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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco nel Regno del Bahrein (3-6 novembre 2022) – Incontro di Preghiera e Angelus con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali presso la Chiesa del Sacro Cuore a Manama, 06.11.2022


Incontro di Preghiera e Angelus con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali presso la Chiesa del Sacro Cuore a Manama

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, il Santo Padre si è congedato dalla Residenza papale e si è trasferito in auto alla Chiesa del Sacro Cuore a Manama dove, alle ore 9.20 (7.20 ora di Roma), ha avuto luogo l’incontro di preghiera e la recita dell’Angelus con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali.

Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto davanti alla chiesa parrocchiale dal Ministro della Giustizia del Regno del Bahrein, da tre bambini accompagnati da una religiosa che gli hanno recato un omaggio floreale. Dopo il saluto di benvenuto dell’Amministratore Apostolico del Vicariato dell’Arabia del Nord, S.E. Mons. Paul Hinder, O.F.M. Cap., e del Parroco che gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione, il Santo Padre ha percorso la navata centrale fino ad arrivare al presbiterio mentre veniva eseguito un canto.

Dopo il canto, le parole di benvenuto dell’Amministratore Apostolico del Vicariato dell’Arabia del Nord e il saluto liturgico, una operatrice pastorale ed una suora hanno portato la loro testimonianza; quindi dopo una lettura del Vangelo di Giovanni, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso al termine del quale ha guidato la recita dell’Angelus.

A conclusione, dopo la benedizione e il canto finale, il Papa ha firmato il Libro d’Onore e si è recato nell’antica Chiesa del Sacro Cuore per una visita privata, accompagnato dai Superiori della Segreteria di Stato, dai Cardinali, dal Nunzio Apostolico e dall’Amministratore Apostolico.

Quindi, prima di ritornare per una breve pausa alla residenza in cui è ospitato, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di una decina di pellegrini cattolici da quest’area geografica in una sala del complesso della chiesa del Sacro Cuore. Prendendo la parola, li ha ringraziati per la loro testimonianza, in comunione con tutta la Chiesa e ha consigliato loro di non cessare di affidarsi alla preghiera e non perdere il senso dell’umorismo, “il sorriso del cuore”. Con commozione ha dato loro la sua benedizione e li ha salutati individualmente.

Durante la breve permanenza nella residenza il Papa ha salutato il Ministro della Giustizia del Regno del Bahrein, Capo del Comitato d’Onore e, per questo, presente agli eventi di questi giorni a nome del Paese.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro di preghiera con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali e le parole che ha pronunciato prima della recita dell’Angelus:

 

Discorso del Santo Padre

Cari Vescovi, sacerdoti, consacrati e seminaristi, operatori pastorali, buongiorno! Good morning!

Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi, in questa comunità cristiana che ben manifesta il suo volto “cattolico”, cioè universale: una Chiesa abitata da persone provenienti da molte parti del mondo, che si ritrovano insieme a confessare l’unica fede in Cristo. Mons. Hinder, che ringrazio per il suo servizio e per le sue parole, ieri ha parlato di «un piccolo gregge composto da migranti»: salutando ciascuno di voi, allora, rivolgo anche un pensiero ai vostri popoli di appartenenza, alle vostre famiglie che portate nel cuore con un po’ di nostalgia, ai vostri Paesi di origine. In particolare, vedendo presenti i fedeli del Libano, assicuro la mia preghiera e vicinanza a quell’amato Paese, così stanco, così provato, e a tutti i popoli che soffrono in Medio Oriente. È bello appartenere a una Chiesa formata da storie e volti diversi, che trovano armonia nell’unico volto di Gesù. E tale varietà – l’ho visto in questi giorni – è lo specchio di questo Paese, delle genti che lo popolano ma anche del paesaggio che lo caratterizza e che, pur dominato dal deserto, vanta una ricca e variegata presenza di piante e di esseri viventi.

Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato parlano dell’acqua viva che sgorga dal Cristo e dai credenti (cfr Gv 7,37-39). Mi hanno fatto pensare proprio a questa terra: è vero, c’è tanto deserto, ma ci sono anche sorgenti di acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo. È una bella immagine di quello che siete voi e soprattutto di ciò che la fede opera nella vita: in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide che deve affrontare, mali personali e sociali di vario genere; ma nel sottofondo dell’anima, proprio dentro, nell’intimo del cuore, scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità. E sempre rinnova la vita. È di questa acqua viva che parla Gesù, è questa la sorgente di vita nuova che ci promette: il dono dello Spirito Santo, la presenza tenera, amorevole e rigenerante di Dio in noi.

Ci fa bene allora soffermarci sulla scena che il Vangelo descrive. Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme, dove si sta celebrando una delle feste più importanti, durante la quale il popolo benedice il Signore per il dono della terra e dei raccolti, facendo memoria dell’Alleanza. E in quel giorno di festa si svolgeva un rito importante: il sommo sacerdote si recava alla piscina di Siloe, attingeva acqua e poi, mentre il popolo cantava ed esultava, la versava fuori dalle mura della città per indicare che da Gerusalemme sarebbe fluita una grande benedizione per tutti. Di Gerusalemme, infatti, il salmista aveva detto: «Sono in te tutte le mie sorgenti» (Sal 87,7); e il profeta Ezechiele aveva parlato di una sorgente d’acqua che, sgorgando dal tempio, avrebbe irrigato e fecondato come un fiume tutta la terra (cfr Ez 47,1-12).

Con tali premesse comprendiamo bene che cosa vuole dirci il Vangelo di Giovanni con questa scena: siamo all’ultimo giorno della festa, Gesù si erge «ritto in piedi» e ad alta voce proclama: «Chi ha sete, venga a me» (Gv 7,37), perché «fiumi di acqua viva» sgorgheranno dal suo grembo (v. 38). Che bell’invito! E l’Evangelista spiega: «Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (v. 39). Il richiamo è all’ora in cui Gesù muore in croce: in quel momento, non più dal tempio di pietre, ma dal costato aperto di Cristo uscirà l’acqua della vita nuova, l’acqua vivificante dello Spirito Santo, destinata a rigenerare tutta l’umanità liberandola dal peccato e dalla morte.

Fratelli e sorelle, ricordiamoci sempre questo: la Chiesa nasce lì, nasce dal costato aperto di Cristo, da un bagno di rigenerazione nello Spirito Santo (cfr Tt 3,5). Non siamo cristiani per nostro merito o solo perché aderiamo ad un credo, ma perché nel Battesimo ci è stata donata l’acqua viva dello Spirito, che ci rende figli amati di Dio e fratelli tra di noi, facendoci creature nuove. Tutto sgorga dalla grazia, tutto – tutto è grazia! –, tutto viene dallo Spirito Santo. E, allora, permettetemi di soffermarmi brevemente con voi su tre grandi doni che lo Spirito Santo ci consegna e ci chiede di accogliere e di vivere: la gioia, l’unità e la profezia. La gioia, l’unità e la profezia.

Anzitutto lo Spirito è sorgente di gioia. L’acqua dolce che il Signore vuole far scorrere nei deserti della nostra umanità, impastata di terra e di fragilità, è la certezza di non essere mai soli nel cammino della vita. Lo Spirito è infatti Colui che non ci lascia soli, è il Consolatore; ci conforta con la sua presenza discreta e benefica, ci accompagna con amore, ci sostiene nelle lotte e nelle difficoltà, incoraggia i nostri sogni più belli e i nostri desideri più grandi, aprendoci allo stupore e alla bellezza della vita. La gioia dello Spirito, perciò, non è uno stato occasionale o un’emozione del momento; tanto meno è quella specie di «gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 128). Invece la gioia nello Spirito è quella che nasce dalla relazione con Dio, dal sapere che, pur nelle fatiche e nelle notti oscure che talvolta attraversiamo, non siamo soli, persi o sconfitti, perché Lui è con noi. E con Lui possiamo affrontare e superare tutto, persino gli abissi del dolore e della morte.

A voi, che avete scoperto questa gioia e la vivete in comunità, vorrei dire: conservatela, anzi, moltiplicatela. E sapete qual è il metodo migliore per fare questo? Donarla. Sì, è così: la gioia cristiana è contagiosa, perché il Vangelo fa uscire da sé stessi per comunicare la bellezza dell’amore di Dio. Dunque è essenziale che nelle comunità cristiane la gioia non venga meno e sia condivisa; che non ci limitiamo a ripetere gesti per abitudine, senza entusiasmo, senza creatività. Altrimenti perderemo la fede e diventeremo una comunità noiosa, e questo è brutto! È importante che, oltre alla Liturgia, in particolare alla celebrazione della Messa, fonte e culmine della vita cristiana (cfr Sacrosanctum Concilium, 10), facciamo circolare la gioia del Vangelo anche in un’azione pastorale vivace, specialmente per i giovani, per le famiglie e per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. La gioia cristiana non si può tenere per sé, e quando la mettiamo in circolo, si moltiplica.

In secondo luogo, lo Spirito Santo è sorgente di unità. Quanti lo accolgono ricevono l’amore del Padre e diventano suoi figli (cfr Rm 8,15-16); e, se figli di Dio, sono anche fratelli e sorelle. Non può esserci spazio per le opere della carne, cioè dell’egoismo: per le divisioni, le liti, le maldicenze, le chiacchiere. State attenti al chiacchiericcio, per favore: le chiacchiere distruggono una comunità. Le divisioni del mondo, e anche le differenze etniche, culturali e rituali, non possono ferire o compromettere l’unità dello Spirito. Al contrario, il suo fuoco brucia i desideri mondani e accende la nostra vita di quell’amore accogliente e compassionevole con cui Gesù ci ama, perché anche noi possiamo amarci così tra di noi. Per questo, quando lo Spirito del Risorto discende sui discepoli, diventa sorgente di unità e di fratellanza contro ogni egoismo; inaugura l’unico linguaggio dell’amore, perché i diversi linguaggi umani non restino distanti e incomprensibili; abbatte le barriere della diffidenza e dell’odio, per creare spazi di accoglienza e di dialogo; libera dalla paura e infonde il coraggio di uscire incontro agli altri con la forza disarmata e disarmante della misericordia.

Questo fa lo Spirito Santo, che così modella la Chiesa fin dalle origini: a partire dalla Pentecoste, le provenienze, le sensibilità e le visioni differenti vengono armonizzate nella comunione, forgiate in un’unità che non è uniformità, è armonia, perché lo Spirito Santo è l’armonia. Se abbiamo ricevuto lo Spirito, la nostra vocazione ecclesiale è anzitutto quella di custodire l’unità e coltivare l’insieme, cioè – come dice San Paolo – «conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale [siamo] stati chiamati» (Ef 4,3-4).

Nella sua testimonianza, Chris ha detto che, quand’era molto giovane, ciò che l’aveva affascinata della Chiesa cattolica era «la comune devozione di tutti i fedeli», indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalla lingua: tutti riuniti in una sola famiglia, tutti a cantare le lodi del Signore. Questa è la forza della comunità cristiana, la prima testimonianza che possiamo dare al mondo. Cerchiamo di essere custodi e costruttori di unità! Per essere credibili nel dialogo con gli altri, viviamo la fraternità tra di noi. Facciamolo nelle comunità, valorizzando i carismi di tutti senza mortificare nessuno; facciamolo nelle case religiose, come segni viventi di concordia e di pace; facciamolo nelle famiglie, così che il vincolo d’amore del sacramento si traduca in atteggiamenti quotidiani di servizio e di perdono; facciamolo anche nella società multireligiosa e multiculturale in cui viviamo: sempre a favore del dialogo, sempre, tessitori di comunione con i fratelli di altri credo e di altre confessioni. So che su questa strada voi offrite già un bell’esempio, ma la fraternità e la comunione sono doni che non dobbiamo stancarci di chiedere allo Spirito, per respingere le tentazioni del nemico, che sempre semina zizzania.

Infine, lo Spirito è sorgente di profezia. La storia della salvezza, come sappiamo, è costellata da numerosi profeti che Dio chiama, consacra e manda in mezzo al popolo perché parlino a suo nome. I profeti ricevono dallo Spirito Santo la luce interiore che li rende interpreti attenti della realtà, capaci di cogliere dentro le trame, a volte oscure, della storia la presenza di Dio e di indicarla al popolo. Spesso le parole dei profeti sono sferzanti: essi chiamano per nome i progetti di male che si annidano nei cuori della gente, mettono in crisi le false sicurezze umane e religiose, invitano alla conversione.

Anche noi abbiamo questa vocazione profetica: tutti i battezzati hanno ricevuto lo Spirito e tutti sono profeti. E in quanto tali non possiamo far finta di non vedere le opere del male, restare nel “quieto vivere” per non sporcarci le mani. Un cristiano prima o poi deve sporcarsi le mani per vivere la sua vita cristiana e dare testimonianza. Al contrario, abbiamo ricevuto uno Spirito di profezia per portare alla luce, con la nostra testimonianza di vita, il Vangelo. Per questo San Paolo esorta: «Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia» (1 Cor 14,1). La profezia ci rende capaci di praticare le beatitudini evangeliche nelle situazioni di ogni giorno, cioè di edificare con ferma mitezza quel Regno di Dio nel quale l’amore, la giustizia e la pace si oppongono a ogni forma di egoismo, di violenza e di degrado. Ho apprezzato che Suor Rose abbia parlato del ministero tra le detenute, nelle carceri, è bello, questo! Una possibilità di cui essere grati. La profezia che edifica e conforta queste persone è condividere con loro il tempo, spezzare la Parola del Signore, pregare con loro. È prestare loro attenzione, perché là dove ci sono fratelli bisognosi, come i carcerati, c’è Gesù, Gesù ferito in ogni persona che soffre (cfr Mt 25,40). Sai cosa penso io, quando entro in un carcere? “Perché loro e non io?”. È la misericordia di Dio. Ma prendersi cura dei detenuti fa bene a tutti, come comunità umana, perché è da come si trattano gli ultimi che si misura la dignità e la speranza di una società.

Cari fratelli e sorelle, in questi mesi stiamo pregando tanto per la pace. In tale contesto, costituisce una speranza l’accordo che è stato firmato e che riguarda la situazione in Etiopia. Incoraggio tutti a sostenere questo impegno per una pace duratura, affinché, con l’aiuto di Dio, si continuino a percorrere le vie del dialogo e il popolo ritrovi presto una vita serena e dignitosa. E inoltre non voglio dimenticare di pregare e di dire a voi di pregare per la martoriata Ucraina, perché quella guerra finisca.

E adesso, cari fratelli e sorelle, siamo arrivati alla fine. Vorrei dirvi “grazie” per questi giorni vissuti insieme; ma non dimenticate la gioia, l’unità e la profezia, non dimenticatele! Con animo colmo di riconoscenza benedico tutti voi, specialmente quanti hanno lavorato per questo viaggio. E, visto che queste sono le ultime parole pubbliche che rivolgo, permettetemi di ringraziare Sua Maestà il Re e le Autorità di questo Paese – anche il Ministro della Giustizia, qui presente – per la squisita ospitalità. Vi incoraggio a continuare con costanza e letizia il vostro cammino spirituale ed ecclesiale. Ed ora invochiamo l'intercessione materna della Vergine Maria, che sono felice di venerare come Nostra Signora d'Arabia. Ella ci aiuti a lasciarci sempre guidare dallo Spirito Santo e ci mantenga gioiosi, uniti nell'affetto e nella preghiera. Ci conto: non dimenticatevi di pregare per me.

