UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE
VENERDÌ SANTO
PASSIONE DEL SIGNORE
VIA CRUCIS PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE FRANCESCO
COLOSSEO
ROMA, 25 MARZO 2016
«Dio è misericordia»
MEDITAZIONI
di
S. Em. Rev.ma. Card. Gualtiero Bassetti
Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Sloveno, Spagnolo, Tedesco]
INTRODUZIONE
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! (2 Cor 1,3).
In questo Giubileo straordinario, anche la Via Crucis del Venerdì Santo ci attrae con una forza particolare, quella della misericordia del Padre Celeste, che vuole riversare su tutti noi il suo Spirito di grazia e di consolazione.
La misericordia è il canale della grazia che da Dio arriva a tutti gli uomini e le donne di oggi. Uomini e donne troppo spesso smarriti e confusi, materialisti e idolatri, poveri e soli. Membra di una società che sembra aver rimosso il peccato e la verità.
«Guarderanno a me, colui che hanno trafitto» (Zc 12, 10): si adempiano anche in noi, questa sera, le parole profetiche di Zaccaria! Lo sguardo si sollevi dalle nostre infinite miserie per fissarsi su di Lui, Cristo Signore, Amore Misericordioso. Allora potremo incontrare il suo volto e udire le sue parole: «Ti ho amato di amore eterno» (Ger 31, 3). Egli, col suo perdono, cancella i nostri peccati e ci apre il cammino della santità, sul quale abbracceremo la nostra croce, insieme a Lui, per amore dei fratelli. La fonte che ha lavato il nostro peccato diventerà in noi «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14).
Breve pausa di silenzio.
Preghiamo.
Eterno Padre,
attraverso la Passione del tuo diletto Figlio,
hai voluto rivelarci il tuo cuore
e donarci la tua misericordia.
Fa’ che, stretti a Maria, sua e nostra Madre,
sappiamo accogliere e custodire sempre il dono d’amore.
Sia lei, Madre della Misericordia,
a presentarti le preghiere
che ti innalziamo per noi e per tutta l’umanità,
affinché la grazia di questa Via Crucis
raggiunga ogni cuore umano
e vi infonda nuova speranza,
quella speranza indefettibile
che si irradia dalla Croce di Gesù,
che vive e regna con te
nell’unità dello Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Prima Stazione
Gesù è condannato a morte
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco (15, 14-15)
Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Gesù è solo dinanzi al potere di questo mondo. E si sottopone fino in fondo alla giustizia degli uomini.
Pilato si trova dinanzi a un mistero che non arriva a comprendere. Si interroga e chiede spiegazioni. Cerca una soluzione e arriva, forse, fin sulla soglia della verità. Ma sceglie di non varcarla. Tra la vita e la verità, sceglie la propria vita. Tra l’oggi e l’eternità, sceglie l’oggi.
La folla sceglie Barabba e abbandona Gesù. La folla vuole la giustizia sulla terra e sceglie il giustiziere: colui che potrebbe liberarli dall’oppressione e dal giogo della schiavitù. Ma la giustizia di Gesù non si compie con una rivoluzione: passa attraverso lo scandalo della croce. Gesù sconvolge ogni piano di liberazione perché prende su di sé il male del mondo e non risponde al male con il male. E questo gli uomini non lo capiscono. Non capiscono che da una sconfitta dell’uomo può derivare la giustizia di Dio.
Ognuno di noi, oggi, è parte integrante di quella folla che grida: «Crocifiggilo!». Nessuno può sentirsi escluso. La folla e Pilato, infatti, sono dominati da una sensazione interiore che accomuna tutti gli uomini: la paura. La paura di perdere le proprie sicurezze, i propri beni, la propria vita. Ma Gesù indica un’altra strada.
Signore Gesù,
come ci sentiamo simili a questi personaggi.
Quanta paura c’è nella nostra vita!
Abbiamo paura del diverso, dello straniero, del migrante.
