Omelia del Santo Padre
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Alle ore 17.30 di oggi, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della 50.ma Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione (cfr. 2 Corinzi, 5, 14-20)
Hanno preso parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.
Al termine dei Vespri, prima della benedizione apostolica, l’Em.mo Card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha rivolto al Santo Padre un indirizzo di saluto.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della celebrazione:
Omelia del Santo Padre
L’incontro con Gesù sulla strada verso Damasco trasforma radicalmente la vita di Paolo. Da quel momento in poi, per lui il significato dell’esistenza non sta più nell’affidarsi alle proprie forze per osservare scrupolosamente la Legge, ma nell’aderire con tutto sé stesso all’amore gratuito e immeritato di Dio, a Gesù Cristo crocifisso e risorto. Così egli conosce l’irrompere di una nuova vita, la vita secondo lo Spirito, nella quale, per la potenza del Signore Risorto, sperimenta perdono, confidenza e conforto. E Paolo non può tenere per sé questa novità: è spinto dalla grazia a proclamare la lieta notizia dell’amore e della riconciliazione che Dio offre pienamente in Cristo all’umanità.
Per l’Apostolo delle genti la riconciliazione dell’uomo con Dio, di cui egli è divenuto ambasciatore (cfr 2 Cor 5,20), è un dono che viene da Cristo. Ciò appare con chiarezza nel testo della Seconda Lettera ai Corinzi, dal quale è tratto quest’anno il tema della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani: “L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione” (cfr 2 Cor 5,14-20). “L’amore di Cristo”: non si tratta del nostro amore per Cristo, ma dell’amore che Cristo ha per noi. Allo stesso modo, la riconciliazione verso cui siamo spinti non è semplicemente nostra iniziativa: è in primo luogo la riconciliazione che Dio ci offre in Cristo. Prima di essere uno sforzo umano di credenti che cercano di superare le loro divisioni, è un dono gratuito di Dio. Come effetto di questo dono la persona, perdonata e amata, è chiamata a sua volta a proclamare il vangelo della riconciliazione in parole e opere, a vivere e testimoniare un’esistenza riconciliata.
In questa prospettiva, possiamo oggi chiederci: come proclamare questo vangelo di riconciliazione dopo secoli di divisioni? È lo stesso Paolo ad aiutarci a trovare la via. Egli sottolinea che la riconciliazione in Cristo non può avvenire senza sacrificio. Gesù ha dato la sua vita, morendo per tutti. Similmente, gli ambasciatori di riconciliazione sono chiamati, nel suo nome, a dare la vita, a non vivere più per sé stessi, ma per Colui che è morto e risorto per loro (cfr 2 Cor 5,14-15). Come Gesù insegna, è solo quando perdiamo la vita per amore suo che la guadagniamo davvero (cfr Lc 9,24). È la rivoluzione che Paolo ha vissuto, ma è la rivoluzione cristiana di sempre: non vivere più per noi stessi, per i nostri interessi e ritorni di immagine, ma ad immagine di Cristo, per Lui e secondo Lui, col suo amore e nel suo amore.
Per la Chiesa, per ogni confessione cristiana è un invito a non basarsi sui programmi, sui calcoli e sui vantaggi, a non affidarsi alle opportunità e alle mode del momento, ma a cercare la via guardando sempre alla croce del Signore: sta lì il nostro programma di vita. È un invito anche ad uscire da ogni isolamento, a superare la tentazione dell’autoreferenzialità, che impedisce di cogliere ciò che lo Spirito Santo opera al di fuori dei propri spazi. Un’autentica riconciliazione tra i cristiani potrà realizzarsi quando sapremo riconoscere i doni gli uni degli altri e saremo capaci, con umiltà e docilità, di imparare gli uni dagli altri - imparare gli uni dagli altri -, senza attendere che siano gli altri a imparare prima da noi.
Se viviamo questo morire a noi stessi per Gesù, il nostro vecchio stile di vita viene relegato al passato e, come è accaduto a san Paolo, entriamo in una nuova forma di esistenza e di comunione. Con Paolo potremo dire: «Le cose vecchie sono passate» (2 Cor 5,17). Guardare indietro è d’aiuto e quanto mai necessario per purificare la memoria, ma fissarsi sul passato, attardandosi a ricordare i torti subiti e fatti e giudicando con parametri solo umani, può paralizzare e impedire di vivere il presente. La Parola di Dio ci incoraggia a trarre forza dalla memoria, a ricordare il bene ricevuto dal Signore; ma ci chiede anche di lasciarci alle spalle il passato per seguire Gesù nell’oggi e vivere una vita nuova in Lui. Permettiamo a Colui che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5) di orientarci a un avvenire nuovo, aperto alla speranza che non delude, un avvenire in cui le divisioni si potranno superare e i credenti, rinnovati nell’amore, saranno pienamente e visibilmente uniti.
Mentre camminiamo sulla via dell’unità, quest’anno ricordiamo in modo particolare il quinto centenario della Riforma protestante. Il fatto che oggi cattolici e luterani possano ricordare insieme un evento che ha diviso i cristiani, e lo facciano con speranza, ponendo l’accento su Gesù e sulla sua opera di riconciliazione, è un traguardo notevole, raggiunto grazie a Dio e alla preghiera, attraverso cinquant’anni di conoscenza reciproca e di dialogo ecumenico.