[Angelus Dómini nuntiávit Mariæ….]

[01692-IT.021] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers Évêques, prêtres, consacrés et séminaristes, agents pastoraux, bonjour !

Je suis heureux d'être parmi vous, dans cette communauté chrétienne qui manifeste si bien son visage "catholique", c'est-à-dire universel : une Église habitée par des personnes provenant de nombreuses parties du monde, qui se rassemblent pour confesser l'unique foi dans le Christ. Mgr Hinder, que je remercie pour son service et pour ses paroles, a parlé hier d'un "petit troupeau composé de migrants" : en saluant chacun d'entre vous, j'adresse donc aussi une pensée aux peuples auxquels vous appartenez, à vos familles que vous portez dans votre cœur avec un peu de nostalgie, à vos pays d'origine. En particulier, en voyant les fidèles du Liban, j’assure ce pays bien-aimé, si fatigué et si éprouvé, ainsi que tous les peuples qui souffrent au Moyen-Orient, de mes prières et de ma proximité. Il est beau d'appartenir à une Église composée d'histoires et de visages différents, qui trouvent leur harmonie dans le seul visage de Jésus. Et cette variété - je l'ai vu ces jours-ci - est le miroir de ce pays, des personnes qui le peuplent, mais aussi du paysage qui le caractérise et qui, bien que dominé par le désert, présente une richesse et une variété de plantes et d'êtres vivants.

Les paroles de Jésus que nous avons entendues parlent de l'eau vive qui jaillit du Christ et des croyants (cf.Jn7, 37-39). Elles m'ont fait penser à cette terre : c'est vrai, il y a beaucoup de désert, mais il y a aussi des sources d'eau douce qui coulent silencieusement sous terre et qui l'irriguent. C'est une belle image de ce que vous êtes et surtout de ce que la foi opère dans la vie : en surface, notre humanité émerge, desséchée par tant de fragilités, de peurs, de défis à relever, de maux personnels et sociaux de toutes sortes ; mais au fond de l'âme, au fond du cœur, l'eau douce de l'Esprit coule calmement et silencieusement, irrigue nos déserts, redonne de la vigueur à ce qui risque de se dessécher, lave ce qui nous enlaidit, étanche notre soif de bonheur. Et elle renouvelle toujours la vie. C'est de cette eau vive dont parle Jésus. Elle est la source de vie nouvelle qu'il nous promet : le don de l'Esprit Saint, la présence tendre, aimante et régénératrice de Dieu en nous.

Il est bon alors de s'arrêter sur la scène que décrit l'Évangile. Jésus se trouve dans le temple de Jérusalem où l'on célèbre l'une des plus importantes fêtes au cours de laquelle le peuple bénit le Seigneur pour le don de la terre et des récoltes, en faisant mémoire de l'Alliance. En ce jour de fête, un rite important se déroulait : le grand prêtre se rendait à la piscine de Siloé, puisait de l'eau et, pendant que le peuple chantait et se réjouissait, la versait à l'extérieur des murs de la ville pour indiquer qu'une grande bénédiction allait surgir de Jérusalem pour tous. De Jérusalem, en effet, le psalmiste avait dit : «En toi, toutes nos sources » (Ps87,7) ; et le prophète Ezéchiel avait parlé d'une source d'eau qui, jaillissant du temple, irriguerait et féconderait toute la terre comme un fleuve (Ez47,1-12).

Avec ces prémisses, nous comprenons bien ce que l'Évangile de Jean veut nous dire avec cette scène : nous sommes au dernier jour de la fête, Jésus se tient : « debout » et proclame haut et fort : « Si quelqu’un a soif, qu’il vienne à moi » (Jn7,37), car des « fleuves d’eau vive » couleront de son sein (v. 38). Quelle belle invitation! Et l'évangéliste explique : « Il parlait de l’Esprit Saint qu’allaient recevoir ceux qui croiraient en lui. En effet, il ne pouvait y avoir l’Esprit, puisque Jésus n’avait pas encore été glorifié » (v. 39). Il s'agit de l'heure à laquelle Jésus meurt sur la croix : à ce moment-là, ce n'est plus du temple de pierres, mais du côté ouvert du Christ que sortira l'eau de la vie nouvelle, l'eau vivifiante de l'Esprit Saint, destinée à régénérer toute l'humanité, en la libérant du péché et de la mort.

Frères et sœurs, rappelons-nous toujours ceci : c’est là que naît l'Église, elle naît du côté ouvert du Christ, d'un bain de régénération dans l'Esprit Saint (cf.Tt3, 5). Nous ne sommes pas chrétiens en raison de nos mérites ou simplement parce que nous adhérons à un credo, mais parce que, dans le Baptême, nous avons reçu l'eau vive de l'Esprit qui fait de nous des enfants bien-aimés de Dieu et des frères entre nous, faisant de nous de créatures nouvelles. Tout découle de la grâce – tout est grâce - tout vient du Saint-Esprit. Permettez-moi donc de m'arrêter brièvement avec vous surtrois grands donsque l'Esprit Saint nous donne et nous demande de recueillir et de vivre :la joie, l'unité et la prophétie. La joie, l'unité et la prophétie.

Tout d'abord, l'Esprit estsource de joie. L'eau douce que le Seigneur veut faire couler dans les déserts de notre humanité, pétrie de terre et de fragilité, est la certitude de ne jamais être seul sur le chemin de la vie. En effet, l'Esprit est celui qui ne nous laisse pas seuls, il est le Consolateur. Il nous réconforte par sa présence discrète et bienfaisante, il nous accompagne avec amour, il nous soutient dans nos luttes et nos difficultés, il encourage nos rêves les plus beaux et nos plus grands désirs en nous ouvrant à l’émerveillement et à la beauté de la vie. La joie de l'Esprit n'est donc pas un état occasionnel ou une émotion du moment ; elle est encore moins cette sorte de « joie consumériste et individualiste si répandue dans certaines expériences culturelles d’aujourd’hui » (Exhort. ap.Gaudete et exsultate, n. 128). Au contraire, la joie dans l’Esprit est celle qui naît de la relation avec Dieu, de savoir que, même dans les luttes et les nuits sombres que nous traversons parfois, nous ne sommes pas seuls, perdus ni vaincus, car Il est avec nous. Et, avec Lui, nous pouvons tout affronter et surmonter, même les abîmes de la douleur et de la mort.

À vous, qui avez découvert cette joie et la vivez en communauté, je voudrais dire :conservez-là, et mêmemultipliez-la. Et vous savez quel est le meilleur moyen de le faire ?La donner. Oui, c’est ainsi: la joie chrétienne est contagieuse, car l'Évangile nous fait sortir de nous-mêmes pour communiquer la beauté de l'amour de Dieu. Il est donc essentiel que, dans les communautés chrétiennes, la joie ne disparaisse pas et qu’elle soit partagée ; que nous ne nous limitions pas à répéter des gestes par habitude, sans enthousiasme, sans créativité. Autrement nous perdrons la foi et deviendrons une communauté ennuyeuse, et cela est mauvais. Il est important qu’en plus de la Liturgie, en particulier la célébration de la Messe, source et sommet de la vie chrétienne (cf.Sacrosanctum Concilium, n. 10), nous fassions aussi circuler la joie de l'Évangile dans une action pastorale vivante, en particulier pour les jeunes, les familles et pour les vocations à la vie sacerdotale et religieuse.La joie chrétienne ne peut être gardée pour soi,et lorsque nous la mettons en circulation, elle se multiplie.

Deuxièmement, l’Esprit Saint estsource d'unité. Ceux qui l’accueillent reçoivent l'amour du Père et deviennent ses enfants (cf.Rm8, 15-16) ; et, s'ils sont enfants de Dieu, ils sont aussi frères et sœurs. Il ne peut y avoir de place pour les œuvres de la chair, c'est-à-dire pour l'égoïsme, pour les divisions, les querelles, les médisances, les bavardages. Faites attentions aux médisances, s’il vous plait: les bavardages détruisent une communauté. Les divisions du monde, et même les différences ethniques, culturelles et rituelles, ne peuvent blesser ou compromettre l'unité de l'Esprit. Au contraire, son feu brûle les désirs mondains et enflamme nos vies de cet amour accueillant et compatissant dont Jésus nous aime, afin que nous puissions, nous aussi, nous aimer de cette manière. C'est pourquoi, lorsque l'Esprit du Ressuscité descend sur les disciples, il devient source d'unité et de fraternité contre tout égoïsme ; il inaugure l'unique langage de l'amour, afin que les différents langages humains ne restent pas distants et incompréhensibles ; il fait tomber les barrières de la méfiance et de la haine, pour créer des espaces d'accueil et de dialogue ; il libère de la peur et donne le courage d'aller à la rencontre des autres avec la force désarmante de la miséricorde.

C'est ce que fait l'Esprit Saint qui façonne l'Église de cette manière depuis le début. Depuis la Pentecôte, les provenances, les sensibilités et les visions différentes sont harmonisées dans la communion, forgées dans une unité qui n'est pas uniformité mais qui est harmonie, car l’Esprit Saint est harmonie. Si nous avons reçu l'Esprit, notre vocation ecclésiale consiste avant tout à préserver l'unité et cultiver l’ensemble, c'est-à-dire, comme le dit saint Paul, « garder l’unité dans l’Esprit par le lien de la paix.Comme votre vocation vous a tous appelés à une seule espérance, de même il y a un seul Corps et un seul Esprit » (Ep4, 3-4).

Dans son témoignage, Chris a déclaré que, lorsqu'elle était très jeune, ce qui la fascinait dans l'Église catholique, c'était « la dévotion commune de tous les fidèles », indépendamment de la couleur de leur peau, de leur origine géographique, de leur langue : tous réunis dans une même famille, tous chantant les louanges du Seigneur. C'est la force de la communauté chrétienne, le premier témoignage que nous pouvons donner au monde. Soyons les gardiens et les bâtisseurs d'unité ! Pour être crédibles dans le dialogue avec les autres, vivons la fraternité entre nous. Faisons-le dans les communautés, en valorisant les charismes de tous sans mortifier personne ; faisons-le dans les maisons religieuses, comme signes vivants de concorde et de paix ; faisons-le dans les familles, pour que le lien d'amour du sacrement se traduise par des attitudes quotidiennes de service et de pardon ; faisons-le aussi dans la société multireligieuse et multiculturelle dans laquelle nous vivons : toujours en faveur du dialogue, toujours, tisseurs de communion avec les frères d'autres croyances et confessions. Je sais que vous offrez déjà un bel exemple sur ce chemin, mais la fraternité et la communion sont des dons que nous ne devons pas nous lasser de demander à l'Esprit, pour repousser les tentations de l'ennemi qui sème toujours la discorde.

Enfin, l'Esprit estsource de prophétie. L'histoire du salut, comme nous le savons, est parsemée de nombreux prophètes que Dieu appelle, consacre et envoie au milieu du peuple pour parler en son nom. Les prophètes reçoivent de l'Esprit Saint la lumière intérieure qui fait d’eux des interprètes attentifs de la réalité, capables de saisir dans les schémas, parfois obscurs, de l'histoire la présence de Dieu et de la montrer au peuple. Souvent, les paroles des prophètes sont cinglantes: elles appellent par leur nom les projets malins qui se cachent dans le cœur des personnes, elles remettent en cause les fausses certitudes humaines et religieuses, elles invitent à la conversion.

Nous aussi, nous avons cette vocation prophétique : tous les baptisés ont reçu l'Esprit et tous sont prophètes. Et, en tant que tels, nous ne pouvons pas prétendre ne pas voir les œuvres du mal, rester dans une " vie tranquille " pour ne pas nous salir les mains. Un chrétien tôt ou tard doit se salir les mains pour vivre sa vie chrétienne et rendre témoignage. Au contraire, nous avons reçu un Esprit de prophétie pour mettre en lumière l'Évangile par notre témoignage de vie. C'est pourquoi saint Paul exhorte : « Recherchez avec ardeur les dons spirituels, surtout celui de prophétie » (1 Co14, 1). La prophétie nous rend capables de mettre en pratique les béatitudes évangéliques dans les situations quotidiennes, c'est-à-dire de construire avec une douceur inébranlable ce Royaume de Dieu où l'amour, la justice et la paix s'opposent à toute forme d'égoïsme, de violence et de dégradation. J'ai apprécié que Sœur Rose ait parlé de son ministère auprès des femmes détenues, dans les prisons, c’est beau : une possibilité dont il faut être reconnaissant. La prophétie qui édifie et réconforte ces personnes consiste à partager du temps avec elles, à partager la Parole du Seigneur, à prier avec elles. C'est leur prêter attention, car là où il y a des frères dans le besoin, comme les prisonniers, il y a Jésus, Jésus blessé dans chaque personne qui souffre (cf.Mt25, 40). Savez-vous ce que je pense quand j’entre dans une prison? “Pourquoi eux et pas moi?” C’est la miséricorde de Dieu. Mais prendre soin des prisonniers est bon pour tous, en tant que communauté humaine, car c'est à la manière dont on traite les derniers que l'on mesure la dignité et l'espérance d'une société.

Chers frères et sœurs, ces mois-ci, nous prions beaucoup pour la paix. Dans ce contexte, l'accord qui a été signé concernant la situation en Ethiopie est une espérance. J'encourage tout le monde à soutenir cet effort pour une paix durable, afin que, avec l'aide de Dieu, l’on puisse continuer sur les voies du dialogue et que le peuple retrouve vite une vie paisible et digne. Et je ne veux pas non plus oublier de prier et de vous dire de prier pour l'Ukraine martyrisée, afin que cette guerre prenne fin.

Et maintenant chers frères et sœurs, nous sommes arrivés au terme. Je voudrais vous dire "merci" pour ces journées passées ensemble. Mais n’oubliez pas: la joie, l’unité et la prophétie. Ne les oubliez pas. Avec un cœur plein de gratitude, je vous bénis tous, en particulier ceux qui ont travaillé pour ce voyage. Et, puisque ce sont mes dernières paroles publiques, permettez-moi de remercier Sa Majesté le Roi et les Autorités de ce pays – également le Ministre de la justice ici présent - pour leur merveilleuse hospitalité. Je vous encourage à poursuivre votre cheminement spirituel et ecclésial avec constance et joie. Et maintenant, invoquons l'intercession maternelle de la Vierge Marie que je suis heureux de vénérer comme Notre-Dame d'Arabie. Qu'elle nous aide à nous laisser toujours guider par l'Esprit Saint et nous garde joyeux, unis dans l'affection et la prière. Je compte sur vous : n'oubliez pas de prier pour moi.

