MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2010 ● MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
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● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2010 sul tema: "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (Rm 3, 21-22):
● MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Quest’anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall’affermazione paolina: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22).
Giustizia: "dare cuique suum"
Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine "giustizia", che nel linguaggio comune implica "dare a ciascuno il suo - dare cuique suum", secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel "suo" da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia "distributiva" non rende all’essere umano tutto il "suo" che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant’Agostino: se "la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo... non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo al vero Dio" (De civitate Dei, XIX, 21).
Da dove viene l’ingiustizia?
L’evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è impuro: "Non c'è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro... Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male" (Mc 7,14-15.20-21). Al di là della questione immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei farisei una tentazione permanente dell’uomo: quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene "da fuori", affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: "Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre" (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore?
Giustizia e Sedaqah
Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che "solleva dalla polvere il debole" (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfr Es 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è "sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto" (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un "esodo" più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia?
Cristo, giustizia di Dio
L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: "Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio... per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue" (3,21-25).
Quale è dunque la giustizia di Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’"espiazione" avvenga nel "sangue" di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé "la maledizione" che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la "benedizione" che spetta a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del "suo"? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.
Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del "mio", per darmi gratuitamente il "suo". Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia "più grande", che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare.
Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore.
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima culmina nel Triduo Pasquale, nel quale anche quest’anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia. Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l’Apostolica Benedizione.
Dal Vaticano, 30 ottobre 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-01.01] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
Chers frères et sœurs,
Chaque année, à l’occasion du carême, l’Église nous invite à une révision de vie sincère à la lumière des enseignements évangéliques. Cette année j’aimerais vous proposer quelques réflexions sur un vaste sujet, celui de la justice, à partir de l’affirmation de saint Paul : «La justice de Dieu s’est manifestée moyennant la foi au Christ. » (Rm 3, 21-22)
Justice : « dare cuique suum »
En un premier temps, je souhaite m’arrêter sur le sens du mot « justice » qui dans le langage commun revient à « donner à chacun ce qui lui est dû - dare cuique suum » selon la célèbre expression d’Ulpianus, juriste romain du III siècle. Toutefois cette définition courante ne précise pas en quoi consiste ce « suum » qu’il faut assurer à chacun. Or ce qui est essentiel pour l’homme ne peut être garanti par la loi. Pour qu’il puisse jouir d’une vie en plénitude il lui faut quelque chose de plus intime, de plus personnel et qui ne peut être accordé que gratuitement : nous pourrions dire qu’il s’agit pour l’homme de vivre de cet amour que Dieu seul peut lui communiquer, l’ayant créé à son image et à sa ressemblance. Certes les biens matériels sont utiles et nécessaires. D’ailleurs, Jésus lui-même a pris soin des malades, il a nourri les foules qui le suivaient et, sans aucun doute, il réprouve cette indifférence qui, aujourd’hui encore, condamne à mort des centaines de millions d’êtres humains faute de nourriture suffisante, d’eau et de soins. Cependant, la justice distributive ne rend pas à l’être humain tout ce qui lui est dû. L’homme a, en fait, essentiellement besoin de vivre de Dieu parce que ce qui lui est dû dépasse infiniment le pain. Saint Augustin observe à ce propos que « si la justice est la vertu qui rend à chacun ce qu’il lui est dû... alors il n’y a pas de justice humaine qui ôte l’homme au vrai Dieu» (De Civitate Dei XIX, 21)
D’où vient l’injustice?
L’évangéliste Marc nous transmet ces paroles de Jésus prononcées à son époque lors d’un débat sur ce qui est pur et ce qui est impur : « Il n’est rien d’extérieur à l’homme qui, pénétrant en lui, puisse le souiller... ce qui sort de l’homme voilà ce qui souille l’homme. Car c’est du dedans, du cœur des hommes que sortent les desseins pervers. » (Mc 7, 14-15 ; 20-21) Au-delà du problème immédiat de la nourriture, nous pouvons déceler dans la réaction des pharisiens une tentation permanente chez l’homme : celle de pointer l’origine du mal dans une cause extérieure. En y regardant de plus près, on constate que de nombreuses idéologies modernes véhiculent ce présupposé : puisque l’injustice vient du dehors, il suffit d’éliminer les causes extérieures qui empêchent l’accomplissement de la justice. Cette façon de penser, nous avertit Jésus, est naïve et aveugle. L’injustice, conséquence du mal, ne vient pas exclusivement de causes extérieures ; elle trouve son origine dans le cœur humain où l’on y découvre les fondements d’une mystérieuse complicité avec le mal. Le psalmiste le reconnaît douloureusement : « Vois dans la faute je suis né, dans le péché ma mère m’a conçu. » (Ps 51,7). Oui, l’homme est fragilisé par une blessure profonde qui diminue sa capacité à entrer en communion avec l’autre. Naturellement ouvert à la réciprocité libre de la communion, il découvre en lui une force de gravité étonnante qui l’amène à se replier sur lui-même, à s’affirmer au-dessus et en opposition aux autres : il s’agit de l’égoïsme, conséquence du péché originel. Adam et Eve ont été séduits par le mensonge du Satan. En s’emparant du fruit mystérieux, ils ont désobéi au commandement divin. Ils ont substitué une logique du soupçon et de la compétition à celle de la confiance en l’Amour, celle de l’accaparement anxieux et de l’autosuffisance à celle du recevoir et de l’attente confiante vis-à-vis de l’autre (cf. Gn 3, 1-6) de sorte qu’il en est résulté un sentiment d’inquiétude et d’insécurité. Comment l’homme peut-il se libérer de cette tendance égoïste et s’ouvrir à l’amour ?
Justice et Sedaqah
Au sein de la sagesse d’Israël, nous découvrons un lien profond entre la foi en ce Dieu qui « de la poussière relève le faible » (Ps 113,7) et la justice envers le prochain. Le mot sedaqah, qui désigne en hébreux la vertu de justice, exprime admirablement cette relation. Sedaqah signifie en effet l’acceptation totale de la volonté du Dieu d’Israël et la justice envers le prochain (cf. Ex 20,12-17), plus spécialement envers le pauvre, l’étranger, l’orphelin et la veuve (cf. Dt 10, 18-19). Ces deux propositions sont liées entre elles car, pour l’Israélite, donner au pauvre n’est que la réciprocité de ce que Dieu a fait pour lui : il s’est ému de la misère de son peuple. Ce n’est pas un hasard si le don de la Loi à Moïse, au Sinaï, a eu lieu après le passage de la Mer Rouge. En effet, l’écoute de la Loi suppose la foi en Dieu qui, le premier, a écouté les cris de son peuple et est descendu pour le libérer du pouvoir de l’Egypte ( cf. Ex 3,8). Dieu est attentif au cri de celui qui est dans la misère mais en retour demande à être écouté : il demande justice pour le pauvre (cf. Sir 4,4-5. 8-9), l’étranger (cf. Ex 22,20), l’esclave (cf. Dt 15, 12-18). Pour vivre de la justice, il est nécessaire de sortir de ce rêve qu’est l’autosuffisance, de ce profond repliement sur-soi qui génère l’injustice. En d’autres termes, il faut accepter un exode plus profond que celui que Dieu a réalisé avec Moïse, il faut une libération du cœur que la lettre de la Loi est impuissante à accomplir. Y a-t-il donc pour l’homme une espérance de justice ?
