Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Nel pomeriggio di oggi - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima – ha avuto luogo un’assemblea di preghiera nella forma delle «Stazioni» romane, presieduta dal Santo Padre Francesco.
Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.
Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dell’Eucarestia con il rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
«Ritornate a me con tutto il cuore, […] ritornate al Signore» (Gl 2,12.13): è il grido con cui il profeta Gioele si rivolge al popolo a nome del Signore; nessuno poteva sentirsi escluso: «Chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; […] lo sposo […] e la sposa» (v. 16). Tutto il Popolo fedele è convocato per mettersi in cammino e adorare il suo Dio, «perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore» (v. 13).
Anche noi vogliamo farci eco di questo appello, vogliamo ritornare al cuore misericordioso del Padre. In questo tempo di grazia che oggi iniziamo, fissiamo ancora una volta il nostro sguardo sulla sua misericordia. La Quaresima è una via: ci conduce alla vittoria della misericordia su tutto ciò che cerca di schiacciarci o ridurci a qualunque cosa che non sia secondo la dignità di figli di Dio. La Quaresima è la strada dalla schiavitù alla libertà, dalla sofferenza alla gioia, dalla morte alla vita. Il gesto delle ceneri, con cui ci mettiamo in cammino, ci ricorda la nostra condizione originaria: siamo stati tratti dalla terra, siamo fatti di polvere. Sì, ma polvere nelle mani amorose di Dio che soffiò il suo spirito di vita sopra ognuno di noi e vuole continuare a farlo; vuole continuare a darci quel soffio di vita che ci salva da altri tipi di soffio: l’asfissia soffocante provocata dai nostri egoismi, asfissia soffocante generata da meschine ambizioni e silenziose indifferenze; asfissia che soffoca lo spirito, restringe l’orizzonte e anestetizza il palpito del cuore. Il soffio della vita di Dio ci salva da questa asfissia che spegne la nostra fede, raffredda la nostra carità e cancella la nostra speranza. Vivere la Quaresima è anelare a questo soffio di vita che il nostro Padre non cessa di offrirci nel fango della nostra storia.
Il soffio della vita di Dio ci libera da quella asfissia di cui tante volte non siamo consapevoli e che, perfino, ci siamo abituati a “normalizzare”, anche se i suoi effetti si fanno sentire; ci sembra normale perché ci siamo abituati a respirare un’aria in cui è rarefatta la speranza, aria di tristezza e di rassegnazione, aria soffocante di panico e di ostilità.
Quaresima è il tempo per dire no. No all’asfissia dello spirito per l’inquinamento causato dall’indifferenza, dalla trascuratezza di pensare che la vita dell’altro non mi riguarda; per ogni tentativo di banalizzare la vita, specialmente quella di coloro che portano nella propria carne il peso di tanta superficialità. La Quaresima vuole dire no all’inquinamento intossicante delle parole vuote e senza senso, della critica rozza e veloce, delle analisi semplicistiche che non riescono ad abbracciare la complessità dei problemi umani, specialmente i problemi di quanti maggiormente soffrono. La Quaresima è il tempo di dire no; no all’asfissia di una preghiera che ci tranquillizzi la coscienza, di un’elemosina che ci lasci soddisfatti, di un digiuno che ci faccia sentire a posto. Quaresima è il tempo di dire no all’asfissia che nasce da intimismi che escludono, che vogliono arrivare a Dio scansando le piaghe di Cristo presenti nelle piaghe dei suoi fratelli: quelle spiritualità che riducono la fede a culture di ghetto e di esclusione.
Quaresima è tempo di memoria, è il tempo per pensare e domandarci: che sarebbe di noi se Dio ci avesse chiuso le porte?; che sarebbe di noi senza la sua misericordia che non si è stancata di perdonarci e ci ha dato sempre un’opportunità per ricominciare di nuovo? Quaresima è il tempo per domandarci: dove saremmo senza l’aiuto di tanti volti silenziosi che in mille modi ci hanno teso la mano e con azioni molto concrete ci hanno ridato speranza e ci hanno aiutato a ricominciare?