Nell’invocare da Dio il dono della riconciliazione con Lui e tra di noi, rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, a Sua Grazia David Moxon, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali qui convenuti. Mi è particolarmente gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si sta svolgendo in questi giorni. Saluto anche gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey - tanto gioiosi, li ho visti questa mattina -, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che studiano a Roma grazie alle borse di studio del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese ortodosse, che opera presso il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Ai Superiori e a tutti i Collaboratori di questo Dicastero esprimo la mia stima e la mia gratitudine.
Cari fratelli e sorelle, la nostra preghiera per l’unità dei cristiani è partecipazione alla preghiera che Gesù ha rivolto al Padre prima della passione «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Non stanchiamoci mai di chiedere a Dio questo dono. Nella paziente e fiduciosa attesa che il Padre conceda a tutti i credenti il bene della piena comunione visibile, andiamo avanti nel nostro cammino di riconciliazione e di dialogo, incoraggiati dalla testimonianza eroica di tanti fratelli e sorelle, uniti ieri e oggi nel soffrire per il nome di Gesù. Approfittiamo di ogni occasione che la Provvidenza ci offre per pregare insieme, per annunciare insieme, per amare e servire insieme, soprattutto chi è più povero e trascurato.
[00138-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
La rencontre avec Jésus sur la route vers Damas transforme radicalement la vie de Paul. À partir de ce moment, pour lui la signification de l’existence ne réside plus dans la confiance en ses propres forces pour observer scrupuleusement la Loi, mais dans l’adhésion de toute sa personne à l’amour gratuit et immérité de Dieu, à Jésus Christ crucifié et ressuscité. Ainsi, il connaît l’irruption d’une nouvelle vie, la vie selon l’Esprit, dans laquelle, par la puissance du Seigneur ressuscité, il fait l’expérience du pardon, de la familiarité et du réconfort. Et Paul ne peut garder pour lui-même cette nouveauté: il est poussé par la grâce à proclamer la joyeuse nouvelle de l’amour et de la réconciliation que Dieu offre pleinement dans le Christ à l’humanité.
Pour l’Apôtre des nations la réconciliation de l’homme avec Dieu, dont il est devenu ambassadeur (cf. 2 Cor 5, 20), est un don qui vient du Christ. Cela apparaît avec clarté dans le texte de la Deuxième Lettre aux Corinthiens, dont est extrait cette année le thème de la Semaine de prière pour l’unité des chrétiens: ‘‘L’amour du Christ nous pousse à la réconciliation’’ (cf. 2 Cor 5, 14-20). ‘‘L’amour du Christ’’: il ne s’agit pas de notre amour pour le Christ, mais de l’amour que le Christ a pour nous. De même, la réconciliation vers laquelle nous sommes poussés n’est pas simplement notre initiative: c’est en premier lieu la réconciliation que Dieu nous offre dans le Christ. Avant d’être un effort humain de croyants qui cherchent à surmonter leurs divisions, c’est un don gratuit de Dieu. Comme effet de ce don, la personne, pardonnée et aimée, est appelée à son tour à proclamer l’évangile de la réconciliation en paroles et en actes, à vivre et à témoigner d’une existence réconciliée.
Dans cette perspective, nous pouvons nous demander aujourd’hui: comment proclamer cet évangile de réconciliation après des siècles de divisions? C’est Paul lui-même qui nous aide à trouver la voie. Il souligne que la réconciliation dans le Christ ne peut se réaliser sans sacrifice. Jésus a donné sa vie, en mourant pour tous. De même, les ambassadeurs de la réconciliation sont appelés, en son nom, à donner leur vie, à ne plus vivre pour eux-mêmes, mais pour Celui qui est mort et ressuscité pour eux (cf. 2 Cor 5, 14-15). Comme Jésus l’enseigne, ce n’est que lorsque nous perdons la vie par amour pour lui que nous la gagnons vraiment (cf. Lc 9, 24). C’est la révolution que Paul a vécue, mais c’est la révolution chrétienne de toujours: ne plus vivre pour nous-mêmes, pour nos intérêts et retours d’image, mais à l’image du Christ, pour lui et selon lui, avec son amour et dans son amour.
Pour l’Église, pour chaque confession chrétienne, c’est une invitation à ne pas se fonder sur les programmes, sur les calculs et les avantages, à ne pas se fier aux opportunités et aux modes du moment, mais à chercher la vie en regardant toujours la croix du Seigneur: voilà notre programme de vie. C’est également une invitation à sortir de tout isolement, à surmonter la tentation de l’autoréférentialité, qui empêche de saisir ce que l’Esprit Saint réalise hors des milieux de chacun. Une réconciliation authentique parmi les chrétiens pourra se réaliser lorsque nous saurons reconnaître les dons les uns des autres et que nous serons capables, avec humilité et docilité, d’apprendre les uns des autres - apprendre les uns des autres -, sans attendre que ce soient les autres qui apprennent d’abord de nous.