[Angelus Dómini nuntiávit Mariæ….]

[01692-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Bishops, Priests, Consecrated Men and Women, Seminarians and Pastoral Workers, good morning!

I am pleased to be here, in the midst of this Christian community that clearly manifests its “Catholic” face: a universal face, a Church made up of people from various parts of the world who come together to profess our one faith in Christ. Yesterday, Bishop Hinder – whom I thank for his service and his words of introduction – talked about “a small flock made up of migrants”. In greeting you, then, my thoughts also turn to the peoples from whom you come, to your dear families, whom you remember with a touch of nostalgia, and to your countries of origin. In particular, since I see that some of you are from Lebanon, I assure you of my prayers and closeness to your beloved country, so weary and sorely tried, as well as to all peoples suffering in the Middle East. It is beautiful to be part of a Church composed of different histories and different faces that find their harmony in the one face of Jesus. And this variety – as I have seen in these days – is a mirror of this country, of the people who dwell here in it, but also of its landscape that, though mostly desert, boasts a rich variety of plants and living creatures.

The words of Jesus that we heard speak of the living water flowing from Christ and his followers (cf. Jn 7:37-39). They made me think about this very land. While it is true that there is a large expanse of desert, there are springs of fresh water flowing underground that irrigate it. That is a beautiful image of who you are and, above all, of how faith operates in our lives: on the surface our humanity seems parched by any number of weaknesses, fears, challenges and personal or social problems of various types. Yet, truly within the depths of the soul, in the intimacy of the heart, there flows the calm and silent fresh water of the Spirit, who refreshes our deserts and restores life to what is parched, who washes away all that soils us and quenches our thirst for happiness. The Spirit always restores life. This is the water of which Jesus speaks. This is the wellspring of new life that he promises us. It is the gift of the Holy Spirit, the tender, loving and rejuvenating presence of God within us.

It is helpful, then, to focus on the scene described in the Gospel. Jesus is in the Temple in Jerusalem, where they are celebrating one of the most important feasts, when the people bless the Lord for the gifts of the land and the harvest, in remembrance of the Covenant. On that festive day, an important rite took place: the High Priest went to the pool of Siloam to draw water while the people sang and rejoiced; he then poured out the water outside the walls of the city in order to indicate that from Jerusalem would flow a great blessing for everyone. Indeed, the psalmist had sung of Jerusalem: “All my springs are in you” (Ps. 87:7), and the prophet Ezekiel had spoken of a fountain flowing like a river from the Temple, to irrigate the land and make it fruitful (cf. Ezek 47:1-12).

Against this backdrop, we can better appreciate what the Gospel of John wants to tells us with this scene. It is the last day of the feast, and Jesus “stood up and proclaimed, ‘If any one thirst, let them come to me and drink?’” (Jn. 7:37), for “rivers of living water” will flow from his heart (v. 38). What a beautiful invitation! The evangelist explains: “Now this he said about the Spirit, which those who believed in him were to receive; for as yet the Spirit had not been given, because Jesus was not yet glorified” (v. 39). The reference is to the moment when Jesus dies on the cross: at that moment, no longer from the temple of stone, but from the open side of Christ, will the water of new life flow forth, the life-giving water of the Holy Spirit, destined to give new birth to all humanity, setting it free from sin and death.

Brothers and sisters, let us always remember this: the Church was born there, born from the pierced side of Christ, from the water of rebirth in the Holy Spirit (cf. Tit 3:5). We are not Christians by our own merit or simply because we profess a creed, but because the living water of the Spirit was given to us in baptism, making us beloved children of God, brothers and sisters of one another and a new creation. Everything flows from grace – everything is grace! Everything comes from the Holy Spirit. Allow me, then, to focus briefly on three great gifts that the Holy Spirit grants us and asks us to receive and to reflect in our lives: joy, unity and prophecy. Joy, unity and prophecy.

First, the Spirit is a wellspring of joy. The fresh water that the Lord wants to make flow in the “deserts” of our humanity, earthly and frail, is the certainty that we are never alone on the journey of life. The Spirit is the One who does not leave us on our own. He is the Comforter, who consoles us by his quiet and soothing presence, who accompanies us with love, supports us in struggles and difficulties, encourages our most beautiful dreams and deepest desires, and opens us to the wonder and beauty of life. The joy of the Spirit, however, is not an occasional feeling or a momentary emotion; still less is it that kind of “joy held out by today’s individualistic and consumerist culture” (Gaudete et Exsultate, 128). The joy of the Spirit is instead a joy born of a relationship with God, from knowing that despite the struggles and dark nights that we sometimes endure, we are not alone, lost or defeated, because he is with us. With God, we can face and overcome everything, even the abyss of pain and death.

To all of you who have discovered this joy and experience it in community, I would say: preserve this joy, indeed, let it grow ever greater. Do you know the best way to do that? By giving it away. Yes, Christian joy is naturally contagious, since the Gospel makes us go beyond ourselves to share the beauty of God’s love. It is essential, therefore, that this joy not be dimmed or left unshared in Christian communities, that we do not restrict ourselves to doing things by force of habit, without enthusiasm or creativity. Otherwise we will lose faith and become a dull community, and this is awful! In addition to the liturgy, and especially the celebration of Mass, the source and summit of Christian life (cf. Sacrosanctum Concilium, 10), it is important that we spread the joy of the Gospel through a lively pastoral outreach, especially to young people and families, and through fostering vocations to the priesthood and the religious life. We cannot keep Christian joy to ourselves. It multiplies once we start spreading it around.

Second, the Holy Spirit is a wellspring of unity. All those who receive him receive the Father’s love and are made his sons and daughters (cf. Rom 8:15-16), and, if children of God, also brothers and sisters to one another. There can no longer be room for the works of the flesh, acts of selfishness, such as factions, quarrels, slander and gossip. Beware of gossip, please: gossip destroys a community. Worldly divisions, but also ethnic, cultural and ritual differences, cannot injure or compromise the unity of the Spirit. On the contrary, his fire burns away worldly desires and kindles in our lives the warm and compassionate love with which Jesus loves us, so that we in turn can love one another. For this reason, when the Spirit of the risen Jesus descends on his disciples, he becomes the source of unity and fraternity, opposed to every form of selfishness. He inaugurates the one language of love, so that different human languages no longer remain distant and incomprehensible. He breaks down the barriers of distrust and hate, in order to create space for acceptance and dialogue. He frees us from fear and instills the courage to go out and meet others with the unarmed and disarming force of mercy.

This is what the Holy Spirit does, and in this way he has shaped the Church from her very beginnings: starting with Pentecost, when a variety of backgrounds, sensibilities and visions were harmonized in communion, forged in a unity that is not uniformity; it was a harmony because the Holy Spirit is harmony. If we have received the Spirit, our ecclesial vocation is above all to preserve unity and cultivate it together – or as Saint Paul says – “to maintain the unity of the Spirit in the bond of peace. There is one body and one Spirit, just as you were called to the one hope” (Eph 4:3-4).

In her testimony, Chris said that when she was very young, what fascinated her about the Catholic Church was “the shared devotion of all the faithful”, quite apart from the colour of their skin, their country of origin and their language: everyone was gathered as a single family, singing the praises of the Lord. This is the strength of the Christian community; it is the first testimony that we are able to give to the world. Let us seek to be guardians and builders of unity! In order to be credible when we dialogue with others, let us live in fraternity among ourselves. Let us do so in our communities, valuing the charisms of each person without humiliating anyone. Let us do so in our religious houses, as living signs of harmony and peace. Let us do so in our families, so that the sacramental bond of love is seen daily in service and forgiveness. Let us do so in the multi-religious and multi-cultural societies in which we find ourselves, as ever tireless promoters of dialogue and weavers of fellowship with our brothers and sisters of other creeds and confessions. I know that you are already offering a good example of walking this path, but fraternity and communion are gifts that we must never tire of imploring from the Spirit. In this way, we can fend off the enemy who always sows weeds.

Finally, the Spirit is a wellspring of prophecy. Salvation history, as we know, is full of prophets whom God calls, consecrates and sends into the midst of the people in order to speak in his name. The prophets receive an interior light from the Holy Spirit, which makes them attentive interpreters of reality, capable of perceiving God’s presence amid the frequently obscure course of history and making it known to the people. The words of the prophets are often scathing: they call by name the evil designs lurking in the hearts of the people; they call into question false human and religious certainties, and they invite everyone to conversion.

We too have this prophetic vocation. All who are baptized have received the Spirit and so all become prophets. As such, we cannot pretend not to see the works of evil, so as to live a “quiet life” and not get our hands dirty. Sooner or later, Christians must get their hands dirty in order to live the Christian life and bear witness. On the contrary, we received a Spirit of prophecy to proclaim the Gospel by our living witness. In this regard, Saint Paul tells us: “Desire the spiritual gifts, especially that you may prophesy” (1 Cor 14:1). Prophecy makes us capable of putting the Beatitudes into practice in everyday situations, building meekly, yet resolutely God’s kingdom, in which love, justice and peace are opposed to every form of selfishness, violence and degradation. I am grateful that Sister Rose spoke of the ministry carried out for those in prison, and this is noble! This is something for which we should be grateful. The prophecy that builds up and consoles those prisoners is our sharing time with them, breaking open the word of God and praying with them. It is our showing concern for them, for where there are brothers and sisters in need, like those in prison, there is also Jesus, who himself suffers in all those who suffer (cf. Mt 25:40). Do you know what I think about when I go into a prison? “Why them and not me?” It is the mercy of God. Caring for prisoners is good for everyone, as a human community, since the way in which these “least ones” are treated is a measure of the dignity and the hope of a society.

Dear brothers and sisters, during these months we have been praying a great deal for peace. In this context, the agreement that was signed and which concerns the situation in Ethiopia represents hope. I encourage everyone to support this commitment for a lasting peace, so that, with the help of God, those involved may continue to journey on the paths of dialogue and that the population may soon find once more a peaceful and dignified life. And also I do not want to forget to pray, and to tell you to pray, for tormented Ukraine, for that war to end.

Now, dear brothers and sisters, we have come to the end. I would like to say “thank you” for these days together, and remember: joy, unity and prophecy – remember these! With a heart full of gratitude I bless all of you, especially those who worked to prepare for this journey. Since these are my last public words, I thank His Majesty the King and the authorities of this country, and also the Minister of Justice who is here with us, for their exquisite hospitality. I encourage you to persevere in your spiritual and ecclesial journey with steadfastness and joy. Let us now invoke the maternal intercession of the Virgin Mary, whom I am happy to venerate as Our Lady of Arabia. May she help us always to be guided by the Holy Spirit, and keep us joyful and united in affection and love. I am counting on you: do not to forget to pray for me.

[Angelus Dómini nuntiávit Mariæ….]

[01692-EN.02] [Original text: Italian]

 

 

 

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Bischöfe, Priester, gottgeweihte Männer und Frauen, Seminaristen und pastorale Mitarbeiter, guten Morgen! Good morning!

Ich freue mich, bei euch zu sein, in dieser christlichen Gemeinschaft, die so schön ihr „katholisches“, d.h. allumfassendes Gesicht zeigt: eine Kirche, die aus Menschen aus vielen Teilen der Welt besteht, die zusammenkommen, um den einen Glauben an Christus zu bekennen. Bischof Hinder, dem ich für seinen Dienst und für seine Worte danke, sprach gestern von »einer kleinen Herde, die aus Migranten zusammengesetzt ist«: Wenn ich also jeden von euch begrüße, denke ich auch an die Völker, denen ihr angehört, an eure Familien, die ihr mit ein wenig Heimweh im Herzen tragt, an eure Herkunftsländer. Da ich Gläubige aus dem Libanon hier sehe, versichere ich sie meines besonderen Gebets und meiner Verbundenheit mit diesem geliebten Land, das so ermattet ist, so geplagt, so wie allen Völkern, die im Nahen Osten leiden. Es ist schön, einer Kirche anzugehören, die sich aus verschiedenen Geschichten und Gesichtern zusammensetzt, die in dem einen Antlitz Jesu zum Einklang finden. Und diese Vielfalt – ich habe sie in diesen Tagen gesehen – ist der Spiegel dieses Landes, der Völker, die es besiedeln, aber auch der Landschaft, die es prägt und die, obwohl die Wüste überwiegt, eine reiche und vielfältige Pflanzen- und Tierwelt aufweist.

Die Worte Jesu, die wir gehört haben, sprechen von dem lebendigen Wasser, das aus Christus und den Gläubigen fließt (vgl. Joh 7,37-39). Sie haben mich an dieses Land erinnert: Es gibt zwar viel Wüste, aber auch Quellen mit Süßwasser, die still unter der Erde fließen und es bewässern. Es ist ein wunderschönes Bild für das, was ihr seid, und vor allem für das, was der Glaube im Leben bewirkt: An der Oberfläche zeigt sich unser Menschsein, das von so vielen Schwächen, Ängsten, Herausforderungen, denen man sich stellen muss, persönlichen und sozialen Übeln verschiedener Art ausgedörrt ist; aber in der Tiefe der Seele, ganz drinnen, in der Tiefe des Herzens, fließt ruhig und still das Süßwasser des Geistes, das unsere Wüsten bewässert, dem, was zu vertrocknen droht, neue Kraft verleiht, das, was uns hässlich macht, abwäscht und unseren Durst nach Glück stillt. Und immer erneuert es das Leben. Von diesem lebendigen Wasser spricht Jesus und dieses ist die Quelle neuen Lebens, die er uns verheißt: die Gabe des Heiligen Geistes, die zärtliche, liebende und erneuernde Gegenwart Gottes in uns.

Es ist also gut für uns, bei der Begebenheit, die das Evangelium beschreibt, zu verweilen. Jesus befindet sich im Tempel in Jerusalem, wo gerade eines der wichtigsten Feste gefeiert wird, bei dem das Volk den Herrn für die Gabe des Landes und der Ernte preist und dabei des Bundes gedenkt. Und an diesem Festtag fand ein wichtiger Ritus statt: Der Hohepriester ging zum Teich Siloe, schöpfte Wasser und goss es dann, während das Volk sang und jubelte, außerhalb der Stadtmauern aus, als Zeichen dafür, dass von Jerusalem ein großer Segen für alle ausgehen würde. Von Jerusalem nämlich hatte der Psalmist gesagt: »Alle meine Quellen entspringen in dir« (Ps 87,7), und der Prophet Ezechiel hatte von einer Wasserquelle gesprochen, die, aus dem Tempel sprudelnd, die ganze Erde wie ein Fluss bewässern und befruchten würde (vgl. Ez 47,1-12).