Abbiamo timore del futuro, degl’imprevisti, della miseria.
Quanta paura nelle nostre famiglie, negli ambienti di lavoro, nelle nostre città…
E forse abbiamo paura anche di Dio: quella paura del giudizio divino che nasce dalla poca fede, dalla non conoscenza del suo cuore, dal dubbio sulla sua misericordia.
Signore Gesù, condannato dalla paura degli uomini, liberaci dal timore del tuo giudizio.
Fa’ che l’urlo delle nostre angosce non ci impedisca di sentire la dolce forza del tuo invito: «Non abbiate paura!».
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Pater noster...
Stabat Mater...
Seconda Stazione
Gesù è caricato della croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco (15, 20)
Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
La paura ha emesso la sentenza, ma non può svelarsi e si nasconde dietro gli atteggiamenti del mondo: scherno, umiliazione, violenza e derisione. Ora Gesù è rivestito delle sue vesti, della sua sola umanità, dolorosa e sanguinante, senza più alcuna «porpora», né alcun segno della sua divinità. E come tale Pilato lo presenta: «Ecce homo!» (Gv 19, 5).
Questa è la condizione di chiunque si mette alla sequela di Cristo. Il cristiano non cerca l’applauso del mondo o il consenso delle piazze. Il cristiano non adula e non dice menzogne per conquistare il potere. Il cristiano accetta lo scherno e le umiliazioni che derivano dall’amore della verità.
«Che cos’è la verità?» (Gv 18, 38), aveva chiesto Pilato a Gesù. Questa è la domanda di ogni tempo. È la domanda di oggi. Ecco la verità: la verità del Figlio dell’uomo predetto dai Profeti (cfr Is 52, 13 – 53, 12), un volto umano sfigurato che svela la fedeltà di Dio.
Troppo spesso, invece, andiamo in cerca di una verità a buon mercato, che faccia comodo alla nostra vita, che risponda alle nostre insicurezze o che addirittura soddisfi i nostri più bassi interessi. In questo modo, finiamo per accontentarci di verità parziali e apparenti, lasciandoci ingannare dai “profeti di sventura che annunciano sempre il peggio” (San Giovanni XXIII) o da abili pifferai che anestetizzano il nostro cuore con musiche suadenti che ci allontanano dall’amore di Cristo.
Il Verbo di Dio si è fatto uomo,
è venuto a raccontarci la verità tutta intera, su Dio e sull’uomo.
Dio è colui che prende la croce sulle sue spalle (cfr Gv 19, 17)
e s’incammina lungo la via del dono misericordioso di sé.
E l’uomo che si realizza nella verità è colui che lo segue in quel medesimo cammino.
Signore Gesù, donaci di contemplarti nella teofania della croce, il punto più alto della tua rivelazione,
e di riconoscere nello splendore misterioso del tuo volto anche i tratti del nostro volto.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Terza Stazione
Gesù cade la prima volta sotto la croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal libro del profeta Isaia (53, 4. 7)
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca.
Gesù è l’Agnello, predetto dal profeta, che s’è caricato sulle spalle il peccato dell’umanità intera. Si è fatto carico della debolezza dell’amato, dei suoi dolori e delitti, delle sue iniquità e maledizioni. Siamo arrivati al punto estremo dell’incarnazione del Verbo. Ma c’è un punto ancor più basso: Gesù cade sotto il peso di questa croce. Un Dio che cade!
In questa caduta c’è Gesù che dona senso alla sofferenza degli uomini. La sofferenza per l’uomo è a volte un assurdo, incomprensibile alla mente, presagio di morte. Ci sono situazioni di sofferenza che sembrano negare l’amore di Dio. Dov’è Dio nei campi di sterminio? Dov’è Dio nelle miniere e nelle fabbriche dove lavorano come schiavi i bambini? Dov’è Dio nelle carrette del mare che affondano nel Mediterraneo?
