Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, 06.01.2017


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10 di oggi, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana.

Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annunzio del giorno della Pasqua che quest’anno si celebra il 16 aprile:

Omelia del Santo Padre

«Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2).

Con queste parole i magi, venuti da terre lontane, ci fanno conoscere il motivo della loro lunga traversata: adorare il re neonato. Vedere e adorare: due azioni che risaltano nel racconto evangelico: abbiamo visto una stella e vogliamo adorare.

Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento. La scoperta di qualcosa di inconsueto che è accaduto nel cielo ha scatenato una serie innumerevole di avvenimenti. Non era una stella che brillò in modo esclusivo per loro né avevano un DNA speciale per scoprirla. Come ha ben riconosciuto un padre della Chiesa, i magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino (cfr San Giovanni Crisostomo). Avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità.

I magi, in tal modo, esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste. Riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore.

La santa nostalgia di Dio scaturisce nel cuore credente perché sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente. La santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: «Vieni, Signore Gesù!».

Fu proprio questa nostalgia a spingere l’anziano Simeone ad andare tutti i giorni al tempio, sapendo con certezza che la sua vita non sarebbe terminata senza poter tenere in braccio il Salvatore. Fu questa nostalgia a spingere il figlio prodigo a uscire da un atteggiamento distruttivo e a cercare le braccia di suo padre. Fu questa nostalgia che il pastore sentì nel suo cuore quando lasciò le novantanove pecore per cercare quella che si era smarrita, e fu anche ciò che sperimentò Maria Maddalena la mattina della domenica per andare di corsa al sepolcro e incontrare il suo Maestro risorto. La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare. La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarsi per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro. Il credente “nostalgioso”, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare.

Come atteggiamento contrapposto, nel palazzo di Erode (che distava pochissimi chilometri da Betlemme), non si erano resi conto di ciò che stava succedendo. Mentre i magi camminavano, Gerusalemme dormiva. Dormiva in combutta con un Erode che, invece di essere in ricerca, pure dormiva. Dormiva sotto l’anestesia di una coscienza cauterizzata. E rimase sconcertato. Ebbe paura. È lo sconcerto che, davanti alla novità che rivoluziona la storia, si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi. Lo sconcerto di chi sta seduto sulla ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. È lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i “vincitori” e a qualunque prezzo. Uno sconcerto che nasce dalla paura e dal timore davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze e verità, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita. E così Erode ebbe paura, e quella paura lo condusse a cercare sicurezza nel crimine: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde» (San Quodvultdeus, Sermo 2 sul simbolo: PL 40, 655). Uccidi i bambini nel corpo, perché a te la paura uccide il cuore.

Vogliamo adorare. Quegli uomini vennero dall’Oriente per adorare, e vennero a farlo nel luogo proprio di un re: il Palazzo. E questo è importante: lì essi giunsero con la loro ricerca: era il luogo idoneo, perché è proprio di un Re nascere in un palazzo, e avere la sua corte e i suoi sudditi. È segno di potere, di successo, di vita riuscita. E ci si può attendere che il re sia venerato, temuto e adulato, sì; ma non necessariamente amato. Questi sono gli schemi mondani, i piccoli idoli a cui rendiamo culto: il culto del potere, dell’apparenza e della superiorità. Idoli che promettono solo tristezza, schiavitù, paura.

E fu proprio lì dove incominciò il cammino più lungo che dovettero fare quegli uomini venuti da lontano. Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale. Lì non vedevano la stella che li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati, gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia. Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!

Erode non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo. Non ha voluto smettere di rendere culto a se stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui. Non ha potuto adorare perché il suo scopo era che adorassero lui. Nemmeno i sacerdoti hanno potuto adorare perché sapevano molto, conoscevano le profezie, ma non erano disposti né a camminare né a cambiare.

I magi sentirono nostalgia, non volevano più le solite cose. Erano abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo. Ma lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo. I magi poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare e prostrandosi davanti al piccolo, prostrandosi davanti al povero, prostrandosi davanti all’indifeso, prostrandosi davanti all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme, lì scoprirono la Gloria di Dio.

[00024-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Où est le roi des Juifsqui vient de naître ? Nous avons vu son étoile à l’orient et nous sommes venus nous prosterner devant lui» (Mt 2, 2).

Avec ces paroles, les mages, venus de terres lointaines, nous font connaître le motif de leur longue traversée: adorer le roi nouveau-né. Voir et adorer: deux actions mises en relief dans le récit évangélique: nous avons vu une étoile et nous voulons adorer.

Ces hommes ont vu une étoile qui les a mis en mouvement. La découverte de quelque chose d’inhabituel qui est arrivé dans le ciel a déclenché une série incalculable d’évènements. Ce n’était pas une étoile qui a brillé de façon exclusive pour eux et ils n’avaient pas non plus un ADN spécial pour la découvrir. Comme un Père de l’Église l’a bien reconnu, les mages ne se sont pas mis en route parce qu’ils avaient vu l’étoile mais ils ont vu l’étoile parce qu’ils se sont mis en route (cf. Jean Chrysostome). Ils avaient le cœur ouvert sur l’horizon et ils ont pu voir ce que le ciel montrait parce qu’il y avait en eux un désir qui les poussait: ils étaient ouverts à une nouveauté.

Les mages, de cette manière, expriment le portrait de l’homme croyant, de l’homme qui a la nostalgie de Dieu; de celui qui sent le manque de sa maison, la patrie céleste. Ils reflètent l’image de tous les hommes qui, dans leur vie, ne se sont pas laissé anesthésier le cœur.

La sainte nostalgie de Dieu jaillit dans le cœur croyant parce qu’il sait que l’Évangile n’est pas un évènement du passé mais du présent. La sainte nostalgie de Dieu nous permet de tenir les yeux ouverts devant toutes les tentatives de réduire et d’appauvrir la vie. La sainte nostalgie de Dieu est la mémoire croyante qui se rebelle devant tant de prophètes de malheur. Cette nostalgie est celle qui maintient vivante l’espérance de la communauté croyante qui, de semaine en semaine, implore en disant: «Viens, Seigneur Jésus!».

