Omelia del Santo Padre
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Alle ore 9 di questa mattina, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa con i nuovi Cardinali e il Collegio Cardinalizio. Nel corso della Celebrazione Eucaristica ha avuto luogo l’apertura della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
Dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:
Omelia del Santo Padre
Il Vangelo che abbiamo ascoltato è preceduto dal racconto di un momento difficile della missione di Gesù, che potremmo definire di “desolazione pastorale”: Giovanni Battista dubita che sia davvero lui il Messia; tante città che ha attraversato, nonostante i prodigi compiuti, non si sono convertite; la gente lo accusa di essere un mangione e un beone, mentre poco prima si era lamentata del Battista perché era troppo austero (cfr Mt 11,2-24). Tuttavia vediamo che Gesù non si lascia risucchiare dalla tristezza, ma alza gli occhi al cielo e benedice il Padre perché ha rivelato ai semplici i misteri del Regno di Dio: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Nel momento della desolazione, dunque, Gesù ha uno sguardo capace di vedere oltre: loda la sapienza del Padre e riesce a scorgere il bene nascosto che cresce, il seme della Parola accolto dai semplici, la luce del Regno di Dio che si fa strada anche nella notte.
Cari fratelli Cardinali, confratelli Vescovi, sorelle e fratelli, siamo all’apertura dell’Assemblea Sinodale. E non ci serve uno sguardo immanente, fatto di strategie umane, calcoli politici o battaglie ideologiche – se il Sinodo darà questo permesso, quell’altro, aprirà questa porta, quell’altra – questo non serve. Non siamo qui per portare avanti una riunione parlamentare o un piano di riforme. Il Sinodo, cari fratelli e sorelle, non è un parlamento. Il protagonista è lo Spirito Santo. No. Non siamo qui per fare parlamento, ma per camminare insieme con lo sguardo di Gesù, che benedice il Padre e accoglie quanti sono affaticati e oppressi. Partiamo dunque dallo sguardo di Gesù, che è uno sguardo benedicente e accogliente.
1. Vediamo il primo aspetto: uno sguardo benedicente. Pur avendo sperimentato il rifiuto e aver visto attorno a sé tanta durezza di cuore, Cristo non si lascia imprigionare dalla delusione, non diventa amaro, non spegne la lode; il suo cuore, fondato nel primato del Padre, rimane sereno pure nella tempesta.
Questo sguardo benedicente del Signore invita anche noi a essere una Chiesa che, con animo lieto, contempla l’azione di Dio e discerne il presente. E che, fra le onde talvolta agitate del nostro tempo, non si perde d’animo, non cerca scappatoie ideologiche, non si barrica dietro convinzioni acquisite, non cede a soluzioni di comodo, non si lascia dettare l’agenda dal mondo. Questa è la sapienza spirituale della Chiesa, sintetizzata con serenità da San Giovanni XXIII: «È necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato» (Discorso per la solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).
Lo sguardo benedicente di Gesù ci invita a essere una Chiesa che non affronta le sfide e i problemi di oggi con uno spirito divisivo e conflittuale ma che, al contrario, volge gli occhi a Dio che è comunione e, con stupore e umiltà, lo benedice e lo adora, riconoscendolo suo unico Signore. Apparteniamo a Lui e – ricordiamolo – esistiamo solo per portare Lui al mondo. Come ci ha detto l’Apostolo Paolo, non abbiamo altro «vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). Questo basta, Lui ci basta. Non vogliamo glorie terrene, non vogliamo farci belli agli occhi del mondo, ma raggiungerlo con la consolazione del Vangelo, per testimoniare meglio, e a tutti, l’amore infinito di Dio. Infatti, come ha affermato Benedetto XVI proprio parlando a un’Assemblea sinodale, «la questione per noi è: Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza?» (Meditazione nella I Congregazione generale della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 8 ottobre 2012). Questa è la domanda fondamentale. E questo è il compito primario del Sinodo: ricentrare il nostro sguardo su Dio, per essere una Chiesa che guarda con misericordia l’umanità. Una Chiesa unita e fraterna – o almeno che cerca di essere unita e fraterna –, che ascolta e dialoga; una Chiesa che benedice e incoraggia, che aiuta chi cerca il Signore, che scuote beneficamente gli indifferenti, che avvia percorsi per iniziare le persone alla bellezza della fede. Una Chiesa che ha Dio al centro e che, perciò, non si divide all’interno e non è mai aspra all’esterno. Una Chiesa che rischia con Gesù. Così Gesù vuole la Chiesa, così vuole la sua Sposa.
2. Dopo questo sguardo benedicente, contempliamo lo sguardo accogliente di Cristo. Mentre coloro che si credono sapienti non riescono a riconoscere l’opera di Dio, Lui esulta nel Padre perché si rivela ai piccoli, ai semplici, ai poveri in spirito. Una volta c’era una difficoltà in una parrocchia e la gente parlava di quella difficoltà, mi diceva le cose. E un’anziana, molto anziana, una signora del popolo, quasi analfabeta, ha fatto un intervento proprio da teologo, e con tanta mitezza e saggezza spirituale ha dato il suo contributo. Ricordo quel momento come una rivelazione del Signore, anche con gioia; e mi è venuto in mente di domandarle: “Mi dica, signora, lei dove ha studiato, con Royo Marín, questa teologia così forte?”. La gente saggia del popolo ha questa fede. E perciò, in tutta la sua vita, Egli assume questo sguardo ospitale verso i più deboli, i sofferenti, gli scartati. A loro, in particolare, si rivolge dicendo quanto abbiamo ascoltato: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).
Questo sguardo accogliente di Gesù invita anche noi ad essere una Chiesa ospitale, non con le porte chiuse. In un tempo complesso come il nostro, emergono sfide culturali e pastorali nuove, che richiedono un atteggiamento interiore cordiale e gentile, per poterci confrontare senza paura. Nel dialogo sinodale, in questa bella “marcia nello Spirito Santo” che compiamo insieme come Popolo di Dio, possiamo crescere nell’unità e nell’amicizia con il Signore per guardare alle sfide di oggi con il suo sguardo; per diventare, usando una bella espressione di San Paolo VI, una Chiesa che «si fa colloquio» (Lett. enc. Ecclesiam suam, n. 67). Una Chiesa “dal giogo dolce” (cfr Mt 11,30), che non impone pesi e che a tutti ripete: “Venite, affaticati e oppressi, venite, voi che avete smarrito la via o vi sentite lontani, venite, voi che avete chiuso le porte alla speranza: la Chiesa è qui per voi!”. La Chiesa delle porte aperte a tutti, tutti, tutti!
3. Fratelli e sorelle, Popolo santo di Dio, dinanzi alle difficoltà e alle sfide che ci attendono, lo sguardo benedicente e accogliente di Gesù ci impedisce di cadere in alcune tentazioni pericolose: di essere una Chiesa rigida – una dogana –, che si arma contro il mondo e guarda all’indietro; di essere una Chiesa tiepida, che si arrende alle mode del mondo; di essere una Chiesa stanca, ripiegata su sé stessa. Nel libro dell’Apocalisse, il Signore dice: “Io sono alla porta e busso perché la porta sia aperta”; ma tante volte, fratelli e sorelle, Lui bussa alla porta, però dall’interno della Chiesa, perché lasciamo il Signore uscire con la Chiesa a proclamare il suo Vangelo.
Camminiamo insieme: umili, ardenti e gioiosi. Camminiamo sulle orme di San Francesco d’Assisi, il Santo della povertà e della pace, il “folle di Dio” che ha portato nel corpo le stigmate di Gesù e, per rivestirsi di Lui, si è spogliato di tutto. Com’è difficile questa spogliazione interiore e anche esteriore di tutti noi e anche delle istituzioni! San Bonaventura racconta che, mentre pregava, il Crocifisso gli disse: «Va’ e ripara la mia chiesa» (Legenda maior, II, 1). Il Sinodo serve a ricordarci questo: la nostra Madre Chiesa ha sempre bisogno di purificazione, di essere “riparata”, perché noi tutti siamo un Popolo di peccatori perdonati – ambedue le cose: peccatori perdonati –, sempre bisognosi di ritornare alla fonte che è Gesù e di rimetterci sulle strade dello Spirito per raggiungere tutti col suo Vangelo. Francesco di Assisi, in un tempo di grandi lotte e divisioni, tra il potere temporale e quello religioso, tra la Chiesa istituzionale e le correnti eretiche, tra i cristiani e altri credenti, non criticò e non si scagliò contro nessuno, imbracciando solo le armi del Vangelo, cioè l’umiltà e l’unità, la preghiera e la carità. Facciamo anche noi così! Umiltà e unità, preghiera e carità.
E se il Popolo santo di Dio con i suoi pastori, da ogni parte del mondo, nutre attese, speranze e pure qualche paura sul Sinodo che iniziamo, ricordiamo ancora che esso non è un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito; non un parlamento polarizzato, ma un luogo di grazia e di comunione. Lo Spirito Santo, poi, spesso frantuma le nostre aspettative per creare qualcosa di nuovo, che supera le nostre previsioni e le nostre negatività. Forse posso dire che i momenti più fruttuosi nel Sinodo sono quelli di preghiera, anche l’ambiente di preghiera, con il quale il Signore agisce in noi. Apriamoci a Lui e invochiamo Lui: Lui è il protagonista, lo Spirito Santo. Lasciamo che Lui sia il protagonista del Sinodo! E con Lui camminiamo, nella fiducia e con gioia.
[01510-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
L'Évangile que nous venons d'entendre est précédé par le récit d'un moment difficile de la mission de Jésus, que nous pourrions définir comme un moment de “désolation pastorale” : Jean Baptiste doute qu'il soit vraiment le Messie ; de nombreuses villes qu'il a traversées, malgré les miracles accomplis, ne se sont pas converties ; les gens l'accusent d'être un glouton et un ivrogne, alors qu'un peu plus tôt ils s'étaient plaints du Baptiste parce qu'il était trop austère (cf. Mt 11, 2-24). Cependant, nous voyons que Jésus ne se laisse pas abattre par la tristesse, mais il lève les yeux vers le ciel et bénit le Père parce qu'il a révélé aux simples les mystères du Royaume de Dieu : « Père, Seigneur du ciel et de la terre, je proclame ta louange : ce que tu as caché aux sages et aux savants, tu l’as révélé aux tout-petits » (Mt 11, 25). Au moment de la désolation, Jésus a donc un regard capable de voir au-delà: il loue la sagesse du Père et il est capable de discerner le bien caché qui grandit, la semence de la Parole accueillie par les simples, la lumière du Royaume de Dieu qui se fraye un chemin même dans la nuit.