Gesù cade sotto il peso della croce, ma non ne rimane schiacciato. Ecco, Cristo è lì. Scarto tra gli scarti. Ultimo con gli ultimi. Naufrago tra i naufraghi.
Dio si fa carico di tutto questo. Un Dio che per amore rinuncia a mostrare la sua onnipotenza. Ma anche così, proprio così, caduto a terra come un chicco di grano, Dio è fedele a sé stesso: fedele nell’amore.
Ti preghiamo, Signore,
per tutte quelle situazioni di sofferenza che sembrano non avere senso,
per gli ebrei morti nei campi di sterminio,
per i cristiani uccisi in odio alla fede,
per le vittime di ogni persecuzione,
per i bambini che vengono schiavizzati sul lavoro,
per gli innocenti che muoiono nelle guerre.
Facci capire, Signore, quanta libertà e forza interiore c’è in questa inedita rivelazione della tua divinità, così umana da cadere sotto la croce dei peccati dell’uomo, così divinamente misericordiosa da sconfiggere il male che ci opprimeva.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Quarta Stazione
Gesù incontra sua Madre
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca (2, 34-35. 51)
Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
Dio ha voluto che la vita venisse al mondo attraverso le doglie del parto: attraverso le sofferenze di una madre che dà la vita al mondo. Tutti hanno bisogno di una Madre, anche Dio. «Il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14) nel grembo di una Vergine. Maria lo ha accolto, lo ha dato alla luce a Betlemme, lo ha avvolto in fasce, lo ha custodito e fatto crescere col calore del suo amore, ed è giunta con Lui alla sua “ora”.
Adesso, ai piedi del Calvario, si compie la profezia di Simeone: una spada le trafigge l’anima. Maria rivede il Figlio, sfigurato e sfinito sotto il peso della croce. Occhi addolorati, quelli della Madre, partecipe fino in fondo del dolore del Figlio, ma anche occhi colmi di speranza, che dal giorno del suo “sì” all’annuncio dell’angelo (cfr Lc 1, 26-38) non hanno mai cessato di riflettere quella luce divina che risplende anche in questo giorno di sofferenza.
Maria è sposa di Giuseppe e madre di Gesù. Ieri come oggi la famiglia è il cuore pulsante della società; cellula inalienabile della vita comune; architrave insostituibile delle relazioni umane; amore per sempre che salverà il mondo.
Maria è donna e madre. Genio femminile e tenerezza. Sapienza e carità. Maria, come madre di tutti, «è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto», è «la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita» e «come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 286).
O Maria, Madre del Signore,
Tu fosti per il tuo Figlio divino il primo riflesso della misericordia del Padre suo,
quella misericordia che a Cana gli chiedesti di manifestare.
Ora che tuo Figlio ci rivela il Volto del Padre fino alle estreme conseguenze dell’amore,
ti metti, in silenzio, sulle sue orme, prima discepola della croce.
O Maria, Vergine fedele,
prenditi cura di tutti gli orfani della Terra,
proteggi tutte le donne oggetto di sfruttamento e di violenza.
Suscita donne coraggiose per il bene della Chiesa.
Ispira ogni madre ad educare i propri figli nella tenerezza dell’Amore di Dio,
e, nell’ora della prova, ad accompagnare il loro cammino
con la forza silenziosa della sua fede.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Quinta Stazione
Gesù è aiutato da Simone di Cirene a portare la croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco (15, 21-22)
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «luogo del cranio».
Nella storia della salvezza compare un uomo sconosciuto. Simone di Cirene, un lavoratore che tornava dai campi, viene costretto a portare la croce. Ma proprio in lui, per primo, agisce la grazia dell’amore di Cristo che passa attraverso quella croce. E Simone, costretto a portare un peso controvoglia, diventerà un discepolo del Signore.
