La Basilica di Santa Maria Maggiore, situata sulla sommità del colle Esquilino, è una delle quattro Basiliche Papali di Roma ed è la sola che abbia conservato le strutture paleocristiane. Una nota tradizione vuole che sia stata la Vergine ad indicare ed ispirare la costruzione della sua dimora sull'Esquilino. Apparendo in sogno al patrizio Giovanni ed al papa Liberio, chiese la costruzione di una chiesa in suo onore, in un luogo che Essa avrebbe miracolosamente indicato. La mattina del 5 agosto, il colle Esquilino apparve ammantato di neve. Il papa tracciò il perimetro della nuova chiesa e Giovanni provvide al suo finanziamento. Di questa chiesa non ci resta nulla se non un passo del Liber Pontificalis dove si afferma che papa Liberio "Fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae". Anche i recenti scavi effettuati sotto l'attuale basilica, pur portando alla luce importanti testimonianze archeologiche come lo stupendo calendario del II-III secolo d.C. e come i resti di mura romane parzialmente visibili visitando il museo, non ci hanno restituito nulla dell'antica costruzione. Il campanile, in stile romanico rinascimentale, si staglia per 75 metri ed è il più alto di Roma. É stato costruito da Gregorio XI al suo ritorno a Roma da Avignone e ospita alla sommità cinque campane. Una di esse, "la sperduta", ripete ogni sera alle ventuno, con suono inconfondibile, un richiamo per tutti i fedeli. Entrando nel portico, a destra, è situata la statua di Filippo IV di Spagna, benefattore della Basilica. Il bozzetto dell'opera, realizzata da Girolamo Lucenti nel XIII secolo, è di Gian Lorenzo Bernini. Al centro la grande porta di bronzo realizzata da Ludovico Pogliaghi nel 1949, con episodi della vita della Vergine, i profeti, gli Evangelisti e le quattro donne che nell'Antico Testamento prefigurarono la Madonna. A sinistra la Porta Santa, benedetta da Giovanni Paolo II l'8 dicembre del 2001, portata a compimento dallo scultore Luigi Mattei e offerta alla basilica dall'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Al centro Cristo risorto, il modello è l'uomo della Sindone, che appare a Maria, rappresentata come la Salus Populi Romani. In alto a sinistra l'Annunciazione al pozzo, episodio tratto dai Vangeli apocrifi, a destra la Pentecoste. In basso nel lato sinistro, il Concilio di Efeso, che stabilì Maria quale THEOTÒKOS, a destra il Concilio Vaticano II che La volle Mater Ecclesiae. Lo stemma di Giovanni Paolo II e il suo motto sono rappresentati nella parte alta, mentre i due in basso appartengono al Cardinale Furno, che fu arciprete della Basilica, e all'Ordine del Santo Sepolcro. L'attuale basilica risale essenzialmente al V secolo d.C.. La sua costruzione è legata al Concilio di Efeso del 431 d.C. che proclamò Maria Theotòkos, Madre di Dio, e fu voluta e finanziata da Sisto III quale Vescovo di Roma. Entrando si prova una viva impressione nel vedere la sua vastità, lo splendore dei suoi marmi e la ricchezza della decorazione; l'effetto monumentale e grandioso è dovuto principalmente alla forma della struttura della basilica e all'armonia che regna nei principali elementi della sua architettura. Costruita secondo i canoni del "ritmo elegante" di Vitruvio, la basilica è divisa in tre navate da due file di preziose colonne sulle quali corre un'artistica trabeazione ora interrotta verso l'abside da due arcate realizzate per la costruzione della Cappella Sistina e Paolina. Tra i colonnati ed il soffitto, le pareti erano in origine traforate da ampie finestre delle quali se ne conservano solo metà essendo state murate le altre. Dove erano le finestre, oggi è possibile ammirare una serie di affreschi che rappresentano "Storie della vita di Maria". Al di sopra delle finestre e degli affreschi, un fregio ligneo decorato da squisiti intagli rappresentanti una serie di tori cavalcati da amorini si unisce alla cornice del soffitto. I tori sono il simbolo dei Borgia e gli stemmi di Callisto III e Alessandro VI, i due papi Borgia, spiccano al centro del soffitto. Non è ben chiaro quale fu il contributo di Callisto III alla realizzazione di quest'opera, certo è che chi la realizzò fu Alessandro VI che vi pose mano quando era ancora arciprete della Basilica: il soffitto venne disegnato da Giuliano da Sangallo e completato da suo fratello Antonio. La tradizione vuole che la doratura sia stata realizzata con il primo oro proveniente delle Americhe