Quaresima è il tempo per tornare a respirare, è il tempo per aprire il cuore al soffio dell’Unico capace di trasformare la nostra polvere in umanità. Non è il tempo di stracciarsi le vesti davanti al male che ci circonda, ma piuttosto di fare spazio nella nostra vita a tutto il bene che possiamo operare, spogliandoci di ciò che ci isola, ci chiude e ci paralizza. Quaresima è il tempo della compassione per dire con il salmista: “Rendici [, Signore,] la gioia della tua salvezza, sostienici con uno spirito generoso”, affinché con la nostra vita proclamiamo la tua lode (cfr Sal 51,14), e la nostra polvere – per la forza del tuo soffio di vita – si trasformi in “polvere innamorata”.
[00300-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
«Revenez à moi de tout votre cœur, […] revenez au Seigneur votre Dieu » (Jl 2, 12.13): c’est le cri par lequel le prophète Joël s’adresse au peuple au nom du Seigneur; personne ne pouvait se sentir exclu: «Rassemblez les anciens, réunissez petits enfants et nourrissons; […] le jeune époux […] et la jeune mariée » (v. 16). Tout le peuple fidèle est convoqué pour se mettre en chemin et adorer son Dieu, «car il est tendre et miséricordieux, lent à la colère et plein d’amour » (v. 13).
Nous voulons nous aussi nous faire l’écho de cet appel, nous voulons revenir au cœur miséricordieux du Père. En ce temps de grâce que nous commençons aujourd’hui, fixons une fois encore notre regard sur sa miséricorde. La Carême est un chemin: il nous conduit à la victoire de la miséricorde sur tout ce qui cherche à nous écraser ou à nous réduire à quelque chose qui ne convient pas à la dignité des fils de Dieu. Le Carême est la route de l’esclavage à la liberté, de la souffrance à la joie, de la mort à la vie. Le geste des cendres par lequel nous nous mettons en chemin nous rappelle notre condition d’origine: nous avons été tirés de la terre, nous sommes faits de poussière. Oui, mais poussière dans les mains amoureuses de Dieu qui souffle son Esprit de vie sur chacun de nous et veut continuer à le faire; il veut continuer à nous donner ce souffle de vie qui nous sauve des autres types de souffle: l’asphyxie étouffante provoquée par nos égoïsmes, asphyxie étouffante générée par des ambitions mesquines et des indifférences silencieuses; asphyxie qui étouffe l’esprit, réduit l’horizon et anesthésie les battements du cœur. Le souffle de la vie de Dieu nous sauve de cette asphyxie qui éteint notre foi, refroidit notre charité et détruit notre espérance. Vivre le Carême c’est désirer ardemment ce souffle de vie que notre Père ne cesse de nous offrir dans la fange de notre histoire.
Le souffle de la vie de Dieu nous libère de cette asphyxie dont, souvent nous ne sommes pas conscients, et que nous sommes même habitués à «normaliser», même si ses effets se font sentir; cela nous semble «normal» car nous sommes habitués à respirer un air où l’espérance est raréfiée, un air de tristesse et de résignation, un air étouffant de panique et d’hostilité.
Le Carême est le temps pour dire non. Non à l’asphyxie de l’esprit par la pollution causée par l’indifférence, par la négligence à penser que la vie de l’autre ne me regarde pas, par toute tentative de banaliser la vie, spécialement celle de ceux qui portent dans leur chair le poids de tant de superficialité. Le Carême veut dire non à la pollution intoxicante des paroles vides et qui n’ont pas de sens, de la critique grossière et rapide, des analyses simplistes qui ne réussissent pas à embrasser la complexité des problèmes humains, spécialement les problèmes de tous ceux qui souffrent le plus. Le Carême est le temps pour dire non; non à l’asphyxie d’une prière qui nous tranquillise la conscience, d’une aumône qui nous rend satisfaits, d’un jeûne qui nous fait nous sentir bien. Le Carême est le temps pour dire non à l’asphyxie qui nait des intimismes qui excluent, qui veulent arriver à Dieu en esquivant les plaies du Christ présentes dans les plaies des frères: ces spiritualités qui réduisent la foi à une culture de ghetto et d’exclusion.