La sofferenza, quando bussa alla nostra porta, non è mai attesa. Appare sempre come una costrizione, talvolta perfino come un’ingiustizia. E può trovarci drammaticamente impreparati. Una malattia potrebbe rovinare i nostri progetti di vita. Un bambino disabile potrebbe turbare i sogni di una maternità tanto desiderata. Quella tribolazione non voluta bussa, però, prepotentemente al cuore dell’uomo. Come ci comportiamo di fronte alla sofferenza di una persona amata? Quanto siamo attenti al grido di chi soffre ma vive lontano da noi?
Il Cireneo ci aiuta a entrare nella fragilità dell’anima umana e mette in luce un altro aspetto dell’umanità di Gesù. Persino il Figlio di Dio ha avuto bisogno di qualcuno che lo aiutasse a portare la croce. Chi è dunque il Cireneo? È la misericordia di Dio che si fa presente nella storia degli esseri umani. Dio si sporca le mani con noi, con i nostri peccati e le nostre fragilità. Non se ne vergogna. E non ci abbandona.
Signore Gesù,
ti ringraziamo per questo dono che supera ogni aspettativa e ci svela la tua misericordia.
Tu ci hai amati non solo fino a darci la salvezza, ma fino a renderci strumento di salvezza.
Mentre la tua croce dona senso ad ogni nostra croce, a noi è data la grazia suprema della vita:
partecipare attivamente al mistero della redenzione,
essere strumento di salvezza per i nostri fratelli.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Sesta Stazione
Veronica asciuga il volto di Gesù
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal libro del profeta Isaia (53, 2-3)
Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Tra la concitazione della folla che assiste alla salita di Gesù al Calvario, compare Veronica, una donna senza volto, senza storia. Eppure una donna coraggiosa, pronta ad ascoltare lo Spirito e seguirne le ispirazioni, capace di riconoscere la gloria del Figlio di Dio nel volto sfigurato di Gesù, e di percepirne l’invito: «Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore» (Lam 1, 12).
L’amore, che questa donna incarna, ci lascia senza parole. L’amore la rende forte per sfidare le guardie, per superare la folla, per avvicinarsi al Signore e compiere un gesto di compassione e di fede: fermare il sangue delle ferite, asciugare le lacrime del dolore, contemplare quel volto sfigurato, dietro al quale è nascosto il volto di Dio.
Siamo istintivamente portati a fuggire dalla sofferenza, perché la sofferenza fa ribrezzo. Quanti volti sfigurati dalle afflizioni della vita ci vengono incontro e troppo spesso voltiamo lo sguardo dall’altra parte. Come non vedere il volto del Signore in quello dei milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature? Per ognuno di loro, con il suo volto irripetibile, Dio si manifesta sempre come un soccorritore coraggioso. Come Veronica, la donna senza volto, che asciugò amorevolmente il volto di Gesù.
«Il tuo volto, Signore, io cerco!» (Sal 27, 8).
Aiutami a trovarlo nei fratelli che percorrono la strada del dolore e dell’umiliazione.
Fa’ che io sappia asciugare le lacrime e il sangue dei vinti di ogni tempo,
di quanti la società ricca e spensierata scarta senza scrupolo.
Fa’ che dietro ciascun volto, anche quello dell’uomo più abbandonato, io possa scorgere il tuo volto di bellezza infinita.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Settima Stazione
Gesù cade per la seconda volta
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal libro del profeta Isaia (53, 5)
Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Gesù cade ancora. Schiacciato ma non ucciso dal peso della croce. Ancora una volta Egli mette a nudo la sua umanità. È un’esperienza al limite dell’impotenza, di vergogna dinanzi a chi lo schernisce, di umiliazione davanti a chi aveva sperato in lui. Nessuna persona vorrebbe mai cadere a terra e sperimentare il fallimento. Specialmente di fronte ad altre persone.