Ce fut vraiment cette nostalgie qui a poussé le vieillard Siméon à aller tous les jours au temple, sachant avec certitude que sa vie ne se terminerait pas sans pouvoir tenir dans ses bras le Sauveur. Ce fut cette nostalgie qui a poussé le fils prodigue à sortir d’une attitude destructive et à chercher les bras de son père. Ce fut cette nostalgie que le berger a senti dans son cœur quand il a laissé les 99 brebis pour chercher celle qui s’était perdue, et ce fut aussi ce qu’a expérimenté Marie-Madeleine le matin du dimanche pour aller courir au tombeau et rencontrer son Maitre ressuscité. La nostalgie de Dieu nous tire hors de nos résignations, celles qui nous amènent à penser que rien ne peut changer. La nostalgie de Dieu est l’attitude qui rompt nos conformismes ennuyeux et nous pousse à nous engager pour ce changement auquel nous aspirons et dont nous avons besoin. La nostalgie de Dieu a ses racines dans le passé mais ne s’arrête pas là: elle va à la recherche de l’avenir. Le croyant “nostalgique”, poussé par sa foi, va à la recherche de Dieu, comme les mages, dans les lieux les plus cachés de l’histoire, parce qu’il sait dans son cœur que le Seigneur l’attend là. Il va à la périphérie, à la frontière, dans les lieux non évangélisés, afin de pouvoir rencontrer son Seigneur; et il ne le fait pas du tout avec une attitude de supériorité, il le fait comme un mendiant qui ne peut ignorer les yeux de celui pour lequel la Bonne Nouvelle est encore un terrain à explorer.

Comme attitude opposée, dans le palais d’Hérode (qui se trouvait à très peu de kilomètres de Bethléem), on ne s’était pas rendu compte de ce qui arrivait. Tandis que les mages marchaient, Jérusalem dormait. Elle dormait de connivence avec un Hérode qui, au lieu d’être en recherche, dormait bien. Il dormait sous l’anesthésie d’une conscience cautérisée. Et il est resté déconcerté. Il a eu peur. C’est le trouble de celui qui, devant la nouveauté qui révolutionne l’histoire, se ferme sur lui-même, sur ses résultats, sur ses connaissances, sur ses succès. Le trouble de celui qui se tient assis sur la richesse sans réussir à voir au-delà. Un trouble qui naît dans le cœur de celui qui veut contrôler tout et tout le monde. C’est le trouble de celui qui est immergé dans la culture du vaincre à tout prix; dans cette culture où il y a de la place seulement pour les “vainqueurs” et coûte que coûte. Un trouble qui naît de la peur et de la crainte devant ce qui nous interroge et met en danger nos sécurités et nos vérités, nos manières de nous attacher au monde et à la vie. Et ainsi Hérode a eu peur, et cette peur l’a conduit à chercher la sécurité dans le crime: «Necas parvulos corpore, quia te nacat timor in corde» - “Tu assassines ces faibles corps parce que la peur assassine ton cœur” (Saint Quodvultdeus, Sermon 2 sur le Symbole : PL 40, 655). Tu assassines les enfants dans leur corps, parce que la peur assassine ton cœur.

Nous voulons adorer. Ces hommes sont venus de l’Orient pour adorer, et ils sont venus le faire dans le lieu qui convient à un roi: le Palais. Et cela est important: ils sont arrivés là par leur recherche, c’était le lieu approprié, puisque cela revient à un Roi de naître dans un palais et d’avoir sa cour et ses sujets. C’est le signe du pouvoir, du succès, d’une vie réussie. Et on peut s’attendre à ce que le roi soit vénéré, craint et adulé, oui, mais pas nécessairement aimé. Ce sont les règles mondaines, les petites idoles et à qui nous rendons un culte: le culte du pouvoir, de l’apparence et de la supériorité. Des idoles qui promettent seulement tristesse, esclavage, peur.

Et c’est vraiment là qu’a commencé le chemin le plus long qu’ont dû faire ces hommes venus de loin. Là, a commencé l’audace la plus difficile et la plus compliquée. Découvrir que ce qu’ils cherchaient n’était pas dans le Palais mais se trouvait dans un autre lieu, non seulement géographique mais existentiel. Là, ils ne voyaient pas l’étoile qui les conduisait à découvrir un Dieu qui veut être aimé, et cela est possible uniquement sous le signe de la liberté et non de la tyrannie; découvrir que le regard de ce Roi inconnu – mais désiré – n’humilie pas, ne rend pas esclave, n’emprisonne pas. Découvrir que le regard de Dieu relève, pardonne, guérit. Découvrir que Dieu a voulu naître là où nous ne l’attendions pas, là où peut-être nous ne le voulions pas. Ou bien là où tant de fois, nous le renions. Découvrir que dans le regard de Dieu, il y a de la place pour ceux qui sont blessés, fatigués, maltraités, abandonnés: que sa force et son pouvoir s’appellent miséricorde. Comme est loin, pour certains, Jérusalem de Bethléem!

Hérode ne peut pas adorer parce qu’il n’a pas voulu changer son regard. Il n’a pas voulu cesser de rendre un culte à lui-même, croyant que tout commençait et finissait avec lui. Il n’a pas pu adorer parce que son but était qu’ils l’adorent lui. Les prêtres non plus n’ont pu adorer parce qu’ils savaient beaucoup de choses, ils connaissaient les prophéties, mais ils n’étaient disposés ni à se mettre en chemin ni à changer.

Les mages ont senti la nostalgie, ils ne voulaient plus les choses habituelles. Ils étaient habitués, accoutumés aux Hérode de leur temps et en étaient fatigués. Mais là, à Bethléem, il y avait une promesse de nouveauté, une promesse de gratuité. Là quelque chose de nouveauarrivait ; les mages ont pu adorer parce qu’ils ont eu le courage de marcher et, se prosternant devant le petit, se prosternant devant le pauvre, se prosternant devant celui qui est sans défense, se prosternant devant l’Enfant de Bethléem insolite et inconnu, là ils ont découvert la Gloire de Dieu.

[00024-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Where is the child who has been born king of the Jews? For we have observed his star in the East, and have come to worship him” (Mt 2:2).

With these words, the Magi, come from afar, tell us the reason for their long journey: they came to worship the newborn King. To see and to worship. These two actions stand out in the Gospel account. We saw a star and we want to worship.

