Messaggio del Santo Padre
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Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, che ricorre oggi, martedì 3 dicembre, e che quest’anno ha per tema: Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid-19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile:
Messaggio del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
La celebrazione della Giornata internazionale delle persone con disabilità è occasione, quest’anno, per esprimere la mia vicinanza a quanti state vivendo situazioni di particolare difficoltà in questa crisi pandemica. Siamo tutti sulla stessa barca in mezzo a un mare agitato che può farci paura; ma in questa barca alcuni fanno più fatica, e tra questi le persone con disabilità gravi.
Il tema di quest’anno è «Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid-19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile». Mi colpisce l’espressione “ricostruire meglio”. Fa pensare alla parabola evangelica della casa costruita sulla roccia o sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27; Lc 6,47-49). Perciò colgo questa preziosa occasione per condividere alcune riflessioni, proprio a partire da quella parabola.
1. La minaccia della cultura dello scarto
In primo luogo, la «pioggia, i «fiumi» e i «venti» che minacciano la casa possono essere identificati con la cultura dello scarto, diffusa nel nostro tempo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium [EG], 53). Per essa, «certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti. In fondo, le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili» (Enc. Fratelli tutti [FT], 18).
Da tale cultura sono colpite soprattutto le categorie più fragili, tra le quali vi sono le persone con disabilità. Negli ultimi cinquant’anni sono stati compiuti passi importanti, a livello sia delle istituzioni civili sia delle realtà ecclesiali. È cresciuta la consapevolezza della dignità di ogni persona, e questo ha portato a fare scelte coraggiose per l’inclusione di quanti vivono una limitazione fisica o/e psichica. Eppure, a livello culturale, permangono ancora troppe espressioni che di fatto contraddicono questo orientamento. Si riscontrano atteggiamenti di rifiuto che, anche a causa di una mentalità narcisistica e utilitaristica, sfociano nell’emarginazione, non considerando che, inevitabilmente, la fragilità appartiene a tutti. In realtà, ci sono persone con disabilità anche gravi che, pur con fatica, hanno trovato la strada di una vita buona e ricca di significato, come ce ne sono tante altre “normodotate”, che tuttavia sono insoddisfatte, o a volte disperate. «La vulnerabilità appartiene all’essenza dell’uomo» (cfr Discorso al Convegno “Catechesi e persone con disabilità”, 21 ottobre 2017).
Pertanto è importante, specialmente in questa Giornata, promuovere una cultura della vita, che continuamente affermi la dignità di ogni persona, in particolare in difesa degli uomini e delle donne con disabilità, di ogni età e condizione sociale.
2. La «roccia» dell’inclusione
La pandemia che stiamo vivendo ha evidenziato ulteriormente le disparità e le disuguaglianze che caratterizzano il nostro tempo, in particolare a discapito dei più deboli. «Il virus, mentre non fa eccezioni tra le persone, ha trovato, nel suo cammino devastante, grandi disuguaglianze e discriminazioni. E le ha aumentate!» (Catechesi nell’Udienza generale del 19 agosto 2020).
Per questo, una prima «roccia» su cui edificare la nostra casa è l’inclusione. Anche se questo termine è a volte abusato, resta sempre attuale la parabola evangelica del Buon Samaritano (Luca 10,25-37). Infatti, sulla strada della vita, ci imbattiamo spesso nella persona ferita, che a volte porta proprio i tratti della disabilità e della fragilità. «L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza» (FT, 69).
L’inclusione dovrebbe essere la «roccia» sulla quale costruire i programmi e le iniziative delle istituzioni civili perché nessuno, specialmente chi è più in difficoltà, rimanga escluso. La forza di una catena dipende dalla cura che viene data agli anelli più deboli.
Per quanto riguarda le istituzioni ecclesiali, ribadisco l’esigenza di predisporre strumenti idonei e accessibili per la trasmissione della fede. Auspico, inoltre, che questi vengano messi a disposizione di quanti ne hanno bisogno in modo il più possibile gratuito, anche mediante le nuove tecnologie, rivelatesi così importanti per tutti in questo periodo di pandemia. Allo stesso modo incoraggio, per sacerdoti, seminaristi, religiosi, catechisti e operatori pastorali, una formazione ordinaria alla relazione con la disabilità e all’uso di strumenti pastorali inclusivi. Le comunità parrocchiali si impegnino a far crescere nei fedeli lo stile di accoglienza delle persone con disabilità. Creare una parrocchia pienamente accessibile richiede non solo l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma soprattutto atteggiamenti e azioni di solidarietà e servizio, da parte dei parrocchiani, nei confronti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. La meta è che arriviamo a parlare non più di “loro”, ma solo di “noi”.
3. La «roccia» della partecipazione attiva
Per “ricostruire meglio” la nostra società, bisogna che l’inclusione dei soggetti più fragili comprenda anche la promozione della loro partecipazione attiva.
Anzitutto, ribadisco con forza il diritto delle persone con disabilità di ricevere i Sacramenti come tutti gli altri membri della Chiesa. Tutte le celebrazioni liturgiche della parrocchia dovrebbero essere accessibili affinché ciascuno, insieme ai fratelli e alle sorelle, possa approfondire, celebrare e vivere la propria fede. Una speciale attenzione è da riservare alle persone con disabilità che non hanno ancora ricevuto i Sacramenti dell’iniziazione cristiana: esse potrebbero essere accolte e inserite nel percorso di catechesi in preparazione a questi Sacramenti. La grazia di cui essi sono portatori non può essere preclusa ad alcuno.
«In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione» (EG, 120). Perciò anche le persone con disabilità, nella società come nella Chiesa, chiedono di diventare soggetti attivi della pastorale, e non solo destinatari. «Tante persone con disabilità sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare. Ci sono ancora molte cose che impediscono loro una cittadinanza piena. L’obiettivo è non solo assisterli, ma la loro partecipazione attiva alla comunità civile ed ecclesiale. È un cammino esigente e anche faticoso, che contribuirà sempre più a formare coscienze capaci di riconoscere ognuno come persona unica e irripetibile» (FT, 98). Infatti, la partecipazione attiva alla catechesi delle persone con disabilità costituisce una grande ricchezza per la vita di tutta la parrocchia. Esse infatti, innestate in Cristo nel Battesimo, condividono con Lui, nella loro particolare condizione, il ministero sacerdotale, profetico e regale, evangelizzando attraverso, con e nella Chiesa.
Pertanto, anche la presenza di persone con disabilità tra i catechisti, secondo le loro proprie capacità, rappresenta una risorsa per la comunità. In tal senso, è da favorire la loro formazione, perché possano acquisire una preparazione più avanzata anche in campo teologico e catechetico. Mi auguro che sempre di più, nelle comunità parrocchiali, le persone con disabilità possano diventare catechisti, per trasmettere la fede in maniera efficace, anche con la propria testimonianza (cfr Discorso al Convegno “Catechesi e persone con disabilità”, 21 ottobre 2017).
«Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla» (Omelia nella Solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020). Per questo incoraggio quanti, ogni giorno e spesso nel silenzio, si spendono in favore delle situazioni di fragilità e disabilità. Possa la comune volontà di «ricostruire meglio» innescare sinergie tra le organizzazioni sia civili che ecclesiali, per edificare, contro ogni intemperia, una “casa” solida, capace di accogliere anche le persone con disabilità, perché costruita sulla roccia dell’inclusione e della partecipazione attiva.
Roma, San Giovanni in Laterano, 3 dicembre 2020
FRANCESCO
[01478-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs!
La célébration de la Journée internationale des personnes handicapées est l’occasion, cette année, d’exprimer ma proximité avec ceux qui rencontrent des difficultés particulièrement dans cette crise pandémique. Nous sommes tous dans le même bateau au milieu d’une mer agitée qui peut nous effrayer; mais dans ce bateau certaines personnes luttent davantage, parmi lesquelles les personnes gravement handicapées.
Le thème de cette année est « Mieux reconstruire: vers un monde post Covid-19, incluant les handicaps, accessible et durable ». Je suis frappé par l’expression « mieux reconstruire». Il me fait penser à la parabole évangélique de la maison bâtie sur le roc ou sur le sable (cf. Mt 7, 24-27; Lc 6, 46-49). Je profite donc de cette précieuse occasion pour partager quelques réflexions, à partir de cette parabole.
1. La menace de la culture du déchet
Tout d’abord, les « pluies», les «rivières » et les « vents » qui menacent la maison peuvent être identifiés à la culture du déchet, qui est répandue à notre époque (cf. Evangelii gaudium [EG], n. 53). Pour elle, «certaines parties de l’humanité semblent mériter d’être sacrifiées par une sélection qui favorise une catégorie d’hommes jugés dignes de vivre sans restrictions. Au fond, « les personnes ne sont plus perçues comme une valeur fondamentale à respecter et à protéger, surtout celles qui sont pauvres ou avec un handicap » (Fratelli tutti [FT], n. 18).
