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Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale “Carisma e creatività. Catalogazione, gestione e progetti innovativi per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata” (4-5 maggio 2022), 17.02.2022


Intervento dell’Em.mo Card. Gianfranco Ravasi

Intervento dell’Em.mo Card. João Braz de Aviz

Intervento della Rev.da Sr. Jolanta Maria Kafka, R.M.I.

Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale “Carisma e creatività. Catalogazione, gestione e progetti innovativi per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata”, Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale “Carisma e creatività. Catalogazione, gestione e progetti innovativi per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata”, promosso dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e dal Pontificio Consiglio della Cultura, che si svolgerà il 4 e 5 maggio 2022, presso l’Auditorium Antonianum.che si svolgerà il 4 e 5 maggio 2022, presso l’Auditorium Antonianum.

Sono intervenuti l’Em.mo Card. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; l’Em.mo Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica; S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M., Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica; S.E. Mons. Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, Delegato del Pontificio Consiglio della Cultura; la Rev.da Sr. Jolanta Maria Kafka, R.M.I., Superiora Generale delle Religiose di Maria Immacolata e Presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

Intervento dell’Em.mo Card. Gianfranco Ravasi

Dal convegno “Dio non abita più qui?” al convegno “Carisma e creatività”

Il 29-30 novembre 2018 il Pontificio Consiglio della Cultura promosse un convegno dal titolo curioso: “Dio non abita più qui?”. In esso presentavamo esempi di gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici e soprattutto affrontavamo il problema, doloroso e sempre più urgente, della dismissione e del riuso degli edifici di proprietà della Chiesa. Fu un convegno molto impegnativo, ma anche ben riuscito, soprattutto per un documento che fu pubblicato in quell’occasione: le linee guida “La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese”, a cui misero mano oltre al Comitato scientifico del convegno, i delegati delle ventitré conferenze episcopali presenti[1].

Al convegno erano presenti docenti e ricercatori universitari, liberi professionisti e molti rappresentanti di chiese locali e appunto di conferenze episcopali. Risultò però evidente l’assenza degli Istituti di Vita Consacrata. Maturò pertanto negli organizzatori la coscienza che fosse necessario coinvolgere anche quella parte consistente della Chiesa, importante soprattutto sotto il profilo ecclesiale, spirituale e pastorale, ma anche detentrice di una gran parte del patrimonio culturale ecclesiastico: edifici, opere d’arte, archivi, biblioteche e musei. Non che le iniziative manchino, ma sono isolate e conosciute a un circuito ristretto. Complice lo straordinario numero di enti e istituti dotati di autonomia amministrativa e giuridica, ci si rese conto della difficoltà di proporre un coinvolgimento in programmi di tutela e di catalogazione unitari, a scala nazionali.

Risultò pertanto naturale al Pontificio Consiglio e agli stessi partner del convegno precedente – la Conferenza Episcopale Italiana, la Pontificia Università Gregoriana e, per la prima volta, il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna – coinvolgere la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. La collaborazione si rivelò preziosa perché complementare: da una parte la Congregazione con una secolare esperienza della vita “religiosa” dagli aspetti spirituali e disciplinari a quelli più gestionali e patrimoniali; dall’altro il Pontificio Consiglio della Cultura, erede di istituzioni specializzate nell’indirizzare le varie espressioni di Chiesa nella tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici; oltre alla CEI-Ufficio nazionale per i beni culturali e l’edilizia di culto e alle due istituzioni accademiche da decenni impegnate, ciascuna per la sua parte, a favore dei beni culturali della Chiesa.

È stata fatta fin dall’inizio anche la scelta, in sé coraggiosa e non comune nella Chiesa, di lanciare una call for papers internazionale, aperta naturalmente alle Comunità di Vita Consacrata, ma anche ai docenti e ricercatori universitari e ai liberi professionisti. Con questa conferenza, il nostro interesse non si concentra sui ruoli o sulla provenienza delle esperienze, ma sulle competenze e sulla esemplarità dei progetti, non per generare emulazione – cosa impossibile stante l’unicità dei casi e dei loro contesti – ma innescare nuovi processi.