These men saw a star that made them set out. The discovery of something unusual in the heavens sparked a whole series of events. The star did not shine just for them, nor did they have special DNA to be able to see it. As one of the Church Fathers rightly noted, the Magi did not set out because they had seen the star, but they saw the star because they had already set out” (cf. Saint John Chrysostom). Their hearts were open to the horizon and they could see what the heavens were showing them, for they were guided by an inner restlessness. They were open to something new.

The Magi thus personify all those who believe, those who long for God, who yearn for their home, their heavenly homeland. They reflect the image of all those who in their lives have not let their hearts be anesthetized.

A holy longing for God wells up in the heart of believers because they know that the Gospel is not an event of the past but of the present. A holy longing for God helps us keep alert in the face of every attempt to reduce and impoverish our life. A holy longing for God is the memory of faith, which rebels before all prophets of doom. That longing keeps hope alive in the community of believers, which from week to week continues to plead: “Come, Lord Jesus”.

This same longing led the elderly Simeon to go up each day to the Temple, certain that his life would not end before he had held the Saviour in his arms. This longing led the Prodigal Son to abandon his self-destructive lifestyle and to seek his father’s embrace. This was the longing felt by the shepherd who left the ninety-nine sheep in order to seek out the one that was lost. Mary Magdalene experienced the same longing on that Sunday morning when she ran to the tomb and met her risen Master. Longing for God draws us out of our iron-clad isolation, which makes us think that nothing can change. Longing for God shatters our dreary routines and impels us to make the changes we want and need. Longing for God has its roots in the past yet does not remain there: it reaches out to the future. Believers who feel this longing are led by faith to seek God, as the Magi did, in the most distant corners of history, for they know that there the Lord awaits them. They go to the peripheries, to the frontiers, to places not yet evangelized, to encounter their Lord. Nor do they do this out of a sense of superiority, but rather as beggars who cannot ignore the eyes of those who for whom the Good News is still uncharted territory.

An entirely different attitude reigned in the palace of Herod, a short distance from Bethlehem, where no one realized what was taking place. As the Magi made their way, Jerusalem slept. It slept in collusion with a Herod who, rather than seeking, also slept. He slept, anesthetized by a cauterized conscience. He was bewildered, afraid. It is the bewilderment which, when faced with the newness that revolutionizes history, closes in on itself and its own achievements, its knowledge, its successes. The bewilderment of one who sits atop his wealth yet cannot see beyond it. The bewilderment lodged in the hearts of those who want to control everything and everyone. The bewilderment of those immersed in the culture of winning at any cost, in that culture where there is only room for “winners”, whatever the price. A bewilderment born of fear and foreboding before anything that challenges us, calls into question our certainties and our truths, our ways of clinging to the world and this life. And so Herod was afraid, and that fear led him to seek security in crime: “You kill the little ones in their bodies, because fear is killing you in your heart” (SAINT QUODVULTDEUS, Sermon 2 on the Creed: PL 40, 655). You kill the little ones in their bodies, because fear is killing you in your heart.

We want to worship. Those men came from the East to worship, and they came to do so in the place befitting a king: a palace. This is significant. Their quest led them there, for it was fitting that a king should be born in a palace, amid a court and all his subjects. For that is a sign of power, success, a life of achievement. One might well expect a king to be venerated, feared and adulated. True, but not necessarily loved. For those are worldly categories, the paltry idols to which we pay homage: the cult of power, outward appearances and superiority. Idols that promise only sorrow, enslavement, fear.

It was there, in that place, that those men, come from afar, would embark upon their longest journey. There they set out boldly on a more arduous and complicated journey. They had to discover that what they sought was not in a palace, but elsewhere, both existentially and geographically. There, in the palace, they did not see the star guiding them to discover a God who wants to be loved. For only under the banner of freedom, not tyranny, is it possible to realize that the gaze of this unknown but desired king does not abase, enslave, or imprison us. To realize that the gaze of God lifts up, forgives and heals. To realize that God wanted to be born where we least expected, or perhaps desired, in a place where we so often refuse him. To realize that in God’s eyes there is always room for those who are wounded, weary, mistreated, abandoned. That his strength and his power are called mercy. For some of us, how far Jerusalem is from Bethlehem!

Herod is unable to worship because he could not or would not change his own way of looking at things. He did not want to stop worshiping himself, believing that everything revolved around him. He was unable to worship, because his aim was to make others worship him. Nor could the priests worship, because although they had great knowledge, and knew the prophecies, they were not ready to make the journey or to change their ways.

The Magi experienced longing; they were tired of the usual fare. They were all too familiar with, and weary of, the Herods of their own day. But there, in Bethlehem, was a promise of newness, of gratuitousness. There something new was taking place. The Magi were able to worship, because they had the courage to set out. And as they fell to their knees before the small, poor and vulnerable Infant, the unexpected and unknown Child of Bethlehem, they discovered the glory of God.

[00024-EN.03] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Wo ist der neugeborene König der Juden? Wir haben seinen Stern aufgehen sehen und sind gekommen, um ihm zu huldigen« (Mt 2,2).

Mit diesen Worten tun uns die Sterndeuter, die aus fernen Ländern gekommen sind, den Grund ihrer langen Reise kund: den neugeborenen König anbeten. Sehen und anbeten – zwei Tätigkeiten, die im Bericht des Evangeliums hervorstechen: wir haben einen Stern gesehen und wollen anbeten.

Diese Männer haben einen Stern gesehen, der sie in Bewegung versetzte. Die Entdeckung einer ungewöhnlichen Himmelserscheinung löste eine Reihe unzähliger Ereignisse aus. Das war kein Stern, der ausschließlich für sie strahlte, noch hatten sie eine besondere DNA, um ihn zu entdecken. Wie ein Kirchenvater richtig erkannte, machten sich die Sterndeuter nicht auf den Weg, weil sie den Stern gesehen hatten, sondern sie sahen den Stern, weil sie sich auf den Weg gemacht hatten (vgl. Johannes Chrysostomos). Sie hatten das Herz am Horizont offen und konnten sehen, was der Himmel zeigte, weil es in ihnen eine Sehnsucht gab, die sie antrieb: Sie waren offen für Neues.