Chers frères cardinaux, frères évêques, sœurs et frères, nous sommes à l'ouverture de l'Assemblée synodale. Et nous n'avons pas besoin d'un regard immanent, fait de stratégies humaines, de calculs politiques ou de batailles idéologiques - si le Synode donnait cette permission, celui-ci ouvrirait cette porte, celui-là cette autre porte - cela ne sert à rien. Nous ne sommes pas ici pour mener une réunion parlementaire ou un plan de réforme. Le Synode, chers frères et sœurs, n'est pas un parlement. Le protagoniste est l'Esprit Saint. Non. Nous ne sommes pas ici pour faire un parlement, mais pour marcher ensemble sous le regard de Jésus, qui bénit le Père et accueille tous ceux qui sont fatigués et opprimés. Partons donc du regard de Jésus, un regard qui bénit et qui accueille.
1. Voyons le premier aspect : un regard qui bénit. Bien qu'il ait fait l'expérience du rejet et qu'il ait vu tant de dureté de cœur autour de lui, le Christ ne se laisse pas emprisonner par la déception, il ne devient pas amer, il n'éteint pas la louange ; son cœur, enraciné dans le primat du Père, reste serein même dans la tempête.
Ce regard qui bénit du Seigneur nous invite aussi à être une Église qui, avec un esprit joyeux, contemple l'action de Dieu et discerne le présent. Et qui, au milieu des vagues parfois agitées de notre temps, ne se décourage pas, ne cherche pas d'échappatoires idéologiques, ne se barricade pas derrière des convictions acquises, ne cède pas aux solutions faciles, ne se laisse pas dicter son agenda par le monde. Telle est la sagesse spirituelle de l'Église, résumée avec sérénité par saint Jean XXIII : « Il est nécessaire avant tout que l’Église ne détourne jamais son regard de l’héritage sacré de vérité qu’elle a reçu des anciens. Mais il faut aussi qu’elle se tourne vers les temps présents, qui entraînent de nouvelles situations, de nouvelles formes de vie et ouvrent de nouvelles voies à l’apostolat » (Discours pour l'ouverture solennelle du Concile œcuménique Vatican II, 11 octobre 1962).
Le regard qui bénit de Jésus nous invite à être une Église qui n'affronte pas les défis et les problèmes d'aujourd'hui avec un esprit de division et de conflit, mais qui, au contraire, tourne les yeux vers Dieu qui est communion et, avec crainte et humilité, le bénit et l'adore, le reconnaissant comme son unique Seigneur. Nous Lui appartenons et - ne l'oublions pas - nous n'existons que pour Le porter au monde. Comme nous l'a dit l'apôtre Paul, « la croix de notre Seigneur Jésus Christ reste notre seule fierté » (Ga 6, 14). Cela nous suffit, Il nous suffit. Nous ne voulons pas de gloires terrestres, nous ne voulons pas paraitre beaux aux yeux du monde, mais le rejoindre avec la consolation de l'Évangile, pour mieux témoigner, à tous, de l'amour infini de Dieu. En effet, comme l'a dit Benoît XVI en s'adressant à une Assemblée synodale, « La question pour nous est la suivante : Dieu a parlé, Il a vraiment rompu le grand silence, Il s’est montré, mais comment pouvons-nous faire arriver cette réalité à l’homme d’aujourd’hui afin qu’elle devienne salut? » (Méditation au cours de la 1ère Congrégation générale de la XIIIe Assemblée Générale Ordinaire du Synode des Évêques, 8 octobre 2012). Telle est la question fondamentale. Et c'est la tâche première du Synode : recentrer notre regard sur Dieu, pour être une Église qui regarde l'humanité avec miséricorde. Une Église unie et fraternelle- ou au moins qui cherche à être unie et fraternelle -, qui écoute et dialogue ; une Église qui bénit et encourage, qui aide ceux qui cherchent le Seigneur, qui secoue avec bienveillance les indifférents, qui ouvre des chemins pour initier les personnes à la beauté de la foi. Une Église qui a Dieu en son centre et qui, par conséquent, ne se divise pas à l'intérieur et n'est jamais dure à l'extérieur. Une Église qui prend des risques avec Jésus. C'est ainsi que Jésus veut l'Église, c'est ainsi qu'il veut son Épouse.
2. Après ce regard qui bénit, nous contemplons le regard du Christ qui accueille. Alors que ceux qui se croient sages ne reconnaissent pas l'œuvre de Dieu, lui se réjouit dans le Père parce qu'il se révèle aux petits, aux simples, aux pauvres en esprit. Une fois, il y avait une difficulté dans une paroisse et les gens parlaient de cette difficulté, me racontaient des choses. Et une vieille femme, une très vieille femme, une dame du peuple, presque analphabète, est intervenue comme un théologien, et avec tant de douceur et de sagesse spirituelle, elle a donné sa contribution. Je me souviens de ce moment comme d'une révélation du Seigneur, même avec joie, et il m'est venu à l'esprit de lui demander : "Dites-moi, madame, où avez-vous étudié, avec Royo Marín, cette forte théologie ?" Les sages du peuple ont cette foi. Ainsi, tout au long de sa vie, il adopte ce regard hospitalier envers les plus faibles, les souffrants, les laissés-pour-compte. C'est vers eux, en particulier, qu'il se tourne, en disant ce que nous avons entendu : « Venez à moi, vous tous qui peinez sous le poids du fardeau, et moi, je vous procurerai le repos » (Mt 11, 28).
Ce regard accueillant de Jésus nous invite également à être une Église hospitalière, et non une Église aux portes fermées. Dans une époque complexe comme la nôtre, de nouveaux défis culturels et pastoraux apparaissent, qui requièrent une attitude intérieure cordiale et douce, afin que nous puissions nous confronter sans crainte. Dans le dialogue synodal, dans cette belle “marche dans l'Esprit Saint” que nous entreprenons ensemble en tant que Peuple de Dieu, nous pouvons grandir dans l'unité et l'amitié avec le Seigneur pour regarder les défis d'aujourd'hui avec son regard ; pour devenir, selon une belle expression de saint Paul VI, une Église qui « se fait conversation » (Lett. enc. Ecclesiam suam, n. 67). Une Église dont “le joug est doux” (cf. Mt 11, 30), qui n'impose pas de fardeaux et qui répète à chacun : “Venez, vous qui êtes fatigués et opprimés, venez, vous qui vous êtes égarés ou qui vous sentez loin, venez, vous qui avez fermé les portes de l'espérance : l'Église est là pour vous”. L'Église des portes ouvertes à tous, tous, tous !
3. Frères et sœurs, Peuple saint de Dieu, face aux difficultés et aux défis qui nous attendent, le regard qui accueille et bénit Jésus nous empêche de tomber dans certaines tentations dangereuses : être une Église rigide - une douane -, qui s'arme contre le monde et regarde en arrière ; être une Église tiède, qui se soumet aux modes du monde ; être une Église fatiguée, repliée sur elle-même. Dans le livre de l'Apocalypse, le Seigneur dit : "Je me tiens à la porte et je frappe pour qu'on m'ouvre" ; mais bien souvent, frères et sœurs, il frappe à la porte, mais de l'intérieur de l'Église, afin que nous laissions le Seigneur sortir avec l'Église pour proclamer son Évangile.
Marchons ensemble, humbles, ardents et joyeux. Marchons sur les traces de saint François d'Assise, le saint de la pauvreté et de la paix, le “fou de Dieu” qui a porté dans son corps les stigmates de Jésus et s'est dépouillé de tout pour se revêtir de Lui. Comme il est difficile ce dépouillement intérieur et extérieur de chacun d'entre nous et aussi des institutions ! Saint Bonaventure raconte que, tandis qu'il priait, le Crucifié lui dit : « Va et répare mon église » (Legenda maior, II, 1). Le Synode sert à nous rappeler ceci : notre Mère l'Église a toujours besoin d'être purifiée, d'être “réparée”, parce que tous nous sommes un Peuple de pécheurs pardonnés - les deux choses : pécheurs pardonnés -, qui ont toujours besoin de revenir à la source qu'est Jésus et de se remettre sur les chemins de l'Esprit pour rejoindre tout le monde avec son Évangile. François d'Assise, à une époque de grandes luttes et de divisions entre les pouvoirs temporel et religieux, entre l'Église institutionnelle et les courants hérétiques, entre les chrétiens et les autres croyants, n'a critiqué ni critiqué personne, mais il a pris à bras le corps les armes de l'Évangile qui sont l'humilité et l'unité, la prière et la charité. Faisons de même ! Humilité et unité, prière et charité.
Et si le saint Peuple de Dieu, et ses pasteurs, partout dans le monde, nourrit des attentes, des espoirs et même quelques craintes à l'égard du Synode que nous commençons, souvenons-nous qu'il ne s'agit non pas d'un rassemblement politique, mais d'une convocation dans l'Esprit ; non pas d'un parlement polarisé, mais d'un lieu de grâce et de communion. L'Esprit Saint brise souvent nos attentes pour créer quelque chose de nouveau qui dépasse nos prédictions et notre négativité. Je peux sans doute dire que les moments les plus fructueux du Synode sont ceux de la prière, ainsi que le climat de prière, par lequel le Seigneur agit en nous. Ouvrons-nous à Lui et invoquons-Le : c’est Lui le protagoniste, l'Esprit Saint. Que ce soit Lui qui soit le protagoniste du Synode ! Et avec Lui, marchons, dans la confiance et la joie.
[01510-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
The Gospel we have just heard is preceded by the account of a difficult moment in Jesus’ mission, which we might call one of “pastoral desolation”. John the Baptist doubts that Jesus is really the Messiah; so many cities he passed through, despite the wonders he performed, were not converted; people accuse him of being a glutton and a drunkard, whereas they had just complained about the Baptist because he was too austere (cf. Mt 11:2-24). Yet we see that Jesus does not let himself be overcome by sadness, but instead lifts his eyes to heaven and blesses the Father for he has revealed the mysteries of the Kingdom of God to the simple: “I thank you, Father, Lord of heaven and earth, that you have hidden these things from the wise and understanding and revealed them to infants” (Mt 11:25). In the moment of desolation, then, Jesus has a gaze capable of seeing beyond: he praises the wisdom of the Father and is able to discern the good that grows unseen, the seed of the Word welcomed by the simple, the light of the Kingdom of God that shows the way even in the night.
