Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore, 24.12.2020


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 19.30 di questa sera, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore 2020.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

In questa notte si compie la grande profezia di Isaia: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).

Ci è stato dato un figlio. Si sente spesso dire che la gioia più grande della vita è la nascita di un bambino. È qualcosa di straordinario, che cambia tutto, mette in moto energie impensate e fa superare fatiche, disagi e veglie insonni, perché porta una grande felicità, di fronte alla quale niente sembra che pesi. Così è il Natale: la nascita di Gesù è la novità che ci permette ogni anno di rinascere dentro, di trovare in Lui la forza per affrontare ogni prova. Sì, perché la sua nascita è per noi: per me, per te, per tutti noi, per ciascuno. Per è la parola che ritorna in questa notte santa: «Un bambino è nato per noi», ha profetato Isaia; «Oggi è nato per noi il Salvatore», abbiamo ripetuto al Salmo; Gesù «ha dato se stesso per noi» (Tt 2,14), ha proclamato San Paolo; e l’angelo nel Vangelo ha annunciato: «Oggi è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Per me, per voi.

Ma che cosa vuole dirci questo per noi? Che il Figlio di Dio, il benedetto per natura, viene a farci figli benedetti per grazia. Sì, Dio viene al mondo come figlio per renderci figli di Dio. Che dono stupendo! Oggi Dio ci meraviglia e dice a ciascuno di noi: “Tu sei una meraviglia”. Sorella, fratello, non perderti d’animo. Hai la tentazione di sentirti sbagliato? Dio ti dice: “No, sei mio figlio!” Hai la sensazione di non farcela, il timore di essere inadeguato, la paura di non uscire dal tunnel della prova? Dio ti dice: “Coraggio, sono con te”. Non te lo dice a parole, ma facendosi figlio come te e per te, per ricordarti il punto di partenza di ogni tua rinascita: riconoscerti figlio di Dio, figlia di Dio. Questo è il punto di partenza di qualsiasi rinascita. È questo il cuore indistruttibile della nostra speranza, il nucleo incandescente che sorregge l’esistenza: al di sotto delle nostre qualità e dei nostri difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati. E l’amore di Dio per noi non dipende e non dipenderà mai da noi: è amore gratuito. Questa notte non trova spiegazione in altra parte: soltanto, la grazia. Tutto è grazia. Il dono è gratuito, senza merito di ognuno di noi, pura grazia. Stanotte, ci ha detto san Paolo, «è apparsa infatti la grazia di Dio» (Tt 2,11). Niente è più prezioso.

Ci è stato dato un figlio. Il Padre non ci ha dato qualcosa, ma il suo stesso Figlio unigenito, che è tutta la sua gioia. Eppure, se guardiamo all’ingratitudine dell’uomo verso Dio e all’ingiustizia verso tanti nostri fratelli, viene un dubbio: il Signore ha fatto bene a donarci così tanto, fa bene a nutrire ancora fiducia in noi? Non ci sopravvaluta? Sì, ci sopravvaluta, e lo fa perché ci ama da morire. Non riesce a non amarci. È fatto così, è tanto diverso da noi. Ci vuole bene sempre, più bene di quanto noi riusciamo ad averne per noi stessi. È il suo segreto per entrare nel nostro cuore. Dio sa che l’unico modo per salvarci, per risanarci dentro, è amarci: non c’è un altro modo. Sa che noi miglioriamo solo accogliendo il suo amore instancabile, che non cambia, ma ci cambia. Solo l’amore di Gesù trasforma la vita, guarisce le ferite più profonde, libera dai circoli viziosi dell’insoddisfazione, della rabbia e della lamentela.

Ci è stato dato un figlio. Nella povera mangiatoia di una buia stalla c’è proprio il Figlio di Dio. Sorge un’altra domanda: perché è venuto alla luce nella notte, senza un alloggio degno, nella povertà e nel rifiuto, quando meritava di nascere come il più grande re nel più bello dei palazzi? Perché? Per farci capire fino a dove ama la nostra condizione umana: fino a toccare con il suo amore concreto la nostra peggiore miseria. Il Figlio di Dio è nato scartato per dirci che ogni scartato è figlio di Dio. È venuto al mondo come viene al mondo un bimbo, debole e fragile, perché noi possiamo accogliere con tenerezza le nostre fragilità. E scoprire una cosa importante: come a Betlemme, così anche con noi Dio ama fare grandi cose attraverso le nostre povertà. Ha messo tutta la nostra salvezza nella mangiatoia di una stalla e non teme le nostre povertà: lasciamo che la sua misericordia trasformi le nostre miserie!

Ecco che cosa vuol dire che un figlio è nato per noi. Ma c’è ancora un per, che l’angelo dice ai pastori: «Questo per voi il segno: un bambino adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo segno, il Bambino nella mangiatoia, è anche per noi, per orientarci nella vita. A Betlemme, che significa “Casa del pane”, Dio sta in una mangiatoia, come a ricordarci che per vivere abbiamo bisogno di Lui come del pane da mangiare. Abbiamo bisogno di lasciarci attraversare dal suo amore gratuito, instancabile, concreto. Quante volte invece, affamati di divertimento, successo e mondanità, alimentiamo la vita con cibi che non sfamano e lasciano il vuoto dentro! Il Signore, per bocca del profeta Isaia, si lamentava che, mentre il bue e l’asino conoscono la loro mangiatoia, noi, suo popolo, non conosciamo Lui, fonte della nostra vita (cfr Is 1,2-3). È vero: insaziabili di avere, ci buttiamo in tante mangiatoie di vanità, scordando la mangiatoia di Betlemme. Quella mangiatoia, povera di tutto e ricca di amore, insegna che il nutrimento della vita è lasciarci amare da Dio e amare gli altri. Gesù ci dà l’esempio: Lui, il Verbo di Dio, è infante; non parla, ma offre la vita. Noi invece parliamo molto, ma siamo spesso analfabeti di bontà.

Ci è stato dato un figlio. Chi ha un bimbo piccolo, sa quanto amore e quanta pazienza ci vogliono. Occorre nutrirlo, accudirlo, pulirlo, prendersi cura della sua fragilità e dei suoi bisogni, spesso difficili da comprendere. Un figlio fa sentire amati, ma insegna anche ad amare. Dio è nato bambino per spingerci ad avere cura degli altri. Il suo tenero pianto ci fa capire quanto sono inutili tanti nostri capricci; e ne abbiamo tanti! Il suo amore disarmato e disarmante ci ricorda che il tempo che abbiamo non serve a piangerci addosso, ma a consolare le lacrime di chi soffre. Dio prende dimora vicino a noi, povero e bisognoso, per dirci che servendo i poveri ameremo Lui. Da stanotte, come scrisse una poetessa, «la residenza di Dio è accanto alla mia. L’arredo è l’amore» (E. Dickinson, Poems, XVII).

Ci è stato dato un figlio. Sei Tu, Gesù, il Figlio che mi rende figlio. Tu mi ami come sono, non come mi sogno di essere; io lo so! Abbracciando Te, Bambino della mangiatoia, riabbraccio la mia vita. Accogliendo Te, Pane di vita, anch’io voglio donare la mia vita. Tu che mi salvi, insegnami a servire. Tu che non mi lasci solo, aiutami a consolare i tuoi fratelli, perché Tu sai da stanotte sono tutti miei fratelli.

[01609-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

En cette nuit s’accomplit la grande prophétie d’Isaïe: «Un enfant est né pour nous, un fils nous a été donné» (Is. 9, 5).

Un fils nous a été donné. On entend souvent dire que la joie la plus grande de la vie est la naissance d’un enfant. C’est une chose extraordinaire qui change tout, qui met en mouvement des énergies imprévues et fait surmonter fatigues, gênes et nuits blanches, parce qu’elle porte un grand bonheur face auquel rien ne semble compter. C’est ainsi qu’est Noël: la naissance de Jésus est la nouveauté qui nous permet chaque année de renaîtrede l’intérieur, de trouver en lui la force d’affronter toute épreuve. Oui, parce que sa naissance est pour nous: pour moi, pour toi, pour nous tous, pour chacun. Pour est le mot qui revient en cette sainte nuit: «Un fils est né pour nous» a prophétisé Isaïe; «Aujourd’hui est né pour nous le Sauveur», avons-nous répété dans le Psaume; Jésus «s’est donné pour nous» (Tt 2, 14), a proclamé saint Paul; et l’ange de l’Evangile a annoncé: «Aujourd’hui est né pour vous un Sauveur» (Lc 2, 11). Pour moi, pour vous.