Le Carême est le temps de la mémoire, c’est le temps pour penser et nous demander: qu’en serait-il de nous si Dieu nous avait fermé la porte. Qu’en serait-il de nous sans sa miséricorde qui ne s’est pas lassée de pardonner et qui nous a toujours donné l’occasion de recommencer à nouveau? Le Carême est le temps pour nous demander: où serions-nous sans l’aide de tant de visages silencieux qui, de mille manières, nous ont tendu la main et qui, par des gestes très concrets, nous ont redonné l’espérance et nous ont aidé à recommencer?
Le Carême est le temps pour recommencer à respirer, c’est le temps pour ouvrir le cœur au souffle de l’Unique capable de transformer notre poussière en humanité. Il n’est pas le temps pour déchirer nos vêtements face au mal qui nous entoure, mais plutôt pour faire de la place dans notre vie à tout le bien que nous pouvons faire, nous dépouillant de tout ce qui nous isole, nous ferme et nous paralyse. Le Carême est le temps de la compassion pour dire avec le psalmiste: «Rends-moi la joie d’être sauvé, que l’esprit généreux me soutienne », pour que par notre vie nous proclamions ta louange (cf. Ps 51, 14), et pour que notre poussière – par la force de ton souffle de vie – se transforme en «poussière aimée».
[00300-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“Return to me with all your heart… return to the Lord” (Jl 2:12, 13). The prophet Joel makes this plea to the people in the Lord’s name. No one should feel excluded: “Assemble the aged, gather the children, even infants at the breast, the bridegroom… and the bride” (v. 16). All the faithful people are summoned to come and worship their God, “for he is gracious and merciful, slow to anger and abounding in steadfast love” (v. 13).
We too want to take up this appeal; we want to return to the merciful heart of the Father. In this season of grace that begins today, we once again turn our eyes to his mercy. Lent is a path: it leads to the triumph of mercy over all that would crush us or reduce us to something unworthy of our dignity as God’s children. Lent is the road leading from slavery to freedom, from suffering to joy, from death to life. The mark of the ashes with which we set out reminds us of our origin: we were taken from the earth, we are made of dust. True, yet we are dust in the loving hands of God, who has breathed his spirit of life upon each one of us, and still wants to do so. He wants to keep giving us that breath of life that saves us from every other type of breath: the stifling asphyxia brought on by our selfishness, the stifling asphyxia generated by petty ambition and silent indifference – an asphyxia that smothers the spirit, narrows our horizons and slows the beating of our hearts. The breath of God’s life saves us from this asphyxia that dampens our faith, cools our charity and strangles every hope. To experience Lent is to yearn for this breath of life that our Father unceasingly offers us amid the mire of our history.
The breath of God’s life sets us free from the asphyxia that so often we fail to notice, or become so used to that it seems normal, even when its effects are felt. We think it is normal because we have grown so accustomed to breathing air in which hope has dissipated, the air of glumness and resignation, the stifling air of panic and hostility.
Lent is the time for saying no. No to the spiritual asphyxia born of the pollution caused by indifference, by thinking that other people’s lives are not my concern, and by every attempt to trivialize life, especially the lives of those whose flesh is burdened by so much superficiality. Lent means saying no to the toxic pollution of empty and meaningless words, of harsh and hasty criticism, of simplistic analyses that fail to grasp the complexity of problems, especially the problems of those who suffer the most. Lent is the time to say no to the asphyxia of a prayer that soothes our conscience, of an almsgiving that leaves us self-satisfied, of a fasting that makes us feel good. Lent is the time to say no to the asphyxia born of relationships that exclude, that try to find God while avoiding the wounds of Christ present in the wounds of his brothers and sisters: in a word, all those forms of spirituality that reduce the faith to a ghetto culture, a culture of exclusion.
Lent is a time for remembering. It is the time to reflect and ask ourselves what we would be if God had closed his doors to us. What would we be without his mercy that never tires of forgiving us and always gives us the chance to begin anew? Lent is the time to ask ourselves where we would be without the help of so many people who in a thousand quiet ways have stretched out their hands and in very concrete ways given us hope and enabled us to make a new beginning?