Le Christ, Justice de Dieu.
L’annonce de la bonne nouvelle répond pleinement à la soif de justice de l’homme. L’apôtre saint Paul le souligne dans son Épître aux Romains : « Mais maintenant sans la Loi, la justice de Dieu s’est manifestée...par la foi en Jésus Christ à l’adresse de tous ceux qui croient. Car il n’y a pas de différence : tous ont péché et sont privés de la gloire de Dieu et ils sont justifiés par la faveur de sa grâce en vertu de la rédemption accomplie par le Christ Jésus. Dieu l’a exposé instrument de propitiation par son propre sang moyennant la foi. » (3, 21-25)
Quelle est donc la justice du Christ ? C’est avant tout une justice née de la grâce où l’homme n’est pas sauveur et ne guérit ni lui-même ni les autres. Le fait que l’expiation s’accomplisse dans « le sang » du Christ signifie que l’homme n’est pas délivré du poids de ses fautes par ses sacrifices, mais par le geste d’amour de Dieu qui a une dimension infinie, jusqu’à faire passer en lui la malédiction qui était réservée à l’homme pour lui rendre la bénédiction réservée à Dieu (cf. Gal 3, 13-14). Mais immédiatement pourrait-on objecter : de quel type de justice s’agit-il si le juste meurt pour le coupable et le coupable reçoit en retour la bénédiction qui revient au juste ? Est-ce que chacun ne reçoit-il pas le contraire de ce qu’il lui est dû ? En réalité, ici, la justice divine se montre profondément différente de la justice humaine. Dieu a payé pour nous, en son Fils, le prix du rachat, un prix vraiment exorbitant. Face à la justice de la Croix, l’homme peut se révolter car elle manifeste la dépendance de l’homme, sa dépendance vis-à-vis d’un autre pour être pleinement lui-même. Se convertir au Christ, croire à l’Évangile, implique d’abandonner vraiment l’illusion d’être autosuffisant, de découvrir et accepter sa propre indigence ainsi que celle des autres et de Dieu, enfin de découvrir la nécessité de son pardon et de son amitié.
On comprend alors que la foi ne soit pas du tout quelque chose de naturel, de facile et d’évident : il faut être humble pour accepter que quelqu’un d’autre me libère de mon moi et me donne gratuitement en échange son soi. Cela s’accomplit spécifiquement dans les sacrement de la réconciliation et de l’eucharistie. Grâce à l’action du Christ, nous pouvons entrer dans une justice « plus grande », celle de l’amour (cf. Rm 13, 8-10), la justice de celui qui, dans quelque situation que ce soit, s’estime davantage débiteur que créancier parce qu’il a reçu plus que ce qu’il ne pouvait espérer.
Fort de cette expérience, le chrétien est invité à s’engager dans la construction de sociétés justes où tous reçoivent le nécessaire pour vivre selon leur dignité humaine et où la justice est vivifiée par l’amour.
Chers frères et sœurs, le temps du carême culmine dans le triduum pascal, au cours duquel cette année encore, nous célébrerons la justice divine, qui est plénitude de charité, de don et de salut. Que ce temps de pénitence soit pour chaque chrétien un temps de vraie conversion et d’intime connaissance du mystère du Christ venu accomplir toute justice. Formulant ces vœux, j’accorde à tous et de tout cœur ma bénédiction apostolique.
Cité du Vaticano, le 30 octobre 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-03.01] [Texte original: Italien]
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
Dear Brothers and Sisters!
Each year, on the occasion of Lent, the Church invites us to a sincere review of our life in light of the teachings of the Gospel. This year, I would like to offer you some reflections on the great theme of justice, beginning from the Pauline affirmation: "The justice of God has been manifested through faith in Jesus Christ" (cf. Rm 3, 21-22).
Justice: "dare cuique suum"
First of all, I want to consider the meaning of the term "justice," which in common usage implies "to render to every man his due," according to the famous expression of Ulpian, a Roman jurist of the third century. In reality, however, this classical definition does not specify what "due" is to be rendered to each person. What man needs most cannot be guaranteed to him by law. In order to live life to the full, something more intimate is necessary that can be granted only as a gift: we could say that man lives by that love which only God can communicate since He created the human person in His image and likeness. Material goods are certainly useful and required – indeed Jesus Himself was concerned to heal the sick, feed the crowds that followed Him and surely condemns the indifference that even today forces hundreds of millions into death through lack of food, water and medicine – yet "distributive" justice does not render to the human being the totality of his "due." Just as man needs bread, so does man have even more need of God. Saint Augustine notes: if "justice is that virtue which gives every one his due ... where, then, is the justice of man, when he deserts the true God?" (De civitate Dei, XIX, 21).
What is the Cause of Injustice?
The Evangelist Mark reports the following words of Jesus, which are inserted within the debate at that time regarding what is pure and impure: "There is nothing outside a man which by going into him can defile him; but the things which come out of a man are what defile him … What comes out of a man is what defiles a man. For from within, out of the heart of man, come evil thoughts" (Mk 7, 14-15, 20-21). Beyond the immediate question concerning food, we can detect in the reaction of the Pharisees a permanent temptation within man: to situate the origin of evil in an exterior cause. Many modern ideologies deep down have this presupposition: since injustice comes "from outside," in order for justice to reign, it is sufficient to remove the exterior causes that prevent it being achieved. This way of thinking – Jesus warns – is ingenuous and shortsighted. Injustice, the fruit of evil, does not have exclusively external roots; its origin lies in the human heart, where the seeds are found of a mysterious cooperation with evil. With bitterness the Psalmist recognises this: "Behold, I was brought forth in iniquity, and in sin did my mother conceive me" (Ps 51,7). Indeed, man is weakened by an intense influence, which wounds his capacity to enter into communion with the other.
By nature, he is open to sharing freely, but he finds in his being a strange force of gravity that makes him turn in and affirm himself above and against others: this is egoism, the result of original sin. Adam and Eve, seduced by Satan’s lie, snatching the mysterious fruit against the divine command, replaced the logic of trusting in Love with that of suspicion and competition; the logic of receiving and trustfully expecting from the Other with anxiously seizing and doing on one’s own (cf. Gn 3, 1-6), experiencing, as a consequence, a sense of disquiet and uncertainty. How can man free himself from this selfish influence and open himself to love?