De cette culture sont particulièrement touchées les catégories les plus vulnérables, parmi lesquelles figurent les personnes handicapées. Au cours des cinquante dernières années, des mesures importantes ont été prises, tant au niveau des institutions civiles que des réalités ecclésiales. La conscience de la dignité de chaque personne s’est accrue, ce qui a conduit à faire des choix courageux pour l’inclusion de ceux qui vivent une limitation physique et/ou psychique. Pourtant, au niveau culturel, il y a encore trop d’expressions qui contredisent de fait cette orientation. Il y a des attitudes de rejet qui aussi à cause d’une mentalité narcissique et utilitaire, conduisent à la marginalisation, ne considérant pas que, inévitablement, la fragilité appartient à tous. En réalité, il y a des personnes souffrant de handicaps même graves qui, même avec peine, ont trouvé le chemin d'une vie belle et riche de signification, comme il y en a beaucoup d'autres qui sont "considérées normales", mais qui sont insatisfaites, ou parfois désespérées. « La vulnérabilité appartient à l’essence de l’homme » (cf. Discours au Congrès « Catéchèse et personnes handicapées », 21 octobre 2017).
Il est donc important, surtout en cette Journée, de promouvoir une culture de la vie, qui affirme continuellement la dignité de chaque personne, en particulier pour la défense des hommes et des femmes handicapés, de tous âges et de toutes conditions sociales.
2. Le « roc » de l’inclusion
La pandémie que nous vivons a encore mis en évidence les inégalités et les injustices qui caractérisent notre époque, notamment au détriment des plus faibles. « Et si le virus ne fait pas d’exception entre les personnes, il a trouvé sur son chemin dévastateur, de grandes inégalités et discriminations. Et il les a accrues! » (cf. Audience générale du 19 août 2020).
Pour cette raison, le premier « roc » sur lequel construire notre maison est l’inclusion. Même si ce terme est parfois galvaudé, la parabole évangélique du Bon Samaritain (cf. Lc 10,25-37) reste pertinente. En fait, sur le chemin de la vie, nous rencontrons souvent la personne blessée, qui porte parfois les traits du handicap et de la fragilité. «L’inclusion ou l’exclusion de la personne en détresse au bord de la route définit tous les projets économiques, politiques, sociaux et religieux. Chaque jour, nous sommes confrontés au choix d’être de bons samaritains ou des voyageurs indifférents qui passent outre» (cf. FT, n. 69).
L’inclusion devrait être le « roc » sur lequel construire les programmes et les initiatives des institutions civiles afin que personne, surtout ceux qui sont le plus en difficulté, ne soit exclu. La force d’une chaîne dépend du soin apporté aux maillons les plus faibles.
En ce qui concerne les institutions ecclésiales, je réitère la nécessité de préparer des instruments appropriés et accessibles pour la transmission de la foi. J’espère également que ceux-ci seront mis à la disposition de ceux qui en ont besoin, le plus possible gratuitement, notamment grâce aux nouvelles technologies, qui se sont avérées si importantes pour tous en cette période de pandémie. De la même manière, j’encourage, les prêtres, les séminaristes, les religieux, les catéchistes et les travailleurs pastoraux, à une formation ordinaire favorisant la relation avec le handicap et l’utilisation d’outils pastoraux inclusifs. Que les communautés paroissiales s’engagent à accroître leur style d’accueil des personnes handicapées parmi les fidèles. La création d’une paroisse totalement accessible nécessite non seulement la suppression des barrières architectoniques, mais surtout des attitudes et des actions de solidarité et de service, de la part des paroissiens, envers les personnes handicapées et leurs familles. L’objectif est que nous puissions ne plus parler «d’eux», mais seulement de « nous ».
3. Le « roc » de la participation active
Afin de « mieux reconstruire» notre société, l’inclusion des sujets les plus fragiles doit également inclure la promotion de leur participation active.
Tout d’abord, je réaffirme avec force le droit des personnes handicapées à recevoir les sacrements comme tous les autres membres de l’Église. Toutes les célébrations liturgiques de la paroisse doivent être accessibles afin que chacun, avec ses frères et sœurs, puisse approfondir, célébrer et vivre sa foi. Une attention particulière doit être accordée aux personnes handicapées qui n’ont pas encore reçu les sacrements de l’initiation chrétienne : elles pourraient être accueillies et incluses dans le parcours catéchétique de préparation à ces sacrements. La grâce dont ils sont porteurs ne peut être exclue pour personne.
«En vertu du Baptême reçu, chaque membre du Peuple de Dieu est devenu disciple missionnaire (cf. Mt 28, 19). Chaque baptisé, quelle que soit sa fonction dans l’Église et le niveau d’instruction de sa foi, est un sujet actif de l’évangélisation» (EG, n. 120). C’est pourquoi les personnes handicapées, tant dans la société que dans l’Église, demandent également à devenir des sujets actifs de la pastorale, et non seulement des bénéficiaires. « De nombreuses personnes porteuses de handicaps ‘sentent qu’elles existent sans appartenance et sans participation’. Il y en a encore beaucoup d’autres qu’on empêche d’avoir la pleine citoyenneté’. L’objectif, ce n’est pas seulement de prendre soin d’elles, mais qu’elles participent ‘activement à la communauté civile et ecclésiale. C’est un chemin exigeant mais aussi difficile, qui contribuera de plus en plus à former les consciences à reconnaître chaque individu comme une personne unique et irremplaçable’ ». (FT, n. 98). En fait, la participation active à la catéchèse des personnes handicapées constitue une grande richesse pour la vie de toute la paroisse. Celles-ci en effet, unies au Christ dans le baptême, partagent avec lui, dans leur état particulier, le ministère sacerdotal, prophétique et royal, évangélisant à travers, avec et dans l’Église.
Par conséquent, la présence de personnes handicapées parmi les catéchistes, en fonction de leurs propres capacités, représente également une ressource pour la communauté. En ce sens, il convient d’encourager leur formation, afin qu’ils puissent acquérir une préparation plus avancée dans les domaines théologique et catéchétique. Je souhaite que de plus en plus, dans les communautés paroissiales, les personnes handicapées puissent devenir catéchistes, afin de transmettre la foi efficacement, à travers leur propre témoignage (cf. Discours au Congrès «Catéchèse et personnes handicapées», 21 octobre 2017).
«Le pire de cette crise, c’est seulement le drame de la gâcher » (Homélie de la messe en la solennité de la Pentecôte, 31 mai 2020). C’est pourquoi, j’encourage ceux qui chaque jour et souvent en silence, se dépensent en faveur des situations de fragilité et de handicap. Que la volonté commune de «Mieux reconstruire» déclenche des synergies entre les organisations civiles et ecclésiales, afin d’édifier, contre vents et marées, une « maison » solide, capable d’accueillir les personnes handicapées, parce qu’elle est construite sur le roc de l’inclusion et de la participation active.
Rome, Saint Jean de Latran, 3 décembre 2020
FRANÇOIS
[01478-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters,
This year’s celebration of the International Day of Persons with Disabilities is an occasion to express my closeness to those experiencing situations of particular difficulty during the crisis caused by the pandemic. All of us are in the same boat in the midst of a turbulent sea that can frighten us. Yet in this same boat, some of us are struggling more; among them are persons with serious disabilities.
The theme of this year’s celebration is “Building Back Better: Toward a Disability-inclusive, Accessible and Sustainable post-COVID-19 World.” I find the expression “building back better” quite striking. It makes me think of the Gospel parable of the house built on rock or sand (cf. Mt 7:24-27; Lk 6:46-49). So I take this special occasion to share some reflections based on that parable.
1. The threat of the throwaway culture
In the first place, the “rain”, the “rivers” and the “winds” that threaten the house can be identified with the throwaway culture widespread in our time (cf. Evangelii Gaudium, 53). For that culture, “some parts of our human family, it appears, can be readily sacrificed for the sake of others considered worthy of a carefree existence. Ultimately, persons are no longer seen as a paramount value to be cared for and respected, especially when they are poor and disabled” (Fratelli Tutti, 18).