Die Sterndeuter stellen so das Bild des gläubigen Menschen dar, des Menschen, der Sehnsucht nach Gott hat, der das Fehlen seines Zuhauses, seiner himmlischen Heimat spürt. Sie spiegeln das Bild all jener Menschen wider, die in ihrem Leben sich nicht das Herz haben betäuben lassen.

Die heilige Sehnsucht nach Gott entspringt in einem gläubigen Herzen, da es weiß, dass das Evangelium nicht ein Ereignis der Vergangenheit, sondern der Gegenwart ist. Die heilige Sehnsucht nach Gott erlaubt uns, die Augen angesichts aller Versuche, das Leben in seiner Größe klein oder armselig zu machen, offen zu halten. Die heilige Sehnsucht nach Gott ist die gläubige Erinnerung, die sich gegen viele Unglückspropheten erhebt. Dies ist die Sehnsucht, welche die Hoffnung der gläubigen Gemeinde lebendig hält, die Woche für Woche betet: »Komm, Herr Jesus!«

Genau diese Sehnsucht war es, die den greisen Simeon drängte, täglich in den Tempel zu gehen im sicheren Wissen, dass sein Leben nicht zu Ende gehen würde, ehe er den Erlöser in seinem Arm gehalten habe. Diese Sehnsucht war es, die den verlorenen Sohn drängte, die zerstörerische Haltung aufzugeben und die Arme seines Vaters zu suchen. Diese Sehnsucht war es, die der Hirte in seinem Herzen spürte, als er die 99 Schafe zurückließ, um das verlorene zu suchen. Und dies erfuhr auch Maria Magdalena am Ostermorgen, um zum Grab zu eilen und ihrem auferstandenen Meister zu begegnen. Die Sehnsucht nach Gott führt uns heraus aus unseren deterministischen Abgrenzungen, die uns glauben machen, dass sich nichts ändern könne. Die Sehnsucht nach Gott ist die Haltung, welche die langweiligen Konformismen aufbricht und uns drängt, uns für jene Veränderung einzusetzen, die wir erhoffen und brauchen. Die Sehnsucht nach Gott hat ihre Wurzeln in der Vergangenheit, aber sie bleibt dort nicht stehen: Sie macht sich auf die Suche nach der Zukunft. Der „sehnsuchtsvolle“ Gläubige, der durch seinen Glauben angetrieben wird, macht sich bei der Suche nach Gott wie die Sterndeuter auf zu den entlegensten Orten der Geschichte, denn er weiß in seinem Herzen, dass ihn dort sein Herr erwartet. Er geht an die Ränder, an die Grenzen, an die Orte, wo das Evangelium noch nicht hingekommen ist, um dem Herrn begegnen zu können. Und er tut dies keineswegs in überlegener Haltung; er tut es wie ein Bettler, der die Augen dessen nicht ignorieren kann, für den die Frohe Botschaft Jesu noch ein unerforschtes Terrain ist.

In welch entgegengesetzter Haltung war man sich im Palast des Herodes, der nur wenige Kilometer von Betlehem entfernt lag, nicht darüber bewusst geworden, was gerade geschah. Während die Sterndeuter auf dem Weg waren, schlief Jerusalem. Es schlief unter einer Decke mit Herodes, der, statt auf der Suche zu sein, dennoch schlief. Er schlief betäubt mit einem abgestumpften Gewissen. Und er erschrak. Er hatte Angst. Es ist der Schrecken, der sich vor der Neuheit, welche die Geschichte von Grund auf verändert, in sich selbst verschließt, in seine Schlussfolgerungen, in seine Überzeugungen, in seine Erfolge. Es ist der Schrecken dessen, der auf dem Reichtum sitzt und dabei nicht imstande ist, weiter zu sehen. Der Schrecken, der im Herzen dessen aufkommt, der alles und alle kontrollieren will. Der Schrecken dessen, der in eine Kultur des Gewinnens um jeden Preis gefangen ist; in jene Kultur, in der allein für die „Sieger“ zu welchem Preis auch immer Platz ist. Der Schrecken, welcher der Angst und Furcht vor dem entspringt, was uns hinterfragt und unsere Sicherheiten und Wahrheiten und wie wir uns an die Welt und das Leben klammern gefährdet. Und so hatte Herodes Angst, und jene Angst führte ihn dazu, Sicherheit im Verbrechen zu suchen: »Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde« (Quodvultdeus, 2. Predigt über das Glaubensbekenntnis: PL 40, 655) Du mordest den Leib der Kleinen, aber die Furcht mordet dein Herz.

Wir wollen anbeten: Jene Männer kamen aus dem Osten, um zu huldigen und zwar am passenden Ort für einen König: dem Palast. Und das ist wichtig: Auf ihrer Suche gelangten sie dorthin, es war der geeignete Ort, denn es passt für einen König, in einem Palast geboren zu werden, seinen Hof und seine Untergebenen zu haben. Es ist ein Zeichen von Macht, von Erfolg, von einem glücklichen Leben. Und man kann erwarten, dass dem König gehuldigt, dass er gefürchtet und umschmeichelt wird – ja, aber nicht notwendigerweise geliebt. Das sind die Klischees der Welt, die kleinen Götzen, und mit diesen treiben wir Kult: den Kult der Macht, des Scheins, der Überlegenheit – Götzen, die nur Traurigkeit, Sklaverei und Angst versprechen.

Und genau hier begann der längere Weg, den jene Männer, die von weit her gekommen waren, machen mussten. Hier begann die schwierigere und mühevollere Kühnheit. Zu entdecken, dass das, was sie suchten, nicht im Palast war, sich aber an einem nicht nur geographischen, sondern existenziell anderen Ort befand. Hier sahen sie nicht den Stern, der sie geführt hatte, um einen Gott zu entdecken, der geliebt werden will – und das ist nur unter dem Zeichen der Freiheit und nicht der Tyrannei möglich; zu entdecken, dass der Blick dieses unbekannten – aber ersehnten – Königs nicht demütigt, nicht versklavt, nicht gefangen setzt. Zu entdecken, dass der Blick Gottes aufrichtet, vergibt, heilt. Zu entdecken, dass Gott dort geboren werden wollte, wo wir es nicht erwartetet haben, wo wir es vielleicht gar nicht wollen; oder wo wir es oft ablehnen. Zu entdecken, dass unter dem Blick Gottes Platz ist für die Verwundeten, die Erschöpften, die Misshandelten und Verlassenen: dass seine Kraft und seine Macht Barmherzigkeit heißt. Wie weit liegt für manche Jerusalem und Betlehem auseinander!