Lent is the time to start breathing again. It is the time to open our hearts to the breath of the One capable of turning our dust into humanity. It is not the time to rend our garments before the evil all around us, but instead to make room in our life for all the good we are able to do. It is a time to set aside everything that isolates us, encloses us and paralyzes us. Lent is a time of compassion, when, with the Psalmist, we can say: “Restore to us the joy of your salvation, sustain in us a willing spirit”, so that by our lives we may declare your praise (cf. Ps 51:12.15), and our dust – by the power of your breath of life - may become a “dust of love”.
[00300-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
»Kehrt um zu mir von ganzem Herzen, […] kehrt um zum Herrn« (Joël 2,12.13): Das ist der Ruf, mit dem sich der Prophet Joël im Namen des Herrn an das Volk wendet. Keiner konnte sich ausgenommen fühlen: »Versammelt die Alten, holt die Kinder zusammen, auch die Säuglinge; […] Bräutigam […] und Braut« (V. 16). Das ganze gläubige Volk ist aufgerufen, sich auf den Weg zu machen und seinen Gott anzubeten, »denn er ist gnädig und barmherzig, langmütig und reich an Huld« (V. 13).
Auch wir wollen diesem Aufruf Gehör verschaffen; wir wollen zurückkehren zum erbarmungsvollen Herzen des Vaters. In dieser Gnadenzeit, die wir heute beginnen, richten wir wieder unseren Blick auf seine Barmherzigkeit. Die Fastenzeit ist ein Weg: Sie führt uns zum Sieg der Barmherzigkeit über alles, was uns zu erdrücken sucht oder was uns zu irgend einer Sache machen will, die nicht unserer Würde als Kinder Gottes entspricht. Die Fastenzeit ist die Straße von der Knechtschaft in die Freiheit, vom Leiden zur Freude, vom Tod zum Leben. Das Zeichen der Asche, mit dem wir uns auf den Weg machen, erinnert uns an unsere ursprüngliche Situation: Wir sind von der Erde genommen, wir sind Staub. Ja, aber Staub in den liebenden Händen Gottes, der seinen Lebensgeist über jeden von uns blies und dies auch weiter tun will. Er will fortfahren, uns diesen Lebensatem zu geben, der uns vor anderen Weisen des Atemholens bewahrt: der Beklemmung, die durch unsere Egoismen hervorgerufen wird; dem Um-Luft-Ringen, das durch kläglichen Ehrgeiz und stumme Teilnahmslosigkeit hervorgerufen wird; der Atemnot, die den Geist erstickt, den Horizont verengt, den Herzschlag einschlafen lässt. Der Lebensatem Gottes rettet uns vor dieser Luftnot, die unseren Glauben auslöscht, unsere Nächstenliebe erkalten lässt und unsere Hoffnung vernichtet. Die Fastenzeit leben heißt nach diesem Lebensatem lechzen, den unser Vater uns unaufhörlich im Schmutz unserer Geschichte darbietet.
Der Lebensatem Gottes befreit uns von jener Luftnot, die uns so oft nicht bewusst ist und die wir in unserer Gewohnheit sogar als „normal“ ansehen, auch wenn ihre Wirkungen zu spüren sind. Sie scheint uns „normal“, weil wir uns daran gewöhnt haben, Luft zu atmen, wo die Hoffnung dünn geworden ist; Luft, die von Traurigkeit und Resignation belastet ist; Luft, die voll Angst und Feindseligkeit stickig ist.
Die Fastenzeit ist die Zeit, nein zu sagen. Nein zur Erstickung des Geistes wegen der Luftverschmutzung, die durch die Teilnahmslosigkeit verursacht wird oder durch die Nachlässigkeit, zu denken, dass das Leben des Anderen mich nichts angeht. Nein zur Erstickung des Geistes wegen jedes Versuchs, das Leben zu banalisieren, besonders bei denen, die am eigenen Fleisch die Last großer Oberflächlichkeit tragen. Die Fastenzeit will nein sagen zur giftigen Luftverschmutzung der leeren Worte und des sinnlosen Redens, der rüden und vorschnellen Kritik, der allzu simplen Rezepte, die die Vielschichtigkeit der Probleme der Menschen nicht zu erfassen vermögen, besonders derjenigen, die am meisten leiden. Die Fastenzeit ist die Zeit, nein zu sagen; nein zur Beklemmung durch ein Beten, das unser Gewissen ruhig stellt, und durch ein Almosengeben, das uns falsche Befriedigung schenkt; nein zur Atemnot durch ein Fasten, das uns das Gefühl gibt, dass alles in Ordnung ist. Die Fastenzeit ist die Zeit, nein zu sagen zur Erstickung, die von missverstandener Innerlichkeit herrührt, die ausschließt und zu Gott gelangen will, indem sie den Wunden Christi in den Wunden seiner Brüder und Schwestern ausweicht. Dies sind jene Formen von Spiritualität, die den Glauben zu einer Ghetto- und Ausschließungskultur machen.