che Isabella e Ferdinando di Spagna offrirono ad Alessandro VI. Come uno splendido tappeto, si stende ai nostri piedi il pavimento a mosaico realizzato dai mastri marmorari Cosma e offerto ad Eugenio III nel XII secolo, da Scoto Paparoni e suo figlio Giovanni, due nobili romani. L'unicità di Santa Maria Maggiore è dovuta però agli splendidi mosaici del V secolo, voluti da Sisto III che si snodano lungo la navata centrale e sull'arco trionfale. I mosaici della navata centrale riassumono quattro cicli di Storia Sacra i cui protagonisti sono Abramo, Giacobbe, Mosè e Giosuè e nel loro insieme, vogliono testimoniare la promessa di Dio al popolo ebraico di una terra e il suo aiuto per raggiungerla. Il racconto, che non segue un ordine cronologico, inizia sulla parete sinistra presso l'arco trionfale con il sacrificio incruento di Melchisedek, re-sacerdote. In questo riquadro è evidente l'influenza iconografica romana. Melchisedek, rappresentato nella posa dell'offerente, ed Abramo, in toga senatoria, ricordano il gruppo equestre del Marco Aurelio. I pannelli successivi illustrano episodi della vita di Abramo anteriori al primo riquadro. Ciò ha fatto a lungo credere che ogni riquadro fosse fine a se stesso fino a quando, approfondendo lo studio dei mosaici, non si è capito che la decorazione fu studiata e voluta. Il pannello con Melchisedek serve a raccordare i mosaici della navata con quelli dell'arco trionfale dove viene raccontata l'infanzia di Cristo re e sacerdote. Poi inizia il racconto con Abramo, il personaggio più importante dell'Antico Testamento, colui al quale Dio promette una "nazione grande e potente"; con Giacobbe, a cui il Signore rinnova la promessa fatta ad Abramo; con Mosè che libererà il popolo dalla schiavitù in cui era nato rendendolo "popolo eletto"; con Giosuè che lo condurrà nella terra promessa. Il cammino si conclude con due pannelli, realizzati ad affresco al tempo dei restauri voluti dal Cardinal Pinelli, che rappresentano Davide che conduce l'Arca dell'Alleanza in Gerusalemme e il Tempio di Gerusalemme edificato da Salomone. È dalla stirpe di Davide che nascerà Cristo la cui infanzia è illustrata, attraverso episodi tratti dai Vangeli apocrifi, nell'arco trionfale. Nel 1995 Giovanni Hajnal realizzò una nuova vetrata nel rosone della facciata principale. In essa è raffigurata l'affermazione del Concilio Vaticano II, dove Maria, eccelsa figlia di Sion, è l'anello di congiunzione tra la Chiesa del Vecchio Testamento, rappresentata dal candelabro a sette braccia, e quella del Nuovo simboleggiata dal calice con l'Eucaristia. L'arco trionfale si compone di quattro registri: in alto da sinistra l'Annunciazione, in cui Maria è rappresentata vestita come una principessa romana, con in mano il fuso con cui tesse un velo di porpora destinato al tempio di cui era inserviente. Il racconto prosegue con l'annuncio a Giuseppe, l'adorazione dei Magi, la strage degli innocenti. In questo riquadro è da osservare la figura con il manto azzurro che dà le spalle alle altre donne: è Santa Elisabetta che fugge con S. Giovanni fra le braccia. A destra la presentazione al Tempio, la fuga in Egitto, l'incontro della Sacra Famiglia con Afrodisio, governatore della città di Sotine. Secondo un Vangelo apocrifo, quando Gesù giunge fuggiasco a Sotine, in Egitto, i 365 idoli del capitolium cadono. Afrodisio atterrito dal prodigio e memore della fine del Faraone, va con il suo esercito incontro alla Sacra Famiglia e adora il Bambino riconoscendone la divinità. L'ultimo riquadro rappresenta i Magi al cospetto di Erode. Ai piedi dell'arco le due città di Betlemme a sinistra e Gerusalemme a destra. Se Betlemme è il luogo dove Gesù nasce e dove avviene la sua prima Epifania, Gerusalemme è la città dove Egli muore e risorge (c'è un legame con il tema apocalittico della sua definitiva venuta alla fine dei tempi, evidenziato dal trono vuoto al centro dell'arco, trono affiancato da Pietro e Paolo, il primo chiamato da Cristo a diffondere la "Buona notizia" fra gli ebrei, l'altro fra i Gentili, i pagani). Tutti insieme formeranno la Chiesa di cui Pietro è guida e Sisto III suo successore. In quanto tale e come "episcopus plebi Dei" spetta a lui condurre il popolo di Dio verso la Gerusalemme celeste. Nel XIII secolo Niccolò IV, primo Papa francescano, decise di abbattere l'abside originale e di costruire l'attuale arretrandola di qualche metro, ricavando così