Herodes kann nicht anbeten, weil er seinen Blick nicht ändern wollte und konnte. Er wollte den Kult für sich selbst nicht ablegen und glaubte, alles drehe sich um ihn. Er konnte nicht anbeten, weil sein Ziel die eigene Huldigung war. Nicht einmal die Priester konnten anbeten, denn obwohl sie viel wussten und die Prophezeiungen kannten, waren sie weder bereit, sich auf den Weg zu machen, noch sich zu ändern.

Die Sterndeuter verspürten eine Sehnsucht, sie wollten nicht mehr die üblichen Dinge. Sie waren an die Gestalten eines Herodes ihrer Zeit gewöhnt, ihrer müde und überdrüssig. Aber dort in Betlehem gab es eine Verheißung von Neuheit, eine Verheißung von Bedingungslosigkeit. Dort ereignete sich etwas Neues. Die Sterndeuter konnten anbeten, weil sie den Mut hatten, sich auf den Weg zu machen und sich vor dem kleinen, vor dem armen, vor dem schutzlosen Kind niederzuwerfen. Als sie sich vor dem ungewöhnlichen und unbekannten Kind von Betlehem niederwarfen, erkannten sie dort die Herrlichkeit Gottes.

[00024-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«¿Dónde está el rey de los judíos que acaba de nacer? Porque vimos su estrella y hemos venido a adorarlo» (Mt 2,2).

Con estas palabras, los magos, venidos de tierras lejanas, nos dan a conocer el motivo de su larga travesía: adorar al rey recién nacido. Ver y adorar, dos acciones que se destacan en el relato evangélico: vimos una estrella y queremos adorar.

Estos hombres vieron una estrella que los puso en movimiento. El descubrimiento de algo inusual que sucedió en el cielo logró desencadenar un sinfín de acontecimientos. No era una estrella que brilló de manera exclusiva para ellos, ni tampoco tenían un ADN especial para descubrirla. Como bien supo decir un padre de la Iglesia, «los magos no se pusieron en camino porque hubieran visto la estrella, sino que vieron la estrella porque se habían puesto en camino» (cf. San Juan Crisóstomo). Tenían el corazón abierto al horizonte y lograron ver lo que el cielo les mostraba porque había en ellos una inquietud que los empujaba: estaban abiertos a una novedad.

Los magos, de este modo, expresan el retrato del hombre creyente, del hombre que tiene nostalgia de Dios; del que añora su casa, la patria celeste. Reflejan la imagen de todos los hombres que en su vida no han dejado que se les anestesie el corazón.

La santa nostalgia de Dios brota en el corazón creyente pues sabe que el Evangelio no es un acontecimiento del pasado sino del presente. La santa nostalgia de Dios nos permite tener los ojos abiertos frente a todos los intentos reductivos y empobrecedores de la vida. La santa nostalgia de Dios es la memoria creyente que se rebela frente a tantos profetas de desventura. Esa nostalgia es la que mantiene viva la esperanza de la comunidad creyente la cual, semana a semana, implora diciendo: «Ven, Señor Jesús».

Precisamente esta nostalgia fue la que empujó al anciano Simeón a ir todos los días al templo, con la certeza de saber que su vida no terminaría sin poder acunar al Salvador. Fue esta nostalgia la que empujó al hijo pródigo a salir de una actitud de derrota y buscar los brazos de su padre. Fue esta nostalgia la que el pastor sintió en su corazón cuando dejó a las noventa y nueve ovejas en busca de la que estaba perdida, y fue también la que experimentó María Magdalena la mañana del domingo para salir corriendo al sepulcro y encontrar a su Maestro resucitado. La nostalgia de Dios nos saca de nuestros encierros deterministas, esos que nos llevan a pensar que nada puede cambiar. La nostalgia de Dios es la actitud que rompe aburridos conformismos e impulsa a comprometerse por ese cambio que anhelamos y necesitamos. La nostalgia de Dios tiene su raíz en el pasado pero no se queda allí: va en busca del futuro. Al igual que los magos, el creyente «nostalgioso» busca a Dios, empujado por su fe, en los lugares más recónditos de la historia, porque sabe en su corazón que allí lo espera el Señor. Va a la periferia, a la frontera, a los sitios no evangelizados para poder encontrarse con su Señor; y lejos de hacerlo con una postura de superioridad lo hace como un mendicante que no puede ignorar los ojos de aquel para el cual la Buena Nueva es todavía un terreno a explorar.

Como actitud contrapuesta, en el palacio de Herodes ―que distaba muy pocos kilómetros de Belén―, no se habían percatado de lo que estaba sucediendo. Mientras los magos caminaban, Jerusalén dormía. Dormía de la mano de un Herodes quien lejos de estar en búsqueda también dormía. Dormía bajo la anestesia de una conciencia cauterizada. Y quedó desconcertado. Tuvo miedo. Es el desconcierto que, frente a la novedad que revoluciona la historia, se encierra en sí mismo, en sus logros, en sus saberes, en sus éxitos. El desconcierto de quien está sentado sobre la riqueza sin lograr ver más allá. Un desconcierto que brota del corazón de quién quiere controlar todo y a todos. Es el desconcierto del que está inmerso en la cultura del ganar cueste lo que cueste; en esa cultura que sólo tiene espacio para los «vencedores» y al precio que sea. Un desconcierto que nace del miedo y del temor ante lo que nos cuestiona y pone en riesgo nuestras seguridades y verdades, nuestras formas de aferrarnos al mundo y a la vida. Y Herodes tuvo miedo, y ese miedo lo condujo a buscar seguridad en el crimen: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde» (San Quodvultdeus, Sermo 2 sobre el símbolo: PL, 40, 655). Matas los niños en el cuerpo porque a ti el miedo te mata el corazón.