La sfida è stata vinta perché sono giunte ben 82 proposte di intervento e, con l’esclusione dell’Australia, tutti i continenti sono stati rappresentati. Comprensibilmente la maggior parte dei papers giunge dai Paesi di più antica evangelizzazione, dunque dal bacino Mediterraneo, dall’Italia e dall’Europa. Trovano tuttavia rappresentazione anche l’Africa, l’America del Nord e Latina, l’Asia. Non si deve fare l’errore di considerare beni culturali solo i patrimoni più antichi. Sono beni culturali quelli in cui una Comunità Cristiana riconosce i segni della propria appartenenza, l’usura di un uso continuativo che può erodere i supporti materiali ma che amplifica la valenza semantica e la rappresentatività simbolica degli oggetti.

Dei contributi pervenuti sarà offerta una selezione qualificata nelle relazioni orali del Convegno. Altri saranno riservati agli atti delle giornate. La selezione tra i papers è stata effettuata dal Comitato Promotore, sulla base di una valutazione di merito delle proposte pervenute redatta dal Comitato Scientifico in modalità anonima, come è ormai consuetudine negli ambienti di ricerca.

Viviamo un tempo in cui una riflessione intorno ai beni culturali è urgente nella Chiesa e particolarmente nelle Comunità di Vita Consacrata. È a tutti evidente che le aree di maggiore densità dei patrimoni culturali della Chiesa, sono anche quelle in cui maggiormente si percepisce la flessione nella popolazione dei loro storici gestori. In Europa, a fronte di un patrimonio culturale vastissimo, composto di beni immobili e mobili, archivi e biblioteche, che richiede attenzione crescente sia in termini di tutela che valorizzazione, la popolazione dei consacrati negli ultimi 30 anni registra una flessione di oltre il 57% nella sua componente femminile e del 44% in quella maschile[2].

Di fronte ad un simile calo, è evidente che, rispetto ai beni culturali, occorre attivare con urgenza maggiori strumenti di osservazione e tutela. Nelle medesime condizioni però, i beni culturali possono essere considerati anche una risorsa, un bene testimoniale in cui rintracciare un carisma per annunciarlo nuovamente, per ripensarlo e attualizzarlo. Di qui il titolo di questo convegno “Carisma e Creatività”; di qui il continuo oscillare del programma tra due posizioni solo apparentemente opposte, ma in realtà complementari: conservare e progettare.

Si vuole affermare, con questo convegno, che l’onere del conservare può diventare un’opportunità per rinnovare, ossia per ripensare il proprio carisma, comprenderlo nell’attuale contesto socio-culturale e progettarlo nel prossimo futuro. Gli elementi materiali sui quali si stratifica la tradizione e lo sviluppo storico di un carisma, possono essere ancora quelli mediante i quali lo specifico carisma si annuncia e si declina nel nostro tempo.

Dalla necessità della conservazione all’opportunità del progetto può così divenire il sottotitolo di questo convegno che, già a partire dalla sua call, si voleva attento a quattro aspetti sotto i quali considerare tali beni culturali, corrispondenti ad altrettante sezioni in cui sono suddivise le due giornate: 1) i quadri di comprensione teorica dei beni culturali degli Istituti di Vita Consacrata, 2) la loro catalogazione, 3) la loro gestione, 4) il riuso ecclesiale degli edifici dismessi.

1) A differenza degli Stati laici, che nella comprensione e quindi nella conservazione dei beni culturali, non possono privilegiare alcuna prospettiva etica, adottando così il criterio oggettivo dell’età dei manufatti, la Chiesa assume come criterio di conservazione il valore che essa riconosce negli oggetti, consistente essenzialmente nella capacità di trasferire un significato, segnatamente religioso, spirituale, culturale. Nel caso dei beni culturali, agli oggetti liturgici, di evidente valenza, se ne affiancano altri di uso quotidiano, la cui caduta in disuso e la perdita di significato va talora a scapito della conservazione. Di qui la necessità dello studio di quadri comprensione dei beni culturali specifici per gli Istituti di Vita Consacrata, che ne riconosca la relazione con le tradizioni proprie della specifica Comunità o carisma. La comprensione della natura dei beni è propedeutica alla loro valorizzazione e disposizione.