Mais que veut nous dire ce pour nous? Que le Fils de Dieu, le béni par nature, vient faire de nous des fils bénis par grâce. Oui, Dieu vient au monde comme fils pour nous rendre fils de Dieu. Quel don merveilleux! Aujourd’hui Dieu nous émerveille et dit à chacun de nous: “Tu es une merveille”. Sœur, frère, ne perds pas courage. As-tu la tentation de te sentir fautif? Dieu te dit: «Non tu es mon fils! » As-tu la sensation de ne pas y arriver, la crainte d’être inadapté, la peur de ne pas sortir du tunnel de l’épreuve? Dieu te dit: “Courage, je suis avec toi”. Il ne te le dit pas en paroles, mais en se faisant fils comme toi et pour toi, pour te rappeler le point de départ de toute renaissance: te reconnaitre fils de Dieu, fille de Dieu. C’est le point de départ de toute renaissance. C’est cela le cœur indestructible de notre espérance, le noyau incandescent qui soutient l’existence: sous nos qualités et nos défauts, plus forte que les blessures et les échecs du passé, les peurs et les inquiétudes pour l’avenir, il y a cette vérité: nous sommes des fils aimés. Et l’amour de Dieu pour nous ne dépend pas et ne dépendra jamais de nous: c’est un amour gratuit. Cette nuit ne trouve pas d’explication dans un autre endroit: seulement la grâce. Tout est grâce. Le don est gratuit, sans mérite de chacun de nous, une pure grâce. Cette nuit, nous a dit saint Paul «la grâce de Dieu s’est manifestée» (Tt 2, 11). Rien n’est plus précieux.

Un fils nous a été donné. Le Père ne nous a pas donné quelque chose, mais son Fils unique lui-même, qui est toute sa joie. Pourtant, si nous regardons l’ingratitude de l’homme envers Dieu et l’injustice envers tant de nos frères, il vient un doute: le Seigneur a-t-il bien fait de tant nous donner ainsi, fait-il bien de nous faire encore confiance? Ne nous surestime-t-il pas? Oui, il nous surestime, et il le fait parce qu’il nous aime à en mourir. Il ne réussit pas à ne pas nous aimer. Il est fait ainsi, il est si différent de nous. Il nous aime toujours, mieux que nous réussissons à le faire pour nous-mêmes. C’est son secret pour entrer dans notre cœur. Dieu sait que l’unique façon pour nous sauver, pour nous guérir de l’intérieur, c’est de nous aimer: il n’y a pas d’autre moyen. Il sait que nous nous améliorons seulement en accueillant son amour infatigable, qui ne change pas mais nous change. Seul l’amour de Jésus transforme la vie, guérit les blessures les plus profondes, libère des cercles vicieux de l’insatisfaction, de la colère et de la plainte.

Un fils nous a été donné. Dans la pauvre mangeoire d’une sombre étable il y a vraiment le Fils de Dieu. Surgit une autre question: pourquoi est-il né dans la nuit, sans logement digne, dans la pauvreté et dans le refus, alors qu’il méritait de naitre comme le plus grand roi dans le plus beau des palais? Pourquoi? Pour nous faire comprendre jusqu’où il aime notre condition humaine: jusqu’à toucher de son amour concret la pire de nos misères. Le Fils de Dieu est né rejeté pour nous dire que toute personne rejetée est enfant de Dieu. Il est venu au monde comme vient au monde un petit enfant, faible et fragile, pour que nous puissions accueillir avec tendresse nos fragilités. Et découvrir une chose importante: comme à Bethléem, avec nous Dieu aussi aime faire de grandes choses à travers nos pauvretés. Il a mis tout notre salut dans la mangeoire d’une étable et il ne craint pas nos pauvretés: laissons sa miséricorde transformer nos misères!

Voilà ce que veut dire qu’un fils est né pour nous. Mais il y a encore un pour, que l’ange dit aux bergers: «Et voici le signe qui est donnépour vous : vous trouverez un nouveau-né couché dans une mangeoire» (Lc 2, 12). Ce signe, le nouveau-né dans la mangeoire, est aussi pour nous, pour nous orienter dans la vie. A Bethléem, qui signifie“Maison du pain”, Dieu est dans une mangeoire comme pour nous rappeler que, pour vivre, nous avons besoin de lui comme du pain à manger. Nous avons besoin de nous laisser traverser par son amour gratuit, infatigable, concret. Que de fois par contre, affamés de divertissement, de succès et de mondanité, nous nourrissons notre vie d’aliments qui ne rassasient pas et laissent le vide à l’intérieur! Le Seigneur, par la bouche du prophète Isaïe, déplorait que, alors que le bœuf et l’âne connaissent leur mangeoire, nous, son peuple, nous ne le connaissons pas, lui la source de notre vie (cf. Is 1, 2-3). C’est vrai: insatiables d’avoir, nous nous jetons dans de nombreuses mangeoires de vanité, oubliant la mangeoire de Bethléem. Cette mangeoire, pauvre de tout et riche d’amour, enseigne que la nourriture de la vie est le fait de nous laisser aimer par Dieu et d’aimer les autres. Jésus nous donne l’exemple: Lui, le Verbe de Dieu, est un bébé; il ne parle pas, mais il offre sa vie. Nous par contre nous parlons beaucoup, mais nous sommes souvent analphabètes de bonté.

Un fils nous a été donné. Celui qui a un petit enfant sait combien il faut d’amour et de patience. Il faut le nourrir, le soigner, le nettoyer, prendre soin de sa fragilité et de ses besoins, souvent difficiles à comprendre. Un enfant fait se sentir aimés, mais enseigne aussi à aimer. Dieu est né petit enfant pour nous pousser à avoir soin des autres. Ses tendres pleurs nous font comprendre combien sont inutiles tant de nos caprices; et nous en avons beaucoup! Son amour désarmé et désarmant nous rappelle que le temps que nous avons ne sert pas à pleurer sur notre sort, mais à consoler les larmes de celui qui souffre. Dieu élit domicile tout près de nous, pauvre et dans le besoin, pour nous dire qu’en servant les pauvres nous l’aimerons lui. A partir de cette nuit, comme l’a écrit une poétesse, «la résidence de Dieu est à côté de la mienne. La décoration est l’amour» (E. Dickinson, Poems, XVII).

Un fils nous a été donné. C’est toi, Jésus, le Fils qui me rend fils. Tu m’aimes comme je suis, non comme je me rêve d’être; je le suis!. En t’embrassant toi, Enfant de la mangeoire, j’embrasse à nouveau ma vie. En t’accueillant toi, Pain de vie, moi aussi je veux donner ma vie. Toi qui me sauve, enseigne-moi à servir. Toi qui ne me laisse pas seul, aide-moi à consoler tes frères, parce que tu sais qu’à partir de cette nuit ils sont tous mes frères.

[01609-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Tonight, the great prophecy of Isaiah is fulfilled: “For to us a child is born, to us a son is given” (Is 9:6).

To us a son is given. We often hear it said that the greatest joy in life is the birth of a child. It is something extraordinary and it changes everything. It brings an excitement that makes us think nothing of weariness, discomfort and sleepless nights, for it fills us with a great, incomparable happiness. That is what Christmas is: the birth of Jesus is the “newness” that enables us to be reborn each year and to find, in him, the strength needed to face every trial. Why? Because his birth is for us – for me, for you, for all of us, for everyone. “For” is a word that appears again and again on this holy night: “For us a child is born”, Isaiah prophesied. “For us is born this day a Saviour”, we repeated in the Psalm. Jesus “gave himself for us” (Tit 2:14), Saint Paul tells us, and in the Gospel the angel proclaims: “For to you is born this day a Saviour” (Lk 2:11). For me, for you.