That culture affects especially the most vulnerable, among whom are the persons with disabilities. In the last fifty years, important steps forward have been taken on both the civil and ecclesial levels. Awareness of the dignity of each person has grown, and this has resulted in courageous decisions to promote the inclusion of those experiencing physical and psychological limitations. Yet, on the cultural level, much still stands in the way of this trend. We see it in attitudes of rejection, due also to a narcissistic and utilitarian mentality, that give rise to marginalization that ignores the inevitable fact that frailty is part of everyone’s life. Indeed, some with even severe disabilities, despite great challenges, have found the way to a beautiful and meaningful life, whereas many “able-bodied” people feel dissatisfied or even desperate. “Vulnerability is intrinsic to the essential nature of humanity” (Address to the Conference “Catechesis and People with Disabilities”, 21 October 2017).
Consequently, it is important, on this Day, to promote a culture of life that constantly affirms the dignity of every person and works especially to defend men and women with disabilities, of all ages and social conditions.
2. The “rock” of inclusion
The present pandemic has further highlighted the disparities and inequalities widespread in our time, particularly to the detriment of the most vulnerable. “The virus, while it does not distinguish between people, has found, in its devastating path, great inequalities and discrimination. And it has only made them worse” (Catechesis at the General Audience of 19 August 2020).
For this reason, inclusion should be the first “rock” on which to build our house. Although this term is at times overused, the Gospel parable of the Good Samaritan (Lk 10:25-37) continues to be timely. Along the road of life, we often come across wounded people, and these can include persons with disabilities and particular needs. “The decision to include or exclude those lying wounded along the roadside can serve as a criterion for judging every economic, political, social and religious project. Each day we have to decide whether to be Good Samaritans or indifferent bystanders” (Fratelli Tutti, 69).
Inclusion should be the “rock” on which to build programmes and initiatives of civil institutions meant to ensure that no one, especially those in greatest difficulty, is left behind. The strength of a chain depends upon the attention paid to its weakest links.
As for ecclesial institutions, I reiterate the need to make available suitable and accessible means for handing on the faith. I also hope that these can be made available to those who need them, cost-free to the extent possible, also through the new technologies that have proven so important for everyone in the midst of this pandemic. I also encourage efforts to provide all priests, seminarians, religious, catechists and pastoral workers with regular training concerning disabilities and the use of inclusive pastoral tools. Parish communities should be concerned to encourage among the faithful a welcoming attitude towards people with disabilities. Creating a fully accessible parish requires not only the removal of architectural barriers, but above all, helping parishioners to develop attitudes and acts of solidarity and service towards persons with disabilities and their families. Our aim should be to speak no longer about “them”, but rather about “us”.
3. The “rock” of active participation
To help our society to “build back better”, inclusion of the vulnerable must also entail efforts to promote their active participation.
Before all else, I strongly reaffirm the right of persons with disabilities to receive the sacraments, like all other members of the Church. All liturgical celebrations in the parish should be accessible to them, so that, together with their brothers and sisters, each of them can deepen, celebrate, and live their faith. Special attention should be paid to people with disabilities who have not yet received the sacraments of Christian initiation: they should be welcomed and included in programmes of catechesis in preparation for these sacraments. No one should be excluded from the grace of these sacraments.
“In virtue of their baptism, all the members of the People of God have become missionary disciples. All the baptized, whatever their position in the Church or their level of instruction in the faith, are agents of evangelization” (Evangelii Gaudium, 120). People with disabilities, both in society and in the Church, also wish to become active subjects of our pastoral ministry, and not simply its recipients. “Many persons with disabilities feel that they exist without belonging and without participating. Much still prevents them from being fully enfranchised. Our concern should be not only to care for them, but also to ensure their ‘active participation’ in the civil and ecclesial community. That is a demanding and even tiring process, yet one that will gradually contribute to the formation of consciences capable of acknowledging each individual as a unique and unrepeatable person” (Fratelli Tutti, 98). Indeed, the active participation of people with disabilities in the work of catechesis can greatly enrich the life of the whole parish. Precisely because they have been grafted onto Christ in baptism, they share with him, in their own particular way, the priestly, prophetic, and royal mission of evangelizing through, with and in the Church.
The presence of persons with disabilities among catechists, according to their own gifts and talents, is thus a resource for the community. Efforts should be made to provide them with appropriate training, so that they can acquire greater knowledge also in the areas of theology and catechesis. I trust that, in parish communities, more and more people with disabilities can become catechists, in order to pass on the faith effectively, also by their own witness (cf. Address at the Conference “Catechesis and People with Disabilities”, 21 October 2017).
“Even worse than this crisis would be the tragedy of squandering it” (Homily on the Solemnity of Pentecost, 31 May 2020). For this reason, I encourage all those who daily and often silently devote themselves to helping others in situations of fragility and disability. May our common desire to “build back better” give rise to new forms of cooperation between both civil and ecclesial groups and thus build a solid “house” ready to withstand every storm and capable of welcoming people with disabilities, because built on the rock of inclusion and active participation.
Rome, Saint John Lateran, 3 December 2020
FRANCIS
[01478-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern!
Die Feier des Internationalen Tages der Menschen mit Behinderung nehme ich in diesem Jahr zum Anlass, euch allen meine Nähe zum Ausdruck zu bringen, die ihr in dieser Pandemiekrise besondere Schwierigkeiten durchlebt. Wir sitzen alle im gleichen Boot mitten auf rauer See, die uns Angst einjagen kann; in diesem Boot aber haben einige stärker zu kämpfen, darunter Menschen mit schweren Behinderungen.
Das diesjährige Thema lautet „Besser wiederaufbauen – hin zu einer inklusiven, zugänglichen und nachhaltigen Welt nach COVID-19“. Der Ausdruck „besser wiederaufbauen“ spricht mich besonders an. Er lässt uns an das biblische Gleichnis vom Haus auf dem Felsen oder auf dem Sand (vgl. Mt 7,24-27; Lk 6,47-49) denken. Daher nutze ich diese gute Gelegenheit, um eben von diesem Gleichnis aus einige Überlegungen vorzutragen.
1. Die Bedrohung durch die „Wegwerfkultur“
Zunächst können der „Wolkenbruch“, die „Wassermassen“ und die „Stürme“, die das Haus bedrohen, mit der in unserer Zeit weit verbreiteten „Wegwerfkultur“ identifiziert werden (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 53). Für sie scheinen »Teile der Menschheit […] geopfert werden zu können zugunsten einer bevorzugten Bevölkerungsgruppe, die für würdig gehalten wird, ein Leben ohne Einschränkungen zu führen. Im Grunde werden die Menschen nicht mehr als ein vorrangiger, zu respektierender und zu schützender Wert empfunden, besonders, wenn sie arm sind oder eine Behinderung haben« (Enzyklika Fratelli tutti, 18).
Diese Kultur trifft vor allem die schwächsten Bevölkerungsgruppen, zu denen auch Menschen mit Behinderung gehören. In den letzten fünfzig Jahren wurden sowohl auf Ebene der zivilen Institutionen als auch auf Ebene des kirchlichen Lebens wichtige Schritte unternommen. Das Bewusstsein für die Würde jedes Menschen ist gewachsen, und dies hat dazu geführt, dass mutige Entscheidungen für die Inklusion von Menschen mit körperlicher und/oder psychischer Einschränkung getroffen wurden. Doch auf kultureller Ebene gibt es immer noch zu viele Stimmen, die dieser Richtung faktisch widersprechen. Man trifft ablehnende Haltungen an, die auch aus einer narzisstischen und utilitaristischen Mentalität heraus zur Marginalisierung führen. Dabei wird nicht bedacht, dass alle an der Gebrechlichkeit Anteil haben. In Wirklichkeit gibt es Menschen mit selbst schweren Behinderungen, die – wenn auch mit Mühe – den Weg zu einem guten und sinnvollen Leben gefunden haben. Andererseits gibt es viele „normal Begabte“, die dennoch unzufrieden oder manchmal sogar verzweifelt sind. »Die Verletzlichkeit gehört zum Wesen des Menschen« (Ansprache anlässlich der Tagung „Katechese und Menschen mit Behinderung“, 21. Oktober 2017).
Deshalb ist es gerade an diesem Tag wichtig, eine Kultur des Lebens zu fördern, die unermüdlich die Würde jedes Menschen betont, insbesondere zum Schutz von Männern und Frauen mit Behinderung aller Altersgruppen und unter allen sozialen Bedingungen.
2. Der „Fels“ der Inklusion
Die gegenwärtige Pandemie hat die Ungleichheiten und Unterschiede, die unsere Zeit kennzeichnen, noch deutlicher hervortreten lassen, besonders auf Kosten der Schwächsten. »Während das Virus keine Unterschiede zwischen den Menschen macht, ist es auf seinem verheerenden Weg auf große Ungleichheiten und Diskriminierungen gestoßen. Und es hat sie vermehrt!« (Katechese bei der Generalaudienz am 19. August 2020).
