش كلّ يومٍ بروحٍ جديدة، وأسلوبٍ مختلف. لهذا نحن بحاجة إلى الصّلاة، والمحبّة والصّوم: ليطهّرَنا رماد زمن الصّوم، ليطهِّرَنا من رياء المظاهر، ولنجد كلّ قوّتنا ونجدّد علاقة حيّة مع الله، ومع إخوتنا ومع أنفسنا.

إنّ الصّلاة المتواضعة، التي نصلّيها "في الخُفْيَة" (متّى 6، 6)، وفي مخبأ حجرتنا، تصبح السّرّ الذي يجعل الحياة تُزهر في الخارج. إنّها حوار دافئ من المودّة والثّقة، يعزّي القلب ويفتحه. في زمن الصّوم هذا خصوصًا، لنصلِّ ونحن ننظر إلى المصلوب: لِنَدَع حنان الله المؤثّر يغزو حياتنا ولنَضَع جراحنا وجراح العالم في جراحه. ولا نتأثّر بالتّسرّع، بل لنبقَ أمامه بصمت. ولنكتشف من جديد الجوهر المثمر للحوار القريب مع الله. لأنّه لا يرضى بالأمور الظّاهرة، بل هو يحبّ أن نجده في الخُفية. إنّها ”سرّيّة المحبّة“، بعيدة عن كلّ تصنّع وعن الأصوات الصّاخبة.

إن كانت الصّلاة حقيقيّة، إذّاك فقط يمكن ترجمتها إلى محبّة. والمحبّة تحرّرنا من أسوَإِ عبوديّة، عبوديّة أنفسنا. إنّ المحبّة في زمن الصّوم، التي يطهِّرها الرّماد، تعيدنا إلى الجوهر، وإلى الفرح الحميم الذي يوجد في العطاء. والصّدقة، التي نفعلها بعيدًا عن الأضواء، تمنح قلبنا السّلام والرّجاء. إنّها تكشف لنا عن جمال العطاء الذي يصبح أخذًا، وهكذا يسمح لنا بأن نكتشف سرًّا ثمينًا، وهو أنّ: العطاء يفرّح القلب أكثر من الأخذ (راجع أعمال الرّسل 20، 35).

وأخيرًا الصّوم. الصّوم ليس حِمْيَة، بل هو يحرّرنا من كل اهتمام بذاتنا ومن هوس البحث عن صحّة الجسد. فهو يساعدنا في أن نحافظ على لياقتنا، ليس لياقة الجسد، بل الرّوح. الصّوم يعيدنا إلى أن نعطي القيمة الصّحيحة للأمور. عمليًّا، هو يذكّرنا بأنّ الحياة يجب ألّا تخضع لمشهد هذا العالم العابر. ويجب ألّا يقتصر الصّيام على الطّعام فقط: وخاصّة في زمن الصّوم، يجب أن نصوم عمّا يسبّب لنا إدمانًا معيّنًا. ليفكّر كلّ واحدٍ في ذلك، حتّى يصوم صومًا يؤثّر حقًّا في حياته العمليّة.

أمّا إذا نضجت الصّلاة والمحبّة والصّوم في الخفية، فإنّ آثارها لا تبقى خفية. إنّ الصّلاة والمحبّة والصّوم ليست علاجات لنا فقط، بل للجميع: في الواقع، يمكنها أن تغيّر التّاريخ. أوّلاً، لأنّ الذي جرّب آثارها، فهو ينقلها أيضًا إلى الآخرين، ولو بصورة لا واعية، وخصوصًا لأنّ الصّلاة والمحبّة والصّوم هي الطّرق الرئيسيّة التي تسمح لله بأن يتدخّل في حياتنا وفي العالم. إنّها أسلحة الرّوح، وبها، في يوم الصّلاة والصّوم هذا من أجل أوكرانيا، نتضرّع إلى الله من أجل ذلك السّلام الذي لا يستطيع العالم وحده أن يصنعه.

يا ربّ، أنت الذي ترى في الخفية وتكافئنا بما يفوق كلّ توقعاتنا، أصغِ إلى صلاة الذين يثقون بك، خصوصًا أكثرهم تواضعًا، والواقعين في الشدة، والذين يتألّمون ويهربون تحت دَوِيّ السّلاح. أعد السّلام إلى قلوبنا، وهَب سلامك إلى أيّامنا هذه. آمين.

[00327-AR.01] [Testo originale: Italiano]

 

[B0151-XX.02]