Queremos adorar. Los hombres de Oriente fueron a adorar, y fueron a hacerlo al lugar propio de un rey: el Palacio. Y esto es importante, allí llegaron ellos con su búsqueda, era el lugar indicado: pues es propio de un rey nacer en un palacio, y tener su corte y súbditos. Es signo de poder, de éxito, de vida lograda. Y es de esperar que el rey sea venerado, temido y adulado, sí; pero no necesariamente amado. Esos son los esquemas mundanos, los pequeños ídolos a los que le rendimos culto: el culto al poder, a la apariencia y a la superioridad. Ídolos que solo prometen tristeza, esclavitud, miedo.

Y fue precisamente ahí donde comenzó el camino más largo que tuvieron que andar esos hombres venidos de lejos. Ahí comenzó la osadía más difícil y complicada. Descubrir que lo que ellos buscaban no estaba en el palacio sino que se encontraba en otro lugar, no sólo geográfico sino existencial. Allí no veían la estrella que los conducía a descubrir un Dios que quiere ser amado, y eso sólo es posible bajo el signo de la libertad y no de la tiranía; descubrir que la mirada de este Rey desconocido ―pero deseado― no humilla, no esclaviza, no encierra. Descubrir que la mirada de Dios levanta, perdona, sana. Descubrir que Dios ha querido nacer allí donde no lo esperamos, donde quizá no lo queremos. O donde tantas veces lo negamos. Descubrir que en la mirada de Dios hay espacio para los heridos, los cansados, los maltratados, abandonados: que su fuerza y su poder se llama misericordia. Qué lejos se encuentra, para algunos, Jerusalén de Belén.

Herodes no puede adorar porque no quiso y no pudo cambiar su mirada. No quiso dejar de rendirse culto a sí mismo creyendo que todo comenzaba y terminaba con él. No pudo adorar porque buscaba que lo adorasen. Los sacerdotes tampoco pudieron adorar porque sabían mucho, conocían las profecías, pero no estaban dispuestos ni a caminar ni a cambiar.

Los magos sintieron nostalgia, no querían más de lo mismo. Estaban acostumbrados, habituados y cansados de los Herodes de su tiempo. Pero allí, en Belén, había promesa de novedad, había promesa de gratuidad. Allí estaba sucediendo algo nuevo. Los magos pudieron adorar porque se animaron a caminar y postrándose ante el pequeño, postrándose ante el pobre, postrándose ante el indefenso, postrándose ante el extraño y desconocido Niño de Belén, allí descubrieron la Gloria de Dios.

[00024-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

 

«Onde está o Rei dos judeus que acaba de nascer? Vimos a sua estrela no Oriente e viemos adorá-Lo» (Mt 2, 2).

Com estas palavras, os Magos, que vieram de terras distantes, dão-nos a conhecer o motivo da sua longa caminhada: adorar o Rei recém-nascido. Ver e adorar são duas ações que sobressaem na narração evangélica: vimos uma estrela e queremos adorar.

Estes homens viram uma estrela, que os pôs em movimento. A descoberta de algo inusual, que aconteceu no céu, desencadeou uma série inumerável de acontecimentos. Não era uma estrela que brilhou exclusivamente para eles, nem possuíam um DNA especial para a descobrir. Como justamente reconheceu um Padre da Igreja, os Magos não se puseram a caminho porque tinham visto a estrela, mas viram a estrela porque se tinham posto a caminho (cf. João Crisóstomo). Mantinham o coração fixo no horizonte, podendo assim ver aquilo que lhes mostrava o céu, porque havia neles um desejo que a tal os impelia: estavam abertos a uma novidade.

Os Magos dão-nos, assim, o retrato da pessoa crente, da pessoa que tem nostalgia de Deus; o retrato de quem sente a falta da sua casa: a pátria celeste. Refletem a imagem de todos os seres humanos que não deixaram, na sua vida, anestesiar o próprio coração.

Esta nostalgia santa de Deus brota no coração crente, porque sabe que o Evangelho não é um acontecimento do passado, mas do presente. A nostalgia santa de Deus permite-nos manter os olhos abertos contra todas as tentativas de restringir e empobrecer a vida. A nostalgia santa de Deus é a memória crente que se rebela contra tantos profetas de desgraça. É esta nostalgia que mantém viva a esperança da comunidade crente que implora, semana após semana, com estas palavras: «Vinde, Senhor Jesus!»

Era precisamente esta nostalgia que impelia o velho Simeão a ir ao Templo todos os dias, tendo a certeza de que a sua vida não acabaria sem ter nos braços o Salvador. Foi esta nostalgia que impeliu o filho pródigo a sair duma conduta autodestrutiva e procurar os braços de seu pai. Era esta nostalgia que sentia no seu coração o pastor, quando deixou as noventa e nove ovelhas para ir à procura da que se extraviara. E foi também o que sentiu Maria Madalena na madrugada do Domingo de Páscoa, fazendo-a correr até ao sepulcro e encontrar o seu Mestre ressuscitado. A nostalgia de Deus tira-nos para fora dos nossos recintos deterministas, que nos induzem a pensar que nada pode mudar. A nostalgia de Deus é a disposição que rompe com inertes conformismos, impelindo a empenhar-nos na mudança que anelamos e precisamos. A nostalgia de Deus tem as suas raízes no passado, mas não se detém lá: vai à procura do futuro. Impelido pela sua fé, o crente «nostálgico» vai à procura de Deus, como os Magos, nos lugares mais recônditos da história, pois está seguro, em seu coração, de que lá o espera o Senhor. Vai à periferia, à fronteira, aos lugares não evangelizados, para poder encontrar-se com o seu Senhor; e não o faz, seguramente, numa atitude de superioridade, mas como um mendigo que se dirige a alguém aos olhos de quem a Boa Nova é um terreno ainda a explorar.

