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Udienza ai Seminaristi e ai Sacerdoti che studiano a Roma, 26.10.2022


Dialogo del Santo Padre con i Seminaristi e i Sacerdoti

Traduzione in lingua francese

Lunedì 24 ottobre il Santo Padre Francesco ha incontrato in Vaticano i Seminaristi e i Sacerdoti che studiano a Roma.

Pubblichiamo di seguito il dialogo del Santo Padre con i presenti all’Udienza:

Dialogo del Santo Padre con i Seminaristi e i Sacerdoti

Signori Cardinali, signori Vescovi, sacerdoti!

Prima di tutto, chiedo scusa per il ritardo: davvero chiedo scusa, ma il problema è che è stata una giornataccia, perché ci sono state le visite di due Presidenti della Repubblica… Perciò questo ritardo. È un momento nel quale non è facile aspettare perché lo stomaco a quest’ora comincia a farsi sentire… Andiamo avanti.

Quando sono entrato ho visto: questo è un monumento allo stato clericale! Perché siete davvero tanti, tanti preti insieme, è un piacere. Così incominciamo.

Domanda

Santo Padre, vorrei chiederLe un consiglio sulla direzione spirituale dei giovani sacerdoti. Per i preti è facile essere guide spirituali per i laici, le religiose e coloro che sono ancora in formazione. A mio avviso, invece, è difficile per i sacerdoti cercare una direzione spirituale da parte di altri confratelli. Come consiglierebbe ai presbiteri, soprattutto a quelli giovani, di cercare questo aiuto spirituale per la loro formazione? Grazie.

Papa Francesco

Prima di tutto vi ringrazio per l’interesse, avete fatto 205 domande! Se c’è tempo, ne faremo dieci, perché questo è un po’ troppo!

Grazie Dominique. Il problema della direzione spirituale - oggi si usa più un termine meno direttivo, “accompagnamento” spirituale, che mi piace -. È obbligatoria la direzione spirituale, l’accompagnamento spirituale? No, non è obbligatorio, ma se tu non hai qualcuno che ti aiuti a camminare, cadrai, e farai rumore. A volte è importante essere accompagnato da qualcuno che conosca la mia vita, e che non è necessario sia il confessore; a volte va, ma l’importante è che siano due ruoli distinti. Tu vai dal confessore perché ti perdoni i peccati e vai preparandoti sui peccati. Vai dal direttore spirituale per dirgli le cose che stanno succedendo nel tuo cuore, le mozioni spirituali, le gioie, le rabbie e cosa succede dentro di te. Se ti relazioni solo con il confessore e non con il direttore spirituale, non saprai crescere, sarà una cosa che non va. Se ti relazioni solo con un direttore spirituale, un accompagnatore, e non vai a confessare i tuoi peccati, questo pure non va. Sono due ruoli diversi, e nelle scuole di spiritualità, per esempio quella gesuitica, Sant’Ignazio dice che è meglio distinguerli, che uno sia il confessore e un altro il direttore spirituale. A volte è lo stesso ma sono due cose diverse, che forse fa una sola persona, ma due cose diverse.

Secondo. La direzione spirituale non è un carisma clericale, è un carisma battesimale. I preti che fanno direzione spirituale hanno il carisma non perché preti, ma perché laici, perché battezzati. So che ci sono alcuni della Curia, forse qualcuno di voi, che fanno direzione spirituale con una suora che è brava, che insegna alla Gregoriana, è brava e lei è la direttrice spirituale. Vai, non c’è problema, è una donna di saggezza spirituale che sa dirigere. Alcuni movimenti hanno forse un laico saggio, una laica saggia. Questo lo dico perché non è un carisma sacerdotale. Può essere un sacerdote, ma non è esclusivamente dei sacerdoti. E per essere direttore spirituale ci vuole un’unzione grande. Per questo, alla tua domanda, direi: prima di tutto essere sicuro che io devo essere accompagnato, sempre. Perché la persona che non è accompagnata nella vita genera “funghi” nell’anima, i funghi che poi ti molestano. Malattie, solitudini sporche, tante cose brutte. Ho bisogno di essere accompagnato. Chiarire le cose. Cercare le emozioni spirituali, che qualcuno mi aiuti a capirle, cosa vuole il Signore con questo, dov’è la tentazione… Ho trovato alcuni studenti di teologia che non sapevano distinguere una grazia da una tentazione; bisogna che qualcuno mi accompagni. E questo non è necessario farlo tutte le settimane, no, tu vai dal direttore spirituale una volta al mese, ogni due mesi, quando hai materia per conferire con lui o con lei. Ma queste cose che siano chiare.

Come fare per trovare uno? State attenti, tu vedi qualcuno che ti attira per il modo in cui parla, che hai sentito da uno, dall’altro… Cerca il direttore spirituale, ma secondo quello che ho detto, credo che è importante: distinguere dal confessore, sono due ruoli diversi; è un carisma laicale, lo può fare un prete, un vescovo, una donna, un uomo laico; e poi trovare la persona che ti suscita fiducia e simpatia spirituale. Questo è molto importante, voi capite bene quello che vuol dire, quella sintonia che aiuta tanto.

Non so se ho risposto. È una cosa importante. Questo che dico adesso serva almeno perché nessuno di voi d’ora in avanti stia senza direzione spirituale, senza accompagnamento spirituale, perché non crescerà bene, lo dico per esperienza. Va bene? È chiaro per tutti? Va bene. Andiamo avanti.

Domanda

Santo Padre, potrebbe aiutarci a capire come possiamo essere nel ministero ponti tra il mondo della fede e quello della scienza? Quale consiglio concreto può dare a noi che nella pratica pastorale abbiamo la responsabilità di promuovere un dialogo, non certo una contrapposizione tra queste due aree. Grazie.

Papa Francesco

È importante non negare il ruolo della scienza, anche della scienza che va avanti, la scienza che fa ricerca, è importante, è molto importante. E le persone che studiano, ma anche se non sono ricercatori per ufficio, ogni persona, pensa agli studenti universitari, tutti dobbiamo essere aperti alle inquietudini che vengono dagli studenti. Prima di tutto, direi, ascoltare, essere aperti alle problematiche. Se vai per la strada della problematica, ti chiedi: come mai? E te lo chiedi più volte. E non dai una di quelle risposte che un tempo si usavano, nei libri fatti per rispondere a tutte le difficoltà contro la Chiesa, contro la nostra fede. Sono risposte che non servono, sono puramente teoriche, e non possiamo proporle come risposte all’altezza di un universitario che sta studiando quella specialità. Dobbiamo dare una risposta all’altezza, degna dell’uomo, e questo credo che sia molto importante: guardare con orizzonti larghi, larghi… E si può dire: “Io non conosco questo, ma tu riflettici…; l’annuncio della fede è questo, su questo punto ci sono questi orizzonti, guarda…”. Sempre aperto, e guidarlo... E puoi anche dire: “Io non so come rispondere, ma vai a trovare questa persona, quest’uomo, questa donna, questo prete, che è specialista in questo e ti può spiegare”. Non chiudere mai la porta, non chiudere. Anche se vengono da te con questioni che tu intuisci che non sono coerenti con la morale; se tu puoi rispondere, rispondi; se non puoi rispondere, cerca qualcuno che può farlo e di’: “Di questo puoi parlare con questo, con quell’altro”. Ma sempre aperto, sempre aperto. Perché un atteggiamento di difesa chiude il dialogo, chiude la porta. Aperto: “Sì, interessante…”.

Alla maggior parte delle cose possiamo rispondere noi perché le sappiamo. Quando gli studenti universitari vengono con un dubbio, vi do un consiglio: quando ti portano un dubbio da parte dell’università, per esempio, gli studenti – forse questo è il settore di maggior lavoro –, se è possibile, rispondere con un altro dubbio, e così tu sei attento e lo stesso gesto che lui fa a te tu lo fai a lui, così che non si senta troppo sicuro. “Tu mi domandi questo, bene, ma per te questo come va?”. Questo, Gesù lo faceva spesso, lo vediamo nel Vangelo. A una domanda che conteneva una trappola, Gesù rispondeva con un’altra domanda, e lasciava l’interlocutore in mezzo alla strada intellettuale. È importante rispondere così, o, se non viene, orientare a una persona che può rispondere su quell’aspetto scientifico, quell’aspetto che va contro la fede e a cui forse io non posso rispondere. Nella maggior parte dei casi, credo che si possa rispondere. Ma – è sempre un consiglio che vi do – non rispondere “all’aria”: rispondo a te, a te che mi fai la domanda. Se tu ti comprometti con questa domanda, io a te dico questo. Gesù lo faceva. Per esempio, quando guariva di sabato, diceva: “E tu? Tu non prendi la mucca per darle da bere, il sabato?” (cfr Lc 13,15). Gli faceva vedere la contraddizione nella stessa domanda. Quando sono cose scientifiche serie, che vanno oltre la nostra possibilità, dire quello che possiamo e quello che non sappiamo; dire: “Su questo devi domandare a uno che capisca di più di questa scienza”. Essere umile, avere la fede non è avere la risposta su tutto. Quel metodo di difesa della fede non va più, è un metodo anacronistico. Avere la fede, avere la grazia di credere in Gesù Cristo è essere in cammino. E che l’altro capisca che tu sei in cammino, che tu non hai tutte le risposte a tutte le domande. C’era un tempo in cui era alla moda una teologia di difesa e c’erano libri con domande per difendere. Quando io ero ragazzo era quello il metodo di difendersi. Sono riposte, alcune buone, altre chiuse ma che non fanno bene al dialogo. “Hai visto? Ti ho risposto, ho vinto io”. No, non va. Il dialogo con la scienza sempre aperto. E dire: questo non so spiegartelo, ma tu devi andare da questi scienziati, da queste persone che forse ti aiuteranno. Fuggire dalla contrapposizione religione/scienza, perché questo è un cattivo spirito, non è lo spirito vero del progresso umano. Il progresso umano farà andare avanti la scienza e anche conservare la fede.

Domanda

Caro Papa Francesco, in questo tempo di preparazione a Roma, come possiamo vivere il nostro ministero senza perdere quell’“odore delle pecore” proprio del nostro ministero sacerdotale? Grazie.

Papa Francesco

Sia per quelli di voi che studiano, sia per quelli che lavorano nella Curia o hanno qualche impiego, non è una cosa buona per la salute spirituale non avere contatto con il popolo santo di Dio, contatto presbiterale. Per questo, consiglio, anzi, dico ai Prefetti di guardare se qualcuno non ha questo ministero il sabato e la domenica, in una parrocchia o dove sia, di stare attenti e di invitare a farlo; e se non lo fa, di stare attenti e che ne parleremo. È importante mantenere il contatto con la gente, con il popolo fedele di Dio, perché c’è l’unzione del popolo di Dio: sono le pecore e, come tu dici, si può perdere l’odore delle pecore. Se tu le allontani, sarai un teorico, un teologo bravo, un filosofo bravo, un curiale bravissimo che fa tutte le cose, ma hai perso la capacità di sentire l’odore delle pecore. Anzi, la tua anima ha perso la capacità di lasciarsi svegliare dall’odore delle pecore. Per questo credo che sia importante – direi necessario, anzi, obbligatorio – che ognuno di voi abbia un’esperienza pastorale settimanale, almeno. In una parrocchia, in una casa di ragazzi o ragazze, o di anziani, qualunque sia, ma il contatto con il popolo di Dio. Mi raccomando. E dico ai Prefetti: vedete se c’è qualcuno che non lo fa: non per punirlo, ma per parlargli, perché è importante, e sta perdendo una grande forza, una grande forza della vita sacerdotale.