Dear brother Cardinals, brother Bishops, sisters and brothers, we are at the opening of the General Assembly of the Synod. Here we do not need a purely natural vision, made up of human strategies, political calculations or ideological battles. If the Synod allows this to happen, the “other one” will open the door to it. This we do not need. We are not here to carry out a parliamentary meeting or a plan of reformation. The Synod, dear brothers and sisters, is not a parliament. The Holy Spirit is the protagonist. We are not here to form a parliament but to walk together with the gaze of Jesus, who blesses the Father and welcomes those who are weary and oppressed. So let us start from the gaze of Jesus, which is a blessing and welcoming gaze.
1. Let us look at the first aspect: a gaze that blesses. Though having experienced rejection and having seen around him so much hardness of heart, Christ does not let himself be imprisoned by disappointment, he does not become bitter, he does not cease to praise; his heart, founded on the primacy of the Father, remains serene even in the storm.
This gaze of the Lord that blesses also invites us to be a Church that, with a glad heart, contemplates God's action and discerns the present. And which, amid the sometimes agitated waves of our time, does not lose heart, does not seek ideological loopholes, does not barricade itself behind preconceived notions, does not give in to convenient solutions, does not let the world dictate its agenda. This is the spiritual wisdom of the Church, summarized with serenity by Saint John XXIII: “It is necessary first of all that the Church should never depart from the sacred patrimony of truth received from the Fathers. But at the same time she must ever look to the present, to the new conditions and new forms of life introduced into the modern world which have opened new avenues to the Catholic apostolate” (Address for the Solemn Opening of the Second Vatican Ecumenical Council, 11 October 1962).
Jesus’ gaze that blesses invites us to be a Church that does not face today’s challenges and problems with a divisive and contentious spirit but, on the contrary, turns its eyes to God who is communion and, with awe and humility, blesses and adores him, recognizing him as its only Lord. We belong to him and – let us remember – we exist only to bring him to the world. As the Apostle Paul told us, we have no other “glory except the cross of our Lord Jesus Christ” (Gal 6:14). This is enough for us; he is enough for us. We do not want earthly glory; we do not want to make ourselves attractive in the eyes of the world, but to reach out to it with the consolation of the Gospel, to bear witness to God’s infinite love, in a better way and to everyone. Indeed, as Benedict XVI said, precisely when speaking to a synod assembly, “the question for us is this: God has spoken, he has truly broken the great silence, he has shown himself, but how can we communicate this reality to the people of today, so that it becomes salvation?” (Meditation, First General Congregation of the XIII Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops, 8 October 2012). This is the fundamental question. And this is the primary task of the Synod: to refocus our gaze on God, to be a Church that looks mercifully at humanity. A Church that is united and fraternal – or at least seeks to be united and fraternal –, that listens and dialogues; a Church that blesses and encourages, that helps those who seek the Lord, that lovingly stirs up the indifferent, that opens paths in order to draw people into the beauty of faith. A Church that has God at its centre and, therefore, is not divided internally and is never harsh externally. A Church that takes a risk in following Jesus. This is how Jesus wants the Church, his Bride, to be.
2. After reflecting on the gaze that blesses, let us now look at the welcoming gaze of Christ. While those who think themselves wise fail to recognize the work of God, Jesus rejoices in the Father because he reveals himself to the little ones, the simple, the poor in spirit. Once the there was a problem in a parish and it was being spoken about by the people. This is what they were telling me. A very elderly lady, a lady of the people who was practically illiterate, intervened, as if she was a theologian, and with great meekness and spiritual wisdom offered her insight. I remember with joy that moment as a revelation from the Lord. It came to mind to ask her: “Tell me, madam, where did you study theology, with Royo Marín, who was a great theologian?” The wise among us have this type of faith. Throughout his life, Jesus takes on this welcoming gaze toward the weakest, the suffering and the discarded. To them in particular, he addresses the words we heard: “Come to me, all who labour and are heavy laden, and I will give you rest” (Mt 11:28).
This welcoming gaze of Jesus also invites us to be a welcoming Church, not one with closed doors. In such a complex time as ours, new cultural and pastoral challenges emerge that call for a warm and kindly inner attitude so that we can encounter each other without fear. In synodal dialogue, in this beautiful “journey in the Holy Spirit” that we are making together as the People of God, we can grow in unity and friendship with the Lord in order to look at today’s challenges with his gaze; to become, using a fine expression of Saint Paul VI, a Church that “makes itself a conversation” (Encyclical Letter Ecclesiam suam, 65). A Church “with a gentle yoke” (cf. Mt 11:30), which does not impose burdens and which repeats to everyone: “Come, you who are weary and oppressed, come, you who have lost your way or feel far away, come, you who have closed the doors to hope: the Church is here for you!” The doors of the Church are open to everyone, everyone, everyone!
3. Brothers and sisters, holy People of God, in the face of the difficulties and challenges that lie ahead, the blessing and welcoming gaze of Jesus prevents us from falling into some dangerous temptations: of being a rigid Church – a customs post –, which arms itself against the world and looks backward; of being a lukewarm Church, which surrenders to the fashions of the world; of being a tired Church, turned in on itself. In the Book of Revelation, the Lord says, “I stand at the door and knock so that it may be opened”; but often, brothers and sisters, he stands at the door knocking but from within the Church so that we may allow him to go out with the Church to proclaim his Gospel.
Let us walk together: humble, fervent and joyful. Let us walk in the footsteps of Saint Francis of Assisi, the saint of poverty and peace, the “fool of God” who bore in his body the stigmata of Jesus and, in order to clothe himself with him, stripped himself of everything. How difficult it is for all of us to carry out this interior and exterior self-emptying. The same is true for institutions. Saint Bonaventure relates that while he was praying, the Crucified One said to him, “Go and repair my church” (Legenda maior, II, 1). The Synod serves to remind us of this: our Mother the Church is always in need of purification, of being “repaired”, for we are a people made up of forgiven sinners – both elements: forgiven sinners –, always in need of returning to the source that is Jesus and putting ourselves back on the paths of the Spirit to reach everyone with his Gospel. Francis of Assisi, in a time of great struggles and divisions, between temporal and religious powers, between the institutional Church and heretical currents, between Christians and other believers, did not criticize or lash out at anyone. He took up only the weapons of the Gospel: humility and unity, prayer and charity. Let us do the same: humility, unity, prayer and charity!
And if God's holy people with their shepherds from all over the world have expectations, hopes and even some fears about the Synod we are beginning, let us continue to remember that it is not a political gathering, but a convocation in the Spirit; not a polarized parliament, but a place of grace and communion. The Holy Spirit often shatters our expectations to create something new that surpasses our predictions and negativity. Perhaps I can say that the more fruitful moments of the Synod are those connected to prayer, an atmosphere of prayer, through which the Lord works in us. Let us open ourselves to him and call upon him, the protagonist, the Holy Spirit. Let us allow him to be the protagonist of the Synod! And let us walk with him, in trust and with joy.
[01510-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Dem Evangelium, das wir soeben gehört haben, geht der Bericht über einen schwierigen Moment in der Mission Jesu voraus, den wir als „pastorale Trostlosigkeit“ bezeichnen könnten: Johannes der Täufer zweifelt daran, dass er wirklich der Messias ist; viele der Städte, durch die er gezogen ist, haben sich trotz der Wunder, die er vollbracht hat, nicht bekehrt; die Leute werfen ihm vor, ein Fresser und ein Säufer zu sein, während sie sich kurz zuvor noch über den Täufer beschwert hatten, weil er zu streng war (vgl. Mt 11,2-24). Wir sehen jedoch, dass Jesus sich nicht von der Traurigkeit herunterziehen lässt, sondern seine Augen zum Himmel erhebt und den Vater preist, weil er den Einfachen die Geheimnisse des Reiches Gottes offenbart hat: »Ich preise dich, Vater, Herr des Himmels und der Erde, weil du das vor den Weisen und Klugen verborgen und es den Unmündigen offenbart hast« (Mt 11,25). Im Moment der Verzweiflung hat Jesus also einen Blick, der fähig ist, drüber hinaus zu sehen: Er lobt die Weisheit des Vaters und vermag es, das verborgene Gute zu erkennen, das wächst, die Saat des Wortes, die von den einfachen Menschen aufgenommen wird, das Licht des Reiches Gottes, das sich auch in der Nacht seinen Weg bahnt.
Liebe Brüder Kardinäle, liebe Mitbrüder im Bischofsamt, liebe Schwestern und Brüder, wir sind bei der Eröffnung der Synodenversammlung. Und da brauchen wir keinen innerweltlichen Blick, der aus menschlichen Strategien, politischen Überlegungen oder ideologischen Kämpfen besteht – wenn die Synode diese und jene Erlaubnis erteilt, diese und jene Tür öffnet – das ist nicht dienlich. Wir sind nicht hier, um eine parlamentarische Sitzung oder einen Reformplan voranzubringen. Die Synode, liebe Brüder und Schwestern, ist kein Parlament. Der Protagonist ist der Heilige Geist. Nein. Wir sind nicht hier, um ein Parlament zu bilden, sondern gemeinsam zu gehen mit dem Blick Jesu, der den Vater preist und all jene einlädt, die mühselig und beladen sind. Lasst uns also vom Blick Jesu ausgehen, der ein preisender und einladender Blick ist.
1. Sehen wir uns den ersten Aspekt an: ein preisender Blick. Obwohl er Ablehnung erfahren und so viel Herzenshärte um sich herum gesehen hat, lässt sich Christus nicht von Enttäuschung gefangen nehmen, er verbittert nicht, er lässt den Lobpreis nicht erlöschen; sein Herz, das sich auf den Vorrang des Vaters gründet, bleibt selbst im Sturm gelassen.
Dieser preisende Blick des Herrn lädt auch uns dazu ein, eine Kirche zu sein, die mit fröhlichem Gemüt das Wirken Gottes betrachtet und die Gegenwart einer Unterscheidung unterzieht. Und die inmitten der manchmal aufgewühlten Wogen unserer Zeit nicht den Mut verliert, keine ideologischen Auswege sucht, sich nicht hinter erworbenen Überzeugungen verbarrikadiert, sich nicht auf bequeme Lösungen einlässt, sich nicht von der Welt das Programm diktieren lässt. Dies ist die spirituelle Weisheit der Kirche, die der heilige Johannes XXIII. mit Gelassenheit zusammenfasste: »Es [ist] vor allem nötig, dass die Kirche ihre Aufmerksamkeit nicht von dem Schatz der Wahrheit abwendet, den sie von den Vätern ererbt hat. Sodann muss sie auch der Gegenwart Rechnung tragen, die neue Umweltbedingungen und neue Lebensverhältnisse geschaffen und dem […] Apostolat neue Wege geöffnet hat« (Ansprache anlässlich der feierlichen Eröffnung des Zweiten Vatikanischen Konzils, 11. Oktober 1962).