Justice and Sedaqah
At the heart of the wisdom of Israel, we find a profound link between faith in God who "lifts the needy from the ash heap" (Ps 113,7) and justice towards one’s neighbor. The Hebrew word itself that indicates the virtue of justice, sedaqah, expresses this well. Sedaqah, in fact, signifies on the one hand full acceptance of the will of the God of Israel; on the other hand, equity in relation to one’s neighbour (cf. Ex 20, 12-17), especially the poor, the stranger, the orphan and the widow (cf. Dt 10, 18-19). But the two meanings are linked because giving to the poor for the Israelite is none other than restoring what is owed to God, who had pity on the misery of His people. It was not by chance that the gift to Moses of the tablets of the Law on Mount Sinai took place after the crossing of the Red Sea. Listening to the Law presupposes faith in God who first "heard the cry" of His people and "came down to deliver them out of hand of the Egyptians" (cf. Ex 3,8). God is attentive to the cry of the poor and in return asks to be listened to: He asks for justice towards the poor (cf. Sir 4,4-5, 8-9), the stranger (cf. Ex 22,20), the slave (cf. Dt 15, 12-18). In order to enter into justice, it is thus necessary to leave that illusion of self-sufficiency, the profound state of closure, which is the very origin of injustice. In other words, what is needed is an even deeper "exodus" than that accomplished by God with Moses, a liberation of the heart, which the Law on its own is powerless to realize. Does man have any hope of justice then?
Christ, the Justice of God
The Christian Good News responds positively to man’s thirst for justice, as Saint Paul affirms in the Letter to the Romans: "But now the justice of God has been manifested apart from law … the justice of God through faith in Jesus Christ for all who believe. For there is no distinction; since all have sinned and fall short of the glory of God, they are justified by His grace as a gift, through the redemption which is in Christ Jesus, whom God put forward as an expiation by his blood, to be received by faith" (3, 21-25).
What then is the justice of Christ? Above all, it is the justice that comes from grace, where it is not man who makes amends, heals himself and others. The fact that "expiation" flows from the "blood" of Christ signifies that it is not man’s sacrifices that free him from the weight of his faults, but the loving act of God who opens Himself in the extreme, even to the point of bearing in Himself the "curse" due to man so as to give in return the "blessing" due to God (cf. Gal 3, 13-14). But this raises an immediate objection: what kind of justice is this where the just man dies for the guilty and the guilty receives in return the blessing due to the just one? Would this not mean that each one receives the contrary of his "due"? In reality, here we discover divine justice, which is so profoundly different from its human counterpart. God has paid for us the price of the exchange in His Son, a price that is truly exorbitant. Before the justice of the Cross, man may rebel for this reveals how man is not a self-sufficient being, but in need of Another in order to realize himself fully. Conversion to Christ, believing in the Gospel, ultimately means this: to exit the illusion of self-sufficiency in order to discover and accept one’s own need – the need of others and God, the need of His forgiveness and His friendship. So we understand how faith is altogether different from a natural, good-feeling, obvious fact: humility is required to accept that I need Another to free me from "what is mine," to give me gratuitously "what is His." This happens especially in the sacraments of Reconciliation and the Eucharist. Thanks to Christ’s action, we may enter into the "greatest" justice, which is that of love (cf. Rm 13, 8-10), the justice that recognises itself in every case more a debtor than a creditor, because it has received more than could ever have been expected.
Strengthened by this very experience, the Christian is moved to contribute to creating just societies, where all receive what is necessary to live according to the dignity proper to the human person and where justice is enlivened by love.
Dear brothers and sisters, Lent culminates in the Paschal Triduum, in which this year, too, we shall celebrate divine justice – the fullness of charity, gift, salvation. May this penitential season be for every Christian a time of authentic conversion and intense knowledge of the mystery of Christ, who came to fulfill every justice. With these sentiments, I cordially impart to all of you my Apostolic Blessing.
From the Vatican, 30 October 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-02.01] [Original text: English]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
Liebe Brüder und Schwestern,
jedes Jahr lädt uns die Kirche ein, vom Evangelium her in der Fastenzeit ehrliche Rückschau auf unser Leben zu halten. Dieses Jahr möchte ich Euch einige Überlegungen zum weiten Thema der Gerechtigkeit vortragen, ausgehend vom Wort des hl. Paulus: Die Gerechtigkeit Gottes ist offenbart worden, aus dem Glauben an Jesus Christus (vgl. Röm 3,21-22).
Gerechtigkeit: „dare cuique suum"
Ich beziehe mich an erster Stelle auf die Bedeutung des Ausdrucks „Gerechtigkeit", der nach allgemeiner Auffassung und nach der Formulierung des römischen Juristen Ulpian – er lebte im 3. Jahrhundert – bedeutet, „jedem das Seine zu geben – dare cuique suum". In Wirklichkeit erläutert diese klassische Definition jedoch nicht hinreichend, worin jenes „Seine" besteht, dass jedem zukommen soll. Das für den Menschen Notwendige kann ihm nicht vollkommen durch ein Gesetz zugesprochen werden. Für ein wahrhaft erfülltes Leben braucht es etwas tieferes, dass nur geschenkt werden kann: Wir könnten sagen, dass der Mensch aus jener Liebe lebt, die allein Gott dem geben kann, den er nach seinem Abbild und ihm ähnlich erschaffen hat. Ganz gewiss sind die irdischen Güter nützlich und notwendig, - Jesus selbst war besorgt, die Kranken zu heilen, die Menge, die ihm gefolgt ist, zu sättigen, und er verurteilt ganz sicher jene Gleichgültigkeit, die auch heute noch hunderttausende Menschen in den Hungertod treibt, weil ihnen Nahrung, Wasser und Medizin fehlen –, aber „Verteilungsgerechtigkeit" gibt dem Menschen noch nicht alles Notwendige, das „Seine". Genauso, wie die Menschheit mehr Brot braucht, braucht sie Gott. Der hl. Augustinus bemerkt: „Wenn die Gerechtigkeit die Tugend ist, die jedem das Seine zuteilt, […] wie kann man beim Menschen Gerechtigkeit nennen, was dem Menschen den wahren Gott entzieht?" (De civitate Dei, XIX, 21).
Woher kommt die Ungerechtigkeit?
Der Evangelist Matthäus überliefert uns folgende Worte Jesu, die beim Streitgespräch über Reinheit und Unreinheit ansetzen: „Nichts, was von außen in den Menschen hineinkommt, kann ihn unrein machen, sondern was aus dem Menschen herauskommt, das macht ihn unrein. […] Was aus dem Menschen herauskommt, das macht ihn unrein. Denn von innen, aus dem Herzen der Menschen, kommen die bösen Gedanken" (Mk 7,14-15.20-21). Über die Frage der Pharisäer hinaus, die sich unmittelbar auf die Speisevorschriften bezieht, können wir an ihrer Reaktion eine ständige Versuchung des Menschen ausmachen: den Ursprung für das Böse außerhalb seiner selbst zu suchen. Viele der modernen Ideologien gehen, wie klar zu erkennen ist, von dieser Voraussetzung aus: Weil die Ungerechtigkeit „von außen" kommt, ist es zur Verwirklichung der Gerechtigkeit hinreichend, die äußeren Umstände, die ihre Umsetzung behindern, zu ändern. Diese Vorstellung – warnt Jesus – ist naiv und kurzsichtig. Die Ungerechtigkeit, die aus dem Bösen hervorgeht, hat nicht nur einen äußeren Ursprung; sie gründet im Herzen des Menschen, wo sich die Keime für ein geheimnisvolles Übereinkommen mit dem Bösen finden lassen. Diese bittere Einsicht gewinnt der Psalmist: „Denn ich bin in Schuld geboren, in Sünde hat mich meine Mutter empfangen" (Ps 51,7). Ja, der Mensch ist durch einen tiefen Stoß zerbrechlich geworden, der ihn unfähig zur Gemeinschaft mit seinem Gegenüber gemacht hat. Von Natur aus offen und fähig zum Austausch, spürt er in sich eine seltsame mächtige Macht, die ihn dazu bringt, sich in sich zu verkrümmen, sich über und gegen die anderen durchzusetzen: Dies ist der Egoismus, die Folge der Erbschuld. Als Adam und Eva, verführt durch die Lüge Satans, wider das göttliche Gebot die geheimnisvolle Frucht gegessen haben, setzten sie an die Stelle der Logik der Liebe jene des Misstrauens und des Widerstreitens, an die Stelle der Logik des Empfangens, der vertrauensvollen Erwartung gegenüber dem Nächsten jene gierige, raffende, egoistische (vgl. Gen 3,1-6). So spürten sie am Ende ein Gefühl der Unruhe und Unsicherheit. Wie kann sich der Mensch aus diesem egoistischen Zwang befreien und sich für die Liebe öffnen?