tra essa e l'arco un transetto per il coro. La decorazione dell'abside fu eseguita dal francescano Jacopo Torriti e i lavori furono pagati dai Cardinali Giacomo e Pietro Colonna. Il mosaico di Torriti si divide in due parti distinte: nella conca absidale c'è l'Incoronazione della Vergine, nella fascia sottostante sono rappresentati i momenti più importanti della Sua vita. Al centro della conca, racchiusi in un grande cerchio, Cristo e Maria sono seduti su di un grande trono raffigurato come un divano orientale. Il Figlio sta ponendo sul capo della Madre la corona gemmata. Nel mosaico Maria non è vista solo come la Madre, ma piuttosto come la Chiesa Madre, sposa del Figlio. Ai loro piedi il sole e la luna e intorno cori di angeli adoranti a cui si aggiungono S. Pietro, S. Paolo, S. Francesco d'Assisi e il papa Niccolo IV a sinistra; Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Sant'Antonio e il donatore Cardinal Colonna a destra. Nel resto dell'abside una decorazione a racemi germoglia da due tronchi posti all'estrema destra e all'estrema sinistra del mosaico. Nella fascia alla base dell'abside le scene della vita della Madonna sono disposte a destra e a sinistra della "Dormitio" collocata proprio sotto l'Incoronazione. Questo modo di descrivere la morte della Vergine è tipico dell'iconografia bizantina, ma si diffuse anche in Occidente dopo le Crociate. La Vergine è sdraiata sul letto e, mentre gli angeli si preparano a togliere dallo sguardo attonito degli Apostoli il suo corpo, Cristo prende tra le braccia la sua "anima" bianca, attesa in cielo. Torriti arricchisce la scena con due piccole figure di francescani e di un laico con il berretto duecentesco. Al di sotto della "Dormitio" papa Benedetto XIV collocò la splendida "Natività di Cristo" del Mancini. Tra i pilastri ionici sotto i mosaici, sono stati collocati da Fuga i bassorilievi di Mino del Reame che rappresentano la Nascita di Gesù, il miracolo della neve e la fondazione della basilica da parte di papa Liberio, l'Assunzione di Maria e l'Adorazione dei Magi. Sempre di Fuga è il baldacchino che sovrasta l'altare centrale davanti al quale si apre la Confessione, voluta da Pio IX e realizzata da Vespignani, dove è collocato il reliquiario della Culla. Il reliquiario è in cristallo, a forma di culla, e contiene pezzi di legno che la tradizione vuole appartenere alla mangiatoia su cui fu deposto Gesù Bambino. Fu eseguito da Valadier e donato dall'ambasciatrice del Portogallo. La statua di Pio IX, il papa del dogma dell'Immacolata Concezione è opera di Ignazio Jacometti e fu collocato nell'ipogeo per volontà di Leone XIII. IL Pavimento Entrando nella Basilica si rimane ammirati dalla particolarità del pavimento a mosaico dei maestri marmorari Cosma detti “cosmateschi” (sec. XIII). Cappella Cesi Voluta dal Cardinale Paolo Emilio Cesi e dal fratello Federico fu realizzata intorno al 1560 e non se ne conosce l’autore, anche se si ritiene che sia stata progettata da Guidetto Guidetti, in collaborazione con Giacomo Della Porta. Regina Pacis La statua della Regina Pacis, voluta da Benedetto XV in ringraziamento per la fine della prima guerra mondiale, è stata realizzata da Guido Galli. Sul volto della Madonna, seduta in trono “Regina Pacis e Sovrana dell’universo”, si nota un senso di tristezza.
La Cappella Sforza A fianco dell’ingresso due lapidi ricordano che la cappella fu realizzata grazie al cardinale Guido Ascanio Sforza di Santafiora, arciprete della basilica, e suo fratello, il cardinale Alessandro Sforza Cesarini, che ne curò la decorazione eseguita nel 1573. Secondo il Vasari, autore del progetto era stato Michelangelo Buonarroti, il quale ci ha lasciato due schizzi ad esso relativi, dove è ben visibile l’originale pianta con ellissi sui lati ed un vano rettangolare che accoglie l’altare. I ritratti inseriti nei monumenti funebri e la pala d’altare (1573) sono stati attribuiti a Gerolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1580). La tavola quadrata sull’altare è del Siciolante e rappresenta l’Assunzione della Vergine la cui scansione dei piani è ben organizzata per passare senza scosse dall’ambiente terreno a quello celeste, dove la figura di Maria siede discreta in atto di preghiera.
La tomba del Bernini “Nobile famiglia Bernini qui aspetta la Resurrezione”. Di lato all’altare maggiore, la semplicità della lastra tombale di uno dei più grandi artisti del ‘600.