Die Fastenzeit ist eine Zeit des Erinnerns. Sie ist die Zeit, nachzudenken und sich zu fragen: Was wäre mit uns, wenn Gott uns die Türen versperrt hätte? Was wäre mit uns ohne seine Barmherzigkeit, die nicht müde wird, uns zu verzeihen, und uns immer die Möglichkeit gibt, immer wieder neu anzufangen? Die Fastenzeit ist die Zeit, sich zu fragen: Wo wären wir ohne den Beistand so vieler stiller Gesichter, die uns auf tausendfache Weise die Hand hingestreckt und uns mit ganz konkreten Taten wieder Hoffnung geschenkt, uns geholfen haben, wieder neu anzufangen?
Die Fastenzeit ist die Zeit, um wieder durchzuatmen. Sie ist die Zeit, um das Herz dem Atem des Einzigen zu öffnen, der fähig ist, unseren Staub in Menschsein zu verwandeln. Es ist nicht die Zeit, um sich die Kleider zu zerreißen angesichts des Bösen, das uns umgibt; es geht vielmehr darum, in unserem Leben all dem Guten, das wir wirken können, Raum zu geben, indem wir uns dessen entledigen, was uns isoliert, uns verschließt und uns lähmt. Die Fastenzeit ist die Zeit des Mitfühlens, um mit dem Psalmisten zu sprechen: Herr, gib uns wieder die Freude deines Heils, rüste uns aus mit dem Geist der Großmut, damit wir mit unserem Leben dein Lob verkünden (vgl. Ps 51,14.17) und unser Staub – kraft deines Lebensatems – zu einem in dich „verliebten Staub“ wird.
[00300-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
«Volved a mí de todo corazón… volved a mí» (Jl 2,12), es el clamor con el que el profeta Joel se dirige al pueblo en nombre del Señor; nadie podía sentirse excluido: llamad a los ancianos, reunid a los pequeños y a los niños de pecho y al recién casado (cf. v. 6). Todo el Pueblo fiel es convocado para ponerse en marcha y adorar a su Dios que es «compasivo y misericordioso, lento a la cólera y rico en piedad» (v.13).
También nosotros queremos hacernos eco de este llamado; queremos volver al corazón misericordioso del Padre. En este tiempo de gracia que hoy comenzamos, fijamos una vez más nuestra mirada en su misericordia. La cuaresma es un camino: nos conduce a la victoria de la misericordia sobre todo aquello que busca aplastarnos o rebajarnos a cualquier cosa que no sea digna de un hijo de Dios. La cuaresma es el camino de la esclavitud a la libertad, del sufrimiento a la alegría, de la muerte a la vida. El gesto de las cenizas, con el que nos ponemos en marcha, nos recuerda nuestra condición original: hemos sido tomados de la tierra, somos de barro. Sí, pero barro en las manos amorosas de Dios que sopló su espíritu de vida sobre cada uno de nosotros y lo quiere seguir haciendo; quiere seguir dándonos ese aliento de vida que nos salva de otro tipo de aliento: la asfixia sofocante provocada por nuestros egoísmos; asfixia sofocante generada por mezquinas ambiciones y silenciosas indiferencias, asfixia que ahoga el espíritu, reduce el horizonte y anestesia el palpitar del corazón. El aliento de la vida de Dios nos salva de esta asfixia que apaga nuestra fe, enfría nuestra caridad y cancela nuestra esperanza. Vivir la cuaresma es anhelar ese aliento de vida que nuestro Padre no deja de ofrecernos en el fango de nuestra historia.