A me piace parlare con i preti delle “quattro vicinanze”. Vicinanza con Dio: tu preghi? Vicinanza con il vescovo: com’è la tua vicinanza con il vescovo? Sei uno di quelli che sparla del vescovo o “quanto più lontano tanto meglio”? O sei vicino al vescovo e vai a discutere con il vescovo? Terzo: vicinanza tra voi. È interessante, è una delle cose che si trovano sia nei seminari sia nei presbiteri: la mancanza di vera vicinanza fraterna tra i preti. Sì, tutti con un grande sorriso, ma poi se ne vanno e in piccoli gruppetti si spellano l’un l’altro. Questa non è vicinanza, questo è mancanza di fraternità. E la quarta: vicinanza al popolo di Dio. Se non c’è vicinanza al popolo di Dio, tu non sei un buon prete. E quella vicinanza si mantiene e si esercita con il ministero – in questo caso, settimanale.

Domanda

Buongiorno, Santo Padre. Il sacerdote è un segno dell’amore di Dio per gli uomini. Tuttavia, purtroppo, tante volte tale segno viene sfigurato a causa delle nostre mancanze. Santità, come fare per trovare un equilibrio tra l’esperienza della misericordia per le nostre mancanze e lo sforzo per vivere la virtù e raggiungere la santità? Quali, secondo Lei, sono gli aspetti più urgenti nella formazione dei seminari che vanno sottolineati e presi in considerazione affinché i seminaristi di oggi, ma pure quelli di domani, possano rispondere alla chiamata di Dio?

Papa Francesco

Grazie. Ci sono due cose diverse, in quello che hai detto. Prima hai usato una parola che a me non piace – non ti rimprovero, l’hai usata, ma non mi piace –: la parola “equilibrio”. La vita non è un equilibrio, cari, non è un equilibrio. E se tu trovi uno che pensa: “io sono equilibrato perfetto”, a questo direi: tu non sei niente! Perché l’equilibrio, che lo faccia quello che lavora nel circo, che fa quelle cose, che fa l’equilibrista. Ma la vita è uno squilibrio continuo, perché la vita è camminare e trovare, trovare difficoltà, trovare cose belle che ti portano avanti e queste ti squilibrano, sempre. Anzi, se tu hai delle pratiche da fare, è vero, hai bisogno di un equilibrio nella pratica, ma che non manchi anche quello tuo affettivo, diciamo così, che ti bilancia da una parte e dall’altra, e dire: “Io mi sento di questa parte”. Ma l’equilibrio, nella vita, è anche l’equilibrio con l’esperienza di perdono e di misericordia per il peccato. Ma grazie a Dio che siamo peccatori, caro, e grazie a Dio che abbiamo bisogno di andare tutte le settimane o ogni quindici giorni – io lo faccio ogni quindici giorni – dal confessore perché ci perdoni. E questo è uno squilibrio grande perché ti porta all’umiltà. La vita cristiana è un continuo camminare, cadere e alzarsi. Camminare un po’ solo un po’ con gli altri: non c’è una tabella di marcia. Certo, tu metti lì il navigatore sulla macchina e vai. Ci sono dei consigli di preghiera, di cose che ti aiutano a crescere. Questo è lo squilibrio. Anzi, direi il contrario: come vivere nello squilibrio, nello squilibrio quotidiano. Non avere paura dello squilibrio: siamo umani. E nello squilibrio fare il discernimento. Una persona “equilibrata” non può fare il discernimento, perché non ha mozioni di spirito. Nello squilibrio ci sono delle mozioni di Dio che ti invitano a qualcosa, alla volontà di fare il bene, a rialzarsi dopo la caduta nel peccato… Saper vivere nello squilibrio: lì si porta un equilibrio diverso. Parlerei di un equilibrio dinamico, che non sono io a poterlo reggere: lo regge il Signore. Ti va portando avanti, con l’unzione dello Spirito. Questo riguardo all’equilibrio e allo squilibrio.

Poi, la formazione dei seminari. Io credo che qui il Cardinale [Prefetto del Dicastero per il Clero] può parlare meglio di me dei seminari perché nel Dicastero sono specialisti. Per esempio, incomincio col dire: il seminario dev’essere di un certo numero di seminaristi, che insieme facciano dire “la comunità”. “No, noi siamo cinque in diocesi”: questo non è un seminario, questo è un movimento parrocchiale. Il seminario dev’essere un numero – 25, 30 – un numero moderato. Se sono 200, divisi in piccole comunità: un numero umano di gruppo, di comunità, questo è importante. I seminari grossi – 300, tutti insieme – non vanno più! Erano l’espressione di un’altra epoca. No, piccole comunità dove si lavora, ma piccole comunità inserite in una più grande.

La formazione dei seminaristi: i seminaristi devono avere una buona formazione spirituale. “Io vado al seminario, sto imparando filosofia, teologia…”. Sì, ma lo spirito, che cos’è? Prima di tutto, una buona formazione spirituale. Anche nel propedeutico. Il fine del propedeutico, oggi, è questo: abituare il seminarista al discernimento spirituale, alla formazione spirituale, alla scienza, alle scienze dello spirito. Secondo, una seria formazione intellettuale. Questo non vuol dire che siano maestri delle idee, no. Che sappiano ragionare e che sappiano la teologia di base, con questo sono tranquillo, e ci vogliono quattro anni per la teologia di base. Che sappiano questo. Ma con una bella formazione spirituale. Per questo è necessario, a volte, aggregare piccole comunità seminaristiche in una, perché ci siano professori e formatori adatti. Ho detto spirituale e intellettuale. Adesso: comunitaria. In piccoli gruppi, sì, ma vita comunitaria, devono imparare a vivere comunitariamente, e non cadere dopo nella critica uno dell’altro, nei “partiti” dentro il presbiterio, e tutto questo. Questo si impara, in un seminario. E poi, la vita apostolica. Ogni seminario ha la pratica propria della vita apostolica. Di solito, il fine settimana vanno in parrocchia: questo è molto importante, perché la vita apostolica ti dà anche questa capacità, “l’odore delle pecore” di cui tu parlavi. Ti dà la capacità di situarti nella realtà. E forse ti tocca andare con un parroco nevrotico, in una parrocchia dove ci sono dei problemi, e tu vedrai come gestire questo. E la gente delle parrocchie dove voi andate vi conosce meglio – a volte – dei superiori. La mia esperienza: quando chiedevo informazioni per promuovere uno agli ordini, sia al diaconato sia al presbiterato, quando ero gesuita, chiedevo ai fratelli coadiutori, a tanti ma sempre ai fratelli coadiutori e alla gente della parrocchia; e le migliori informazioni non mi venivano dai professori: erano buone, ma le migliori venivano dai fratelli coadiutori e dalle donne delle parrocchie. È curioso: hanno il fiuto. Ricordo un caso, un bravo ragazzo, intelligente, che doveva essere ordinato diacono, questo lo ricordo bene. Una donna della parrocchia mi disse: “Io lo farei aspettare un po’ perché è bravo, ha tutte le qualità, ma c’è qualcosa che non mi convince”. Basta. E un fratello coadiutore mi ha detto: “Padre, lo faccia aspettare un anno, non gli farà male”. Gli altri, a tutto incenso. Ho seguito quella strada, e dopo quattro mesi se n’è andato di sua volontà: era scoppiata una crisi. Questo è importante. Il popolo di Dio ti capisce bene. Dunque, la formazione in seminario ha quattro cose: la formazione spirituale dev’essere seria, direzione spirituale seria; formazione intellettuale seria, non da manuale; formazione comunitaria tra i seminaristi; e formazione apostolica.

Domanda

Santo Padre, l’odierna generazione di sacerdoti e seminaristi è immersa nel mondo digitale e dei social media. Come possiamo imparare a usare questi strumenti come opportunità per condividere la gioia di essere cristiani, senza dimenticare la nostra identità o essere troppo esposti e arroganti? Grazie.

Papa Francesco

Credo che queste cose si debbano usare, perché è un progresso della scienza, fanno un servizio per poter progredire nella vita. Io non li uso perché sono arrivato tardi, sapete? Quando sono stato ordinato vescovo, 30 anni fa, me ne hanno regalato uno, un telefonino, che era come una scarpa, grande così, no?. Io dissi: “No, questo non ce la faccio a usarlo”. E alla fine ho detto: “Farò una chiamata”. Ho chiamato mia sorella, l’ho salutata, poi l’ho restituito. “Regalami un’altra cosa”. Non sono riuscito a usarlo. Perché la mia psicologia non andava o ero pigro, non si sa. L’unica cosa che sono riuscito a usare è una Olivetti con la memoria, di una riga soltanto, che ho comprato quando ero in Germania in un Angebot, 59 marchi, niente. E questa mi ha aiutato, ed è rimasta a Buenos Aires, l’ho usata fino adesso. Non è il mio mondo. Ma voi dovete usarli, dovete usarli solo per questo, come l’aiuto per andare avanti, per comunicare: questo va bene. Ma non posso tralasciare di parlare qui dei pericoli, i pericoli di stare a guardare le notizie di qua, di là, di là e in giro tutta la giornata; o guardare quel programma che mi interessa o quell’altro, perché tu hai tutto alla mano… O mettere questa musica che mi interessa e che non mi lascia lavorare… Bisogna saper usare bene. E su questo c’è anche un’altra cosa, che voi conoscete bene: la pornografia digitale. Lo dico a chiare lettere. Non dirò: “Alzi la mano chi ha avuto almeno un’esperienza di questo”, non lo dirò. Ma ognuno di voi pensi se ha avuto l’esperienza o ha avuto la tentazione della pornografia nel digitale. È un vizio che ha tanta gente, tanti laici, tante laiche, e anche sacerdoti e suore. Il diavolo entra da lì. E non parlo soltanto della pornografia criminale come quella degli abusi dei bambini, dove tu vedi in vivo casi di abusi: questa è già degenerazione. Ma della pornografia un po’ “normale”. Cari fratelli, state attenti a questo. Il cuore puro, quello che riceve Gesù tutti i giorni, non può ricevere queste informazioni pornografiche. Che oggi sono all’ordine del giorno. E se dal tuo telefonino tu puoi cancellare questo, cancellalo, così non avrai la tentazione alla mano. E se non puoi cancellarlo, difenditi bene per non entrare in questo. Vi dico, è una cosa che indebolisce l’anima. Indebolisce l’anima. Il diavolo entra da lì: indebolisce il cuore sacerdotale.

Scusatemi se scendo a questi dettagli sulla pornografia, ma c’è una realtà: una realtà che tocca i sacerdoti, i seminaristi, le suore, le anime consacrate. Avete capito? Va bene. Questo è importante.

