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Santa Messa celebrata dal Santo Padre Francesco in occasione della III Giornata della Parola di Dio, 23.01.2022


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 9.30 di questa mattina, III Domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa nella Basilica Vaticana in occasione della III Giornata della Parola di Dio.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, per la prima volta, con un nuovo rito preparato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Papa ha conferito a uomini e donne laici provenienti da diversi Paesi del mondo il ministero del Lettorato e il ministero del Catechista.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Nella prima Lettura e nel Vangelo troviamo due gesti paralleli: il sacerdote Esdra pone in alto il libro della legge di Dio, lo apre e lo proclama davanti a tutto il popolo; Gesù, nella sinagoga di Nazaret, apre il rotolo della Sacra Scrittura e legge un passo del profeta Isaia davanti a tutti. Sono due scene che ci comunicano una realtà fondamentale: al centro della vita del popolo santo di Dio e del cammino della fede non ci siamo noi, con le nostre parole. Al centro c’è Dio con la sua Parola.

Tutto ha avuto inizio dalla Parola che Dio ci ha rivolto. In Cristo, sua Parola eterna, il Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo» (Ef 1,4). Con la sua Parola ha creato l’universo: «Egli parlò e tutto fu creato» (Sal 33,9). Fin dai tempi antichi ci ha parlato per mezzo dei profeti (cfr Eb 1,1); infine, nella pienezza del tempo (cfr Gal 4,4), ha mandato a noi la sua stessa Parola, il Figlio unigenito. Per questo, terminata la lettura di Isaia, Gesù nel Vangelo annuncia qualcosa di inaudito: «Oggi si è compiuta questa Scrittura» (Lc 4,21). Si è compiuta: la Parola di Dio non è più una promessa, ma si è realizzata. In Gesù si è fatta carne. Per opera dello Spirito Santo è venuta ad abitare in mezzo a noi e vuole dimorare in noi, per colmare le nostre attese e sanare le nostre ferite.

Sorelle e fratelli, teniamo lo sguardo fisso su Gesù, come la gente nella sinagoga di Nazaret (cfr v. 20) – lo guardavano, era uno di loro: quale novità? Cosa farà, questo, di cui si parla tanto? – e accogliamo la sua Parola. Meditiamone oggi due aspetti tra loro legati: la Parola svela Dio e la Parola ci porta all’uomo. È al centro: svela Dio e ci porta all’uomo.

Anzitutto la Parola svela Dio. Gesù, all’inizio della sua missione, commentando quel determinato passo del profeta Isaia, annuncia una scelta precisa: è venuto per la liberazione dei poveri e degli oppressi (cfr v. 18). Così, proprio attraverso le Scritture, ci svela il volto di Dio come di Colui che si prende cura della nostra povertà ed ha a cuore il nostro destino. Non è un padrone arroccato nei cieli – quell’immagine di Dio brutta, no, non è così – ma un Padre che segue i nostri passi. Non è un freddo osservatore distaccato e impassibile, un Dio “matematico”. È il Dio-con-noi, che si appassiona alla nostra vita e si coinvolge fino a piangere le nostre lacrime. Non è un dio neutrale e indifferente, ma lo Spirito amante dell’uomo, che ci difende, ci consiglia, prende posizione a nostro favore, si mette in gioco, si compromette con il nostro dolore. Sempre è presente lì. Ecco «il lieto annuncio» (v. 18) che Gesù proclama davanti allo sguardo stupito di tutti: Dio è vicino e si vuole prendere cura di me, di te, di tutti. E questo è il tratto di Dio: vicinanza. Lui stesso si definisce così; dice al popolo, nel Deuteronomio: “Quale popolo ha i suoi dèi vicini a sé, come io sono vicino a te?” (cfr Dt 4,7). Il Dio vicino, con quella vicinanza che è compassionevole e tenera, vuole sollevarti dai pesi che ti schiacciano, vuole riscaldare il freddo dei tuoi inverni, vuole illuminare le tue giornate oscure, vuole sostenere i tuoi passi incerti. E lo fa con la sua Parola, con la quale ti parla per riaccendere la speranza dentro le ceneri delle tue paure, per farti ritrovare la gioia nei labirinti delle tue tristezze, per riempire di speranza l’amarezza delle solitudini. Ti fa andare, ma non in un labirinto: ti fa andare nel cammino, per trovarlo di più, ogni giorno.

Fratelli, sorelle, chiediamoci: portiamo dentro al cuore questa immagine liberante di Dio, il Dio vicino, il Dio compassionevole, il Dio tenero? Oppure lo pensiamo come un giudice rigoroso, un rigido doganiere della nostra vita? La nostra è una fede che genera speranza e gioia o – mi domando, tra noi – è ancora zavorrata dalla paura, una fede paurosa? Quale volto di Dio annunciamo nella Chiesa? Il Salvatore che libera e guarisce o il Dio Temibile che schiaccia sotto i sensi di colpa? Per convertirci al vero Dio, Gesù ci indica da dove partire: dalla Parola. Essa, raccontandoci la storia d’amore di Dio per noi, ci libera dalle paure e dai preconcetti su di Lui, che spengono la gioia della fede. La Parola abbatte i falsi idoli, smaschera le nostre proiezioni, distrugge le rappresentazioni troppo umane di Dio e ci riporta al suo volto vero, alla sua misericordia. La Parola di Dio nutre e rinnova la fede: rimettiamola al centro della preghiera e della vita spirituale! Al centro, la Parola che ci rivela come è Dio. La Parola che ci fa vicini a Dio.

E ora il secondo aspetto: la Parola ci porta all’uomo. Ci porta a Dio e ci porta all’uomo. Proprio quando scopriamo che Dio è amore compassionevole, vinciamo la tentazione di chiuderci in una religiosità sacrale, che si riduce a culto esteriore, che non tocca e non trasforma la vita. Questa è idolatria. Idolatria nascosta, idolatria raffinata, ma è idolatria. La Parola ci spinge fuori da noi stessi per metterci in cammino incontro ai fratelli con la sola forza mite dell’amore liberante di Dio. Nella sinagoga di Nazaret Gesù ci rivela proprio questo: Egli è inviato per andare incontro ai poveri – che siamo tutti noi – e liberarli. Non è venuto a consegnare un elenco di norme o ad officiare qualche cerimonia religiosa, ma è sceso sulle strade del mondo a incontrare l’umanità ferita, ad accarezzare i volti scavati dalla sofferenza, a risanare i cuori affranti, a liberarci dalle catene che ci imprigionano l’anima. In questo modo ci rivela qual è il culto più gradito a Dio: prendersi cura del prossimo. E dobbiamo tornare su questo. Nel momento in cui nella Chiesa ci sono le tentazioni della rigidità, che è una perversione, e si crede che trovare Dio è diventare più rigidi, più rigidi, con più norme, le cose giuste, le cose chiare… Non è così. Quando noi vedremo proposte di rigidità, pensiamo subito: questo è un idolo, non è Dio. Il nostro Dio non è così.

Sorelle e fratelli, la Parola di Dio ci cambia – la rigidità non ci cambia, ci nasconde –; la Parola di Dio ci cambia penetrando nell’anima come una spada (cfr Eb 4,12). Perché, se da una parte consola, svelandoci il volto di Dio, dall’altra provoca e scuote, riportandoci alle nostre contraddizioni. Ci mette in crisi. Non ci lascia tranquilli, se a pagare il prezzo di questa tranquillità è un mondo lacerato dall’ingiustizia e dalla fame, e a farne le spese sono sempre i più deboli. Sempre pagano i più deboli. La Parola mette in crisi quelle nostre giustificazioni che fanno dipendere ciò che non va sempre da altro e dagli altri. Quanto dolore sentiamo nel vedere i nostri fratelli e sorelle morire sul mare perché non li lasciano sbarcare! E questo, alcuni lo fanno in nome di Dio. La Parola di Dio ci invita a uscire allo scoperto, a non nasconderci dietro la complessità dei problemi, dietro il “non c’è niente da fare”, “è un problema loro”, “è un problema suo”, o il “che cosa posso farci io?”, “lasciamoli lì”. Ci esorta ad agire, a unire il culto di Dio e la cura dell’uomo. Perché la sacra Scrittura non ci è stata data per intrattenerci, per coccolarci in una spiritualità angelica, ma per uscire incontro agli altri e accostarci alle loro ferite. Ho parlato della rigidità, di quel pelagianesimo moderno, che è una delle tentazioni della Chiesa. E quest’altra, cercare una spiritualità angelica, è un po’ l’altra tentazione di oggi: i movimenti spirituali gnostici, lo gnosticismo, che ti propone una Parola di Dio che ti mette “in orbita” e non ti fa toccare la realtà. La Parola che si è fatta carne (cfr Gv 1,14) vuole diventare carne in noi. Non ci astrae dalla vita, ma ci immette nella vita, nelle situazioni di tutti i giorni, nell’ascolto delle sofferenze dei fratelli, del grido dei poveri, delle violenze e delle ingiustizie che feriscono la società e il pianeta, per non essere cristiani indifferenti, ma operosi, cristiani creativi, cristiani profetici.

«Oggi – dice Gesù – si è compiuta questa Scrittura» (Lc 4,21). La Parola vuole prendere carne oggi, nel tempo che viviamo, non in un futuro ideale. Una mistica francese del secolo scorso, che ha scelto di vivere il Vangelo nelle periferie, ha scritto che la Parola del Signore non è «“lettera morta”: essa è spirito e vita. […] L’acustica che la Parola del Signore esige da noi è il nostro “oggi”: le circostanze della nostra vita quotidiana e le necessità del nostro prossimo» (M. Delbrêl, La gioia di credere, Gribaudi, Milano 1994, 258). Chiediamoci allora: vogliamo imitare Gesù, diventare ministri di liberazione e di consolazione per gli altri, attuare la Parola? Siamo una Chiesa docile alla Parola? Una Chiesa portata all’ascolto degli altri, impegnata a tendere la mano per sollevare i fratelli e le sorelle da ciò che li opprime, per sciogliere i nodi delle paure, liberare i più fragili dalle prigioni della povertà, della stanchezza interiore e dalla tristezza che spegne la vita? Vogliamo questo?

In questa celebrazione alcuni nostri fratelli e sorelle vengono istituiti lettori e catechisti. Sono chiamati al compito importante di servire il Vangelo di Gesù, di annunciarlo affinché la sua consolazione, la sua gioia e la sua liberazione raggiungano tutti. Questa è anche la missione di ciascuno di noi: essere annunciatori credibili, profeti della Parola nel mondo. Perciò, appassioniamoci alla Sacra Scrittura, lasciamoci scavare dentro dalla Parola, che svela la novità di Dio e porta ad amare gli altri senza stancarsi. Rimettiamo la Parola di Dio al centro della pastorale e della vita della Chiesa! Così saremo liberati da ogni pelagianesimo rigido, da ogni rigidità, e saremo liberati dall’illusione di spiritualità che ti mettono “in orbita” senza avere cura dei fratelli e delle sorelle. Rimettiamo la Parola di Dio al centro della pastorale e della vita della Chiesa. Ascoltiamola, preghiamola, mettiamola in pratica.