El aliento de la vida de Dios nos libera de esa asfixia de la que muchas veces no somos conscientes y que, incluso, nos hemos acostumbrado a «normalizar», aunque sus signos se hacen sentir; y nos parece «normal» porque nos hemos acostumbrado a respirar un aire cargado de falta de esperanza, aire de tristeza y de resignación, aire sofocante de pánico y aversión.
Cuaresma es el tiempo para decir «no». No, a la asfixia del espíritu por la polución que provoca la indiferencia, la negligencia de pensar que la vida del otro no me pertenece por lo que intento banalizar la vida especialmente la de aquellos que cargan en su carne el peso de tanta superficialidad. La cuaresma quiere decir «no» a la polución intoxicante de las palabras vacías y sin sentido, de la crítica burda y rápida, de los análisis simplistas que no logran abrazar la complejidad de los problemas humanos, especialmente los problemas de quienes más sufren. La cuaresma es el tiempo de decir «no»; no, a la asfixia de una oración que nos tranquilice la conciencia, de una limosna que nos deje satisfechos, de un ayuno que nos haga sentir que hemos cumplido. Cuaresma es el tiempo de decir no a la asfixia que nace de intimismos excluyentes que quieren llegar a Dios saltándose las llagas de Cristo presentes en las llagas de sus hermanos: esas espiritualidades que reducen la fe a culturas de gueto y exclusión.
Cuaresma es tiempo de memoria, es el tiempo de pensar y preguntarnos: ¿Qué sería de nosotros si Dios nos hubiese cerrado las puertas? ¿Qué sería de nosotros sin su misericordia que no se ha cansado de perdonarnos y nos dio siempre una oportunidad para volver a empezar? Cuaresma es el tiempo de preguntarnos: ¿Dónde estaríamos sin la ayuda de tantos rostros silenciosos que de mil maneras nos tendieron la mano y con acciones muy concretas nos devolvieron la esperanza y nos ayudaron a volver a empezar?
Cuaresma es el tiempo para volver a respirar, es el tiempo para abrir el corazón al aliento del único capaz de transformar nuestro barro en humanidad. No es el tiempo de rasgar las vestiduras ante el mal que nos rodea sino de abrir espacio en nuestra vida para todo el bien que podemos generar, despojándonos de aquello que nos aísla, encierra y paraliza. Cuaresma es el tiempo de la compasión para decir con el salmista: «Devuélvenos Señor la alegría de la salvación, afiánzanos con espíritu generoso para que con nuestra vida proclamemos tu alabanza»; y nuestro barro —por la fuerza de tu aliento de vida— se convierta en «barro enamorado».
[00300-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
«Convertei-vos a Mim de todo o coração, (...) convertei-vos ao Senhor» (Jl 2, 12.13): é o grito com que o profeta Joel se dirige ao povo em nome do Senhor; ninguém podia sentir-se excluído: «Juntai os anciãos, congregai os pequeninos e os meninos de peito, (…) o esposo (…) e a esposa» (Jl 2, 16). Todo o povo fiel é convocado para se pôr a caminho e adorar o seu Deus, «porque Ele é clemente e compassivo, paciente e rico em misericórdia» (Jl 2, 13).
Queremos também nós fazer ecoar este apelo, queremos voltar ao coração misericordioso do Pai. Neste tempo de graça que hoje iniciamos, fixemos uma vez mais o nosso olhar na sua misericórdia. A Quaresma é um caminho: conduz-nos à vitória da misericórdia sobre tudo o que procura esmagar-nos ou reduzir-nos a outra coisa qualquer que não corresponda à dignidade de filhos de Deus. A Quaresma é a estrada da escravidão à liberdade, do sofrimento à alegria, da morte à vida. O gesto das cinzas, com que nos colocamos a caminho, lembra-nos a nossa condição original: fomos tirados da terra, somos feitos de pó. Sim, mas pó nas mãos amorosas de Deus, que soprou o seu espírito de vida sobre cada um de nós e quer continuar a fazê-lo; quer continuar a dar-nos aquele sopro de vida que nos salva de outros tipos de sopro: a asfixia sufocante causada pelos nossos egoísmos, asfixia sufocante gerada por ambições mesquinhas e silenciosas indiferenças; asfixia que sufoca o espírito, estreita o horizonte e anestesia o palpitar do coração. O sopro da vida de Deus salva-nos desta asfixia que apaga a nossa fé, resfria a nossa caridade e cancela a nossa esperança. Viver a Quaresma é ansiar por este sopro de vida que o nosso Pai não cessa de nos oferecer na lama da nossa história.