Domanda

Papa Francesco, in questi anni a Roma, insieme a un mio confratello, abbiamo seguito un gruppo di ragazzi dopo la Cresima in una parrocchia qui vicino. Tutti e due veniamo da altri Paesi. Un giorno un giovane mi ha detto: “Ma ti sei accorto che lui – riferendosi all’altro confratello – parla meglio di te l’italiano? Tu invece usi meglio le mani e i gesti”. Con questa osservazione di un ragazzo ho capito che nell’evangelizzazione tanto vale il parlare bene quanto accompagnare con le mani il discorso. Tanto importano le parole, quanto i gesti e forse per gli italiani sono i gesti che accompagnano le parole. Nella formazione verso il sacerdozio ci insegnano tanto come parlare, come usare bene le parole e la parola, a fare un discorso filosofico coerente, a interpretare la Scrittura, a fare un bel sermone in Chiesa. Tuttavia Lei, Santo Padre, ci ha fatto vedere l’importanza dei gesti, delle opere, della tenerezza concreta, e quanto sono potenti i gesti, quanto sono eloquenti i nostri gesti. Io vedo come Lei abbraccia i sofferenti, e quanto vorrei farlo pure io. Vedo come bacia i malati, e quanto vorrei farlo pure io. Vedo come tocca i bisognosi, e quanto vorrei farlo pure io. So che non si imparano i gesti dalla notte al giorno, e so che non sarò mai un sacerdote che predica con l’esempio se non imparo il linguaggio dei gesti da oggi. Come ha imparato Lei questi gesti di misericordia? Come possiamo arrivare anche noi nel seminario, come possiamo imparare questo linguaggio così importante?

Papa Francesco

Grazie. Dove ho imparato i gesti… Mah, i gesti, la vita te li insegna. Per esempio, una cosa che ho imparato dall’esperienza personale è che quando vai a visitare un malato, che sta male, non devi parlare troppo. Prendi la mano, guardalo negli occhi, di’ due parole e rimani così. Nell’intervento che hanno fatto a me, in cui mi hanno tolto una parte del polmone quando avevo 21 anni, venivano tutti gli amici, le zie, tutti a parlare: “Vai, vai ti riprenderai presto, parlerai, potrai giocare un’altra volta…”. Mi piaceva, ma mi stufava. Un giorno è venuta la suora che mi aveva preparato per la prima Comunione, suor Dolores, brava vecchia, e mi ha preso la mano, mi guardava negli occhi e mi disse: “Stai imitando Gesù”, e non ha detto niente di più. Quella mi ha consolato. Per favore, quando andate da un ammalato, non riempire di motivazioni di promesse del futuro. Il gesto della vicinanza parla più con la presenza che con le parole.

Un gesto ti ho fatto vedere. I gesti si imparano; i gesti della tenerezza li imparerai con i vecchi, andando dai vecchi. Il primo giorno li saluterai così, a distanza. Dopo due, tre volte che vai, li accarezzerai, i vecchietti. Lascia, lasciati esprimere. Lasciare che l’espressione sia totale. Anche nella predica. Una volta ho chiamato una nipote. “Come stai?” – era una domenica, a volte le domeniche chiamo mia sorella – “Come stai?”. “Bene, bene, ma un po’ annoiata perché siamo andati con il marito e i figli a Messa in quella parrocchia non abituale e ho sentito una bella spiegazione filosofica di 40 minuti, ma della Parola di Dio niente!”. Se tu non sei umano con i gesti, anche la mente si irrigidisce e nella predica dirai cose astratte che nessuno capisce, e qualcuno avrà la tentazione di andare fuori a fumare una sigaretta e tornare, come si fa… Ci sono tre linguaggi che ti fanno vedere la maturità di una persona: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore e linguaggio delle mani. E noi dobbiamo imparare a esprimerci in questi tre linguaggi: che io pensi quello che sento e faccio, senta quello che penso e faccio, faccia quello che sento e penso. Qui uso la parola equilibrio: un equilibrio fra queste cose. A volte ti viene voglia di fare uno scherzo a uno, e ti viene, ma… che sia il gesto con il pensiero e il cuore e le mani.

Quando vedo dei ragazzi malati - “quanto soffrono i bambini”, diceva Dostoevskij - i ragazzi malati, lì, carezzarli… Qualcuno ti può accusare di essere pedofilo, ma no, no, fuori da questa possibile accusa. Come i vecchietti che hanno bisogno di carezze… Ricordo che andavo con frequenza a Buenos Aires alle case di riposo, e a volte celebravo la Messa. I vecchietti sono geniali, perché ti fanno le domande più impegnative… E alla messa poi dicevo: “Chi di voi fa la comunione?”. E passavo, perché non possono camminare tante volte, sono vecchi, vanno con il bastone. E andavo: “Chi vuole comunicarsi alzi la mano”. Tutti alzavano la mano… Do la comunione a una signora, poi lei mi prende la mano: “Grazie, padre, sono ebrea”. “Ma questo che ti ho dato era pure ebreo, vai avanti”. I vecchi vogliono carezze, vogliono che li ascolti, vogliono che li fai parlare dei loro tempi, e tu imparerai tanto.

La tenerezza. Qui cadiamo nello stile di Dio. Lo stile di Dio è la vicinanza. Lui stesso lo dice nel Deuteronomio: “Pensa, quale popolo ha i suoi dèi così vicini come tu hai me?” (cfr cap. 4). La vicinanza è lo stile di Dio. Si è fatto vicino nell’incarnazione di Cristo. È vicino a noi. Sempre la vicinanza. Ma una vicinanza con compassione, perché perdona sempre, e con tenerezza. Un buon prete è vicino, compassionevole e tenero. Sicuramente è più piacevole carezzare una ragazza bella che una vecchietta - state attenti lì! - ma la tenerezza cresce e si esprime meglio negli opposti, sia nei bambini, con i bambini piccolini che ti chiamano, e con gli anziani, ma… si impara...

Una volta un mio professore di filosofia – era un grande padre spirituale, ha pubblicato tanti libri anche sugli esercizi e sono tradotti in italiano, padre Fiorito – un giorno ha dato una conferenza sui comportamenti, i fondamenti filosofici, ma è scivolato subito sulla spiritualità, e una delle sue domande io la farei a tutti voi, seminaristi, teologi: voi giocate con i bambini? Sapete giocare con i bambini? Questa domanda lui la faceva sempre ai genitori, diceva: “Tu, papà, quando torni dal lavoro, o tu mamma, giochi con i tuoi figli?”. La tenerezza si impara con i bambini e con i vecchi. E l’abitudine che c’è di allontanare i vecchi perché disturbano, questo ci allontana da una delle fonti di tenerezza. Lo stile di Dio, non dimenticarti, è sempre vicinanza, compassione e tenerezza. E se tu sei vicino, con compassione e tenerezza, sei sulla strada buona. La tenerezza non è “fare il buono”. A volte nel fare il buono si può scivolare nel fare lo stupido. No. Tenerezza è questo che ho detto.

Domanda

Buongiorno Santo Padre. Vorrei fare la mia domanda partendo da due eventi importanti della Chiesa universale: i 400 anni di Propaganda fide a servizio della missione e dell’evangelizzazione e poi il Sinodo dei Vescovi con il tema “Comunione, partecipazione e missione”. Come noi giovani seminaristi possiamo uscire dal nostro “comodismo” per evangelizzare gli altri giovani? Quali sono le sfide per noi giovani che vogliamo diventare sacerdoti nel mondo di oggi? Grazie.

Papa Francesco

Non c’è un metodo per questo. Tu usi una parola molto clericale, “comodismo”. Cioè, non disturbare il prete, il prete è impegnato, il comodismo porta tante volte i preti a cercare la propria tranquillità: io ricevo dalla tal’ora alla tal’ora… Una volta un bravo parroco di un quartiere mi diceva che voleva fare un muro dove c’era la finestra, perché la gente a qualsiasi ora andava e bussava alla finestra perché aveva bisogno di questo, di quello, di quell’altro, di una preghiera, di una Messa… E io ho detto: “E tu hai fatto il muro sulla finestra?”. Disse: “No, non posso, padre, senza la gente non sono prete”. Bella risposta quella, bella! Il comodismo. C’è una figura che sempre mi ha colpito, il sacerdote comodo, un po’ il “monsieur l’abbé” delle corti francesi, un funzionario – voi che lavorate in curia state attenti! –, il sacerdote funzionario. Il sacerdote funzionario vive il sacerdozio come se fosse un impiego. È comodo, ha i suoi orari, questo spetta a me, questo no… E così con la crescita si trasforma in uno “zitellone”, con tante abitudini maniacali, è un nevrotico quotidiano. Stai attento, stai attento a questo. Non cercare la propria comodità; il sacerdozio è un servizio sacro a Dio, il servizio di cui l’Eucaristia è il più alto grado, è un servizio alla comunità. Se tu non te la senti, parla con il vescovo, forse sarai un buon padre di famiglia, ma per favore non siate funzionari. Questa è la comodità di cui parli.

C’è un’altra cosa che accompagna questa comodità, è la dimensione “arrampicatrice”, i sacerdoti arrampicatori, che fanno carriera. Credo che si vedono… In curia no, in curia non succede! Ma da altre parti succede… Quando stai per fare un cambiamento, lì arrivano, dai, dai, dai… l’arrampicatore. Per favore fermatevi, fermatevi. Perché l’arrampicatore alla fine è un traditore, non è un servitore. Cerca il proprio vantaggio e poi non fa niente per gli altri. Io avevo una nonna a cui piaceva farci “catechesi” normali, era migrante e i migranti, con il tempo, i migranti italiani, venivano in America e facevano la casa e l’educazione dei figli… E la nonna ci insegnava: “Nella vita dovete progredire”, cioè subito i mattoni, la terra, la casa, progredire, cioè fare una posizione, una famiglia e ci insegnava questo. Ma state attenti a non confondere il progredire con l’arrampicarsi, perché l’arrampicatore è uno che sale, sale, sale e quando è su fa vedere il… La nonna diceva la parola! Ti fa vedere, lui è così, ti fa vedere quello. L’unica cosa che gli arrampicatori fanno è il ridicolo, fanno il ridicolo. Questo mi ha fatto bene nella vita. Anzi, quando vengono le informazioni per i vescovi – lei è nella Congregazione dei Vescovi e conosce come vanno le cose –, subito le informazioni dei compagni: questo è un arrampicatore, questo sta cercando il posto… State attenti, cioè la comodità e l’arrampicamento, far carriera. Quando ero giovane si usava nello spagnolo e non so se in italiano si usa: questo ha scelto la “carriera” sacerdotale. La carriera di medico, di avvocato… Oggi non si usa più, grazie a Dio, ma l’arrampicatore fa carriera, state attenti, state attenti; e se voi avete un compagno così, aiutatelo a fermarsi, a non arrampicarsi, perché alla fine farà vedere il peggio di sé stesso. E l’arrampicatore non è mai soddisfatto.

Comunione, partecipazione e missione. Sì, se hai comunione tu pensi agli altri, se hai partecipazione tu condividi con gli altri, se hai missione tu pensi agli altri. Sempre il servizio, servire. Il servizio, anche quello liturgico è un servizio. Servire agli altri, non la comodità propria. Credo che su questo non mi viene altro. Avete capito chiaramente il pericolo di cercare il proprio piacere e la propria tranquillità e il pericolo di arrampicarsi, e purtroppo nella vita ci sono tanti carrieristi. Tanti. Per favore, se qualcuno di voi ha questa tentazione, fermati, chiedi consiglio per fermarla.