2) La catalogazione è l’atto primario e imprescindibile per la conoscenza, la quantificazione, la tutela e la conservazione dei beni culturali nella loro complessità: edifici, opere d’arte, archivi e biblioteche. Il convegno presenta alcuni esempi di catalogazione generale dei beni di un ordine religioso o di una provincia, che concentrano in un catalogo unico e informatico beni omogeni per provenienza e per tipologia. La sfida per il prossimo futuro è superare la frammentazione dei cataloghi e degli enti proprietari in una integrazione di queste banche dati con quelle relative ai Beni Culturali Ecclesiastici della Chiesa di una stessa nazione, come già sta avvenendo ad esempio in Italia, dove da almeno vent’anni la Conferenza Episcopale Italiana e l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione collaborano per cataloghi nazionali per categoria di beni culturali interconnessi e compatibili. Salvaguardando i dati sensibili, che restano di proprietà dell’ente possessore del bene, sono fruibili in rete milioni di beni culturali, offerti alla ricerca scientifica, catalogati, fotografati e monitorati: difesi dal furto e da illecite alienazioni e offerti alla conoscenza.

3) La terza sezione affronta il tema della gestione dei beni culturali, sia sotto il profilo della sostenibilità economica sia in ordine alla loro valorizzazione pastorale e culturale nell’ottica della missione della Chiesa. I contributi prescelti cercano di privilegiare le esperienze di gestione integrale, in cui museo, archivio e biblioteca aperti al pubblico non sono considerate realtà autonome e quasi appendici della casa religiosa, ma sono divenute parte del servizio offerto dalle comunità ai loro ospiti.

4) Infine il riuso del patrimonio immobiliare dismesso diviene forse l’esigenza più urgente e manifesta, perché i comparti dei religiosi sono tradizionalmente ampi e il loro abbandono comporta situazioni di degrado, vere e proprie voragini nel tessuto urbano. Oggi «a differenza delle soppressioni ottocentesche, l’attuale dispersione del patrimonio ecclesiastico non vede né una ri-programmazione funzionale a fini di pubblica utilità né un catalogo sistematico dei beni […]: i beni sono dispersi in una geografia di emorragie ignote, per poi riemergere nella fiera del web che rende nuovamente disponibile l’indisponibile»[3]. Si deve tuttavia ricordare che nell’uso dei suoi immobili la Chiesa ha una delle proprie più dirette manifestazioni nei contesti locali, ed un uso distorto, speculativo o privatistico costituisce sempre un comprensibile motivo di scandalo delle comunità civili, con affioramenti ricorrenti nei quotidiani di interesse regionale. La quarta sezione del convegno pertanto tenta di individuare buone pratiche di riuso rispettose della primitiva destinazione degli immobili, che quindi ne privilegino una nuova finalizzazione sociale, caritativa e culturale.

Soprattutto che siano una valida alternativa alla mera applicazione di una logica di mercato speculativa: «Il fatto che si ritengano disponibili alla vendita beni culturali in cui si concretizza la tradizione della Chiesa e della specifica comunità di appartenenza, esibisce una concezione privatistica dei beni, in fondamentale contraddizione con la loro natura ecclesiastica ed ecclesiale: di tali beni la comunità e i singoli religiosi devono infatti ritenersi custodi pro-tempore a nome della Chiesa e in vista del bene comune»[4].

È particolarmente attraverso l’uso dei beni immobili che si potrebbe annunciare la possibilità di una economia della solidarietà e dell’accoglienza, in sinergia con gli altri operatori istituzionali e del terzo settore che si stanno occupando si questi temi.

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[1] “Dio non abita più qui?”. Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiatici / “Doesn’t God dwell here anymore?”. Decommissioning place of worship and integrated management of Ecclesiastical cultural heritage, atti del convegno (Roma, 29-30 novembre 2018), a cura di F. Capanni, Artemide, Roma 2019.
[2] Dati elaborati a partire dall’Annuarium Statisticum Ecclesiae dal 1988 al 2019.
[3] L. Bartolomei, La casa comune. Significati e statistiche, problemi e progetti per i beni culturali della comunità di vita consacrata, in La casa comune / The Common House, Atti della Summer School Nuovi scenari per patrimoni monastici dismessi (Lucca, 25 luglio – 3 agosto 2019), numero speciale di “in_bo” 12, 2021, n. 6, pp. 10-30: 17.
[4] Bartolomei, La casa comune, p. 33 e nota 71; cfr Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Economia a servizio del carisma e della missione: Boni dispensatores multiformis gratiae Dei (1 Petr. 4, 19). Orientamenti, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2018, p. 9.