La «Custodia della Sacra Culla di Nostro Signore Gesù Cristo» Il reliquiario opera di Giuseppe Valadier del 1802. di Sante Guido Nel 1833 Giuseppe Valadier (1762-1839) pubblicò a Roma un piccolo volume di 32 pagine di testo e 20 tavole grafiche dal titolo «Opere di architettura e di ornamento»[1] (Fig.). Fig. 1 Giuseppe Valadier, Giuseppe Bianchi, frontespizio del volume Opere di architettura e di ornamento, 1833. Si tratta dell’ultimo scritto che il famoso architetto diede alle stampe di una serie di testi tra i quali la raccolta, in cinque tomi, delle lezioni impartite tra il 1828 ed il 1839, dal titolo «L'architettura pratica dettata nella scuola e cattedra dell'insigne Accademia di S. Luca»[2]. Nella breve introduzione di «Opere di architettura e di ornamento l’autore spiega «l’idea dell’opera» nel presentare i suoi i «più notabili [lavori] che sottopongo al savio giudizio dei cultori dell’arte». Tra questi troviamo la «Facciata della chiesa di San Pantaleo» e il prospetto di casa Lezzani a via del Corso, il totale rifacimento dell’antico «Teatro Valle in Roma» assieme alla realizzazione dello sperone di consolidamento del «Anfiteatro Flavio detto Colosseo», seguono quindi la «Narrazione artistica dell’operato del restauro dell’Arco di Tito eseguito nel 1821» ed il «Progetto per la riedificazione della basilica di S. Paolo». Accanto a queste opere di così largo respiro sono solo due le attestazioni di un’attività che non può e non deve essere considerata minore nel fare del celebre architetto: il «Catafalco eretto nella basilica di San Pietro in Vaticano per la morte dell’immortale pontefice Pio VII» ed infine la «Custodia della Sacra Culla di Nostro Signore Gesù Cristo» (Fig.2). Fig. 2 Giuseppe Valadier, Giuseppe Bianchi, Magnifica Custodia dei Sacrosanti avanzi della Culla di Nostro Signore Gesù Cristo, 1833. Nella prefazione Valadier appunta: «siccome per avventura ho dovuto dirigere eziandio parecchie opere di ornato condotte in vari metalli così anche di queste ne darò un [solo] saggio con tavole e spiegazioni». In questo volumetto, che possiamo quasi considerare un taccuino di ricordi di una folgorante carriera, la «Custodia della Sacra Culla»(Fig.3)appare quale l’opera più rappresentativa della intera produzione di oreficeria e argenteria del famoso atelier di Via del Babuino. Fig. 3 Giuseppe Valadier, Custodia della Sacra Culla, 1802. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore Preme ricordare che Valadier sempre per Basilica papale di Santa Maria Maggiore, oltre alla realizzazione di questo Reliquiario, progettò «Nell’anno 1826 […] un Fonte Battesimale fatto fare [da] Nostro Signore Papa Leone XII [con una] tazza antica di porfido, l’ornato di bronzi dorati, la balaustra di Breccia di Cori, li balaustri di alabastro di S. Felice»[3](Fig.4). Fig. 4 Giuseppe Valadier, Giuseppe III Spagna, Fonte battesimale, 1826-1827. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore Solo tre anni prima – 1823 – aveva inoltre ideato le decorazioni fitomorfe in metallo dorato che avvolgono le grandi colonne in porfido del baldacchino, progettato da Ferdinando Fuga (1699-1781), per il quale il nonno André Valadier (1695-1759), argentiere di nazionalità francese, assieme al giovanissimo e celebre figlio Luigi (1726-1785), e padre di Giuseppe, nel 1749 avevano fuso e dorato quattro grandi stemmi bronzei di papa Benedetto XIV (1740-1758) (Fig.5). Fig. 5 Andrea Valadier, Luigi Valadeir, Stemmi di papa Benedetto XIV, 1749. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Altare papale Opere nel solco di una tradizione di lavori di restauro e ammodernamento che in vista del giubileo del 1750 e che proseguì in più riprese negli anni successivi, e in modo particolare con commissioni dei principi Borghese all’interno della Cappella Salus Popoli Romani voluta da papa Paolo V (Fig.6)[4]. Fig. 6 Monumentale dossale della Salus Popoli Romani,1607-1610. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Cappella Paolina Qui Luigi realizzò tra il 1759 ed il 1762 un nuovo altare in metalli dorati, pietre dure e lapislazzuli (Fig.7)e tre celebri tre cartegloria (Fig.8). Fig. 7 Luigi Valadier, Altare della Salus Popoli Romani, 1759-1762. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Cappella Paolina Fig. 8 Luigi Valadier, Cartegloria, 1762. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Museo Liberiano A questi lavori seguirono: la realizzazione di quattro lampade di argento nel 1763, oggi purtroppo scomparse, e nel 1777 il restauro della cornice della sacra icona oltre a interventi di manutenzione di argenti e la realizzazioni di arredi cerimoniali. La «Custodia della Sacra Culla di Nostro Signore Gesù Cristo»[5] (Fig.3), Fig. 3 Giuseppe Valadier, Custodia della Sacra Culla, 1802. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore al cui interno sono conservate alcune assi di legno di sicomoro (Ficus sycomorus) (Fig.9-10), Fig. 9 Reliquie della Sacra Culla. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore Fig. 10 Reliquie della Sacra Culla. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore e citata nel volumetto, fu realizzata nell’opificio di Valadier nel 1802 ed è attentamente descritta nel volumetto del 1833, sin dalle motivazioni della sua genesi: «Sono venerati nella Basilica Liberiana di S. Maria Maggiore alcuni sagri pezzi di legno, impiegato alla formazione della Culla di Nostro Signore Gesù Cristo. La pietà della Sig. Duchessa di Villermosa Spagnuola mossa da esemplare devozione, volle che questo sagro avanzo fosse posto in una preziosa custodia di oro e in parte di argento; per cui avendone pregato il Nunzio Apostolico, allora Mons. Benedetto Capelletti, oggi Eminentissimo Cardinale, questi volle onorarmi coll’affidare a me la direzione di tale ornamento». La commissione di Maria Manuela Pignatelli de Aragón y Gonzaga, duchessa di Villahermosa (1753-1816) di un nuovo reliquiario venne a supplire la mancanza di un precedente grande prezioso manufatto, fatto realizzare nel 1606 su commissione di Margherita d’Austria[6] (Fig.11), Fig. 11 Ambito di Juan Pantoja de la Crux, Margherita d’Austria, secondo decennio del XVII secolo. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Sala dei Papi consorte di Filippo II d’Asburgo re di Spagna, disciolto, come centinaia di altre opere in metallo prezioso appartenenti alla Basilica Liberiana, a seguito delle requisizioni di papa Pio VI (1775-1799) per assolvere al Trattato di Tolentino ma anche durante la successiva occupazione giacobina della Città Eterna. L’opera seicentesca ci è nota dal frontespizio (Fig.12)del volume di Paolo De Angelis del 1621 dal titolo Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe[7] Fig. 12 Paolo De Angelis, frontespizio del volume Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe a Liberio Papa I usque ad Paulum V Pont. Max Descriptio et Delineatio, 1621. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Archivio Liberiano nel quale si può osservare un reliquario in forma di culla (Fig.13)con aperture sui lati, al fine di potere osservare il legno della Sacra Culla, tra cherubini mentre al centro del coperchio è la figura sdraiata del Bambino tra angeli oranti. Una iscrizione accompagna l’immagine del reliquiario facendo riferimento alla donatrice e al prezioso metallo con il quale fu realizzato. Fig. 13 Paolo De Angelis, 1621, frontespizio del volume Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe a Liberio Papa I usque ad Paulum V Pont. Max Descriptio et Delineatio, particolare. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Archivio Liberiano Come emerge da un documento dell’archivio della Basilica Liberiana, il vero artefice della commissione del nuovo reliquiario fu il reatino Benedetto Capelletti (1764-1834), nominato da papa Pio VI canonico coadiutore del Capitolo della basilica di Santa Maria Maggiore[8] ed invitato in Spagna in missione diplomatica. Al contempo venne incaricato dal Canonici Liberiani di chiedere a re Carlo IV di Borbone il pagamento delle prebende annuali provenienti dalla Sicilia e destinate al sostentamento del clero della Basilica. Durante la sua permeanza in Spagna, e su iniziata personale[9], Capelletti cercò un finanziamento per far realizzare un nuovo reliquario per la Sacra Culla in quanto «nell'invasione francese rimasero le [tutte] Reliquie della nostra Basilica nella loro integrità ed autenticità, […] ma essendo spogliate dei convenienti ornati, non poteronsi più esporre alla pubblica venerazione. Non poteva il Capitolo supplire ad una tanta spesa e ciò che maggiormente importava, era la Reliquia della S. Culla, che sebbene provveduta di una urna di legno, non poteva però esporsi con quella decenza che si richiedeva, dovendosi considerare una tale reliquia per uno dei principali monumenti di nostra Redenzione». Grazie all’interessamento di Capelletti, Maria Manuela Pignatelli si fece carico delle spese per «gli ornati a tre delle principali Reliquie che conservansi in Roma: cioè questa della Culla, quella del legno della S. Croce in S. Croce in Gerusalemme, e