Gerechtigkeit und Sedaqah
Im Herzen der Weisheit Israels finden wir eine tiefe Verbindung zwischen dem Glauben an Gott, der „den Schwachen aus dem Staub emporhebt" (Ps 113,7) und der Gerechtigkeit gegenüber dem Nächsten. Das Wort, das im Hebräischen die Tugend der Gerechtigkeit bezeichnet, sedaqah, drückt diesen Sachverhalt gut aus. Denn sedaqah bezeichnet einerseits, mit dem Willen des Gottes Israels völlig übereinzustimmen, andererseits ohne Vorbehalten gegen den Nächsten (vgl. Ex 20,12-17), besonders den Armen, den Fremden, den Waisen und die Witwe (vgl. Dtn 10,18-19) zu sein. Aber die beiden Bedeutungen sind miteinander verbunden, weil der Israelit nicht unterscheidet zwischen der Hilfe dem Armen gegenüber und der Rückerstattung, die er Gott schuldig ist, der sich seines Volkes erbarmt hat. Die Übergabe der Gesetzestafeln an Mose auf dem Berg Sinai geschieht nicht zufällig nach dem Durchzug durch das Rote Meer. Das Hören des Gesetzes setzt also den Glauben an Gott voraus, der zuerst das Klagegeschrei seines Volkes gehört hat und herabgestiegen ist, um sie der Hand der Ägypter zu entreißen (vgl. Ex 3,8). Gott ist empfänglich für den Schrei des Armen und erwartet im Gegenzug Hörbereitschaft: er verlangt Gerechtigkeit gegenüber dem Armen (vgl. Sir 4,4-5.8-9), dem Fremden (vgl. Ex 22,20), dem Sklaven (vgl. Dtn 15,12-18). Um Gerechtigkeit zu erlangen, ist es unumgänglich, den Trug der Selbstgenügsamkeit aufzugeben, jenen tiefen Zustand der Verschlossenheit, der selbst der Ursprung für die Ungerechtigkeit ist. In anderen Worten: Ein tiefergehender „Exodus" steht an als der, den Gott durch Mose bewirkt hat, eine Befreiung des Herzens, die durch ein bloßes Wort des Gesetzes nicht realisiert werden kann. Gibt es also für den Menschen überhaupt Hoffnung auf Gerechtigkeit?
Christus, die Gerechtigkeit Gottes
Die christliche Botschaft antwortet zustimmend auf die Sehnsucht des Menschen nach Gerechtigkeit, wie es der Apostel Paulus in seinem Brief an die Römer unterstreicht: „Jetzt aber ist unabhängig vom Gesetz die Gerechtigkeit Gottes offenbart worden: […] aus dem Glauben an Jesus Christus, offenbart für alle, die glauben. Denn es gibt keinen Unterschied: Alle haben gesündigt und die Herrlichkeit Gottes verloren. Ohne es verdient zu haben, werden sie gerecht, dank seiner Gnade, durch die Erlösung in Christus Jesus. Ihn hat Gott dazu bestimmt, Sühne zu leisten mit seinem Blut, Sühne, wirksam durch Glauben" (3,21-25).
Worin besteht also die Gerechtigkeit Christi? Es ist vor allem die Gerechtigkeit aus Gnade, in der nicht der Mensch wiedergutmacht, sich selbst und die anderen heilt. Die Tatsache, dass „Sühne" wird in Jesu „Blut", weist aus: Nicht die Opfer des Menschen befreien ihn von der Last der Schuld, sondern die Liebestat Gottes; er geht bis zum Äußersten, nimmt den „Fluch" auf sich, der dem Menschen zukommt, um ihn umzuwandeln in den „Segen", der Gott entspricht (vgl. Gal 3,13-14). Aber hier erhebt sich sogleich ein Einwand: Was ist das für eine Gerechtigkeit, wenn der Gerechte für den Schuldigen stirbt und der Schuldige seinerseits den Segen empfängt, der eigentlich dem Gerechten entspricht? Empfängt nicht auf diese Weise jeder gerade das Gegenteil des „Seinen"? Wahrhaftig, hier enthüllt sich die göttliche Gerechtigkeit, die grundverschieden von jener der Menschen ist. Gott hat für uns mit seinem Sohn den Kaufpreis bezahlt, wirklich einen ungeheuer hohen Preis. Im Angesicht der Gerechtigkeit des Kreuzes kann der Mensch rebellieren, weil dieser Anblick aufzeigt, dass er sich selbst nicht genügt, sondern eines anderen bedarf, um wahrhaft er selbst zu sein. Sich zu Christus bekehren, an das Evangelium zu glauben, hat im letzten diese Bedeutung: sich aus der Illusion der Selbstgenügsamkeit zu befreien und die eigene Not einzugestehen – das Bedürfnis der anderen und das Bedürfnis Gottes, seines Erbarmens und seiner Freundschaft.
So ist also zu verstehen, dass der Glaube keineswegs etwas natürliches ist, angenehm und selbstverständlich: Es braucht Demut, um anzunehmen, dass ich jemand anderen nötig habe, der mich aus dem „Meinen" befreit, der mir freigiebig das „Seine" schenkt. Das geschieht in besonderer Weise in den Sakramenten der Buße und der Eucharistie. Dank der Erlösungstat Christi wird uns die ungleich größere Gerechtigkeit zuteil, jene, die aus der Liebe erwächst (vgl. Röm 13,8-10), in der man sich stets mehr als Empfänger denn als Gebender fühlt, weil man mehr empfangen hat, als man eigentlich erwarten kann.
Fest verwurzelt in dieser Hoffnung wird der Christ dazu angetrieben, eine gerechte Gesellschaft zu schaffen, in der alle das Notwendige erhalten, um menschenwürdig leben zu können, und in der die Gerechtigkeit aus der Liebe lebt.