Der preisende Blick Jesu lädt uns ein, eine Kirche zu sein, die die gegenwärtigen Herausforderungen und Probleme nicht mit einem spaltenden und konfrontativen Geist angeht, sondern im Gegenteil ihre Augen auf Gott richtet, der Gemeinschaft ist, und ihn mit Staunen und Demut preist und anbetet, indem sie ihn als ihren einzigen Herrn anerkennt. Wir gehören zu ihm und – bedenken wir dies – wir existieren nur, um ihn in die Welt zu bringen. Wie der Apostel Paulus uns sagte, wir können uns »allein des Kreuzes Jesu Christi, unseres Herrn, rühmen« (Gal 6,14). Dies genügt uns, er genügt uns. Wir wollen keinen irdischen Ruhm, wir wollen uns nicht für die Augen der Welt hübsch machen, sondern sie mit dem Trost des Evangeliums erreichen, um die unendliche Liebe Gottes besser und für alle zu bezeugen. Denn, wie Benedikt XVI. in einer Rede eben vor einer Synodenversammlung sagte, »es stellt sich uns die Frage: Gott hat gesprochen, er hat wirklich das große Schweigen gebrochen, er hat sich gezeigt – aber wie können wir dem Menschen von heute diese Wirklichkeit vermitteln, damit sie zum Heil wird?« (Meditation bei der ersten Generalkongregation der XIII. ordentlichen Generalversammlung der Bischofssynode, 8. Oktober 2012). Dies ist die grundlegende Frage. Und dies ist die Hauptaufgabe der Synode: unseren Blick wieder auf Gott auszurichten, um eine Kirche zu sein, die mit Barmherzigkeit auf die Menschheit schaut. Eine Kirche, die geeint und geschwisterlich ist – oder zumindest versucht, geeint und geschwisterlich zu sein –, die zuhört und in Dialog tritt; eine Kirche, die segnet und ermutigt, die denen hilft, die den Herrn suchen, die die Gleichgültigen wohltuend aufrüttelt, die Wege eröffnet, um die Menschen in die Schönheit des Glaubens einzuführen. Eine Kirche, die Gott als ihren Mittelpunkt hat und die sich deshalb im Inneren nicht spaltet und nach außen hin niemals herb ist. Eine Kirche, die mit Jesus Risiken eingeht. So wünscht sich Jesus die Kirche, so wünscht er sich seine Braut.
2. Nach diesem preisenden Blick betrachten wir den einladenden Blick Christi. Während diejenigen, die sich für weise halten, das Werk Gottes nicht erkennen, frohlockt er angesichts des Vaters, weil er sich den Kleinen, den Einfachen, den Armen im Geiste offenbart. Einmal gab es eine Schwierigkeit in einer Pfarrei und die Leute sprachen über diese Schwierigkeit und erzählten mir davon. Und eine alte Frau, sehr alt, eine Frau aus dem Volk, die fast Analphabetin war, meldete sich zu Wort wie eine Theologin, und ihr Beitrag war von großer Sanftmut und spiritueller Weisheit. Ich erinnere mich, auch mit Freude, dass dieser Moment wie eine Offenbarung des Herrn war; und mir kam in den Sinn, sie zu fragen: „Sagen Sie mir, meine Dame, wo haben Sie studiert, mi Royo Marín, diese so starke Theologie?“ Die weisen Leute aus dem Volk haben diesen Glauben. Und deshalb hat er sein ganzes Leben lang diesen einladenden Blick für die Schwächsten, die Leidenden, die Ausgestoßenen. Insbesondere an sie wendet er sich als er sagt, was wir gehört haben: »Kommt alle zu mir, die ihr mühselig und beladen seid! Ich will euch erquicken« (Mt 11,28).
Dieser einladende Blick Jesu ist auch eine Einladung an uns, eine gastfreundliche Kirche zu sein, nicht eine mit verschlossenen Türen. In einer komplexen Zeit wie der unseren ergeben sich neue kulturelle und pastorale Herausforderungen, die eine herzliche und freundliche innere Haltung erfordern, damit wir einander ohne Angst begegnen können. Im synodalen Dialog, bei diesem schönen „Marsch im Heiligen Geist“, den wir gemeinsam als Volk Gottes unternehmen, können wir in der Einheit und in der Freundschaft mit dem Herrn wachsen, um mit seinem Blick auf die heutigen Herausforderungen zu schauen; um eine Kirche zu werden, die, um einen schönen Ausdruck des heiligen Paul VI. zu verwenden, »sich selbst […] zum Dialog [macht]« (Enzyklika Ecclesiam suam, Nr. 67). Eine Kirche „mit sanftem Joch“ (vgl. Mt 11,30), die keine Lasten auferlegt und allen zuruft: „Kommt, die ihr mühselig und beladen seid, kommt, die ihr euch verirrt habt oder euch fern fühlt, kommt, die ihr der Hoffnung die Türen verschlossen habt: Die Kirche ist für euch da!“. Die Kirche mit offenen Türen für alle, alle, alle!
3. Brüder und Schwestern, heiliges Volk Gottes, angesichts der Schwierigkeiten und Herausforderungen, die uns erwarten, bewahrt uns der preisende und einladende Blick Jesu davor, einigen gefährlichen Versuchungen zu verfallen: Eine starre Kirche zu sein – eine Zollstation –, die sich gegen die Welt wappnet und rückwärts schaut; eine laue Kirche zu sein, die sich den Moden der Welt ergibt; eine müde Kirche zu sein, die über sich selbst gekrümmt ist. Im Buch der Offenbarung sagt der Herr: „Ich stehe vor der Tür und klopfe an, damit die Tür geöffnet wird“. Aber oft, Brüder und Schwestern, klopft er an die Tür, aber von innerhalb der Kirche, damit wir den Herrn mit der Kirche hinausgehen lassen, um sein Evangelium zu verkünden.
Lasst uns gemeinsam gehen: demütig, leidenschaftlich und fröhlich. Gehen wir auf den Spuren des heiligen Franz von Assisi, des Heiligen der Armut und des Friedens, des „Narren Gottes“, der die Wundmale Jesu an seinem Leib trug und der alles ablegte, um Christus als Gewand anzulegen. Wie schwierig ist diese innere und auch äußere Entblößung für uns alle und auch für die Institutionen! Der heilige Bonaventura berichtet, dass der Gekreuzigte während des Gebets zu ihm sagte: »Geh und bau meine Kirche wieder auf« (Legenda maior, II, 1). Die Synode dient dazu, uns dies in Erinnerung zu rufen: Unsere Mutter Kirche bedarf stets der Reinigung, der „Reparatur“, denn wir alle sind ein Volk von Sündern, denen vergeben worden ist – beides: Sünder und Menschen, denen vergeben wurde –, die immer wieder umkehren müssen zu der Quelle, die Jesus ist, und sich wieder auf die Wege des Heiligen Geistes begeben müssen, um alle mit seinem Evangelium zu erreichen. Franz von Assisi hat in einer Zeit großer Kämpfe und Spaltungen zwischen weltlicher und geistlicher Macht, zwischen der Amtskirche und häretischen Strömungen, zwischen Christen und anderen Gläubigen, niemanden kritisiert und sich über niemanden hergemacht, sondern nur die Waffen des Evangeliums eingesetzt, das heißt die Demut und die Einheit, das Gebet und die Nächstenliebe. Lasst es uns ebenso machen! Demut und Einheit, Gebet und Nächstenliebe.
Und wenn das heilige Volk Gottes mit seinen Hirten aus der ganzen Welt Erwartungen, Hoffnungen und auch einige Befürchtungen in Bezug auf die Synode hegt, die wir gerade beginnen, sollten wir uns erneut daran erinnern, dass sie keine politische Versammlung ist, sondern eine Zusammenkunft im Heiligen Geist; kein polarisiertes Parlament, sondern ein Ort der Gnade und der Gemeinschaft. Der Heilige Geist bricht dann oftmals unsere Erwartungen, um etwas Neues zu schaffen, das unsere Vorhersagen und unsere Negativität übertrifft. Vielleicht kann ich sagen, dass die fruchtbarsten Momente der Synode die des Gebets sind, auch die Atmosphäre des Gebets, wo der Herr in uns wirkt. Öffnen wir uns für ihn und rufen wir ihn an: Er ist die Hauptperson, der Heilige Geist. Lassen wir zu, das er zum Protagonisten der Synode wird. Und lasst uns mit ihm unterwegs sein, im Vertrauen und mit Freude.
[01510-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
El Evangelio que hemos escuchado está precedido por el relato de un momento difícil de la misión de Jesús, que podríamos definir de “desolación pastoral”. Juan Bautista dudaba de que él fuera realmente el Mesías; muchas ciudades por las que había pasado, a pesar de los milagros realizados, no se habían convertido; la gente lo acusaba de ser un glotón y un borracho, mientras poco antes se lamentaba del Bautista porque era demasiado austero (cf. Mt 11,2-24). Sin embargo, vemos que Jesús no se deja vencer por la tristeza, sino que levanta los ojos al cielo y bendice al Padre porque ha revelado a los sencillos los misterios del Reino de Dios: «Te alabo, Padre, Señor del cielo y de la tierra, por haber ocultado estas cosas a los sabios y a los prudentes y haberlas revelado a los pequeños» (Mt 11,25). En el momento de la desolación, por tanto, Jesús tiene una mirada que alcanza a ver más allá: alaba la sabiduría del Padre y es capaz de discernir el bien escondido que crece, la semilla de la Palabra acogida por los sencillos, la luz del Reino de Dios que se abre camino incluso durante la noche.
Queridos hermanos cardenales, hermanos obispos, hermanos y hermanas, estamos en la apertura de la Asamblea Sinodal. Y no nos sirve tener una mirada inmanente, hecha de estrategias humanas, cálculos políticos o batallas ideológicas ―por ejemplo, si el Sínodo permitirá esto o lo otro; si abrirá esta puerta o la otra―; no, esto no sirve. No estamos aquí para celebrar una reunión parlamentaria o un plan de reformas. El Sínodo, queridos hermanos y hermanas, no es un parlamento. El protagonista es el Espíritu Santo. No, no estamos aquí como en un parlamento, sino para caminar juntos, con la mirada de Jesús, que bendice al Padre y acoge a todos los que están afligidos y agobiados. Partamos, pues, de la mirada de Jesús, que es una mirada que bendice y acoge.
1. Veamos el primer aspecto: una mirada que bendice. Cristo ―aun cuando experimentó el rechazo y encontró a su alrededor tanta dureza de corazón―, no se dejó aprisionar por la desilusión, no se volvió amargado, no abandonó la alabanza. Su corazón, cimentado sobre el primado del Padre, permaneció sereno aún en medio de la tormenta.