l'altra delle Teste dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, che conservarsi in S. Giovanni in Laterano, ed alla direzione di questi tre ornati destinò lo stesso Monsignor Capelletti, acciò a suo arbitrio li facesse eseguire colla maggiore magnificenza»[10]. In tutti e tre i casi Capelletti incaricò Valadier delle realizzazioni, avvenute tra il 1802 ed il 1804, e ne seguì personalmente la progettazione che sottopose all’approvazione a papa Pio VII[11]. Presso la pinacoteca comunale di Faenza si conserva un album di disegni e progetti di vari manufatti realizzati nell’opificio Valadier tra i quali due diverse versione del Reliquiario Sacra Culla[12]. In una lastra calcografica conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana[13] (Fig.14), databile ai primi decenni del XVIII secolo ed attribuibile all’ambito di Pier Leone Ghezzi, il reliquiario seicentesco appare, come da tradizione, portato in processione e sostanzialmente modificato con la rimozione della parte alta e l’aggiunta di pareti in cristallo per poter meglio osservare la reliquia in esso contenuta, mentre in una immagine a stampa presso l’Archivio della Basilica Liberiana raffigurante le celebrazioni del Natale da parte di papa Clemente XI, databile tra il 1700 ed il 1721, sulla parte alta del reliquario appare la sola figura dell’Infante[14]. Fig. 14 Ambito di Pier Leone Ghezzi, Processione della Sacra Culla. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Archivio Liberiano La forma a culla e la figuretta del Bimbo in atto benedicente che caratterizzavano il reliquiario seicentesco furono d’ispirazione a Valadier per la realizzazione del nuovo prezioso manufatto del 1802 così come la sua conformazione, per massima parte in cristallo, che sembra rispondere a precise esigente di culto sono elementi che attestano un’attenta sensibilità culturale e al tempo stesso un preciso risvolto pratico da parte dell’architetto, nel momento della nuova ideazione. Valadier, proseguendo la descrizione nel volumetto, fornisce numerosi dettagli «siccome questa insigne reliquia viene posta alla pubblica venerazione con la massima pompa ecclesiastica in detta Basilica nella notte e successivo giorno di Natale, così immaginai di rappresentare sopra la custodia il S. Bambino appena nato, il quale in sembiante umano unisse la dignità divina di Creatore, e che perciò assiso su di un cuscino benedicesse il popolo (Fig.15). Fig. 15 Giuseppe Valadier, 1802, Custodia della Sacra Culla, particolare. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore Questo cuscino è posto sopra un materazzetto posato fra il fieno (Fig.16), Fig. 16 Giuseppe Valadier, 1802, Custodia della Sacra Culla, particolare. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore che allude a quello contenuto nella Culla. La custodia è guarnita di cristalli, dai quali si vendono i preziosi antichi avanzi della sagra Culla ed è sostenuta da quattro putti che terminano in vaghi fogliami (Fig.17), Fig. 17 Giuseppe Valadier, 1802, Custodia della Sacra Culla, particolare. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore e reggono leggiadramente alcuni festoni di gigli, che l’adornano. Nelle testate della custodia sono due Cherubini, portanti ciascheduno un vaso di cristallo, in uno de’ quali viene contenuto il fieno prezioso del Santo Presepe, e nell’altro un frammento del velo di Maria Santissima (Fig.18). Fig. 18 Giuseppe Valadier, 1802, Custodia della Sacra Culla, particolare. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore Posano i succennati putti, che cambiano la metà inferiore del loro corpo in fogliami e zampe di leone, sopra una base ovale corrispondente alla forma della custodia, colla quale termina la parte superiore contenente la insigne reliquia. Tutto questo lavoro venne eseguito in argento, in parte dorato, ed il Bambino è di oro puro, come di oro sono gli ornamenti dei due vasi». Ulteriori informazioni sono altresì apportate dal già citato documento del Capitolo Liberiano «la machina è di altezza palmi 9, e sebbene ancora manchi qualche piccolo pezzo nel piedistallo, vi sono state impiegate sopra 160 libre d'argento, oltre l'oro di cui è composto il bambino di grandezza naturale». La narrazione del Valadier prosegue con la descrizione della base rettangolare del reliquiario da utilizzarsi come fercolo, tutt’oggi conservata presso il Museo Liberiano, «quest’urna che racchiude la sagra Culla è posata sopra un piedistallo con base e cimase ornate, sugli specchi del qual piedistallo vi sono quattro