[00100-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Dans la première lecture et dans l’Évangile, nous trouvons deux gestes parallèles: le prêtre Esdras place le livre de la loi de Dieu en hauteur, l’ouvre et le proclame devant tout le peuple; Jésus, dans la synagogue de Nazareth, ouvre le rouleau de l’Écriture Sainte et lit un passage du prophète Isaïe devant tout le monde. Ce sont deux scènes qui nous communiquent une réalité fondamentale: ce n’est pas nous, avec nos paroles, qui sommes au centre de la vie du peuple saint de Dieu et du chemin de la foi. Au centre, se trouve Dieu avec sa Parole.

Tout a commencé par la Parole que Dieu nous a adressée. Dans le Christ, sa Parole éternelle, le Père «nous a choisis avant la fondation du monde» (Ep 1, 4). Par sa Parole, il a créé l’univers: «Il parla, et ce qu'il dit exista » (Ps 33, 9). Depuis les temps anciens, il nous a parlé par les prophètes (He 1, 1); enfin, dans la plénitude des temps (Ga 4, 4), il nous a envoyé sa propre Parole, le Fils unique. C’est pourquoi, une fois terminée la lecture d’Isaïe, Jésus annonce dans l’Évangile quelque chose d’inouïe: «Aujourd’hui s’accomplit ce passage de l’Écriture» (Lc 4,21). Elle s’est accomplie: la Parole de Dieu n’est plus une promesse, mais elle s’est réalisée. Elle s’est incarnée en Jésus. Par l’action de l’Esprit Saint, elle est venue habiter parmi nous et elle veut demeurer en nous, pour combler nos attentes et guérir nos blessures.

Sœurs et frères, comme les gens dans la synagogue de Nazareth, gardons les yeux fixés sur Jésus (cf. v. 20) – ils le regardaient, il était l’un d’eux: quelle nouveauté? Que fera celui dont on parle beaucoup? – et accueillons sa Parole. Aujourd’hui, méditons-en deux aspects liés entre eux: la Parole révèle Dieu et la Parole nous conduit à l’homme. Elle est au centre: elle révèle Dieu et nous conduit à l’homme.

Premièrement, la Parole révèle Dieu. Au début de sa mission, Jésus, en commentant ce passage du prophète Isaïe, annonce un choix précis: il est venu pour la libération des pauvres et des opprimés (cf. v. 18). Ainsi, il nous révèle à travers les Écritures le visage de Dieu comme de Celui qui prend soin de notre pauvreté et qui a à cœur notre destin. Il n'est pas un patron dans le ciel – cette mauvaise image de Dieu, non, ce n’est pas comme ça – mais un Père qui accompagne nos pas. Il n’est pas un observateur froid, détaché et impassible, un Dieu “mathématique”. Il est le Dieu-avec-nous, qui se passionne pour notre vie et s’implique jusqu’à pleurer de nos larmes. Il n’est pas un dieu neutre et indifférent, mais l’Esprit brûlant d’amour pour l’homme, qui nous défend, nous conseille, prend position en notre faveur, s’implique et se laisse affecter par notre douleur. Il est toujours là présent. Voici «la bonne nouvelle» (v. 18) que Jésus proclame, au regard étonné de tous: Dieu est proche et veut prendre soin de moi, de toi, de tous. Et c'est le caractère de Dieu: la proximité. Il se définit ainsi; il dit au peuple, dans le Deutéronome : “Quel peuple a ses dieux proches de lui, comme moi je suis proche de toi?” (cf. Dt 4, 7). Le Dieu qui est proche, avec cette proximité compatissante et tendre, veut te soulager des fardeaux qui t'écrasent, il veut réchauffer le froid de tes hivers, il veut éclairer tes journées sombres, il veut soutenir tes pas incertains. Et il le fait avec sa Parole, avec laquelle il te parle pour raviver l'espoir dans les cendres de tes peurs, pour te faire retrouver la joie dans les labyrinthes de tes tristesses, pour remplir d'espérance l'amertume de solitude. Il te fait avancer, mais pas dans un labyrinthe: il te fait parcourir le chemin, pour le trouver davantage, chaque jour.

Frères et sœurs, demandons-nous: portons-nous dans notre cœur cette image libératrice de Dieu, le Dieu proche, le Dieu compatissant, le Dieu tendre? Ou bien le considérons-nous comme un juge rigoureux de notre vie, un douanier rigide? Notre foi est-elle porteuse d’espérance et de joie ou bien – je me demande, entre nous – est-elle encore travaillée par la peur, une foi craintive? Quel visage de Dieu annonçons-nous dans l’Église? Le Sauveur qui libère et guérit ou le Dieu redoutable qui écrase sous la culpabilité? Pour nous convertir au vrai Dieu, Jésus nous montre par où commencer: par la Parole. Celle-ci, en nous racontant l'histoire de l’amour de Dieu pour nous, nous libère des peurs et des idées préconçues à son sujet, qui éteignent la joie de la foi. La Parole brise les fausses idoles, démasque nos projections, détruit les représentations trop humaines de Dieu et nous ramène à son vrai visage, à sa miséricorde. La Parole de Dieu nourrit et renouvelle la foi: remettons-la au centre de la prière et de la vie spirituelle! Au centre, la Parole qui nous révèle qui est Dieu, la Parole qui nous rapproche de Dieu.

Et maintenant le second aspect: la Parole nous conduit à l’homme. Elle nous conduit à Dieu et elle nous conduit à l’homme. Au moment même où nous découvrons que Dieu est amour compatissant, nous surmontons la tentation de nous enfermer dans une religiosité sacrale qui se réduit à un culte extérieur, qui ne touche ni ne transforme la vie. C’est de l’idolâtrie. Une idolâtrie cachée, une idolâtrie raffinée, mais c’est de l’idolâtrie. La Parole nous pousse à sortir de nous-mêmes pour aller à la rencontre de nos frères avec la seule et douce force de l’amour libérateur de Dieu. Dans la synagogue de Nazareth, Jésus nous le révèle: Il est envoyé à la rencontre des pauvres – que nous sommes tous – pour les libérer. Il n’est pas venu remettre une liste de normes ni présider une cérémonie religieuse, mais il est descendu dans les rues du monde pour rencontrer l’humanité blessée, caresser les visages creusés par la souffrance, guérir les cœurs brisés, nous libérer des chaînes qui emprisonnent notre âme. Il nous révèle ainsi quel culte est le plus agréable à Dieu: prendre soin du prochain. Et nous devons revenir à cela. Quand dans l'Église il y a les tentations de la rigidité, qui est une perversion, et qu'on croit que trouver Dieu c'est de devenir plus rigide, plus rigide, avec plus de normes, les choses justes, les choses claires… Il n'en est rien. Lorsque nous verrons des propositions de rigidité, disons-nous tout de suite: c'est une idole, ce n'est pas Dieu. Notre Dieu n'est pas comme ça.

Sœurs et frères, la Parole de Dieu nous transforme – la rigidité ne nous transforme pas, elle nous cache –; la Parole de Dieu nous transforme en pénétrant l’âme comme une épée (cf. He 4, 12). Car si d’un côté elle console en nous révélant le visage de Dieu, de l’autre elle nous provoque et nous ébranle en nous ramenant à nos contradictions. Elle nous met en crise. Elle ne nous laissera pas tranquilles, si un monde déchiré par l’injustice et par la faim fait les frais de cette tranquillité, où les plus faibles paient toujours le prix fort. Les plus faibles paient toujours. La Parole met en crise nos justifications qui font toujours dépendre ce qui ne va pas d’un autre et des autres. Quelle douleur nous ressentons de voir nos frères et sœurs mourir en mer parce qu'ils ne les laissent pas débarquer! Et cela, certains le font au nom de Dieu. La Parole de Dieu nous invite à sortir, à ne pas nous cacher derrière la complexité des problèmes, derrière le “il n’y a rien à faire”, “c’est leur problème”, “c’est son problème” ou le “qu’est-ce que je peux y faire?”, “laissons-les là-bas”. Elle nous exhorte à agir, à unir le culte de Dieu et le soin de l’homme. Car l’Ecriture Sainte ne nous a pas été donnée pour nous divertir, nous chouchouter dans une spiritualité angélique, mais pour aller à la rencontre des autres et nous approcher de leurs blessures. J'ai parlé de rigidité, de ce pélagianisme moderne, qui est l’une des tentations de l'Église. Et cette autre, à la recherche d'une spiritualité angélique, c'est un peu l'autre tentation d'aujourd'hui: les mouvements spirituels gnostiques, le gnosticisme, qui te propose une Parole de Dieu qui te met "en orbite" et ne te laisse pas toucher à la réalité. Le Verbe qui s’est fait chair (cf. Jn 1, 14) veut s’incarner en nous. Elle ne fait pas abstraction de la vie, mais nous situe dans la vie, dans les situations de tous les jours, à l’écoute de la souffrance de nos frères, du cri des pauvres, des violences et des injustices qui blessent la société et la planète, pour que nous ne soyons pas des chrétiens indifférents, mais actifs, des chrétiens créatifs, des chrétiens prophétiques.

«Aujourd'hui - dit Jésus - s’accomplit ce passage de l’Écriture» (Lc 4, 21). La Parole veut prendre chair aujourd’hui, dans le temps où nous vivons, et non dans un avenir idéal. Une mystique française du siècle dernier, qui avait choisi de vivre l’Évangile dans les périphéries, a écrit que la Parole du Seigneur n’est pas une «“lettre morte”: elle est esprit et vie. [...] L’acoustique que la Parole du Seigneur exige de nous est notre “aujourd’hui”: les circonstances de notre vie quotidienne et les besoins de notre prochain» (M. Debrêl, La joie de croire, Gribaudi, Milan 1994, p. 258). Demandons-nous donc: voulons-nous imiter Jésus, devenir des ministres de la libération et de la consolation pour les autres, actualiser la Parole? Sommes-nous une Église docile à la Parole? Sommes-nous une Église à l’écoute des autres, qui s’engage à tendre la main pour libérer nos frères et sœurs de ce qui les opprime, pour dénouer les nœuds de la peur, pour libérer les plus fragiles des prisons de la pauvreté, de la lassitude intérieure et de la tristesse qui éteint la vie ? Voulons-nous cela?

Dans cette célébration, certains de nos frères et sœurs seront institués lecteurs et catéchistes. Ils sont appelés à la tâche importante de servir l’Évangile de Jésus, de l’annoncer pour que sa consolation, sa joie et sa libération parviennent à tous. C’est aussi la mission de chacun d’entre nous: être des hérauts crédibles, des prophètes de la Parole dans le monde. Soyons donc passionnés par l’Écriture Sainte, laissons-nous pénétrer par la Parole qui révèle la nouveauté de Dieu et nous conduit à aimer les autres sans nous lasser. Remettons la Parole de Dieu au centre de la pastorale et de la vie de l’Eglise! Ainsi nous serons libérés de tout pélagianisme rigide, de toute rigidité, et nous serons libérés de l'illusion des spiritualités qui te mettent “en orbite” sans prendre soin des frères et des sœurs. Remettons la Parole de Dieu au centre de la pastorale et de la vie de l'Église.

Écoutons-la, prions-la, mettons-la en pratique.

[00100-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

In the first reading and in the Gospel, we find two parallel acts. Ezra the priest lifts up the book of the law of God, opens it and reads it aloud before the people. Jesus, in the synagogue of Nazareth, opens the scroll of the Sacred Scripture and reads a passage of the prophet Isaiah in the presence of all. Both scenes speak to us of a fundamental reality: at the heart of the life of God’s holy people and our journey of faith are not ourselves and our own words. At its heart is God and his word.