[00235-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento dell’Em.mo Card. João Braz de Aviz

 

Il patrimonio culturale dei religiosi: tra carisma e profezia

Come l’amministratore fedele e prudente ha il compito di curare attentamente quanto gli è stato affidato, così la Chiesa è consapevole della responsabilità di tutelare e gestire con attenzione i propri beni, alla luce della sua missione di evangelizzazione e con particolare premura verso i bisognosi. Sono le parole di Papa Francesco con le quali, nel marzo del 2014, abbiamo dato avvio al primo simposio organizzato dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e società di vita apostolica sulla gestione dei beni ecclesiastici degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica a servizio dell’humanum e della missione della Chiesa.

Dall’elezione di Papa Francesco, il nostro Dicastero ha avvertito l’urgenza di dare concretezza ad uno dei grandi temi del suo magistero, quello economico sociale, ponendo un’attenzione particolare al patrimonio degli istituti di vita consacrata (istituti religiosi, contemplative, istituti secolari, società di vita apostolica). Le coordinate che ci ha indicato lo stesso Papa Francesco, Professionalità e Vangelo, sono diventate le linee guida del nostro cammino. Il primo passo è stato quello di aiutare gli stessi istituti ad assumerne maggiore consapevolezza circa la rilevanza della materia economica: da qui il suddetto simposio del marzo 2014 e la pubblicazione alcuni mesi dopo delle Linee orientative per la gestione dei beni degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica [1]. Un testo che indicava percorsi e principi per la gestione dei beni come aiuto perché gli Istituti rispondano con sempre rinnovata audacia e profezia alle sfide del nostro tempo, per continuare ad essere segno profetico dell’amore di Dio.

Sempre sollecitati dalle parole profetiche del Papa, abbiamo poi intrapreso insieme, Dicastero e Istituti, un cammino di discernimento, efficace e costruttivo, per individuare i cambiamenti necessari nella cura e gestione di un patrimonio che, ne siamo consapevoli, è e deve restare, dono di Dio per la Chiesa e l’umanità intera. Da questa consapevolezza sono scaturiti il secondo simposio, organizzato dalla Congregazione nel novembre 2016, dal titolo “Nella fedeltà al carisma ripensare all’economia” e la successiva pubblicazione degli Orientamenti “Economia a servizio del carisma e della missione[2]. Questo testo, oltre a richiamare ed esplicitare alcuni aspetti della normativa canonica sui beni temporali, suggerisce alcuni strumenti di pianificazione e programmazione inerenti la gestione delle opere e sollecita gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica ad essere “ancora oggi per la chiesa e per il mondo gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie come superamento di ogni egoismo”[3].

Questi materiali, come quelli seguenti, sono stati messi a disposizione sul sito del convegno aperto due anni fa[4].

In questo cammino, brevemente delineato, si è inserita molto opportunamente la proposta del Pontificio Consiglio della Cultura di organizzare il presente convegno dal titolo Carisma e Creatività. Significa continuare il discernimento con un’attenzione particolare al patrimonio storico, artistico e culturale degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica e continuarlo insieme al Pontificio Consiglio, che ha essenzialmente una funzione di “indirizzo” e svolge un ruolo importante per la definizione teorica del pensiero della Chiesa sui beni culturali e per il suggerimento di orientamenti operativi[5].

Siamo consapevoli che quando si parla di beni e di patrimonio, il primo pensiero va all’economia e che il rischio è quello di pensare secondo “un’economia che uccide”[6] perché mette al centro di tutto il denaro e ubbidisce solo alle sue logiche, come tante volte ci ha ricordato Papa Francesco. Si tratta di un rischio che interroga anche i consacrati e le consacrate. È infatti davanti agli occhi di tutti che la geografia della vita consacrata si è spostata e in alcuni continenti, primo tra tutti quello europeo, l’età media dei consacrati e delle consacrate è aumentata sempre di più a causa delle poche nuove vocazioni. Si apre, di conseguenza, la grande sfida della cura, della gestione integrata, della dismissione e del riuso degli edifici di proprietà degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, anch’essi compresi tra i beni della Chiesa.