Unter diesen Voraussetzungen verstehen wir gut, was uns das Johannesevangelium mit dieser Begebenheit sagen will: Wir sind am letzten Tag des Festes und Jesus stellt sich hin und verkündet laut: »Wer Durst hat, komme zu mir« (Joh 7,37), denn aus seinem Innern werden »Ströme von lebendigem Wasser fließen« (V. 38). Welch schöne Einladung! Und der Evangelist erklärt: »Damit meinte er den Geist, den alle empfangen sollten, die an ihn glauben; denn der Geist war noch nicht gegeben, weil Jesus noch nicht verherrlicht war« (V. 39). Damit wird die Stunde angedeutet, in der Jesus am Kreuz stirbt: In diesem Augenblick wird nicht mehr aus dem steinernen Tempel, sondern aus der offenen Seite Christi das Wasser des neuen Lebens, das lebenspendende Wasser des Heiligen Geistes, hervorströmen, das dazu bestimmt ist, die ganze Menschheit zu erneuern und von Sünde und Tod zu befreien.

Brüder und Schwestern, denken wir immer daran: Die Kirche wird dort geboren, aus der offenen Seite Christi, aus einem Bad der Wiedergeburt im Heiligen Geist (vgl. Tit 3,5). Wir sind nicht Christen aufgrund unserer Verdienste oder bloß, weil wir einem Glaubensbekenntnis anhangen, sondern weil wir in der Taufe das lebendige Wasser des Geistes empfangen haben, das uns zu geliebten Kindern Gottes und zu Brüdern und Schwestern untereinander macht und uns so zu neuen Geschöpfen werden lässt. Alles fließt aus der Gnade – alles ist Gnade! – alles kommt aus dem Heiligen Geist. Erlaubt mir daher, kurz auf drei große Gaben einzugehen, die der Heilige Geist uns übergibt, mit der Bitte, sie anzunehmen und zu leben: die Freude, die Einheit und die Prophetie. Die Freude, die Einheit und die Prophetie.

Der Geist ist vor allem die Quelle der Freude. Das Süßwasser, das der Herr in den Wüsten unseres Menschseins fließen lassen will, vermischt mit Erde und Zerbrechlichkeit, ist die Gewissheit, dass wir auf dem Weg des Lebens niemals allein sind. Der Geist ist in der Tat derjenige, der uns nicht allein lässt, er ist der Tröster; er bestärkt uns mit seiner diskreten und wohltuenden Gegenwart, er begleitet uns mit Liebe, er stützt uns in unseren Kämpfen und Schwierigkeiten, er ermutigt uns in unseren schönsten Träumen und unseren größten Wünschen und öffnet uns für das Wunder und die Schönheit des Lebens. Die Freude des Geistes ist also kein gelegentlicher Zustand oder ein Gefühl des Augenblicks; noch viel weniger ist sie von der Art jener »konsumorientierten und individualistischen Freude, die in einigen kulturellen Ausprägungen von heute so präsent ist« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 128). Die Freude des Geistes hingegen ist jene Freude, die aus der Beziehung zu Gott kommt, aus dem Wissen, dass wir selbst in den Kämpfen und dunklen Nächten, die wir manchmal durchmachen, nicht allein, verloren oder besiegt sind, weil er bei uns ist. Und mit ihm können wir uns allem stellen und alles überwinden, selbst die Abgründe von Schmerz und Tod.

Euch, die ihr diese Freude entdeckt habt und die ihr sie in Gemeinschaft lebt, möchte ich sagen: Bewahrt sie, ja, vermehrt sie. Und wisst ihr, was die beste Methode dafür ist? Sie zu verschenken. Ja, so ist es: Die christliche Freude ist ansteckend, denn das Evangelium bringt einen dazu, aus sich herauszugehen und die Schönheit der Liebe Gottes weiterzuvermitteln. Deshalb ist es von wesentlicher Bedeutung, dass in den christlichen Gemeinschaften die Freude nicht verschwindet und dass sie geteilt wird; dass wir uns nicht darauf beschränken, Gesten aus Gewohnheit, ohne Begeisterung und ohne Kreativität zu wiederholen. Andernfalls verlieren wir den Glauben und werden eine langweilige Gemeinschaft und das ist schlecht! Es ist wichtig, dass wir über die Liturgie hinaus, vor allem die Feier der Messe, die Quelle und Höhepunkt des christlichen Lebens ist (vgl. Sacrosanctum Concilium, 10), die Freude des Evangeliums auch in einer lebendigen Pastoral weitertragen, die vor allem den jungen Menschen, den Familien und den Berufungen zum Priester- und Ordensleben gilt. Die christliche Freude kann man nicht für sich behalten, und wenn wir sie weitergeben, vermehrt sie sich.

Zweitens ist der Heilige Geist die Quelle der Einheit. Alle, die ihn aufnehmen, empfangen die Liebe des Vaters und werden zu seinen Kindern (vgl. Röm 8,15-16); und wenn sie Kinder Gottes sind, sind sie auch Brüder und Schwestern. Es darf keinen Raum geben für die Werke des Fleisches, d.h. der Selbstsucht: für Spaltungen, Streit, Verleumdungen, Gerede. Hütet euch vor dem Geschwätz, bitte: Das Gerede zerstört eine Gemeinschaft. Die Spaltungen der Welt und selbst ethnische, kulturelle und rituelle Unterschiede können die Einheit des Geistes nicht verletzen oder gefährden. Im Gegenteil, sein Feuer verbrennt die weltlichen Begierden und entzündet unser Leben mit jener einladenden und barmherzigen Liebe, mit der Jesus uns liebt, damit auch wir einander auf diese Weise lieben können. Deshalb wird der Geist des Auferstandenen, wenn er auf die Jünger herabkommt, zu einer Quelle der Einheit und der Geschwisterlichkeit gegen jeden Egoismus; er führt die eine Sprache der Liebe ein, damit die verschiedenen menschlichen Sprachen nicht fern und unverständlich bleiben; er bricht die Schranken des Misstrauens und des Hasses nieder, um Räume der Annahme und des Dialogs zu schaffen; er befreit uns von der Angst und flößt uns den Mut ein, den anderen mit der entwaffneten und entwaffnenden Kraft der Barmherzigkeit zu begegnen.

Das tut der Heilige Geist, der die Kirche von Anfang an auf diese Weise formt: Seit dem Pfingstereignis werden unterschiedliche Herkünfte, Sensibilitäten und Anschauungen in der Gemeinschaft in Einklang gebracht und zu einer Einheit geschmiedet, die nicht Uniformität ist. Sie ist Harmonie, weil der Heilige Geist Harmonie ist. Wenn wir den Geist empfangen haben, besteht unsere kirchliche Berufung vor allem darin, die Einheit zu wahren und das Miteinander zu pflegen, das heißt, wie der heilige Paulus sagt, »die Einheit des Geistes zu wahren durch das Band des Friedens. Ein Leib und ein Geist, wie ihr auch berufen seid zu einer Hoffnung in eurer Berufung« (Eph 4,3-4).

In ihrem Zeugnis sagte Chris, dass sie, als sie noch sehr jung war, an der katholischen Kirche »die gemeinsame Frömmigkeit aller Gläubigen« faszinierte, unabhängig von ihrer Hautfarbe, ihrer geografischen Herkunft und Sprache. Alle waren in einer Familie versammelt und sangen das Lob des Herrn. Dies ist die Stärke der christlichen Gemeinschaft, das erste Zeugnis, das wir der Welt geben können. Versuchen wir Hüter und Erbauer der Einheit zu sein! Um im Dialog mit anderen glaubwürdig zu sein, sollten wir geschwisterlich miteinander umgehen. Tun wir das in den Gemeinschaften, indem wir die Charismen aller wertschätzen und niemanden benachteiligen; tun wir es in den Ordenshäusern, als lebendige Zeichen der Eintracht und des Friedens; tun wir es in den Familien, damit das Band der Liebe, das das Sakrament knüpft, sich in alltäglichen Haltungen des Dienens und der Vergebung niederschlägt; tun wir es auch in der multireligiösen und multikulturellen Gesellschaft, in der wir leben: immer zugunsten des Dialogs, immer, als Stifter von Gemeinschaft mit den Brüdern und Schwestern anderer Glaubensrichtungen und Konfessionen. Ich weiß, dass ihr bereits ein gutes Beispiel auf diesem Weg gebt, aber Geschwisterlichkeit und Gemeinschaft sind Gaben, um die wir den Geist unermüdlich bitten müssen, damit wir die Versuchungen des Feindes abwehren können, der immer Zwietracht sät.

Schließlich ist der Geist die Quelle der Prophetie. Die Heilsgeschichte ist bekanntlich durchzogen von zahlreichen Propheten, die Gott beruft, salbt und zu den Menschen schickt, damit sie in seinem Namen sprechen. Die Propheten erhalten vom Heiligen Geist das innere Licht, das sie zu aufmerksamen Deutern der Wirklichkeit macht, die fähig sind, in den manchmal undurchsichtigen Handlungssträngen der Geschichte die Gegenwart Gottes zu erkennen und sie dem Volk aufzuzeigen. Oft sind die Worte der Propheten vernichtend: Sie nennen die bösen Pläne, die sich in den Herzen der Menschen einnisten, beim Namen, sie stellen falsche menschliche und religiöse Gewissheiten in Frage, sie laden zur Umkehr ein.

Auch wir haben diese prophetische Berufung: Alle Getauften haben den Geist empfangen und alle sind Propheten. Deshalb können wir nicht so tun, als würden wir die Werke des Bösen nicht sehen und im „ruhigen Leben“ verharren, um uns nicht die Hände schmutzig zu machen. Ein Christ muss sich früher oder später die Hände schmutzig machen, um sein christliches Leben zu leben und Zeugnis zu geben. Im Gegenteil, wir haben den Geist der Prophetie empfangen, um das Evangelium durch unser Lebenszeugnis ans Licht zu bringen. Deshalb ermahnt Paulus: »Strebt aber auch nach den Geistesgaben, vor allem nach der prophetischen Rede!« (1 Kor 14,1). Die Prophetie befähigt uns, die Seligpreisungen des Evangeliums im Alltag zu praktizieren, das heißt mit unerschütterlicher Sanftmut das Reich Gottes aufzubauen, in dem Liebe, Gerechtigkeit und Frieden allen Formen von Egoismus, Gewalt und Erniedrigung entgegengesetzt sind. Ich habe mich gefreut, dass Schwester Rose von ihrem Dienst bei weiblichen Häftlingen in den Gefängnissen gesprochen hat, dies ist schön! Eine Möglichkeit, für die man dankbar sein muss. Die Prophetie, die diese Menschen aufbaut und tröstet, besteht darin, mit ihnen Zeit zu verbringen, das Wort des Herrn mit ihnen zu teilen und mit ihnen zu beten. Es geht darum, ihnen Aufmerksamkeit zu schenken, denn wo Brüder und Schwestern in Not sind, wie die Gefangenen, da ist Jesus, der verwundete Jesus in jedem Leidenden (vgl. Mt 25,40). Weißt du, was ich denke, wenn ich ein Gefängnis betrete? „Warum sie und nicht ich?“. Das ist das Erbarmen Gottes. Aber die Betreuung von Gefangenen tut allen, als menschlicher Gemeinschaft, gut, denn daran, wie man die Letzten behandelt, zeigt sich die Würde und Hoffnung einer Gesellschaft.

Liebe Brüder und Schwestern, in diesen Monaten beten wir intensiv für den Frieden. In diesem Zusammenhang ist das unterzeichnete Abkommen, das die Situation in Äthiopien betrifft, ein Lichtblick. Ich ermutige alle, dieses Bemühen um einen dauerhaften Frieden zu unterstützen, damit mit Gottes Hilfe weiterhin der Weg des Dialogs beschritten wird und das Volk bald wieder ein friedliches und würdevolles Leben führen kann. Und ich möchte auch nicht vergessen für die leidgeprüfte Ukraine zu beten und euch zu sagen, dass ihr für sie betet, damit dieser Krieg aufhört.

Und nun, liebe Brüder und Schwestern, sind wir am Ende angelangt. Ich möchte „danke“ sagen für diese gemeinsam verbrachten Tage; aber vergesst nicht die Freude, die Einheit und die Prophetie, vergesst sie nicht! Mit dankerfülltem Herzen segne ich euch alle, insbesondere diejenigen, die für diese Reise gearbeitet haben. Und da dies meine letzten öffentlichen Worte sind, erlaubt mir, Seiner Majestät dem König und den Autoritäten dieses Landes – auch dem Justizminister, der hier ist – für ihre vorzügliche Gastfreundschaft zu danken. Ich ermutige euch, euren geistlichen und kirchlichen Weg mit Beständigkeit und Freude fortzusetzen. Und nun wollen wir die Jungfrau Maria, die ich gerne als Unsere Liebe Frau von Arabien verehre, um ihre mütterliche Fürsprache anrufen. Möge sie uns helfen, dass wir uns immer vom Heiligen Geist leiten lassen. Sie erhalte in uns die Freude und lasse uns geeint sein in Zuneigung und im Gebet. Ich verlasse mich darauf: Vergesst nicht, für mich zu beten.

[01692-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos obispos, sacerdotes, consagrados, seminaristas y agentes de pastoral, ¡buenos días!

Estoy contento de encontrarme entre ustedes, en esta comunidad cristiana que manifiesta bien su rostro “católico”, es decir, universal; una Iglesia formada por personas provenientes de muchas partes del mundo, que se reúnen para confesar la única fe en Cristo. Mons. Hinder, a quien agradezco su servicio y sus palabras, habló ayer de «un pequeño rebaño constituido por migrantes». Así que, saludando a cada uno de ustedes, pienso también en sus pueblos de pertenencia, en sus familias, que llevan en el corazón con un poco de nostalgia, en sus países de origen. En particular, viendo aquí presentes a fieles del Líbano, aseguro mi oración y cercanía a ese amado país, tan cansado y tan probado, y a todos los pueblos que sufren en Oriente Medio. Es hermoso pertenecer a una Iglesia formada de historias y rostros diversos que encuentran armonía en el único rostro de Jesús. Y dicha variedad —que he visto en estos días— es el espejo de este país, de la gente que habita en él, así como del paisaje que lo caracteriza y que, aun dominado por el desierto, posee una rica y variada presencia de plantas y de seres vivos.

Las palabras de Jesús que hemos escuchado hablan del agua viva que brota de Cristo y de los creyentes (cf.Jn7,37-39). Me hicieron pensar precisamente en esta tierra. Es verdad, hay mucho desierto, pero también hay manantiales de agua dulce que corren silenciosamente en el subsuelo, irrigándolo. Es una hermosa imagen de lo que son ustedes y sobre todo de lo que la fe realiza en la vida; emerge a la superficie nuestra humanidad, demacrada por muchas fragilidades, miedos, desafíos que debe afrontar, males personales y sociales de distinto tipo; pero en el fondo del alma, bien adentro, en lo íntimo del corazón, corre serena y silenciosa el agua dulce del Espíritu, que riega nuestros desiertos, vuelve a dar vigor a lo que amenaza con secarse, lava lo que nos degrada, sacia nuestra sed de felicidad. Y siempre renueva la vida. Esta es el agua viva de la que habla Jesús, esta es la fuente de vida nueva que nos promete: el don del Espíritu Santo, la presencia tierna, amorosa y revitalizadora de Dios en nosotros.