Si nous vivons cette mort à nous-mêmes pour Jésus, notre vieux style de vie est relégué dans le passé et, comme cela est arrivé à saint Paul, nous entrons dans une nouvelle forme d’existence et de communion. Avec Paul, nous pourrons dire: «Le monde ancien s’en est allé» (2 Cor 5, 17). Jeter un regard en arrière aide et est d’autant plus nécessaire pour purifier la mémoire, mais être rivé au passé, en s’attardant à rappeler les torts subis et faits et en jugeant avec des paramètres uniquement humains, peut paralyser et empêcher de vivre le présent. La Parole de Dieu nous encourage à tirer force de la mémoire, à nous rappeler le bien reçu du Seigneur; mais elle nous demande aussi de laisser derrière nous le passé pour suivre Jésus dans l’aujourd’hui et pour vivre une vie nouvelle en lui. Permettons à Celui qui fait toute chose nouvelle (cf. Ap 21, 5) de nous orienter vers un avenir nouveau, ouvert à l’espérance que ne déçoit pas, un avenir dans lequel les divisions pourront être surmontées et les croyants, renouvelés dans l’amour, seront unis pleinement et de manière visible.
Tandis que nous cheminons sur la voie de l’unité, cette année, nous nous souvenons spécialement du cinquième centenaire de la Réforme protestante. Le fait qu’aujourd’hui catholiques et luthériens puissent se rappeler ensemble un événement qui a divisé les chrétiens, et qu’ils le fassent avec espérance, en mettant l’accent sur Jésus et sur son œuvre de réconciliation, est une étape remarquable, atteinte grâce à Dieu et à la prière, à travers cinquante ans de connaissance réciproque et de dialogue œcuménique.
En invoquant de Dieu le don de la réconciliation avec lui et entre nous, j’adresse mes salutations cordiales et fraternelles à Son Éminence le Métropolite Gennadios, représentant du Patriarche œcuménique, à Sa Grâce David Moxon, représentant personnel à Rome de l’Archevêque de Canterbury, et à tous les représentants des diverses Églises et Communautés ecclésiales ici réunis. Il m’est particulièrement agréable de saluer les membres de la Commission mixte pour le dialogue théologique entre l’Église catholique et les Églises orthodoxes orientales, auxquels je souhaite un fructueux travail pour la session plénière qui se tient ces jours-ci. Je salue également les étudiants de l’Ecumenical Institute of Bossey – si joyeux, je les ai vus ce matin -, en visite à Rome pour approfondir leur connaissance de l’Église catholique, ainsi que les jeunes orthodoxes et les orthodoxes orientaux qui étudient à Rome grâce aux bourses d’étude du Comité de Collaboration Culturelle avec les Églises orthodoxes, qui œuvre auprès du Conseil Pontifical pour la promotion de l’unité des chrétiens. J’exprime mon estime et ma gratitude aux Supérieurs et à tous les Collaborateurs de ce Dicastère.
Chers frères et sœurs, notre prière pour l’unité des chrétiens est une participation à la prière que Jésus a adressée à son Père avant la passion pour «que tous soient un» (Jn 17, 21). Ne nous laissons jamais de demander à Dieu ce don. Dans l’attente patiente et confiante que le Père accordera à tous les croyants le bien de la pleine communion visible, allons de l’avant sur notre chemin de réconciliation et de dialogue, encouragés par le témoignage héroïque de nombreux frères et sœurs, unis hier et aujourd’hui dans la souffrance pour le nom de Jésus. Profitons de chaque moment que la Providence nous offre pour prier ensemble, pour évangéliser ensemble, pour aimer et servir ensemble, surtout qui est plus pauvre et plus délaissé.
[00138-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Encountering Jesus on the road to Damascus radically transformed the life of Saint Paul. Henceforth, for him, the meaning of life would no longer consist in trusting in his own ability to observe the Law strictly, but rather in cleaving with his whole being to the gracious and unmerited love of God: to Jesus Christ, crucified and risen. Paul experienced the in breaking of a new life, life in the Spirit. By the power of the risen Lord, he came to know forgiveness, confidence and consolation. Nor could Paul keep this newness to himself. He was compelled by grace to proclaim the good news of the love and reconciliation that God offers fully in Christ to all humanity.
For the Apostle of the Gentiles, reconciliation with God, whose ambassador he became (cf. 2 Cor 5:20), is a gift from Christ. This is evident in the text of the Second Letter to the Corinthians which inspired the theme of this year’s Week of Prayer for Christian Unity: “Reconciliation – The Love of Christ Compels Us” (cf. 2 Cor 5:14-20). “The love of Christ”: this is not our love for Christ, but rather Christ’s love for us. Nor is the reconciliation to which we are compelled simply our own initiative. Before all else it is the reconciliation that God offers us in Christ. Prior to any human effort on the part of believers who strive to overcome their divisions, it is God’s free gift. As a result of this gift, each person, forgiven and loved, is called in turn to proclaim the Gospel of reconciliation in word and deed, to live and bear witness to a reconciled life.