Domanda

Buongiorno, Santo Padre. Grazie mille, Santità, per questa meravigliosa occasione di stare insieme a Lei. Il cammino vocazionale di un seminarista è quello che consiste sempre nel discernimento della sua vocazione. Dalla mia esperienza e da quanto so dell’esperienza degli altri, a volte – o il più delle volte – ci si accorge delle proprie debolezze, si sente la paura di non poter soddisfare le esigenze della vocazione sacerdotale, la paura di non essere felice nel ministero. O addirittura, si sente di essere attratto non principalmente dall’amore di Dio, ma da altri dettagli meno importanti che caratterizzano il sacerdozio, eccetera. Tuttavia, allo stesso tempo, si sente fortemente la chiamata di Dio dentro di sé e dalle circostanze che hanno caratterizzato il suo cammino. In questo tipo di situazione, Santità, quale potrebbe essere la strada giusta da seguire per un seminarista nel suo processo di discernimento? Più in generale: in che cosa consiste un giusto discernimento? Grazie mille, Santo Padre.

Papa Francesco

Grazie. Il giusto discernimento – prima di tutto ti dico – non consiste in un equilibrio, non consiste in questo. Quello lo fa la bilancia. Il discernimento sempre è “squilibrato”, scusa, la situazione sulla quale devi discernere è squilibrata, perché hai emozioni da questa parte, emozioni di qua, emozioni di là… Il giusto discernimento è cercare come questo squilibrio trova la strada di Dio – non “trova l’equilibrio” – perché sempre si risolve, lo squilibrio, su un piano superiore, non sullo stesso piano. E questa è una grazia della preghiera, una grazia dell’esperienza spirituale. Vai davanti al Signore con uno squilibrio, aiutato da un fratello se vuoi, e la preghiera, la ricerca di fare la volontà di Dio ti porta a risolvere lo squilibrio, ma su un altro piano. Sempre ti porta avanti, ti toglie dalla contraddizione dello squilibrio – che non è una contraddizione matematica, è una contraddizione umana – e ti porta un passo avanti. Uno squilibrio non si risolve con una delle parti soltanto, no. Ambedue cambiano verso una nuova situazione. E questa è la grazia dell’accompagnamento spirituale, che ci aiuta a trovare questa strada per risolvere gli squilibri.

“In questo tipo di situazione quale potrebbe essere la strada giusta da seguire per un seminarista nel suo processo di discernimento?”. Quello che ho detto sul discernimento. La preghiera e il dialogo con la persona che ti accompagna, che sia un sacerdote, che sia un amico, che sia una suora, che sia un laico, chiunque sia. Preghiera e dialogo.

“Più in generale, in che cosa consiste il giusto discernimento?”. Un giusto discernimento non consiste nel fatto che il risultato sia un equilibrio. Il giusto discernimento lo vedi dopo. La decisione è armonica, non “equilibrata”. Una cosa è l’equilibrio, altra cosa è l’armonia. Sono cose diverse. L’equilibrio è una cosa matematica, fisica; l’armonia è una cosa di bellezza, se vuoi dire così. L’equilibrio è fare un confronto delle parti e trovare un compromesso; l’armonia, nel discernimento, è il dono dello Spirito Santo: l’unico che può fare l’armonia è lo Spirito Santo. È un dono. San Basilio definiva lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è l’armonia. Già entriamo nel discernimento con lo Spirito Santo dentro. Tu non puoi fare un discernimento cristiano senza lo Spirito Santo. E per questo lo squilibrio entra in preghiera, entra nella strada dello Spirito Santo, e Lui ti porta a una nuova situazione armonica. E poi si può entrare in un’altra disarmonia, e sarà lo Spirito a portarti più avanti. Non è una cosa fisica, non è una cosa intellettuale, non è una cosa sentimentale: è la grazia di ricevere lo Spirito Santo, che è armonico. E con la preghiera noi arriviamo a questa grazia di capire l’armonia dello Spirito. Non so se ho risposto bene a questo. Dimmi: hai capito? Non si tratta nel discernimento di equilibrare come una bilancia, no: di pregare, di andare avanti e lasciare che sia lo Spirito con le emozioni interiori ad andare avanti.

E poi, qual è il risultato di un giusto discernimento? La consolazione spirituale. Lo Spirito Santo, quando ti dà l’armonia, ti consola. Invece, quando tu stai con un problema, non sei in consolazione, sei in desolazione. Noi dobbiamo imparare a usare, nella nostra vita, le emozioni dello Spirito, consolazione e desolazione: questo mi fa bene, questo mi fa felice, questo mi toglie la pace… Cosa fa il Signore nel cuore e cosa fa il diavolo. Perché il diavolo esiste! San Pietro dice che gira, gira, gira per cercare chi mangiarsi. È il nostro pericolo. Ma lo Spirito è la guida. E questa è la strada: seguire lo Spirito Santo.

[Rivolto al Cardinale Lazzaro You Heung-sik] Io vorrei rispondere ancora alla decima domanda, perché è di un ucraino, e la sua Patria soffre.

Domanda

Santità, Papa Francesco, sì, sono un sacerdote ucraino. Oggi vediamo come nel mondo contemporaneo ci sono tante guerre e conflitti armati, in particolare la guerra in Ucraina. Vorrei chiederLe: quale è il ruolo che deve svolgere la Chiesa cattolica nei confronti dei territori colpiti dalle guerre, e quale sarebbe il compito dei sacerdoti in quelle regioni? Grazie.

Papa Francesco

Grazie. La Chiesa cattolica – la Chiesa, la santa madre Chiesa – è madre, madre di tutti i popoli. E una madre, quando i figli sono in litigio, soffre. La Chiesa deve soffrire davanti alle guerre, perché le guerre sono la distruzione dei figli. Come una mamma soffre quando i figli non vanno d’accordo o litigano e non si parlano – le piccole guerre domestiche – la Chiesa, la madre Chiesa davanti a una guerra come questa nel tuo Paese, deve soffrire. Deve soffrire, piangere, pregare. Deve assistere le persone che hanno avuto delle conseguenze brutte, che perdono la casa o ferite di guerra, morti… La Chiesa è madre e il ruolo prima di tutto è vicinanza alla gente che soffre. È la madre, è come una madre.

E poi è una madre anche creativa di pace: cerca di fare pace in certi momenti… In questo caso non è molto facile, ma il cuore aperto della madre Chiesa… Voi cristiani non prendete partito in questo. È vero che c’è la propria Patria, questo è vero, dobbiamo difenderla. Ma andare oltre, oltre a questo: un amore più universale. E la madre Chiesa dev’essere vicina a tutti, a tutte le vittime. Anzi, pregare per il peccato degli aggressori, per questo che viene qui a rovinarmi la patria, a uccidermi i miei: io prego per questo? E questo è un atteggiamento cristiano. Voi soffrite tanto, il tuo popolo, lo so, sono vicino. Ma pregate per gli aggressori, perché sono vittime come voi. Non si vedono le ferite che hanno nell’anima, ma pregate, pregate perché il Signore li converta e voglia venire la pace. Questo è importante.

Domanda

Buongiorno. Santo Padre, buongiorno e grazie. Ci ricorda la Ratio fundamentalis che il primo ambito in cui si sviluppa la formazione permanente è la fraternità presbiterale. Infatti, un presbiterio unito in cui i sacerdoti e il loro vescovo si sostengono a vicenda, celebrano le gioie e soffrono per le difficoltà dell’altro, contribuirebbe a rendere il presbiterio uno spazio di formazione e di comunione. Quale consiglio può darci, a partire dalla Sua esperienza di pastore, per creare nel presbiterio relazioni più fraterne e che ci aiutino ad affrontare le sfide del tempo presente? Grazie, Santità.

Papa Francesco

Ci sono tante cose. Prima di tutto, la vicinanza e il parlarsi, non fare distanza. Ai vescovi dico: i preti sono il primo vostro prossimo, state vicini ai preti. Dico loro: “Sento un prete che mi dice: Ho chiamato in episcopio per parlare con il vescovo e la segretaria mi ha detto che questo mese è pieno, forse il prossimo mese…”; penso che questo vescovo sta rovinando i sacerdoti. Vicinanza. Per esempio, l’arcivescovo di Napoli, da poco nominato, cosa ha fatto? Ha dato il numero del telefonino a tutti i preti – i napoletani sono più di mille –. “Ti molestano?” – “No, no, ma quando hanno bisogno mi chiamano, direttamente”. Questa vicinanza vale per il prete con il vescovo e anche per il prete con gli altri. Non so se questo succede qui, ma nella mia Patria succede, che ci sono dei gruppi di preti che sparlano degli altri, e ci sono quelli di destra, quelli di sinistra, quelli di qua e quelli di là... Questo è un veleno. È un veleno, un tarlo che uccide il corpo presbiterale. Unità tra i presbiteri. E se tu non hai i pantaloni per dire le cose in faccia a uno, te la mangi. Ma non vai a toglierti la fame criticando il tuo fratello sacerdote, no. Questo non è da uomini. L’uomo va e dice le cose come stanno. Con carità e con amore. E se non può dirle perché quell’altro è un po’ violento, lo dica al vescovo che è padre di tutti. Ma non dirlo a tutti gli altri. Ci vuole questa vicinanza, per evitare che il corpo sacerdotale finisca male. E il vescovo, sostenerlo a vicenda. Alle volte il vescovo è un po’ “maniaco”, ha le sue cose, perché anche i vescovi sono uomini! E finisco con questo, su come si deve fare con il vescovo, con un racconto, che pure lo raccontava la nonna. C’era una famiglia molto bella, ma il nonno che abitava con loro invecchiò, invecchiò, e incominciava a cadere la bava mentre mangiava e si sporcava. E un giorno il papà disse alla famiglia: “Da domani, il nonno mangerà in cucina. Ho fatto una bella tavola, lì andrà il nonno, e noi possiamo così invitare gente e lui da una parte”. Passano alcuni giorni e il papà torna dal lavoro e vede il figlio di sei anni che lavorava con i chiodi, il legno… “Cosa fai?” – “Un tavolino, papà!” – “Perché?” – “Per te, per quando sarai vecchio!”. I vecchi, così, si mettono da parte. Per favore, cercate di conoscere il vescovo come papà. E se uno ha la possibilità di dirgli i difetti, lo dica, come al papà. È il padre, non è un nemico né il padrone della ditta.

Grazie tante, cari! Adesso preghiamo la Madonna perché ci aiuti tutti.

[Angelus domini …]

[Benedizione]

E forse la prossima volta, vedremo le 198 domande che sono rimaste.

[01631-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Messieurs les Cardinaux, Messeigneurs les Évêques, chers prêtres!

Tout d'abord, je vous prie de m'excuser pour le retard : je m'excuse vraiment, mais le problème, c'est qu’aujourd’hui a été une grosse journée, avec la visite de deux Présidents de la République… D'où ce retard. C'est une heure où il n'est pas facile d'attendre car l’estomac commence à se faire entendre... Allons-y.

Quand je suis entré, j'ai regardé : c'est un monument de l'état clérical ! Parce que vous êtes vraiment si nombreux, tant de prêtres ensemble, c'est un plaisir. Alors, commençons.

Question

Saint-Père, je voudrais vous demander un conseil sur la direction spirituelle des jeunes prêtres. Il est facile pour les prêtres d’être des guides spirituels pour les laïcs, les religieuses et ceux qui sont encore en formation. En revanche, à mon avis, il est difficile pour les prêtres de rechercher une direction spirituelle chez d’autres confrères. Comment conseilleriez-vous aux prêtres, surtout aux jeunes, de chercher cette aide spirituelle pour leur formation? Merci.

Pape François

Tout d’abord, je vous remercie de votre intérêt, vous avez préparé 205 questions! S’il y a du temps, nous en ferons dix, car c’est un peu trop!

