Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza la Comunità del Pontificio Collegio Nepomuceno.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio il Rettore per le sue parole di presentazione; anche per questo programma di Rosario, grazie, perché mi dà forza.
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni a partire dalla testimonianza del vostro Patrono, San Giovanni Nepomuceno. Lì c’è una radice forte, una radice sempre viva, capace di alimentare il presente e il futuro della vostra comunità, come ha fatto nel suo passato.
Sempre colpisce il fatto che egli fu ucciso perché volle rimanere fedele al segreto della Confessione. Questo è toccante. Disse “no” al re per confermare il suo “sì” a Cristo e alla Chiesa. E questo fa pensare a ciò che hanno dovuto subire tanti preti, tanti vescovi nel corso della storia sotto vari regimi autoritari o totalitari. Voi ne avete esperienza nella vostra storia. Per il vostro Collegio ciò è avvenuto durante i quarant’anni seguiti alla seconda guerra mondiale. E oggi rendo omaggio con voi alla memoria di tanti sacerdoti e vescovi, consacrate e consacrati, e anche tanti laici, che, con la grazia di Dio, hanno avuto il coraggio di dire “no” al regime per rimanere fedeli alla loro vocazione e missione. Questa moltitudine di martiri nascosti, che noi non conosciamo. Dietro alla vostra vita, alla vostra storia ci sono dei martiri.
Questa radice di coraggio e di fermezza evangelica – che risale al vostro santo Patrono – non deve mai diventare per voi come una lapide da mettere sul muro, come un oggetto da museo, come un’immaginetta, no, deve rimanere una radice viva, perché anche oggi c’è bisogno della sua linfa! Anche oggi, in Europa e in ogni parte del mondo, essere cristiani, e in particolare essere ministri della Chiesa, consacrate e consacrati, richiede di dire dei “no” ai poteri di questo mondo per confermare il “sì” al Vangelo. A volte si tratta di poteri politici, a volte invece sono ideologici e culturali e il loro condizionamento è più sottile, passa attraverso i mezzi di comunicazione, che possono esercitare pressione, gettare discredito, ricattare, isolare e così via, o, peggio ancora, portarvi a vivere nella mondanità. State attenti alla mondanità spirituale, che è il peggio che può accadere alla Chiesa, il peggio che può accadere a un uomo, a una donna consacrati. State attenti al vivere mondanamente, con criteri mondani.
La testimonianza di San Giovanni Nepomuceno ci ricorda, oggi più che mai, il primato della coscienza su qualunque potere mondano; il primato della persona umana, la sua dignità inalienabile, che ha il suo centro proprio nella coscienza, intesa non in senso meramente psicologico, ma nella sua pienezza, come apertura al trascendente. Auspico che il Collegio Pontificio che porta il nome del grande sacerdote e martire boemo sia sempre casa e scuola di libertà, libertà interiore, fondata sulla relazione con Cristo e con lo Spirito Santo. Una libertà che si manifesta anche nel senso dell’umorismo, come dimostrava ad esempio il padre Spidlik – che ho conosciuto tanto bene, l’ho conosciuto da vicino –, che per tanti anni ha svolto il suo ministero nel vostro Collegio, con quel senso dell’umorismo che era capace di ridere in ogni situazione, e anche di sé stesso. Un grande!
Un altro spunto di riflessione lo ha offerto il Rettore, ricordando che San Giovanni Nepomuceno è protettore dei ponti, lui, che fu gettato nella Moldava dal Ponte Carlo di Praga e così coronò la sua testimonianza. Un modo appropriato di onorare la sua memoria è allora quello di cercare, nella vita concreta, di gettare ponti là dove ci sono divisioni, distanze, incomprensioni. Anzi, di essere noi stessi dei ponti, strumenti umili e coraggiosi di incontro, di dialogo tra persone e gruppi diversi e contrapposti. Questo è un tratto che appartiene all’identità del ministro di Cristo, come dimostrano le biografie di tanti santi preti e vescovi, che in situazioni di conflitto sono stati operatori di pace e di riconciliazione. Ma questo lo fanno anche meglio le donne: fare dei ponti, perché una donna sa meglio di noi maschi come fare dei ponti. E voi [rivolto alle donne presenti], insegnate loro come si fanno i ponti!
Questo – lo sapete bene – non si fa senza preghiera. I ponti si costruiscono a partire da lì, dalla preghiera di intercessione: giorno per giorno, bussando con insistenza al cuore di Cristo, si gettano le basi perché due sponde distanti e nemiche possano tornare a comunicare. Vorrei ricordare a questo proposito una meditazione del Cardinale Martini, intitolata “Un grido di intercessione”, pronunciata nel gennaio 1991, al tempo della guerra del Golfo. Oggi, mentre infuria la guerra in Ucraina, quell’omelia è di grande attualità. In particolare, sottolineo un passaggio sulla preghiera di intercessione, là dove dice: «Intercessione vuol dire mettersi là dove il conflitto ha luogo, tra le due parti in conflitto. […] È il gesto di Gesù Cristo sulla croce».
E qui tocchiamo il punto centrale: è Gesù Cristo il ponte ed è Lui il pontefice. È Lui la nostra pace, è Lui che ha abbattuto e abbatte i muri dell’inimicizia (cfr Ef 2,14). Ed è a Lui che noi dobbiamo sempre orientare e attirare le persone, le famiglie, le comunità. È quello che facciamo nel momento centrale di ogni nostra giornata, quando celebriamo la Messa. Non possiamo e non dobbiamo essere noi al centro, ma Lui! Fuggiamo la tentazione del protagonismo mondano. Per favore, il Signore ci vuole tutti servitori, fratelli e sorelle, non primedonne o primi attori, non protagonisti, e a volte protagonisti di storie tristi e di storie mediocri. No. Il Signore ci vuole lottatori. Fuggiamo la tentazione di questo protagonismo mondano, che spesso ci illude rivestendosi di nobili cause. Per ognuno di noi vale sempre il motto di Giovanni il Battista: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30).
Cari fratelli e sorelle, oggi il Collegio Nepomuceno ospita, oltre a sacerdoti della Repubblica Ceca, altri provenienti da diversi Paesi, anche africani e asiatici. È un segno dei tempi che si riscontra in vari Collegi romani, sempre più formati da comunità miste, non più nazionali ma internazionali. E questa realtà, che dipende dalla diminuzione delle presenze europee, può diventare, se ben gestita, una ricchezza umana e formativa. In questa diversità potete meglio esercitarvi ad essere “ponti”, servitori della cultura dell’incontro, capaci di cogliere nell’altro l’originalità peculiare e nello stesso tempo la comune umanità.
Vi ringrazio per questa visita. Il Signore benedica sempre la vostra comunità e la Madonna la accompagni. Di cuore benedico tutti voi. E grazie per questo dono del Rosario; ma, finito questo, continuate a pregare per me! Perché questo lavoro non è facile. Grazie!
[01749-IT.02] [Testo originale: Italiano]
[B0838-XX.02]