Today, in the light of this, we can ask: How do we proclaim this Gospel of reconciliation after centuries of division? Paul himself helps us to find the way. He makes clear that reconciliation in Christ requires sacrifice. Jesus gave his life by dying for all. Similarly, ambassadors of reconciliation are called, in his name, to lay down their lives, to live no more for themselves but for Christ who died and was raised for them (cf. 2 Cor 5:14-15). As Jesus teaches, it is only when we lose our lives for love of him that we truly save them (cf. Lk 9:24). This was the revolution experienced by Paul, but it is, and always has been, the Christian revolution. We live no longer for ourselves, for our own interests and “image”, but in the image of Christ, for him and following him, with his love and in his love.
For the Church, for every Christian confession, this is an invitation not to be caught up with programmes, plans and advantages, not to look to the prospects and fashions of the moment, but rather to find the way by constantly looking to the Lord’s cross. For there we discover our programme of life. It is an invitation to leave behind every form of isolation, to overcome all those temptations to self-absorption that prevent us from perceiving how the Holy Spirit is at work outside our familiar surroundings. Authentic reconciliation between Christians will only be achieved when we can acknowledge each other’s gifts and learn from one another, with humility and docility, without waiting for the others to learn first.
If we experience this dying to ourselves for Jesus’ sake, our old way of life will be a thing of the past and, like Saint Paul, we will pass over to a new form of life and fellowship. With Paul, we will be able to say: “the old has passed away” (2 Cor 5:17). To look back is helpful, and indeed necessary, to purify our memory, but to be fixated on the past, lingering over the memory of wrongs done and endured, and judging in merely human terms, can paralyze us and prevent us from living in the present. The word of God encourages us to draw strength from memory and to recall the good things the Lord has given us. But it also asks us to leave the past behind in order to follow Jesus today and to live a new life in him. Let us allow him, who makes all things new (cf. Rev 21:5), to unveil before our eyes a new future, open to the hope that does not disappoint, a future in which divisions can be overcome and believers, renewed in love, will be fully and visibly one.
This year, in our journey on the road to unity, we recall in a special way the fifth centenary of the Protestant Reformation. The fact that Catholics and Lutherans can nowadays join in commemorating an event that divided Christians, and can do so with hope, placing the emphasis on Jesus and his work of atonement, is a remarkable achievement, thanks to God and prayer, and the result of fifty years of growing mutual knowledge and ecumenical dialogue.
As we implore from God the gift of reconciliation with him and with one another, I extend cordial and fraternal greetings to His Eminence Metropolitan Gennadios, the representative of the Ecumenical Patriarchate, to His Grace David Moxon, the personal representative in Rome of the Archbishop of Canterbury, and to all the representatives of the various Churches and Ecclesial Communities gathered here. I am especially pleased to greet the members of the joint Commission for theological dialogue between the Catholic Church and the Oriental Orthodox Churches, and to offer my good wishes for the fruitfulness of the plenary session taking place in these days. I also greet the students of the Ecumenical Institute of Bossey – how joyful they are! I met them this morning; they are visiting Rome to deepen their knowledge of the Catholic Church. Also, the Orthodox and Oriental Orthodox young people studying in Rome thanks to the scholarships provided by the Committee for Cultural Collaboration with the Orthodox Churches, based in the Pontifical Council for Promoting Christian Unity. To the superiors and staff of this Dicastery I express my esteem and gratitude.
Dear brothers and sisters, our prayer for Christian unity is a sharing in Jesus’ own prayer to the Father, on the eve of his passion, “that they may all be one” (Jn 17:21). May we never tire of asking God for this gift. With patient and trusting hope that the Father will grant all Christians the gift of full visible communion, let us press forward in our journey of reconciliation and dialogue, encouraged by the heroic witness of our many brothers and sisters, past and present, who were one in suffering for the name of Jesus. May we take advantage of every occasion that Providence offers us to pray together, to proclaim together, and together to love and serve, especially those who are the most poor and neglected in our midst.
[00138-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Die Begegnung mit Jesus auf der Straße nach Damaskus verwandelt das Leben des heiligen Paulus von Grund auf. Von jenem Moment an liegt für ihn der Sinn seines Daseins nicht mehr darin, auf die eigenen Kräfte zu vertrauen, um peinlich genau das Gesetz zu befolgen, sondern darin, sich ganz und gar an die gegenleistungsfreie und unverdiente Liebe Gottes zu klammern, an den gekreuzigten und auferstandenen Jesus Christus. So erlebt er, wie ein neues Leben anbricht, das Leben nach dem Geist, in dem er durch die Kraft des auferstandenen Herrn Vergebung, Vertrautheit und Ermutigung erfährt. Und diese Neuheit kann Paulus nicht für sich behalten: Die Gnade drängt ihn, die Frohe Botschaft von der Liebe und der Versöhnung zu verkünden, die Gott in Christus der Menschheit in Fülle anbietet.