Entretanto no palácio de Herodes que distava poucos quilómetros de Belém, animados de procedimento oposto, não se tinham apercebido do que estava a acontecer. Enquanto os Magos caminhavam, Jerusalém dormia; dormia em conluio com Herodes que, em vez de andar à procura, dormia também. Dormia sob a anestesia duma consciência cauterizada. E ficou perturbado; teve medo. É aquela perturbação que leva a pessoa, à vista da novidade que revoluciona a história, a fechar-se em si mesma, nos seus resultados, nos seus conhecimentos, nos seus sucessos. A perturbação de quem repousa na riqueza, incapaz de ver mais além. É a perturbação que nasce no coração de quem quer controlar tudo e todos; uma perturbação própria de quem vive imerso na cultura que impõe vencer a todo o custo, na cultura onde só há espaço para os «vencedores» e a qualquer preço. Uma perturbação que nasce do medo e do temor face àquilo que nos interpela, pondo em risco as nossas seguranças e verdades, o nosso modo de nos apegarmos ao mundo e à vida. E assim Herodes teve medo, e aquele medo levou-o a procurar segurança no crime: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde – matas o corpo das crianças, porque o temor te matou o coração» (São Quodvultdeus, Sermo 2 de Symbolo: PL 40, 655).

Queremos adorar. Aqueles homens vieram do Oriente para adorar, decididos a fazê-lo no lugar próprio de um rei: no Palácio. E isto é importante: aqui chegaram eles com a sua busca; era o lugar idóneo, porque é próprio de um rei nascer num palácio, ter a sua corte e os seus súditos. É sinal de poder, de êxito, de vida bem-sucedida. E pode-se esperar que o rei seja reverenciado, temido e lisonjeado; mas não necessariamente amado. Estes são os esquemas mundanos, os pequenos ídolos a quem prestamos culto: o culto do poder, da aparência e da superioridade. Ídolos que prometem apenas tristeza, escravidão, medo.

E foi lá precisamente onde começou o caminho mais longo que tiveram de fazer aqueles homens vindos de longe. Lá teve início a ousadia mais difícil e complicada: descobrir que não se encontrava no Palácio aquilo que procuravam, mas estava noutro lugar: e não só geográfico, mas também existencial. Lá não veem a estrela que os levava a descobrir um Deus que quer ser amado, e isto só é possível sob o signo da liberdade e não da tirania; descobrir que o olhar deste Rei desconhecido – mas desejado – não humilha, não escraviza, não aprisiona. Descobrir que o olhar de Deus levanta, perdoa, cura. Descobrir que Deus quis nascer onde não o esperávamos, onde talvez não o quiséssemos; ou onde muitas vezes o negamos. Descobrir que, no olhar de Deus, há lugar para os feridos, os cansados, os maltratados, os abandonados: que a sua força e o seu poder se chamam misericórdia. Como é distante, para alguns, Jerusalém de Belém!

Herodes não pode adorar, porque não quis nem pôde mudar o seu olhar. Não quis deixar de prestar culto a si mesmo, pensando que tudo começava e terminava nele. Não pôde adorar, porque o seu objetivo era que o adorassem a ele. Nem sequer os sacerdotes puderam adorar, porque sabiam muito, conheciam as profecias, mas não estavam dispostos a caminhar nem a mudar.

Os Magos sentiram nostalgia, não queriam mais as coisas usuais. Estavam habituados, dominados e cansados dos Herodes do seu tempo. Mas lá, em Belém, havia uma promessa de novidade, uma promessa de gratuidade. Lá estava a acontecer algo de novo. Os Magos puderam adorar, porque tiveram a coragem de caminhar e, prostrando-se diante do pequenino, prostrando-se diante do pobre, prostrando-se diante do inerme, prostrando-se diante do insólito e desconhecido Menino de Belém, lá descobriram a Glória de Deus.

[00024-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua araba

"أَينَ مَلِكُ اليهودِ الَّذي وُلِد؟ فقَد رأَينا نَجمَه في المَشرِق، فجِئْنا لِنَسجُدَ لَه" (متى 2، 2).

يكشف لنا المجوس، والذين جاءوا من أرض بعيدة، عبر هذه الكلمات، سببَ سفرهم الطويل: السجود للملك المولود. رؤية وسجود: عملين يبرزان في النص الإنجيلي: لقد رأينا النجمة ونريد أن نسجد له.

لقد رأى هؤلاء الرجال نجمة دفعتهم لسير. فقاد اكتشافُ أمرٍ غير اعتيادي إلى مجموعة واسعة من الأحداث. لم تشرق هذه النجمة خصّيصًا لهم، ولم يتميّزوا بحمض نووي خاص يسمح باكتشافها. كما اعترف به أحد آباء الكنيسة، موضحا أن المجوس لم يبدؤوا بالسير لأنهم رأوا النجمة، إنما رأوا النجمة لأنهم كانوا يسيرون (را. يوحنا فم الذهب). كان قلبهم منفتح على الأفق وبإمكانهم رؤية ما كان يظهره الفلك لأنه كانت هناك رغبة تدفعهم: كانوا منفتحين على ما هو جديد.

يعبّر المجوس بهذه الطريقة عن صورة الرجل المؤمن، الرجل الذي يحنّ إلى الله؛ لمَن يشعر بشوق إلى بيته، إلى الوطن السماوي. إنهم يعكسون صورة جميع الرجال الذين لم يسمحوا، في حياتهم، بأن يتخدّر قلبهم.

إن الحنين المقدّس إلى الله ينبع من قلب مؤمن لأنه يعرف أن الإنجيل ليس حدثا من الماضي إنما من الحاضر. الحنين المقدّس إلى الله يسمح بأن نبقي أعيننا مفتوحة أمام جميع محاولات الحدّ من الحياة وإفقارها. الحنين المقدّس إلى الله هي الذاكرة المؤمنة التي تثور إزاء الكثير من أنبياء الشؤم. هذا الحنين هو الحنين الذي يبقي حيًّا رجاءَ الجماعة المؤمنة التي، من أسبوع إلى آخر، تتضرع قائلة: "تعال أيها الرب يسوع!".