Esta mirada de bendición del Señor nos invita también a ser una Iglesia que, con corazón alegre, contempla la acción de Dios y discierne el presente; que, en medio de las olas a veces agitadas de nuestro tiempo, no se desanima, no busca escapatorias ideológicas, no se atrinchera tras convicciones adquiridas, no cede a soluciones cómodas, no deja que el mundo le dicte su agenda. Esta es la sabiduría espiritual de la Iglesia, resumida con serenidad por san Juan XXIII: «Ante todo es necesario que la Iglesia no se aparte del sacro patrimonio de la verdad, recibido de los padres; pero, al mismo tiempo, debe mirar a lo presente, a las nuevas condiciones y formas de vida introducidas en el mundo actual, que han abierto nuevos caminos para el apostolado católico» (Discurso para la solemne apertura del Concilio Ecuménico Vaticano II, 11 octubre 1962).
La mirada de bendición de Jesús nos invita a ser una Iglesia que no afronta los desafíos y los problemas de hoy con espíritu de división y de conflicto, sino que, por el contrario, vuelve los ojos a Dios que es comunión y, con asombro y humildad, lo bendice y lo adora, reconociéndolo como su único Señor. Le pertenecemos a Él y ―recordémoslo―, la única razón de nuestra existencia es llevarlo a Él al mundo. Como nos dijo el apóstol Pablo, sólo podemos gloriarnos «en la cruz de nuestro Señor Jesucristo» (Gal 6,14). Esto nos basta, sólo Él nos basta. No queremos glorias terrenas, no queremos quedar bien a los ojos del mundo, sino llegar a él con el consuelo del Evangelio, para testimoniar mejor, y a todos, el amor infinito de Dios. De hecho, como dijo precisamente Benedicto XVI al dirigirse a una Asamblea sinodal, «la cuestión para nosotros es: Dios ha hablado, ha roto verdaderamente el gran silencio, se ha mostrado, pero ¿cómo podemos hacer llegar esta realidad al hombre de hoy, para que se convierta en salvación?» (Meditación durante la Primera Congregación General de la XIII Asamblea General del Sínodo de los Obispos, 8 octubre 2012). Esta es la cuestión fundamental. Esta es la principal tarea del Sínodo: volver a poner a Dios en el centro de nuestra mirada, para ser una Iglesia que ve a la humanidad con misericordia. Una Iglesia unida y fraterna ―o al menos que trata de estar unida y ser fraterna―, que escucha y dialoga; una Iglesia que bendice y anima, que ayuda a quienes buscan al Señor, que sacude saludablemente a los indiferentes, que pone en marcha itinerarios para instruir a las personas en la belleza de la fe. Una Iglesia que tiene a Dios en el centro y, por consiguiente, no crea división internamente, ni es áspera externamente. Una Iglesia que con Jesús, se arriesga. Es así como Jesús quiere a su Iglesia, es así como quiere a su Esposa.
2. Después de esta mirada de bendición, contemplamos la mirada de Cristo que acoge. Mientras aquellos que se creen sabios no reconocen la obra de Dios, Él se alegra en el Padre porque se revela a los pequeños, a los sencillos, a los pobres de espíritu. Hubo una vez una dificultad en una parroquia y la gente hablaba de esa dificultad, me contaba cosas. Y una anciana, muy anciana, una señora del pueblo, que era casi analfabeta, hizo una intervención como la de un teólogo, y con mucha mansedumbre y sabiduría espiritual dio su aportación. Recuerdo aquel momento como una revelación del Señor, también con alegría; y se me ocurrió preguntarle: “Dígame, señora, ¿dónde estudió usted, esa teología tan fuerte, con Royo Marín?”. La gente sabia del pueblo tiene esta fe. Y por eso, a lo largo de toda su vida, Jesús asume esta mirada acogedora hacia los más débiles, los que sufren, los descartados. A ellos, en particular, se dirige diciendo lo que hemos oído: «Vengan a mí todos los que están afligidos y agobiados, y yo los aliviaré» (Mt 11,28).
Esta mirada acogedora de Jesús nos invita también a ser una Iglesia que acoge, no con las puertas cerradas. En una época compleja como la actual, surgen nuevos desafíos culturales y pastorales, que requieren una actitud interior cordial y amable, para poder confrontarnos sin miedo. En el diálogo sinodal, en esta hermosa “marcha en el Espíritu Santo”, que realizamos juntos como Pueblo de Dios, podemos crecer en la unidad y en la amistad con el Señor para observar los retos actuales con su mirada; para convertirnos, usando una bella expresión de san Pablo VI, en una Iglesia que «se hace coloquio» (Carta enc. Ecclesiam suam, n. 34). Una Iglesia “de yugo suave” (cf. Mt 11,30), que no impone cargas y que repite a todos: “vengan, todos los que están afligidos y agobiados, vengan ustedes que han extraviado el camino o que se sienten alejados, vengan ustedes que le han cerrado la puerta a la esperanza, ¡la Iglesia está aquí para ustedes!”. La Iglesia con las puertas abiertas para todos, todos, todos.
3. Hermanos y hermanas, Pueblo santo de Dios, frente a las dificultades y los retos que nos esperan, la mirada de Jesús que bendice y que acoge nos libra de caer en algunas tentaciones peligrosas: la de ser una Iglesia rígida ―una aduana―, que se acoraza contra el mundo y mira hacia el pasado; la de ser una Iglesia tibia, que se rinde ante las modas del mundo; la de ser una Iglesia cansada, replegada en sí misma. En el libro del Apocalipsis, el Señor dice: “Yo estoy a la puerta y llamo, para que abran la puerta”; sin embargo, hermanos y hermanas, Él tantas veces llama a la puerta, pero desde dentro de la Iglesia, para que lo dejemos salir junto con la Iglesia a proclamar su Evangelio.
Caminemos juntos: humildes, vigorosos y alegres. Caminemos siguiendo las huellas de san Francisco de Asís, el santo de la pobreza y la paz, el “loco de Dios” que llevó en su cuerpo las llagas de Jesús y, para revestirse de Él, se despojó de todo. ¡Qué difícil es para nosotros, así como para nuestras instituciones, realizar esta expoliación interior y también exterior! San Buenaventura cuenta que, mientras el pobrecito de Asís rezaba, el Crucifijo le dijo: «Francisco, vete y repara mi casa» (Legenda maior, II, 1). El Sínodo sirve para recordarnos que nuestra Madre Iglesia tiene siempre necesidad de purificación, de ser “reparada”, porque todos nosotros somos un Pueblo de pecadores perdonados ―ambas cosas: pecadores y perdonados―, siempre necesitados de volver a la fuente, que es Jesús, y emprender de nuevo los caminos del Espíritu para que llegue a todos su Evangelio. Francisco de Asís, en un período de grandes luchas y divisiones entre el poder temporal y el religioso, entre la Iglesia institucional y las corrientes heréticas, entre cristianos y otros creyentes, no criticó ni atacó a ninguno, sólo abrazó las armas del Evangelio, es decir, la humildad y la unidad, la oración y la caridad. ¡Hagamos lo mismo también nosotros! Humildad y unidad, oración y caridad.
Y si el Pueblo santo de Dios con sus pastores, provenientes de todo el mundo, alimentan expectativas, esperanzas e incluso algunos temores sobre el Sínodo que comenzamos, recordemos una vez más que no se trata de una reunión política, sino de una convocación en el Espíritu; no de un parlamento polarizado, sino de un lugar de gracia y comunión. El Espíritu Santo deshace, a menudo, nuestras expectativas para crear algo nuevo que supera nuestras previsiones y negatividades. Podría decir que los momentos de oración son los más fructuosos del Sínodo, también el ambiente de oración, por el que el Señor obra en nosotros. Abrámonos e invoquemos al Espíritu Santo, Él es el protagonista. ¡Dejemos que el protagonista del Sínodo sea Él! Y caminemos con Él, con confianza y alegría.
[01510-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
O Evangelho que ouvimos está precedido pela narração dum momento difícil da missão de Jesus, que poderíamos definir de «desolação pastoral»: João Baptista duvida que Ele seja verdadeiramente o Messias; muitas cidades por onde passou, apesar dos prodígios realizados, não se converteram; as pessoas acusam-No de ser um glutão e bebedor de vinho, enquanto pouco antes se queixavam do Batista porque era demasiado austero (cf. Mt 11, 2-24). Vemos, porém, que Jesus não se deixa tomar pela tristeza, mas eleva os olhos ao Céu e louva o Pai por ter revelado aos simples os mistérios do Reino de Deus: «Bendigo-Te, ó Pai, Senhor do Céu e da Terra, porque escondeste estas coisas aos sábios e aos entendidos e as revelaste aos pequeninos» (Mt 11, 25). Portanto Jesus, no momento da desolação, tem um olhar capaz de ver mais além: louva a sabedoria do Pai e consegue vislumbrar o bem escondido que cresce, a semente da Palavra acolhida pelos simples, a luz do Reino de Deus que abre caminho mesmo na noite.
Queridos Cardeais, irmãos Bispos, irmãs e irmãos, estamos na abertura da Assembleia Sinodal. E não nos ajuda um olhar imanente, feito de estratégias humanas, cálculos políticos ou batalhas ideológicas: ver se o Sínodo vai permitir isto ou aquilo, abrir esta porta ou aquela… isso não adianta! Não estamos aqui para realizar uma reunião parlamentar nem um plano de reformas. O Sínodo, amados irmãos e irmãs, não é um parlamento. O protagonista é o Espírito Santo. Não estamos aqui para parlamentar, mas para caminhar juntos com o olhar de Jesus, que bendiz o Pai e acolhe a quantos estão cansados e oprimidos. Comecemos, pois, a partir deste olhar de Jesus: um olhar bendizente e acolhedor.
1. Vejamos o primeiro aspeto: um olhar bendizente. Apesar de ter experimentado a rejeição e ter visto ao seu redor tanta dureza de coração, Cristo não Se deixa prender pela desilusão, não Se torna amargo, nem extingue o louvor; fundado no primado do Pai, o seu coração permanece sereno, mesmo na tempestade.
Este olhar bendizente do Senhor convida-nos também a nós a sermos uma Igreja que, de ânimo feliz, contempla a ação de Deus e discerne o presente; uma Igreja que, no meio das ondas por vezes agitadas do nosso tempo, não desanima, não procura escapatórias ideológicas, não se barrica atrás de convicções adquiridas, não cede a soluções cómodas, nem deixa que seja o mundo a ditar a sua agenda. Esta é a sabedoria espiritual da Igreja, resumida com serenidade por São João XXIII: «É necessário primeiramente que a Igreja não se aparte do património sagrado da verdade, recebido dos seus maiores; mas, ao mesmo tempo, deve também olhar para o presente, para as novas condições e formas de vida do mundo, que abriram novos caminhos ao apostolado» (Discurso de inauguração do Concílio Ecuménico Vaticano II, 11/X/1962).