Nos hace bien, pues, detenernos en la escena que describe el Evangelio. Jesús se encontraba en el templo de Jerusalén, donde se estaba celebrando una de las fiestas más importantes, durante la cual el pueblo bendecía al Señor por el don de la tierra y de las cosechas, haciendo memoria de la Alianza. En ese día de fiesta se realizaba un rito importante: el sumo sacerdote se dirigía a la piscina de Siloé, sacaba agua y luego, mientras el pueblo cantaba y exultaba, la derramaba fuera de los muros de la ciudad para indicar que de Jerusalén iba a fluir una gran bendición para todos. En efecto, sobre Jerusalén el salmista había dicho: «Todas mis fuentes están en ti» (Sal87,7); y el profeta Ezequiel había hablado de un manantial de agua que, brotando del templo, iba a irrigar y fecundar como un río toda la tierra (cf.Ez47,1-12).

En vista de lo anterior, comprendemos bien qué quiere decirnos el Evangelio de Juan con esta escena: estamos en el último día de la fiesta, Jesús, «poniéndose de pie», exclamó: «El que tenga sed, venga a mí» (Jn7,37), porque «de su seno brotarán manantiales de agua viva» (v. 38). ¡Qué invitación más hermosa! Y el evangelista explica: «Él se refería al Espíritu que debían recibir los que creyeran en él. Porque el Espíritu no había sido dado todavía, ya que Jesús aún no había sido glorificado» (v. 39). Se hace referencia a la hora en que Jesús muere en la cruz. En ese momento, ya no es del templo de piedras, sino del costado abierto de Cristo que saldrá el agua de la vida nueva, el agua vivificante del Espíritu Santo, destinada a regenerar a toda la humanidad liberándola del pecado y de la muerte.

Hermanos y hermanas, recordemos siempre esto: la Iglesia nace allí, nace del costado abierto de Cristo, de un baño de regeneración en el Espíritu Santo (cf.Tt3,5). No somos cristianos por nuestros méritos o sólo porque nos adherimos a un credo, sino porque en el Bautismo nos fue donada el agua viva del Espíritu, que nos hace hijos amados de Dios y hermanos entre nosotros, convirtiéndonos en criaturas nuevas. Todo brota de la gracia, —todo es gracia—, todo viene del Espíritu Santo. Permítanme, entonces, detenerme brevemente con ustedes sobretres grandes donesque el Espíritu Santo nos da y nos pide que acojamos y vivamos:la alegría,la unidadyla profecía.La alegría, la unidad y la profecía.

En primer lugar, el Espíritu esfuente de alegría. El agua dulce que el Señor quiere hacer correr en los desiertos de nuestra humanidad, amasada de tierra y de fragilidad, es la certeza de no estar nunca solos en el camino de la vida. En efecto, el Espíritu es Aquel que no nos deja solos, es el Consolador; nos alienta con su presencia discreta y benéfica, nos acompaña con amor, nos sostiene en las luchas y en las dificultades, anima nuestros sueños más hermosos y nuestros deseos más grandes, abriéndonos al asombro y a la belleza de la vida. Por eso, la alegría del Espíritu no es un estado ocasional o una emoción del momento; tampoco es esa especie de «alegría consumista e individualista tan presente en algunas experiencias culturales de hoy» (Exhort. ap.Gaudete et exsultate, 128). En cambio, la alegría en el Espíritu es aquella que nace de la relación con Dios, de saber que, aun en las dificultades y en las noches oscuras que a veces atravesamos, no estamos solos, perdidos o derrotados, porque Él está con nosotros. Y con Él podemos afrontar y superar todo, incluso los abismos del dolor y de la muerte.

A ustedes, que han descubierto esta alegría y la viven en comunidad, quisiera decirles:consérvenla, más aún,multiplíquenla. ¿Y saben cuál es la mejor manera para hacer esto?Dándola. Sí, es así, la alegría cristiana es contagiosa, porque el Evangelio hace salir de sí mismo para comunicar la belleza del amor de Dios. Por lo tanto, es esencial que en las comunidades cristianas la alegría no decaiga y se comparta; que no nos limitemos a repetir gestos por rutina, sin entusiasmo, sin creatividad. De lo contrario, perderemos la fe y nos convertiremos en una comunidad aburrida, ¡y eso es malo! Es importante que, además de la liturgia, particularmente en la celebración de la Misa, fuente y cumbre de la vida cristiana (cf.Sacrosanctum Concilium, 10), hagamos circular la alegría del Evangelio también a través de una acción pastoral dinámica, especialmente para los jóvenes, las familias y las vocaciones a la vida sacerdotal y religiosa. La alegría cristiana no se puede retener para uno mismo; sólo cuando la hacemos circular, se multiplica.

En segundo lugar, el Espíritu Santo esfuente de unidad. Los que lo acogen reciben el amor del Padre y se convierten en sus hijos (cf.Rm8,15-16); y, si son hijos de Dios, son también hermanos y hermanas. No puede haber lugar para las obras de la carne, es decir, del egoísmo; como las divisiones, las peleas, las calumnias, las murmuraciones. Por favor estén atentos al chismorreo, las habladurías destruyen una comunidad. Las divisiones del mundo, y también las diferencias étnicas, culturales y rituales, no pueden dañar o comprometer la unidad del Espíritu. Por el contrario, su fuego destruye los deseos mundanos y enciende nuestras vidas con ese amor acogedor y compasivo con el que Jesús nos ama, para que también nosotros podamos amarnos así entre nosotros. Por eso, cuando el Espíritu del Resucitado desciende sobre los discípulos, se convierte en fuente de unidad y de fraternidad contra todo egoísmo; inaugura el único lenguaje del amor, para que los diversos lenguajes humanos no permanezcan lejanos e incomprensibles; rompe las barreras de la desconfianza y del odio, para crear espacios de acogida y de diálogo; libera del miedo e infunde la valentía de salir al encuentro de los demás con la fuerza desarmada y desarmante de la misericordia.

Esto es lo que hace el Espíritu Santo, modela de este modo a la Iglesia desde sus orígenes. Desde Pentecostés las procedencias, las sensibilidades y las diferentes visiones se armonizan en la comunión, se forjan en una unidad que no es uniformidad, es armonía, porque el Espíritu Santo es armonía. Si hemos recibido el Espíritu, nuestra vocación eclesial es principalmente la de cuidar la unidad y cultivar el conjunto, es decir —como dice san Pablo— «conservar la unidad del Espíritu, mediante el vínculo de la paz. Hay un solo Cuerpo y un solo Espíritu, así como hay una misma esperanza, a la que hemos sido llamados» (Ef4,3-4).

En su testimonio, Chris ha dicho que, cuando era muy joven, lo que le había fascinado de la Iglesia católica era «la devoción común de todos los fieles»; todos reunidos en una sola familia, todos para cantar las alabanzas del Señor, sin importar el color de la piel, la procedencia geográfica o el idioma. Esta es la fuerza de la comunidad cristiana, el primer testimonio que podemos dar al mundo. ¡Tratemos de ser custodios y constructores de unidad! Para ser creíbles en el diálogo con los demás, vivamos la fraternidad entre nosotros. Hagámoslo en las comunidades, valorando los carismas de todos sin mortificar a nadie; hagámoslo en las casas religiosas, como signos vivos de concordia y de paz; hagámoslo en las familias, de modo que el vínculo de amor del sacramento se traduzca en actitudes cotidianas de servicio y de perdón; hagámoslo también en la sociedad multirreligiosa y multicultural en la que vivimos. Estemos siempre en favor del diálogo, —siempre—, seamos tejedores de comunión con los hermanos de otros credos y confesiones. Sé que en este camino ustedes ya dan un hermoso ejemplo, pero la fraternidad y la comunión son dones que no debemos cansarnos de pedir al Espíritu, para rechazar las tentaciones del enemigo, que siempre siembra cizaña.

Por último, el Espíritu esfuente de profecía. La historia de la salvación, como sabemos, está repleta de numerosos profetas que Dios llama, consagra y envía en medio del pueblo para que hablen en su nombre. Los profetas reciben del Espíritu Santo la luz interior que los hace intérpretes atentos de la realidad, capaces de captar dentro de las tramas, a menudo oscuras, de la historia, la presencia de Dios, e indicarla al pueblo. Con frecuencia las palabras de los profetas son penetrantes; llaman por su nombre a los proyectos de mal que se anidan en el corazón de la gente, ponen en crisis las falsas seguridades humanas y religiosas, e invitan a la conversión.

También nosotros tenemos esta vocación profética; todos los bautizados han recibido el Espíritu y todos son profetas. Y como tales no podemos fingir que no vemos las obras del mal, quedarnos en una “vida tranquila” para no ensuciarnos las manos.Un cristiano tarde o temprano debe ensuciarse las manos para vivir bien su vida cristiana y dar buen testimonio. Por el contrario, hemos recibido un Espíritu de profecía para manifestar el Evangelio con nuestro testimonio de vida. Por eso san Pablo exhorta: «Aspiren a los dones espirituales, sobre todo al de profecía» (1 Co14,1). La profecía nos hace capaces de practicar las bienaventuranzas evangélicas en las situaciones de cada día, es decir, de edificar con firme mansedumbre ese Reino de Dios en el que el amor, la justicia y la paz se oponen a toda forma de egoísmo, de violencia y de degradación. He apreciado que Sor Rose haya hablado del ministerio con las mujeres que se encuentran detenidas en las cárceles. ¡Esto es hermoso! Una posibilidad que debemos agradecer. La profecía que edifica y conforta a estas personas consiste en compartir con ellas el tiempo, anunciarles la Palabra del Señor, rezar con ellas. Es prestarles atención, porque allí donde hay hermanos necesitados, como los presos, está Jesús, Jesús herido en cada persona que sufre (cf.Mt25,40). ¿Sabes lo que pienso cuando entro en una cárcel? "¿Por qué ellos y no yo?". Es la misericordia de Dios. Pero hacerse cargo de los detenidos nos ayuda a todos, como comunidad humana, porque según cómo se trate a los últimos es como se mide la dignidad y la esperanza de una sociedad.

Queridos hermanos y hermanas, en estos meses estamos rezando mucho por la paz. En este contexto, el acuerdo firmado sobre la situación de Etiopía constituye una esperanza. Animo a todos a sostener este compromiso por una paz duradera, para que, con la ayuda de Dios, se sigan recorriendo los caminos del diálogo y el pueblo vuelva pronto a encontrar una vida serena y digna. Y además no quiero dejar de rezar y pedirles que recen por la martirizada Ucrania, para que esa guerra termine.

Y ahora, queridos hermanos y hermanas, hemos llegado al final. Quisiera decirles “gracias” por estos días vividos juntos. ¡No olviden la alegría, la unidad y la profecía! —No las olviden—. Con el corazón lleno de gratitud los bendigo a todos, especialmente a cuantos han trabajado por este viaje. Y, viendo que estas son las últimas palabras públicas que pronuncio, permítanme agradecer a Su Majestad el Rey y a las autoridades de este país —también el Ministro de Justicia, aquí presente— por la exquisita hospitalidad. Los animo a seguir con constancia y alegría su camino espiritual y eclesial. Y ahora invoquemos la intercesión maternal de la Virgen María, que me alegra venerar como Nuestra Señora de Arabia. Que Ella nos ayude a dejarnos guiar siempre por el Espíritu Santo y nos mantenga alegres, unidos en el afecto y en la oración. No se olviden de rezar por mí, cuento con ello.

[Angelus Dómini nuntiávit Mariæ….]

[01692-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Amados bispos, sacerdotes, consagrados e seminaristas, agentes pastorais, bom dia! Good morning!

Sinto-me feliz por me encontrar no vosso meio, nesta comunidade cristã que manifesta claramente o seu rosto «católico», isto é, universal: uma Igreja habitada por pessoas provenientes de muitas partes do mundo, que se reúnem para confessar a única fé em Cristo. O bispo D. Paulo Hinder, a quem agradeço o serviço e as suas palavras, ontem falou de «um pequeno rebanho formado por migrantes»: deste modo, ao saudar cada um de vós, penso também nos povos a que pertenceis, nas vossas famílias que saudosamente guardais no coração, nos vossos países de origem. De forma particular, ao ver aqui presentes os fiéis do Líbano asseguro a minha oração e solidariedade a este amado país, tão cansado, tão provado, e a todos os povos que sofrem no Médio Oriente. É bom pertencer a uma Igreja formada por histórias e rostos diferentes, que encontram harmonia no único rosto de Jesus. E tal variedade – vi-o nos últimos dias – é o espelho deste país, das pessoas que o povoam mas também da paisagem que o carateriza e que, embora dominada pelo deserto, goza duma rica e variegada presença de plantas e seres vivos.

As palavras de Jesus que ouvimos, falam da água viva que jorra de Cristo e dos crentes (cf. Jo 7, 37-39). Fizeram-me pensar precisamente nesta terra. É verdade que há muito deserto, mas existem também fontes de água doce que correm silenciosamente no subsolo, irrigando-o. É uma boa imagem do que vós sois e sobretudo daquilo que a fé realiza na vida: à superfície emerge a nossa humanidade, ressequida por tantas fragilidades, medos, desafios que deve enfrentar, males pessoais e sociais de vário género; mas no mais fundo da alma, mesmo dentro, no íntimo do coração, corre calma e silenciosa a água doce do Espírito, que irriga os nossos desertos, restitui vigor ao que corre o risco de secar, lava aquilo que nos embrutece, sacia a nossa sede de felicidade. E não cessa de renovar a vida. É desta água viva que fala Jesus; esta é a fonte de vida nova que Ele nos promete: o dom do Espírito Santo, a presença terna, amorosa e regeneradora de Deus em nós.

Assim far-nos-á bem deter na cena que o Evangelho descreve. Jesus encontra-se no templo de Jerusalém, onde está a celebrar-se uma das festas mais importantes, durante a qual o povo bendiz ao Senhor pela dádiva da terra e das colheitas, comemorando a Aliança. E, naquele dia de festa, realizava-se um rito importante: o sumo sacerdote ia à piscina de Siloé, tirava água e depois, enquanto o povo cantava e exultava, derramava-a fora das muralhas da cidade para indicar que, de Jerusalém, fluiria uma grande bênção para todos. De facto, o salmista havia dito de Jerusalém: «A minha única fonte está em ti» (Sal 87, 7); e o profeta Ezequiel falara duma nascente de água que, jorrando do templo, havia de irrigar e fecundar toda a terra como um rio (Ez 47,1-12).

Com tais premissas, compreendemos bem o que nos quer dizer o Evangelho de João com esta cena: está-se no último dia da festa e Jesus, «de pé», bradou: «Se alguém tem sede, venha a Mim» (Jo 7, 37), porque do seu seio jorrarão «rios de água viva» (7, 38). Que convite estupendo! E o evangelista explica: «Ele disse isto, referindo-se ao Espírito que iam receber os que n’Ele acreditassem; com efeito, ainda não tinham o Espírito, porque Jesus ainda não tinha sido glorificado» (7, 39). A alusão é à hora em que Jesus morre na cruz: naquele momento sairá, já não do templo de pedra, mas do lado aberto de Cristo a água da vida nova, a água vivificante do Espírito Santo, destinada a regenerar toda a humanidade, libertando-a do pecado e da morte.