Spesso gli uomini si ribellano all’idea di non avere potere, di non avere la capacità di portare avanti la propria vita. Gesù, invece, incarna il “potere dei senza potere”. Sperimenta il tormento della croce e la forza salvifica della fede. Solo Dio può salvarci. Solo Lui può trasformare un segno di morte in una croce gloriosa.
Se Gesù è caduto a terra una seconda volta, per il peso del nostro peccato, accettiamo allora anche noi di cadere, d’esser caduti, di poter cadere ancora per i nostri peccati. Riconosciamo di non poterci salvare da soli con le nostre forze.
Signore Gesù, che hai accettato l’umiliazione di cadere ancora sotto gli occhi di tutti,
ti vorremmo non solo contemplare mentre sei nella polvere,
ma fissare in te il nostro sguardo,
dalla stessa posizione, anche noi a terra, caduti per le nostre debolezze.
Donaci la coscienza del nostro peccato,
quella volontà di rialzarsi che nasce dal dolore.
Dà a tutta la tua Chiesa la consapevolezza della sofferenza.
Offri in particolare ai ministri della Riconciliazione il dono delle lacrime per il loro peccato.
Come potrebbero invocare su di sé e sugli altri la tua misericordia
se non sapessero prima piangere le loro colpe?
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Pater noster...
Stabat Mater...
Ottava Stazione
Gesù incontra le donne di Gerusalemme
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca (23, 27-28)
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli».
Gesù, anche se è straziato dal dolore e cerca rifugio nel Padre, sente compassione per il popolo che lo segue e si rivolge direttamente alle donne che lo stanno accompagnando sulla via del Calvario. E il suo è un forte appello alla conversione.
Non piangete per me, dice il Nazareno, perché io sto facendo la volontà del Padre, ma piangete su di voi per tutte le volte che non fate la volontà di Dio.
È l’Agnello di Dio che parla e che, portando sulle sue spalle il peccato del mondo, purifica lo sguardo di queste figlie, già rivolto verso di Lui, ma in modo ancora imperfetto. «Che cosa dobbiamo fare?» sembra gridare il pianto di queste donne davanti all’Innocente. È la stessa domanda che le folle avevano rivolto al Battista (cfr Lc 3, 10) e che ripeteranno poi gli ascoltatori di Pietro dopo la Pentecoste, sentendosi trafiggere il cuore: «Che cosa dobbiamo fare?» (At 2, 37).
La risposta è semplice e netta: «Convertitevi». Una conversione personale e comunitaria: «Pregate gli uni per gli altri per essere guariti» (Gc 5, 16). Non c’è conversione senza la carità. E la carità è il modo di essere Chiesa.
Signore Gesù,
la tua grazia sostenga il nostro cammino di conversione per tornare a te,
in comunione con i nostri fratelli,
verso i quali ti chiediamo di donarci le tue stesse viscere di misericordia,
viscere materne che ci rendano capaci di provare tenerezza e compassione gli uni per gli altri,
e di arrivare anche al dono di noi stessi per la salvezza del prossimo.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Nona Stazione
Gesù cade per la terza volta
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2, 6-7)
Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Gesù cade per la terza volta. Il Figlio di Dio sperimenta fino in fondo la condizione umana. Con questa caduta entra ancora più stabilmente nella storia dell’umanità. E accompagna, in ogni momento, l’umanità sofferente. «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Quante volte gli uomini e le donne cadono a terra. Quante volte gli uomini, le donne e i bambini soffrono per una famiglia spezzata. Quante volte gli uomini e le donne pensano di non avere più dignità perché non hanno un lavoro. Quante volte i giovani sono costretti a vivere una vita precaria e perdono la speranza per il futuro.
L’uomo che cade, e che contempla il Dio che cade, è l’uomo che finalmente può ammettere la propria debolezza e impotenza senza più timore e disperazione, proprio perché anche Dio l’ha provata nel Figlio suo. È per misericordia che Dio s’è abbassato fino a questo punto, fino a giacere nella polvere della strada. Polvere bagnata dal sudore di Adamo e dal sangue di Gesù e di tutti i martiri della storia; polvere benedetta dalle lacrime di tanti fratelli caduti per la violenza e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. A questa polvere benedetta, oltraggiata, violata e depredata dall’egoismo umano, il Signore ha riservato il suo ultimo abbraccio.