Aus diesem Grund ist ein erster „Fels“, auf dem wir unser Haus bauen sollen, die Inklusion. Auch wenn dieser Begriff manchmal missbraucht wird, ist das biblische Gleichnis vom barmherzigen Samariter (Lk 10,25-37) stets aktuell. In der Tat begegnen wir auf unserem Lebensweg oft verletzten Menschen, die mitunter eben die Züge von Behinderung und Zerbrechlichkeit tragen. »Die Inklusion oder die Exklusion des am Wegesrand leidenden Menschen bestimmt alle wirtschaftlichen, politischen, sozialen oder religiösen Vorhaben. Jeden Tag stehen wir vor der Wahl, barmherzige Samariter zu sein oder gleichgültige Passanten, die distanziert vorbeigehen« (Enzyklika Fratelli tutti, 69).
Inklusion sollte der „Fels“ sein, auf dem die Programme und Initiativen der zivilen Institutionen aufbauen, damit niemand ausgeschlossen wird, vor allem nicht Menschen in größten Schwierigkeiten. Die Stärke einer Kette hängt davon ab, wie sehr man sich um die schwächsten Glieder kümmert.
Was die kirchlichen Einrichtungen anbelangt, so betone ich die Notwendigkeit, geeignete und zugängliche Instrumente für die Glaubensweitergabe zu schaffen. Ich hoffe zudem, dass diese Mittel denen, die sie benötigen, möglichst kostenlos zur Verfügung gestellt werden, auch durch die neuen Technologien, die sich in dieser Zeit der Pandemie für alle als so wichtig erwiesen haben. Gleichfalls ermutige ich, für Priester, Seminaristen, Ordensleute, Katecheten und pastorale Mitarbeiter eine Grundausbildung im Umgang mit Behinderung und in der Benutzung inklusiver pastoraler Instrumente durchzuführen. Die Pfarrgemeinden sollen sich darum bemühen, unter den Gläubigen eine Willkommenskultur für Menschen mit Behinderung zu fördern. Die Schaffung einer voll zugänglichen Gemeinde erfordert nicht nur die Beseitigung architektonischer Barrieren, sondern vor allem eine solidarische Haltung und ein hilfsbereites Handeln seitens der Gemeindemitglieder gegenüber Menschen mit Behinderung und ihren Familien. Das Ziel ist, dass wir nicht mehr von „ihnen“, sondern nur noch von „uns“ sprechen.
3. Der „Fels“ der aktiven Beteiligung
Um unsere Gesellschaft „besser wiederaufzubauen“, muss die Inklusion der schwächsten Personen auch die Förderung ihrer aktiven Beteiligung beinhalten.
Zuallererst bekräftigte ich nachdrücklich das Recht von Menschen mit Behinderung, wie alle anderen Mitglieder der Kirche die Sakramente zu empfangen. Alle liturgischen Feiern in der Pfarrei sollen zugänglich sein, damit jeder zusammen mit seinen Brüdern und Schwestern seinen Glauben vertiefen, feiern und leben kann. Besondere Aufmerksamkeit muss den Menschen mit Behinderung gelten, die noch nicht die Sakramente der christlichen Initiation empfangen haben: Sie können an den katechetischen Kursen zur Vorbereitung auf deren Empfang teilnehmen. Die Gnade, die diese Sakramente vermitteln, darf niemandem verwehrt werden.
»Kraft der empfangenen Taufe ist jedes Mitglied des Gottesvolkes ein missionarischer Jünger geworden (vgl. Mt 28,19). Jeder Getaufte ist, unabhängig von seiner Funktion in der Kirche und dem Bildungsniveau seines Glaubens, aktiver Träger der Evangelisierung« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 120). Deshalb verlangen auch die Menschen mit Behinderung in der Gesellschaft wie in der Kirche, aktive Personen in der Pastoral zu sein und nicht nur Empfänger. »Viele Menschen mit Behinderung fühlen sich ohne Zugehörigkeit und Beteiligung. Es gibt immer noch vieles, was ihnen eine volle Teilhabe verunmöglicht. Die Aufgabe besteht nicht nur darin, diesen Menschen zu helfen, sondern es geht um ihre aktive Teilnahme an der zivilen und kirchlichen Gemeinschaft. Das ist ein anstrengender, ja beschwerlicher Weg, der aber nach und nach dazu beitragen wird, ein Bewusstsein dafür zu entwickeln, dass jeder Mensch eine einzigartige und unwiederholbare Person ist« (Enzyklika Fratelli tutti, 98). In der Tat stellt die aktive Teilnahme von Menschen mit Behinderung an der Katechese einen großen Reichtum für das gesamte Pfarrleben dar. Denn durch die Taufe Christus eingegliedert, nehmen sie mit ihm in ihrer besonderen Verfassung Teil am priesterlichen, prophetischen und königlichen Amt und evangelisieren so durch, mit und in der Kirche.
Daher stellt auch die Präsenz von Menschen mit Behinderung unter den Katecheten mit ihren je eigenen Fähigkeiten eine Ressource für die Gemeinschaft dar. In diesem Sinne soll ihre Ausbildung gefördert werden, damit sie auch auf theologischem und katechetischem Gebiet eine bessere Vorbereitung erhalten. Ich hoffe, dass in den Pfarrgemeinden Menschen mit Behinderung immer mehr Katecheten werden können, um auch durch ihr eigenes Zeugnis den Glauben auf wirksame Weise zu vermitteln (vgl. Ansprache anlässlich der Tagung „Katechese und Menschen mit Behinderung“, 21. Oktober 2017).
»Schlimmer als die gegenwärtige Krise wäre nur, wenn wir die Chance, die sie birgt, ungenutzt verstreichen ließen« (Homilie am Hochfest Pfingsten, 31. Mai 2020). Deshalb ermutige ich alle, die sich tagtäglich und oft still zugunsten von Situationen der Zerbrechlichkeit und der Behinderung einsetzen. Möge der gemeinsame Wunsch, „besser wiederaufzubauen“, Synergien zwischen zivilen und kirchlichen Organisationen schaffen, um gegen jedes Unwetter ein solides „Haus“ zu bauen, das in der Lage ist, auch Menschen mit Behinderung aufzunehmen, weil es auf den Felsen der Inklusion und aktiven Beteiligung gebaut ist.
Rom, St. Johannes im Lateran, 3. Dezember 2020
FRANZISKUS
[01478-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
La celebración del Día Internacional de las Personas con Discapacidad me permite este año expresar mi cercanía a quienes están viviendo situaciones de particular dificultad en esta crisis causada por la pandemia. Todos estamos en la misma barca en medio de un mar agitado que puede asustarnos; pero en esta barca a algunos les resulta más difícil, entre ellos a las personas con discapacidades graves.
El tema de este año es «Reconstruir mejor: hacia un mundo post Covid-19 que incluya la discapacidad, accesible y sostenible». Me llama la atención la expresión “reconstruir mejor”; evoca la parábola evangélica de la casa construida sobre roca o sobre arena (cf. Mt 7,24-27; Lc 6,47-49). Por ello, aprovecho esta preciosa ocasión para compartir algunas reflexiones, siguiendo precisamente esa parábola.
1. La amenaza de la cultura del descarte
En primer lugar, la «lluvia», los «ríos» y los «vientos» que amenazan la casa pueden ser identificados con la cultura del descarte, difundida en nuestro tiempo (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium [EG], 53). Para dicha cultura, «partes de la humanidad parecen sacrificables en beneficio de una selección que favorece a un sector humano digno de vivir sin límites. En el fondo no se considera ya a las personas como un valor primario que hay que respetar y amparar, especialmente si son pobres o discapacitadas» (Carta enc. Fratelli tutti [FT], 18).
Esa cultura afecta principalmente a los sectores más frágiles, entre los que se encuentran las personas con discapacidad. En los últimos cincuenta años se han dado pasos importantes, tanto en el ámbito de las instituciones civiles como de las realidades eclesiales. La conciencia de la dignidad de cada persona ha aumentado, lo que ha llevado a tomar decisiones valientes para la inclusión de cuantos padecen una limitación física y/o psíquica. Sin embargo, todavía subsisten en el sustrato cultural demasiadas expresiones que contradicen de hecho este enfoque. Debido también a una mentalidad narcisista y utilitarista, se constatan actitudes de rechazo que conducen a la marginación, sin considerar que, inevitablemente, la fragilidad pertenece a todos. En realidad, hay personas con discapacidades incluso graves que, aun con gran esfuerzo, han encontrado el camino hacia una vida buena y rica de significado, como hay muchas otras “normalmente dotadas” que sin embargo están insatisfechas, o a veces desesperadas. “La vulnerabilidad pertenece a la esencia del ser humano” (cf. Discurso a los participantes del Congreso “La catequesis y las personas con discapacidad”, 21 octubre 2017).