Für den Völkerapostel ist die Versöhnung des Menschen mit Gott, deren »Gesandter« er geworden ist (vgl. 2 Kor 5,20), ein Geschenk, das von Christus kommt. Das wird ganz deutlich in dem Text aus dem Zweiten Korintherbrief, dem in diesem Jahr das Thema der Gebetswoche für die Einheit der Christen entnommen ist: „Die Liebe Christi drängt uns zur Versöhnung“ (vgl. 2 Kor 5,14-20). „Die Liebe Christi“: Es handelt sich nicht um unsere Liebe zu Christus, sondern um Christi Liebe zu uns. In gleicher Weise ist die Versöhnung, zu der wir gedrängt werden, nicht einfach unsere Initiative: An erster Stelle ist sie die Versöhnung, die Gott uns in Christus anbietet. Mehr als ein menschliches Bemühen der Gläubigen, die versuchen, ihre Spaltungen zu überwinden, ist sie zuerst einmal eine ungeschuldete Gabe Gottes. Als Konsequenz dieser Gabe ist der Mensch, der Vergebung und Liebe erfahren hat, aufgefordert, seinerseits das Evangelium der Versöhnung in Wort und Tat zu verkünden, ein versöhntes Dasein zu leben und zu bezeugen.
Aus dieser Sicht können wir uns heute fragen: Wie kann man dieses Evangelium der Versöhnung nach Jahrhunderten der Trennung verkünden? Paulus selbst hilft uns, den Weg zu finden. Er betont, dass die Versöhnung in Christus nicht ohne Opfer geschehen kann. Jesus hat sein Leben hingegeben und ist für alle gestorben. Ähnlich sind die Botschafter der Versöhnung in seinem Namen aufgerufen, ihr Leben hinzugeben; nicht mehr für sich selbst, sondern für den zu leben, der für sie gestorben und auferstanden ist (vgl. 2Kor 5,14-15). Wie Jesus lehrt, retten wir unser Leben nur dann wirklich, wenn wir es aus Liebe zu ihm verlieren (vgl. Lk 9,24). Das ist die Umwälzung, die Paulus erlebt hat, aber es ist die christliche Umwälzung aller Zeiten: nicht mehr für uns selber zu leben, für unsere Interessen und unsere Image-Pflege, sondern nach dem Bild Christi, für ihn und nach ihm, mit seiner Liebe und in seiner Liebe.
Für die Kirche, für jede christliche Konfession ist es eine Einladung, sich nicht auf Programme, auf Berechnungen und Vorteile zu stützen, nicht auf die Zweckmäßigkeiten und derzeitige Moden zu vertrauen, sondern im ständigen Blick auf das Kreuz des Herrn den Weg zu suchen: Dort ist unser Lebensprogramm. Es ist auch eine Einladung, aus jeder Abschottung herauszukommen, die Versuchung der Selbstbezogenheit zu überwinden, die verhindert, das zu erfassen, was der Heilige Geist außerhalb der eigenen Räume wirkt. Eine echte Versöhnung zwischen den Christen wird sich verwirklichen lassen, wenn wir verstehen, wechselseitig die Gaben des anderen anzuerkennen, und fähig sind, demütig und aufmerksam voneinander zu lernen – voneinander zu lernen –, ohne zu erwarten, dass zuerst einmal die anderen von uns lernen.
Wenn wir so leben, d.h. um Christi willen uns selbst sterben, wird unser alter Lebensstil in die Vergangenheit verbannt und wir treten, wie damals Paulus, in eine neue Form des Daseins und der Gemeinschaft ein. Dann können wir mit Paulus sagen: »Das Alte ist vergangen« (2Kor 5,17). Zurückzublicken ist hilfreich und überaus notwendig, um das Gedächtnis zu reinigen. Aber sich auf die Vergangenheit zu versteifen, indem man sich dabei aufhält, an erlittenes und verübtes Unrecht zu denken und nach rein menschlichen Kriterien zu urteilen, kann lähmend sein und verhindern, dass man in der Gegenwart lebt. Das Wort Gottes ermutigt uns, aus dem Gedenken Kraft zu schöpfen, uns an das vom Herrn empfangene Gute zu erinnern. Aber es verlangt auch von uns, die Vergangenheit hinter uns zu lassen, um Jesus im Heute zu folgen und in Ihm ein neues Leben zu leben. Erlauben wir dem, der alles neu macht (vgl. Offb 21,5), uns auf eine neue Zukunft auszurichten, welche offen ist für die Hoffnung, die nicht trügt – eine Zukunft, in der die Spaltungen überwunden werden können und die Gläubigen, in der Liebe erneuert, vollkommen und sichtbar vereint sein werden.
Während wir auf dem Weg der Einheit unterwegs sind, denken wir in diesem Jahr besonders an den fünfhundertsten Jahrestag der protestantischen Reformation. Dass heute Katholiken und Lutheraner gemeinsam eines Ereignisses gedenken können, das die Christen getrennt hat, und dass sie dies hoffnungsvoll tun, indem sie den Schwerpunkt auf Jesus und sein Werk der Versöhnung setzen, ist ein bemerkenswertes Ziel, das durch Gott und das Gebet im Laufe von fünfzig Jahren gegenseitiger Bekanntschaft und ökumenischen Dialogs erreicht wurde.