Yet what do those words – for us – really mean? They mean that the Son of God, the one who is holy by nature, came to make us, as God’s children, holy by grace. Yes, God came into the world as a child to make us children of God. What a magnificent gift! This day, God amazes us and says to each of us: “You are amazing”. Dear sister, dear brother, never be discouraged. Are you tempted to feel you were a mistake? God tells you, “No, you are my child!” Do you have a feeling of failure or inadequacy, the fear that you will never emerge from the dark tunnel of trial? God says to you, “Have courage, I am with you”. He does this not in words, but by making himself a child with you and for you. In this way, he reminds you that the starting point of all rebirth is the recognition that we are children of God. This is the starting point for any rebirth. This is the undying heart of our hope, the incandescent core that gives warmth and meaning to our life. Underlying all our strengths and weaknesses, stronger than all our past hurts and failures, or our fears and concerns about the future, there is this great truth: we are beloved sons and daughters. God’s love for us does not, and never will, depend upon us. It is completely free love. Tonight cannot be explained in any other way: it is purely grace. Everything is grace. The gift is completely free, unearned by any of us, pure grace. Tonight, Saint Paul tells us, “the grace of God has appeared” (Tit 2:11). Nothing is more precious than this.

To us a son is given. The Father did not give us a thing, an object; he gave his own only-begotten Son, who is all his joy. Yet if we look at our ingratitude towards God and our injustice towards so many of our brothers and sisters, a doubt can arise. Was the Lord right in giving us so much? Is he right still to trust us? Does he not overestimate us? Of course, he overestimates us, and he does this because he is madly in love with us. He cannot help but love us. That is the way he is, so different from ourselves. God always loves us with a greater love than we have for ourselves. This is his secret for entering our hearts. God knows that the only way to save us, to heal us from within, is by loving us: there is no other way. He knows that we become better only by accepting his unfailing love, an unchanging love that changes us. Only the love of Jesus can transform our life, heal our deepest hurts and set us free from the vicious circles of disappointment, anger and constant complaint.

To us a son is given. In the lowly manger of a darkened stable, the Son of God is truly present. But this raises yet another question. Why was he born at night, without decent accommodation, in poverty and rejection, when he deserved to be born as the greatest of kings in the finest of palaces? Why? To make us understand the immensity of his love for our human condition: even to touching the depths of our poverty with his concrete love. The Son of God was born an outcast, in order to tell us that every outcast is a child of God. He came into the world as each child comes into the world, weak and vulnerable, so that we can learn to accept our weaknesses with tender love. And to discover something important: as he did in Bethlehem, so too with us, God loves to work wonders through our poverty. He placed the whole of our salvation in the manger of a stable. He is unafraid of our poverty, so let us allow his mercy to transform it completely!

This is what it means to say that a son is born for us. Yet we hear that word “for” in another place, too. The angel proclaims to the shepherds: “This will be a sign for you: a baby lying in a manger” (Lk 2:12). That sign, the Child in the manger, is also a sign for us, to guide us through life. In Bethlehem, a name that means “House of Bread”, God lies in a manger, as if to remind us that, in order to live, we need him, like the bread we eat. We need to be filled with his free, unfailing and concrete love. How often instead, in our hunger for entertainment, success and worldly pleasures, do we nourish life with food that does not satisfy and leaves us empty within! The Lord, through the prophet Isaiah, complained that, while the ox and the donkey know their master’s crib, we, his people, do not know him, the source of our life (cf. Is 1:2-3). It is true: in our endless desire for possessions, we run after any number of mangers filled with ephemeral things, and forget the manger of Bethlehem. That manger, poor in everything yet rich in love, teaches that true nourishment in life comes from letting ourselves be loved by God and loving others in turn. Jesus gives us the example. He, the Word of God, becomes an infant; he does not say a word, but offers life. We, on the other hand, are full of words, but often have so little to say about goodness.

To us a son is given. Parents of little children know how much love and patience they require. We have to feed them, look after them, bathe them and care for their vulnerability and their needs, which are often difficult to understand. A child makes us feel loved but can also teach us how to love. God was born a child in order to encourage us to care for others. His quiet tears make us realize the uselessness of our many impatient outbursts; and we have so many of them! His disarming love reminds us that our time is not to be spent in feeling sorry for ourselves, but in comforting the tears of the suffering. God came among us in poverty and need, to tell us that in serving the poor, we will show our love for him. From this night onward, as a poet wrote, “God’s residence is next to mine, his furniture is love” (EMILY DICKINSON, Poems, XVII).

To us a son is given. Jesus, you are the Child who makes me a child. You love me as I am, not as I imagine myself to be; this I know! In embracing you, the Child of the manger, I once more embrace my life. In welcoming you, the Bread of life, I too desire to give my life. You, my Saviour, teach me to serve. You who did not leave me alone, help me to comfort your brothers and sisters, for you know that, from this night forward, all are my brothers and sisters.

[01609-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

In dieser Nacht erfüllt sich die große Prophezeiung des Jesaja: »Ein Kind wurde uns geboren, ein Sohn wurde uns geschenkt« (Jes 9,5).

Ein Sohn wurde uns geschenkt. Oft hört man, dass die größte Freude im Leben die Geburt eines Kindes ist. Das ist etwas Außergewöhnliches, das alles verändert, unvorstellbare Energien freisetzt und uns Mühen, Unannehmlichkeiten und schlaflose Nächte überstehen lässt, weil es ein großes Glück mit sich bringt, welches, wie es scheint, alles leichter werden lässt. So ist es auch mit Weihnachten: Die Geburt Jesu ist die Neuheit, die es uns Jahr für Jahr ermöglicht, innerlich neu geboren zu werden und in ihm die Kraft zu finden, jede Prüfung zu bestehen. Ja, denn er ist für uns geboren: für mich, für dich, für uns alle, für jeden einzelnen. Dieses Für uns ist das Wort, das in dieser Heiligen Nacht immer wiederkehrt: »Ein Kind wurde [für] uns geboren«, prophezeite Jesaja; »Heute ist [für] uns der Heiland geboren«, heißt es im Antwortpsalm; Jesus »hat sich für uns hingegeben« (Tit 2,14), verkündete der heilige Paulus; und der Engel im Evangelium verkündete: »Heute ist [für] euch […] der Retter geboren« (Lk 2,11). Für mich, für euch.

Aber was will uns dieses Für uns sagen? Dass der Sohn Gottes, der der Gesegnete schlechthin ist, kommt, um uns aus Gnade zu gesegneten Söhnen und Töchtern zu machen. Ja, Gott kommt als Sohn in die Welt, um uns zu Kindern Gottes zu machen. Was für ein wunderbares Geschenk! Heute staunt Gott über uns und sagt zu einem jedem von uns: „Du bist ein Wunder.“ Schwester, Bruder, verliere nicht den Mut. Bist du in der Versuchung zu glauben, du seist verfehlt? Gott sagt zu dir: „Nein, du bist mein Kind!“ Hast du das Gefühl, es einfach nicht zu schaffen, die Angst, unzulänglich zu sein, befürchtest du, aus dem Tunnel der Prüfung nicht mehr herauszukommen? Gott sagt zu dir: „Hab Mut, ich bin mit dir.“ Das sagt er dir nicht mit Worten, sondern dadurch, dass er zu einem Kind wurde, wie du eines bist. Und dies hat er für dich getan, um dich an den Ausgangspunkt deines Neu-Geborenwerdens zu erinnern: dass du dir bewusstwirst, ein Sohn Gottes, eine Tochter Gottes zu sein. Das ist der Ausgangspunkt allen Neu-Geborenwerdens. Das ist das unzerstörbare Innerste unserer Hoffnung, der glühende Kern, der das Leben aufrechterhält: Tiefer als unsere Begabungen und unsere Mängel und stärker als die Wunden und Misserfolge der Vergangenheit, stärker als die Ängste und Sorgen um die Zukunft, ist diese Wahrheit: Wir sind geliebte Kinder. Und Gottes Liebe zu uns hängt nicht von uns ab und wird nie von uns abhängen: es ist eine unentgeltliche Liebe. Diese Nacht lässt sich durch nichts anderes erklären – allein durch Gnade. Alles ist Gnade. Dieses Geschenk ist unentgeltlich, keiner von uns hat es verdient, es ist reine Gnade. Heute Nacht, so sagt uns der heilige Paulus, ist »die Gnade Gottes […] erschienen« (Tit 2, 11). Nichts ist wertvoller.