bassorilievi. Uno de’ due più lunghi rappresenta la Nascita del S. Bambino, e l’altro la Cena del Signore coi dodici Apostoli; nei due altri bassorilievi men lunghi che sono nelle testate, fu espresso in uno la Fuga in Egitto, nell’altro l’adorazione dei Magi. Negli angoli vi furono collocati quattro Cherubini, su’ quali nascono altrettanti fanali di tre ceri l’uno, da ardere in venerazione della reliquia. Il piedistallo ancora fu eseguito tutto di argento, parte di colore naturale e parte dorato; e posa sopra un dado, ove nei quattro lati vi sono delle epigrafi allusive ai rispettivi bassorilievi in lettere dorate. I rosoni che sono vicini agli angoli sono alla testa di un’asta di ferro, che esce orizzontalmente nei detti quattro angoli, acciò che quattro persone possano portare il sagro monumento sopra le spalle processionalmente»[15]. La lunga descrizione si conclude con una notizia particolarmente importante «i modelli dei bassorilievi ed è il S. Bambino furono eseguiti tutti dal signor Luigi Acquisti scultore celebre». Quest’ultimo nacque a Forlì[16] nel 1745 e studiò scultura presso l’Accademia bolognese di Belle Arti; produsse le sue prime opere tra il capoluogo emiliano e la città natale e nel 1792 si trasferì a Roma ove cambiò sostanzialmente il suo stile nel più aggiornato linguaggio neoclassico, come attestato dalle opere a soggetto mitologico nello scalone di palazzo Braschi. Il 15 maggio del 1803 Acquisti divenne membro dell’Accademia di San Luca; troviamo nei primi ani del secolo i due artisti impegnati assieme per la chiesa di San Pantaleo ove l’architetto realizzò la nuova facciata e lo scultore eseguì il rilievo in stucco dell’altare maggiore raffigurante San Giuseppe Calasanzio che presenta dei fanciulli alla Madonna. Scultore di un certo successo venne chiamato nel 1809 a Milano a partecipare alle decorazioni della facciata del Duomo e, sempre nel capoluogo lombardo, eseguì due grandi gruppi scultorei e figure allegoriche per l’Arco del Sempione; si spense nella città di Bologna nel 1823 dove si era trasferito continuando la sua attività. Purtroppo dei quattro rilievi per il basamento del Reliquiario della Sacra Culla descritti dal Valadier ne resta uno soltanto a seguito del furto avvenuto nel 1983 e del successivo ritrovamento da parte dei Carabinieri del Nucleo Tutela. Il bel rilievo inedito raffigura più che «la nascita del S. Bambino», come indicato dall’architetto nel suo testo, una scena di Adorazione dei pastori (Fig.19)[17]con la Vergine seduta sul ciglio della capanna e il Bimbo sulle ginocchia, sulla destra è san Giuseppe mentre pastori e figure femminili rendono omaggio recando doni. L’opera, che figurativamente riprende un modello iconografico già largamente utilizzato fin dalla metà del XVII secolo, è priva di punzone in quanto tutti i bordi furono malamente tagliati nel momento del furto[18]. Fig. 19 Giuseppe Valadier, Luigi Acquisti, Adorazione dei pastori, 1802. Roma, Basilica papale di Santa Maria Maggiore, Museo Liberiano La «Custodia della Sacra Culla», per massima parte in cristallo al fine di poter meglio osservare la preziosa reliquia costituita da cinque barre in legno, è esposta ogni anno al culto il 25 ed il 26 dicembre di fronte all’altare papale ed è stata oggetto di una recente ricognizione in occasione del rito di apertura, presieduto dal cardinale Stanisław Ryłko, arciprete di Santa Basilica di Maria Maggiore, lo scorso 22 novembre, al fine di prelevare un frammento del Santo Legno, che papa Francesco ha voluto inviare a Betlemme dopo circa 14 secoli, e più precisamente, da quando san Sofronio, patriarca di Gerusalemme, inviò a papa Teodoro I (642-649) le preziose reliquie. Archivio Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, Atti Capitolari 1751-1819, 838, 30 gennaio 1803, pp. 393-394
[1] G. Valadier, Opere di architettura e di ornamento, Roma 1833. Le pagine che seguono sono tratte da: S. GUIDO, “L’ultimo Valadier: il fonte battesimale della Basilica di Santa Maria Maggiore e annotazioni sulla «Custodia della Sacra Culla»”, in OADI – Rivista dell’Osservatorio delle Arti Decorative in Italia, XXI, 2020, pp.139-158; https://www1.unipa.it/oadi/oadiriv/?page_id=3845
[2] Circa le note biografiche su Giuseppe Valadier si rimanda a: Luigi Valadier, catalogo della mostra a cura di A. González-Palacios, New York 2018, pp. 451-473. Allo studioso si deve un vivo ringraziamento per aver dedicato circa 40 anni di studi alla produzione dei Valadier grazie ai quali è oggi possibile apportare ulteriori approfondimenti.