Everything started with the word that God spoke to us. In Christ, his eternal Word, the Father “chose us before the foundation of the world” (Eph 1:4). By that Word, he created the universe: “he spoke, and it came to be” (Ps 33:9). From of old, he spoke to us through the prophets (cf. Heb 1:1), and finally, in the fullness of time (cf. Gal 4:4), he sent us that same Word, his only-begotten Son. That is why, in the Gospel, after reading from Isaiah, Jesus says something completely unexpected: “Today this scripture has been fulfilled” (Lk 4:21). Fulfilled: the word of God is no longer a promise, but is now fulfilled. In Jesus, it has taken flesh. By the power of the Holy Spirit, it has come to dwell among us and it desires to continue to dwell in our midst, in order to fulfil our expectations and to heal our wounds.

Sisters and brothers, let us keep our gaze fixed on Jesus, like those in the synagogue of Nazareth (cf. v. 20). They kept looking at him, for he was one of them, and asking, “What is this novelty? What will he do, this one, about whom everyone is speaking?” And let us embrace his word. Today let us reflect on two interconnected aspects of this: the word reveals God and the word leads us to man. The word is at the centre: it reveals God and leads us to man.

First, the word reveals God. Jesus, at the beginning of his mission, commenting on the words of the prophet Isaiah, announces a clear decision: he has come to liberate the poor and the oppressed (cf. v. 18). In this way, precisely through the scriptures, he reveals the face of God as one who cares for our poverty and takes to heart our destiny. God is not an overlord (padrone), aloof and on high – an ugly but untrue image of God – but a Father (Padre) who follows our every step. He is no cold bystander, detached and impassible, a “God of mathematics”. He is God-with-us, passionately concerned about our lives and engaged in them, even sharing our tears. He is no neutral and indifferent god, but the Spirit, the lover of mankind, who defends us, counsels us, defends us, sustains us and partakes of our pain. He is always present. This is the “good news” (v. 18) that Jesus proclaims to the amazement of all: God is close at hand, and he wants to care for me and for you, for everyone. That is how God is: close. He even defines himself as closeness. In Deuteronomy, he says to the people: “What other people has gods as close to them as I am to you?” (cf. Deut 4:7). A God of closeness, of compassionate and tender closeness. He wants to relieve the burdens that crush you, to warm your wintry coldness, to brighten your daily dreariness and to support your faltering steps. This he does by his word, by the word he speaks to rekindle hope amid the ashes of your fears, to help you rediscover joy in the labyrinths of your sorrows, to fill with hope your feelings of solitude. He makes you move forward, not in a labyrinth, but on a daily journey to find him.

Brothers and sisters: let us ask ourselves: do we bear within our hearts this liberating image of God, the God of closeness, compassion and tenderness, or do we think of him as a merciless judge, an accountant who keeps a record of every moment of our lives? Is ours a faith that generates hope and joy, or, among us, a faith still weighed down by fear, a fearful faith? What is the face of God that we proclaim in the Church? The Saviour who liberates and heals, or the Terrifying God who burdens us with feelings of guilt? In order to convert us to the true God, Jesus shows us where to start: from his word. That word, by telling us the story of God’s love for us, liberates us from the fears and preconceptions about him that stifle the joy of faith. That word overthrows false idols, unmasks our projections, destroys our all too human images of God and brings us back to see his true face, his mercy. The word of God nurtures and renews faith: let us put it back at the centre of our prayer and our spiritual life! Let us put at the centre the word that reveals to us what God is like. The word that draws us close to God.

Now the second aspect: the word leads us to man. To God and to man. Precisely when we discover that God is compassionate love, we overcome the temptation to shut ourselves up in a religiosity reduced to external worship, one that fails to touch and transform our lives. This is idolatry, hidden and refined, but idolatry all the same. God’s word drives us to go forth from ourselves and to encounter our brothers and sisters solely with the quiet power of God’s liberating love. That is exactly what Jesus shows us in the synagogue of Nazareth: he has been sent forth to the poor – all of us – to set them free. He has not come to deliver a set of rules or to officiate at some religious ceremony; rather, he has descended to the streets of our world in order to encounter our wounded humanity, to caress faces furrowed by suffering, to bind up broken hearts and to set us free from chains that imprison the soul. In this way, he shows us the worship most pleasing to God: caring for our neighbour. We need to come back to this. Whenever in the Church there are temptations to rigidity, which is a perversion, whenever we think that finding God means becoming more rigid, with more rules, right things, clear things… it is not the way. When we see proposals of rigidity, let us think immediately: this is an idol, it is not God. Our God is not that way.

Sisters and brothers, the word of God changes us. Rigidity does not change us, it hides us; the word of God changes us. It penetrates our soul like a sword (cf. Heb 4:12). If, on the one hand it consoles us by showing us the face of God, on the other, it challenges and disturbs us, reminding us of our inconsistencies. It shakes us up. It does not bring us peace at the price of accepting a world rent by injustice and hunger, where the price is always paid by the weakest. They always end up paying. God’s word challenges the self-justification that makes us blame everything that goes wrong on other persons and situations. How much pain do we feel in seeing our brothers and sisters dying at sea because no one will let them come ashore! And some people do this in God’s name. The word of God invites us to come out into the open, not to hide behind the complexity of problems, behind the excuse that “nothing can be done about it” or “it’s somebody else’s problem”, or “what can I do?”, “leave them there”. The word of God urges us to act, to combine worship of God and care for man. For sacred scripture has not been given to us for our entertainment, to coddle us with an angelic spirituality, but to make us go forth and encounter others, drawing near to their wounds. I spoke of rigidity, that modern pelagianism that is one of the temptations of the Church. And this other temptation, that of seeking an angelic spirituality, is to some extent the other temptation today: gnostic movements, a gnosticism, that proposes a word of God that puts you “in orbit” and does not make you touch reality. The Word that became flesh (cf. Jn 1:14) wishes to become flesh in us. His word does not remove us from life, but plunges us into life, into everyday life, into listening to the sufferings of others and the cry of the poor, into the violence and injustice that wound society and our world. It challenges us, as Christians, not to be indifferent, but active, creative Christians, prophetic Christians.

Today” – says Jesus – “this scripture has been fulfilled” (Lk 4:21). The Word wishes to take flesh today, in the times in which we are living, not in some ideal future. A French mystic of the last century, who chose to experience the Gospel in the peripheries, wrote that the word of God is not “a ‘dead letter’; it is spirit and life… The listening that the word of the Lord demands of us is our ‘today’: the circumstances of our daily life and the needs of our neighbour” (Madeleine Delbrêl, La joie de croire, Paris, 1968). Let us ask, then: do we want to imitate Jesus, to become ministers of liberation and consolation for others, putting the word into action? Are we a Church that is docile to the word? A Church inclined to listen to others, engaged in reaching out to raise up our brothers and sisters from all that oppresses them, to undo the knots of fear, to liberate those most vulnerable from the prisons of poverty, from interior ennui and the sadness that stifles life? Isn’t that what we want?

In this celebration, some of our brothers and sisters will be instituted as readers and catechists. They are called to the important work of serving the Gospel of Jesus, of proclaiming him, so that his consolation, his joy and his liberation can reach everyone. That is also the mission of each one of us: to be credible messengers, prophets of God’s word in the world. Consequently, let us grow passionate about sacred scripture, let us be willing to dig deep within the word that reveals God’s newness and leads us tirelessly to love others. Let us put the word of God at the centre of the Church’s life and pastoral activity! In this way, we will be liberated from all rigid pelagianism, from all rigidity, set free from the illusion of a spirituality that puts you “in orbit”, unconcerned about caring for our brothers and sisters. Let us put the word of God at the centre of the Church’s life and pastoral activity. Let us listen to that word, pray with it, and put it into practice.

[00100-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

In der ersten Lesung und im Evangelium finden wir zwei parallele Gesten: Der Priester Esra hält das Buch des Gesetzes Gottes in die Höhe, er öffnet es und verkündet es dem ganzen Volk; Jesus öffnet in der Synagoge von Nazaret die Rolle der Heiligen Schrift und liest allen einen Abschnitt aus dem Buch des Propheten Jesaja vor. Diese beiden Szenen vermitteln uns etwas Grundlegendes: Im Mittelpunkt des Lebens des heiligen Gottesvolkes und des Glaubensweges stehen nicht wir mit unseren Worten. Im Mittelpunkt steht Gott mit seinem Wort.

Alles begann mit dem Wort, das Gott an uns gerichtet hat. In Christus, seinem ewigen Wort, hat uns der Vater »erwählt vor der Grundlegung der Welt« (Eph 1,4). Mit seinem Wort schuf er das Universum: »Er sprach und es geschah« (Ps 33,9). Von alters her hat er zu uns durch die Propheten gesprochen (vgl. Hebr 1,1); schließlich, als die Zeit erfüllt war (vgl. Gal 4,4), hat er uns sein eigenes Wort, seinen einzigen Sohn, gesandt. Deshalb verkündet Jesus im Evangelium am Ende seiner Lesung aus dem Buch Jesaja etwas ganz Neues: Heute hat sich dieses Schriftwort erfüllt (vgl. Lk 4,21). Es hat sich erfüllt: Das Wort Gottes ist nicht mehr eine Verheißung, sondern hat sich erfüllt. In Jesus ist es Fleisch geworden. Durch die Kraft des Heiligen Geistes ist es gekommen, um unter uns zu wohnen. Und es will auch in uns wohnen und unsere Erwartungen erfüllen und unsere Wunden heilen.

Schwestern und Brüder, richten wir unseren Blick auf Jesus wie die Menschen in der Synagoge von Nazaret (vgl. V. 20) – sie musterten ihn, er war einer von ihnen: Ist da etwas Neues? Was wird dieser, über den man sich viel erzählt, hier machen? – und nehmen wir sein Wort an. Wir wollen heute über zwei miteinander verbundene Aspekte nachdenken: Das Wort offenbart Gott und das Wort führt uns zum Menschen. Es steht im Mittelpunkt: Es enthüllt Gott und führt uns zum Menschen.

Vor allem offenbart das Wort Gott. Jesus kündigt zu Beginn seiner Mission in seinem Kommentar zu diesem Abschnitt des Propheten Jesaja eine klare Entscheidung an: Er ist gekommen, um die Armen und Unterdrückten zu befreien (vgl. V. 18). So offenbart er uns durch die Heilige Schrift das Antlitz Gottes, der sich um unsere Not kümmert und dem unser Schicksal am Herzen liegt. Er thront nicht herrschaftlich im Himmel – jenes schlechte Bild; nein, so ist er nicht – sondern er ist ein Vater, der unseren Weg begleitet. Er ist kein kalter, distanzierter und teilnahmsloser Beobachter, kein „mathematischer“ Gott. Er ist der Gott-mit-uns, dem unser Leben am Herzen liegt und der uns so nahe ist, dass er unsere Tränen weint. Er ist kein neutraler und gleichgültiger Gott, sondern der die Menschen liebende Geist, der uns verteidigt, der uns berät, der für uns einsteht, der sich für uns einsetzt und sich unserer Schmerzen annimmt. Er ist immer zugegen. Dies ist die »frohe Botschaft« (V. 18), die Jesus vor den staunenden Mienen aller verkündet: Gott ist nahe und will sich meiner, deiner und aller annehmen. Und das ist der Wesenszug Gottes: Nähe. Er selbst definiert sich so. Er sagt zum Volk im Buch Deuteronomium: „Welches Volk hätte Götter, die ihm so nah sind, wie ich euch nah bin“ (vgl. Deut 4,7). Der nahe Gott, will dich mit jener Nähe, die mitleidsvoll und zärtlich ist, von den Lasten befreien, die dich erdrücken, er will die Kälte deiner Winter wärmen, er will deine dunklen Tage erhellen, er will deine unsicheren Schritte unterstützen. Und er tut dies mit seinem Wort, mit dem er zu dir spricht, um die Hoffnung in der Asche deiner Ängste neu zu entfachen, um dich in den Labyrinthen deiner Traurigkeit Freude finden zu lassen, um die Bitterkeit der Einsamkeit mit Hoffnung zu erfüllen. Er lässt dich gehen, aber nicht in ein Labyrinth; er lässt dich auf dem Weg weitergehen, um ihn öfter zu sehen, jeden Tag.