Merci Dominique. Le problème de la direction spirituelle – aujourd’hui on utilise pluitôt un terme moins directif “accompagnement” spirituel, qui me plaît –. La direction spirituelle, l’accompagnement spirituel, est-il obligatoire? Non, il n’est pas obligatoire, mais si tu n’as pas quelqu’un pour t’aider à marcher, tu tomberas et tu feras du bruit. Parfois, il est important d’être accompagné par quelqu’un qui connaît ma vie, et il n’est pas nécessaire que ce soit le confesseur; parfois ça marche, mais l’important est que ce soient deux rôles distincts. Tu vas chez le confesseur pour qu’il te pardonne les péchés et tu y vas en te préparant sur les péchés. Tu vas chez le directeur spirituel pour lui dire ce qui se passe dans ton cœur, les motions spirituelles, les joies, les colères, ce qui se passe en toi. Si tu n’entres en relation qu’avec le confesseur et non avec le directeur spirituel, tu ne sauras pas grandir, quelque chose ne va pas. Si tu n’entres en relation qu’avec un directeur spirituel, un accompagnateur, et que tu ne vas pas confesser tes péchés, cela ne va pas non plus. Ce sont deux rôles différents, et dans les écoles de spiritualité, par exemple les jésuites, saint Ignace dit qu’il vaut mieux les distinguer, que l’un soit le confesseur et l’autre le directeur spirituel. Parfois, c’est le même, mais ce sont deux choses différentes, qu’une seule personne fait peut-être, mais deux choses différentes.

Deuxièmement. La direction spirituelle n’est pas un charisme clérical, c’est un charisme baptismal. Les prêtres qui font la direction spirituelle ont le charisme non pas parce qu’ils sont prêtres, mais parce qu’ils sont laïcs, parce qu’ils sont baptisés. Je sais qu’il y a certains de la Curie, peut-être certains d’entre vous, qui sont dirigés par une Sœur qui est quelqu’un de bien, qui enseigne à la Grégorienne. C’est quelqu’un de bien et elle est directrice spirituelle. Vas-y, il n’y a pas de problème, c’est une femme de sagesse spirituelle qui sait diriger. Certains mouvements ont peut-être un laïc sage, une laïque sage. Je dis cela parce que ce n’est pas un charisme sacerdotal. Ce peut être un prêtre, mais ce n’est pas exclusivement des prêtres. Et pour être directeur spirituel, il faut une grande onction. C’est pourquoi, à ta question, je dirais: avant tout, être convaincu que je dois être toujours accompagné. Parce que la personne qui n’est pas accompagnée dans la vie produit des “champignons” dans l’âme, des champignons qui te harcèlent ensuite. Maladies, solitudes malsaines, beaucoup de mauvaises choses. J’ai besoin d’être accompagné. Clarifier les choses. Chercher les motions spirituelles, que quelqu’un m’aide à les comprendre, que veut le Seigneur avec cela, où est la tentation... J’ai trouvé certains étudiants en théologie qui ne savaient pas distinguer une grâce d’une tentation. Il faut que quelqu’un m’accompagne. Et ce n’est pas nécessaire de le faire toutes les semaines, non, tu vas chez le directeur spirituel une fois par mois, tous les deux mois, quand tu as de quoi pour discuter avec lui ou avec elle. Mais que ces choses soient claires.

Comment faire pour en trouver un? Soyez prudents, tu vois quelqu’un qui t’attire par la façon dont il parle; tu en as entendu parler par l’un, par l’autre... Cherche le directeur spirituel, mais selon ce que j’ai dit, je crois qu’il est important: distinguer du confesseur, ce sont deux rôles différents. C’est un charisme laïc, un prêtre, un évêque, une femme peut le faire, un laïc peut le faire. Puis trouver la personne qui t’inspire confiance et sympathie spirituelle. C’est très important, vous comprenez bien ce que cela signifie, cette harmonie aide beaucoup.

Je ne sais pas si j’ai répondu. C’est important. Que ce que je dis maintenant serve au moins pour qu’aucun de vous ne soit désormais sans direction spirituelle, sans accompagnement spirituel, car il ne grandira pas bien, je le dis par expérience. D’accord? C’est clair pour tout le monde? D’accord. Continuons.

Question

Saint-Père, pourriez-vous nous aider à comprendre comment nous pouvons être dans le ministère des ponts entre le monde de la foi et celui de la science? Quel conseil concret pouvez-vous donner à nous qui, dans la pratique pastorale, avons la responsabilité de promouvoir un dialogue, et non une opposition entre ces deux domaines. Merci.

Pape François

Il est important de ne pas nier le rôle de la science, de la science qui avance, la science qui fait de la recherche, c’est important, c’est très important. Et les personnes qui étudient, même si elles ne sont pas des chercheurs de métier, toute personne, je pense aux étudiants universitaires, tous nous devons être ouverts aux interrogations qui viennent des étudiants. Tout d’abord, je dirais, écouter, être ouvert aux problématiques. Si tu suis sur le chemin de la problématique, tu te demandes: pourquoi? Et tu te le demandes plusieurs fois. Et tu ne donnes pas une de ces réponses qu’on utilisait autrefois dans les livres faits pour répondre à toutes les difficultés contre l’Église, contre notre foi. Ce sont des réponses qui ne servent à rien, elles sont purement théoriques, et nous ne pouvons pas les proposer comme des réponses à la hauteur d’un universitaire qui étudie telle spécialité. Nous devons donner une réponse à la hauteur, digne de l’homme, et je crois que c’est très important: regarder avec des horizons larges, larges... Et on peut dire: “Je ne sais pas, mais toi, réfléchis-y...; l’annonce de la foi, c’est ça, à propos de cela il y a telles horizons, regarde...”. Toujours ouvert, et le guider... Et tu peux aussi dire: “Je ne sais pas comment répondre, mais va trouver telle personne, cet homme, cette femme, ce prêtre, qui est spécialiste de cela et qui peut t’expliquer”. Ne ferme jamais la porte, ne ferme pas. Même s’ils viennent à toi avec des questions dont tu pressens qu’elles ne sont pas cohérentes avec la morale. Si tu peux répondre, réponds; si tu ne peux pas répondre, cherche quelqu’un qui peut le faire et dis: “Tu peux parler de ça avec celui-là, avec cet autre”. Mais toujours ouvert, toujours ouvert. Parce qu’une attitude de défense ferme le dialogue, ferme la porte. Ouvert: “Oui, c’est intéressant...”.

Nous pouvons répondre à la plupart des choses parce que nous les connaissons. Lorsque les étudiants d’universités viennent avec un doute, je te donne un conseil: quand ils viennent avec un doute universitaire, par exemple, les étudiants – c’est peut-être le domaine de travail le plus important –, si c’est possible, répondre avec un autre doute, et ainsi tu es attentif et le même geste qu’il te fait, tu le lui fais afin qu’il ne se sente pas trop sûr. “Tu me demandes cela, bien, mais pour toi c’est comment?”. Jésus faisait cela souvent, nous le voyons dans l’Évangile. À une question qui contenait un piège, Jésus répondait par une autre question et laissait l’interlocuteur au milieu du chemin intellectuel. Il est important de répondre ainsi, ou, si ça ne vient pas, d’orienter vers une personne qui peut répondre sur tel aspect scientifique, tel aspect qui va contre la foi et auquel peut-être je ne peux pas répondre. Dans la plupart des cas, je pense qu’on peut répondre. Mais – c’est toujours un conseil que je te donne – ne réponds pas “en l’air”: je te réponds, à toi qui me poses la question. Si tu t’engage avec cette question, moi je te dis ceci. Jésus le faisait. Par exemple, quand il guérissait le sabbat, il disait: “Et toi? Tu ne détaches pas la vache pour lui donner à boire, le jour du sabbat?” (cf. Lc 13, 15). Il lui faisait voir la contradiction dans la question elle-même. Quand ce sont des choses scientifiques sérieuses, qui vont au-delà de nos possibilités, dire ce que nous pouvons et ce que nous ne savons pas; dire: “Sur cela, tu dois demander à quelqu’un qui comprend mieux cette science”. Être humble, avoir la foi n’est pas avoir la réponse sur tout. Cette méthode de défense de la foi ne fonctionne plus, c’est une méthode anachronique. Avoir la foi, avoir la grâce de croire en Jésus Christ, c’est être en chemin. Et que l’autre comprenne que tu es en chemin, que tu n’as pas toutes les réponses à toutes les questions. Il fut un temps où une théologie de défense était à la mode et il y avait des livres avec des questions pour défendre. Quand j’étais jeune, c’était la manière de se défendre. Ce sont des réponses, certaines bonnes, d’autres fermées qui ne sont pas bonnes pour le dialogue. “Tu as vu? Je t’ai répondu, j’ai gagné”. Non, ça ne va pas. Le dialogue avec la science est toujours ouvert. Et dire: ceci je ne peux pas te l’expliquer, mais tu dois aller voir tels scientifiques, telles personnes qui t’aideront peut-être. Fuir l’opposition religion/science parce que c’est un mauvais esprit, ce n’est pas le véritable esprit du progrès humain. Le progrès humain fera avancer la science et aussi conserver la foi.

Question

Cher Pape François, en ce temps de préparation à Rome, comment pouvons-nous vivre notre ministère sans perdre cette “odeur des brebis” propre à notre ministère sacerdotal? Merci.

Pape François

Que ce soit pour ceux d’entre vous qui étudient, ou pour ceux qui travaillent à la Curie ou qui ont un emploi, ce n’est pas une bonne chose pour la santé spirituelle de ne pas avoir de contact avec le peuple saint de Dieu, un contact presbytéral. C’est pourquoi je conseille, et même je dis aux Préfets de regarder si quelqu’un n’a pas ce ministère le samedi et le dimanche, dans une paroisse ou ailleurs, d’être attentif et d’inviter à le faire. Et s’il ne le fait pas, d’être attentif et d’en parler. Il est important de maintenir le contact avec les personnes, avec le peuple fidèle de Dieu, car il y a l’onction du peuple de Dieu: ce sont les brebis et, comme tu le dis, on peut perdre l’odeur des brebis. Si tu t’éloignes, tu seras un théoricien, un bon théologien, un bon philosophe, un bon curé qui fait tout, mais tu auras perdu la capacité de sentir l’odeur des brebis. Bien plus, ton âme aura perdu la capacité de se laisser réveiller par l’odeur des brebis. C’est pourquoi je crois qu’il est important – je dirais même nécessaire, voire obligatoire – que chacun d’entre vous ait au moins une expérience pastorale hebdomadaire. Dans une paroisse, dans un foyer pour garçons ou pour filles, ou dans une maison de retraite, peu importe, mais le contact avec le peuple de Dieu. Ne l’oubliez pas. Et je dis aux Préfets : voyez s’il y a quelqu’un qui ne le fait pas; non pas pour le punir, mais pour lui parler, parce que c’est important, il est en train de perdre une grande force, une grande force de la vie sacerdotale.

J’aime parler aux prêtres des “quatre proximités”. Proximité avec Dieu : est-ce que tu pries ? Proximité avec l’évêque : comment est ta proximité avec l’évêque ? Es-tu de ceux qui font des commérages sur l’évêque ou des, «plus il est loin, mieux c’est» ? Ou es-tu proche de l’évêque et vas-tu discuter avec lui ? Troisièmement : la proximité entre vous. C’est intéressant, c’est l’une des choses que l’on retrouve à la fois dans les séminaires et dans les presbytères : le manque de véritable proximité fraternelle entre les prêtres. Oui, tous avec un grand sourire, mais ensuite ils s’en vont et s’écorchent les uns les autres dans de petits groupes. Ce n’est pas ça la proximité, c’est un manque de fraternité. Et la quatrième : la proximité avec le peuple de Dieu. S’il n’y a pas de proximité avec le peuple de Dieu, tu n’es pas un bon prêtre. Et cette proximité se maintient et s’exerce par le ministère – dans ce cas, hebdomadaire.