[3] Il testo è desunto da un disegno all’interno del Taccuino 480 Vittorio Emanuele, f. 17 conservato presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Roma. Si veda a riguardo: E. De benedetti, Tre taccuini in editi di Giuseppe Valadier, in Quaderni del neoclassico, IV, Roma 1979, pp.147-171, fig. 25; E. De Benedetti, Segno e architettura, in E. De benedetti (a cura di), catalogo della mostra, Roma 1985, p.337, fig.485. Un adisegno pubblicato da A. Gonzales Palacios in L’album dei disegni del Museo Napoleonico, catalogo della mostra Roma a cura di A. Gonzalez-Palacios, Roma 2015, p. 38
[4] S. GUIDO, "Marmi policromi, lapislazzuli e pietre dure: appunti di restauro dalla Cappella Cornaro a Santa Maria della Vittoria e dalla Cappella Paolina nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore", in C. Giometti e C. M. Sicca (a cura di), I colori del marmo, Studi e fonti per la storia della scultura, VII, Pisa 2019, pp. 97-120
[5] L’opera di grande fascino e importanza nelle celebrazioni liturgiche del Natale non è mai stata oggetto di particolare attenzione in letteratura.
[6]Il cartiglio relativo ad un ritratto della sovrana databile ai primi anni del XVII secolo conservato presso la Sala dei Papi nella basilica Liberiana dettaglia l’informazione MARGARITA AUSTRIACA HISPANI/REGINA PHILIPPI III CONIUX/CUNARUM XPI BENEFICIO QUARUM Ex/HAC BASILICA PARTICULAM HABUIT FELICI/PUERPERIO SAEPIUS USA CUNAS IPSAS/ ARGENTEA THECA MIRIFICE/ ORNAVIT; si veda inoltre S. Guido – G. Mantella, Immagini della Monarchia spagnola in Santa Maria Maggiore nel XVI secolo: il "Filippo IV" di Gian Lorenzo Bernini e Girolamo Lucenti, in Studia Liberiana. Figure, Liturgia e Culto, Arte. Ricerche dall’archivio della Basilica Papale di Santa Maggiore, VIII, n.2 a cura di Michael Jagosz, 2013, pp. 213-236 in particolare p. 216-222.
[7] P. De Angelis, Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe a Liberio Papa I usque ad Paulum V Pont. Max Descriptio et Delineatio, Roma 1621
[8] G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, IX, Venezia 1841, p. 168
[9]Archivio Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, Atti Capitolari 1751-1819, 838, 30 gennaio 1803, pp. 393-394. Il testo specifica che quanto effettuato dal Capelletti «non le era stato ordinato dal nostro Capitolo». Il documento è riportato interamente da F. Liverani, Del nome di Santa Maria ad Presepe e delle reliquie della Natività ed Infanzia del Salvatore che conserva, Roma, 1854
[10] Ibidem
[11] Ibidem; si veda inoltre: G. Servi, Notizie intorno alla Vita del Cav. Giuseppe Valadier Architetto Romano, Bologna1 840, pp. 8-9
[12] F. Leone, Album di disegni della pinacoteca comunale di Faenza, in G. Leardi (a cura di), “Valadier”, catalogo della mostra, Roma 2019, p. 89.
[13] B. Jatta, Il Fondo Matrici della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, 11, Città del Vaticano 2004, p.626;
[14] S. F. Ostrow – C. M. S. Johns, Illuminations of S. Maria Maggiore in the Early Settecento, in “The Burlington Magazine”, 1049, Vol. 132, (Agosto, 1990), pp. 528-534. Si desidera ringraziare monsignor Giuseppe Maria Croce e il dottor Pier Giorgio Cataldi, rispettivamente Prefetto e sub archivista presso l’Archivio Capitolare della Basilica Liberiana.
[15] Il testo di Valadier prosegue con ulteriori interessanti informazioni «Immaginati che il piedistallo potesse servire eziandio per basamento di un Ostensorio per le grandi esposizioni, che con una controbase fra l’Ostensorio e questo che di questo piedistallo, sorgerebbe acconciamente in guisa di Piramide; ed in un altare isolato, come lo sono nelle basiliche, resterebbe assai dignitoso»
[16] Giorgio Galeazzi, Luigi Acquisti. (Forlí 1747 - Bologna 1823): la scultura dal barocco al neoclassico, Bologna 2018.
[17] Si desidera ringrazia il cardinal Stanisław Ryłko, il Capitolo Liberiano e monsignor Luigi Veturi, Prefetto al Museo, per la concessione delle foto delle opere conservate presso la Basilica di Santa Maria Maggiore.
[18] Il basamento comprensivo delle decorazioni ed il rilievo furono restaurati e assemblati da parte dello scrivente assieme a Giuseppe Mantella nel 2000 in occasione dell’allestimento del Museo Liberiano; il Reliquiario della Sacra Culla fu restaurato nel 2007 da parte dello staff del “laboratorio di restauro di metalli e ceramiche” dei Musei Vaticani, diretto da Flavia Callori di Vignale.
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