Liebe Schwestern und Brüder, die Fastenzeit gipfelt im Triduum Sacrum, an dem wir auch in diesem Jahr wieder die göttliche Gerechtigkeit feiern, die voll ist von Nächstenliebe, Zuwendung und Rettung. Möge diese Zeit der Buße für alle Christen eine Zeit wahrer Umkehr und innigerer Vertiefung ins Geheimnis Christi sein, der gekommen ist, um die Gerechtigkeit zu vollenden. Mit diesen Gedanken erteile ich Euch allen von Herzen meinen Apostolischen Segen.
Aus dem Vatikan, am 30. Oktober 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
Queridos hermanos y hermanas:
Cada año, con ocasión de la Cuaresma, la Iglesia nos invita a una sincera revisión de nuestra vida a la luz de las enseñanzas evangélicas. Este año quiero proponeros algunas reflexiones sobre el vasto tema de la justicia, partiendo de la afirmación paulina: La justicia de Dios se ha manifestado por la fe en Jesucristo (cf. Rm 3,21-22).
Justicia: "dare cuique suum"
Me detengo, en primer lugar, en el significado de la palabra "justicia", que en el lenguaje común implica "dar a cada uno lo suyo" - "dare cuique suum", según la famosa expresión de Ulpiano, un jurista romano del siglo III. Sin embargo, esta clásica definición no aclara en realidad en qué consiste "lo suyo" que hay que asegurar a cada uno. Aquello de lo que el hombre tiene más necesidad no se le puede garantizar por ley. Para gozar de una existencia en plenitud, necesita algo más íntimo que se le puede conceder sólo gratuitamente: podríamos decir que el hombre vive del amor que sólo Dios, que lo ha creado a su imagen y semejanza, puede comunicarle. Los bienes materiales ciertamente son útiles y necesarios (es más, Jesús mismo se preocupó de curar a los enfermos, de dar de comer a la multitud que lo seguía y sin duda condena la indiferencia que también hoy provoca la muerte de centenares de millones de seres humanos por falta de alimentos, de agua y de medicinas), pero la justicia "distributiva" no proporciona al ser humano todo "lo suyo" que le corresponde. Este, además del pan y más que el pan, necesita a Dios. Observa san Agustín: si "la justicia es la virtud que distribuye a cada uno lo suyo... no es justicia humana la que aparta al hombre del verdadero Dios" (De Civitate Dei, XIX, 21).
¿De dónde viene la injusticia?
El evangelista Marcos refiere las siguientes palabras de Jesús, que se sitúan en el debate de aquel tiempo sobre lo que es puro y lo que es impuro: "Nada hay fuera del hombre que, entrando en él, pueda contaminarle; sino lo que sale del hombre, eso es lo que contamina al hombre... Lo que sale del hombre, eso es lo que contamina al hombre. Porque de dentro, del corazón de los hombres, salen las intenciones malas" (Mc 7,15. 20-21). Más allá de la cuestión inmediata relativa a los alimentos, podemos ver en la reacción de los fariseos una tentación permanente del hombre: la de identificar el origen del mal en una causa exterior. Muchas de las ideologías modernas tienen, si nos fijamos bien, este presupuesto: dado que la injusticia viene "de fuera", para que reine la justicia es suficiente con eliminar las causas exteriores que impiden su puesta en práctica. Esta manera de pensar advierte Jesús es ingenua y miope. La injusticia, fruto del mal, no tiene raíces exclusivamente externas; tiene su origen en el corazón humano, donde se encuentra el germen de una misteriosa convivencia con el mal. Lo reconoce amargamente el salmista: "Mira, en la culpa nací, pecador me concibió mi madre" (Sal 51,7). Sí, el hombre es frágil a causa de un impulso profundo, que lo mortifica en la capacidad de entrar en comunión con el prójimo. Abierto por naturaleza al libre flujo del compartir, siente dentro de sí una extraña fuerza de gravedad que lo lleva a replegarse en sí mismo, a imponerse por encima de los demás y contra ellos: es el egoísmo, consecuencia de la culpa original. Adán y Eva, seducidos por la mentira de Satanás, aferrando el misterioso fruto en contra del mandamiento divino, sustituyeron la lógica del confiar en el Amor por la de la sospecha y la competición; la lógica del recibir, del esperar confiado los dones del Otro, por la lógica ansiosa del aferrar y del actuar por su cuenta (cf. Gn 3,1-6), experimentando como resultado un sentimiento de inquietud y de incertidumbre. ¿Cómo puede el hombre librarse de este impulso egoísta y abrirse al amor?
Justicia y Sedaqad
En el corazón de la sabiduría de Israel encontramos un vínculo profundo entre la fe en el Dios que "levanta del polvo al desvalido" (Sal 113,7) y la justicia para con el prójimo. Lo expresa bien la misma palabra que en hebreo indica la virtud de la justicia: sedaqad,. En efecto, sedaqad significa, por una parte, aceptación plena de la voluntad del Dios de Israel; por otra, equidad con el prójimo (cf. Ex 20,12-17), en especial con el pobre, el forastero, el huérfano y la viuda (cf. Dt 10,18-19). Pero los dos significados están relacionados, porque dar al pobre, para el israelita, no es otra cosa que dar a Dios, que se ha apiadado de la miseria de su pueblo, lo que le debe. No es casualidad que el don de las tablas de la Ley a Moisés, en el monte Sinaí, suceda después del paso del Mar Rojo. Es decir, escuchar la Ley presupone la fe en el Dios que ha sido el primero en "escuchar el clamor" de su pueblo y "ha bajado para librarle de la mano de los egipcios" (cf. Ex 3,8). Dios está atento al grito del desdichado y como respuesta pide que se le escuche: pide justicia con el pobre (cf. Si 4,4-5.8-9), el forastero (cf. Ex 20,22), el esclavo (cf. Dt 15,12-18). Por lo tanto, para entrar en la justicia es necesario salir de esa ilusión de autosuficiencia, del profundo estado de cerrazón, que es el origen de nuestra injusticia. En otras palabras, es necesario un "éxodo" más profundo que el que Dios obró con Moisés, una liberación del corazón, que la palabra de la Ley, por sí sola, no tiene el poder de realizar. ¿Existe, pues, esperanza de justicia para el hombre?
Cristo, justicia de Dios
El anuncio cristiano responde positivamente a la sed de justicia del hombre, como afirma el Apóstol Pablo en la Carta a los Romanos: "Ahora, independientemente de la ley, la justicia de Dios se ha manifestado... por la fe en Jesucristo, para todos los que creen, pues no hay diferencia alguna; todos pecaron y están privados de la gloria de Dios, y son justificados por el don de su gracia, en virtud de la redención realizada en Cristo Jesús, a quien exhibió Dios como instrumento de propiciación por su propia sangre, mediante la fe, para mostrar su justicia (Rm 3,21-25).