Question

Bonjour, Saint-Père. Le prêtre est un signe de l’amour de Dieu pour l’humanité. Mais, malheureusement, ce signe est souvent défiguré à cause de nos manquements. Sainteté, comment trouver un équilibre entre l’expérience de la miséricorde pour nos défaillances et l’effort pour vivre la vertu et parvenir à la sainteté ? Quels sont, selon vous, les aspects les plus urgents de la formation au séminaire qui doivent être mis en avant et pris en considération pour que les séminaristes d’aujourd'hui, mais aussi ceux de demain, puissent répondre à l’appel de Dieu ?

Pape François

Merci. Il y a deux choses différentes dans ce que tu as dit. Premièrement, tu as utilisé un mot que je n’aime pas – je ne t’en veux pas, tu l’as utilisé, mais je ne l’aime pas – : le mot «équilibre».

La vie n’est pas un équilibre, chers amis, elle n’est pas un équilibre. Et si tu trouves quelqu’un qui pense : «je suis en parfait équilibre », je lui dirais: tu n’es rien ! Parce que, l’équilibre, le fasse celui qui travaille dans un cirque. Celui qui fait ces choses-là, il fait l’équilibriste. Mais la vie est un déséquilibre constant, parce que la vie c’est marcher et rencontrer des difficultés, rencontrer de bonnes choses qui te font avancer, mais celles-ci te déséquilibrent toujours. Même, si tu as des choses à faire, c’est vrai, il faut un équilibre pour les faire, tu dois avoir un équilibre affectif, disons, qui t’équilibre d’un côté et de l’autre, et dire : «Je me sens de ce côté». Mais l’équilibre, dans la vie, c’est aussi l’équilibre avec l’expérience du pardon et de la miséricorde pour le péché. Mais, Dieu merci, nous sommes pécheurs, mon cher, et Dieu merci, nous devons aller chaque semaine ou tous les quinze jours – je le fais tous les quinze jours – voir le confesseur pour qu’il nous pardonne. Et c’est un grand déséquilibre car il te conduit à l’humilité. La vie chrétienne c’est marcher sans cesse, tomber et se relever. Marcher un peu seul, un peu avec les autres : il n’y a pas de feuille de route. Bien sûr, tu mets le navigateur sur la voiture et tu pars. Il y a des conseils de prière, des choses qui t’aident à grandir. C’est ça le déséquilibre. Même, je dirais plutôt le contraire : comment vivre en déséquilibre, en déséquilibre quotidien. Ne pas avoir peur du déséquilibre : nous sommes humains. Et dans le déséquilibre il faut faire le discernement. Une personne «équilibrée» ne peut pas faire de discernement car elle n’a pas de motions de l’Esprit. Dans le déséquilibre il y a des motions de Dieu qui t’invitent à quelque chose, à la volonté de faire le bien, à te relever après être tombé dans le péché... Savoir vivre dans le déséquilibre : cela conduit à un équilibre différent. Je pourrai parler d’un équilibre dynamique, que je ne peux pas maintenir : c’est le Seigneur qui le maintient. Il te fait avancer, grâce l’onction de l’Esprit. Voilà pour l’équilibre et le déséquilibre.

Ensuite, la formation des séminaires. Je crois qu’ici le Cardinal [Préfet du Dicastère pour le Clergé] peut parler mieux que moi des séminaires car dans le Dicastère ils sont spécialistes. Par exemple, je commence en disant que le séminaire doit être composé d’un certain nombre de séminaristes qui forment ensemble «la communauté». «Non. Nous, nous sommes cinq dans le diocèse» : ceci n’est pas un séminaire, c’est un mouvement paroissial. Au séminaire il doit y avoir un certain nombre – 25, 30 – un nombre modéré. S’ils sont 200, diviser en petites communautés: un nombre humain de groupes, de communautés, c’est important. Les séminaires de 300 - tous ensemble– ne fonctionnent plus ! Ils étaient l’expression d’une autre époque. Non, de petites communautés où l’on travaille, mais de petites communautés insérées au sein d’une plus grande.

La formation des séminaristes : les séminaristes doivent avoir une bonne formation spirituelle. «Je vais au séminaire, j’apprends la philosophie, la théologie…». Oui, mais dans quel esprit ? Premièrement, une bonne formation spirituelle. Même durant la propédeutique. Le but de la propédeutique, aujourd’hui, est le suivant : habituer le séminariste au discernement spirituel, à la formation spirituelle, à la science, aux sciences de l’esprit. Deuxièmement, une formation intellectuelle sérieuse. Cela ne signifie pas qu’ils soient des maîtres des idées, non. Qu’ils sachent raisonner et qu’ils connaissent la théologie de base, avec cela je suis tranquille, et il faut quatre ans pour la théologie de base. Qu’ils sachent cela. Mais avec une belle formation spirituelle. Pour ça, il est parfois nécessaire de regrouper les petites communautés de séminaristes en une seule, afin de disposer de professeurs et de formateurs adéquats. J’ai dit spirituelle et intellectuelle. Maintenant : la formation communautaire. En petits groupes, oui, mais la vie communautaire, ils doivent apprendre à vivre en communauté, et ne pas tomber dans la critique de l’autre, dans des «partis» au sein du presbyterium, et ainsi de suite. Cela s’apprend dans un séminaire. Et puis, la vie apostolique. Chaque séminaire a sa propre pratique de la vie apostolique. Ils vont généralement en paroisse le week-end : c’est très important car la vie apostolique te donne aussi cette capacité, «l’odeur des brebis» dont tu as parlé. Elle te donne la capacité de te situer dans la réalité. Et peut-être il t’arrive d’aller avec un curé névrosé, dans une paroisse où il y a des problèmes, et tu verras comment gérer cela. Et les gens des paroisses où vous allez vous connaissent mieux – parfois – que les supérieurs. Mon expérience : quand je demandais des informations pour promouvoir quelqu’un aux ordres, soit au diaconat, soit au presbytérat, quand j’étais jésuite, je demandais aux frères coadjuteurs, à beaucoup, mais toujours aux frères coadjuteurs et aux gens de la paroisse ; et les meilleures informations ne venaient pas des professeurs: elles étaient bonnes, mais les meilleures venaient des frères coadjuteurs et des dames des paroisses. C’est drôle : elles ont le flair. Je me souviens d’un cas, un bon garçon intelligent qui devait être ordonné diacre, je m’en souviens bien. Une dame de la paroisse m’a dit : «Moi, je le ferais attendre un peu parce qu’il est bon, il a toutes les qualités, mais il y a quelque chose qui ne me convainc pas». Bien. Et un frère coadjuteur m’a dit : «Père, laissez-le attendre un an, cela ne lui fera pas de mal». Les autres, pleins d’encens. J’ai suivi cette voie, et au bout de quatre mois, il est parti de son plein gré : une crise avait éclaté. Ça c’est important. Le peuple de Dieu te comprend bien. Ainsi, la formation au séminaire comporte quatre éléments : la formation spirituelle doit être sérieuse, une direction spirituelle sérieuse ; une formation intellectuelle sérieuse, pas d’un manuel ; une formation communautaire entre les séminaristes ; et une formation apostolique.

Question

Saint Père, la génération actuelle de prêtres et de séminaristes est immergée dans le monde du numérique et des médias sociaux. Comment pouvons-nous apprendre à utiliser ces outils comme des opportunités pour partager la joie d’être chrétien, sans oublier notre identité ou être trop exposés et arrogants ? Merci.

Pape François

Je crois que ces choses doivent être utilisées, parce que c’est un progrès de la science, elles rendent service pour pouvoir avancer dans la vie. Je ne les utilise pas parce que je suis arrivé trop tard. Lorsque j’ai été ordonné évêque, il y a 30 ans, on m’en a donné un, un téléphone portable, qui était comme une chaussure, de cette taille. J’ai dit : «Non, je n’arrive pas à me servir de ça». Et finalement, j’ai dit : «Je vais passer un coup de fil». J’ai appelé ma sœur, je l’ai saluée, puis je l’ai rendu. «Offre-moi autre chose». Je n’ai pas réussi à l’utiliser. Parce que ma psychologie était défaillante ou que j’étais paresseux, je ne sais pas. La seule chose que j’ai réussi à utiliser était une Olivetti dotée d’une mémoire d’une seule ligne, que j’ai achetée quand j’étais en Allemagne dans un Angebot, 59 marks, rien du tout. Et elle m’a aidé, et elle est restée à Buenos Aires, je l’ai utilisée jusqu’à maintenant. Ce n’est pas mon monde. Mais tu dois les utiliser, et tu dois ne les utiliser que pour ceci: comme une aide pour avancer, pour communiquer : ça c’est bien. Mais je ne peux pas négliger de parler ici des dangers, le danger de regarder les nouvelles ici et là, en naviguant toute la journée; ou bien regarder ce programme qui m’intéresse ou cet autre, parce que tu as tout à portée de main... ou bien mettre cette musique qui m’intéresse et qui ne me laisse pas travailler... Il faut savoir bien l’utiliser. Et à ce sujet j’ajoute une autre chose, que vous connaissez bien : la pornographie numérique. Je vais le dire clairement. Je ne vous dirai pas : «Levez la main si vous avez eu au moins une expérience de ce genre», je ne le dirai pas. Mais que chacun d’entre vous réfléchisse à la question de savoir s’il a eu l’expérience ou la tentation de la pornographie numérique. C’est un vice qu’ont beaucoup de personnes, beaucoup de laïcs, mais aussi des prêtres et des religieuses. Le diable entre par là. Et je ne parle pas seulement de la pornographie criminelle, comme la pédopornographie, où l’on voit des cas réels d’abus : c’est déjà de la dégénérescence. Mais de la pornographie un peu «normale». Chers frères, prenez garde à cela. Le cœur pur, celui qui reçoit Jésus chaque jour, ne peut pas recevoir ces informations pornographiques qui, aujourd’hui, sont à l’ordre du jour. Et si tu peux l’effacer de ton téléphone portable, efface-le, ainsi tu n’auras pas de tentation à portée de la main. Et si tu ne peux pas le supprimer, défends-toi bien pour ne pas te retrouver dans cette situation. Je vous le dis, c’est une chose qui affaiblit l’âme. Elle affaiblit l’âme. Le diable entre par-là : il affaiblit le cœur sacerdotal. Excusez-moi si j’entre dans ces détails sur la pornographie, mais c’est une réalité : une réalité qui touche les prêtres, les séminaristes, les religieuses, les âmes consacrées. Avez-vous compris ? Très bien. C’est important.