Brüder und Schwestern, fragen wir uns: Tragen wir dieses befreiende Gottesbild in unserem Herzen, den nahen Gott, den mitleidsvollen Gott, den zärtlichen Gott. Oder sehen wir ihn als strengen Richter, als rigiden Zöllner unseres Lebens? Ist unser Glaube ein Glaube, der Hoffnung und Freude auslöst, oder – ich frage mich, unter uns – ist er immer noch von Angst belastet? Welches Gesicht Gottes verkünden wir in der Kirche? Den Retter, der befreit und heilt, oder den furchteinflößenden Gott, der uns mit Schuldgefühlen erdrückt? Um uns zum wahren Gott zu bekehren, zeigt uns Jesus, wo wir anfangen müssen: beim Wort Gottes. Das Wort, das uns die Geschichte der Liebe Gottes zu uns erzählt, befreit uns von Ängsten und Vorurteilen über ihn, die die Freude des Glaubens auslöschen. Dieses Wort zerschlägt falsche Götzen, entlarvt unsere Projektionen, zerstört allzu menschliche Vorstellungen von Gott und bringt uns zurück zu seinem wahren Antlitz, zu seiner Barmherzigkeit. Das Wort Gottes nährt und erneuert den Glauben. Stellen wir es wieder ins Zentrum unseres Gebets und unseres geistlichen Lebens! In der Mitte, das Wort, das uns offenbart, wie Gott ist. Das Wort, das uns Gott nahe bringt.

Kommen wir nun zum zweiten Aspekt: Das Wort führt uns zum Menschen. Es führt uns zu Gott, und es führt uns zum Menschen. Gerade wenn wir entdecken, dass Gott barmherzige Liebe ist, überwinden wir die Versuchung, uns in einer sakralen Religiosität zu verschließen, die sich auf einen äußeren Kult reduziert, der das Leben nicht berührt und verändert. Das ist Götzendienst. Ein versteckter Götzendienst, ein verfeinerter Götzendienst, aber es ist eben Götzendienst. Das Wort drängt uns, aus uns herauszugehen und unseren Brüdern und Schwestern allein mit der sanften Kraft der befreienden Liebe Gottes zu begegnen. In der Synagoge von Nazaret offenbart uns Jesus genau dies: Er ist gesandt, um den Armen – das sind wir alle – zu begegnen und sie zu befreien. Er ist nicht gekommen, eine Liste von Regeln zu verteilen oder die ein oder andere religiöse Zeremonie abzuhalten, sondern er hat sich auf die Straßen der Welt hinabbegeben, um der verwundeten Menschheit zu begegnen, um die vom Leid gezeichneten Gesichter zu streicheln, um zerbrochene Herzen zu heilen, um uns von den Ketten zu befreien, die unsere Seelen gefangen halten. Auf diese Weise zeigt er uns, welcher Gottesdienst Gott am meisten gefällt: die Sorge für den Nächsten. Dahin müssen wir zurückkehren. In dem Augenblick, wo in der Kirche die Versuchung besteht, sich zu verhärten, was eine Perversion ist, und man glaubt, dass Gott zu finden bedeutet, härter zu werden, mit mehr Normen, mehr gerechten Dingen, mehr klaren Dingen … So ist es nicht. Wenn wir Ansätze der Verhärtung sehen, wird uns sofort klar: Das ist ein Götze, das ist nicht Gott. Unser Gott ist nicht so.

Schwestern und Brüder, das Wort Gottes verwandelt uns – die Verhärtung vermag nicht, uns zu verwandeln, sie verbarrikadiert uns –; das Wort Gottes verwandelt uns, indem es die Seele wie ein Schwert durchdringt (vgl. Hebr 4,12). Denn einerseits tröstet es uns, indem es uns das Antlitz Gottes offenbart, andererseits provoziert und erschüttert es uns, indem es uns auf unsere Widersprüche aufmerksam macht. Sie stürzt uns in eine Krise. Es lässt uns nicht zur Ruhe kommen, wenn der Preis für diese Ruhe eine von Ungerechtigkeit und Hunger zerrissene Welt ist und immer die Schwächsten dafür bezahlen müssen. Immer zahlen es die Schwächsten. Das Wort Gottes stellt unsere Rechtfertigungen infrage, die bei allem, was verkehrt läuft, immer etwas anderes und andere dafür verantwortlich machen. Wieviel Schmerz empfinden wir, wenn wir unsere Brüder und Schwestern im Meer sterben sehen, weil man sie nicht an Land lässt! Und das tun einige im Namen Gottes. Das Wort Gottes lädt uns ein, aus der Deckung zu kommen und uns nicht hinter der Komplexität der Probleme zu verstecken, hinter einem „Da kann man nichts machen“, „Das ist deren Problem“, „Das ist sein Problem“, oder einem „Was kann ich da schon ausrichten?“, „Lassen wir sie dort zurück“. Es mahnt uns zu handeln und den Gottesdienst und den Dienst am Menschen als Einheit zu sehen. Denn die Heilige Schrift ist uns nicht gegeben worden, um uns zu unterhalten oder uns mit einer engelhaften Spiritualität zu verhätscheln, sondern damit wir hinausgehen und den anderen begegnen und uns ihren Wunden zuwenden. Ich habe von der Verhärtung gesprochen, jenes modernen Pelagianismus, der eine der Versuchungen der Kirche ist. Und jene andere, eine engelsgleiche Spiritualität anzustreben, ist ein wenig die andere Versuchung heute: die geistlichen Bewegungen der Gnosis, der Gnostizismus, der dir ein Wort Gottes vorlegt, das dich „in den Orbit schießt“ und dich nicht auf dem Boden der Realität lässt. Das Wort, das Fleisch geworden ist (vgl. Joh 1,14), will in uns Fleisch werden. Es nimmt uns nicht aus dem Leben heraus, sondern stellt uns ins Leben hinein, in die alltäglichen Situationen, es lässt uns auf die Leiden unserer Brüder und Schwestern hören, auf die Hilferufe der Armen, die Gewalt und die Ungerechtigkeit, die die Gesellschaft und den Planeten verletzen, so dass wir nicht gleichgültige, sondern aktive, kreative Christen, prophetische Christen sind.

Heute, sagt Jesus, hat sich dieses Schriftwort erfüllt (vgl. Lk 4,21). Das Wort will heute Fleisch annehmen, in der Zeit, in der wir leben, nicht in einer idealen Zukunft. Eine französische Mystikerin des letzten Jahrhunderts, die sich dafür entschied, das Evangelium an den Peripherien zu leben, schrieb: Das Wort Gottes ist nicht »„toter Buchstabe“, sondern Geist und Leben. […] Die Akustik, die das Wort Gottes von uns verlangt, ist unser „Heute“: die Umstände unseres täglichen Lebens und die Bedürfnisse unseres Nächsten« (vgl. M. Delbrêl, La gioia di credere, Gribaudi, Mailand 1994, 258). Fragen wir uns also: Wollen wir Jesus nachfolgen, um Diener der Befreiung und des Trostes für andere zu werden? Wollen wir das Wort ausführen? Sind wir eine Kirche, die dem Wort Gottes entspricht? Eine Kirche, die zuhört, die sich bemüht unsere Brüder und Schwestern von dem zu befreien, was sie belastet, die Knoten der Angst zu lösen, die Schwächsten aus den Gefängnissen der Armut, der inneren Erschöpfung und der Traurigkeit, die das Leben erstickt, zu befreien? Wollen wir das?

In dieser Feier werden einige unserer Brüder und Schwestern als Lektoren und Katecheten eingesetzt. Sie sind mit der wichtigen Aufgabe betraut, dem Evangelium Jesu zu dienen und es zu verkünden, damit sein Trost, seine Freude und seine Befreiung alle erreichen. Dies ist auch die Aufgabe eines jeden von uns: glaubwürdige Verkünder und Propheten des Wortes Gottes in der Welt zu sein. Lassen wir uns also von der Heiligen Schrift begeistern, lassen wir uns vom Wort Gottes durchdringen, das die Neuheit Gottes offenbart und uns dazu bringt, die anderen unermüdlich zu lieben. Lasst uns das Wort Gottes wieder ins Zentrum der Pastoral und des kirchlichen Lebens stellen! So werden wir von jedem starren Pelagianismus, von jeder Verhärtung entbunden sein. Und wir werden von der Illusion einer Spiritualität befreit, die dich „in den Orbit“ setzt, ohne dich um die Brüder und Schwestern zu kümmern. Setzen wir das Wort Gottes wieder in die Mitte unserer Seelsorge und ins Zentrum des Lebens der Kirche. Hören wir auf das Wort Gottes, nehmen wir es zum Beten und setzen wir es in die Praxis um.

[00100-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

En la primera Lectura y en el Evangelio encontramos dos gestos paralelos: el sacerdote Esdras tomó el libro de la ley de Dios, lo abrió y lo proclamó delante de todo el pueblo; Jesús, en la sinagoga de Nazaret, abrió el volumen de la Sagrada Escritura y leyó un pasaje del profeta Isaías delante de todos. Son dos escenas que nos comunican una realidad fundamental: en el centro de la vida del pueblo santo de Dios y del camino de la fe no estamos nosotros, con nuestras palabras; en el centro está Dios con su Palabra.

Todo comenzó con la Palabra que Dios nos dirigió. En Cristo, su Palabra eterna, el Padre «nos eligió antes de la creación del mundo» (Ef 1,4). Con su Palabra creó el universo: «Él lo dijo y así sucedió» (Sal 33,9). Desde la antigüedad nos habló por medio de los profetas (cf. Hb 1,1); por último, en la plenitud del tiempo, nos envió su misma Palabra, el Hijo unigénito (cf. Ga 4,4). Por esto, al finalizar la lectura de Isaías, Jesús en el Evangelio anuncia algo inaudito: «Esta lectura se ha cumplido hoy» (Lc 4,21). Se ha cumplido; la Palabra de Dios ya no es una promesa, sino que se ha realizado. En Jesús se hizo carne. Por obra del Espíritu Santo habitó entre nosotros y quiere hacernos su morada, para colmar nuestras expectativas y sanar nuestras heridas.

Hermanas y hermanos, tengamos la mirada fija en Jesús, como la gente en la sinagoga de Nazaret (cf. v. 20), —lo miraban, era uno de ellos: ¿qué novedad? ¿qué hará éste, del que tanto se habla?— y acojamos su Palabra. Meditemos hoy dos aspectos de ella que están unidos entre sí: la Palabra revela a Dios y la Palabra nos lleva al hombre. Ella esta al centro, revela a Dios y nos lleva al hombre.