Por lo tanto, es importante, especialmente en este Día, promover una cultura de la vida, que afirme continuamente la dignidad de cada persona, en particular en defensa de los hombres y mujeres con discapacidad, de cualquier edad y condición social.
2. La «roca» de la inclusión
La pandemia que estamos viviendo ha puesto en evidencia aún más las disparidades y las diferencias que caracterizan nuestro tiempo, sobre todo en detrimento de los más débiles. «El virus, si bien no hace excepciones entre las personas, ha encontrado, en su camino devastador, grandes desigualdades y discriminación. ¡Y las ha incrementado!» (Catequesis en la Audiencia general, 19 agosto 2020).
Por esta razón, una primera «roca» sobre la que se deba edificar nuestra casa es la inclusión. Aunque a veces se abusa de este término, sigue siendo actual la parábola evangélica del Buen Samaritano (cf. Lc 10,25-37). De hecho, a menudo nos encontramos en el camino de la vida con personas heridas, que en ocasiones llevan precisamente los rasgos de la discapacidad y la fragilidad. «La inclusión o la exclusión de la persona que sufre al costado del camino define todos los proyectos económicos, políticos, sociales y religiosos. Enfrentamos cada día la opción de ser buenos samaritanos o indiferentes viajantes que pasan de largo» (FT, 69).
La inclusión debería ser la «roca» sobre la que las instituciones civiles construyan programas e iniciativas, para que nadie quede excluido, especialmente quienes se encuentran en mayor dificultad. La fuerza de una cadena depende del cuidado que se dé a los eslabones más débiles.
Respecto a las instituciones eclesiales, reitero la exigencia de disponer de instrumentos adecuados y accesibles para la transmisión de la fe. Además, deseo que se pongan a disposición de quienes los necesitan, en cuanto sea posible gratuitamente, incluso a través de las nuevas tecnologías, que han demostrado ser tan importantes para todos en este período de pandemia. Asimismo, aliento a que exista una formación ordinaria para sacerdotes, seminaristas, religiosos, catequistas y agentes de pastoral, sobre la relación entre la discapacidad y el uso de instrumentos pastorales inclusivos. Que las comunidades parroquiales se comprometan a que se desarrolle en los fieles el estilo de acogida hacia las personas con discapacidad. Crear una parroquia plenamente accesible requiere no sólo que se eliminen las barreras arquitectónicas, sino que los parroquianos asuman sobre todo actitudes y acciones de solidaridad y servicio hacia las personas con discapacidad y hacia sus familias. El objetivo está en que lleguemos a dejar de hablar de “ellos” y lo hagamos sólo de “nosotros”.
3. La «roca» de la participación activa
Para “reconstruir mejor” nuestra sociedad es necesario que la inclusión de quienes son más frágiles comprenda también la promoción de su participación activa.
Ante todo, reitero con fuerza el derecho de las personas con discapacidad a recibir los sacramentos como los demás miembros de la Iglesia. Todas las celebraciones litúrgicas de la parroquia deberían ser accesibles, para que cada uno —junto a los hermanos y hermanas— pueda profundizar, celebrar y vivir la propia fe. Se debe prestar especial atención a las personas con discapacidad que aún no han recibido los sacramentos de la iniciación cristiana: estas podrían ser acogidas e incluidas en el itinerario de catequesis para la preparación a estos sacramentos. La gracia de la que son portadores no puede ser negada a nadie.
«En virtud del Bautismo recibido, cada miembro del Pueblo de Dios se ha convertido en discípulo misionero. Cada uno de los bautizados, cualquiera que sea su función en la Iglesia y el grado de ilustración de su fe, es un agente evangelizador» (EG, 120). Por eso, también las personas con discapacidad, tanto en la sociedad como en la Iglesia, piden convertirse en sujetos activos de la pastoral y no sólo en destinatarios. «Muchas personas con discapacidad sienten que existen sin pertenecer y sin participar. Hay todavía mucho que les impide tener una ciudadanía plena. El objetivo no es sólo cuidarlos, sino que participen activamente en la comunidad civil y eclesial. Es un camino exigente y también fatigoso, que contribuirá cada vez más a la formación de conciencias capaces de reconocer a cada individuo como una persona única e irrepetible» (FT, 98). En efecto, la participación activa de las personas con discapacidad en la catequesis constituye una gran riqueza para la vida de toda la parroquia. Estas, en efecto, injertadas en Cristo en el Bautismo, comparten con Él, en su particular condición, el ministerio sacerdotal, profético y real, evangelizando a través, con y en la Iglesia.
Por consiguiente, también la presencia de personas con discapacidad entre los catequistas, según sus propias capacidades, representa un recurso para la comunidad. En este sentido, es preciso favorecer su formación, para que puedan adquirir además una preparación más avanzada en el campo teológico y catequético. Espero que en las comunidades parroquiales sean cada vez más, las personas con discapacidad que puedan convertirse en catequistas, para transmitir la fe de manera eficaz, también con su propio testimonio (cf. Discurso a los participantes del Congreso “La catequesis y las personas con discapacidad”, 21 octubre 2017).
«Peor que esta crisis, es solamente el drama de desaprovecharla» (Homilía en la Solemnidad de Pentecostés, 31 mayo 2020). Por eso, animo a cuantos, cada día y a menudo en el silencio, se sacrifican en favor de las situaciones de fragilidad y discapacidad. Que la voluntad común de «reconstruir mejor» pueda desencadenar sinergias entre las organizaciones tanto civiles como eclesiales, para edificar, contra toda intemperie, una “casa” sólida, capaz de acoger también a las personas con discapacidad, porque está construida sobre la roca de la inclusión y de la participación activa.
Roma, San Juan de Letrán, 3 de diciembre de 2020
FRANCISCO
[01478-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs!
Neste ano, valho-me da oportunidade que me dá a celebração do Dia Internacional das Pessoas com Deficiência para expressar a minha proximidade a quantos atravessam situações particularmente difíceis nesta crise pandémica. Estamos todos no mesmo barco, no meio dum mar agitado que nos pode atemorizar; mas, neste barco, há alguns, como as pessoas com deficiências graves, que têm de lutar mais.
O tema deste ano é «Reconstruir melhor: rumo a um mundo pós-Covid-19, inclusivo da deficiência, acessível e sustentável». Chamou-me a atenção a expressão «reconstruir melhor», que me lembra a parábola evangélica da casa construída sobre a rocha ou sobre a areia (cf. Mt 7, 24-27; Lc 6, 46-49). Por isso, aproveito o ensejo para partilhar algumas reflexões, precisamente a partir da referida parábola.
1. A ameaça da cultura do descarte
Começo pela «chuva», os «rios» e os «ventos» que ameaçam a casa e se podem identificar com a cultura do descarte, generalizada no nosso tempo (cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 53). Para ela, certas «partes da humanidade parecem sacrificáveis em benefício duma seleção que favorece a um setor humano digno de viver sem limites. No fundo, as pessoas já não são mais vistas como um valor primário a respeitar e tutelar, especialmente se são pobres ou deficientes» (Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 18).
Esta cultura afeta sobretudo as categorias mais frágeis, entre as quais se contam as pessoas com deficiência. Nos últimos cinquenta anos, foram dados passos importantes, tanto a nível das instituições civis como das realidades eclesiais. Cresceu a consciência da dignidade de cada pessoa, o que levou a opções corajosas em prol da inclusão de quantos vivem uma limitação física ou/e psíquica. Contudo, a nível cultural, permanecem ainda demasiadas expressões que efetivamente contradizem esta orientação. Existem atitudes de rejeição que, por causa também duma mentalidade narcisista e utilitarista, conduzem à marginalização, sem considerar que, inevitavelmente, a fragilidade é de todos. Na realidade, há pessoas até com deficiências graves que encontraram, embora com dificuldade, a estrada duma vida boa e significativa, tal como existem muitas outras «normalmentedotadas» que todavia vivem insatisfeitas senão mesmo desesperadas. «A vulnerabilidade faz parte da essência do homem» (Francisco, Discurso no Congresso «Catequese e Pessoas com Deficiência», 21/X/2017).
Assim de modo especial neste Dia, em defesa nomeadamente dos homens e mulheres com deficiência, é importante promover uma cultura da vida que afirme sem cessar a dignidade de toda a pessoa, independentemente da sua idade e condição social.
2. A «rocha» da inclusão
A pandemia atual evidenciou ainda mais as disparidades e desigualdades que caraterizam o nosso tempo, com particular detrimento dos mais frágeis. «O vírus, sem excluir ninguém, encontrou grandes desigualdades e discriminações no seu caminho devastador. E aumentou-as!» (Francisco, Catequese na Audiência Geral de 19/VIII/2020).