Indem ich von Gott die Gabe der Versöhnung mit ihm und unter uns erbitte, richte ich meine herzlichen und brüderlichen Grüße an den Vertreter des ökumenischen Patriarchats, Seine Eminenz Metropolit Gennadios, an den persönlichen Vertreter in Rom des Erzbischofs von Canterbury, Seine Gnaden David Moxon und an alle Vertreter der verschiedenen Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften, die hier zusammengekommen sind. Mit besonderer Freude begrüße ich die Mitglieder der gemischten Kommission für den theologischen Dialog zwischen der katholischen Kirche und den altorientalischen Kirchen, denen ich für die Vollversammlung, die in diesen Tagen stattfindet, eine fruchtbare Arbeit wünsche. Ich begrüße auch die Studenten des Ecumenical Institute of Bossey, die in Rom zu Besuch sind, um Ihre Kenntnis der katholischen Kirche zu vertiefen – sie sind so fröhlich; ich habe sie heute Morgen gesehen –, sowie die jungen orthodoxen und altorientalischen Christen, die dank der Stipendien vom Komitee für kulturelle Zusammenarbeit mit den orthodoxen Kirchen in Rom studieren – ein Komitee, das beim Rat zur Förderung der Einheit der Christen tätig ist. Den Vorgesetzten und allen Mitarbeitern dieses Dikasteriums drücke ich meine Wertschätzung und meinen Dank aus.
Liebe Brüder und Schwestern, unser Gebet für die Einheit der Christen ist eine Teilhabe an dem Gebet, das Jesus vor seinem Leiden an den Vater richtete: »Alle sollen eins sein« (Joh 17,21). Werden wir niemals müde, diese Gabe von Gott zu erbitten. In der geduldigen und zuversichtlichen Erwartung, dass der Vater allen Gläubigen das Gut der vollen sichtbaren Einheit gewähren möge, wollen wir auf unserem Weg der Versöhnung und des Dialogs vorangehen. Dabei ermutigt uns das heroische Zeugnis so vieler Brüder und Schwestern, die gestern wie heute im Leiden für den Namen Jesu vereint waren und sind. Nehmen wir jede Gelegenheit wahr, welche die Vorsehung uns bietet, um gemeinsam zu beten, gemeinsam zu verkündigen und gemeinsam zu lieben und zu dienen – vor allem gegenüber denjenigen, die am ärmsten und am meisten vernachlässigt sind.
[00138-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
El encuentro con Jesús en el camino de Damasco transformó radicalmente la vida de Pablo. A partir de entonces, el significado de su existencia no consiste ya en confiar en sus propias fuerzas para observar escrupulosamente la Ley, sino en la adhesión total de sí mismo al amor gratuito e inmerecido de Dios, a Jesucristo crucificado y resucitado. De esta manera, él advierte la irrupción de una nueva vida, la vida según el Espíritu, en la cual, por la fuerza del Señor Resucitado, experimenta el perdón, la confianza y el consuelo. Pablo no puede tener esta novedad sólo para sí: la gracia lo empuja a proclamar la buena nueva del amor y de la reconciliación que Dios ofrece plenamente a la humanidad en Cristo.
Para el Apóstol de los gentiles, la reconciliación del hombre con Dios, de la que se convirtió en embajador (cf. 2 Co 5,20), es un don que viene de Cristo. Esto aparece claramente en el texto de la Segunda Carta a los Corintios, del que se toma este año el tema de la Semana de Oración por la Unidad de los Cristianos: «Reconciliación. El amor de Cristo nos apremia» (cf. 2 Co 5,14-20). «El amor de Cristo»: no se trata de nuestro amor por Cristo, sino del amor que Cristo tiene por nosotros. Del mismo modo, la reconciliación a la que somos urgidos no es simplemente una iniciativa nuestra, sino que es ante todo la reconciliación que Dios nos ofrece en Cristo. Más que ser un esfuerzo humano de creyentes que buscan superar sus divisiones, es un don gratuito de Dios. Como resultado de este don, la persona perdonada y amada está llamada, a su vez, a anunciar el evangelio de la reconciliación con palabras y obras, a vivir y dar testimonio de una existencia reconciliada.
En esta perspectiva, podemos preguntarnos hoy: ¿Cómo anunciar el evangelio de la reconciliación después de siglos de divisiones? Es el mismo Pablo quien nos ayuda a encontrar el camino. Hace hincapié en que la reconciliación en Cristo no puede darse sin sacrificio. Jesús dio su vida, muriendo por todos. Del mismo modo, los embajadores de la reconciliación están llamados a dar la vida en su nombre, a no vivir para sí mismos, sino para aquel que murió y resucitó por ellos (cf. 2 Co 5,14-15). Como nos enseña Jesús, sólo cuando perdemos la vida por amor a él es cuando realmente la ganamos (cf. Lc 9,24). Es esta la revolución que Pablo vivió, y es también la revolución cristiana de todos los tiempos: no vivir para nosotros mismos, para nuestros intereses y beneficios personales, sino a imagen de Cristo, por él y según él, con su amor y en su amor.
Para la Iglesia, para cada confesión cristiana, es una invitación a no apoyarse en programas, cálculos y ventajas, a no depender de las oportunidades y de las modas del momento, sino a buscar el camino con la mirada siempre puesta en la cruz del Señor; allí está nuestro único programa de vida. Es también una invitación a salir de todo aislamiento, a superar la tentación de la auto-referencia, que impide captar lo que el Espíritu Santo lleva a cabo fuera de nuestro ámbito. Una auténtica reconciliación entre los cristianos podrá realizarse cuando sepamos reconocer los dones de los demás y seamos capaces, con humildad y docilidad, de aprender unos de otros —aprender unos de otros—, sin esperar que sean los demás los que aprendan antes de nosotros.