Irmãos e irmãs, recordemo-nos sempre disto: a Igreja nasce ali, nasce do lado aberto de Cristo, de um banho de regeneração no Espírito Santo (cf. Tt 3, 5). Não somos cristãos por mérito nosso ou apenas porque aderimos a um credo, mas porque, no Batismo, nos foi dada a água viva do Espírito, que nos torna filhos amados de Deus e irmãos uns dos outros, fazendo-nos novas criaturas. Tudo jorra da graça – tudo é graça –, tudo vem do Espírito Santo. Deixai, pois, deter-me brevemente convosco sobre três grandes dons que o Espírito Santo nos entrega, pedindo para os acolhermos e vivermos: a alegria, a unidade e a profecia. A alegria, a unidade e a profecia.

Antes de mais nada, o Espírito é fonte de alegria. A água doce que o Senhor quer fazer correr nos desertos da nossa humanidade, feita de terra e fragilidade, é a certeza de nunca estarmos sozinhos no caminho da vida. De facto, o Espírito é Aquele que não nos deixa sozinhos, é o Consolador; conforta-nos com a sua discreta e benéfica presença, acompanha-nos com amor, ampara-nos nas lutas e dificuldades, encoraja os nossos sonhos mais belos e os nossos maiores desejos, abrindo-nos ao assombro perante a beleza da vida. Por isso, a alegria do Espírito não é um estado ocasional nem uma emoção do momento; e muito menos aquela espécie de «alegria consumista e individualista tão presente nalgumas experiências culturais de hoje» (Francisco, Exort. ap. Gaudete et exsultate, 128). Pelo contrário, a alegria no Espírito é aquela que nasce da relação com Deus, de saber que, mesmo nas dificuldades e noites obscuras que por vezes atravessamos, não estamos sozinhos, perdidos ou derrotados, porque Ele está connosco. E, com Ele, podemos enfrentar e superar tudo, até os abismos do sofrimento e da morte.

A vós, que descobristes esta alegria e a viveis em comunidade, gostaria de dizer: conservai-a; mais ainda, multiplicai-a. E sabeis qual é o método melhor para fazer isto? É dá-la. Sim, é mesmo assim: a alegria cristã é contagiante, porque o Evangelho faz sair de nós mesmos para comunicar a beleza do amor de Deus. Por isso, é essencial que, nas comunidades cristãs, não esmoreça a alegria e seja partilhada; não nos limitemos a repetir gestos por hábito, sem entusiasmo, nem criatividade. Caso contrário, perderemos a fé e tornar-nos-emos uma comunidade fastidiosa, e isto é feio! É importante fazer circular a alegria do Evangelho não só na Liturgia, em particular na celebração da Missa, fonte e ápice da vida cristã (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. Sacrosanctum Concilium, 10), mas também numa ação pastoral vivaz, especialmente a favor dos jovens, das famílias e das vocações para a vida sacerdotal e religiosa. A alegria cristã não a podemos guardar para nós mesmos e, quando a colocamos em circulação, multiplica-se.

Em segundo lugar, o Espírito Santo é fonte de unidade. Todos aqueles que O acolhem, recebem o amor do Pai e tornam-se seus filhos (cf. Rm 8, 15-16); e, se são filhos de Deus, são também irmãos e irmãs. Não pode haver espaço para as obras da carne, isto é, do egoísmo: divisões, litígios, calúnias, murmurações. Por favor, tende cuidado com a murmuração: as murmurações destroem uma comunidade. As divisões do mundo, e também as diferenças étnicas, culturais e rituais não podem ferir ou comprometer a unidade do Espírito. Pelo contrário, o seu fogo queima os desejos mundanos e incendeia a nossa vida com aquele amor acolhedor e compassivo com que Jesus nos ama, para podermos, por nossa vez, amar-nos assim entre nós. Por isso, quando o Espírito do Ressuscitado desce sobre os discípulos, torna-se fonte de unidade e fraternidade contra todo o egoísmo; inaugura a linguagem única do amor, para que as diferentes línguas humanas não permaneçam distantes e incompreensíveis; derruba as barreiras da difidência e do ódio, para criar espaços de acolhimento e diálogo; liberta do medo e infunde a coragem de sair ao encontro dos outros com a força desarmada e desarmante da misericórdia.

Isto é feito pelo Espírito Santo, que assim molda a Igreja desde as origens: a partir do Pentecostes, as diferentes proveniências, sensibilidades e perspetivas são harmonizadas na comunhão, forjadas numa unidade que não é uniformidade, é harmonia, porque o Espírito Santo é harmonia. Se recebemos o Espírito, a nossa vocação eclesial é, antes de mais nada, a de guardar a unidade e promover o todo ou – como diz São Paulo – «manter a unidade do Espírito, mediante o vínculo da paz. Há um só Corpo e um só Espírito, assim como a vossa vocação vos chamou a uma só esperança» (Ef 4, 3-4).

No seu testemunho, Chris disse que, quando era muito jovem, o que a fascinara na Igreja Católica era «a devoção comum de todos os fiéis», independentemente da cor da pele, da proveniência geográfica, da língua: todos reunidos numa só família, todos a cantar os louvores do Senhor. Esta é a força da comunidade cristã, o primeiro testemunho que podemos dar ao mundo. Procuremos ser guardiões e construtores de unidade! Para ser credíveis no diálogo com os outros, vivamos a fraternidade entre nós. Façamo-lo nas comunidades, valorizando os carismas de todos sem mortificar ninguém; façamo-lo nas casas religiosas, como sinais viventes de concórdia e de paz; façamo-lo nas famílias, de modo que o vínculo de amor do sacramento se traduza em atitudes quotidianas de serviço e de perdão; façamo-lo também na sociedade multirreligiosa e multicultural em que vivemos: sejamos sempre a favor do diálogo, sempre, tecedores de comunhão com os irmãos de outros credos e confissões. Sei que já dais um bom exemplo neste caminho, mas a fraternidade e a comunhão são dons que não nos devemos cansar de pedir ao Espírito, para repelir as tentações do inimigo que não cessa de semear cizânia.

Por fim, o Espírito é fonte de profecia. Como sabemos, a história da salvação está constelada por numerosos profetas que Deus chama, consagra e envia ao meio do povo para falar em nome d’Ele. Os profetas recebem do Espírito Santo a luz interior que os torna intérpretes atentos da realidade, capazes de captar, nas tramas por vezes obscuras da história, a presença de Deus e de a indicar ao povo. Com frequência, as palavras dos profetas são pungentes: chamam pelo nome aos projetos maus que se abrigam no coração das pessoas, põem em crise as falsas seguranças humanas e religiosas, convidam à conversão.

Também nós temos esta vocação profética: todos os batizados receberam o Espírito e todos são profetas. E, como tal, não podemos fingir que não vemos as obras do mal, deixar-nos estar tranquilos na vida para não sujarmos as mãos. Um cristão, mais cedo ou mais tarde, tem de sujar as mãos para viver a sua vida cristã e dar testemunho. Pelo contrário, recebemos um Espírito de profecia para trazer à luz o Evangelho com o nosso testemunho de vida. Por isso São Paulo exorta: «aspirai aos dons do Espírito, mas sobretudo ao da profecia» (1 Cor 14, 1). Esta torna-nos capazes de praticar as Bem-aventuranças evangélicas nas situações quotidianas, isto é, construir com firme mansidão aquele Reino de Deus onde o amor, a justiça e a paz se opõem a toda a forma de egoísmo, violência e degradação. Ouvi, com apreço, a Irmã Rose falar do seu ministério entre as reclusas, nas prisões. Isto é estupendo! Uma possibilidade pela qual devemos agradecer. A profecia que edifica e conforta estas pessoas é partilhar com elas o tempo, distribuir em pedacinhos a Palavra do Senhor, rezar com elas. É prestar-lhes atenção, porque onde há irmãos necessitados, como os reclusos, está Jesus: Jesus ferido em cada pessoa que sofre (cf. Mt 25, 40). Sabeis o que penso quando entro num cárcere? «Porquê ele, e não eu?». É a misericórdia de Deus. Mas cuidar dos reclusos é útil a todos, como comunidade humana, porque é pela forma como se tratam os últimos que se mede a dignidade e a esperança duma sociedade.

Nestes meses, queridos irmãos e irmãs, temos rezado tanto pela paz. Neste contexto, constitui uma esperança o acordo que foi assinado a respeito da situação na Etiópia. Encorajo todos a apoiar este compromisso em prol duma paz duradoura, para que, com a ajuda de Deus, se continuem a percorrer os caminhos do diálogo e o povo volte em breve a encontrar uma vida serena e digna. Além disso não quero esquecer de rezar e dizer-vos para rezardes pela atribulada Ucrânia, para que acabe aquela guerra.

E agora, queridos irmãos e irmãs, chegamos ao fim. Quero dizer-vos «obrigado» por estes dias que vivemos juntos; mas não esqueçais a alegria, a unidade e a profecia. Não as esqueçais! Com ânimo repleto de gratidão, abençoo a todos vós, especialmente a quantos trabalharam para esta viagem. E, uma vez que serão estas as últimas palavras públicas que pronuncio, permiti-me agradecer a Sua Majestade o Rei e às Autoridades deste país – nomeadamente ao Ministro da Justiça, aqui presente – a requintada hospitalidade. Encorajo-vos a continuar, com constância e alegria, o vosso caminho espiritual e eclesial. E agora invoquemos a intercessão materna da Virgem Maria, sentindo-me feliz por a venerar como Nossa Senhora da Arábia. Que Ela nos ajude a deixar-nos sempre guiar pelo Espírito Santo e nos mantenha alegres, unidos no afeto e na oração. Conto com a vossa oração: não vos esqueçais de rezar por mim.

[Angelus Dómini nuntiávit Mariæ….]

[01692-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy biskupi, kapłani, osoby konsekrowane i seminarzyści, pracownicy duszpasterscy, dzień dobry! Good morning!

Cieszę się, że jestem wśród was, w tej wspólnocie chrześcijańskiej, która dobrze ukazuje swoje oblicze „katolickie”, czyli powszechne: Kościół, którego członkami są osoby pochodzące z wielu stron świata, które znajdują się razem, żeby wyznawać jedyną wiarę w Chrystusa. Biskup Hinder, któremu dziękuję za jego posługę i za jego słowa, mówił wczoraj o „małej trzódce składającej się z migrantów”. Pozdrawiając każdego z was, kieruję więc moją myśl także ku narodom, do których należycie, do waszych rodzin, które z nutą tęsknoty nosicie w sercach, do waszych krajów pochodzenia. W szczególności, widząc obecnych wiernych z Libanu, zapewniam was o moich modlitwach i bliskości z tym umiłowanym krajem, tak umęczonym, tak wystawianym na próby, oraz ze wszystkimi narodami cierpiącymi na Bliskim Wschodzie. Wspaniale jest należeć do Kościoła składającego się z różnych historii i twarzy, które odnajdują harmonię w jedynym obliczu Jezusa. I taka różnorodność – a widziałem ją w tych dniach – jest odzwierciedleniem tego kraju, ludzi, którzy go zamieszkują, ale także krajobrazu, który go charakteryzuje i który, choć zdominowany przez pustynię, szczyci się bogatą i różnorodną obecnością roślin i istot żywych.

Słowa Jezusa, które usłyszeliśmy, mówią o wodzie żywej, która wypływa z Chrystusa i z wierzących (por. J 7, 37-39). Skierowały one moje myśli właśnie ku tej ziemi: to prawda, jest tu wiele pustyni, ale są też źródła słodkiej wody, płynące bezgłośnie pod ziemią i nawadniające ją. Jest to piękny obraz tego, czym jesteście, a przede wszystkim tego, co wiara działa w życiu: na powierzchni wyłania się nasze człowieczeństwo, uczynione nieczułym przez wiele słabości, lęków, wyzwań, którym musi stawić czoła, bolączek osobistych i społecznych różnego rodzaju; ale w głębi duszy, właśnie wewnątrz, w głębi serca, płynie spokojna i cicha, słodka woda Ducha, która nawadnia nasze pustynie, przywraca żywotność temu, co jest zagrożone wyschnięciem, obmywa to, co nas oszpeca, zaspokaja nasze pragnienie szczęścia. I zawsze odnawia życie. To o tej żywej wodzie mówi Jezus, i ona jest źródłem nowego życia, które On nam obiecuje: dar Ducha Świętego, czułą, kochającą i odradzającą obecność Boga w nas.

Warto, abyśmy się zastanowili nad sceną, którą opisuje Ewangelia. Jezus znajduje się w świątyni jerozolimskiej, gdzie obchodzone jest jedno z najważniejszych świąt Izraela, podczas którego lud błogosławi Pana za dar ziemi i plony, upamiętniając Przymierze. W tym dniu święta odbywał się ważny obrzęd: arcykapłan udawał się do sadzawki Siloe, czerpał wodę, a następnie, podczas gdy lud śpiewał i radował się, wylewał ją na zewnątrz z murów miasta, aby wskazać, że z Jerozolimy spłynie na wszystkich wielkie błogosławieństwo. Właśnie o Jerozolimie powiedział psalmista: „W tobie są wszystkie me źródła” (Ps 87, 7); a prorok Ezechiel mówił o źródle wody, które wypływając ze świątyni jak rzeka, nawadniałoby i użyźniało całą ziemię (Ez 47, 1-12).

Dzięki tym wprowadzeniom dobrze rozumiemy, co chce nam powiedzieć poprzez tę scenę Ewangelia św. Jana: jesteśmy w ostatnim dniu święta, Jezus stoi „wyprostowany” i głośno obwieszcza: „Jeśli ktoś jest spragniony… niech przyjdzie do Mnie” (J 7, 37), bo z Jego łona popłyną „strumienie wody żywej” (w. 38). Jakie piękne zaproszenie! A Ewangelista wyjaśnia: „A powiedział to o Duchu, którego mieli otrzymać wierzący w Niego; Duch bowiem jeszcze nie był (dany), ponieważ Jezus nie został jeszcze uwielbiony” (w. 39). Odnosi się to do godziny, w której Jezus umiera na krzyżu: w tym momencie już nie ze świątyni z kamieni, ale z otwartego boku Chrystusa wypłynie woda nowego życia, życiodajna woda Ducha Świętego, przeznaczona do odrodzenia całej ludzkości, uwalniając ją od grzechu i śmierci.

Bracia i siostry, pamiętajmy o tym zawsze: tam rodzi się Kościół, rodzi się z otwartego boku Chrystusa, z kąpieli odnowy w Duchu Świętym (por. Tt 3, 5). Nie jesteśmy chrześcijanami dla naszych zasług lub tylko dlatego, że wyznajemy pewne credo, ale dlatego, że w Chrzcie została nam dana żywa woda Ducha Świętego, która czyni nas umiłowanymi dziećmi Boga i braćmi między sobą, czyniąc nas nowymi stworzeniami. Wszystko wypływa z łaski, wszystko jest łaską! Wszystko pochodzi od Ducha Świętego. A zatem, pozwólcie mi pokrótce zatrzymać się z wami na trzech wielkich darach, które Duch Święty nam daje, prosząc, abyśmy je przyjęli i przeżywali: radość, jedność i proroctwo. Radość, jedność i proroctwo.