Ma siamo altrettanto consapevoli della necessità di allargare l’orizzonte per considerare insieme al patrimonio naturale, anche quello storico, artistico e culturale, che è ugualmente minacciato, come ha evidenziato il Papa nell’Enciclica Laudato si’ parlando dell’ecologia culturale[7]. Gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica sono stati e continuano ad essere grandi promotori dell’arte e della cultura al servizio della fede, custodi di una parte importantissima del patrimonio della Chiesa e dell’umanità: patrimonio costituito dagli archivi, dai libri, dalle opere artistiche e liturgiche, dagli stessi immobili. Tutte ricchezze che dicono un modo di concepire l’esistenza, raccontano la storia del territorio, parlano dei rapporti umani, della speranza davanti al dolore, del senso dell’eternità e della felicità. Ricchezze, e, prima ancora doni, da custodire e da condividere.

Già nel 1994 l’allora Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, le cui competenze sono ora confluite nel Pontificio Consiglio della Cultura[8], rivolse una lettera ai superiori e alle superiore generali[9] ribadendo che i beni culturali della Chiesa non sono tanto un patrimonio "da conservare", ma, piuttosto, un tesoro da far conoscere e utilizzare per la nuova evangelizzazione. In quella lettera si definiva il significato ecclesiale del patrimonio culturale, lo si analizzava nelle sue tipologie in chiave pastorale, se ne offrivano delle prospettive operative, prima di tutto l’inventariazione/ catalogazione; si accennava anche al fenomeno della dismissione, che allora già si affacciava. Il desiderio era quello di creare una rete di contatti con e tra gli operatori (archivisti, bibliotecari, conservatori di musei) per conoscere il lavoro fatto e scambiare suggerimenti operativi, analogamente a quanto si faceva in contemporanea con le diocesi.

Una seconda lettera circolare del 15 settembre 2006, rivolta ai superiori maggiori degli istituti maschili e femminili che hanno casa generalizia in Italia[10], si è concentrata in modo peculiare sull’inventariazione e catalogo dei beni culturali. D’intesa con l’Ufficio Nazionale per i beni culturali della CEI, si offrivano alle case religiose esistenti sul territorio italiano i software utilizzati dalle diocesi italiane nella campagna di catalogazione dei beni artistici e archivistici promossa dalla CEI in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD).

Anche questa lettera, come la precedente, ha incontrato un successo parziale.

Ci sembra oggi arrivato il tempo di unire le risorse, a livello istituzionale e a livello di comunità di vita consacrata, comprendendo in questa espressione gli istituti religiosi, i monasteri, gli istituti secolari e le società di vita apostolica. Da qui, la collaborazione dei due Dicasteri competenti e la presenza nel comitato promotore della Conferenza Episcopale italiana, di una Università pontifica ed una Università statale. Da qui l’invito ai consacrati e alle consacrate a riflettere sul valore che i beni culturali hanno per la collettività di oggi, sulla loro destinazione ultima, sulla loro correlazione con il carisma di ciascun istituto e con la dimensione profetica dello stesso carisma.

Sappiamo che non mancano iniziative di buona gestione dei beni culturali da parte degli istituti di vita consacrata, ma è difficile conoscerle, farle venire alla luce, così come è difficile quantizzare e descrivere il patrimonio dei consacrati. Esiste in questo campo una difficoltà oggettiva a coordinare attività comuni, come un inventario/catalogo generale dei beni culturali dei consacrati, anche solo a livello nazionale, sebbene non manchino organismi di coordinamento, come le conferenze nazionali di superiori maggiori. Non dimentichiamo che a differenza delle singole chiese locali, coordinate dal vescovo diocesano, i singoli istituti e i monasteri godono di un’autonomia maggiore, perché sono soggetti ai controlli dei rispettivi superiori maggiori e della Congregazione per gli istituti di vita consacrata, nelle ipotesi determinate dal diritto.