¿Cuál es, pues, la justicia de Cristo? Es, ante todo, la justicia que viene de la gracia, donde no es el hombre que repara, se cura a sí mismo y a los demás. El hecho de que la "propiciación" tenga lugar en la "sangre" de Jesús significa que no son los sacrificios del hombre los que le libran del peso de las culpas, sino el gesto del amor de Dios que se abre hasta el extremo, hasta aceptar en sí mismo la "maldición" que corresponde al hombre, a fin de transmitirle en cambio la "bendición" que corresponde a Dios (cf. Ga 3,13-14). Pero esto suscita en seguida una objeción: ¿qué justicia existe dónde el justo muere en lugar del culpable y el culpable recibe en cambio la bendición que corresponde al justo? Cada uno no recibe de este modo lo contrario de "lo suyo"? En realidad, aquí se manifiesta la justicia divina, profundamente distinta de la humana. Dios ha pagado por nosotros en su Hijo el precio del rescate, un precio verdaderamente exorbitante. Frente a la justicia de la Cruz, el hombre se puede rebelar, porque pone de manifiesto que el hombre no es un ser autárquico, sino que necesita de Otro para ser plenamente él mismo. Convertirse a Cristo, creer en el Evangelio, significa precisamente esto: salir de la ilusión de la autosuficiencia para descubrir y aceptar la propia indigencia, indigencia de los demás y de Dios, exigencia de su perdón y de su amistad.
Se entiende, entonces, como la fe no es un hecho natural, cómodo, obvio: hace falta humildad para aceptar tener necesidad de Otro que me libere de lo "mío", para darme gratuitamente lo "suyo". Esto sucede especialmente en los sacramentos de la Penitencia y de la Eucaristía. Gracias a la acción de Cristo, nosotros podemos entrar en la justicia "más grande", que es la del amor (cf. Rm 13,8-10), la justicia de quien en cualquier caso se siente siempre más deudor que acreedor, porque ha recibido más de lo que podía esperar.
Precisamente por la fuerza de esta experiencia, el cristiano se ve impulsado a contribuir a la formación de sociedades justas, donde todos reciban lo necesario para vivir según su propia dignidad de hombres y donde la justicia sea vivificada por el amor.
Queridos hermanos y hermanas, la Cuaresma culmina en el Triduo Pascual, en el que este año volveremos a celebrar la justicia divina, que es plenitud de caridad, de don y de salvación. Que este tiempo penitencial sea para todos los cristianos un tiempo de auténtica conversión y de intenso conocimiento del misterio de Cristo, que vino para cumplir toda justicia. Con estos sentimientos, os imparto a todos de corazón la bendición apostólica.
Vaticano, 30 de octubre de 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-04.01] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
Queridos irmãos e irmãs,
todos os anos, por ocasião da Quaresma, a Igreja convida-nos a uma revisão sincera da nossa vida á luz dos ensinamentos evangélicos . Este ano desejaria propor-vos algumas reflexões sobre o tema vasto da justiça, partindo da afirmação Paulina: A justiça de Deus está manifestada mediante a fé em Jesus Cristo (cfr Rom 3,21 – 22 ).
Justiça: "dare cuique suum"
Detenho-me em primeiro lugar sobre o significado da palavra "justiça" que na linguagem comum implica "dar a cada um o que é seu – dare cuique suum", segundo a conhecida expressão de Ulpiano, jurista romana do século III. Porém, na realidade, tal definição clássica não precisa em que é que consiste aquele "suo" que se deve assegurar a cada um. Aquilo de que o homem mais precisa não lhe pode ser garantido por lei. Para gozar de uma existência em plenitude, precisa de algo mais intimo que lhe pode ser concedido somente gratuitamente: poderíamos dizer que o homem vive daquele amor que só Deus lhe pode comunicar, tendo-o criado á sua imagem e semelhança. São certamente úteis e necessários os bens materiais – no fim de contas o próprio Jesus se preocupou com a cura dos doentes, em matar a fome das multidões que o seguiam e certamente condena a indiferença que também hoje condena centenas de milhões de seres humanos á morte por falta de alimentos, de água e de medicamentos - , mas a justiça distributiva não restitui ao ser humano todo o "suo" que lhe é devido. Como e mais do que o pão ele de facto precisa de Deus. Nora Santo Agostinho: se " a justiça é a virtude que distribui a cada um o que é seu…não é justiça do homem aquela que subtrai o homem ao verdadeiro Deus" (De civitate Dei, XIX, 21).
De onde vem a injustiça?
O evangelista Marcos refere as seguintes palavras de Jesus, que se inserem no debate de então acerca do que é puro e impuro: "Nada há fora do homem que, entrando nele, o possa tornar impuro. Mas o que sai do homem, isso é que o torna impuro. Porque é do interior do coração dos homens, que saem os maus pensamentos" (Mc 7,14-15.20-21). Para além da questão imediata relativo ao alimento, podemos entrever nas reacções dos fariseus uma tentação permanente do homem: individuar a origem do mal numa causa exterior. Muitas das ideologias modernas, a bem ver, têm este pressuposto: visto que a injustiça vem "de fora", para que reine a justiça é suficiente remover as causas externas que impedem a sua actuação: Esta maneira de pensar - admoesta Jesus – é ingénua e míope. A injustiça, fruto do mal , não tem raízes exclusivamente externas; tem origem no coração do homem, onde se encontram os germes de uma misteriosa conivência com o mal. Reconhece-o com amargura o Salmista:"Eis que eu nasci na culpa, e a minha mãe concebeu-se no pecado" (Sl. 51,7). Sim, o homem torna-se frágil por um impulso profundo, que o mortifica na capacidade de entrar em comunhão com o outro. Aberto por natureza ao fluxo livre da partilha, adverte dentro de si uma força de gravidade estranha que o leva a dobrar-se sobre si mesmo, a afirmar-se acima e contra os outros: é o egoísmo, consequência do pecado original. Adão e Eva, seduzidos pela mentira de Satanás, pegando no fruto misterioso contra a vontade divina, substituíram á lógica de confiar no Amor aquela da suspeita e da competição ; á lógica do receber, da espera confiante do Outro, aquela ansiosa do agarrar, do fazer sozinho (cfr Gn 3,1-6) experimentando como resultado uma sensação de inquietação e de incerteza. Como pode o homem libertar-se deste impulso egoísta e abrir-se ao amor?
Justiça e Sedaqah
No coração da sabedoria de Israel encontramos um laço profundo entre fé em Deus que "levanta do pó o indigente (Sl. 113,7) e justiça em relação ao próximo. A própria palavra com a qual em hebraico se indica a virtude da justiça, sedaqah, exprime-o bem.
De facto sedaqah significa, dum lado a aceitação plena da vontade do Deus de Israel; do outro, equidade em relação ao próximo (cfr Ex 29,12-17), de maneira especial ao pobre, ao estrangeiro, ao órfão e á viúva ( cfr Dt 10,18-19). Mas os dois significados estão ligados, porque o dar ao pobre, para o israelita nada mais é senão a retribuição que se deve a Deus, que teve piedade da miséria do seu povo. Não é por acaso que o dom das tábuas da Lei a Moisés, no monte Sinai, se verifica depois da passagem do Mar Vermelho. Isto é, a escuta da Lei , pressupõe a fé no Deus que foi o primeiro a ouvir o lamento do seu povo e desceu para o libertar do poder do Egipto (cfr Ex s,8). Deus está atento ao grito do pobre e em resposta pede para ser ouvido: pede justiça para o pobre ( cfr.Ecli 4,4-5.8-9), o estrangeiro ( cfr Ex 22,20), o escravo ( cfr Dt 15,12-18). Para entrar na justiça é portanto necessário sair daquela ilusão de auto – suficiência , daquele estado profundo de fecho, que á a própria origem da injustiça. Por outras palavras, é necessário um "êxodo" mais profundo do que aquele que Deus efectuou com Moisés, uma libertação do coração, que a palavra da Lei, sozinha, é impotente a realizar. Existe portanto para o homem esperança de justiça?
