Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Cappella Papale nel 60° anniversario dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11.10.2022


 

Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 17.00 di oggi, memoria di San Giovanni XXIII, Papa, il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica di San Pietro, la Celebrazione Eucaristica in occasione del 60° anniversario dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

Omelia del Santo Padre

«Mi ami?». È la prima frase che Gesù rivolge a Pietro nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 21,15). L’ultima, invece, è: «Pasci le mie pecore» (v. 17). Nell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II sentiamo rivolte anche a noi, a noi come Chiesa, queste parole del Signore: Mi ami? Pasci le mie pecore.

1. Anzitutto: Mi ami? È un interrogativo, perché lo stile di Gesù non è tanto quello di dare risposte, ma di fare domande, domande che provocano la vita. E il Signore, che «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi» (Dei Verbum, 2), chiede ancora, chiede sempre alla Chiesa, sua sposa: “Mi ami?”. Il Concilio Vaticano II è stato una grande risposta a questa domanda: è per ravvivare il suo amore che la Chiesa, per la prima volta nella storia, ha dedicato un Concilio a interrogarsi su sé stessa, a riflettere sulla propria natura e sulla propria missione. E si è riscoperta mistero di grazia generato dall’amore: si è riscoperta Popolo di Dio, Corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo!

Questo è il primo sguardo da avere sulla Chiesa, lo sguardo dall’alto. Sì, la Chiesa va guardata prima di tutto dall’alto, con gli occhi innamorati di Dio. Chiediamoci se nella Chiesa partiamo da Dio, dal suo sguardo innamorato su di noi. Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o di rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro. Stiamo però attenti: sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo – o l’ “indietrismo” – che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà. Sono egoismi pelagiani, che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio, quello semplice, umile e fedele che Gesù ha domandato a Pietro.

Mi ami tu? Riscopriamo il Concilio per ridare il primato a Dio, all’essenziale: a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante. Il Concilio indica alla Chiesa questa rotta: la fa tornare, come Pietro nel Vangelo, in Galilea, alle sorgenti del primo amore, per riscoprire nelle sue povertà la santità di Dio (cfr Lumen gentium, 8c; cap. V). Anche noi, ognuno di noi ha la propria Galilea, la Galilea del primo amore, e sicuramente anche ognuno di noi oggi è invitato a tornare alla propria Galilea per sentire la voce del Signore: “Seguimi”. E lì, per ritrovare nello sguardo del Signore crocifisso e risorto la gioia smarrita, per concentrarsi su Gesù. Ritrovare la gioia: una Chiesa che ha perso la gioia ha perso l’amore. Verso la fine dei suoi giorni Papa Giovanni scriveva: «Questa mia vita che volge al tramonto meglio non potrebbe essere risolta che nel concentrarmi tutto in Gesù, figlio di Maria… grande e continuata intimità con Gesù, contemplato in immagine: bambino, crocifisso, adorato nel Sacramento» (Giornale dell’anima, 977-978). Ecco il nostro sguardo alto, ecco la nostra sorgente sempre viva: Gesù, la Galilea dell’amore, Gesù che ci chiama, Gesù che ci domanda: “Mi ami?”.

Fratelli, sorelle, ritorniamo alle pure sorgenti d’amore del Concilio. Ritroviamo la passione del Concilio e rinnoviamo la passione per il Concilio! Immersi nel mistero della Chiesa madre e sposa, diciamo anche noi, con San Giovanni XXIII: Gaudet Mater Ecclesia! (Discorso all’apertura del Concilio, 11 ottobre 1962). La Chiesa sia abitata dalla gioia. Se non gioisce smentisce sé stessa, perché dimentica l’amore che l’ha creata. Eppure, quanti tra noi non riescono a vivere la fede con gioia, senza mormorare e senza criticare? Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche. Dio ci liberi dall’essere critici e insofferenti, aspri e arrabbiati. Non è solo questione di stile, ma di amore, perché chi ama, come insegna l’Apostolo Paolo, fa tutto senza mormorare (cfr Fil 2,14). Signore, insegnaci il tuo sguardo alto, a guardare la Chiesa come la vedi Tu. E quando siamo critici e scontenti, ricordaci che essere Chiesa è testimoniare la bellezza del tuo amore, è vivere in risposta alla tua domanda: mi ami? Non è andare come se fossimo a una veglia funebre.