Eppure tutti gli istituti, i monasteri e le società di vita apostolica sono chiamati a fare cordata per dare un passo importante che è quello della catalogazione e della documentazione fotografica dei beni culturali, la cui utilità emerge ad esempio in occasione del recupero di opere rubate o del restauro di beni danneggiati da calamità naturali.

Questo convegno, come evidenzierà l’intervento del Cardinale Ravasi, tenta di far emergere le problematiche sottese alla gestione dei beni culturali delle comunità di vita consacrata, di presentare, in una sede di studio, le buone pratiche di tutela e di valorizzazione avviate dagli istituti stessi o dai centri di ricerca universitari, e di promuovere una campagna sistematica di catalogazione di tali beni che li faccia conoscere prima di tutto agli istituti possessori stessi e ne garantisca la buona conservazione.

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[1] Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Lettera circolare, 2 agosto 2014, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014.
[2] Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Economia a servizio del carisma e della missione. “Boni dispensatores multiformis gratiae Dei (1 Petri 4, 10)”. Orientamenti, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2018.
[3] FRANCESCO, Messaggio ai partecipanti al Simposio internazionale sul tema: “La gestione dei beni ecclesiastici degli istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica a servizio dell’humanum e della missione della Chiesa”, Roma, (8 marzo 2014).
[4] www.carismaecreativita.net (Risorse).
[5] Ciò è documentato nell’Enchiridion dei beni culturali della Chiesa. Documenti ufficiali della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Bologna, EDB, 2002.
[6] FRANCESCO, Discorso ai partecipanti all’incontro “economia di comunione” promosso dal Movimento dei Focolari Roma, (4 febbraio 2017).
[7] FRANCESCO, Lettera Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune, Roma (24 maggio 2015).
[8] Giovanni Paolo II, Cost. Ap. Pastor Bonus, 28 giugno 1988, art. 99-104 (AAS 80 [1988] p. 885-886); Giovanni Paolo II, Motu proprio Inde a Pontificatus Nostri, 25 marzo 1993 (AAS 85 [1993] p. 549-550); Benedetto XVI, Motu proprio Pulchritudinis fidei, 30 luglio 2012 (AAS 104 [2012] p. 631-632).
[9] Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, I beni culturali degli istituti religiosi, Lettera circolare, 10 aprile 1994, in Enchiridion dei beni culturali, cit., nn. 280-314.
[10] Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Inventariazione dei beni culturali degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica: alcuni orientamenti pratici, 15 settembre 2006, Città del Vaticano 2006.

[00236-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento della Rev.da Sr. Jolanta Maria Kafka, R.M.I.

Elaborazione sintetica dei dati pervenuti

dal Questionario sulla catalogazione e gestone dei beni culturali

rivolto alle comunità di vita consacrata

in vista del prossimo Convegno “Carisma e creatività”

Considero importante sottolineare che i beni culturali sono in qualche modo vincolati al vissuto dei carismi. L’arte, l’architettura, sin dall’inizio della vita consacrata hanno cercato di esprimere e testimoniano lo spirito e il senso della fede, della lode, della dedizione a Dio e la Chiesa. Creando così un patrimonio che non deve perdersi. La cura dei beni culturali è unita alla cura del carisma e della spiritualità ed è una responsabilità degli Istituti e della Chiesa.

In vista del Convegno “Carisma e Creatività” si è tentato di promuovere un breve questionario riservato agli istituti di vita consacrata e alle società di vita apostolica circa la cura e la gestione dei beni culturali in loro possesso.

L’iniziativa, della quale già oggi sarà possibile analizzare qualche risultato, è sorta per verificare l’attitudine degli istituti in relazione ai propri beni culturali mobili e immobili, con particolare attenzione a cinque aspetti:

1. l’effettivo avvio e lo stato di avanzamento di processi di inventariazione e catalogazione;

2. l’organicità e l’uniformità dei processi avviati, per comprendere se essi abbiano seguito modelli coerenti entro gli istituti o le singole provincie;

3. limiti e/o criteri di priorità tra i beni censiti, per verificare a quali categorie di beni si sia primariamente orientata (o limitata) l’azione censuaria.