Ein Sohn wurde uns geschenkt. Der Vater hat uns nicht irgendetwas gegeben, sondern seinen eigenen einzigen Sohn, der seine ganze Freude ist. Und doch, wenn wir die Undankbarkeit des Menschen gegenüber Gott und die Ungerechtigkeit gegenüber so vielen unserer Brüder und Schwestern betrachten, kommt ein Zweifel auf: War es richtig, dass der Herr uns so viel gegeben hat, ist es recht, dass er immer noch Vertrauen zu uns hat? Überschätzt er uns nicht? Ja, er überschätzt uns, und er tut dies, weil er uns aufs Äußerste liebt. Er kann nicht anders, als uns zu lieben. So ist er nun mal – so anders als wir. Er liebt uns immer, mehr als wir uns selbst lieben können. Das ist sein Geheimnis, um in unsere Herzen einzutreten. Gott weiß, dass der einzige Weg, uns zu retten, uns innerlich zu heilen, darin besteht, uns zu lieben. Es gibt keinen anderen Weg. Er weiß, dass wir nur besser werden, wenn wir seine unermüdliche Liebe annehmen, die sich niemals ändert, die aber uns verändert. Nur die Liebe Jesu verwandelt das Leben, heilt die tiefsten Wunden und befreit uns aus den Teufelskreisen von Unzufriedenheit, Ärger und Klagen.

Ein Sohn wurde uns geschenkt. In der ärmlichen Krippe eines dunklen Stalls liegt der Sohn Gottes selbst. Damit stellt sich eine weitere Frage: Warum wurde er nachts geboren, ohne würdige Unterkunft, in Armut und Ablehnung, wo er doch verdient hätte, wie der größte König im schönsten aller Paläste geboren zu werden? Warum? Um uns begreiflich zu machen, wie sehr er unser Menschsein liebt: so sehr, dass er mit seiner konkreten Liebe unser schlimmstes Elend berührt. Der Sohn Gottes wurde völlig unbeachtet geboren, um uns zu sagen, dass jeder missachtete Mensch ein Kind Gottes ist. Er kam in die Welt, wie ein Kind eben zur Welt kommt, schwach und zerbrechlich, damit wir unsere Unzulänglichkeiten mit Zärtlichkeit annehmen können. Und er tat dies auch, damit wir etwas Wichtiges entdecken: Wie in Betlehem, so möchte Gott auch bei uns liebend gerne durch unsere Armut Großes tun. Er hat unser ganzes Heil in die Futterkrippe eines Stalls gelegt, und er hat keine Angst vor unserer Armut. Lassen wir also zu, dass seine Barmherzigkeit unser Elend verwandelt!

Das also bedeutet es, dass ein Kind für uns geboren worden ist. Aber es gibt noch ein weiteres Für uns, von dem der Engel zu den Hirten spricht: »Und das soll euch als Zeichen dienen: Ihr werdet ein Kind finden, das […] in einer Krippe liegt« (Lk 2,12). Dieses Zeichen, das Kind in der Krippe, gilt auch uns, um uns im Leben Orientierung zu geben. In Betlehem, was „Haus des Brotes“ bedeutet, liegt Gott in einer Krippe, so als wollte er uns daran erinnern, dass wir ihn so sehr zum Leben brauchen wie das Brot, das wir essen.

Wir müssen uns von seiner unentgeltlichen, unermüdlichen, konkreten Liebe durchdringen lassen. Wie oft hingegen füttern wir, hungrig nach Unterhaltung, Erfolg und Weltlichkeit, unser Leben mit Nahrung, die nicht satt macht und eine innere Leere hinterlässt! Der Herr beklagte durch den Mund des Propheten Jesaja, dass zwar der Ochse und der Esel ihre Krippe kennen, wir jedoch, sein Volk, ihn, die Quelle unseres Lebens, nicht erkennen (vgl. Jes 1,2-3). Es ist wahr: unersättlich wollen wir mehr haben und so stürzen wir uns auf die vielen Futterstellen der Eitelkeit und vergessen dabei die Krippe von Betlehem. Diese Krippe – arm an allem, aber reich an Liebe – lehrt uns, dass die Nahrung des Lebens darin besteht, dass wir uns von Gott lieben lassen und andere lieben. Jesus gibt uns das Beispiel: Er, das Wort Gottes, ist ein Säugling; er spricht nicht, aber er verheißt Leben. Wir hingegen reden viel, sind aber, was die Güte anbelangt, oft Analphabeten.

Ein Sohn wurde uns geschenkt. Wer ein kleines Kind hat, weiß, wie viel Liebe und Geduld es braucht. Man muss es ernähren, pflegen, waschen, sich um seine Schwachheit und seine oft schwer zu verstehenden Bedürfnisse kümmern. Ein Kind gibt einem das Gefühl, dass man geliebt wird, aber es lehrt auch zu lieben. Gott wurde als Kind geboren, weil er uns dazu bringen möchte, dass wir uns um andere kümmern. Sein zartes Weinen lässt uns verstehen, wie unnötig viele der Dinge sind, die wir uns einbilden – und von diesen Dingen haben wir etliche! Seine wehrlose und entwaffnende Liebe erinnert uns daran, dass die Zeit, die wir zur Verfügung haben, nicht dazu da ist, um uns selbst zu bemitleiden, sondern um die Tränen derer zu trösten, die leiden. Gott nimmt Wohnung ganz in unserer Nähe, arm und bedürftig, um uns zu sagen, dass wir ihm unsere Liebe erweisen können, indem wir den Armen dienen. Von heute Nacht an befindet sich, wie eine Dichterin schrieb, »Gottes Wohnstatt direkt neben der meinen. Die Liebe ist ihr Mobiliar.« (E. DICKINSON, Poems, XVII).

Ein Sohn wurde uns geschenkt. Du, Jesus, bist der Sohn, der mich zu einem Sohn macht. Du liebst mich, wie ich bin, nicht wie ich träume zu sein. Das weiß ich! Wenn ich dich umarme, Kind in der Krippe, umarme ich von Neuem mein Leben. Wenn ich dich aufnehme, Brot des Lebens, will auch ich mein Leben so hingeben. Du, der du mich rettest, lehre mich zu dienen. Du, der du mich nicht allein lässt, hilf mir, deine Brüder und Schwestern zu trösten, denn du weißt, von heute Nacht an sind sie alle auch meine Brüder und Schwestern.

[01609-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

En esta noche se cumple la gran profecía de Isaías: «Un niño nos ha nacido, un hijo se nos ha dado» (Is 9,5).

Un hijo se nos ha dado. A menudo se oye decir que la mayor alegría de la vida es el nacimiento de un hijo. Es algo extraordinario, que lo cambia todo, que pone en movimiento energías impensables y nos hace superar la fatiga, la incomodidad y las noches de insomnio, porque trae una felicidad grande, ante la cual ya nada parece que pese. La Navidad es así: el nacimiento de Jesús es la novedad que cada año nos permite nacer interiormente de nuevo y encontrar en Él la fuerza para afrontar cada prueba. Sí, porque su nacimiento es para nosotros: para mí, para ti, para todos nosotros. Para es la palabra que se repite en esta noche santa: “Un hijo se nos ha dado para nosotros”, ha profetizado Isaías; “hoy ha nacido para nosotros el Salvador”, hemos repetido en el Salmo; Jesús “se entregó por y para nosotros” (cf. Tt 2,14), ha proclamado san Pablo; y el ángel en el Evangelio ha anunciado: “Ha nacido para vosotros un Salvador” (cf. Lc 2,11). Para mí, para vosotros.