O olhar bendizente de Jesus convida-nos a ser uma Igreja que não enfrenta os desafios e problemas de hoje com um espírito divisor e conflituoso, mas, pelo contrário, levanta os olhos para Deus, que é comunhão, e, maravilhado e humilde, O bendiz e adora, reconhecendo-O como seu único Senhor. Somos d’Ele e – nunca o esqueçamos – existimos apenas para O levar ao mundo. Como disse o apóstolo Paulo, de nada nos queremos «gloriar, a não ser na cruz de Nosso Senhor Jesus Cristo» (Gal 6, 14). Isto nos basta! Ele nos basta. Não queremos glórias terrenas, não queremos parecer bem aos olhos do mundo, mas fazer-lhe chegar a consolação do Evangelho, para testemunhar melhor, e a todos, o amor infinito de Deus. De facto, como afirmou Bento XVI dirigindo-se precisamente a uma Assembleia Sinodal, «para nós a questão é: Deus falou, deveras rompeu o grande silêncio, mostrou-Se, mas como podemos fazer chegar esta realidade ao homem de hoje, para que se torne salvação?» (Meditação na I Congregação Geral da XIII Assembleia Geral Ordinária do Sínodo dos Bispos, 08/X/2012). Esta é a questão fundamental. E este é o dever primário do Sínodo: centrar de novo o nosso olhar em Deus, para sermos uma Igreja que olha, com misericórdia, a humanidade. Uma Igreja unida e fraterna – ou pelo menos procura ser unida e fraterna –, que escuta e dialoga; uma Igreja que abençoa e encoraja, que ajuda quem busca o Senhor, que excita benevolamente os indiferentes, que abre caminhos para iniciar as pessoas na beleza da fé. Uma Igreja que tem Deus no centro e, consequentemente, não se divide internamente e nunca é dura externamente. Uma Igreja que arrisca com Jesus. É assim que Jesus quer a Igreja, assim quer Ele a sua Esposa.
2. Depois deste olhar bendizente, contemplemos o olhar acolhedor de Cristo. Enquanto aqueles que se consideram sábios não conseguem reconhecer a obra de Deus, Jesus exulta de alegria no Pai porque Se revela aos pequeninos, aos simples, aos pobres em espírito. Uma vez houve um problema na paróquia e as pessoas falavam disso, contavam-me o que se passava. E uma senhora idosa, muito idosa, uma senhora do povo, quase analfabeta, teve uma intervenção própria dum teólogo, oferecendo, com muita serenidade e sabedoria espiritual, a sua contribuição. Recordo, com alegria, aquele momento como uma revelação do Senhor; e ocorreu-me perguntar-lhe: «Diga-me, senhora, onde é que estudou, com Royo Marín, esta teologia tão alta?». A gente sábia do povo tem esta fé. E por isso, ao longo da sua vida, assume este olhar acolhedor para com os mais frágeis, os atribulados, os descartados. É neles que pensa, de modo particular, ao pronunciar estas palavras que ouvimos: «Vinde a Mim, todos os que estais cansados e oprimidos, que Eu hei de aliviar-vos» (Mt 11, 28).
Este olhar acolhedor de Jesus convida-nos também a nós a sermos uma Igreja hospitaleira, não com as portas fechadas. Num tempo complexo como o nosso, surgem novos desafios culturais e pastorais que exigem uma atitude interior cordial e gentil para os podermos encarar sem medo. No diálogo sinodal, durante esta estupenda «marcha no Espírito Santo» que realizamos juntos como Povo de Deus, oxalá possamos crescer na unidade e na amizade com o Senhor, para ver com o seu olhar os desafios de hoje; para se tornar, segundo uma linda expressão de São Paulo VI, uma Igreja que «se faz colóquio» (Carta enc. Ecclesiam suam, 65). Uma Igreja «de jugo suave» (cf. Mt 11, 30), que não impõe pesos e, a todos, repete: «Vinde, cansados e oprimidos; vinde, vós que vos extraviastes ou sentis distantes; vinde, vós que fechastes as portas à esperança: a Igreja está aqui para vós!» A Igreja das portas abertas para todos, todos, todos!
3. Irmãos e irmãs, Povo santo de Deus, diante das dificuldades e desafios que nos esperam, o olhar bendizente e acolhedor de Jesus impede-nos de cair nalgumas tentações perigosas: ser uma Igreja rígida – uma alfândega –, que se arma contra o mundo e olha para trás; ser uma Igreja tépida, que se rende às modas do mundo; ser uma Igreja cansada, fechada em si mesma. No livro do Apocalipse, o Senhor diz: «Estou à porta e bato para que a porta seja aberta»; muitas vezes, porém, irmãos e irmãs, Ele bate à porta, mas do lado de dentro da Igreja, para deixarmos o Senhor sair com a Igreja a fim de proclamar o seu Evangelho.
Caminhemos juntos: humildes, ardorosos e alegres. Caminhemos pelas pegadas de São Francisco de Assis, o Santo da pobreza e da paz, o «louco de Deus» que trouxe no corpo os estigmas de Jesus e, para se revestir d’Ele, despojou-se de tudo. Como é difícil este despojamento interior e exterior em todos nós e também nas instituições! Conta São Boaventura que São Francisco, enquanto rezava, o Crucificado lhe disse: «Vai e repara a minha igreja» (Legenda maior, II, 1). O Sínodo serve para nos recordar isto: a nossa Mãe Igreja sempre precisa de purificação, de ser «reparada», porque todos nós somos um Povo de pecadores perdoados (ambas as coisas: pecadores e perdoados), sempre necessitados de regressar à fonte que é Jesus e de nos colocarmos novamente nos caminhos do Espírito para chegar a todos com o seu Evangelho. Francisco de Assis, num tempo de grandes lutas e divisões entre o poder temporal e o religioso, entre a Igreja institucional e as correntes heréticas, entre cristãos e outros crentes, não criticou nem atacou ninguém, mas limitou-se a pegar nas armas do Evangelho, isto é, a humildade e a unidade, a oração e a caridade. Façamos assim também nós! Humildade e unidade, oração e caridade.
E se o Povo santo de Deus com os seus pastores, de todas as partes do mundo, nutre anseios, esperanças e até qualquer receio sobre o Sínodo que iniciámos, recordemos mais uma vez de que não se trata duma reunião política, mas duma convocação no Espírito; não se trata dum parlamento polarizado, mas dum lugar de graça e comunhão. Depois, como sucede muitas vezes, o Espírito Santo rompe as nossas expetativas para criar algo de novo que supera as nossas previsões e as nossas negatividades. Talvez possa dizer que os momentos mais frutuosos no Sínodo são os momentos de oração, e também o ambiente de oração, graças ao qual age em nós o Senhor. Abramo-nos a Ele e invoquemo-Lo: Ele é o protagonista, o Espírito Santo. Deixemos que seja Ele o protagonista do Sínodo! E com Ele caminhemos, com confiança e alegria.
[01510-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Ewangelia, którą przed chwilą usłyszeliśmy jest poprzedzona opisem trudnego momentu w misji Jezusa, który moglibyśmy określić jako „przygnębienie duszpasterskie”: Jan Chrzciciel wątpi, że jest On naprawdę Mesjaszem; wiele miast, przez które przechodził, mimo cudów, których dokonał, nie nawróciło się; ludzie oskarżają Go o to, że jest żarłokiem i pijakiem, chociaż nieco wcześniej skarżyli się na Jana Chrzciciela, gdyż był zbyt surowy (por. Mt 11, 2-24). Widzimy jednak, że Jezus nie daje się pochłonąć smutkowi, lecz wznosi oczy ku niebu i błogosławi Ojca, ponieważ objawił prostaczkom tajemnice królestwa Bożego: „Wysławiam Cię, Ojcze, Panie nieba i ziemi, że zakryłeś te rzeczy przed mądrymi i roztropnymi, a objawiłeś je prostaczkom” (Mt 11, 25). W chwili przygnębienia Jezus ma zatem wzrok zdolny do patrzenia dalej: wychwala mądrość Ojca i jest w stanie dostrzec ukryte dobro, które rośnie, ziarno Słowa przyjęte przez ludzi prostych, światło królestwa Bożego, które toruje sobie drogę nawet w nocy.
Drodzy bracia Kardynałowie, bracia Biskupi, siostry i bracia, jesteśmy na otwarciu Zgromadzenia Synodalnego. I nie potrzebujemy spojrzenia czysto przyziemnego, na które składają się ludzkie strategie, kalkulacje polityczne czy bitwy ideologiczne – jeśli Synod na to pozwoli, on otworzy te drzwi, a to drugie spojrzenie – nie jest potrzebne. Nie jesteśmy tu po to, by prowadzić obrady parlamentarne czy opracowywać plan reform. Synod, drodzy bracia i siostry, nie jest jakimś parlamentem. Bohaterem jest Duch Święty. Nie. Nie jesteśmy tutaj, aby tworzyć parlament, ale aba podążać razem ze spojrzeniem Jezusa, który błogosławi Ojca i przyjmuje wszystkich utrudzonych i uciśnionych. Zacznijmy zatem od spojrzenia Jezusa, które jest spojrzeniem błogosławiącym i przyjmującym.
1. Zobaczmy pierwszy aspekt: spojrzenie błogosławiące. Chrystus, chociaż doświadczył odrzucenia i widział wokół siebie tak wielką zatwardziałość serca, nie daje się uwięzić rozczarowaniem, nie staje się zgorzkniały, nie tłumi uwielbienia. Jego serce, opierające się na prymacie Ojca, pozostaje pogodne nawet podczas burzy.
To błogosławiące spojrzenie Pana zaprasza także i nas, abyśmy byli Kościołem, który z radosną duszą kontempluje Boże działanie i rozeznaje teraźniejszość; a który, pośród wzburzonych fal naszych czasów nie traci ducha, nie szuka rozwiązań ideologicznych, nie zasłania się za nabytymi przekonaniami, nie ustępuje przed wygodnymi rozwiązaniami, nie pozwala dyktować światu swojego programu. Jest to duchowa mądrość Kościoła, podsumowana spokojnie przez św. Jana XXIII: „konieczną jest rzeczą, aby Kościół nie oddalał się od świętego dziedzictwa prawdy przekazanego przez Ojców; lecz aby równocześnie uwzględniał teraźniejszość, nowe warunki i formy życia nowoczesnego na świecie, które otwarły nowe drogi dla apostolstwa” (Przemówienie na uroczyste otwarcie Soboru Powszechnego Watykańskiego II, 11 października 1962 r.).