En primer lugar, la Palabra revela a Dios. Jesús, al comienzo de su misión, comentando ese pasaje específico del profeta Isaías, anuncia una opción concreta: ha venido para liberar a los pobres y oprimidos (cf. v. 18). De este modo, precisamente por medio de las Escrituras, nos revela el rostro de Dios como el de Aquel que se hace cargo de nuestra pobreza y le preocupa nuestro destino. No es un tirano que se encierra en el cielo, esa es una fea imagen de Dios, sino un Padre que sigue nuestros pasos. No es un frío observador indiferente e imperturbable, un Dios “matemático”. Es el Dios con nosotros, que se apasiona con nuestra vida y se identifica hasta llorar nuestras mismas lágrimas. No es un dios neutral e indiferente, sino el Espíritu amante del hombre, que nos defiende, nos aconseja, toma partido a nuestro favor, se involucra y se compromete con nuestro dolor. Siempre está presente allí. Esta es «la buena noticia» (v. 18) que Jesús proclama ante la mirada sorprendida de todos: Dios es cercano y quiere cuidar de mí, de ti, de todos. Y este es el modo de tratar de Dios: la cercanía. Él se define a sí mismo de esta manera; dice al pueblo, en Deuteronomio: «¿Cuál es la gran nación que tenga dioses tan cercanos como el Señor, nuestro Dios, cuando lo invocamos?» (cf. Dt 4,7). Él es un Dios cercano, compasivo y tierno, quiere aliviarte de las cargas que te aplastan, quiere caldear el frío de tus inviernos, quiere iluminar tus días oscuros, quiere sostener tus pasos inciertos. Y lo hace con su Palabra, con la que te habla para volver a encender la esperanza en medio de las cenizas de tus miedos, para hacer que vuelvas a encontrar la alegría en los laberintos de tus tristezas, para llenar de esperanza la amargura de tus soledades. Él te hace caminar, no dentro de un laberinto, más bien por el camino, para encontrarlo cada día.

Hermanos, hermanas, preguntémonos: ¿llevamos en el corazón esta imagen liberadora de Dios, del Dios cercano, compasivo y tierno o pensamos que sea un juez riguroso, un rígido aduanero de nuestra vida? ¿Nuestra fe genera esperanza y alegría o me pregunto si entre nosotros está todavía determinada por el miedo? ¿Qué rostro de Dios anunciamos en la Iglesia, el Salvador que libera y cura o el Dios Temible que aplasta bajo los sentimientos de culpa? Para convertirnos al Dios verdadero, Jesús nos indica de dónde debemos partir: de la Palabra. Ella, contándonos la historia del amor que Dios tiene por nosotros, nos libera de los miedos y de los conceptos erróneos sobre Él, que apagan la alegría de la fe. La Palabra derriba los falsos ídolos, desenmascara nuestras proyecciones, destruye las representaciones demasiado humanas de Dios y nos muestra su rostro verdadero, su misericordia. La Palabra de Dios nutre y renueva la fe, ¡volvamos a ponerla en el centro de la oración y de la vida espiritual! Al centro la Palabra que nos revela como es Dios y nos hace cercanos a Él.

Y ahora, el segundo aspecto: la Palabra nos lleva al hombre. Justamente cuando descubrimos que Dios es amor compasivo, vencemos la tentación de encerrarnos en una religiosidad sacra, que se reduce a un culto exterior, que no toca ni transforma la vida. Esta es idolatría, escondida y refinada, pero idolatría al fin. La Palabra nos impulsa a salir fuera de nosotros mismos para ponernos en camino al encuentro de los hermanos con la única fuerza humilde del amor liberador de Dios. En la sinagoga de Nazaret Jesús nos revela precisamente esto: Él es enviado para ir al encuentro de los pobres ¾que somos todos nosotros¾ y liberarlos. No vino a entregar una serie de normas o a oficiar alguna ceremonia religiosa, sino que descendió a las calles del mundo para encontrarse con la humanidad herida, para acariciar los rostros marcados por el sufrimiento, para sanar los corazones quebrantados, para liberarnos de las cadenas que nos aprisionan el alma. De este modo nos revela cuál es el culto que más agrada a Dios: hacernos cargo del prójimo. Volvamos sobre esto. En el momento en el que en la Iglesia están las tentaciones de la rigidez, que es una perversión, y se cree que encontrar a Dios es hacerse más rígido, con más normas, las cosas justas, las cosas claras… no es así. Cuando nosotros veremos propuestas rígidas, inmediatamente pensemos: esto es un ídolo, no es Dios, nuestro Dios no es así.

Hermanas y hermanos, la rigidez no nos cambia solo nos esconde, la Palabra de Dios nos cambia. Y lo hace penetrando en el alma como una espada (cf. Hb 4,12). Porque, si por una parte consuela, revelándonos el rostro de Dios, por otra parte provoca y sacude, mostrándonos nuestras contradicciones y poniéndonos en crisis. No nos deja tranquilos, si quien paga el precio de esta tranquilidad es un mundo desgarrado por la injusticia y el hambre, y quienes sufren las consecuencias son siempre los más débiles. Siempre pagan los más débiles. La Palabra pone en crisis esas justificaciones nuestras que siempre hacen depender aquello que no funciona del otro o de los otros. Cuánto dolor sentimos al ver morir en el mar a nuestros hermanos y hermanas porque no los dejan desembarcar. Y esto lo hacen algunos en nombre de Dios. La Palabra de Dios nos invita a salir al descubierto, a no escondernos detrás de la complejidad de los problemas, detrás del “no hay nada que hacer” o del “¿qué puedo hacer yo?” o del “es un problema de ellos o de él”. Nos exhorta a actuar, a unir el culto a Dios y el cuidado del hombre. Porque la Sagrada Escritura no nos ha sido dada para entretenernos, para mimarnos en una espiritualidad angélica, sino para salir al encuentro de los demás y acercarnos a sus heridas. Hablé de rigidez, de ese pelagianismo moderno, que es una de las tentaciones de la Iglesia. Y buscar una espiritualidad angélica, es la otra tentación de hoy: los movimientos espirituales gnósticos, el gnosticismo, que te ofrece una Palabra de Dios que te pone “en órbita” y no te deja tocar la realidad. La Palabra que se ha hecho carne (cf. Jn 1,14) quiere encarnarse en nosotros. No nos aleja de la vida, sino que nos introduce en la vida, en las situaciones de todos los días, en la escucha de los sufrimientos de los hermanos, del grito de los pobres, de la violencia y las injusticias que hieren la sociedad y el planeta, para no ser cristianos indiferentes sino laboriosos, cristianos creativos, cristianos proféticos.

«Esta lectura que acaban de oír ¾dice Jesús¾ se ha cumplido hoy» (Lc 4,21). La Palabra quiere encarnarse hoy, en el tiempo que vivimos, no en un futuro ideal. Una mística francesa del siglo pasado, que eligió vivir el Evangelio en las periferias, escribió que la Palabra del Señor no es «“letra muerta”, sino espíritu y vida. […] Las condiciones de la escucha que reclama de nosotros la Palabra del Señor son las de nuestro “hoy”: las circunstancias de nuestra vida cotidiana y las necesidades de nuestro prójimo» (M. Delbrêl, La alegría de creer, Sal Terrae, Santander 1997, 242-243). Entonces, preguntémonos: ¿queremos imitar a Jesús, ser ministros de liberación y de consolación para los demás poniendo en práctica la Palabra? ¿Somos una Iglesia dócil a la Palabra; una Iglesia con capacidad de escuchar a los demás, que se compromete a tender la mano para aliviar a los hermanos y las hermanas de aquello que los oprime, para desatar los nudos de los temores, liberar a los más frágiles de las prisiones de la pobreza, del cansancio interior y de la tristeza que apaga la vida? ¿Queremos esto?

En esta celebración, algunos de nuestros hermanos y hermanas son instituidos lectores y catequistas. Están llamados a la tarea importante de servir el Evangelio de Jesús, de anunciarlo para que su consuelo, su alegría y su liberación lleguen a todos. Esta es también la misión de cada uno de nosotros: ser anunciadores creíbles, ser profetas de la Palabra en el mundo. Por eso, apasionémonos por la Sagrada Escritura. Dejémonos escrutar interiormente por la Palabra de Dios, que revela la novedad de Dios y nos lleva a amar a los demás sin cansarse. ¡Volvamos a poner la Palabra de Dios en el centro de la pastoral y de la vida de la Iglesia! Así nos libraremos de todo pelagianismo rígido, de toda rigidez, y nos libraremos también de la ilusión de una espiritualidad que nos pone "en órbita" sin cuidar de nuestros hermanos y hermanas. Volvamos a poner la Palabra de Dios en el centro de la pastoral y de la vida de la Iglesia. Escuchémosla, recemos con ella, pongámosla en práctica.

[00100-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Encontramos, na primeira Leitura e no Evangelho, dois gestos paralelos: o sacerdote Esdras coloca em lugar elevado o livro da lei de Deus, abre-o e proclama-o diante de todo o povo; Jesus, na sinagoga de Nazaré, abre o rolo da Sagrada Escritura e, na frente de todos, lê uma passagem do profeta Isaías. Estas duas cenas comunicam-nos uma realidade fundamental: no centro da vida do povo santo de Deus e do caminho da fé, não estamos nós com as nossas palavras; no centro, está Deus com a sua Palavra.

Tudo teve início pela Palavra que Deus nos dirigiu. Em Cristo, sua Palavra eterna, o Pai «escolheu-nos antes da fundação do mundo» (Ef 1, 4). Com a sua Palavra, criou o universo: «Ele ordenou e tudo foi criado» (Sal 33, 9). Desde os tempos antigos, falou-nos por meio dos profetas (cf. Heb 1, 1); por fim, na plenitude do tempo (cf. Gal 4, 4), enviou-nos a sua própria Palavra, o Filho unigénito. Por isso no Evangelho, terminada a leitura de Isaías, Jesus anuncia uma coisa inaudita: «Cumpriu-se hoje esta passagem da Escritura» (Lc 4, 21). Cumpriu-se: a Palavra de Deus já não é uma promessa, mas realizou-se. Em Jesus, fez-Se carne. Por obra do Espírito Santo, veio habitar no meio de nós e quer habitar em nós, para satisfazer os nossos anseios e curar as nossas feridas.

Irmãs e irmãos, tenhamos os olhos fixos em Jesus, como as pessoas na sinagoga de Nazaré (cf. Lc 4, 20) – fixavam-no, era um deles: Que fenómeno! Que fará este de quem tanto se fala? – e acolhamos a sua Palavra. Meditemos hoje em dois aspetos interligados da mesma: a Palavra desvenda Deus e a Palavra leva-nos ao homem. Está no centro: desvenda Deus e leva-nos ao homem.