Przede wszystkim Duch Święty jest źródłem radości. Słodka woda, którą Pan chce rozlać na pustyniach naszego człowieczeństwa, zmieszana z ziemią i kruchością, to pewność, że nigdy nie będziemy sami na drodze życia. Rzeczywiście, Duch Święty jest Tym, który nie pozostawia nas samych, jest Pocieszycielem; pociesza nas swoją dyskretną i dobroczynną obecnością, towarzyszy nam z miłością, podtrzymuje nas w naszych zmaganiach i trudnościach, zachęca do naszych najpiękniejszych marzeń i największych pragnień, otwierając nas na zadziwienie i piękno życia. Radość Ducha nie jest więc stanem okazjonalnym czy chwilową emocją, a tym bardziej nie jest to „radość konsumpcyjna i indywidualistyczna, tak bardzo obecna w niektórych dzisiejszych doświadczeniach kulturowych” (Adhort. apost. Gaudete et exsultate, 128). Natomiast radość w Duchu jest tą, która rodzi się z relacji z Bogiem, ze świadomości, że nawet w zmaganiach i ciemnych nocach, przez które czasami przechodzimy, nie jesteśmy sami, zagubieni lub pokonani, ponieważ On jest z nami. A z Nim możemy stawić czoła wszystkiemu i wszystko pokonać, nawet otchłanie cierpienia i śmierci.

Wam, którzy odkryliście tę radość i żyjecie nią we wspólnocie, chciałbym powiedzieć: zachowujcie , więcej, pomnażajcie . A czy wiecie, jaka jest najlepsza metoda, aby to czynić? Dawać ją. Tak, jest tak: radość chrześcijańska jest zaraźliwa, ponieważ Ewangelia uczy człowieka zapominać o sobie, by głosić piękno Bożej miłości. Zatem bardzo istotne jest to, aby we wspólnotach chrześcijańskich nie zabrakło radości i aby była ona dzielona z innymi; abyśmy nie ograniczali się do powtarzania gestów z przyzwyczajenia, bez entuzjazmu, bez kreatywności. W przeciwnym razie stracimy wiarę i staniemy się nudną wspólnotą, a to jest okropne! Ważne jest, abyśmy oprócz liturgii, zwłaszcza celebracji Mszy Świętej, będącej źródłem i szczytem życia chrześcijańskiego (por. Konst. Sacrosanctum Concilium, 10), rozpowszechniali radość Ewangelii także w dynamicznym działaniu duszpasterskim, zwłaszcza w odniesieniu do młodzieży, do rodzin oraz do powołanych do życia kapłańskiego i zakonnego. Radości chrześcijańskiej nie można zatrzymać dla siebie, a gdy wprowadzamy ją w obieg, zaczyna się pomnażać.

Po drugie, Duch Święty jest źródłem jedności. Ci, którzy Go przyjmują, otrzymują miłość Ojca i stają się Jego dziećmi (por. Rz 8, 15-16); a skoro są dziećmi Bożymi, są także braćmi i siostrami. Nie może być miejsca na uczynki ciała, czyli na egoizm: na podziały, kłótnie, obmowy, plotki. Proszę was, uważajcie na plotkowanie: plotki niszczą wspólnotę. Podziały świata, a nawet różnice etniczne, kulturowe i obrzędowe nie mogą ranić ani naruszać jedności Ducha. Wręcz przeciwnie, Jego ogień wypala pragnienia światowe i rozpala nasze życie tą przyjazną i współczującą miłością, którą kocha nas Jezus, abyśmy i my mogli w ten sposób miłować się nawzajem. Z tego względu, gdy Duch Zmartwychwstałego zstępuje na uczniów, staje się źródłem jedności i braterstwa wbrew wszelkiemu egoizmowi; inicjuje jedyny język miłości, aby różne języki ludzkie nie pozostawały odrębne i niezrozumiałe; obala bariery nieufności i nienawiści, aby stworzyć przestrzenie dla akceptacji i dialogu; uwalnia nas od lęku i dodaje odwagi, aby wyjść na spotkanie innych z rozbrojoną i rozbrajającą mocą miłosierdzia.

To właśnie czyni Duch Święty, kształtując w ten sposób Kościół od samego początku: począwszy od Pięćdziesiątnicy, różne środowiska, wrażliwości i wizje są harmonizowane w komunii, przekuwane w jedność, która nie jest jednolitością, jest harmonią, bowiem Duch Święty jest harmonią. Jeśli otrzymaliśmy Ducha, naszym powołaniem w Kościele jest przede wszystkim strzeżenie jedności i pielęgnowanie bycia razem, czyli – jak mówi św. Paweł – „zachowanie jedności Ducha dzięki więzi, jaką jest pokój. Jedno jest Ciało i jeden Duch, bo też zostaliście wezwani do jednej nadziei, jaką daje wasze powołanie” (Ef 4, 3-4).

W swoim świadectwie Chris powiedziała, że kiedy była bardzo młoda, tym, co zafascynowało ją w Kościele katolickim, była „wspólna pobożność wszystkich wiernych”, niezależnie od koloru skóry, pochodzenia geograficznego, języka: wszyscy zgromadzeni w jednej rodzinie, wszyscy wyśpiewujący chwałę Panu. To jest siła wspólnoty chrześcijańskiej, pierwsze świadectwo, jakie możemy dać światu. Starajmy się być stróżami i budowniczymi jedności! Aby być wiarygodnym w dialogu z innymi, żyjmy w braterstwie między sobą. Czyńmy to we wspólnotach, ceniąc charyzmaty wszystkich, bez upokarzania kogokolwiek; czyńmy to w domach zakonnych, jako żywe znaki zgody i pokoju; czyńmy to w rodzinach, aby sakramentalna więź miłości przekładała się na codzienne postawy służby i przebaczenia; czyńmy to także w społeczeństwie wieloreligijnym i wielokulturowym, w którym żyjemy: zawsze na rzecz dialogu, zawsze, jako tkacze jedności z braćmi innych wyznań i religii. Wiem, że już dajecie piękny przykład na tej drodze, ale braterstwo i komunia to dary, o które musimy niestrudzenie prosić Ducha, aby odeprzeć pokusy nieprzyjaciela, który zawsze sieje chwast.

Duch Święty jest wreszcie źródłem proroctwa. Historia zbawienia, jak wiemy, jest usiana licznymi prorokami, których Bóg powołuje, konsekruje i posyła pomiędzy lud, aby mówili w Jego imieniu. Prorocy otrzymują od Ducha Świętego wewnętrzne światło, które czyni ich uważnymi interpretatorami rzeczywistości, zdolnymi do uchwycenia, w niekiedy niejasnych splotach historii, obecności Boga i wskazania jej ludowi. Często słowa proroków są surowe: nazywają po imieniu zamiary zła, które czają się w sercach ludzi, podważają fałszywe przekonania ludzkie i religijne, wzywają do nawrócenia.

My również mamy to powołanie prorocze: wszyscy ochrzczeni otrzymali Ducha i wszyscy stali się prorokami. Nie możemy wobec tego udawać, że nie widzimy dzieł zła, trwać w „spokojnym życiu”, by nie pobrudzić sobie rąk. Chrześcijanin wcześniej czy później musi pobrudzić sobie ręce, aby żyć swoim życiem chrześcijańskim i dawać świadectwo. Przeciwnie, otrzymaliśmy Ducha proroctwa, aby naszym świadectwem życia wydobyć na światło dzienne Ewangelię. Dlatego św. Paweł napomina: „troszczcie się o dary duchowe, szczególnie zaś o dar proroctwa!” (1 Kor 14, 1). Proroctwo uzdalnia nas do praktykowania ewangelicznych błogosławieństw w sytuacjach każdego dnia, czyli do budowania ze stanowczą łagodnością królestwa Bożego, w którym miłość, sprawiedliwość i pokój przeciwstawiają się wszelkim formom egoizmu, przemocy i poniżenia. Cenię to, że siostra Rose mówiła o swojej posłudze wśród uwięzionych kobiet, w zakładach karnych, jest ona piękna! Jest to możliwość, za którą trzeba być wdzięcznym. Proroctwem, które buduje i pociesza te osoby, jest dzielenie z nimi czasu, dzielenie się Słowem Pańskim, modlitwa się z nimi. Jest to zwracanie na nie uwagi, bo tam, gdzie są potrzebujący bracia, jak więźniowie, tam obecny jest Jezus, Jezus zraniony w każdej osobie, która cierpi (por. Mt 25, 40). Wiesz, co myślę, gdy wchodzę do więzienia? „Dlaczego oni, a nie ja?”. To jest Boże miłosierdzie. Ale troska o więźniów robi dobrze wszystkim, jako wspólnocie ludzkiej, bowiem tym, jak się traktuje ostatnich, mierzy się godność i nadzieję społeczeństwa.

Drodzy bracia i siostry, w tych miesiącach bardzo wiele modlimy się o pokój. W tym kontekście, rodzi nadzieję podpisane porozumienie dotyczące sytuacji w Etiopii. Zachęcam wszystkich do wsparcia tego dążenia na rzecz trwałego pokoju, aby, z Bożą pomocą, były kontynuowane drogi dialogu, a ludzie mogli szybko znaleźć spokojne i godne życie. Ponadto, nie chcę też zapomnieć o modlitwie i powiedzieć wam, żebyście modlili się za udręczoną Ukrainę, żeby ta wojna się skończyła.

A teraz, drodzy bracia i siostry, dotarliśmy do końca. Chciałbym powiedzieć „dziękuję” za te dni wspólnie przeżyte; ale nie zapominajcie o radości, jedności i proroctwie, nie zapominajcie! Z sercem napełnionym wdzięcznością błogosławię was wszystkich, a szczególnie tych, którzy pracowali na rzecz tej podróży. A ponieważ są to moje ostatnie publiczne słowa, pozwolę sobie podziękować Jego Wysokości Królowi i Władzom tego kraju, także ministrowi sprawiedliwości, obecnemu tu, za wyjątkową gościnność. Zachęcam Was do kontynuowania, w sposób stały i radosny, waszego pielgrzymowania duchowego i eklezjalnego. A teraz prośmy o matczyne orędownictwo Dziewicę Maryję, którą z radością czczę jako Matkę Bożą Arabską. Niech Ona pomaga nam, byśmy zawsze pozwalali Duchowi Świętemu kierować nami, i zachowuje nas radosnymi, zjednoczonymi w miłości i modlitwie. Liczę na was: nie zapominajcie modlić się za mnie.

[Angelus Dómini nuntiávit Mariæ….]

[01692-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى البحرين

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع الأساقفة والكهنة والمكرّسين والإكليريكيّين والعاملين الرّعويّين

في كنيسة القلب الأقدس في المنامة

الأحد 6 تشرين الثّاني/نوفمبر 2022

الإخوة الأساقفة والكهنة والمكرّسين والإكليريكيّين والعاملين الرّعويّين الأعزّاء، صباح الخير!

يسعدني أن أكون بينكم، في هذه الجماعة المسيحيّة التي تُظهر بوضوح وجهها ”الكاثوليكيّ“، أي وجهها الجامعيّ: إنّها كنيسة يسكنها أشخاصٌ قَدِمُوا من أماكن كثيرة من العالم، والتقوا معًا وهم يعترفون بالإيمان الواحد بالمسيح. تكلّم المطران هندر يوم أمس، الذي أشكره على خدمته وعلى كلماته، على ”قطيعٍ صغيرٍ مكوّن من المهاجرين“: وإذ أحيّي كلّ واحدٍ منكم، أوجّه أيضًا تفكيري إلى شعوبكم التي تنتمون إليها، وإلى عائلاتكم التي تحِنّون إليها وتحملونها في قلوبكم، وأفكّر في بلادكم الأصليّة. وإذ أرى المؤمنين من لبنان، الحاضرين، أؤكّد صلاتي وقربي، خصّوصًا، من ذلك البلد الحبيب، والمُتعَب الذي يمرّ بمِحنَة، ومن كلّ الشّعوب التي تتألّم في الشّرق الأوسط. جميلٌ أن ننتمي إلى كنيسة مكوّنة من قصّص ووجوه مختلفة، والتي تجد انسجامها في وجه يسوع الواحد. وهذا التنوّع - الذي رأيته في هذه الأيّام - هو مرآة هذا البلد، والنّاس الذين يسكنونه. والمشاهد الطبيعيّة التي تميّزه، والذي يفاخر، بالرّغم من الصّحراء فيه، بتنوّع غنيّ من النّباتات والكائنات الحيّة.

كلمات يسوع التي سمعناها، تتكلّم على الماء الحيّ الذي يتدفّق من المسيح ومن المؤمنين (راجع يوحنّا ​​7، 37-39). هذه الكلمات جعلتني أفكّر في هذه الأرض بالتّحديد: توجد هنا صحراء كثيرة، هذا صحيح. لكن هناك أيضًا ينابيع مياه عذبة تجري بصمت تحت الأرض، وتسقيها. إنّها صورة جميلة لِمَا أنتم عليه، وخصّوصًا للإيمان الذي يعمل في الحياة: على السّطح تظهر إنسانيّتنا، التي يُصيبُها الجفاف بسبب الضّعف، والمخاوف والتّحديات الكثيرة التي علينا أن نواجهها، والشّرور الشّخصيّة والاجتماعيّة من مختلف الأنواع، ولكن، في خلفيّة روحنا، وفي داخلنا بالتّحديد، وفي أعماق قلبنا، يجري ماء الرّوح القدس العَذب بهدوء وصمت، فيسقي صحارينا، ويجدّد النشاط حيث يهدّده الجفاف، ويغسل ما يشوِّهنا، ويروي عطشنا إلى السّعادة. ويجدّد الحياة دائمًا. على الماء الحيّ هذا تكلّم يسوع، وهو ينبوع الحياة الجديدة التي وعدنا بها: عطيّة الرّوح القدس، وحضور الله الحنون والمحبّ والمتجدّد فينا.

حَسَنٌ لنا، إذن، أن نركّز على الحَدَث الذي وصفه الإنجيل. كان يسوع في هيكل أورشليم، حيث كان يُحتفل بأحد أهمّ الأعياد، والشّعب في أثنائها كان يبارك الرّبّ على عطيّة الأرض والمحاصيل، وكانوا يتذكّرون العهد. وفي يوم العيد هذا، كان يُقامُ طقس مهمّ: كان رئيس الكهنة يذهب إلى بركة سِلوام، ويغرف الماء، ثمّ، وبينما الشّعب يغنّي ويتهلّل، كان يَسكُبُهُ خارج أسوار المدينة، للإشارة إلى أنّه من أورشليم تَفيضُ نعمة كبيرة على الجميع. في الواقع، في أورشليم، قال صاحب المزمور: "فيكِ جَميعُ يَنابيعي" (مزمور 87، 7)، وتكلّمَ النّبي حزقيال على ينبوعِ ماءٍ، يخرج من الهيكل، ويسقي ويخصّب الأرض كلّها مثل النّهر (حزقيال 47، 1-12).