¿Pero qué significa este para nosotros? Que el Hijo de Dios, el bendito por naturaleza, viene a hacernos hijos bendecidos por gracia. Sí, Dios viene al mundo como hijo para hacernos hijos de Dios. ¡Qué regalo tan maravilloso! Hoy Dios nos asombra y nos dice a cada uno: “Tú eres una maravilla”. Hermana, hermano, no te desanimes. ¿Estás tentado de sentirte fuera de lugar? Dios te dice: “No, ¡tú eres mi hijo!”. ¿Tienes la sensación de no lograrlo, miedo de no estar a la altura, temor de no salir del túnel de la prueba? Dios te dice: “Ten valor, yo estoy contigo”. No te lo dice con palabras, sino haciéndote hijo como tú y por ti, para recordarte cuál es el punto de partida para que empieces de nuevo: reconocerte como hijo de Dios, como hija de Dios. Este es el punto de partida para cualquier nuevo nacimiento. Este es el corazón indestructible de nuestra esperanza, el núcleo candente que sostiene la existencia: más allá de nuestras cualidades y de nuestros defectos, más fuerte que las heridas y los fracasos del pasado, que los miedos y la preocupación por el futuro, se encuentra esta verdad: somos hijos amados. Y el amor de Dios por nosotros no depende y no dependerá nunca de nosotros: es amor gratuito. Esta noche no tiene otra explicación: sólo la gracia. Todo es gracia. El don es gratuito, sin ningún mérito de nuestra parte, pura gracia. Esta noche, san Pablo nos ha dicho: «Ha aparecido la gracia de Dios» (Tt 2,11). Nada es más valioso.

Un hijo se nos ha dado. El Padre no nos ha dado algo, sino a su mismo Hijo unigénito, que es toda su alegría. Y, sin embargo, si miramos la ingratitud del hombre hacia Dios y la injusticia hacia tantos de nuestros hermanos, surge una duda: ¿Ha hecho bien el Señor en darnos tanto, hace bien en seguir confiando en nosotros? ¿No nos sobrevalora? Sí, nos sobrevalora, y lo hace porque nos ama hasta el extremo. No es capaz de dejarnos de amar. Él es así, tan diferente a nosotros. Siempre nos ama, más de lo que nosotros mismos seríamos capaces de amarnos. Ese es su secreto para entrar en nuestros corazones. Dios sabe que la única manera de salvarnos, de sanarnos interiormente, es amarnos: no hay otro modo. Sabe que nosotros mejoramos sólo aceptando su amor incansable, que no cambia, sino que nos cambia. Sólo el amor de Jesús transforma la vida, sana las heridas más profundas y nos libera de los círculos viciosos de la insatisfacción, de la ira y de la lamentación.

Un hijo se nos ha dado. En el pobre pesebre de un oscuro establo está, en efecto, el Hijo de Dios. Surge otra pregunta: ¿Por qué nació en la noche, sin alojamiento digno, en la pobreza y el rechazo, cuando merecía nacer como el rey más grande en el más hermoso de los palacios? ¿Por qué? Para hacernos entender hasta qué punto ama nuestra condición humana: hasta el punto de tocar con su amor concreto nuestra peor miseria. El Hijo de Dios nació descartado para decirnos que toda persona descartada es un hijo de Dios. Vino al mundo como un niño viene al mundo, débil y frágil, para que podamos acoger nuestras fragilidades con ternura. Y para descubrir algo importante: como en Belén, también con nosotros Dios quiere hacer grandes cosas a través de nuestra pobreza. Puso toda nuestra salvación en el pesebre de un establo y no tiene miedo a nuestra pobreza. ¡Dejemos que su misericordia transforme nuestras miserias!

Esto es lo que significa que un hijo ha nacido para nosotros. Pero queda todavía otro para, el que el ángel indica a los pastores: «Esta será la señal para vosotros: encontréis un niño envuelto en pañales y acostado en un pesebre» (Lc 2,12). Este signo, el Niño en el pesebre, es también para nosotros, para guiarnos en la vida. En Belén, que significa “Casa del Pan”, Dios está en un pesebre, recordándonos que lo necesitamos para vivir, como el pan para comer. Necesitamos dejarnos atravesar por su amor gratuito, incansable, concreto. Cuántas veces en cambio, hambrientos de entretenimiento, éxito y mundanidad, alimentamos nuestras vidas con comidas que no sacian y dejan un vacío dentro. El Señor, por boca del profeta Isaías, se lamenta de que mientras el buey y el asno conocen su pesebre, nosotros, su pueblo, no lo conocemos a Él, fuente de nuestra vida (cf. Is 1,2-3). Es verdad: insaciables de poseer, nos lanzamos a tantos pesebres de vanidad, olvidando el pesebre de Belén. Ese pesebre, pobre en todo y rico de amor, nos enseña que el alimento de la vida es dejarse amar por Dios y amar a los demás. Jesús nos da el ejemplo: Él, el Verbo de Dios, es un infante; no habla, pero da la vida. Nosotros, en cambio, hablamos mucho, pero a menudo somos analfabetos de bondad.

Un hijo se nos ha dado. Quien tiene un niño pequeño sabe cuánto amor y paciencia se necesitan. Es necesario alimentarlo, atenderlo, limpiarlo, cuidar su fragilidad y sus necesidades, que con frecuencia son difíciles de comprender. Un niño nos hace sentir amados, pero también nos enseña a amar. Dios nació niño para alentarnos a cuidar de los demás. Su llanto tierno nos hace comprender lo inútiles que son nuestros muchos caprichos, y de esos tenemos tantos. Su amor indefenso, que nos desarma, nos recuerda que el tiempo que tenemos no es para autocompadecernos, sino para consolar las lágrimas de los que sufren. Dios viene a habitar entre nosotros, pobre y necesitado, para decirnos que sirviendo a los pobres lo amaremos. Desde esta noche, como escribió una poetisa, «la residencia de Dios está junto a mí. La decoración es el amor» (E. Dickinson, Poems, XVII).

Un hijo se nos ha dado. Eres tú, Jesús, el Hijo que me hace hijo. Me amas como soy, no como yo me creo que soy; yo lo sé. Al abrazarte, Niño del pesebre, abrazo de nuevo mi vida. Acogiéndote, Pan de vida, también yo quiero entregar mi vida. Tú que me salvas, enséñame a servir. Tú que no me dejas solo, ayúdame a consolar a tus hermanos, porque —Tú sabes— desde esta noche todos son mis hermanos.

[01609-ES.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

Nesta noite, cumpre-se a grande profecia de Isaías: «Um menino nasceu para nós, um filho nos foi dado» (Is 9, 5).

Um filho nos foi dado. Com frequência se ouve dizer que a maior alegria da vida é o nascimento duma criança. É algo de extraordinário, que muda tudo, desencadeia energias inesperadas e faz ultrapassar fadigas, incómodos e noites sem dormir, porque traz uma grande felicidade na posse da qual nada parece pesar. Assim é o Natal: o nascimento de Jesus é a novidade que nos permite renascer dentro, cada ano, encontrando n’Ele força para enfrentar todas as provações. Sim, porque Jesus nasce para nós: para mim, para ti, para todos e cada um de nós. A preposição «para» reaparece várias vezes nesta noite santa: «um menino nasceu para nós», profetizou Isaías; «hoje nasceu para nós o Salvador», repetimos no Salmo Responsorial; Jesus «entregou-Se por nós» (Tit 2, 14), proclamou São Paulo; e, no Evangelho, o anjo anunciou «hoje nasceu para vós um Salvador» (Lc 2, 11). Para mim, para vós…

Mas, esta locução «para nós» que nos quer dizer? Que o Filho de Deus, o Bendito por natureza, vem fazer-nos filhos benditos por graça. Sim, Deus vem ao mundo como filho para nos tornar filhos de Deus. Que dom maravilhoso! Hoje Deus deixa-nos maravilhados, ao dizer a cada um de nós: «Tu és uma maravilha». Irmã, irmão, não desanimes! Estás tentado a sentir-te como um erro? Deus diz-te: «Não é verdade! És meu filho». Tens a sensação de não estar à altura, temor de ser inapto, medo de não sair do túnel da provação? Deus diz-te: «Coragem! Estou contigo». Não to diz com palavras, mas fazendo-Se filho como tu e por ti, para te lembrar o ponto de partida de cada renascimento teu: reconhecer-te filho de Deus, filha de Deus. Este é o ponto de partida de qualquer renascimento. Este é o coração indestrutível da nossa esperança, o núcleo incandescente que sustenta a existência: por baixo das nossas qualidades e defeitos, mais forte do que as feridas e fracassos do passado, os temores e ansiedades face ao futuro, está esta verdade: somos filhos amados. E o amor de Deus por nós não depende nem dependerá jamais de nós: é amor gratuito. Esta noite não encontra outra explicação, senão na graça. Tudo é graça. O dom é gratuito, sem mérito algum da nossa parte, pura graça. Esta noite «manifestou-se – disse-nos São Paulo – a graça de Deus» (Tit 2, 11). Nada é mais precioso!