Antes de mais nada, a Palavra desvenda Deus. Jesus, no início da sua missão, ao comentar aquela passagem particular do profeta Isaías, anuncia claramente uma opção: veio para libertar os pobres e os oprimidos (cf. 4, 18). Assim nos desvenda, precisamente através das Escrituras, o rosto de Deus como o d’Aquele que cuida da nossa pobreza e tem a peito o nosso destino. Não é patrão enrocado nos céus – uma imagem perversa de Deus! Ele não é assim -, mas o Pai que acompanha os nossos passos. Não é observador frio, distante e impassível, um Deus «matemático». É o Deus-connosco que Se apaixona pela nossa vida e empenha-Se nela a ponto de chorar as nossas lágrimas. Não é deus neutral e indiferente, mas o Espírito amante do homem, que nos defende, aconselha, toma posição a nosso favor, entra em campo e compromete-Se com a nossa dor. Nesta, sempre está presente. Eis «a Boa-Nova» (4, 18), que Jesus proclama diante do olhar atónito dos presentes: Deus está perto e quer cuidar de mim, de ti, de todos. Esta é o traço distintivo de Deus: a proximidade. Assim se define a Si próprio, quando diz ao povo no Deuteronómio: «Qual povo tem os seus deuses tão próximos de si, como Eu estou próximo de ti?» (cf. Dt 4, 7). O Deus próximo com uma proximidade compassiva e terna, quer aliviar-te dos pesos que te esmagam, quer aquecer o frio dos teus invernos, quer iluminar os teus dias sombrios, quer sustentar os teus passos incertos. E fá-lo através da sua Palavra, com a qual te fala para reacender a esperança por entre as cinzas dos teus medos, para te fazer reencontrar a alegria nos labirintos das tuas tristezas, para encher de esperança a amargura das solidões. Faz-te andar, mas não num labirinto; faz-te andar no caminho, para O encontrares dia a dia cada vez mais.

Irmãos, irmãs, perguntemo-nos: trazemos no coração esta imagem libertadora de Deus, o Deus próximo, o Deus compassivo, o Deus terno? Ou imaginamo-Lo como um juiz rigoroso, um rígido guarda alfandegário da nossa vida? A nossa é uma fé que gera esperança e alegria, ou – pergunto-me… – dentro de nós há ainda uma fé acabrunhada pelo medo, uma fé medrosa? Qual é o rosto de Deus que anunciamos na Igreja: o Salvador que liberta e cura, ou o Deus Temível que esmaga avivando os sentimentos de culpa? Para nos convertermos ao verdadeiro Deus, Jesus indica-nos por onde começar: pela Palavra. Esta, ao narrar a história do amor de Deus por nós, liberta-nos dos medos e preconceitos sobre Ele, que apagam a alegria da fé. A Palavra derruba os ídolos falsos, desmascara as nossas fantasias, destrói as representações demasiado humanas de Deus e traz-nos de volta ao seu rosto verdadeiro, à sua misericórdia. A Palavra de Deus alimenta e renova a fé: voltemos a colocá-la no centro da oração e da vida espiritual! No centro, a Palavra que nos revela como é Deus. A Palavra que nos aproxima de Deus.

E agora o segundo aspeto: a Palavra leva-nos ao homem. Leva-nos a Deus e leva-nos ao homem. Na verdade, quando descobrimos que Deus é amor compassivo, vencemos a tentação de nos fecharmos numa sacra religiosidade, que se reduz a um culto exterior, que não toca nem transforma a vida. Uma tal religiosidade é idolatria, idolatria sumida, idolatria rebuscada, mas é idolatria. A Palavra impele-nos a sair de nós mesmos caminhando ao encontro dos irmãos, animados unicamente com a força serena do amor libertador de Deus. É precisamente isto que nos revela Jesus, na sinagoga de Nazaré: Ele é enviado para ir ao encontro dos pobres (que somos todos nós!) e libertá-los. Não veio para entregar um elenco de normas nem para oficiar nalguma cerimónia religiosa, mas desceu às estradas do mundo para encontrar a humanidade ferida, acariciar os rostos macerados pelo sofrimento, curar os corações dilacerados, libertar-nos das correntes que nos agrilhoam a alma. Revela-nos assim qual é o culto mais agradável a Deus: cuidar do próximo. E desculpai se insisto nisto. Há momentos em que sobrevêm na Igreja as tentações da rigidez, que é uma perversão, e se pensa encontrar Deus tornando-se mais rígidos, com mais normas, acertando as coisas, pondo as coisas claras... Mas não é assim! Quando virmos propostas de rigidez, pensemos imediatamente: isto é um ídolo, não é Deus. O nosso Deus não é assim.

Irmãs e irmãos, a Palavra de Deus transforma-nos – a rigidez não nos transforma, dissimula – a Palavra de Deus transforma-nos penetrando na alma como uma espada (cf. Heb 4, 12). Com efeito, se por um lado consola, desvendando-nos o rosto de Deus, por outro provoca e sobressalta-nos, fazendo-nos cientes das nossas contradições. Põe-nos em crise. Não nos deixa tranquilos, se o preço a pagar por esta tranquilidade é um mundo dilacerado pela injustiça e pela fome e quem paga o preço são sempre os mais frágeis. Sempre pagam os mais frágeis. A Palavra põe em crise as nossas justificações que sempre fazem depender, aquilo que corre mal, duma coisa diferente e dos outros. Quanta amargura sentimos ao ver os nossos irmãos e irmãs morrerem no mar, porque não os deixam desembarcar! E isto é feito por alguns em nome de Deus. A Palavra de Deus convida-nos a sair às claras, a não nos escondermos atrás da complexidade dos problemas, atrás do «não há nada a fazer» – «é um problema deles», «o problema é seu» – ou «que posso fazer eu?», «Deixemo-los para lá!» Exorta-nos a agir, a unir o culto a Deus e o cuidado do homem. Porque a Sagrada Escritura não foi dada para nos entreter, para nos mimar numa espiritualidade angélica, mas para sair ao encontro dos outros e debruçar-nos sobre as suas feridas. Falei da rigidez, deste pelagianismo moderno, como uma das tentações da Igreja. E esta – a de procurar uma espiritualidade angélica – de algum modo é a outra tentação de hoje: os movimentos espirituais gnósticos, o gnosticismo, propondo-te uma Palavra de Deus que te coloca «em órbita» e não te faz tocar a realidade. A Palavra que Se fez carne (cf. Jo 1, 14), quer tornar-Se carne em nós. Não nos aliena da vida; mas mergulha-nos nela, nas situações do dia a dia, na auscultação dos sofrimentos dos irmãos, do clamor dos pobres, das violências e injustiças que ferem a sociedade e a terra, a fim de sermos, não cristãos indiferentes, mas diligentes, cristãos criativos, cristãos proféticos.

«Cumpriu-se hoje – diz Jesus – esta passagem da Escritura» (Lc 4, 21). A Palavra quer tornar-Se carne hoje, no tempo que vivemos, não num futuro ideal. Uma mística francesa do século passado, que escolheu viver o Evangelho nas periferias, escreveu que a Palavra do Senhor não é «“letra morta": é espírito e vida. (...) A acústica exigida de nós para bem ressoar a Palavra do Senhor é o nosso “hoje”: as circunstâncias da nossa vida quotidiana e as necessidades do nosso próximo» (M. Delbrêl, A alegria de acreditar, Milão 1994, 258). Perguntemo-nos então: queremos imitar Jesus, tornando-nos ministros de libertação e consolação para os outros, realizar a Palavra? Somos uma Igreja dócil à Palavra? Uma Igreja propensa a ouvir os outros, empenhada em estender a mão para aliviar os irmãos e as irmãs daquilo que os oprime, para desfazer os nós dos medos, libertar os mais frágeis das prisões da pobreza, do cansaço interior e da tristeza que apaga a vida? É isto que nós queremos?

Nesta celebração, são instituídos leitores e catequistas alguns dos nossos irmãos e irmãs. São chamados à importante tarefa de servir o Evangelho de Jesus, anunciá-lo para que a sua consolação, a sua alegria e a sua libertação cheguem a todos. Esta é também a missão de cada um de nós: ser arautos credíveis, profetas da Palavra no mundo. Por isso apaixonemo-nos pela Sagrada Escritura, deixemo-nos interpelar profundamente pela Palavra, que desvenda a novidade de Deus e leva-nos a amar incansavelmente os outros. Voltemos a colocar a Palavra de Deus no centro da pastoral e da vida da Igreja! Assim seremos libertos tanto de qualquer pelagianismo rígido, de qualquer rigidez, como da ilusão duma espiritualidade que nos coloca «em órbita» sem cuidar dos irmãos e irmãs. Voltemos a colocar a Palavra de Deus no centro da pastoral e da vida da Igreja. Ouçamo-la, rezemo-la, ponhamo-la em prática.

[00100-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

W pierwszym czytaniu i w Ewangelii znajdujemy dwa gesty paralelne: kapłan Ezdrasz unosi w górę księgę Prawa Bożego, otwiera ją i ogłasza przed całym ludem; Jezus w synagodze w Nazarecie otwiera zwój Pisma Świętego i odczytuje przed wszystkimi fragment z proroka Izajasza. Te dwie sceny przekazują nam fundamentalną rzeczywistość: w centrum życia świętego ludu Bożego i drogi wiary nie jesteśmy my, z naszymi słowami. W centrum jest Bóg ze swoim Słowem.

Wszystko zaczęło się od Słowa, które Bóg skierował do nas. W Chrystusie, swoim odwiecznym Słowie, Ojciec „wybrał nas przed założeniem świata” (Ef 1, 4). Swoim Słowem stworzył wszechświat: „On przemówił, a wszystko powstało” (Ps 33, 9). Od najdawniejszych czasów przemawiał do nas przez proroków (por. Hbr 1,1), wreszcie w pełni czasów (por. Ga 4,4) posłał nam swoje własne Słowo, jednorodzonego Syna. Dlatego po odczytaniu fragmentu z Księgi Izajasza Jezus w Ewangelii ogłasza coś niesłychanego: „Dziś spełniły się te słowa Pisma” (Łk 4, 21). Spełniło się: Słowo Boże nie jest już tylko obietnicą, ale zrealizowało się. W Jezusie stało się ono ciałem. Mocą Ducha Świętego zamieszkało między nami i chce w nas przebywać, aby wypełnić nasze oczekiwania i uleczyć nasze rany.

Siostry i bracia, wpatrujmy się w Jezusa, jak ludzie w synagodze w Nazarecie (por. w. 20) – wpatrywali się w Niego, był jednym z nich: co nowego? co zrobi Ten, o którym tyle się mówi? – i przyjmijmy Jego Słowo. Rozważmy dzisiaj jego dwa wzajemnie powiązane aspekty: Słowo objawia Boga i Słowo prowadzi nas do człowieka. Jest w centrum: objawia Boga i prowadzi nas do człowieka.