مع هذه المقدّمات، نفهم جيّدًا ما الذي يريد أن يقوله لنا إنجيل يوحنّا من هذا الحَدَث: نحن في اليوم الأخير من العيد، ويسوع وَقَفَ ”منتصبًا“، وبصوتٍ مرتفع أَعْلَنَ: "إِنْ عَطِشَ أَحَدٌ فليُقْبِلْ إِلَيَّ" (يوحنّا 7، 37)، لأنّ "أَنهارًا مِنَ الماءِ الحَيّ" ستجري من جوفِهِ. كم هي جميلةٌ هذه الدّعوة! وشرح الإنجيليُّ قائلًا: "وأَرادَ بِقَولِه الرُّوحَ الَّذي سيَنالُه المؤمِنونَ بِه، فلَم يَكُنْ هُناكَ بَعدُ مِن رُوح، لأَنَّ يسوعَ لم يَكُنْ قد مُجِّد" (آية 39). بهذا الكلام كان يشير إلى السّاعة التي يموت فيها يسوع على الصّليب: في تلك اللحظة، ليس من الهيكل الحجريّ، بل من جنب المسيح المفتوح، يخرج ماء الحياة الجديدة، وماء الرّوح القدس المُحيي، الهادف إلى أن يلد كلّ البشريّة ولادة جديدة ويحرّرها من الخطيئة والموت.

أيّها الإخوة والأخوات، لنتذكّر دائمًا هذا الأمر: الكنيسة وُلِدَت هناك، ووُلِدَت من جنب المسيح المفتوح، ومن تغطيس وولادة جديدة في الرّوح القدس (راجع طيطس 3، 5). نحن لسنا مسيحيّين لاستحقاق منَّا أو فقط لأنّنا نتمسك بقانون إيمان، بل لأنّنا أُعطِينا في المعموديّة ماء الرّوح القدس الحيّ، فصيّرنا أبناء الله المحبوبين وإخوة فيما بيننا، فصِرنا خليقة جديدة. كلّ شيء ينبعُ من النّعمة – كلّ شيء هو نِعمَة -، وكلّ شيء يأتي من الرّوح القدس. ولذلك، اسمحوا لِي أن أركّز معكم بإيجاز على ثلاثة مَوَاهِبَ كبرى، التي يمنحنا إيّاها الرّوح القدس ويطلب منّا أن نقبلها ونعيشها، وهي: الفرح والوَحدة والنّبوءة. الفرح والوَحدة والنّبوءة.

أوّلًا، الرّوح القدس هو ينبوع فرح. الماء العذب الذي أراد الرّبّ يسوع أن يجعله يجري في صحاري إنسانيّتنا، الممزوجة بالتّراب والضّعف، هو يقيننا بأنّنا لن نكون أبدًا وَحدنا في مسيرة الحياة. في الواقع، الرّوح القدس هو الذي لا يتركنا وحدنا، فهو المُعَزّي، الذي يسندنا بحضوره اللطيف والخَيِّر، ويرافقنا بمحبّة، ويدعمنا في الصّراعات والصّعوبات، ويشجّع أجمل أحلامنا وأكبر رغباتنا، ويجعلنا نندهش أمام جمال الحياة. لذلك، فرح الرّوح القدس ليس حالة عرضيّة أو شعورًا عابرًا، ولا حتّى ذلك النّوع من "الفرح الاستهلاكيّ والنزعة الفردانيّة الموجودة بكثرة في بعض الخبرات الثقافيّة الحاليّة" (الإرشاد الرّسولي، اِفَرحوا وابتَهِجوا، 128). بل، فرح الرّوح القدس هو فرحٌ يولد من علاقتنا مع الله، ومن معرفتنا أنّنا لسنا وحدنا، في الصّعاب والليالي المظلمة التي نمرُّ بها أحيانًا، ضائعين أو مهزومين، لأنّه معنا. ومعه يمكننا أن نواجه ونتغلّب على كلّ شيء، وحتّى على هاوية الألم والموت.

أنتم، الذين اكتشفتم هذا الفرح وتعيشونه في جماعاتكم، أودّ أن أقول لكم: حافظوا عليه. لا بل ضاعفوه. وهل تعلمون ما هي الطّريقة الأفضل لِفِعلِ ذلك؟ هي أن تَعطوه. نعم، أن تَعطوه: الفرح المسيحيّ مُعْدٍ، لأنّ الإنجيل يجعلنا نخرج من أنفسنا حتّى نُوصل جمال محبّة الله. لذلك، إنّه أمرٌ أساسيّ ألّا يغيب الفرح في الجماعات المسيحيّة وأن يتمّ مشاركته، وألّا نقتصر على أن نكرّر الحركات بدافع العادة، ومن دون حماس، ومن دون إبداع. وإلّا سنفقد إيماننا وسنصبح جماعة مُملّة، وهذا أمرٌ سيّء! من المهمّ، بالإضافة إلى الليتورجيّا، ولا سيّما الاحتفال بالقدّاس، الذي هو ينبوع وقِمَّة الحياة المسيحيّة (راجع دستور في الليتورجيّا المقدّسة، المجمع المقدّس، 10)، أن نجعل فرح الإنجيل ينتشر، وأيضًا في عمل رعويّ حيّ، وخصّوصًا للشّباب، والعائلات، والدّعوات إلى الحياة الكهنوتيّة والرّهبانيّة. لا يمكن أن نحتفظ بالفرح المسيحيّ لأنفسنا، وعندما نضعه في حلقة دائريّة، فإنّه يتضاعف.

ثانيًا، الرّوح القدس هو ينبوع الوَحدة. كلّ الذين يقبلونه، يقبلون محبّة الآب ويصبحون أبناءه (راجع رومة 8، 15-16)، وإن كانوا أبناء الله، فَهُم أيضًا إخوة وأخوات. لا يمكن أن يكون هناك مكان لأعمال الجسد، أي الأنانيّة: الانقسامات، والمشاجرات، والافتراءات، والثّرثرة. من فضلكم، كونوا متنبّهين من الثّرثرة، لأنّ الثّرثرة تهدم الجماعة. لا يمكن لانقسامات العالم، وحتّى الاختلافات العرقيّة والثقافيّة والطقسيّة، أن تزيل وَحدة الرّوح القدس أو أن تعرقلها. عكس ذلك، ناره تُحرِق الرّغبات الأرضيّة وتُشعِل حياتنا بتلك المحبّة المرحّبة والرّحيمة التي بها يحبّنا يسوع، حتّى نستطيع نحن أيضًا أن نحبّ بعضنا بعضًا بالطّريقة نفسها. لذلك، عندما ينزل روح الرّبّ القائم من بين الأموات على التّلاميذ، يصبح ينبوع وَحدة وأخوّة ضدّ كلّ أنانيّة، ويبدأ لغة المحبّة الوحيدة، حتّى لا تبقى اللغات البشريّة المختلفة بعيدة بعضها عن بعض وغير مفهومة، ويهدم حواجز عدم الثّقة والكراهية، لكي يخلق مساحات من الاستقبال والحوار، ويحرّر من الخوف ويمنح الشّجاعة لملاقاة الآخرين بقوّة الرّحمة غير المسلّحة والنّازعة للسّلاح.

هذا ما يعمله الرّوح القدس، الذي يصوغ الكنيسة هكذا منذ البداية: ابتداءً من العَنْصَرَة. الأصول والحساسيّات والرّؤى المختلفة يتمّ التنسيق بينها في الشّركة، وقد صيغت في واحة ليست ماحِيَةً للأفراد، بل في انسجام، لأنّ الرّوح القدس هو الانسجام. إن قبلنا الرّوح القدس، فإنّ دعوتنا الكنسيّة هي قبل كلّ شيء دعوة إلى أن نحافظ على الوَحدة وأن ننمّي ”الجماعة معًا“، أي – كما قال القدّيس بولس - "المُحافَظة على وَحدَةِ الرُّوحِ بِرِباطِ السَّلام. فهُناكَ جَسَدٌ واحِدٌ ورُوحٌ واحِد، كما أَنَّنا دُعينا دَعوَةً رَجاؤُها واحِد" (أفسس 4، 3-4).

قالت كريس في شهادتها إنّها عندما كانت شابّة صغيرة جدًّا، كان ما أثار إعجابها بالكنيسة الكاثوليكيّة هو ”العبادة والتّقوى المشتركة للمؤمنين جميعًا“، بغضّ النّظر عن لون بشرتهم، وأصلهم الجغرافيّ، ولغتهم: كانوا يجتمعون كلّهم في عائلة واحدة، ويرنّمون التّسابيح للرّبّ يسوع. هذه هي قوّة الجماعة المسيحيّة، وأوّل شهادة يمكن أن نقدّمها للعالم. لِنَكُنْ حرّاسًا وبنّائي وَحدة! ولكي نكون صادقين في حوارنا مع الآخرين، لنعش الأخوّة فيما بيننا. لنفعل ذلك في الجماعات، ولنقدّر مواهب الجميع دون أن نهين أحدًا، ولنفعل ذلك في الأديرة الرّهبانيّة، مثل علامات حيّة على التّوافق والسّلام، ولنفعل ذلك في العائلات، فيُترجم حينها رباط محبّة السّرّ إلى مواقف يوميّة من الخدمة والمغفرة، ولنفعل ذلك أيضًا في المجتمع المتعدّد الأديان والثّقافات الذي نعيش فيه: دائمًا من أجل الحوار، دائمًا، وناسجين للشّركة والوَحدة مع الإخوة من المعتقدات والطّوائف الأخرى. أعلَم أنّكم في هذا المسار تقدّمون بالفعل مثالًا جيّدًا، لكن، الأخوّة والشّركة هما عطيّتان يجب ألّا نتعب من طلبهما من الرّوح القدس، حتّى نطرد تجارب العدوّ، الذي يزرع الزّؤان دائمًا.

أخيرًا، الرّوح القدس هو ينبوع النّبوءة. تاريخ الخلاص، كما نعلَم، مليء بأنبياء كثيرين دعاهم الله، وكرّسهم وأرسلهم بين الشّعب لكي يتكلّموا باسمه. ينال الأنبياء من الرّوح القدس النّور الدّاخليّ الذي يجعلهم مترجمين متنبّهين للواقع، وقادرين على رؤية حضور الله في حبكات التّاريخ، الغامضة أحيانًا، ويظهرونه للشّعب. يكون كلام الأنبياء غالبًا حادًّا: فَهُم يُسمّون مشاريع الشّرّ بأسمائها، التي تختبئ في قلوب النّاس، ويضعون في حالة توتر الأمن البشريّ والدّينيّ الزّائف، ويدعون إلى التّوبة.

نحن أيضًا لدينا هذه الدّعوة النبويّة: كلّ المعمّدين قَبلوا الرّوح القدس وهم كلّهم أنبياء! وبكوننا أنبياء لا يمكننا أن نتظاهر بأنّنا لا نرى أعمال الشّرّ، ونبقى في ”الحياة الهادئة“ حتّى لا تتّسخ أيدينا. الإنسان المسيحيّ، عاجلًا أم آجلًا، عليه أن يوسّخ يديه كي يعيش حياته المسيحيّة ويُعطي شهادة عليها. عكس ذلك، لقد قبلنا روح النّبوءة لكي نحمل الإنجيل إلى النّور بشهادتنا في الحياة. لهذا يحثّنا القدّيس بولس قائلًا: "اطمَحوا إِلى مَواهِبِ الرُّوح، ولا سِيَّما النُّبوءَة" (1 قورنتس 14، 1). النّبوءة تجعلنا قادرين على أن نمارس التّطويبات الإنجيليّة في أوضاع الحياة اليوميّة، أي أن نبني بوداعة وحزم ملكوت الله حيث المحبّة والعدل والسّلام تعارض كلّ شكلٍ من أشكال الأنانيّة والعنف والتدنّي. أقدّر أنّ الرّاهبة روز تكلّمت على خدمتها بين السّجينات، في السّجون، هذا جميل! نشكر نشاطها. النّبوءة التي تبني هؤلاء الأشخاص وتعزّيهم هي أن نتشارك معهم الوقت، ونكسر كلمة الرّبّ يسوع، ونصلّي معهم. وأن نُولِيهم انتباهنا، لأنّه هناك، حيث يوجد إخوة محتاجون، مثل المساجين، هناك يوجد يسوع، يسوع الجريح في كلّ شخصٍ يتألّم (راجع متّى 25، 40). هل تعلم ماذا أفكّر أنا، عندما أدخل إلى أحد السّجون؟ ”لماذا هم في السّجن وليس أنا؟“. إنّها رحمة الله. أن نهتمّ بالسّجناء يفيد الجميع، الجماعة البشريّة كلّها، لأنّ كرامة المجتمع ورجاءه تقاس بكيفيّة الاهتمام بالأخيرين.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، في هذه الأشهر صلَّينا كثيرًا من أجل السّلام. وفي هذا السّياق، يُعتبر الاتّفاق الذي تمّ التّوقيع عليه، والمتعلّق بالوضع في أثيوبيا مصدر أمل ورجاء. أشجّع الجميع على دعم هذا الالتزام من أجل سلامٍ دائمٍ، حتّى نواصل، بمعونة الله، المسير في طريق الحوار، ويجد الشّعب قريبًا، من جديد، حياة هادئة وكريمة. وأيضًا، لا أريد أن أنسى أن أصلّي وأن أقول لكم أن تصلّوا من أجل أوكرانيا المعذّبة، حتّى تنتهي تلك الحرب.

والآن، أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، لقد وصلنا إلى النّهاية. أودّ أن أقول لكم ”شكرًا“ على هذه الأيّام التي عشناها معًا، ولكن، لا تَنسَوا الفرح والوَحدة والنّبوءة، لا تنسَوهم. وبقلبٍ مليء بالشّكر، أبارككم جميعًا، ولا سيّما الذين عملوا من أجل هذه الزّيارة. وبما أنّ هذه هي الكلمات العامّة الأخيرة التي أوجّهها، اسمحوا لِي بأن أشكر جلالة الملك وسُلطات هذا البلد – وأيضًا السيّد وزير العدل الحاضر هنا - على كرم ضيافتهم. أشجّعكم على أن تواصلوا مسيرتكم الرّوحيّة والكنسيّة بثبات وفرح. والآن، لنبتهل إلى شفاعة سيّدتنا مريم العذراء الوالديّة، التي يسعدني أن أكرّمها بسيّدة شبه الجزيرة العربيّة. لِتساعِدْنا حتّى نسير بهدى الرّوح القدس دائمًا ويجعلنا فرحين ومتّحدين في المودّة والصّلاة. أنا أعتمد عليكم: لا تنسَوْا أن تصلّوا من أجلي.

[01692-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0828-XX.02]