Por isso, uma primeira «rocha» sobre a qual construir a nossa casa é a inclusão. Embora às vezes se abuse deste termo, a parábola evangélica do Bom Samaritano (cf. Lc 10, 25-37) permanece sempre atual. Com efeito, no caminho da vida, deparamo-nos frequentemente com a pessoa ferida, que às vezes apresenta precisamente os traços da deficiência e da fragilidade. «A inclusão ou exclusão da pessoa que sofre na margem da estrada define todos os projetos económicos, políticos, sociais e religiosos. Dia a dia enfrentamos a opção de ser bons samaritanos ou viandantes indiferentes que passam ao largo» (Enc. Fratelli tutti, 69).
A inclusão deveria ser a «rocha» sobre a qual construir os programas e iniciativas das instituições civis, para que ninguém, especialmente quem enfrenta maior dificuldade, fique excluído. A força duma corrente depende do cuidado dispensado aos elos mais frágeis.
Quanto às instituições eclesiais, reafirmo a exigência de preparar instrumentos idóneos e acessíveis para a transmissão da fé. Espero também que os mesmos sejam disponibilizados, da forma mais gratuita possível, àqueles que precisam deles, inclusivamente através das novas tecnologias que se revelaram tão importantes para todos neste período de pandemia. Do mesmo modo encorajo, para sacerdotes, seminaristas, religiosos, catequistas e agentes pastorais, uma formação ordinária sobre a relação com a deficiência e o uso de instrumentos pastorais inclusivos. As comunidades paroquiais empenhem-se por fazer crescer, nos fiéis, o estilo acolhedor das pessoas com deficiência. A criação duma paróquia plenamente acessível requer não só a eliminação das barreiras arquitetónicas, mas sobretudo atitudes e ações de solidariedade e serviço, por parte dos paroquianos, para com as pessoas com deficiência e suas famílias. O objetivo é chegarmos a superar a subdivisão «eles», para existir apenas o «nós».
3. A «rocha» da participação ativa
Para «reconstruir melhor» a nossa sociedade, é preciso que a inclusão dos sujeitos mais frágeis englobe também a promoção da sua participação ativa.
Antes de mais nada, reafirmo veementemente o direito de as pessoas com deficiência receberem os Sacramentos como todos os outros membros da Igreja. Todas as celebrações litúrgicas da paróquia deveriam estar acessíveis, para que cada um, juntamente com os irmãos e irmãs, possa aprofundar, celebrar e viver a sua fé. Deve ser reservada uma atenção especial às pessoas com deficiência que ainda não receberam os Sacramentos da iniciação cristã: poderiam ser acolhidas e inseridas no percurso catequético de preparação para estes Sacramentos. A graça, de que estes são portadores, não pode ser impedida a ninguém.
«Em virtude do Batismo recebido, cada membro do povo de Deus tornou-se discípulo missionário. Cada um dos batizados, independentemente da própria função na Igreja e do grau de instrução da sua fé, é um sujeito ativo de evangelização» (Exort. Evangelii gaudium, 120). Por isso, também as pessoas com deficiência, tanto na sociedade como na Igreja, pedem para se tornar sujeitos ativos da pastoral, e não só destinatários. «Muitas pessoas com deficiência sentem que vivem sem pertença nem participação. Ainda há tanto que as impede de beneficiar da plena cidadania. O objetivo não é apenas cuidar delas, mas acompanhá-las e “ungi-las” de dignidade para uma participação ativa na comunidade civil e eclesial. Trata-se de um caminho exigente e também cansativo, que contribuirá cada vez mais para a formação de consciências capazes de reconhecer cada um como pessoa única e irrepetível» (Enc. Fratelli tutti, 98). Efetivamente a participação ativa na catequese das pessoas com deficiência constitui uma grande riqueza para a vida de toda a paróquia, porque, enxertadas em Cristo no Batismo, partilham com Ele, na sua condição particular, o ministério sacerdotal, profético e real, evangelizando através, com e na Igreja.
Portanto, também a presença entre os catequistas de pessoas com deficiência, de acordo com as suas próprias capacidades, representa um recurso para a comunidade. Neste sentido, deve-se favorecer a sua formação, para que possam adquirir uma preparação mais avançada nomeadamente em campo teológico e catequético. Espero que, nas comunidades paroquiais, cada vez mais pessoas com deficiência possam tornar-se catequistas, para transmitir a fé de maneira eficaz, inclusive com o seu próprio testemunho (cf. Discurso no Congresso «Catequese e Pessoas com Deficiência», 21/X/2017).
«Pior do que esta crise, só o drama de a desperdiçar» (Francisco, Homilia na Solenidade de Pentecostes, 31/V/2020). Assim encorajo todas pessoas que dia a dia, e muitas vezes no silêncio, se gastam em favor das situações de fragilidade e deficiência. Possa a vontade comum de «reconstruir melhor» desencadear sinergias entre as organizações tanto civis como eclesiais para edificar, contra todas as intempéries, uma «casa» sólida, capaz de acolher também as pessoas com deficiência, porque construída sobre a rocha da inclusão e da participação ativa.
Roma, em São João de Latrão, 3 de dezembro de 2020.
FRANCISCO
[01478-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry!
Obchody Międzynarodowego Dnia Osób Niepełnosprawnych są w tym roku okazją, żeby wyrazić moją bliskość z wami, którzy przeżywacie szczególne trudności podczas obecnej pandemii. Jesteśmy wszyscy na tej samej łodzi, pośrodku wzburzonego morza, i to może wzbudzać w nas strach. Ale na tej łodzi są tacy, którym jest trudniej, a wśród nich osoby doświadczone ciężkimi rodzajami niepełnosprawności.
Tematem tegorocznego Dnia są słowa: «Odbudować lepiej: w stronę świata po Covid-19 inkluzywnego dla niepełnosprawności, dostępnego i zrównoważonego». Uderza wyrażenie „Odbudować lepiej”. Przywodzi na myśl przypowieść ewangeliczną o domu zbudowanym na skale albo na piasku (por. Mt 7, 24-27; Łk 6, 46-49). Dlatego też korzystam z tej sposobnej okazji, aby podzielić się pewnymi przemyśleniami, zaczynając właśnie od tej przypowieści.
1. Zagrożenie kulturą odrzucenia
Po pierwsze, «deszcz», «rzeki» i «wiatry», które zagrażają domowi, mogą być utożsamione z kulturą odrzucenia, rozpowszechnioną w naszym czasie (por. Adhort. apost. Evangelii Gaudium, 53). Według niej „część ludzkości można poświęcić na rzecz selekcji, która faworyzuje grupę społeczną, zasługującą na życie bez ograniczeń. W gruncie rzeczy «ludzie nie są już postrzegani jako podstawowa wartość, którą należy szanować i chronić, szczególnie jeśli są ubodzy lub niepełnosprawni»” (Encyklika Fratelli tutti, 18).
Kultura ta uderza w kategorie ludzi najsłabszych, wśród których znajdują się osoby niepełnosprawne. W ostatnich pięćdziesięciu latach uczyniono wiele ważnych kroków na rzecz osób niepełnosprawnych, zarówno na poziomie instytucji cywilnych, jak też kościelnych. Wzrosła świadomość godności każdej osoby, doprowadzając w konsekwencji do odważnych wyborów na rzecz włączenia do społeczeństwa tych, którzy żyją z ograniczeniami fizycznymi lub/i psychicznymi. Mimo tego, na poziomie kulturowym przetrwało jeszcze wiele przejawów, które faktycznie przeciwstawiają się temu kierunkowi. Spotykamy się z postawami odrzucenia, które również z powodu mentalności narcystycznej i utylitarystycznej dążą do marginalizacji, nie biorąc pod uwagę tego, że w sposób nieunikniony, słabość przynależna jest wszystkim. W rzeczywistości są osoby z niepełnosprawnością, nawet ciężką, które, jakkolwiek z wysiłkiem, jednak znajdują drogę do życia dobrego i bogatego w znaczenie, tak jak są też liczni „unormowani”, którzy jednakowoż są niezadowoleni, a czasem wręcz zdesperowani. „Słabość należy to istoty człowieka” (por. Przemówienie do uczestników Konferencji „Katecheza a osoby z niepełnosprawnością”, 21 października 2017).
Stąd też ważne jest, przede wszystkim w tym dniu, aby krzewić kulturę życia, która ciągle będzie potwierdzać godność każdej osoby, a szczególnie w obronie mężczyzn i kobiet z niepełnosprawnością, w każdym wieku oraz w każdej ich sytuacji społecznej.