Um filho nos foi dado. O Pai não nos deu uma coisa qualquer, mas o próprio Filho unigénito, que é toda a sua alegria. Todavia, ao considerarmos a ingratidão do homem para com Deus e a injustiça feita a tantos dos nossos irmãos, surge uma dúvida: o Senhor terá feito bem em dar-nos tanto? E fará bem em confiar ainda em nós? Não estará Ele a sobrestimar-nos? Sim, sobrestima-nos; e fá-lo porque nos ama a preço da sua vida. Não consegue deixar de nos amar. É feito assim, tão diferente de nós. Sempre nos ama, e com uma amizade maior de quanta possamos ter a nós mesmos. É o seu segredo para entrar no nosso coração. Deus sabe que a única maneira de nos salvar, de nos curar por dentro, é amar-nos. Não há outra maneira! Sabe que só melhoramos acolhendo o seu amor incansável, que não muda, mas muda-nos a nós. Só o amor de Jesus transforma a vida, cura as feridas mais profundas, livra do círculo vicioso insatisfação, irritação e lamento.

Um filho nos foi dado. Na pobre manjedoura dum lúgubre estábulo, está precisamente o Filho de Deus. E aqui levanta-se outra questão: porque veio Ele à luz durante a noite, sem um alojamento digno, na pobreza e enjeitado, quando merecia nascer como o maior rei no mais lindo dos palácios? Porquê? Para nos fazer compreender até onde chega o seu amor pela nossa condição humana: até tocar com o seu amor concreto a nossa pior miséria. O Filho de Deus nasceu descartado para nos dizer que todo o descartado é filho de Deus. Veio ao mundo como vem ao mundo uma criança débil e frágil, para podermos acolher com ternura as nossas fraquezas. E para nos fazer descobrir uma coisa importante: como em Belém, também connosco Deus gosta de fazer grandes coisas através das nossas pobrezas. Colocou toda a nossa salvação na manjedoura dum estábulo, sem temer as nossas pobrezas. Deixemos que a sua misericórdia transforme as nossas misérias!

Eis o que quer dizer um filho nasceu para nós. Mas há ainda um «para» que o anjo disse aos pastores: «Isto servirá de sinal para vós: encontrareis um menino (…) deitado numa manjedoura» (Lc 2, 12). Este sinal – o Menino na manjedoura – é também para nós, para nos orientar na vida. Em Belém, que significa «casa do pão», Deus está numa manjedoura, como se nos quisesse lembrar que, para viver, precisamos d’Ele como de pão para a boca. Precisamos de nos deixar permear pelo seu amor gratuito, incansável, concreto. Mas quantas vezes, famintos de divertimento, sucesso e mundanidade, nutrimos a vida com alimentos que não saciam e deixam o vazio dentro! Disto mesmo Se lamentava o Senhor, pela boca do profeta Isaías: enquanto o boi e o jumento conhecem a sua manjedoura, nós, seu povo, não O conhecemos a Ele, fonte da nossa vida (cf. Is 1, 2-3). É verdade: insaciáveis de ter, atiramo-nos para muitas manjedouras vãs, esquecendo-nos da manjedoura de Belém. Esta manjedoura, pobre de tudo mas rica de amor, ensina que o alimento da vida é deixar-se amar por Deus e amar os outros. Dá-nos o exemplo Jesus: Ele, o Verbo de Deus, é infante; não fala, mas oferece a vida. Nós, ao contrário, falamos muito, mas frequentemente somos analfabetos em bondade.

Um filho nos foi dado. Quem tem uma criança pequena, sabe quanto amor e paciência são necessários. É preciso alimentá-la, cuidar dela, limpá-la, ocupar-se da sua fragilidade e das suas necessidades, muitas vezes difíceis de compreender. Um filho faz-nos sentir amados, mas ensina também a amar. Deus nasceu menino para nos impelir a cuidar dos outros. Os seus ternos gemidos fazem-nos compreender como tantos dos nossos caprichos são inúteis. E temos tantos! O seu amor desarmado e desarmante lembra-nos que o tempo de que dispomos não serve para nos lamentarmos, mas para consolar as lágrimas de quem sofre. Deus vem habitar perto de nós, pobre e necessitado, para nos dizer que, servindo aos pobres, amá-Lo-emos a Ele. Desde aquela noite, como escreveu uma poetisa, «a residência de Deus é próxima da minha. O mobiliário é o amor» (E. Dickinson, Poems, XVII).

Um filho nos foi dado. Sois Vós, Jesus, o Filho que me torna filho. Amais-me como sou, não como eu me sonho ser. Bem o sei! Abraçando-Vos, Menino da manjedoura, reabraço a minha vida. Acolhendo-Vos, Pão de vida, também eu quero dar a minha vida. Vós que me salvais, ensinai-me a servir. Vós que não me deixais sozinho, ajudai-me a consolar os vossos irmãos, porque, a partir desta noite – como Vós sabeis – são todos meus irmãos.

[01609-PO.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua polacca

W tę noc wypełniła się wielkie proroctwo Izajasza: „Dziecię nam się narodziło, Syn został nam dany” (Iz 9, 5).

Syn został nam dany. Często słyszymy, że największą radością w życiu są narodziny dziecka. Jest to coś niezwykłego, co zmienia wszystko, wprawia w ruch niewyobrażalne siły i sprawia, że pokonuje się trudy, niewygody i bezsenne czuwania, ponieważ przynosi wielkie szczęście, w obliczu którego nic nie wydaje się ciężarem. O to właśnie chodzi w Bożym Narodzeniu: narodziny Jezusa są nowością, która pozwala nam rodzić się co roku na nowo, znaleźć w Nim siłę, by stawić czoło każdej próbie. Tak, bo jego narodziny są dla nas: dla mnie, dla ciebie, dla nas wszystkich i dla każdego z nas. W tę świętą noc powraca bowiem słowo „dla”: „Dziecię nam się narodziło” – prorokował Izajasz; „Dziś dla nas narodził się Zbawiciel”, powtórzyliśmy w Psalmie; Jezus „wydał samego siebie za nas” (Tt 2, 14), głosił św. Paweł, a anioł w Ewangelii oznajmił: „Dziś narodził się wam Zbawiciel” (Łk 2, 11). Dla mnie, dla was.

Ale co to wydarzenie chce powiedzieć dla nas? Że Syn Boży, błogosławiony z natury, przychodzi, aby uczynić nas dziećmi błogosławionymi przez łaskę. Tak, Bóg przychodzi na świat jako syn, aby uczynić nas dziećmi Bożymi. Cóż za wspaniały dar! Dzisiaj Bóg nas zadziwia i mówi do każdego z nas: „Jesteś cudem”. Siostro, bracie, nie upadaj na duchu. Masz pokusę, by uważać się za złego człowieka? Bóg tobie mówi: „Nie, jesteś moim dzieckiem!”. Czy masz wrażenie, że nie dasz rady, lękasz się, że jesteś do niczego, ogarnia cię strach, że nie wydostaniesz się z tunelu trudnego doświadczenia? Bóg mówi tobie: „Odwagi, jestem z tobą”. Nie mówi ci tego słowami, ale stając się dzieckiem, takim jak ty i dla ciebie, aby przypomnieć ci o początku wszelkiego twojego odrodzenia: uznanie siebie za syna Bożego, Bożą córkę. To jest punkt wyjścia dla każdego odrodzenia. To jest niezniszczalne centrum naszej nadziei, gorejący rdzeń, który podtrzymuje istnienie: u podstaw naszych zalet i wad, silniejsze niż rany i niepowodzenia przeszłości, lęki i obawy o przyszłość, tkwi następująca prawda: jesteśmy umiłowanymi dziećmi. A miłość Boga względem nas nie zależy i nigdy nie będzie zależała od nas samych: jest to miłość darmo dana. Ta noc nie znajduje wyjaśnienia gdzie indziej: tylko łaska. Wszystko jest łaską. Dar jest darmo dany, bez zasługi kogokolwiek z nas, czysta łaska. Paweł powiedział nam tej nocy, że „ukazała się łaska Boga” (Tt 2, 11). Nie ma nic cenniejszego.