Si vivimos este morir a nosotros mismos por Jesús, nuestro antiguo estilo de vida será relegado al pasado y, como le ocurrió a san Pablo, entramos en una nueva forma de existencia y de comunión. Con Pablo podremos decir: «Lo antiguo ha desaparecido» (2 Co 5,17). Mirar hacia atrás es muy útil y necesario para purificar la memoria, pero detenerse en el pasado, persistiendo en recordar los males padecidos y cometidos, y juzgando sólo con parámetros humanos, puede paralizar e impedir que se viva el presente. La Palabra de Dios nos anima a sacar fuerzas de la memoria para recordar el bien recibido del Señor; y también nos pide dejar atrás el pasado para seguir a Jesús en el presente y vivir una nueva vida en él. Dejemos que Aquel que hace nuevas todas las cosas (cf. Ap 21,5) nos conduzca a un futuro nuevo, abierto a la esperanza que no defrauda, a un porvenir en el que las divisiones puedan superarse y los creyentes, renovados en el amor, estén plena y visiblemente unidos.
Este año, mientras caminamos por el camino de la unidad, recordamos especialmente el quinto centenario de la Reforma protestante. El hecho de que hoy católicos y luteranos puedan recordar juntos un evento que ha dividido a los cristianos, y lo hagan con esperanza, haciendo énfasis en Jesús y en su obra de reconciliación, es un hito importante, logrado con la ayuda de Dios y de la oración a través de cincuenta años de conocimiento recíproco y de diálogo ecuménico.
Mientras imploro a Dios el don de la reconciliación con él y entre nosotros, saludo cordial y fraternalmente a Su Eminencia el Metropolita Gennadios, representante del Patriarcado Ecuménico, a Su Gracia David Moxon, representante personal en Roma del Arzobispo de Canterbury, y a todos los representantes de las distintas Iglesias y comunidades eclesiales aquí presentes. Me complace saludar particularmente a los miembros de la Comisión mixta para el diálogo teológico entre la Iglesia católica y las Iglesias ortodoxas orientales, a quienes deseo un trabajo fructífero en la sesión plenaria que está teniendo lugar en estos días. Saludo también a los estudiantes del Ecumenical Institute of Bossey —los he visto muy contentos esta mañana—, que están de visita en Roma para profundizar en su conocimiento de la Iglesia Católica, y a los jóvenes ortodoxos y ortodoxos orientales que estudian en Roma, gracias a las becas del Comité de Cooperación Cultural con las Iglesias ortodoxas, que opera en el Consejo Pontificio para la Promoción de la Unidad de los cristianos. A los superiores y a todos los colaboradores de ese Dicasterio expreso mi estima y agradecimiento.
Queridos hermanos y hermanas, nuestra oración por la unidad de los cristianos participa en la oración que Jesús dirigió al Padre antes de la pasión, «para que todos sean uno» (Jn 17,21). No nos cansemos nunca de pedir a Dios este don. Con la esperanza paciente y confiada de que el Padre concederá a todos los creyentes el bien de la plena comunión visible, sigamos adelante en nuestro camino de reconciliación y de diálogo, animados por el testimonio heroico de tantos hermanos y hermanas que, tanto ayer como hoy, están unidos en el sufrimiento por el nombre Jesús. Aprovechemos todas las oportunidades que la Providencia nos ofrece para rezar juntos, anunciar juntos, amar y servir juntos, especialmente a los más pobres y abandonados.
[00138-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
O encontro com Jesus na estrada para Damasco transforma radicalmente a vida de Paulo. A partir de então, para ele, o sentido da existência já não está em confiar nas próprias forças para observar escrupulosamente a Lei, mas em aderir com todo o seu ser ao amor gratuito e imerecido de Deus, a Jesus Cristo crucificado e ressuscitado. Conhece, assim, a irrupção duma vida nova, a vida segundo o Espírito, na qual, pelo poder do Senhor ressuscitado, experimenta perdão, confidência e conforto. E Paulo não pode guardar para si mesmo esta novidade: é impelido pela graça a proclamar a feliz notícia do amor e da reconciliação que Deus oferece plenamente em Cristo à humanidade.
Para o Apóstolo dos Gentios, a reconciliação do homem com Deus, da qual foi feito embaixador (cf. 2 Cor 5, 20), é um dom que vem de Cristo. Vê-se isto claramente no texto da II Carta aos Coríntios, onde se foi buscar, este ano, o tema da Semana de Oração pela Unidade dos Cristãos: «O amor de Cristo impele-nos para a reconciliação» (cf. 2 Cor 5, 14-20). «O amor de Cristo»: não se trata do nosso amor por Cristo, mas do amor que Cristo tem por nós. Da mesma forma, a reconciliação para a qual somos impelidos não é simplesmente iniciativa nossa: é primariamente a reconciliação que Deus nos oferece em Cristo. Antes de ser esforço humano de crentes que procuram superar as suas divisões, é um dom gratuito de Deus. Como resultado deste dom, a pessoa perdoada e amada é chamada, por sua vez, a proclamar o evangelho da reconciliação em palavras e obras, a viver e dar testemunho duma existência reconciliada.