2. «Skała», którą jest inkluzja
Pandemia, w której przyszło nam żyć, podkreśliła dogłębne nierówności i różnice, które charakteryzują nasze czasy, szczególnie na niekorzyść najsłabszych. „Wirus, nie czyniąc jakichkolwiek wyjątków między ludźmi, napotkał na swej niszczycielskiej drodze wielkie nierówności i dyskryminację. I jeszcze je powiększył!” (Audiencja generalna, 19 sierpnia 2020).
Z tego też powodu pierwszą «skałą», na której wznosimy nasz dom, jest inkluzja. Nawet jeśli termin ten czasem jest nadużywany, pozostaje zawsze aktualna przypowieść ewangeliczna o dobrym Samarytaninie (por. Łk 10, 25-37). Bowiem, na drodze życia, często spotykamy osobę zranioną, która niesie swoją niepełnosprawność i wrażliwość. „Integracja lub wykluczenie cierpiących podczas drogi określa wszystkie projekty gospodarcze, polityczne, społeczne i religijne. Każdego dnia stajemy przed wyborem: czy być miłosiernymi Samarytanami, czy też obojętnymi podróżnikami, mijającymi z daleka” (Encyklika Fratelli tutti, 69).
Inkluzja powinna być «skałą», na której można budować programy i inicjatywy instytucji cywilnych, żeby nikt, a szczególnie ten, kto znajduje się w największych trudnościach, nie pozostawał wykluczony. Siła łańcucha zależy od troski, którą okazuje się najsłabszym ogniwom.
W odniesieniu do instytucji kościelnych, potwierdzam natomiast konieczność przygotowania właściwych i dostępnych narzędzi, potrzebnych do przekazu wiary. Chciałbym, co więcej, aby narzędzia te zostały dane darmowo, jeśli to tylko możliwe, do dyspozycji tych, którzy ich potrzebują, również za pośrednictwem nowych technologii, które okazały się tak ważne dla wszystkich w tym czasie pandemii. Zachęcam również, aby księża, seminarzyści, zakonnicy, katecheci oraz osoby związane z duszpasterstwem, mieli dostęp do zwyczajnej formacji w odniesieniu do niepełnosprawności oraz do posługiwania się narzędziami duszpasterskimi, które zapewniają inkluzyjność. Wspólnoty parafialne niech angażują się, aby rozwijał się u wiernych styl przyjmowania osób z niepełnosprawnością. Tworzenie parafii w pełni dostępnej wymaga nie tylko usunięcia barier architektonicznych, ale przede wszystkim zachowań i czynności nacechowanych solidarnością i służbą ze strony parafian w stosunku do osób z niepełnosprawnością oraz ich rodzin. Celem jest dojście do takiego momentu, w którym nie będziemy więcej mówić „oni”, ale tylko „my”.
3. «Skała» czynnego udziału
Aby „odbudować lepiej” nasze społeczeństwo, potrzeba, by inkluzja osób najsłabszych zawierała również promocję ich czynnego udziału.
Przede wszystkim potwierdzam z całą stanowczością prawo osób z niepełnosprawnością do otrzymania Sakramentów tak, jak wszyscy inni członkowie Kościoła. Wszystkie celebracje liturgiczne w parafii powinny być dostępne, aby każdy razem z braćmi i siostrami mógł pogłębiać, celebrować i żyć własną wiarą. Specjalną uwagę należy zwrócić na osoby z niepełnosprawnością, które nie otrzymały jeszcze sakramentów inicjacji chrześcijańskiej: powinny one zostać przyjęte i włączone w formację katechetyczną przygotowującą do tychże Sakramentów. Łaska, którą one niosą ze sobą, nie może zostać przed nikim wstrzymana.
„Na mocy otrzymanego Chrztu, każdy członek Ludu Bożego stał się uczniem misjonarzem. Każdy ochrzczony, niezależnie od swojej funkcji w Kościele i stopnia pouczenia w swojej wierze, jest aktywnym podmiotem ewangelizacji” (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 120). Stąd też osoby z niepełnosprawnością, tak w społeczeństwie, jak i w Kościele, wymagają, aby stały się aktywnymi podmiotami duszpasterstwa, a nie tylko adresatami. „Wiele osób niepełnosprawnych «czuje, że istnieją, ale bez przynależności i bez partycypacji». Jest jeszcze wiele spraw, «które nie pozwalają im być w pełni obywatelami». Celem jest nie tylko opieka nad nimi, ale także ich «aktywny udział w życiu wspólnoty obywatelskiej i kościelnej. Jest to droga niełatwa, a nawet żmudna, która pozwoli coraz lepiej formować sumienia potrafiące uznać każdego, jako osobę wyjątkową i niepowtarzalną»”. (Enc. Fratelli tutti, 98). Aktywne uczestnictwo osób niepełnosprawnych w katechezie stanowi bowiem wielkie bogactwo w życiu całej parafii. Osoby te, wszczepione w Chrystusa przez Chrzest, dzielą z Nim, w tej ich szczególnej sytuacji, posługę kapłańską, prorocką i królewską, ewangelizując poprzez, z i w Kościele.
Dlatego też obecność osób z niepełnosprawnością pośród katechetów, zgodnie z ich uzdolnieniami, staje się potencjałem we wspólnocie. Wobec tego należy ułatwić im formację, aby mogli uzyskać przygotowanie bardziej zaawansowane również w zakresie teologicznym i katechetycznym. Chciałbym, aby we wspólnotach parafialnych coraz więcej osób z niepełnosprawnością zostawało katechetami, by przekazywali wiarę w sposób skuteczny, również przez swoje świadectwo (por. Przemówienie Papieża Franciszka do uczestników Konferencji „Katecheza a osoby z niepełnosprawnością”, 21 października 2017).
„Gorszy od tego kryzysu jest tylko dramat zmarnowania go” (Homilia Papieża Franciszka na Zesłanie Ducha Świętego, 31 maja 2020). Dlatego zachęcam wszystkich, którzy każdego dnia i, często w ciszy, spalają się w pracy na rzecz tych, którzy znajdują się w sytuacji słabości i niepełnosprawności. Oby wspólna wola, by «odbudować lepiej», mogła dać początek synergii pomiędzy organizacjami tak świeckim, jak i kościelnymi, aby budować, nie zrażając się przeciwnościami, «dom» trwały, gotowy do przyjęcia również osób z niepełnosprawnością, ponieważ stworzony na skale inkluzji i czynnego udziału.
Rzym, u Świętego Jana na Lateranie, 3 grudnia 2020 r.
FRANCISZEK
[01478-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
قداسة البابا فرنسيس
بمناسبة اليوم العالمي لذوي الاحتياجات الخاصّة
3 كانون الأوّل / ديسمبر 2020
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،
إن الاحتفال باليوم العالمي لذوي الاحتياجات الخاصّة هذا العام هو فرصة لكي أعبّر عن قربي من جميع الذين يعانون من ظروف صعبة للغاية في هذه الأزمة الناتجة عن الجائحة. إننا جميعًا في نفس القارب وسط بحر هائج قد يخيفنا؛ ولكن البعض في هذا القارب يَجِدون صعوبة أكبر، ومن بينهم الأشخاص ذوي الإعاقات الشديدة.
موضوع هذا العام هو "إعادة البناء بشكل أفضل: نحو عالم ما بعد الكوفيد-19. عالم يشمل الإعاقة، ومُتاح لذوي الاحتياجات الخاصّة ومُستدام". لقد أدهشتني عبارة "إعادة البناء بشكل أفضل". فهي تذكّرنا بمثل البيت المبنيّ على الصخر أو على الرمل في الإنجيل (را. متى 7، 24- 27؛ لو 6، 47- 49). لذا أغتنم هذه الفرصة الثمينة لأشارككم بعض الأفكار، انطلاقًا من هذا المثل.
1. خطر ثقافة الإقصاء
في المقام الأوّل، يمكننا أن نشبّه "المطر والأنهار والرياح التي تهدّد البيت، بثقافة الإقصاء المنتشرة في عصرنا" (را. الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل-Evangelii gaudium، عدد 53). فبالنسبة لهذه الثقافة، "تبدو أجزاءٌ من الإنسانية وكأن التضحية بها متاحة وفق خيار يفضّل قطاعًا بشريًا "يستحقّ العيش" بلا حدود. في الواقع، "إنّ الأشخاص لا يُعتبرون بعد قيمةً أساسيّة ينبغي احترامها وحمايتها، لا سيما إذا كانوا فقراء أو ذوي احتياجات خاصّة" (الرسالة العامّة Fratelli tutti [FT]، عدد 18).