O sopro da vida de Deus liberta-nos daquela asfixia de que muitas vezes nem estamos conscientes, habituando-nos até a «olhá-la como normal», apesar dos seus efeitos que se fazem sentir; parece-nos «normal», porque nos habituamos a respirar um ar em que a esperança é rarefeita, ar de tristeza e resignação, ar sufocante de pânico e hostilidade.
A Quaresma é o tempo para dizer não. Não à asfixia do espírito pela poluição causada pela indiferença, pela negligência de pensar que a vida do outro não me diz respeito; por toda a tentativa de banalizar a vida, especialmente a daqueles que carregam na sua própria carne o peso de tanta superficialidade. A Quaresma significa não à poluição intoxicante das palavras vazias e sem sentido, da crítica grosseira e superficial, das análises simplistas que não conseguem abraçar a complexidade dos problemas humanos, especialmente os problemas de quem mais sofre. A Quaresma é o tempo de dizer não; não à asfixia duma oração que nos tranquilize a consciência, duma esmola que nos deixe satisfeitos, dum jejum que nos faça sentir bem. A Quaresma é o tempo de dizer não à asfixia que nasce de intimismos que excluem, que querem chegar a Deus esquivando-se das chagas de Cristo presentes nas chagas dos seus irmãos: espiritualidades que reduzem a fé a culturas de gueto e exclusão.
A Quaresma é tempo de memória, é o tempo para pensar perguntando-nos: Que seria de nós se Deus nos tivesse fechado as portas? Que seria de nós sem a sua misericórdia, que não se cansou de perdoar-nos e sempre nos deu uma oportunidade para começar de novo? A Quaresma é o tempo para nos perguntarmos: Onde estaríamos nós sem a ajuda de tantos rostos silenciosos que nos estenderam a mão de mil modos e, com ações muito concretas, nos devolveram a esperança e ajudaram a recomeçar?
A Quaresma é o tempo para voltar a respirar, é o tempo para abrir o coração ao sopro do Único capaz de transformar o nosso pó em humanidade. É o tempo não tanto para rasgar as vestes frente ao mal que nos rodeia, como sobretudo para dar espaço na nossa vida a todo o bem que possamos realizar, despojando-nos daquilo que nos isola, fecha e paralisa. A Quaresma é o tempo da compaixão para dizer com o salmista: «Dai-nos [, Senhor,] a alegria da vossa salvação, sustentai-nos com um espírito generoso», a fim de proclamarmos com a nossa vida o vosso louvor (cf. Sal 51/50, 14), e que o nosso pó – pela força do vosso sopro de vida – se transforme em «pó enamorado».
[00300-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Nawróćcie się do mnie całym swym sercem, [...] Nawróćcie się do Pana Boga waszego! (Jl 2,12.13): to wołanie, z jakim prorok Joel zwraca się do ludu w imieniu Pana; nikt nie mógł czuć się wyłączony: „Zgromadźcie starców, zbierzcie dzieci i ssących piersi; [...] oblubieńca [...] i oblubienicę” (w. 16). Cały lud wierny jest wezwany, by wyruszyć w drogę i czcić swojego Boga, „On bowiem jest łaskawy, miłosierny, nieskory do gniewu i wielki w łaskawości” (w. 13)
Także i my chcemy odpowiedzieć na to wezwanie, chcemy powrócić do miłosiernego serca Ojca. W tym rozpoczynającym się dzisiaj okresie łaski po raz kolejny kierujemy nasz wzrok ku Jego miłosierdziu. Wielki Post jest drogą: prowadzi nas ona do zwycięstwa miłosierdzia nad tym wszystkim, co usiłuje nas powalić lub sprowadzić do jakiejś rzeczy, która byłaby sprzeczna z godnością dzieci Bożych. Wielki Post jest drogą od niewoli ku wolności, od cierpienia ku radości, od śmierci do życia. Posypanie głów popiołem, z którym wyruszyliśmy w drogę, przypomina nam o naszym stanie pierwotnym: zostaliśmy uczynieni z ziemi, zostaliśmy uczynieni z prochu. Tak, to prawda, ale z prochu w miłujących rękach Boga, który tchnął swe tchnienie życia nad każdym z nas i pragnie czynić tak nadal. Pragnie nadal obdarzać nas tym tchnieniem życia, które nas ocala od innych rodzajów tchnienia: przytłaczającej asfiksji spowodowanej naszym egoizmem, duszącej asfiksji zrodzonej z naszych małostkowych ambicji i milczącej obojętności; asfiksji, która tłumi ducha, ogranicza perspektywę i znieczula bicie serca. Boże tchnienie życia ocala nas od tej asfiksji, która gasi naszą wiarę, oziębia naszą miłość i przekreśla naszą nadzieję. Życie Wielkim Postem jest tęsknotą za tym tchnieniem życia, którym nasz Ojciec nie przestaje nas obdarzać w błocie naszej historii.