Po pierwsze, Słowo objawia Boga. Jezus, na początku swojej misji, komentując ten szczególny fragment proroka Izajasza, zapowiada konkretny wybór: przyszedł, aby wyzwolić ubogich i uciśnionych (por. w. 18). W ten sposób, właśnie poprzez Pismo Święte, ukazuje nam oblicze Boga jako Tego, który troszczy się o nasze ubóstwo i któremu leży na sercu nasz los. Nie jest On panem obwarowanym w niebiosach – ten zły obraz Boga, nie, tak nie jest – lecz Ojcem, który śledzi nasze kroki. Nie jest zimnym, zdystansowanym i beznamiętnym obserwatorem, Bogiem „matematycznym”. Jest Bogiem z nami, który fascynuje się naszym życiem i angażuje się, aż po opłakiwanie naszych łez. Nie jest bogiem neutralnym i obojętnym, lecz Duchem miłującym człowieka, który nas broni, doradza nam, staje po naszej stronie, ryzykuje, naraża się na szwank z powodu naszego cierpienia. Zawsze jest tam obecny. To jest „dobra nowina" (w. 18), którą Jezus ogłasza wobec zdumionego spojrzenia wszystkich: Bóg jest blisko i chce się zatroszczyć o mnie, o ciebie, o wszystkich. I to jest właśnie cecha Boga: bliskość. On sam określa się w ten sposób; mówi do ludu w Księdze Powtórzonego Prawa: „Bo któryż naród ma swoich bogów tak bliskich, jak ja jestem blisko ciebie? (por. Pwt 4, 7). Bóg, który jest blisko, z tą bliskością, która jest współczująca i czuła, chce cię uwolnić od ciężarów, które cię przygniatają, chce ogrzać chłód twoich zim, chce rozświetlić twoje mroczne dni, chce wspierać twoje niepewne kroki. I czyni to za pomocą swojego Słowa, którym do ciebie przemawia, aby na nowo rozpalić nadzieję w popiele twoich lęków, aby pomóc ci odnaleźć radość w labiryntach twoich smutków, aby napełnić nadzieją gorycz chwil samotności. Sprawia, że idziesz, ale nie w labiryncie: sprawia, że idziesz ścieżką, aby odnajdywać Go bardziej, każdego dnia.

Bracia i siostry, zadajmy sobie pytanie: czy nosimy w naszych sercach ten wyzwalający obraz Boga, Boga bliskiego, Boga współczującego, Boga czułego? Czy też myślimy o Nim jako o surowym sędzim, rygorystycznym celniku naszego życia? Czy nasza wiara jest wiarą, która rodzi nadzieję i radość, czy – pytam siebie, między nami – też jest wciąż obciążona strachem, wiara zalękniona? Jakie oblicze Boga głosimy w Kościele? Zbawiciela, który wyzwala i uzdrawia, czy Boga przerażającego, który przygniata nas poczuciem winy? Jezus, by nas nawrócić do prawdziwego Boga, wskazuje nam, skąd mamy zacząć: od Słowa. Słowo, opowiadając nam historię miłości Boga do nas, uwalnia nas od lęków i przesądów wobec Niego, gaszących radość wiary. Słowo burzy fałszywe bożki, demaskuje nasze projekcje, niszczy nazbyt ludzkie przedstawienia Boga i prowadzi nas do Jego prawdziwego oblicza, do Jego miłosierdzia. Słowo Boże karmi i odnawia wiarę: umieśćmy je na nowo w centrum modlitwy i życia duchowego! W centrum, Słowo, które objawia nam jaki jest Bóg. Słowo, które zbliża nas do Boga.

A teraz drugi aspekt: Słowo prowadzi nas do człowieka. Prowadzi nas do Boga i prowadzi nas do człowieka. Właśnie wtedy, gdy odkrywamy, że Bóg jest miłością współczującą, przezwyciężamy pokusę zamknięcia się w religijności sakralnej, która ogranicza się do kultu zewnętrznego, nie dotykającego i nie przemieniającego życia. To jest bałwochwalstwo. Ukryte bałwochwalstwo, wyrafinowane, ale bałwochwalstwo. Słowo pobudza nas do wyjścia z naszych ograniczeń, abyśmy wyruszyli na spotkanie naszych braci i sióstr, mając jedynie łagodną moc wyzwalającej miłości Boga. W synagodze w Nazarecie Jezus objawia nam właśnie to: jest posłany, aby wyjść na spotkane ubogich - którymi jesteśmy my wszyscy - i ich wyzwolić. Nie przyszedł, aby przekazać listę norm czy odprawić jakąś ceremonię religijną, lecz wyszedł na drogi świata, aby spotkać zranioną ludzkość, aby obdarzyć czułością twarze poryte cierpieniem, aby uleczyć serca złamane, by nas uwolnić z łańcuchów, które zniewalają nasze dusze. W ten sposób ukazuje nam, jaki kult jest najbardziej miły Bogu: zatroszczenie się o bliźniego. I musimy do tego wrócić. W czasie, gdy w Kościele istnieją pokusy sztywności, która jest wypaczeniem, a ludzie wierzą, że znalezienie Boga oznacza bycie bardziej sztywnym, bardziej sztywnym, z większą ilością zasad, rzeczy słusznych, rzeczy jasnych... To nie jest tak. Kiedy widzimy propozycje sztywności, od razu myślmy: to jest bożek, to nie jest Bóg. Nasz Bóg nie jest taki.

Siostry i bracia, Słowo Boże nas zmienia – sztywność nie zmienia nas, ukrywa nas -; Słowo Boga nas zmienia, przenikając w głąb duszy, jak miecz (por. Hbr 4, 12). Jeśli bowiem z jednej strony pociesza nas, ukazując oblicze Boga, to z drugiej strony prowokuje i wstrząsa nami, odnosząc nas do naszych sprzeczności. Stawia nas w sytuacji kryzysowej. Nie pozostawia nas w spokoju, jeśli ceną tego spokoju jest świat rozdarty niesprawiedliwością i głodem, a płacą za niego zawsze najsłabsi. Płacą zawsze najsłabsi. Słowo rzuca wyzwanie tym naszym usprawiedliwieniom, które winę za to, co jest złe zawsze zrzucają na coś innego i na innych. Jaki ból odczuwamy widząc naszych braci i siostry umierających na morzu, ponieważ nie pozwala się im zejść na ląd! A niektórzy robią to w imię Boga. Słowo Boże zaprasza nas do wyjścia z cienia, nie chowania się za złożonością problemów, za tym, że „nic się nie da zrobić”, „to ich problem”, „to jego problem” lub „co ja mogę z tym zrobić?”, „zostawmy ich tam”. Wzywa nas do działania, do powiązania kultu Boga z troską o człowieka. Pismo Święte nie zostało nam bowiem dane dla rozrywki, byśmy się rozpieszczali w anielskiej duchowości, ale byśmy wyszli na spotkanie innych i zbliżyli się do ich ran. Mówiłem o sztywności, o tym nowoczesnym pelagianizmie, który jest jedną z pokus Kościoła. I ta inna pokusa, by szukać duchowości anielskiej, jest inną pokusą dzisiejszych czasów: gnostyckie ruchy duchowe, gnostycyzm, który oferuje ci Słowo Boże, które cię umieszcza "na orbicie" i nie pozwala ci dotknąć rzeczywistości. Słowo, które stało się ciałem (por. J 1,14), chce stać się ciałem w nas. Nie odrywa nas od życia, lecz wprowadza nas w życie, w codzienne sytuacje, we wsłuchiwanie się w cierpienia naszych braci i sióstr, w krzyk ubogich, w przemoc i niesprawiedliwość, które ranią społeczeństwo i planetę, abyśmy nie byli chrześcijanami obojętnymi, ale aktywnymi, chrześcijanami twórczymi, chrześcijanami proroczymi.

Dziś - mówi Jezus - spełniły się te słowa Pisma” (Łk 4, 21). Słowo chce przyjąć ciało dzisiaj, w czasie, w którym żyjemy, a nie w jakiejś idealnej przyszłości. Pewna francuska mistyczka z ubiegłego wieku, która wybrała życie Ewangelią na peryferiach, napisała, że Słowo Pańskie nie jest „«martwą literą»: jest duchem i życiem. [...] Akustyka, której domaga się od nas Słowo Pana, to nasze «dzisiaj»: okoliczności naszego codziennego życia i potrzeby bliźniego”. (M. Delbrêl, La gioia di credere, Gribaudi, Mediolan 1994, 258). Zapytajmy więc siebie: czy chcemy naśladować Jezusa, aby stać się sługami wyzwolenia i pocieszenia dla innych, wprowadzać w życie Słowo? Czy jesteśmy Kościołem posusznym wobec Słowa? Czy jesteśmy Kościołem, który słucha innych, który z zaangażowaniem wyciąga rękę, aby podnieść naszych braci i siostry z tego wszystkiego, co ich uciska, aby rozsupłać węzły strachu, aby uwolnić najbardziej wrażliwych z więzień ubóstwa, znużenia wewnętrznego i smutku, który gasi życie? Chcemy tego?

Podczas tej uroczystości niektórzy z naszych braci i sióstr zostaną ustanowieni lektorami i katechetami. Są powołani do ważnego zadania służenia Ewangelii Jezusa, głoszenia jej, aby jej pociecha, radość i wyzwolenie dotarły do wszystkich. Jest to także misja każdego z nas: być wiarygodnymi głosicielami, prorokami Słowa w świecie. Dlatego zafascynujmy się Pismem Świętym, pozwólmy, by zagłębiło się w nas Słowo, które objawia nowość Boga i prowadzi nas do niestrudzonej miłości bliźniego. Postawmy Słowo Boże na nowo w centrum duszpasterstwa i życia Kościoła! W ten sposób zostaniemy uwolnieni od wszelkiego sztywnego pelagianizmu, od wszelkiej sztywności, będziemy uwolnieni od iluzji duchowości, które wprowadzają nas "na orbitę", nie troszcząc się o braci i siostry. Postawmy Słowo Boże z powrotem w centrum duszpasterstwa i życia Kościoła. Słuchajmy go, módlmy się nim, wprowadzajmy je w życie.

[00100-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة أحد كلمة الله

23 كانون الثاني/يناير 2022

بازيليكا القدّيس بطرس

في القراءة الأولى وفي الإنجيل نجد حركتين متوازيتين: الكاهن عَزْرا يرفع كتاب شريعة الله عاليًا، ويفتحه ويعلنه أمام جميع الناس. وفي مجمع الناصرة، يسوع يفتح لفائف الأسفار المقدسة ويقرأ مقطعًا من سفر النبي أشعيا أمام الجميع. إنّهما مشهدان ينقلان لنا حقيقة أساسيّة: في قلب حياة شعب الله المقدّس وفي مسيرة الإيمان، لسنا نحن الموجودين وكلماتنا. بل في المكان الرئيسي، الله موجود وكلمته.

بدأ كلّ شيء بالكلمة التي وجهها الله إلينا. في المسيح، كلمته الأزليّ، "اختارَنا فيه قَبلَ إِنشاءِ العالَم" (أفسس 1، 4). بكلمته خلق الكون: "قالَ فكان وأَمَرَ فوجِد" (مزمور 33، 9). منذ العصور القديمة كلّمنا بالأنبياء (راجع عبرانيين 1، 1)، وأخيرًا، في ملء الزمان (راجع غلاطية 4، 4)، أرسل إلينا كلمته، الابن الوحيد. لهذا السبب، بعد أن أنهى يسوع قراءة النبي أشعيا، أعلن، في الإنجيل، شيئًا لم يُسمع به من قبل، قال: "اليوم تَمَّت هذه الآية" (لوقا 4، 21). لقد تَمَّت: لم تَعُدْ كلمة الله وعدًا، بل تحقّقت. في يسوع صارت جسدًا. وبعمل الرّوح القدس جاءت لتسكن بيننا وأرادت أن تسكن فينا، لتحقّق توقعاتنا وتشفي جراحنا.