Syn został nam dany. Ojciec nie dał nam czegoś, lecz swojego jedynego Syna, który jest całą Jego radością. A jednak, jeśli spojrzymy na niewdzięczność człowieka wobec Boga i niesprawiedliwość wobec tak wielu naszych braci i sióstr, pojawia się wątpliwość: czy Pan dobrze uczynił dając nam tak wiele, czy dobrze czyni, żywiąc nadal do nas ufność? Czy on nas nie przecenia? Tak, przecenia nas, a czyni tak, bo kocha nas nad życie. Nie potrafi nas nie kochać. Taki właśnie jest, tak bardzo od nas się różni. Zawsze nas kocha, bardziej niż my potrafimy kochać samych siebie. To Jego tajemnica, by wejść do naszego serca. Bóg wie, że jedynym sposobem, aby nas zbawić, aby nas uzdrowić wewnętrznie, jest miłować nas: nie ma innego sposobu. Wie, że stajemy się lepsi tylko wtedy, gdy przyjmujemy Jego niestrudzoną miłość, która się nie zmienia, ale nas zmienia. Jedynie miłość Jezusa przemienia życie, uzdrawia najgłębsze rany, uwalnia od błędnego koła niezadowolenia, złości i narzekania.

Syn został nam dany. W ubogim żłobie mrocznej stajni jest sam Syn Boży. Rodzi się kolejne pytanie: dlaczego urodził się w nocy, bez godnego mieszkania, w ubóstwie i odrzuceniu, skoro zasługiwał na to, by przyjść na świat jako najwspanialszy król w najpiękniejszym z pałaców? Dlaczego? Aby dać nam do zrozumienia, jak bardzo umiłował naszą ludzką kondycję: aż po dotknięcie swoją konkretną miłością naszej najgorszej nędzy. Syn Boży urodził się odrzucony, aby nam powiedzieć, że każdy człowiek odrzucony jest dzieckiem Bożym. Przyszedł na świat, jak dziecko przychodzi na świat, słaby i kruchy, byśmy mogli z czułością przyjąć nasze ułomności. I odkryć coś ważnego: tak jak w Betlejem, tak również w naszym życiu, Bóg lubi czynić wielkie rzeczy poprzez nasze ubóstwo. Umieścił całe nasze zbawienie w żłobie, w stajni, i nie boi się naszego ubóstwa: pozwólmy, aby Jego miłosierdzie przemieniło nasze nędze!

Oto, co znaczy, że dziecię dla nas się narodziło. Ale jest jeszcze jedno dla, które anioł mówi do pasterzy: „to będzie znakiem dla was: znajdziecie Niemowlę, owinięte w pieluszki i leżące w żłobie” (Łk 2, 12). Ten znak, Dzieciątko leżące w żłobie, jest także dla nas, aby ukierunkować nasze życie. W Betlejem, co oznacza „Dom Chleba”, Bóg przebywa w żłobie, jakby chciał nam przypomnieć, że aby żyć, potrzebujemy Go jako chleba, którym trzeba się karmić. Potrzebujemy dać się przeniknąć Jego miłością darmo daną, niestrudzoną, konkretną. Ile razy natomiast, głodni rozrywki, sukcesu i światowości, karmimy nasze życie pokarmami, które nie zaspokajają głodu i pozostawiają pustkę w naszym wnętrzu! Pan, przez usta proroka Izajasza, skarżył się, że podczas gdy wół i osioł rozpoznają swój żłób, my, jego lud, nie znamy Jego, źródła naszego życia (por. Iz 1, 2-3). To prawda: nienasyceni posiadaniem, rzucamy się do tak wielu żłobów próżności, zapominając o żłóbku w Betlejem. Ten żłóbek, ubogi we wszystko a bogaty w miłość, uczy, że pokarmem życia jest dać się miłować Bogu i kochać innych. Jezus daje nam przykład: On, Słowo Boże, jest niemowlęciem; nie mówi, ale daje życie. My natomiast dużo mówimy, ale często jesteśmy analfabetami dobroci.

Syn został nam dany. Każdy, kto ma małe dziecko, wie jak bardzo wiele trzeba miłości i cierpliwości. Trzeba je karmić, pielęgnować, myć, zatroszczyć się o jego kruchość i potrzeby, które często trudno zrozumieć. Dziecko sprawia, że czujemy się kochani, ale uczy też kochać. Bóg urodził się jako dziecko, aby nas pobudzić do zatroszczenia się o innych. Jego czuły płacz pozwala nam zrozumieć, jak wiele z naszych kaprysów jest bezużytecznych – a mamy ich wiele!. Jego bezbronna i rozbrajająca miłość przypomina nam, że czas, który mamy, nie jest na użalanie się nad sobą, ale by pocieszać łzy tych, którzy cierpią. Bóg zamieszkuje blisko nas, ubogi i potrzebujący, aby powiedzieć nam, że, służąc ubogim, będziemy Go miłować. Od dzisiejszego wieczoru, jak napisała poetka, „Przybytek Boga jest tuż koło nas, z całym ekwipunkiem miłości” (E. DICKINSON, Poezje, tłum. Kazimiera Iłłakowiczówna, Warszawa 1965. s. 42).

Syn został nam dany. To Ty, Jezu, jesteś Synem, który czyni mnie synem. Kochasz mnie takim, jakim jestem, a nie takim, jakim siebie wymarzyłem; ja to wiem! Biorąc Ciebie w ramiona, Dzieciątko ze żłóbka, biorę na nowo w ramiona swoje życie. Witając Ciebie, Chlebie Życia, ja też chcę oddać swoje życie w darze. Ty, który mnie zbawiasz, naucz mnie służyć. Ty, który nie zostawiasz mnie samego, pomóż mi pocieszyć Twoich braci, bo Ty wiesz, że od tej nocy wszyscy oni są moimi braćmi.

[01609-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

في هذه الليلة تحققت نبوءة إشعياء الكبيرة وهي: "قد وُلدَ لَنا وَلَدٌ وأُعطِيَ لَنا آبنٌ" (أش 9، 5).

أُعطِيَ لَنا آبنٌ. كثيرًا ما يقال إنّ أكبر فرحة في الحياة هي ولادة طفل. إنّها شيء غير عادي، إنّها تغيّر كلّ شيء، وتطلق طاقات غير متوقعة، وتساعد على أن نتغلب على التعب وعدم الراحة والسهر الطويل، لأنّها تجلب سعادة كبيرة، وأمامها يبدو كلّ شيء أقلّ أهميّة. هكذا عيد الميلاد المجيد: ولادة يسوع هو الجديد الذي يسمح لنا بأن نولَدَ في داخلنا من جديد في كلّ سنة، وأن نجد فيه القوة لمواجهة كلّ محنة. نعم، لأنّ ميلاده هو من أجلنا: من أجلي ومن أجلك ومن أجلنا جميعًا ومن أجل كلّ واحد. هذه الكلمة "لنا، لكم"، تتردد في هذه الليلة المقدسة. تنبأ إشعياء قال: "قد وُلدَ لَنا وَلَدٌ". ورددنا في المزمور "اليوم ولد لنا المخلص". وقال القديس بولس إنّ يسوع "جادَ بِنَفْسِه مِن أَجْلِنا" (طي 2، 14)، وبشَّر الملاك في الإنجيل: "وُلِدَ لَكُمُ اليَومَ مُخَلِّصٌ" (لو 2، 11). من أجلي ومن أجلكم.