Signore Gesù,
prostrato su questa terra riarsa,
sei vicino a tutti gli uomini che soffrono
e infondi nei loro cuori la forza per rialzarsi.
Ti prego, Dio della misericordia,
per tutti coloro che sono a terra per tanti motivi:
peccati personali, matrimoni falliti, solitudine,
perdita del lavoro, drammi familiari, angoscia per il futuro.
Fai sentire che Tu sei non distante da ciascuno di loro,
poiché il più vicino a Te, che sei la misericordia incarnata,
è l’uomo che avverte di più il bisogno del perdono
e continua a sperare contro ogni speranza!
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Pater noster...
Stabat Mater...
Decima Stazione
Gesù è spogliato delle vesti
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco (15, 24)
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso.
Ai piedi della croce, sotto il Crocifisso e i ladroni sofferenti, ci sono i soldati che si contendono le vesti di Gesù. È la banalità del male.
Lo sguardo dei soldati è lontano da quella sofferenza ed è distante dalla storia che li circonda. Sembra che quello che sta accadendo non li tocchi. Essi, mentre il Figlio di Dio subisce i supplizi della croce, continuano imperterriti a condurre una vita in cui le passioni hanno il sopravvento su tutto. È questo il grande paradosso della libertà che Dio ha concesso ai propri figli. Di fronte alla morte di Gesù ogni uomo può scegliere: contemplare il Cristo o “tirare a sorte”.
È enorme la distanza che separa il Crocifisso dai suoi carnefici. L’interesse meschino per le vesti non consente loro di cogliere il senso di quel corpo inerme e disprezzato, irriso e martoriato, in cui si compie la divina volontà di salvezza dell’umanità intera.
Quel corpo che il Padre ha «preparato» per il Figlio (cfr Sal 40, 7; Eb 10, 5) ora esprime l’amore del Figlio verso il Padre e il dono totale di Gesù agli uomini. Quel corpo spogliato di tutto fuorché dell’amore racchiude in sé l’immenso dolore dell’umanità e racconta tutte le sue piaghe. Soprattutto quelle più dolorose: le piaghe dei bambini profanati nella loro intimità.
Quel corpo muto e sanguinante, flagellato e umiliato, indica la strada della giustizia. La giustizia di Dio che trasforma la sofferenza più atroce nella luce della risurrezione.
Signore Gesù,
vorrei presentarti tutta l’umanità sofferente.
I corpi di uomini e donne, di bambini e anziani, di malati e disabili non rispettati nella loro dignità. Quante violenze lungo la storia di questa umanità hanno colpito ciò che l’uomo ha di più suo, qualcosa di sacro e benedetto perché viene da Dio.
Ti preghiamo, Signore, per chi è stato violato nel suo intimo.
Per chi non coglie il mistero del proprio corpo, per chi non l’accetta o ne deturpa la bellezza,
per chi non rispetta la debolezza e la sacralità del corpo che invecchia e muore.
E che un giorno risorgerà!
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Pater noster...
Stabat Mater...
Undicesima Stazione
Gesù è crocifisso
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca (23, 39-43)
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Gesù sta sulla croce, «albero fecondo e glorioso», «talamo, trono ed altare» (Inno liturgico “Ecco il vessillo della croce”). E dall’alto di questo trono, punto d’attrazione dell’intero universo (cfr Gv 12, 32), perdona i suoi crocifissori «perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). Sulla croce di Cristo, «bilancia del grande riscatto» (Inno liturgico “Ecco il vessillo della croce”), risplende una onnipotenza che si spoglia, una sapienza che si abbassa fino alla follia, un amore che si offre in sacrificio.