2. Mi ami? Pasci le mie pecore. La seconda parola: Pasci. Gesù esprime con questo verbo l’amore che desidera da Pietro. Pensiamo proprio a Pietro: era un pescatore di pesci e Gesù lo aveva trasformato in pescatore di uomini (cfr Lc 5,10). Ora gli assegna un mestiere nuovo, quello di pastore, che non aveva mai esercitato. Ed è una svolta, perché mentre il pescatore prende per sé, attira a sé, il pastore si occupa degli altri, pasce gli altri. Di più, il pastore vive con il gregge, nutre le pecore, si affeziona a loro. Non sta al di sopra, come il pescatore, ma in mezzo. Il pastore è davanti al popolo per segnare la strada, in mezzo al popolo come uno di loro, e dietro al popolo per essere vicino a coloro che vanno in ritardo. Il pastore non sta al di sopra, come il pescatore, ma in mezzo. Ecco il secondo sguardo che ci insegna il Concilio, lo sguardo nel mezzo: stare nel mondo con gli altri e senza mai sentirci al di sopra degli altri, come servitori del più grande Regno di Dio (cfr Lumen gentium, 5); portare il buon annuncio del Vangelo dentro la vita e le lingue degli uomini (cfr Sacrosanctum Concilium, 36), condividendo le loro gioie e le loro speranze (cfr Gaudium et spes, 1). Stare in mezzo al popolo, non sopra il popolo: questo è il peccato brutto del clericalismo che uccide le pecore, non le guida, non le fa crescere, uccide. Quant’è attuale il Concilio: ci aiuta a respingere la tentazione di chiuderci nei recinti delle nostre comodità e convinzioni, per imitare lo stile di Dio, che ci ha descritto oggi il profeta Ezechiele: “andare in cerca della pecora perduta e ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita e curare quella malata” (cfr Ez 34,16).

Pasci: la Chiesa non ha celebrato il Concilio per ammirarsi, ma per donarsi. Infatti la nostra santa Madre gerarchica, scaturita dal cuore della Trinità, esiste per amare. È un popolo sacerdotale (cfr Lumen gentium, 10 ss.): non deve risaltare agli occhi del mondo, ma servire il mondo. Non dimentichiamolo: il Popolo di Dio nasce estroverso e ringiovanisce spendendosi, perché è sacramento di amore, «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1). Fratelli e sorelle, torniamo al Concilio, che ha riscoperto il fiume vivo della Tradizione senza ristagnare nelle tradizioni; che ha ritrovato la sorgente dell’amore non per rimanere a monte, ma perché la Chiesa scenda a valle e sia canale di misericordia per tutti. Torniamo al Concilio per uscire da noi stessi e superare la tentazione dell’autoreferenzialità, che è un modo di essere mondano. Pasci, ripete il Signore alla sua Chiesa; e pascendo, supera le nostalgie del passato, il rimpianto della rilevanza, l’attaccamento al potere, perché tu, Popolo santo di Dio, sei un popolo pastorale: non esisti per pascere te stesso, per arrampicarti, ma per pascere gli altri, tutti gli altri, con amore. E, se è giusto avere un’attenzione particolare, sia per i prediletti di Dio cioè i poveri, gli scartati (cfr Lumen gentium, 8c; Gaudium et spes, 1); per essere, come disse Papa Giovanni, «la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri» (Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo a un mese dal Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 settembre 1962).

3. Mi ami? Pasci – conclude il Signore – le mie pecore. Non intende solo alcune, ma tutte, perché tutte ama, tutte chiama affettuosamente “mie”. Il buon Pastore vede e vuole il suo gregge unito, sotto la guida dei Pastori che gli ha dato. Vuole – terzo sguardo – lo sguardo d’insieme: tutti, tutti insieme. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, a immagine della Trinità, è comunione (cfr Lumen gentium, 4.13). Il diavolo, invece, vuole seminare la zizzania della divisione. Non cediamo alle sue lusinghe, non cediamo alla tentazione della polarizzazione. Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa. Tutti, tutti siamo figli di Dio, tutti fratelli nella Chiesa, tutti Chiesa, tutti. Il Signore non ci vuole così: noi siamo le sue pecore, il suo gregge, e lo siamo solo insieme, uniti. Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”, come Gesù ha implorato prima di dare la vita per noi (cfr Gv 17,21). Ci aiuti in questo Maria, Madre della Chiesa. Accresca in noi l’anelito all’unità, il desiderio di impegnarci per la piena comunione tra tutti i credenti in Cristo. Lasciamo da parte gli “ismi”: al popolo di Dio non piace questa polarizzazione. Il popolo di Dio è il santo popolo fedele di Dio: questa è la Chiesa. È bello che oggi, come durante il Concilio, siano con noi rappresentanti di altre Comunità cristiane. Grazie! Grazie per essere venuti, grazie per questa presenza.

Ti rendiamo grazie, Signore, per il dono del Concilio. Tu che ci ami, liberaci dalla presunzione dell’autosufficienza e dallo spirito della critica mondana. Liberaci dell’autoesclusione dall’unità. Tu, che ci pasci con tenerezza, portaci fuori dai recinti dell’autoreferenzialità. Tu, che ci vuoi gregge unito, liberaci dall’artificio diabolico delle polarizzazioni, degli “ismi”. E noi, tua Chiesa, con Pietro e come Pietro ti diciamo: “Signore, tu sai tutto; tu sai che noi ti amiamo” (cfr Gv 21,17).

[01550-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«M'aimes-tu ?» C'est la première phrase que Jésus adresse à Pierre dans l'Évangile que nous avons entendu (Jn 21, 15). La dernière est: «Sois le berger mes brebis» (v. 17). À l'occasion de l'anniversaire de l'ouverture du Concile Vatican II, nous entendons ces paroles du Seigneur qui nous sont également adressées, à nous en tant qu'Église: M'aimes-tu ? Sois le berger de mes brebis.