لقد كان هذا الحنين بالتحديد الذي دفع بسمعان النبي للذهاب إلى الهيكل كلّ يوم، موقنًا أن حياته لن تنتهي قبل أن يحمل المخلّص بين ذراعيه. لقد كان هذا الحنين الذي دفع الابن الضال إلى الخروج من موقف مدمّر وإلى البحث عن ذراعي أبيه. لقد كان هذا الحنين الذي شعر به الراعي في قلبه حين ترك الـ 99 خروف كي يبحث عن ذاك الضال، وهذا ما اختبرته مريم المجدليّة صباح الأحد لتذهب مسرعة إلى القبر وتلتقي بمعلّمها القائم من بين الأموات. فحنين الله يُخرِجنا من أسوارنا التحديدية، الأسوار التي توحي إلينا بأن لا شيء يمكن أن يتغيّر. الحنين إلى الله هو الموقف الذي يكسر الانسياق المملّ ويدفع إلى الالتزام بذاك التغيير الذي نتوق إليه ونحتاجه. إن جذور الحنين إلى الله تعود إلى الماضي ولكنها لا تتوقّف عند هذا الحد: فهي تذهب للبحث عن المستقبل. المؤمن "الممتلئ بالحنين"، مدفوع بإيمانه، يذهب للبحث عن الله، مثل المجوس، في الأماكن النائية من التاريخ، لأنه يعلم، في قلبه، أن الربّ ينتظره هناك. يذهب إلى الضواحي، إلى الحدود، إلى الأماكن التي لم تُبَشّر بعد، كي يقدر أن يلتقي بربّه؛ ولا يقوم به على الاطلاق بروح التعالي، إنما كالمتسوّل الذي لا يمكن أن يتجاهل عيني الذي لا تزال البشارة بالنسبة إليه أرضًا يجب اكتشافها.

وكموقف معاكس، في قصر هيرودس (الذي كان على بعد بضعة كيلومترات من بيت لحم)، لم يدركوا ما كان يحدث. بينما كان المجوس يسيرون، كانت أورشليم نائمة. كانت نائمة بتواطؤ مع هيرودس الذي، بدل أن يبحث، كان نائمًا. كان نائمًا تحت تخدير ضميرٍ أصابه الكيّ. وقد بقي متحيّرا. واعتراه الخوف. إنها الحيرة التي، إزاء الجديد الذي يحدث ثورة في التاريخ، تنغلق في ذاتها، وفي نتائجها، وفي معرفتها، وفي نجاحاتها. حيرة مَن يجلس على ثروته وغير قادر على رؤية ما هو أبعد. حيرة تنشأ في قلب مَن يريد أن يسيطر على كلّ شيء وعلى الجميع. إنها حيرة مَن هو منغمس في ثقافة "الفوز بأيّ ثمن"؛ تلك الثقافة حيث هناك مجال فقط "للفائزين" وبأيّ ثمن. حيرة ضياع تولَد من الخوف ومن الفزع إزاء ما يستدعينا وما يعرّض للخطر ضماناتنا وحقائقنا، وطريقة تعلّقنا بالعالم وبالحياة. وهكذا اعترى الخوف هيرودس، وقد قاده هذا الخوف إلى البحث عن الأمن عبر الجريمة: أنت تقتل جسد الأطفال لأن الخوف قتل قلبك "Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde" (القديس كودفولتديوس، عظة عدد 2 حول الرمز:PL 40، 655).

نريد أن نسجد. لقد أتى هؤلاء الرجال من المشرق كي يعبدوا، وجاءوا للقيام به في المكان الذي يليق بالملك: القصر. وصلوا إلى هناك مع بحثهم، وكان المكان الملائم، لأن من خصائص الملك أن يولد في القصر، وأن يكون له حاشيته ورعاياه. إنها علامة السلطة، والرفاهية، والحياة الناجحة. ومن الممكن التوقع بأن يكون الملك مُبَجّلا، ويخافه الناس، ويبادرونه الاطراء، أجل؛ ولكن ليس بالضرورة أن يكون محبوبا. هذه هي الأنظمة الدنيوية، والآلهة الباطلة الصغيرة التي نعبدها: عبادة السلطة، والمظاهر، والتفوّق. آلهة باطلة تَعِدُ بالحزن والعبودية وحسب.

هناك بالتحديد، بدأت الرحلة الأطول التي كان على هؤلاء الرجال، الذين جاءوا من بعيد، القيام بها. هناك بدأت الجرأة الأصعب والأكثر تعقيدا. الاكتشاف بأن ما كانوا يبحثون عنه لم يكن في القصر، إنما في مكان آخر، ليس فقط جغرافيا إنما وجدانيا. هناك رأوا النجمة التي قادتهم إلى اكتشاف إله يريد أن يكون محبوبا، وهذا ممكن فقط تحت راية الحرية وليس تحت راية الاستبداد؛ اكتشاف أن نظرة هذا الإله المجهول –ولكن المرغوب- لا تذلّ، ولا تستعبد، ولا تأسر. اكتشاف أن نظرة الله تقيم، وتصفح، وتشفي. اكتشاف أن الله أراد أن يولد حيث لم نكن نتوقّعه، حيث ربما لا نريده. أو حيث غالبًا ما ننكره. اكتشاف أن هناك مكان في نظرة الله للمجروحين، وللمتعبين، وللذين يعامَلون بالسوء، وللمتروكين: بأن قوته وسلطته اسمها رحمة. كم هي بعيدة أورشليم عن بيت لحم، بالنسبة للبعض!

لم يستطع هيرودس أن يسجد لأنه لم يرد ولم يستطع أن يغيّر نظرته. لم يرد التوقّف عن عبادة ذاته اعتقادًا بأن كلّ شيء يبدأ وينتهي به. لم يستطع السجود لأن هدفه كان بأن يعبدوه هو. حتى الكهنة لم يستطيعوا أن يسجدوا لأن معرفتهم كانت كبيرة، كانوا يعرفون النبوءات، ولكنهم لم يكونوا مستعدّين لا للسير ولا للتغيير.

لقد شعر المجوس بالحنين، ولا يريدون الأشياء المعتادة. كانوا معتادين على مختلف "هيرودس" زمنهم ومدمنين عليهم ومتعبين منهم. إنما في بيت لحم، كان هناك وعدٌ بالتجديد، وعدٌ بالمجانية. كان أمرٌ جديدٌ يحدث هناك. وقد استطاع المجوس أن يسجدوا لأنه كانت لهم الشجاعة للسير، فاكتشفوا، إذ انحنوا أمام الصغير، انحنوا أمام الفقير، انحنوا أمام العاجز، انحنوا أمام طفل بيت لحم غير العادي والمجهول، اكتشفوا مجدَ الله.

 

[00024-AR.01] [Testo originale: Italiano]

 

[B0010-XX.03]