Błogosławiące spojrzenie Jezusa zaprasza nas, abyśmy byli Kościołem, który nie podejmuje dzisiejszych wyzwań i problemów w duchu podziałów i konfliktów, lecz przeciwnie, kieruje swój wzrok ku Bogu, który jest komunią i, z podziwem oraz pokorą, błogosławi Go i uwielbia, uznając za swojego jedynego Pana. Należymy do Niego i – pamiętajmy o tym – że istniejemy tylko po to, by nieść Go światu. Jak nam powiedział apostoł Paweł, nie mamy innej chluby, „jak tylko z krzyża Pana naszego Jezusa Chrystusa” (Ga 6, 14). To nam wystarcza, On nam wystarcza. Nie chcemy ziemskiej chwały, nie chcemy stawać się pięknymi w oczach świata, ale dotrzeć do niego z pociechą Ewangelii, aby lepiej świadczyć, i to wszystkim, o nieskończonej miłości Boga. Istotnie, jak stwierdził Benedykt XVI, przemawiając do zgromadzenia synodalnego, „nasuwa się nam pytanie: Bóg przemówił, naprawdę przerwał wielkie milczenie, ukazał się, ale jak możemy sprawić, aby ta rzeczywistość dotarła do dzisiejszego człowieka, aby stała się zbawieniem?” (Medytacja na I Kongregację generalną XIII Zwyczajnego Zgromadzenia Ogólnego Synodu Biskupów, 8 października 2012 r.). Jest to pytanie fundamentalne. I to jest podstawowe zadanie Synodu: ponownie skierować nasze spojrzenie na Boga, aby być Kościołem, który spogląda na ludzkość z miłosierdziem. Kościołem zjednoczonym i braterskim – lub przynajmniej, który oczekuje zjednoczenia i braterstwa – który słucha i rozmawia; Kościołem, który błogosławi i dodaje otuchy, który pomaga osobom szukającym Pana, który korzystnie porusza obojętnych, który inicjuje drogi, aby wprowadzić osoby w piękno wiary. Kościołem, który ma Boga w swoim centrum i dlatego nie dzieli się wewnętrznie i nigdy nie jest surowy zewnętrznie. Kościołem, który podejmuje ryzyko z Jezusem. Takiego Kościoła, swojej Oblubienicy, pragnie Jezus.
2. Po tym spojrzeniu błogosławiącym kontemplujemy przyjmujące spojrzenie Chrystusa. Podczas gdy ci, którzy uważają siebie za mądrych, nie rozpoznają dzieła Bożego, On raduje się w Ojcu, ponieważ objawia się maluczkim, prostym, ubogim w duchu. Pewnego razu w pewnej parafii pojawiła się trudna sytuacja i ludzie rozmawiali o niej, opowiadając mi różne rzeczy. Pewna starsza kobieta, bardzo stara kobieta, taka dama, która była prawie analfabetką, interweniowała jak teolog i z taką łagodnością i duchową mądrością wniosła swój wkład. Pamiętam ten moment jako objawienie od Pana, nawet z radością; i przyszło mi do głowy, aby ją zapytać: „Niech mi pani powie, gdzie studiowała pani tak trudną teologię, u Royo Marína?". Mądrzy ludzie mają taką wiarę. Dlatego przez całe swoje życie podejmuje to przyjmujące spojrzenie wobec najsłabszych, cierpiących, odrzuconych. Do nich w szczególności się zwraca, mówiąc to, co usłyszeliśmy: „Przyjdźcie do Mnie wszyscy, którzy utrudzeni i obciążeni jesteście, a Ja was pokrzepię” (Mt 11, 28).
To przyjmujące spojrzenie Jezusa zaprasza nas również do bycia Kościołem gościnnym, nie z zamkniętymi drzwiami. W złożonych czasach, takich jak nasze, pojawiają się nowe wyzwania kulturowe i duszpasterskie, które wymagają serdecznej i łagodnej postawy wewnętrznej, abyśmy mogli stawić im czoła bez lęku. W dialogu synodalnym, w tym pięknym „marszu w Duchu Świętym”, który podejmujemy razem jako Lud Boży, możemy wzrastać w jedności i przyjaźni z Panem, aby spojrzeć na dzisiejsze wyzwania Jego spojrzeniem; aby stać się, używając pięknego wyrażenia św. Pawła VI, Kościołem, który „przybiera postać dialogu” (Enc. Ecclesiam suam, n. 65). Kościołem „o słodkim jarzmie” (por. Mt 11, 30), który nie nakłada ciężarów i który powtarza wszystkim: „Przyjdźcie, wy, którzy utrudzeni i uciśnieni jesteście, przyjdźcie wy, którzy zagubiliście drogę lub czujecie się dalecy, przyjdźcie wy, którzy zamknęliście drzwi nadziei: Kościół jest dla was!”. Kościół otwartych drzwi dla wszystkich, wszystkich, wszystkich!
3. Bracia i siostry, święty Ludu Boży, w obliczu trudności i wyzwań, które nas czekają, błogosławiące i przyjmujące spojrzenie Jezusa chroni nas przed niebezpiecznymi pokusami: bycia Kościołem sztywnym – urzędem celnym – który broni się przed światem i patrzy wstecz; bycia Kościołem letnim, który poddaje się modom świata; bycia Kościołem zmęczonym, skupionym na sobie samym. W Księdze Apokalipsy św. Jan, Pan mówi: „Oto stoję u drzwi i kołaczę, jeśli ktoś posłyszy mój głos i drzwi otworzy”; ale wiele razy, bracia i siostry, On puka do drzwi, ale od wewnątrz Kościoła, abyśmy pozwolili Panu wyjść z Kościołem, aby głosić Jego Ewangelię.
Podążajmy razem: pokorni, żarliwi i radośni. Podążajmy śladami Św. Franciszka z Asyżu – świętego ubóstwem i pokojem – „szaleńca Bożego”, który nosił w swoim ciele stygmaty Jezusa i ogołocił się ze wszystkiego, aby się w Niego przyoblec. Jak trudne jest to wewnętrzne i zewnętrzne ogołocenie nas wszystkich, a także instytucji! Św. Bonawentura opowiada, że kiedy się modlił, Ukrzyżowany powiedział do niego: „Idź i odbuduj mój Kościół” (Legenda maior, II, 1). Synod pomaga, aby przypomnieć nam o tym: nasza Matka Kościół zawsze potrzebuje oczyszczenia, bycia „odbudowaną”, ponieważ wszyscy jesteśmy ludem grzeszników – zarówno grzesznikami, jak i tymi którym przebaczono – zawsze potrzebujemy powrotu do źródła, którym jest Jezus, i ponownego wejścia na drogi Ducha, aby dotrzeć do wszystkich z Jego Ewangelią. Franciszek z Asyżu, w czasach wielkich walk i podziałów między władzą doczesną a religijną, między Kościołem instytucjonalnym a nurtami heretyckimi, między chrześcijanami a wyznawcami innych religii, nie krytykował ani nie atakował nikogo, posługując się jedynie bronią Ewangelii: to znaczy pokorą i jednością, modlitwą i miłością. Czyńmy to także i my! Pokora i jedność, modlitwa i miłosierdzie.
A jeśli święty Lud Boży wraz ze swoimi pasterzami ze wszystkich stron świata, żywi oczekiwania, nadzieje, a nawet pewne obawy związane z Synodem, który rozpoczynamy, pamiętajmy, że nie jest to zgromadzenie polityczne, ale zwołanie w Duchu; nie parlament spolaryzowany, ale miejsce łaski i komunii. Ponadto, Duch Święty często burzy nasze oczekiwania, aby stworzyć coś nowego, co przewyższa nasze przewidywania i nasze niechęci. Mogę powiedzieć, że najbardziej owocne momenty Synodu to te modlitewne, także przestrzeń modlitewna, dzięki której Pan działa w nas. Otwórzmy się na Niego i przyzywajmy Go: On jest bohaterem, Duch Święty. Pozwólmy, aby On stał się bohaterem Synodu. A z Nim podążajmy z ufnością i z radością.
[01510-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهيّ مع الكرادلة الجُدُد ومع مجمع الكرادلة
في مناسبة افتتاح الجمعيّة العامّة العاديّة لسينودس الأساقفة
4 تشرين الأوّل/أكتوبر 2023
الإنجيل الذي استمعنا إليه، تسبقه رواية عن لحظة صعبة في رسالة يسوع، التي يمكننا أن نسمّيها ”الاكتآب الرّعوي“: يوحنّا المعمدان يشك في أن يكون هو حقًّا المسيح، ومدنٌ كثيرة مَرَّ بها ولم تؤمن، على الرّغم من المعجزات التي أجراها فيها، واتّهمه بعض النّاس بأنّه أكولٌ شِرِّيبٌ لِلخَمْر، بينما اشتَكَوْا قبل وقت قصير من يوحنّا المعمدان لأنّه كان متشدِّدًا في زهده (راجع متّى 11، 2-24). مع ذلك، نرى أنّ يسوع لم يدع الحزن يجرفه، بل رفع عينيه نحو السّماء وبارك الآب لأنّه كشف للبسطاء أسرار ملكوت الله: "أَحمَدُكَ يا أَبَتِ، رَبَّ السَّمَواتِ والأَرض، على أَنَّكَ أَخفَيتَ هٰذه الأَشياءَ على الحُكَماءِ والأَذكِياء، وكَشفتَها لِلصِّغار" (متّى 11، 25). في لحظة الاكتآب إذًا، يسوع قادر على أن يرى ما هو أبعد: إنّه يحَمَد حكمة الآب ويستطيع أن يرى الخير الخفِيَّ الذي ينمو، وبذرة الكلمة التي يستقبلها البسطاء، ونور ملكوت الله الذي يشقّ طريقه في الليل أيضًا.
أيّها الإخوة الكرادلة، والأساقفة، والإخوة والأخوات، إنّنا نفتتح الجمعيّة السّينوديّة. ولسنا بحاجة إلى نظرة فينا، تعتمد على استراتيجيّات إنسانيّة، أو حسابات سياسيّة، أو معارك أيديولوجيّة – إن سَمَحَ السّينودس بهذه النّظرة، ستنفتح هذه الأبواب – ونحن لسنا بحاجة لذلك. نحن لسنا هنا لنقيم اجتماعًا برلمانيًّا أو خِطَّة إصلاحيّة. لا، نحن هنا لنسير معًا بنظرة يسوع، التي تبارك الآب وتستقبل المتعبين والمظلومين. لننطلق إذًا من نظرة يسوع، وهي نظرة تُبارك وتستقبل.