Alla destra e alla sinistra di Gesù ci sono due malfattori, probabilmente due omicidi. Quei due malfattori parlano al cuore di ogni uomo perché indicano due modi differenti di stare sulla croce: il primo maledice Dio; il secondo riconosce Dio su quella croce. Il primo malfattore propone la soluzione più comoda per tutti. Propone una salvezza umana e ha uno sguardo rivolto verso il basso. La salvezza per lui significa scappare dalla croce ed eliminare la sofferenza. È la logica della cultura dello scarto. Chiede a Dio di eliminare tutto ciò che non è utile e non è degno di essere vissuto.
Il secondo malfattore, invece, non mercanteggia una soluzione. Propone una salvezza divina e ha uno sguardo tutto rivolto verso il cielo. La salvezza per lui significa accettare la volontà di Dio anche nelle condizioni peggiori. È il trionfo della cultura dell’amore e del perdono.
È la follia della croce nei confronti della quale ogni sapienza umana non può che svanire e ammutolire nel silenzio.
Donami, o Crocifisso per amore,
quel tuo perdono che dimentica e quella tua misericordia che ricrea.
Fammi sperimentare, in ogni Confessione,
la grazia che m’ha creato a tua immagine e somiglianza
e che mi ricrea ogni volta che io pongo la mia vita,
con tutte le sue miserie, nelle mani pietose del Padre.
Che il tuo perdono risuoni per me come certezza dell’amore che mi salva,
mi fa nuovo e mi fa stare con te per sempre.
Allora io sarò davvero un malfattore graziato
e ogni perdono tuo sarà come un assaggio di Paradiso, già da oggi.
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Pater noster...
Stabat Mater...
Dodicesima Stazione
Gesù muore in croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco (15, 33-39)
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Buio a mezzogiorno: sta accadendo qualcosa di assolutamente inaudito e imprevedibile sulla terra, ma che non appartiene solo alla terra. L’uomo uccide Dio! Il Figlio di Dio è stato crocifisso come un malfattore.
Gesù si rivolge al Padre gridando le prime parole del salmo 22. È il grido della sofferenza e della desolazione, ma è anche il grido della completa «fiducia della vittoria divina» e della «certezza della gloria» (Benedetto XVI, Catechesi, 14 settembre 2011).
Il grido di Gesù è il grido di ogni crocifisso della storia, dell’abbandonato e dell’umiliato, del martire e del profeta, di chi è calunniato e ingiustamente condannato, di chi è in esilio o in carcere. È il grido della disperazione umana che sfocia, però, nella vittoria della fede che trasforma la morte nella vita eterna. «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (Sal 22, 23).
Gesù muore in croce. È la morte di Dio? No, è la celebrazione più alta della testimonianza della fede.
Il XX secolo è stato definito il secolo dei martiri. Esempi come quelli di Massimiliano Kolbe ed Edith Stein esprimono una luce immensa. Ma ancora oggi il corpo di Cristo è crocifisso in molte regioni della terra. I martiri del XXI secolo sono i veri apostoli del mondo contemporaneo.
Nel grande buio s’accende la fede: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!», perché chi muore così, volgendo in speranza di vita la disperazione della morte, non può essere semplicemente un uomo.
Il Crocifisso è l’offerta piena.
Non si è tenuto niente, né un lembo di veste, né una goccia di sangue, né la Madre.
Ha dato tutto: «Consummatum est».
Quando non si ha più niente da dare perché si è dato tutto,
allora si diventa capaci di veri doni.
Spogliato, nudo, mangiato dalle ferite, dalla sete dell’abbandono, dagli improperi:
non c’è più figura d’uomo.
Dare tutto: ecco la carità.
Dove finisce il mio, comincia il paradiso.
(don Primo Mazzolari)
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Tredicesima Stazione
Gesù è deposto dalla croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco (15, 42-43. 46a)
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il Regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce.