Boże tchnienie życia wyzwala nas od tej asfiksji, z której wiele razy zdajemy sobie sprawę, a nawet do której „normalizowania” jesteśmy przyzwyczajeni, chociaż jej skutki są odczuwalne. Zdaje się nam „normalna”, ponieważ jesteśmy przyzwyczajeni do oddychania powietrzem, w którym nadzieja jest rozrzedzona, powietrzem smutku i rezygnacji, dusznym powietrzem paniki i wrogości.
Wielki Post to czas, aby powiedzieć „nie”. Nie dla asfiksji ducha z powodu skażenia spowodowanego obojętnością, beztroskim myśleniem, że życie drugiej osoby mnie nie dotyczy; z powodu wszelkich prób banalizacji życia, zwłaszcza życia tych, którzy noszą we własnym ciele ciężar wielkiej powierzchowności. Wielki Post oznacza „nie” dla trującego skażenia słów pustych i bezsensownych, brutalnej i pospiesznej krytyki oraz uproszczonych analiz, które nie potrafią ogarnąć złożoności ludzkich problemów, zwłaszcza problemów ludzi, którzy cierpią najbardziej. Wielki Post to czas, aby powiedzieć „nie”: nie dla asfiksji modlitwy, która uspokajałaby sumienie, jałmużny, która sprawiałaby samozadowolenie, postu, który powodowałby poczucie, że jesteśmy w porządku. Wielki Post to czas, aby powiedzieć „nie” asfiksji, rodzącej się z religijnych przeżyć, które wykluczają, które chcą dotrzeć do Boga unikając ran Chrystusa obecnego w ranach swoich braci: tych duchowości, które sprowadzają wiarę do kultur getta i wykluczenia.
Wielki Post to czas pamięci, to czas, aby pomyśleć i zadać sobie pytanie: co by stało się z nami, gdyby Bóg zamknął przed nami drzwi? Co by stało się z nami, bez Jego miłosierdzia, które niestrudzenie nam przebacza i zawsze daje nam szansę, by zacząć od nowa? Wielki Post to czas, by zadać sobie pytanie: gdzie bylibyśmy bez pomocy tak wielu milczących twarzy, które na tysiąc sposobów, wyciągnęły do nas rękę i poprzez bardzo konkretne działania dały nam ponownie nadzieję i pomogły nam zacząć od nowa?
Wielki Post to czas, aby znów oddychać, to czas, aby otworzyć swoje serce na tchnienie Jedynego, który może przekształcić nasz ludzki proch w człowieczeństwo. Nie jest to okres rozdzierania swych szat przed otaczającym nas złem, ale raczej uczynienia miejsca w naszym życiu na całe dobro, jakiego możemy dokonać, ogałacając się z tego, co nas oddziela, blokuje i paraliżuje. Wielki Post jest czasem współczucia, by powiedzieć wraz z Psalmistą: „Przywróć mi [Panie] radość z Twojego zbawienia i wzmocnij mnie duchem ofiarnym”, abyśmy naszym życiem głosili Twoją chwałę (por. Ps 51,14), a nasz proch na mocy Twego tchnienia życia przemienił się w „proch rozmiłowany”.
[00300-PL.01] [Testo originale: Italiano]
[B0130-XX.02]