Question

Pape François, pendant ces années à Rome, avec un de mes frères, nous avons suivi un groupe de jeunes après la confirmation dans une paroisse près d’ici. Nous venons tous les deux d’autres pays. Un jour, un jeune m’a dit : «Mais tu t’es rendu compte qu’il – en parlant de l’autre frère – parle mieux l’italien que toi ? Toi, par contre, tu utilises mieux tes mains et tes gestes». Avec cette remarque d’un jeune garçon, j’ai compris que dans l’évangélisation, il est aussi important de bien parler que d’accompagner le discours de ses mains. Les mots comptent autant que les gestes, et peut-être que pour les Italiens, ce sont les gestes qui accompagnent les paroles. Dans la formation vers le sacerdoce, on nous enseigne beaucoup comment parler, comment bien utiliser les mots et la parole, faire un discours philosophique cohérent, interpréter l’Écriture, faire un beau sermon dans l’église. Toutefois, Saint-Père, vous nous avez montré l’importance des gestes, des œuvres, de la tendresse concrète, et combien les gestes sont puissants, combien nos gestes sont éloquents. Je vois comment vous embrassez les personnes qui souffrent, et combien je voudrais le faire aussi. Je vois comme vous embrassez les malades, et combien je voudrais le faire aussi. Je vois comment vous touchez les nécessiteux, et combien je voudrais le faire aussi. Je sais qu’on n’apprend pas ces gestes du jour au lendemain, et je sais que je ne serai jamais un prêtre qui prêche par l’exemple si je n’apprends pas le langage des gestes dès maintenant. Comment avez-vous appris ces gestes de miséricorde ? Comment pouvons-nous arriver, nous aussi au séminaire, apprendre ce langage si important?

Pape François

Merci. Où ai-je appris les gestes... Les gestes, la vie les enseigne. Par exemple, une chose que j’ai apprise de l’expérience personnelle est que lorsque tu vas voir un malade, qui est mal, tu ne dois pas trop parler. Prends sa main, regarde-le dans les yeux, dis deux mots et reste comme ça. Dans l’opération qu’on m’a faite, où l’on m’a enlevé une partie du poumon quand j’avais 21 ans, tous mes amis, mes tantes venaient, tous pour parler: "Vas, tu te reprendras vite, tu parleras, tu pourras jouer de nouveau...". ça a me plaisait, mais ça me saoulait. Un jour est venue la sœur qui m’avait préparé pour la première Communion, sœur Dolores, bonne vieille, elle m’a pris la main, elle m’a regardé dans les yeux et me dit: "Tu imites Jésus", et elle n’a rien dit de plus. Elle m’a consolé. S’il vous plaît, quand vous allez voir un malade, ne remplissez pas avec des explications et des promesses d’avenir. Le geste de la proximité est plus parlant par la présence que par les paroles.

Un geste, je t’ai montré. Les gestes, on apprend ; les gestes de la tendresse tu les apprendras avec les personnes âgées, en allant chez elles. Le premier jour, tu les salueras comme ça, à distance. Après deux, trois fois que tu iras, tu les caresseras. Laisse-toi t’exprimer. Fais que ton expression soit totale. Même dans la prédication. Une fois j’ai appelé une nièce: "Comment vas-tu ?" - C’était un dimanche, parfois j’appelle ma sœur - "Comment vas-tu ?". "Bien, bien, mais un peu ennuyée parce que nous sommes allés avec mon mari et les enfants à la messe dans telle paroisse peu habituelle, et j’ai entendu une belle explication philosophique de 40 minutes, mais de la Parole de Dieu rien!" Si tu n’es pas humain avec des gestes, l’esprit se raidit aussi et dans la prédication tu diras des choses abstraites que personne ne comprend, et on aura la tentation de sortir pour fumer une cigarette et revenir, comme ça se fait... Il y a trois langages qui te font voir la maturité d’une personne: le langage de la tête, le langage du cœur et le langage des mains. Et nous devons apprendre à nous exprimer dans ces trois langages: que je pense ce que je ressens et ce que je fais, que je sente ce que je pense et ce que je fais, que je fasse ce que je sens et ce que je pense. Ici, j’utilise le mot équilibre: un équilibre entre ces choses.

Quand je vois des enfants malades - "combien souffrent les enfants ", disait Dostoïevski - les jeunes malades, là, les caresser... Quelqu’un peut t’accuser d’être pédophile, mais non, ne te préoccupe pas de cette possible accusation. Comme les personnes âgées qui ont besoin de caresses... Je me souviens que j’allais fréquemment à Buenos Aires dans les maisons de retraite, et parfois je célébrais la Messe. Les vieillards sont géniaux parce qu’ils te posent les questions les plus exigeantes... Et à la messe je disais : "Lequel d’entre vous fait la communion?" Et je passais, parce que souvent ils ne pouvaient pas marcher, ils étaient vieux, ils allaient avec une canne. Et j’avançais: "Celui qui veut communiquer lève la main". Tout le monde levait la main... Je donne la communion à une dame, puis elle me prend la main: "Merci, Père, je suis juive". "Mais ce que je t’ai donné aussi est juif". Les personnes âgées veulent des caresses, ils veulent que tu les écoutes, ils veulent que tu les fasses parler de leur époque, et tu apprendras beaucoup.

La tendresse. Ici nous tombons dans le style de Dieu. Le style de Dieu c’est la proximité. Il le dit lui-même dans le Deutéronome: "Pense, quel peuple a ses dieux aussi proches que toi tu m’as ?" (cf. chap. 4). La proximité est le style de Dieu. Il s’est fait proche dans l’incarnation du Christ. Il est proche de nous. Toujours la proximité. Mais une proximité qui a de la compassion, parce qu’elle pardonne toujours, et avec tendresse. Un bon prêtre est proche, compatissant et tendre. Il est certainement plus agréable de caresser une belle fille qu’une vieille dame - soyez prudents à ce sujet ! - mais la tendresse grandit et s’exprime mieux dans les contraires, tant chez les enfants, avec les petits enfants qui t’appellent, qu’avec les personnes âgées, mais... ça s’apprend...

Une fois, un de mes professeurs de philosophie - il était un bon père spirituel, il a publié beaucoup de livres aussi sur les exercices qui sont traduits en italien, le Père Fiorito - un jour il a donné une conférence sur les comportements, les fondements philosophiques, mais il a immédiatement glissé sur la spiritualité. Et l’une de ses questions, je la pose à vous tous, séminaristes, théologiens: est-ce que vous jouez avec les enfants ? Savez-vous jouer avec les enfants ? Il posait toujours cette question aux parents: "Toi, papa, quand tu rentres du travail, ou toi, maman, est-ce que tu joues avec tes enfants ?". La tendresse s’apprend avec les enfants et les personnes âgées. Et l’habitude qu’il y a d’éloigner les vieux parce qu’ils dérangent, cela nous éloigne de l’une des sources de tendresse. Le style de Dieu, ne l’oublie pas, est toujours la proximité, la compassion et la tendresse. Et si tu es proche, avec compassion et tendresse, tu es sur la bonne voie. La tendresse n’est pas de "faire le bon". Parfois, en faisant le bon, on peut glisser et faire le stupide. Non. Tendresse c’est ce que j’ai dit.

Question

Bonjour, Saint-Père. Je voudrais poser ma question en partant de deux événements importants de l’Église universelle: les 400 ans de Propaganda fide au service de la mission et de l’évangélisation, et le Synode des Évêques avec le thème "Communion, participation et mission". Comment nous, jeunes séminaristes, pouvons-nous sortir de notre "confort" pour évangéliser les autres jeunes? Quels sont les défis pour nous les jeunes qui voulons devenir prêtres dans le monde d’aujourd’hui? Merci.

Pape François

Il n’y a pas de méthode pour cela. Tu utilises un mot très clérical, "confort". C’est-à-dire, ne pas déranger le prêtre, le prêtre est occupé. Le confort conduit souvent les prêtres à chercher leur tranquillité: je reçois de telle heure à telle heure... Une fois, un bon curé d’un quartier me disait qu’il voulait murer une fenêtre parce que, à toute heure, les gens venaient et frappaient à la fenêtre parce qu’ils avaient besoin de ceci ou de cela, d’une prière, d’une Messe... Et j’ai dit: "Et tu as muré la fenêtre?" Il a dit: "Non, je ne peux pas, Père, sans les gens, je ne suis pas prêtre". Belle réponse que celle-ci! Le confort. Il y a une figure qui m’a toujours frappé, le prêtre confortable, un peu le "monsieur l’abbé" des cours françaises, un fonctionnaire - vous qui travaillez à la Curie, soyez attentifs! - le prêtre fonctionnaire. Le prêtre fonctionnaire vit le sacerdoce comme s’il s’agissait d’un emploi. Il est confortable, il a ses horaires, c’est à moi de faire ceci, cela non... Et ainsi, en grandissant, il se transforme en "vieux garçon", avec ses habitudes maniaques, c’est un névrosé au quotidien. Fais attention, fais attention à cela. Ne cherche pas ton confort; le sacerdoce est un service sacré de Dieu, le service dont l’Eucharistie est le plus haut degré, c’est un service à la communauté. Si tu ne le sens pas ainsi, parle avec l’évêque, peut-être seras-tu un bon père de famille, mais s’il vous plaît ne soyez pas des fonctionnaires. Ça, c’est le confort dont tu parles.

Il y a une autre chose qui accompagne ce confort, c’est la dimension "arriviste", les prêtres arrivistes qui font carrière. Je crois qu’on les voit... à la curie, non, ça n’arrive pas ! Mais ailleurs ça arrive... Quand tu es sur le point de faire un changement, là ils arrivent, allez, allez... l’arriviste. S’il te plaît arrêtez, arrêtez. Parce que l’arriviste à la fin est un traître, il n’est pas un serviteur. Il cherche son propre avantage et ensuite ne fait rien pour les autres. J’avais une grand-mère qui aimait nous faire des "catéchèses". Elle était une migrante et les migrants, avec le temps, les migrants italiens, venaient en Amérique et faisaient leur maison et l’éducation des enfants... Et la grand-mère nous enseignait: "Dans la vie, vous devez progresser", c’est-à-dire immédiatement: les briques, la terre, la maison, progresser, c’est-à-dire se faire une situation, une famille; et elle nous enseignait cela. Mais faites attention de ne pas confondre le fait de progresser avec l’arrivisme, car l’arriviste c’est celui qui monte, monte, monte et quand il est là-haut, il montre son... La grand-mère disait le mot! Il te le montre, il est comme ça, il te le montre. La seule chose que les arrivistes font c’est se ridiculiser, ils sont ridicules. Cela m’a fait du bien dans la vie. Au contraire, lorsque viennent les informations pour les évêques - vous êtes dans la Congrégation des évêques et vous savez comment ça se passe -, tout de suite les informations des camarades: celui-ci c’est un arriviste, il cherche la place... Faites attention, au confort et à l’arrivisme, faire carrière. Quand j’étais jeune, on l’utilisait en espagnol, et je ne sais pas si on l’utilise en italien: celui-ci a choisi la "carrière" sacerdotale. La carrière de médecin, d’avocat... Aujourd’hui, on ne l’utilise plus, Dieu merci, mais l’arriviste fait carrière, faites attention, faites attention. Et si vous avez un tel camarade, aidez-le à s’arrêter, à ne pas vouloir arriver, car à la fin il montrera le pire de lui-même. Et l’arriviste n’est jamais satisfait.

Communion, participation et mission. Oui, si tu es en communion, tu penses aux autres, si tu participes, tu partages avec les autres, si tu es en mission, tu penses aux autres. Toujours le service, servir. Le service, même le service liturgique, est un service. Servir les autres, non pas son propre confort. Je crois que là-dessus il ne me vient rien d’autre. Vous avez clairement compris le danger qu’il y a de chercher son propre plaisir et sa propre tranquillité, et le danger de vouloir faire carrière. Et malheureusement dans la vie il y a beaucoup de carriéristes. Beaucoup. S’il vous plaît, si l’un d’entre vous a cette tentation, arrêtez-vous, demandez conseil pour arrêter.