1. إنّها أوّلًا نظرة تُبارك. على الرّغم من أنّه اختبر الرّفض ورأى من حوله قساوة قلبٍ كثيرة، لم يبقَ المسيح سجين خيبة الأمل، ولم يَبقَ في المرارة، ولم يتوقّف عن الحَمْد، بل ظلَّ قلبه، المؤسَّس على أولويّة الآب، هادئًا حتّى في العاصفة.
نظرة الرّبّ يسوع هذه التي تُبارك، تدعونا نحن أيضًا إلى أن نكون كنيسة تتأمَّل في عمل الله وتميِّز الحاضر، بِنَفْسٍ يملأها الفرح. ولا تَيأس، وسط أمواج عصرنا المضطربة أحيانًا، ولا تبحث عن مهارب أيديولوجيّة، ولا تتحصّن وراء معتقدات مُكتسبة، ولا تستسلم للحلول المريحة، ولا تَدَعُ العالم يُملي عليها أجندَتَهُ. هذه هي حكمة الكنيسة الرّوحيّة، التي لخّصها بصفاء وطمأنينة القدّيس يوحنّا الثّالث والعشرون: "من الضّروري أوّلًا ألّا ترفع الكنيسة عينيها أبدًا عن تراث الحقيقة المقدّس الذي تلقّته من القدماء، وفي الوقت نفسه، عليها أيضًا أن تنظر إلى الحاضر، الذي يتضمَّن أوضاعًا جديدة وطرقًا جديدة للعيش، وفتح طرقًا جديدة للرّسالة" (كلمة في مناسبة افتتاح المجمع المسكونيّ الفاتيكانيّ الثّاني، 11 تشرين الأوّل/أكتوبر 1962).
نظرة يسوع التي تبارك تدعونا إلى أن نكون كنيسة تواجه تحدّيات ومشاكل اليوم لا بروح الانقسام والصّراع، بل، على العكس، نكون كنيسة توجّه عينيها إلى الله الذي هو شركة، وتباركه وتسجد له بدهشة وتواضع، وتعترف به ربَّها الوحيد. لنتذكّر هذا: نحن ننتمي إليه، ونحن موجودون فقط لكي نقدّمه للعالم. كما قال لنا بولس الرّسول، ليس لنا "أَن نَفتَخِرَ إِلَّا بِصَليبِ رَبِّنا يسوعَ المسيح" (غلاطية 6، 14). هذا يكفينا، هو يكفينا. لا نريد أمجادًا أرضيّة، ولا نريد أن نُظهِر جمالنا لعيون العالم، بل أن نصل إليه تُسنِدُنا تعزية الإنجيل، لنشهد أمام الجميع شهادةً أفضل، لمحبّة الله اللامتناهية. في الواقع، كما أكّد بندكتس السّادس عشر وهو يتكلّم أمام جمعيّة سينوديّة، "المسألة بالنّسبة لنا هي: أنّ الله تكلّم، وكسر حقًّا الصّمت الكبير، وأظهر نفسه، لكن كيف يمكننا أن نُوصل هذا الواقع إلى إنسان اليوم، حتّى يصير خلاصًا؟" (تأمّل في المجمع العام الأوّل للجمعيّة العامّة العاديّة الثّالثة عشرة لسينودس الأساقفة، 8 تشرين الأوّل/أكتوبر 2012). هذا هو السّؤال الأساسيّ. وهذه هي مهمّة السّينودس الأولى: أن نعود ونركّز نظرنا على الله، حتّى نكون كنيسة تنظر إلى الإنسانيّة برحمة. كنيسة متَّحدة وأخويّة – أو أقلّه تحاول أن تكون متّحدة وأخويّة -، تُصغي وتحاور، كنيسة تبارك وتشجّع، وتساعد الذين يبحثون عن الله، وتهزّ اللامبالين بما يفيدهم، وتفتح مسارات لتعرّف النّاس على جمال الإيمان. كنيسةٌ الله هو مركزها، ومن ثَمَّ، ليست منقسمة في داخلها، ولا هي متزمتة في الخارج. كنيسة تُخاطر مع يسوع. هكذا يريد يسوع الكنيسة، عروسه.
2. بعد هذه النّظرة التي تبارك، لنتأمّل في نظرة المسيح التي تستقبِل. بينما الذين يعتقدون أنّهم حكماء لا يستطيعون أن يرَوْا عمل الله، تهلَّل يسوع في الآب لأنّه كشف عن نفسه للصغار، وللبسطاء، وللفقراء بالرّوح. في إحدى المرّات كانت هناك رعيّة تُعاني من صعوبة ما، وكان النّاس يتكلّمون على هذه الصّعوبة، ويُخبرونني بالأمور. وكانت هناك امرأة عجوز جدًّا، من بين النّاس، وكانت تقريبًا أُمِّيَّة، وعَمِلَت مُداخلة وكأنّها لاهوتيّة، وقدّمت مساهمتها بوداعة كبيرة وحكمة روحيّة. أتذكّر تلك اللحظة وكأنّها إعلان من الرّبّ يسوع، وبفرح أيضًا، وتبادَر إلى ذهني أن أطرح عليها سؤالًا: ”قولِي لِي، يا سيّدتي، أين درستِ هذا اللاهوت القويّ، مع رويو مارين؟“. النّاس الحكماء لديهم هذا الإيمان. نظر يسوع طوال حياته هذه النّظرة التي تستقبل الضّعفاء والمتألّمين والمنبوذين. إليهم وجّه كلامه بصورة خاصّة وقال ما سمعناه: "تَعالَوا إِلَيَّ جَميعًا أَيُّها المُرهَقونَ المُثقَلون، وأَنا أُريحُكم" (متّى 11، 28).
نظرة يسوع التي تستقبل تدعونا نحن أيضًا إلى أن نكون كنيسة تستقبل، لا أن تكون أبوابها مُغلقة. في زمن معقّد مثل زمننا، تظهر تحدّيات ثقافيّة ورعويّة جديدة، تتطّلب منّا موقفًا في داخلنا ودودًا ولطيفًا، حتّى نستطيع أن نواجه التّحديات دون خوف. في الحوار السّينوديّ، وفي هذه ”المسيرة الجميلة في الرّوح القدس“ التي نقوم بها معًا كشعب الله، يمكننا أن ننمو في الوَحدة والصّداقة مع الرّبّ يسوع، لكي ننظر إلى تحدّيات اليوم بنظرته، ولكي نصير، وهنا أودّ أن أستخدم تعبيرًا جميلًا للقدّيس بولس السّادس، كنيسة "لِقَاء" (الرّسالة العامّة، Ecclesiam suam، رقم 67). كنيسة "نِيرها لطيف" (راجع متّى 11، 30)، لا تفرض أثقالًا، وتكرّر للجميع: ”تعالوا أيّها المتعبون والمظلومون، تعالوا، أنتم الذين ضَلَلْتُم الطّريق أو تشعرون بأنّكم بعيدون، تعالوا، أنتم الذين أغلقتم أبواب الرّجاء: الكنيسة هنا من أجلكم!“. الكنيسة التي أبوابها مفتوحة للجميع، للجميع، للجميع!
3. أيّها الإخوة والأخوات، يا شعب الله المقدّس، أمام الصّعوبات والتّحدّيات التي تنتظرنا، تمنعنا نظرة يسوع التي تبارك وتستقبل من أن نقع في بعض التّجارب الخطيرة: من أن نكون كنيسة متصلّبة، تتسلَّح ضدّ العالم وتنظر إلى الوراء، ومن أن نكون كنيسة فاترة وتستسلِم لموضة العالم، ومن أن نكون كنيسة مُتعَبَة، ومُنطوية على نفسها. قال الرّبّ يسوع في سفر رؤيا يوحنّا: ”أنا واقف على الباب أقرعه لكي يُفتح الباب“، وهو كثيرًا يَقرع الباب، أيّها الإخوة والأخوات، لكن من داخل الكنيسة، لكي ندع الرّبّ يسوع يخرج مع الكنيسة ليعلن إنجيله.
لِنَسِرْ معًا: متواضعين مضطرمين فرحين. لِنَسِرْ على خُطى القدّيس فرنسيس الأسيزي، قدّيس الفقر والسّلام، و ”مجنون الله“ الذي حمل جروحات يسوع في جسده، وتجرّد من كلّ شيء لِيرتديه هو. كَم صعبٌ هذا التّجرّد الدّاخليّ والخارجيّ أيضًا علينا كلّنا وعلى المؤسّسات! روى القدّيس بونافنتورا أنّه بينما كان يصلّي، قال له المصلوب: "اذهب وأصلح كنيستي" (الأسطورة الكبرى، 2، 1). مهمّة السّينودس هي أن يذكّرنا بأنّ كنيستنا الأم تحتاج دائمًا إلى أن تُنَقَّى، وإلى ”الإصلاح“، لأنّنا كلّنا شعبٌ خاطئ غفر الله له، ونحتاج دائمًا لأن نرجع إلى الينبوع الذي هو يسوع، ولأن نضع أنفسنا من جديد على دروب الرّوح القدس لكي نَصِل إلى الجميع بإنجيله. لم ينتقد فرنسيس الأسيزي ولم يهاجم أحد، في زمن الصّراعات والانقسامات الكبيرة بين السّلطة الزمنيّة والدّينيّة، وبين مؤسّسة الكنيسة وتيّارات الهرطقة، وبين المسيحيّين والمؤمنين الآخرين، بل حمل فقط سلاح الإنجيل: التّواضع والوَحدة، والصّلاة والمحبّة. لنصنع نحن أيضًا ذلك!
وإن كان لشعب الله المقدّس ورُعَاتِه، من كلّ أنحاء العالم، توقّعات وآمال، وحتّى بعض المخاوف من السّينودس الذي نبدأه، لنتذكّر مرّة أخرى أنّ السّينودس ليس اجتماعًا سياسيًّا، بل دعوة في الرّوح القدس، وليس برلمانًا فيه استقطابات، بل هو مكان نعمة وشركة. ثمَّ، غالبًا يحطّم الرّوح القدس توقّعاتنا لكي يخلق شيئًا جديدًا يفوق رؤيتنا وسلبيّاتنا. لننفتح عليه ولنبتهل إليه، لأنّ الرّوح القدس هو العامل الرّئيسيّ. لِنَدَع الرّوح القدس يكون العامل الرّئيسيّ في السّينودس! ولنَسِر معه بثقة وفرح.
[01510-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0693-XX.02]