Nesta perspetiva, podemos hoje perguntar-nos: Como é possível proclamar este evangelho de reconciliação depois de séculos de divisões? O próprio Paulo nos ajuda a encontrar o caminho. Ele sublinha que a reconciliação em Cristo não se pode realizar sem sacrifício. Jesus deu a sua vida, morrendo por todos. De modo semelhante os embaixadores de reconciliação, em seu nome, são chamados a dar a vida, a não viver mais para si mesmos, mas para Aquele que morreu e ressuscitou por eles (cf. 2 Cor 5, 14-15). Como ensina Jesus, só quando perdemos a vida por amor d’Ele é que verdadeiramente a temos ganha (cf. Lc 9, 24). É a revolução que Paulo viveu, mas é também a revolução cristã de sempre: deixar de viver para nós mesmos, buscando os nossos interesses e promoção da nossa imagem, mas reproduzir a imagem de Cristo, vivendo para Ele e de acordo com Ele, com o seu amor e no seu amor.
Para a Igreja, para cada Confissão Cristã, é um convite a não se basear em programas, cálculos e benefícios, a não se abandonar a oportunidades e modas passageiras, mas a procurar o caminho com o olhar sempre fixo na cruz do Senhor: lá está o nosso programa de vida. É um convite também a sair de todo o isolamento, a superar a tentação da autorreferência, que impede de individuar aquilo que o Espírito Santo realiza fora do nosso próprio espaço. Poderá realizar-se uma autêntica reconciliação entre os cristãos, quando soubermos reconhecer os dons uns dos outros e formos capazes, com humildade e docilidade, de aprender uns dos outros – aprender uns dos outros –, sem esperar que primeiro sejam os outros a aprender de nós.
Se vivermos este morrer para nós mesmos por amor de Jesus, o nosso estilo velho de vida é relegado para o passado e, como aconteceu a São Paulo, entramos numa nova forma de existência e comunhão. Com Paulo, poderemos dizer: «O que era antigo passou» (2 Cor 5, 17). Olhar para trás é útil e muito necessário para purificar a memória, mas fixar-se no passado, delongando-se a lembrar as injustiças sofridas e cometidas e julgando com parâmetros apenas humanos, pode paralisar e impedir de viver o presente. A Palavra de Deus encoraja-nos a tirar força da memória, a recordar o bem recebido do Senhor; mas pede-nos também que deixemos o passado para trás a fim de seguir Jesus no presente e, n’Ele, viver uma vida nova. Àquele que renova todas as coisas (cf. Ap 21, 5), consintamos-Lhe de nos orientar para um futuro novo, aberto à esperança que não desilude, um futuro onde será possível superar as divisões e os crentes, renovados no amor, encontrar-se-ão plena e visivelmente unidos.
Enquanto avançamos pelo caminho da unidade, recordamos este ano de modo particular o quinto centenário da Reforma Protestante. O facto de católicos e luteranos poderem hoje recordar, juntos, um evento que dividiu os cristãos e de o fazerem com a esperança posta sobretudo em Jesus e na sua obra de reconciliação, constitui um marco significativo, alcançado – graças a Deus e à oração – através de cinquenta anos de mútuo conhecimento e de diálogo ecuménico.
Implorando de Deus o dom da reconciliação com Ele e entre nós, dirijo as minhas cordiais e fraternas saudações a Sua Eminência o Metropolita Gennadios, representante do Patriarcado Ecuménico, a Sua Graça David Moxon, representante pessoal em Roma do Arcebispo de Cantuária, e a todos os representantes das diversas Igrejas e Comunidades eclesiais aqui reunidos. Saúdo com particular alegria os membros da Comissão Mista para o Diálogo Teológico entre a Igreja Católica e as Igrejas Ortodoxas Orientais, a quem desejo um fecundo trabalho na Sessão Plenária que se desenrola nestes dias. Saúdo também os alunos do Instituto Ecuménico de Bossey – vi-os esta manhã muito contentes –, que visitam Roma para aprofundar o seu conhecimento da Igreja Católica, e os jovens ortodoxos e todos os ortodoxos orientais que estudam em Roma, graças às bolsas de estudo do Comité de Colaboração Cultural com as Igrejas Ortodoxas, sediado no Conselho Pontifício para a Promoção da Unidade dos Cristãos. Aos Superiores e a todos os Colaboradores deste Dicastério, exprimo a minha estima e gratidão.
Amados irmãos e irmãs, a nossa oração pela unidade dos cristãos é participação na oração que Jesus dirigiu ao Pai, antes da Paixão, «para que todos sejam um só» (Jo 17, 21). Nunca nos cansemos de pedir a Deus este dom. Na expectativa paciente e confiada de que o Pai conceda a todos os crentes o bem da plena comunhão visível, prossigamos o nosso caminho de reconciliação e diálogo, encorajados pelo testemunho heroico de tantos irmãos e irmãs, de ontem e de hoje, unidos no sofrimento pelo nome de Jesus. Aproveitemos todas as oportunidades que a Providência nos oferece para rezar juntos, anunciar juntos, amar e servir juntos sobretudo quem é mais pobre e negligenciado.
[00138-PO.02] [Texto original: Italiano]
[B0058-XX.02]