Cristo, justiça de Deus
O anuncio cristão responde positivamente á sede de justiça do homem, como afirma o apóstolo Paulo na Carta aos Romanos: " Mas agora, é sem a lei que está manifestada a justiça de Deus… mediante a fé em Jesus Cristo, para todos os crentes. De facto não há distinção, porque todos pecaram e estão privados da glória de Deus, sendo justificados gratuitamente pela Sua graça, por meio da redenção que se realiza em Jesus Cristo, que Deus apresentou como vitima de propiciação pelo Seu próprio sangue, mediante a fé" (3,21-25)
Qual é portanto a justiça de Cristo? É antes de mais a justiça que vem da graça, onde não é o homem que repara, que cura si mesmo e os outros. O facto de que a "expiação" se verifique no "sangue" de Jesus significa que não são os sacrifícios do homem a libertá-lo do peso das suas culpas, mas o gesto do amor de Deus que se abre até ao extremo, até fazer passar em si " a maldição" que toca ao homem, para lhe transmitir em troca a "bênção" que toca a Deus (cfr Gal 3,13-14). Mas isto levanta imediatamente uma objecção:
Que justiça existe lá onde o justo morre pelo culpado e o culpado recebe em troca a bênção que toca ao justo? Desta maneira cada um não recebe o contrário do que é "seu"? Na realidade, aqui manifesta-se a justiça divina, profundamente diferente da justiça humana. Deus pagou por nós no seu Filho o preço do resgate, um preço verdadeiramente exorbitante. Perante a justiça da Cruz o homem pode revoltar-se, porque ele põe em evidencia que o homem não é um ser autárquico , mas precisa de um Outro para ser plenamente si mesmo. Converter-se a Cristo, acreditar no Evangelho, no fundo significa precisamente isto: sair da ilusão da auto suficiência para descobrir e aceitar a própria indigência – indigência dos outros e de Deus, exigência do seu perdão e da sua amizade.
Compreende-se então como a fé não é um facto natural, cómodo, obvio: é necessário humildade para aceitar que se precisa que um Outro me liberte do "meu", para me dar gratuitamente o "seu". Isto acontece particularmente nos sacramentos da Penitencia e da Eucaristia. Graças á acção de Cristo, nós podemos entrar na justiça " maior", que é aquela do amor ( cfr Rom 13,8-10), a justiça de quem se sente em todo o caso sempre mais devedor do que credor, porque recebeu mais do que aquilo que poderia esperar.
Precisamente fortalecido por esta experiencia, o cristão é levado a contribuir para a formação de sociedades justas, onde todos recebem o necessário para viver segundo a própria dignidade de homem e onde a justiça é vivificada pelo amor.
Queridos irmãos e irmãs, a Quaresma culmina no Triduo Pascal, no qual também este ano celebraremos a justiça divina, que é plenitude de caridade, de dom, de salvação. Que este tempo penitencial seja para cada cristão tempo de autentica conversão e de conhecimento intenso do mistério de Cristo, que veio para realizar a justiça. Com estes sentimentos, a todos concedo de coração, a Bênção Apostólica.
Vaticano, 30 de Outubro de 2009
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-06.01] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
Drodzy bracia i siostry!
Każdego roku przy okazji Wielkiego Postu Kościół zachęca nas do szczerego przeanalizowania własnego życia w świetle wskazań Ewangelii. W tym roku pragnę wam przedstawić parę refleksji, dotyczących rozległego zagadnienia sprawiedliwości, obierając za punkt wyjścia słowa św. Pawła: «Jawną się stała sprawiedliwość Boża (...) przez wiarę w Jezusa Chrystusa» (Rz 3, 21-22).
Sprawiedliwość: «dare cuique suum»
Najpierw poświęcę trochę miejsca znaczeniu pojęcia «sprawiedliwość», które w języku ogółu jest tożsame z wymogiem, by «dać każdemu to, co mu się należy — «dare cuique suum», zgodnie ze słynną formułą Ulpiana, rzymskiego prawnika z III w. W rzeczywistości jednak ta klasyczna definicja nie precyzuje, czym jest owo «suum», które należy każdemu zapewnić. To, czego człowiek najbardziej potrzebuje, nie może być zagwarantowane przez prawo. By mógł on cieszyć się pełnią życia, potrzebuje czegoś głębszego, co może mu być dane tylko darmo; moglibyśmy powiedzieć, że człowiek żyje miłością, którą może mu dać jedynie Bóg, bo stworzył go na swój obraz i podobieństwo. Z pewnością przydatne są i konieczne dobra materialne — Jezus sam zresztą uzdrawiał chorych, karmił tłumy, które za Nim chodziły, i niewątpliwie potępia obojętność, która również dziś skazuje setki milionów istot ludzkich na śmierć z powodu braku żywności, wody i lekarstw — jednak sprawiedliwość rozdzielcza nie daje człowiekowi całego należnego mu «suum». Tak jak chleba i bardziej niż chleba potrzebuje on bowiem Boga. Św. Augustyn pisze: Skoro «sprawiedliwość jest cnotą, która każdemu przyznaje to, co mu się należy (...) nie jest sprawiedliwością ludzką ta, która odbiera człowieka prawdziwemu Bogu» (De civitate Dei, XIX, 21).
Skąd bierze się niesprawiedliwość?
Ewangelista Marek przytacza następujące słowa Jezusa, które się odnoszą do toczącej się wówczas dysputy na temat tego, co jest czyste, a co nieczyste: «Nic nie wchodzi z zewnątrz w człowieka, co mogłoby uczynić go nieczystym; lecz to, co wychodzi z człowieka, to czyni człowieka nieczystym (...). Co wychodzi z człowieka, to czyni go nieczystym. Z wnętrza bowiem, z serca ludzkiego pochodzą złe myśli» (Mk 7, 15. 20-21). Abstrahując od kwestii ściśle związanej z żywnością, możemy dostrzec w reakcji faryzeuszy stałą pokusę człowieka, żeby upatrywać źródła zła w przyczynach zewnętrznych. W wielu współczesnych ideologiach, jak dobrze popatrzeć, występuje ta przesłanka: skoro niesprawiedliwość pochodzi «z zewnątrz», to aby zapanowała sprawiedliwość, wystarczy usunąć zewnętrzne przyczyny, które uniemożliwiają jej urzeczywistnienie. Ten sposób myślenia — napomina Jezus — jest naiwny i krótkowzroczny. Niesprawiedliwość, owoc zła, nie ma jedynie zewnętrznych korzeni; rodzi się ona w sercu człowieka, w którym tkwią zalążki tajemniczej zmowy ze złem. Psalmista z goryczą uznaje: «Oto zrodzony jestem w przewinieniu i w grzechu poczęła mnie matka» (Ps 51 [50], 7). Tak, człowieka osłabia wewnętrzna siła, która ogranicza jego zdolność do komunii z drugim człowiekiem. Z natury swojej otwarty na swobodną wymianę z innymi, czuje, że dziwna siła ciążenia popycha go do zamknięcia się w sobie, do wybicia się «ponad» innych i «przeciw» innym: jest to egoizm, konsekwencja grzechu pierworodnego. Adam i Ewa, zwiedzeni kłamstwem Szatana, gdy wbrew Bożemu przykazaniu sięgnęli po tajemniczy owoc, zastąpili logikę ufności w Miłość logiką opartą na podejrzliwości i rywalizacji; logikę tego, kto przyjmuje, ufnie oczekuje na coś od Drugiego — logiką tego, kto niecierpliwie zagarnia i postępuje według własnego uznania (por. Rdz 3, 1-6), co w rezultacie napełniło ich niepokojem i niepewnością. W jaki sposób człowiek może uwolnić się od tej egoistycznej skłonności i otworzyć na miłość?