لكن هذه الكلمة "لنا" ماذا تقول لنا؟ تقول لنا إنّ ابن الله، المبارك من حيث الطبيعة، أتى ليجعلنا أبناءً مباركين بالنعمة. نعم، أتى الله إلى العالم ابنًا ليجعلنا أبناء الله. يا لها من هبة مدهشة! اليوم يثير الله دهشتنا ويقول لكلّ واحد منا: "أنت أعجوبة مدهشة". يا أختي وأخي، لا تفقد قوتك. هل تراودك التجربة فترى أنك مخطئ؟ الله يقول لك: "كلا، أنت ابني!" هل ينتابك شعور بأنك لا تقدر أن تعيش بعد، أو يعتريك الخوف أنك غير أهل، أو أنك لا تقدر أن تخرج من نفق المحنة؟ الله يقول لك: "تشجع، أنا معك". إنّه لا يقول لك بالكلام، بل جعل نفسه ابنًا مثلك ومن أجلك، ليذكرك بنقطة البداية لكلّ ولادة جديدة لك: اعرف نفسك أنّكَ ابن الله، ابنة الله. هذه هي نقطة البداية لأي ولادة جديدة. هذا هو قلب رجائنا الذي لا يمكن تدميره، القلب المشتعل الذي يسند الوجود: تحت صفاتنا وعيوبنا، وأقوى من جراحنا وإخفاقاتنا الماضية، والمخاوف والقلق أمام المستقبل، توجد هذه الحقيقة: نحن أبناء محبوبون، الله يحبنا. ومحبة الله لنا لا ولن تتوقف علينا أبدًا: إنّها محبة مجانية. هذه الليلة لا تجد أي تفسير في مكان آخر: فقط النعمة. كلّ شيء نعمة. النعمة مجانية لا يستحقها كلّ منا، نعمة خالصة. في هذه الليلة، قال لنا القديس بولس "قَد ظَهَرَت نِعمَةُ الله" (طي 2، 11). لا شيءَ أثمنُ منها.

أُعطِيَ لَنا آبنٌ. لم يعطنا الآب شيئًا ما، بل أعطانا ابنه الوحيد، الذي هو كلّ فرحه. ومع ذلك، إذا نظرنا إلى نكران الإنسان للجميل تجاه الله، وإلى ظلمنا الكثير لإخوتنا، قد يرتابنا الشك فنتساءل: هل أحسن الرّبّ أن أعطانا كل هذا، وهل من الصواب أن يظل واثقًا بنا؟ ألا يبالغ في تقديرنا؟ نعم، إنّه يبالغ في تقديرنا، وهو يفعل ذلك لأنّه يحبنا حتى الموت. لا يقدر ألّا يحبنا. إنّه هكذا، وهو مختلف كثيرًا عنا. إنّه يريد الخير لنا دائمًا، أكثر مما نريده لأنفسنا. هذا هو سرّه حتى يدخل قلوبنا. الله يعرف أنّ الطريقة الوحيدة ليخلصنا، وليشفينا من الداخل، هو أن يحبنا: لا توجد طريقة أخرى. إنّه يعرف أنّنا نصير أفضل فقط عندما نستقبل محبته التي لا تكل ولا تتغيّر، بل تغيّرنا. فقط محبة يسوع المسيح هي التي تغيّر الحياة، وتشفي الجراح العميقة، وتحرّرنا من الحلقات المفرغة المكوَّنة من عدم الرضى والغضب والشكوى.

أُعطِيَ لَنا آبنٌ. ابن الله نفسه موجود في المذود الفقير في إسطبل مظلم. ويطرح هنا سؤال آخر: لماذا أتى في الليل، وبدون مأوى لائق، وفي حالة من الفقر والرفض، بينما كان يستحق أن يولد مثل أعظم ملك في أجمل القصور؟ لماذا؟ حتى يجعلنا نفهم إلى أي حدٍّ أحبّ حالتنا البشريّة: إلى حد أنّه لمس بحبه عمليًّا أسوأ حالات بؤسنا. وُلِدَ ابن الله منبوذًا ليقول لنا إنّ كلّ منبوذ هو ابن الله. وجاء إلى العالم كما يجيء كل طفل إلى العالم، ضعيفًا وهشًا، حتى نقدر نحن أن نقبل حالات ضعفنا بحنان. ونكتشف أمرًا مهمًّا: كما صنع في بيت لحم، إن الله يحب أن يصنع معنا أيضًا أشياءً عظيمة من خلال حالات فقرنا. لقد وضع كلّ خلاصنا في مذود في إسطبل ولا يخاف فقرنا: فلْنَسمَحْ لرحمته أن تغيّر شقاءنا!

هذا ما يعنيه أنّه ولد لنا ابنٌ. ولكن هناك شيء آخر أيضًا قاله الملاك للرعاة: "وهذِهِ عَلامةٌ لكم: سَتَجِدونَ طِفلاً مُقَمَّطاً مُضجَعاً في مِذوَد" (لو 2، 12). هذه العلامة، الطفل في المذود، هي أيضًا لنا لإرشادنا في الحياة. في بيت لحم، التي تعني "بيت الخبز"، الله وُجِدَ في مذود، وكأنّه يذكرنا أنّنا نحتاج إليه لنعيش، فهو خبزنا الذي نأكله. نحن بحاجة لأن نسمح لأنفسنا بأن تخترقنا محبته المجانيّة والتي لا تكّل والمحسوسة. مقابل ذلك، كم من مرة كنّا جائعين للمتعة والنجاح وحياة دنيوية، وتَغَذَّيْنا بطعام لا يُشبع ويترك فراغًا في داخلنا! رفع الرب شكواه، على فم النبي إشعياء قال إنّ الثور والحمار عرفا مذودهما، أما نحن شعبَه، فلا نعرفه، أنّه ينبوع حياتنا (را. أش 1، 2-3). هذا صحيح: في شهوتنا التي لا تشبع للتملك، نلقي بأنفسنا في مَذاوِد الغرور، وننسى مذود بيت لحم. هذا المذود، الفقير من كلّ شيء والغني بالمحبة، يعلِّمُنا أنّ غذاء الحياة هو أن ندع الله يحبنا، وأن نُحِبَ الآخرين. ويسوع مثالنا: هو، كلمة الله، طفل، لا يتكلم، لكنه بذل حياته. ونحن عكس ذلك نتكلم كثيرًا، ولكننا غالبًا أميون في الصلاح.

أُعطِيَ لَنا آبنٌ. يعرف كلّ من لديه طفل صغير مقدار المحبة والصبر الذي يحتاجه لذلك. يجب إطعامه والاهتمام به وتنظيفه والعناية بضعفه واحتياجاته التي يصعب فهمها غالبًا. الطفل يُشعِرُك أنك محبوب، لكنّه يعلِّمُك أيضًا أن تُحِب. وُلِدَ الله طفلاً ليحثنا على رعاية الآخرين. بكاؤه المثير للحنان يجعلنا نفهم أنّ الكثير من أهوائنا لا فائدة لها، ولدينا الكثير! يذكِّرُنا حبه الأعزل والمجرِّد ويُفهِمُنا أنّ الوقت الذي لدينا ليس للبكاء على أنفسنا، بل لكي نمسح دموع من يتألم. سكن الله بالقرب منا، فقيرًا ومحتاجًا، ليقول لنا إننا نحبه إن خدمنا الفقراء. منذ هذه الليلة، كما كتبت إحدى الشاعرات، "مسكن الله هو إلى جانب مسكني. والأثاث هو المحبة" (E. Dickinson, Poems, XVII).

أُعطِيَ لَنا آبنٌ. أنت يا يسوعُ الابن تجعلني ابنًا. أنت تحبني كما أنا، وليس كما أحلم أن أكون، فأنا أعرف ذلك. أعانقك يا طفلَ المذود، وأعانق حياتي مرة أخرى. وأستقبلك، يا خبز الحياة، وأريد أنا أيضًا أن أقدم حياتي. أنت الذي خلصتني، علّمني أن أخدم. أنت الذي لا تتركني وحدي، ساعدني أن أعزّي إخوتك، لأنّك تعلم أنّهم جميعًا إخوتي منذ هذه الليلة.

[01609-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0689-XX.02]