4. Relativamente agli immobili, l’intento del questionario era comprendere se si potesse delineare entro gli istituti una politica prevalente in caso di chiusura di una casa; se cioè si dimostri prevalere l’alienazione, la valorizzazione economica nel mantenimento della proprietà, o se altrimenti esistano casi di una valorizzazione sociale e culturale degli immobili, in collaborazione con altre istituzioni (religiose o civili) del territorio.

5. Infine, mediante il questionario si è voluto conoscere se nel programma di formazione degli istituti si delinei un’attenzione specifica ai beni culturali della Chiesa e alla loro gestione.

Se i risultati specifici del questionario intorno a questi cinque punti saranno dibattuti con maggiore ampiezza nelle giornate del prossimo convegno, in questa sede è possibile anticiparne il risultato complessivo mediante l’analisi di alcuni dati.

Anzitutto si deve riconoscere che, nonostante la promozione del questionario da parte della Congregazione per i religiosi e degli organi internazionali di rappresentanza delle superiori generali (UISG) e dei superiori generali (USG), la compilazione del sondaggio è stata complessivamente modesta. Lo strumento ha riportato notizie di 56 congregazioni maschili e 279 femminili, ossia, in ambedue i casi, di circa il 20% degli istituti oggi attivi.

Circa la presenza di un catalogo ordinato dei beni culturali, il 48% degli istituti ha dichiarato una catalogazione sporadica e parziale (limitata a qualche casa o provincia). Nel 23% dei casi, la catalogazione è inesistente. Tra i virtuosi, si riscontra che sono soprattutto i monasteri sui juris di vita contemplativa a vantare un catalogo completo dei propri beni (4% del campione), unitamente ad altre congregazioni (20%) che hanno dichiarato il completamento di un’azione censuaria omogenea, estesa a tutte le comunità e province. Globalmente, solo per il 5% degli istituti tale azione è attualmente in corso.

In tale segmentazione pesano tuttavia largamente i contesti culturali. In Europa, laddove si può supporre che i beni culturali ecclesiastici siano numericamente maggiori, la loro catalogazione è più lacunosa rispetto al resto del mondo, ove i patrimoni culturali sono più recenti. Se oltre i confini europei il 42 % delle comunità dichiara di avere completato il censimento dei beni culturali e solo nel 9% dei casi si riscontra l’assenza di un catalogo, in Europa i rapporti sono invertiti: il 13% delle comunità ha completato la catalogazione dei propri beni e il 27% non l’ha ancora intrapresa.

Tali dati vanno comunque considerati anche alla luce della polarizzazione delle risposte ottenute: la partecipazione al questionario dall’Europa è stata di gran lunga superiore a quella di altri contesti. Le risposte provenienti dall’Europa costituiscono da sole il 73% del campione, pur rappresentativo di tutti e 5 i continenti, seppure con diversa rappresentatività: il 17% delle risposte proveniente dal Nord America, il 4% dal Sud America, un uguale 2% dall’Africa, dall’Asia e dall’Australia.

La differente urgenza per la catalogazione dei beni culturali può essere interpretata anche in relazione all’età degli istituti. Il campione che si è costituito è rappresentato per la metà dei casi da enti fondati nel sec. XIX (1815- 1915). Antecedenti il 1550 sono il 12% degli istituti, mentre i restanti sono fondazioni ascritte all’età moderna (14%) o al secolo scorso (25%).

Volendo in questa sede anticipare una sintesi, dalle percentuali di risposta al questionario, e dall’analisi dei relativi contesti di provenienza, si deve constatare che si deve potenziare l’attenzione ai beni culturali nelle comunità di vita consacrata. Indipendentemente dall’età della fondazione, la preoccupazione per il patrimonio si accresce quando diventa difficile la sua gestione, specialmente per al calo del numero delle comunità. L’attenzione ai beni culturali non è divenuta ancora strutturale (come dimostra l’assenza pressoché completa di percorsi formativi innestati negli anni di formazione dei consacrati) bensì emergenziale, esponendoli al rischio di percorsi di tutela e valorizzazione ridotti.

L’auspicio è dunque che il prossimo convegno segni una svolta e una “conversione”, per sensibilizzare ancora di più, anticipare le situazioni critiche, passando dall’emergenza all’offerta di progetti e di strumenti di catalogazione e di tutela.

[00237-IT.01] [Testo originale: Italiano]

 

[B0115-XX.02]