Sprawiedliwość i sedaqah
Mądrość Izraela oparta jest na głębokim związku między wiarą w Boga, który «podnosi nędzarza z prochu» (Ps 113 [112], 7), a sprawiedliwością względem bliźniego. Wyraża to dobrze sedaqah — słowo, którym w języku hebrajskim określa się cnotę sprawiedliwości. Sedaqah oznacza bowiem, z jednej strony, pełną akceptację woli Boga Izraela; z drugiej — sprawiedliwość względem bliźniego (por. Wj 20, 12-17), zwłaszcza ubogiego, przybysza, sieroty i wdowy (por. Pwt 10, 18-19). Obydwa te znaczenia są jednakże ze sobą powiązane, bowiem dla Izraelity dawanie ubogiemu to nic innego jak należne odwzajemnienie się Bogu, który ulitował się nad nędzą swojego ludu. Nie przypadkiem Mojżesz otrzymuje tablice z Prawem na górze Synaj po przejściu przez Morze Czerwone. Oznacza to, że przestrzeganie Prawa opiera się na wierze w Boga, który pierwszy «wysłuchał skargi» swego ludu i «zstąpił, aby go wyrwać z rąk Egiptu» (por. Wj 3, 8). Bóg słucha głosu nędzarza, a w zamian chce, by Go słuchano: domaga się sprawiedliwości względem ubogiego (por. Syr 4, 4-5. 8-9), przybysza (por. Wj 22, 20), niewolnika (por. Pwt 15, 12-18). Toteż aby żyć w sprawiedliwości, trzeba wyzbyć się złudzenia, że jest się samowystarczalnym, wyjść z głębokiego stanu zamknięcia, który jest źródłem niesprawiedliwości. Innymi słowy, konieczne jest «wyjście» w sensie głębszym niż to, którego Bóg dokonał przez Mojżesza — wyzwolenie serca, którego sama litera Prawa nie jest w stanie urzeczywistnić. Czy zatem człowiek może mieć nadzieję na sprawiedliwość?
Chrystus, sprawiedliwość Boga
Orędzie chrześcijańskie jest pozytywną odpowiedzią na ludzkie pragnienie sprawiedliwości, jak stwierdza apostoł Paweł w Liście do Rzymian: «teraz jawną się stała sprawiedliwość Boża niezależna od Prawa (...) przez wiarę w Jezusa Chrystusa dla wszystkich, którzy wierzą. Bo nie ma tu różnicy: wszyscy bowiem zgrzeszyli i pozbawieni są chwały Bożej, a dostępują usprawiedliwienia za darmo, z Jego łaski, przez odkupienie, które jest w Chrystusie Jezusie. Jego to ustanowił Bóg narzędziem przebłagania dzięki wierze mocą Jego krwi» (3, 21-25).
Jaka jest zatem sprawiedliwość Chrystusa? Jest to przede wszystkim sprawiedliwość pochodząca od łaski, według której to nie człowiek naprawia, uzdrawia samego siebie i innych. Fakt, że «przebłaganie» dokonuje się «mocą krwi» Jezusa, oznacza, że to nie ofiary składane przez człowieka uwalniają go od ciężaru win, ale gest miłości Boga, który otwiera się aż do końca, tak dalece, że bierze na siebie «przekleństwo», należne człowiekowi, aby w zamian obdarzyć go «błogosławieństwem», które należy się Bogu (por. Ga 3, 13-14). Natychmiast rodzi to jednak obiekcję: co to za sprawiedliwość, gdy sprawiedliwy umiera za winnego, a winowajca otrzymuje w zamian błogosławieństwo, które należy się sprawiedliwemu? Czyż nie jest zatem tak, że każdy otrzymuje przeciwieństwo tego, co «mu się należy»? W rzeczywistości to pokazuje Bożą sprawiedliwość, głęboko różniącą się od sprawiedliwości ludzkiej. Bóg w swoim Synu zapłacił cenę naszego wykupu, cenę naprawdę ogromną. W obliczu sprawiedliwości krzyża człowiek może się buntować, gdyż uwidacznia ona jasno, że człowiek nie jest istotą samowystarczalną, ale potrzebuje Drugiego, aby być w pełni sobą. Nawrócić się do Chrystusa, wierzyć w Ewangelię oznacza w gruncie rzeczy właśnie to: wyzbyć się złudzenia samowystarczalności, aby uświadomić sobie i zaakceptować własny brak — brak innych i Boga, potrzebę Jego przebaczenia i Jego przyjaźni.
Staje się zatem zrozumiałe, że wiara bynajmniej nie jest czymś naturalnym, wygodnym, oczywistym: potrzeba pokory, by uznać, że potrzebuję Drugiego, który uwolni mnie od tego, co moje, by dać mi darmo, «co mi się należy». Dokonuje się to zwłaszcza w sakramentach pokuty i Eucharystii. Dzięki działaniu Chrystusa możemy dostąpić «większej» sprawiedliwości, jaką jest sprawiedliwość miłości (por. Rz 13, 8-10), sprawiedliwość tego, kto w każdym przypadku zawsze czuje się bardziej dłużnikiem niż wierzycielem, otrzymał bowiem więcej, niż można się spodziewać.
Właśnie dzięki temu doświadczeniu chrześcijanin stara się przyczyniać do kształtowania sprawiedliwych społeczności, w których wszyscy otrzymują to, co konieczne, aby żyć na miarę własnej godności ludzkiej, i w których sprawiedliwość jest ożywiana przez miłość.
Drodzy bracia i siostry, uwieńczeniem Wielkiego Postu jest Triduum paschalne, podczas którego również w tym roku będziemy wysławiać sprawiedliwość Bożą, która jest pełnią miłości, daru i zbawienia. Oby ten czas pokuty był dla każdego chrześcijanina czasem prawdziwego nawrócenia i intensywnego zgłębiania tajemnicy Chrystusa, który przyszedł, by stało się zadość wszelkiej sprawiedliwości. Z tymi uczuciami wszystkim udzielam z serca Apostolskiego Błogosławieństwa.
Watykan, 30 października 2009 r.
BENEDICTUS PP. XVI
[00171-09.01] [Testo originale: Italiano]
[B0071-XX.01]