إن هذه الثقافة تؤذي بشكل خاص أكثرَ الفئات هشاشةً، بما في ذلك الأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة. لقد تمّ اتّخاذ خطوات مهمّة خلال الخمسين سنة الماضية، على مستوى المؤسّسات المدنية كما وعلى مستوى الواقع الكنسي. ونما الوعي بكرامة كلّ شخص، وقد أدّى ذلك إلى اتّخاذ خيارات شُجاعة من أجل إدماج الأشخاص ذوي المحدودية الجسدية والنفسية. ومع ذلك، فلا يزال هناك على المستوى الثقافي، الكثير من الأمور التي تتعارض مع هذا التوجّه في الحقيقة. هناك مواقف من الرفض تقود أيضًا إلى التهميش، بسبب العقليّة النرجسيّة والنفعيّة، بدون أيّ اعتبار لكون الضعف ينتمي إلى الجميع. في الواقع، هناك أشخاص يعانون من إعاقات شديدة وقد وجدوا السبيل، ولو بصعوبة، إلى حياة جيّدة وذات معنى؛ كما هناك أشخاص كثيرون "سليمو الأجساد"، لكنّهم غير راضين، أو يائسين أحيانًا. "الضعف ينتمي إلى جوهر الإنسان" (را. خطاب البابا خلال مؤتمر "التعليم المسيحي والأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة"، 21 تشرين الأوّل/أكتوبر 2017).
لذلك فمن المهمّ، خاصّة في هذا اليوم، أن نعزّز ثقافة الحياة التي تؤكّد باستمرار كرامة كلّ شخص، ولا سيما دفاعًا عن الرجال والنساء ذوي الاحتياجات الخاصّة، من جميع الأعمار والأوضاع الاجتماعية.
2. الادماج
لقد سلّطت الجائحةُ التي نمرّ بها مزيدًا من الضوء على عدم المساواة والتفاوتات التي تميّز عصرنا، لا سيما على حساب الأضعف. "الفيروس الذي لا يستثني أحدًا، أَظهر في طريقه المدمّر عدم المساواة والتفرقة الكبيرة بين الناس، وزادها!" (تعليم البابا خلال المقابلة العامة في 19 آب/أغسطس 2020).
لذا فإن الادماج هو أوّل "صخرة" نبني عليها بيتنا. وحتى لو أُسيء استخدام مصطلح الادماج أحيانًا، إن مَثَل السامريّ الصالح في الإنجيل ما زال ينطبق حاليًا (لو 10، 25- 37). لأننا في الواقع، غالبًا ما نصادف في طريق حياتنا "الشخصَ الجريح"، الذي يحمل أحيانًا سمات الإعاقة والضعف. "إنّ إدماج أو استبعاد الشخص الذي يتألّم على هامش الطريق، يحدّد جميع المشاريع الاقتصادية والسياسية والاجتماعية والدينية. ونحن نواجه كلّ يوم خيارَ أن نكون سامرّيين صالحين أو مارّين غير مبالين مرورَ الكرام" (FT، 69).
يجب أن يكون الإدماج "الصخرة" التي تُبنى عليها برامج المؤسّسات المدنيّة ومبادراتها حتى لا يُستبعد أحد، ولا سيما الذين يواجهون صعوبات أكبر. فقوّة السلسلة تتوقّف على الرعاية التي نقدّمها لأضعف الحلقات فيها.
فيما يتعلّق بالمؤسّسات الكنسية، أكرّر ضرورة تأمين أدوات مناسبة وسهلة المنال لنقل الإيمان. آمل أيضًا أن يتمّ توفيرها للذين يحتاجون إليها مجّانًا قدر الإمكان، ومنها التقنيّات الجديدة، التي أثبتت أهمّيتها للجميع في فترة الجائحة هذه. وأشجّع كذلك على تأمين تنشئة اعتيادية للكهنة والإكليريكيّين والرهبان ومعلّمي التعليم المسيحي والعمّال الراعويين، في التعامل مع الإعاقة وفي استخدام أدوات راعوية مُتاحة أيضًا لذوي الاحتياجات الخاصّة. يجب على الجماعات الرعوية أن تلتزم بتنمية أسلوب الترحيب بالأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة لدى المؤمنين. إن إنشاء رعيّة متاحة للجميع بشكل كامل لا يستوجب فقط إزالة الحواجز الهندسية، لكن يتطلّب قبل كلّ شيء تصرّفات وأعمال تُظهِر التضامن والخدمة، من جانب أبناء الرعية تجاه الأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة وأسرهم. والهدف هو التوصّل لأن نتحدّث، لا "عنهم"، بل "عنّا" وحسب.
3. "صخرة" المشاركة الفعّالة
من أجل "إعادة بناء مجتمعنا بشكل أفضل"، يجب أن يشمل إدماجُ الأشخاص الأكثر ضعفًا تعزيزَ مشاركتهم الفعّالة أيضًا.
قبل كلّ شيء، أؤكّد مجدّدًا وبقوّة على حقّ الأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة في قبول الأسرار مثل باقي أعضاء الكنيسة. لذا فيجب أن تكون جميع الاحتفالات الليتورجيّة في الرعيّة مُتاحة للجميع حتى يتسنّى لكلّ فرد، مع الإخوة والأخوات، التعمّق بإيمانه والاحتفال به وعيشه. ويجب إيلاء اهتمام خاصّ للأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة الذين لم ينالوا بعد أسرار التنشئة المسيحيّة: يمكن قبولهم في دورة التعليم المسيحي استعدادًا لقبول هذه الأسرار. فلا أحد يستطيع أن يستبعد النعمة التي يحملونها.
"كلّ عضوٍ من شعب الله، بفضل المعموديّة التي نالها، أصبح تلميذًا مرسلًا (را. متى 28، 19): كلّ معمّد، مهما كانت وظيفته في الكنيسة، ومستوى تنشئته الإيماني، هو عنصر نشيط للتبشير بالإنجيل" (الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، عدد 120). لذلك يَطلبُ ذوو الاحتياجات الخاصّة أيضًا، في المجتمع والكنيسة، أن يُصبحوا رعايا فاعلين في الأعمال الراعوية وليس مجرّد متلّقين. "فالعديد من الأشخاص ذوي الإعاقة يشعرون أنهم موجودون دون انتماء ولا مشاركة. هناك الكثير من الأمور التي ما تزال ’تمنعهم من الحصول على الجنسية الكاملة‘. والهدف ليس فقط الاهتمام بهم، بل أن يشاركوا فعليًّا في المجتمع المدني والكنسي. وهذا مسار شاقّ ومُتعِب، لكنه سوف يساهم أكثر فأكثر في تكوين ضمائر قادرة على الاعتراف بكلّ شخصٍ على أنّه إنسانٍ فريد لا يتكرّر" (FT، 98). في الواقع، إن مشاركة الأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة مشاركة فعّالة في التعليم المسيحيّ تشكّل غنًى كبيرًا لحياة الرعيّة بأكملها. فإنهم في الواقع، قد طُعِّمُوا بالمسيح في المعموديّة، ويشاركونه، انطلاقًا من وضعهم الخاصّ، في الخدمة الكهنوتيّة والنبويّة والملكيّة، فيبشّرون من خلال الكنيسة ومعها وفيها.
لذا، فإن وجود أشخاص ذوي احتياجات خاصّة بين معلّمي التعليم المسيحي، وفقًا لقدراتهم الخاصّة، يشكّل موردًا للمجتمع. وبهذا المعنى، يجب التشجيع على تنشئتهم حتى يتمكّنوا من الحصول على إعداد متقدّم أيضًا في مجال اللاهوت والتعليم المسيحي. آمل أن تزداد إمكانيّة الأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة في الجماعات الرعوية أن يصبحوا معلّمين للتعليم المسيحي، حتى ينقلوا الإيمان بشكل فعّال، وأيضًا من خلال شهادتهم الخاصّة (را. خطاب البابا خلال مؤتمر "التعليم المسيحي والأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة"، 21 تشرين الأوّل/أكتوبر 2017).
"إن مأساة التفريط بهذه الأزمة هي أسوأ من المأساة نفسها" (را. عظة قداسة البابا بمناسبة عيد العنصرة، 31 أيار/مايو 2020). لذا فإنّي أشجّع الذين يبذلون ذواتهم، كلّ يوم وغالبًا بصمت، من أجل الحالات الهشّة والإعاقة. عسى أن تؤدّي الإرادة المشتركة في "إعادة البناء بشكل أفضل" إلى التآزر بين المنظّمات المدنيّة والكنسية، من أجل بناء "بيت" متين، إزاء جميع "العواصف"، قادر على الترحيب بالأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة أيضًا، لأنّه مبنيّ على صخر الادماج والمشاركة الفعّالة.
[01478-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0631-XX.02]