Giuseppe d’Arimatea accoglie Gesù prima ancora di aver visto la sua gloria. Lo accoglie da sconfitto. Da malfattore. Da rifiutato. Richiede il corpo a Pilato per non permettere che venga gettato nella fossa comune. Giuseppe mette a rischio la sua reputazione e forse, come Tobi, anche la sua vita (cfr Tb 1, 15-20). Ma il coraggio di Giuseppe non è l’audacia degli eroi in battaglia. Il coraggio di Giuseppe è la forza della fede. Una fede che diventa accoglienza, gratuità e amore. In una parola: carità.
Il silenzio, la semplicità e la sobrietà con cui Giuseppe si avvicina al corpo di Gesù contrasta con l’ostentazione, la banalizzazione e la fastosità dei funerali dei potenti di questo mondo. La testimonianza di Giuseppe ricorda, invece, tutti quei cristiani che anche oggi per un funerale mettono a rischio la propria vita.
Chi poteva accogliere il corpo senza vita di Gesù se non colei che gli aveva dato la vita? Possiamo immaginare i sentimenti di Maria che lo accoglie tra le sue braccia, lei che ha creduto alle parole dell’Angelo e ha serbato tutto nel suo cuore.
Maria, mentre abbraccia il suo figlio esanime, ripete ancora una volta il suo «fiat». È il dramma e la prova della fede. Nessuna creatura l’ha sofferta come Maria, la madre che tutti ci ha generato alla fede ai piedi della croce.
Ripeteva la preghiera del mondo:
«Padre, Abbà, se è possibile…».
Solo un ramoscello d’olivo
dondolava sopra il suo capo
a un silenzioso vento…
Ma non una spina tu
gli levasti dalla corona.
Trafitto anche il pensiero
non può, non può lassù
il pensiero non sanguinare!
E non una mano
gli schiodasti dal legno:
che si tergesse dagli occhi
il sangue
e gli fosse dato
di vedere
almeno la Madre là,
sola…
Perfino potenti
e maestri di ferocia
e gente, al vederlo
si coprivan la faccia
e Lui a fluttuare dentro
una nuvola:
dentro la nuvola del divino abbandono.
E dopo, solo dopo.
Tu e noi a ridargli la vita.
(Padre Turoldo)
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Quattordicesima Stazione
Gesù è deposto nel sepolcro
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Matteo (27, 59-60)
Giuseppe prese il corpo [di Gesù], lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò.
Mentre Giuseppe chiude il sepolcro di Gesù, Egli scende negli inferi e ne spalanca le porte.
Quella che la Chiesa Occidentale chiama “discesa agli inferi”, la Chiesa Orientale la celebra già come Anastasi, cioè “Risurrezione”. Le Chiese sorelle comunicano così all’uomo la piena Verità di questo unico Mistero: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete» (Ez 37, 12. 14).
La tua Chiesa, Signore, ogni mattina canta: «Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte» (Lc 1, 78-79).
L’uomo, abbagliato da luci che hanno il colore delle tenebre, spinto dalle forze del male, ha rotolato una grande pietra e ti ha chiuso nel sepolcro.Ma noi sappiamo che tu, Dio umile, nel silenzio in cui la nostra libertà ti ha posto, sei all’opera più che mai per generare nuova grazia nell’uomo che ami.Entra, dunque, nei nostri sepolcri: ravviva la scintilla del tuo amore nel cuore di ogni uomo, nel grembo di ogni famiglia, nel cammino di ogni popolo.
O Cristo Gesù!
Tutti camminiamo verso la nostra morte
e la nostra tomba.
Permettici di fermarci in spirito
accanto al tuo sepolcro.
Che la potenza di Vita,
che in esso si è manifestata,
trafigga i nostri cuori.
Che questa Vita diventi
la luce del nostro pellegrinaggio sulla terra.
Amen.
(San Giovanni Paolo II)
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