أيّها الإخوة والأخوات، لنثبّت نظرنا في يسوع، مثل أهل المجمع في الناصرة (راجع الآية 20) - نظروا إليه وكان واحدًا منهم: ما الجديد؟ ما الذي فعله هذا حيث تمّ الحديث عنه كثيرًا؟ - ولنستقبل كلمته. لنتأمّل اليوم في وجهين للكلمة مرتبطين الواحد بالآخر: الكلمة تُظهِر لنا الله والكلمة تقودنا إلى الإنسان. إنّها في المركز: تُظهر لنا الله وتقودنا إلى الإنسان.

أوّلًا، الكلمة تُظهِر لنا الله. يسوع، في بداية رسالته، وفي تعليقه على هذا المقطع المحدّد من النبي أشعيا، أعلن عن قصد واضح ما أراده: جاء لتحرير الفقراء والمضطهدين (راجع الآية 18). وهكذا، وبالتحدّيد في الأسفار المقدسة، أظهر الله لنا وجهه، فهو الذي يعتني بفقرنا ومصيرنا. إنّه ليس سيّدًا جالسًا مثل الصخر في السّماوات - تلك الصورة المشوهة لله، لا، ليس الأمر كذلك - بل أبٌ يتبع خطواتنا. إنّه ليس مراقبًا باردًا بعيدًا عنا، لا إحساس له ولا شعور، بل هو الله معنا، يحبّ حياتنا حبًّا شديدًا، ويهتم لنا إلى حد أنّه يبكي ويذرف مثل دموعنا. ليس إلهًا محايّدًا لا يبالي. بل هو الرّوح المحبّ للإنسان، يدافع عنا، وينصحنا، ويقف معنا، ويغامر ويقبل معنا آلامنا. إنّه موجود دائمًا هناك. هذه هي ”البشرى السارة“ (راجع الآية ١٨) التي أعلنها يسوع أمام مستمعيه الذين نظروا إليه باندهاش: الله قريب ويريد أن يعتني بي وبك وبالجميع. وهذا هو أسلوب الله: القرب. عرّف نفسه بهذه الطريقة، وقال للشعب في سفر تثنية الاشتراع: ”أيّ شعبٍ لَهُ آلهة قَريبةٌ مِنه، كما أنا قريبٌ منك؟“ (راجع تثنية الاشتراع 4، 7). الله قريب، وبهذا القرب الرّحيم والحنون، يريد أن ينهضك من الأعباء التي ترزح تحتها، ويريد أن يبعث دفئًا في برد أيام شتائك، ويريد أن ينير أيامك المظلمة، ويريد أن يسند خطواتك المتردّدة. وهو يفعل ذلك بكلمته، التي يكلّمك بها ليوقد الرّجاء في رماد مخاوفك، وليجعلك تكتشف من جديد الفرح في متاهات حزنك، وليملأ مرارة وحدتك بالرجاء. إنّه يجعلك تذهب، ولكن ليس في متاهة: يجعلك تذهب في الطريق، لتجده أكثر، كلّ يوم.

أيّها الإخوة والأخوات، لنسأل أنفسنا: هل نحمل هذه الصّورة المحرِّرة عن الله في قلوبنا، صورة الله القريب، والله الرّحيم، والله الحنون؟ أم نفكّر فيه مثل قاض صارم، أم هو في حياتنا مثل ضابط جمارك متشدّد؟ هل إيماننا هو إيمان يولِّد الرجاء والفرح أم إيمان لا يزال مثقلًا بالخوف، إيمان خائف؟ أي وجه لله نعلن في الكنيسة؟ الله المخلّص الذي يحرّر ويشفي أم الله الرهيب الذي يسحقنا بسبب ذنوبنا؟ لكي نعود إلى الله الحقيقي، بيّن لنا يسوع من أين نبدأ: من الكلمة. فهي تحدّثنا عن قصة محبّة الله لنا، وتحرّرنا من مخاوف وأفكار مسبقة عنه، التي تُطفئ فرح الإيمان فينا. الكلمة تهدم الأصنام الزائفة، وتزيل القناع عن أوهام نتوهمها، وتهدم تصوراتنا البشرية عن الله، وتعيدنا إلى وجهه الحقيقي، إلى رحمته. كلمة الله تغذي الإيمان وتجدّده: فلنضعها من جديد في قلب صلاتنا وحياتنا الرّوحية! لنضعها في القلب، الكلمة التي تُظهر لنا الله، الكلمة التي تقربنا من الله.

والآن الوجه الثّاني، وهو: الكلمة تقودنا إلى الإنسان. تقودنا إلى الله وإلى الإنسان. عندما نكتشف أنّ الله هو حبّ رحيم، إذّاك فقط يمكننا أن نتغلّب على تجربة انغلاقنا في تديّن مقدّس، يقتصر على عبادة خارجيّة لا تمسّ الحياة ولا تغيّرها. هذه عبادة أصنام. عبادة أصنام خفية، عبادة أصنام منقية، لكنّها عبادة أصنام. تدفعنا الكلمة إلى أن نخرج من أنفسنا وننطلق للقاء إخوتنا بالقوّة الوديعة فقط لمحبّة الله المُحرّرة. كشف لنا يسوع في مجمع النّاصرة ما يلي: إنّه أُرسل ليلتقي بالفقراء - والذين هم نحن جميعًا - وليحرّرهم. لم يأتِ ليقدّم قائمة من الأحكام أو ليترأّس بعض الاحتفالات الدينيّة، بل نزل إلى طرقات العالم ليلتقِيَ بالإنسانيّة الجريحة، وليلاطف الوجوه التي حفرتها الآلام، وليشفِيَ القلوب المحطمة، وليحرّرنا من السلاسل التي تقيّد النفس. بهذه الطّريقة بيَّنَ لنا العبادة التي تُرضي الله، وهي: أن نعتني بالآخرين. وعلينا أن نعود إلى هذا. توجد في الكنيسة تجارب الصلابة والشدّة، وهذا ضلال، ويُعتقد أنّ العثور على الله هو أن نصبح أكثر صلابة وشدّة، مع المزيد من القواعد، والأشياء الصحيحة، والأشياء الواضحة... الأمر ليس كذلك. عندما نرى اقتراحات الصلابة والشدّة، لنفكر على الفور ولنقل: هذا صنم وليس الله. إلهنا ليس كذلك.

أيّها الإخوة والأخوات، إنّ كلمة الله تغيّرنا - الصلابة والشدّة لا تغيّرنا - وهي تفعل ذلك عندما تنفَذُ في نَفسِنا مثل السّيف (راجع عبرانيّين 4، 12). لأنّه إن كانت من ناحية تعزّينا وتُظهر لنا وجه الله، فإنّها من ناحية أخرى تُثيرنا وتَهزُّنا، وتُعيدنا فتضعنا أمام تناقضاتنا. إنّها لا تتركنا هادئين، بما أنّ الذي سيدفع ثمن هذا الهدوء هو عالمٌ يمزّقه الظّلم والجوع، والذين يدفعون الثّمن هم دائمًا الأضعفون. تضع الكلمة تبريراتنا في حالة أزمة وتساؤل، تلك التبريرات التي تجعلنا ننسب الخطأ دائمًا إلى غيرنا. كم نشعر بالألم لرؤية إخوتنا وأخواتنا يموتون في البحر لأنّه لا يُسمح لهم بالنزول إلى البر! وهذا ما يفعله البعض باسم الله. وكلمة الله تدعونا للخروج إلى وضح النهار، وألّا نختبئ وراء تعقيدات المشاكل، ووراء القول ”ليس هناك شيء أفعله“، ”إنّها مشكلتهم“، ”إنّها مشكلته“، أو ”ماذا يمكنني أن أفعل أنا؟“، ”لنتركهم هناك“.  وتحثّنا على الفعل، وعلى توحيد عبادة الله والعناية بالإنسان. لأنّ الكتاب المقدّس لم يُعطَ لنا لنُرفّه عن أنفسنا، ولندلّل أنفسنا بروحانيّة ملائكيّة، بل لنخرج للقاء الآخرين ولنقترب من جراحهم. لقد تكلّمت عن الصّلابة والشدّة، عن تلك البيلاجية الحديثة، التي هي إحدى تجارب الكنيسة. وهذه الأخرى، التي تبحث عن روحانية ملائكية، وهي من التجارب الأخرى اليوم: الحركات الروحية الغنوصية، التي تقدّم لك كلمة الله والتي تضعك في ”المدار“ ولا تسمح لك بلمس الواقع. الكلمة الذي صار بشرًا (راجع يوحنّا ​1، 14) يريد أن يصير بشرًا فينا. إنّه لم يخرجنا من الحياة، بل وضعنا في الحياة، وفي ظروف كلّ يوم، وفي الاستماع إلى معاناة إخوتنا، وصراخ الفقراء، والعنف والظّلم اللذين يؤذيان المجتمع والكوكب، حتّى لا نكون مسيحيّين غير مبالين، بل عاملين، ومسحيّين مبدعين، ومسحيّين نبويّين.

قال يسوع: "اليَومَ تَمَّت هذه الآيَة" (لوقا 4، 21). يريد الكلمة أن يتجسّد اليوم، في الوقت الذي نعيش فيه، وليس في المستقبل المثالي. إحدى المتصوفات الفرنسيّات من القرن الماضي، اختارت أن تعيش الإنجيل في الضواحي، وكتبت أنّ كلمة الله ليست "حرفًا ميتًا: إنّها روح وحياة. [...] والصّوت الذي تقتضيه كلمة الله منّا هو صوت من ”اليوم“: أي من ظروف حياتنا اليوميّة واحتياجات قريبنا" (مادلين ديلبريل، فرح الإيمان، دار نشر Gribaudi، ميلانو 1994، 258). لنسأل أنفسنا إذًا: هل نريد أن نقتدي بيسوع، وأن نصبح خُدّام حرّية وتعزية للآخرين؟ هل نحن كنيسة مُطيعة للكلمة؟ وكنيسة تميل إلى أن تصغي إلى الآخرين، وملتزمة في مدّ يد العون لِتَنتَشِل الإخوة والأخوات ممّا يثقل عليهم، فنحلّ عُقد الخوف، ونحرّر الأضعفين من سجون الفقر، والتّعب الداخلي والحزن الذي يُطفئ الحياة؟ هل نريد هذا؟

في هذا الاحتفال، سيتم منح رتبة قرُّاء ومعلّمي التّعليم المسيحي لبعض إخوتنا وأخواتنا. إنّهم مدعوّون إلى العمل المهم في خدمة إنجيل يسوع وإعلانه، حتّى تصل تعزيته وفرحه وتحريره إلى الجميع. إنّها رسالة كلّ واحدٍ منّا أيضًا: وهي أن نكون حاملي بُشرَى صادقين، وأنبياء للكلمة في العالم. لذلك، لنحبّ الكتاب المقدّس حبًّا شديدًا، ولندع الكلمة تعمّق الحفر في داخلنا، وتكشف عن كلّ ما هو جديد في الله وتحملنا إلى أن نحبّ الآخرين دون ملل. لنضع كلمة الله مرّة أخرى في قلب رعويّة الكنيسة وحياتها! هكذا نتحرّر من أية صلابة وشدّة، ونتحرّر من وهم الرّوحانيات الذي يضعنا في ”المدار“ دون أن نعتني بإخوتنا وأخواتنا. لنضع كلمة الله مرّة أخرى في قلب رعويّة الكنيسة وحياتها. ولنصغِ إليها، ولنصلِّ بها، ولنعمل بها.

[00100-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0050-XX.02]