Question:

Bonjour, Saint-Père. Merci beaucoup, Sainteté, pour cette merveilleuse occasion d'être avec vous. Le cheminement vocationnel d'un séminariste consiste toujours dans le discernement de sa vocation. A partir de mon expérience et de ce que je sais de l'expérience des autres, parfois – ou plus souvent – on se rend compte de ses propres faiblesses, on éprouve la peur de ne pas pouvoir satisfaire aux exigences de la vocation sacerdotale, la peur de ne pas être heureux dans le ministère. Ou encore, on se sent attiré non pas d'abord par l'amour de Dieu, mais par d'autres détails moins importants qui caractérisent le sacerdoce, et ainsi de suite. Cependant, en même temps, on sent fortement l'appel de Dieu en soi et aussi grâce aux circonstances qui ont caractérisé son cheminement. Dans ce type de situation, Sainteté, quelle pourrait être la bonne voie à suivre pour un séminariste dans son processus de discernement ? Plus généralement : en quoi consiste un juste discernement ? Merci beaucoup, Saint-Père.

Pape François

Merci. Le bon discernement - je te le dis avant tout - ne consiste pas en un équilibre, non ce n'est pas cela. C'est le rôle de la balance. Le discernement est toujours " déséquilibré ", pardon, la situation sur laquelle tu dois discerner est déséquilibrée, parce que tu as des émotions de ce côté, des émotions ici, des émotions là... Le bon discernement consiste à chercher comment ce déséquilibre trouve son chemin vers Dieu - et non pas " trouve l'équilibre " - parce qu'il se résout toujours, le déséquilibre, sur un plan supérieur, non sur le même plan. Et ceci est une grâce de la prière, une grâce de l'expérience spirituelle. Tu vas devant le Seigneur avec un déséquilibre, aidé par un frère si tu veux, et la prière, la recherche de la volonté de Dieu t'amène à résoudre le déséquilibre, mais sur un autre plan. Il te fait toujours avancer, il te fait sortir de la contradiction du déséquilibre - qui n'est pas une contradiction mathématique, mais une contradiction humaine - et il te fait faire un pas en avant. Un déséquilibre n'est pas résolu par une seule partie, non. Tous deux évoluent vers une nouvelle situation. Et c'est la grâce de l'accompagnement spirituel qui nous aide à trouver cette voie pour résoudre les déséquilibres.

"Dans ce genre de situation, quel pourrait être le bon chemin à suivre pour un séminariste dans son processus de discernement ?". Ce que j'ai dit à propos du discernement. Prière et dialogue avec la personne qui t’accompagne, qu'il s'agisse d'un prêtre, d'un ami, d'une religieuse, d'un laïc, quel qu'il soit. Prière et dialogue.

"Plus généralement, en quoi consiste le bon discernement ?" Le bon discernement ne consiste pas dans le fait que le résultat soit un équilibre. Le bon discernement, tu le vois après. La décision est harmonieuse, et non "équilibrée". L'équilibre est une chose, l'harmonie en est une autre. Ce sont des choses différentes. L'équilibre est une chose mathématique, physique ; l'harmonie est une question de beauté, si l'on peut dire. L'équilibre consiste à comparer les parties et à trouver un compromis ; l'harmonie, dans le discernement, est le don de l'Esprit Saint : le seul qui puisse faire l'harmonie est l'Esprit Saint. C'est un don. Saint Basile a défini l'Esprit Saint "ipse harmonia est". Il est l'harmonie. Déjà nous entrons dans le discernement avec l'Esprit Saint en nous. Tu ne peux pas faire un discernement chrétien sans l'Esprit Saint. Et c'est pourquoi le déséquilibre entre dans la prière, entre dans la voie du Saint-Esprit, et Lui t’amène à une nouvelle situation harmonieuse. Et puis on peut entrer dans une autre "désharmonie", et ce sera l'Esprit à t’emmener plus loin. Ce n'est pas une chose physique, ce n'est pas une chose intellectuelle, ce n'est pas une chose sentimentale : c'est la grâce de recevoir l'Esprit Saint, qui est harmonieux. Et avec la prière nous arrivons à cette grâce de comprendre l'harmonie de l'Esprit. Je ne sais pas si j'ai bien répondu à cette question. Dis-moi : tu as compris ? Il ne s'agit pas, dans le discernement, d'équilibrer comme sur une balance, non : de prier, de progresser et de laisser l'Esprit, avec les motions intérieures, aller de l'avant.

Et puis, quel est le résultat du bon discernement ? La consolation spirituelle. L'Esprit Saint, lorsqu'il te donne l'harmonie, te console. Au contraire, lorsque tu es avec un problème, tu n’es pas dans la consolation, tu es dans la désolation. Nous devons apprendre à utiliser, dans notre vie, les motions de l'Esprit, la consolation et la désolation : ceci me fait du bien, ceci me rend heureux, ceci m'enlève la paix... Qu'est-ce que le Seigneur fait dans le cœur et qu'est-ce que le diable fait. Parce que le diable existe ! Saint Pierre dit qu'il tourne en rond, tourne, tourne, pour rechercher qui dévorer. Il est notre danger. Mais l'Esprit est notre guide. Et voici le chemin : suivre l’Esprit Saint.

[S'adressant au cardinal Lazare You Heung-sik] Je voudrais répondre encore à la dixième question, car elle émane d'un Ukrainien, et sa patrie souffre.

Question

Votre Sainteté, Pape François, oui, je suis un prêtre ukrainien. Aujourd'hui, nous voyons comment dans le monde contemporain il y a tant de guerres et de conflits armés, en particulier la guerre en Ukraine. Je voudrais vous demander : quel est le rôle que doit jouer l'Église catholique par rapport aux territoires touchés par les guerres, et quelle serait la tâche des prêtres dans ces régions ? Merci

Pape François

Merci. L'Église catholique - l'Église, la Sainte Mère Église - est mère, mère de tous les peuples. Et une mère, lorsque ses enfants sont en conflit, souffre. L'Église doit souffrir devant les guerres, car les guerres sont la destruction des enfants. Tout comme une mère souffre lorsque ses enfants ne s'entendent pas ou se disputent et ne se parlent pas - les petites guerres domestiques - l'Église, la Mère Église devant une guerre comme celle de ton pays, doit souffrir. Elle doit souffrir, pleurer, prier. Elle doit aider les personnes qui en subissent les graves conséquences, qui perdent leur maison ou sont blessées… les morts... L'Église est une mère et son premier rôle est d'abord la proximité avec les personnes qui souffrent. Elle est mère, elle est comme une mère.

Et puis, elle est aussi une mère créatrice de paix : elle essaie de faire la paix à certains moments... Dans ce cas, ce n'est pas très facile, mais le cœur ouvert de la Mère Église... Vous, les chrétiens, ne prenez pas parti dans cette affaire. Il est vrai qu'il y a la patrie, c'est vrai, nous devons la défendre. Mais allez plus loin, au-delà : un amour plus universel. Et la Mère Église doit être proche de tous, de toutes les victimes. Mieux encore, prier pour le péché des agresseurs, pour celui qui vient ici pour ruiner ma patrie, pour tuer mes proches : est-ce que je prie pour cela ? Et cela c’est une attitude chrétienne. Vous souffrez beaucoup, ton peuple, je le sais, je suis proche. Mais priez pour les agresseurs, car ils sont des victimes comme vous. On ne voit pas les blessures qu'ils ont dans l’âme, mais priez, priez pour que le Seigneur les convertisse et que la paix vienne. Ça c'est important.

Question

Bonjour. Saint Père, bonjour et merci. La Ratio fundamentalis nous rappelle que le premier domaine dans lequel se développe la formation permanente est la fraternité presbytérale. En effet, un presbyterium uni dans lequel les prêtres et leur évêque se soutiennent mutuellement, célèbrent les joies et souffrent des difficultés de l'autre, contribuerait à faire du presbyterium un espace de formation et de communion. Quels conseils pouvez-vous nous donner, à partir de votre expérience de pasteur, pour créer des relations plus fraternelles dans le presbyterium qui nous puissent nous aider à faire face aux défis du temps présent ? Merci, Votre Sainteté.

Pape François

Il y a beaucoup de choses. Tout d'abord, la proximité et le fait de se parler, non de prendre de la distance. Aux évêques, je dis : les prêtres sont votre premier prochain, soyez proches des prêtres. Je leur dis : "J'entends un prêtre qui me dit : j'ai appelé l'évêché pour parler à l'évêque et le secrétaire m'a dit que ce mois-ci est complet, peut-être le mois prochain... " ; je pense que cet évêque ruine ses prêtres.

Proximité. Par exemple, l'archevêque de Naples à peine nommé, qu'a-t-il fait ? Il a donné à tous les prêtres - les napolitains sont plus de mille - son numéro de téléphone portable. "Est-ce qu'ils te harcèlent?" - "Non, non, mais quand ils en ont besoin, ils m'appellent, directement". Cette proximité s'applique au prêtre avec l'évêque mais aussi au prêtre avec les autres.

Je ne sais pas si cela arrive ici, mais, dans mon pays, il y a des groupes de prêtres qui parlent mal des autres: il y a ceux de droite, ceux de gauche, ceux d'ici et ceux de là-bas... ça c'est du poison. C'est un poison, un vers qui tue le corps presbytéral. Unité entre les prêtres. Et si tu n'as pas les tripes pour dire les choses en face de quelqu’un, tu te le ravales. Mais ne vas pas te couper l'appétit en critiquant ton frère prêtre, non. Ce n'est pas une manière virile de faire. Un homme va, et dit les choses comme elles sont. Avec charité et avec amour. Et s'il ne peut pas les dire parce que l'autre est un peu violent, qu'il le dise à l'évêque qui est le père de tous. Mais ne le dis pas à tous les autres. Il faut cette proximité pour éviter que le corps sacerdotal ne finisse mal. Et l'évêque, soutenez-le à votre tour. Parfois, l'évêque est un peu "maniaque", il a ses petites manies, car les évêques sont aussi des hommes !

Et je termine avec cec sur la façon de faire avec l'évêque, avec une histoire que racontait justement par ma grand-mère. Il y avait une famille très belle, mais le grand-père qui habitait chez eux était vieux, et il a commencé à baver en mangeant et à se salir. Et un jour, le père dit à la famille : «A partir de demain, le grand-père mangera dans la cuisine. J'ai fait une belle table, le grand-père ira là, et nous de cette façon nous pourrons inviter des gens et lui sera à part». Quelques jours passent et papa rentre du travail et voit son fils de six ans travailler avec des clous, du bois...

-"Qu'est-ce que tu fais ?". - "Une table basse, papa !" - "Pourquoi?" - "Pour toi, pour quand tu seras vieux !" Les vieux, comme ça, on les met à part. S’il vous plait, essayez d'apprendre à connaître l'évêque en tant que papa. Et si vous avez l'occasion de lui dire ses défauts, faites-le, comme à un papa. Il est le père, non pas un ennemi ni un chef d'entreprise. Merci beaucoup, chers amis ! Maintenant, prions la Vierge Marie de nous aider tous.

[Angelus Domini...]

[Bénédiction]

Et peut-être que la prochaine fois, nous verrons les 198 questions qui restent.

[01631-FR.01] [Texte original: Italien]

[B0798-XX.01]