1. Tout d'abord: m'aime-tu? C'est une question, parce que le style de Jésus n'est pas tant de donner des réponses, mais de poser des questions, des questions qui provoquent la vie. Et le Seigneur, qui «s’adresse aux hommes en son surabondant amour comme à des amis» (Dei Verbum, n. 2), demande à nouveau, demande toujours à l'Église, son épouse: «M'aimes-tu ?». Le Concile Vatican II a été une grande réponse à cette question: c'est pour raviver son amour que l'Église, pour la première fois dans l'histoire, a consacré un concile pour qu’elle s'interroge sur elle-même, pour qu’elle réfléchisse sur sa propre nature et sa mission. Et elle s'est redécouverte comme un mystère de grâce engendré par l'amour: elle s'est redécouverte comme Peuple de Dieu, Corps du Christ, temple vivant de l'Esprit Saint!

C'est le premier regard à porter sur l'Église, le regard d'en haut. Oui, l'Église doit d'abord être regardée d'en haut, avec les yeux aimants de Dieu. Demandons-nous si, dans l'Église, nous partons de Dieu, de son regard d'amour sur nous. Il y a toujours la tentation de partir de soi plutôt que de Dieu, de faire passer nos agendas avant l'Évangile, de nous laisser emporter par le vent de la mondanité pour suivre les modes du temps, ou de refuser le temps que la Providence nous donne pour faire demi-tour. Mais prenons garde, tant le progressisme qui s'adapte au monde que le traditionalisme – ou “régression” – qui regrette un monde passé ne sont pas des preuves d'amour, mais d'infidélité. Ce sont des égoïsmes pélagiens, qui font passer les goûts et les projets personnels avant l'amour qui plaît à Dieu, l'amour simple, humble et fidèle que Jésus a demandé à Pierre.

Est-ce que tu m'aimes? Redécouvrons le Concile pour redonner la primauté à Dieu, à l'essentiel: à une Église folle d'amour pour son Seigneur et pour tous les hommes, aimés par Lui; à une Église riche en Jésus et pauvre en moyens; à une Église libre et libératrice. Le Concile montre à l'Église cette voie: il la fait revenir, comme Pierre dans l'Évangile, en Galilée, aux sources du premier amour, pour redécouvrir dans ses pauvretés la sainteté de Dieu (cf. Lumen gentium, n. 8c; ch. 5). Nous aussi, chacun de nous a sa Galilée, la Galilée du premier amour, et certainement chacun de nous aujourd’hui aussi est invité à retourner à sa Galilée pour entendre la voix du Seigneur: “Suis-moi”. C’est là, pour retrouver dans le regard du Seigneur crucifié et ressuscité sa joie perdue, pour se concentrer sur Jésus. Retrouver la joie: une Église qui a perdu la joie a perdu l’amour. Vers la fin de ses jours, le Pape Jean écrivait: «Ma vie, qui touche à sa fin, ne peut être mieux résolue qu'en me concentrant entièrement sur Jésus, fils de Marie... une grande et continuelle intimité avec Jésus, contemplé en image : enfant, crucifié, adoré dans le Sacrement» (Journal de l'âme, p. 977-978). Voilà notre haut regard, voilà notre source toujours vivante: Jésus, la Galilée de l’amour, Jésus qui nous appelle, Jésus qui nous demande: “Est-ce que tu m’aimes?”.

Frères, sœurs, revenons aux pures sources d'amour du Concile. Retrouvons la passion du Concile et renouvelons notre passion pour le Concile! Immergés dans le mystère de l'Église mère et épouse, disons-nous aussi avec saint Jean XXIII: Gaudet Mater Ecclesia! (Discours d'ouverture du Concile, 11 octobre 1962). Que l'Église soit habitée par la joie. Si elle ne se réjouit pas, elle se dément elle-même, car elle oublie l'amour qui l'a créée. Et pourtant, combien d'entre nous ne parviennent pas à vivre la foi avec joie, sans murmurer et sans critiquer? Une Église amoureuse de Jésus n'a pas le temps pour les affrontements, les poisons et les polémiques. Que Dieu nous délivre d'être critiques et intolérants, amers et en colère. Ce n'est pas seulement une question de style, mais d'amour, car celui qui aime, comme l'enseigne l'Apôtre Paul, fait tout sans murmurer (cf. Ph 2, 14). Seigneur, enseigne nous ton regard d’en haut, à voir l'Église comme Tu la vois. Et lorsque nous sommes critiques et mécontents, rappelle-nous qu'être Église, c'est être témoin de la beauté de ton amour, c'est vivre en réponse à ta question: m'aimes-tu? Ce n’est pas comme si nous allions à une veillée funèbre.

2. M'aimes-tu? Sois le berger de mes brebis. Le deuxième mot: Sois le berger. Jésus exprime par ce verbe l'amour qu'il désire de Pierre. Pensons justement à Pierre: il était pêcheur de poissons et Jésus l'a transformé en pêcheur d'hommes (cf. Lc 5, 10). Il lui assigne maintenant un nouveau métier, celui de berger, qu'il n'avait jamais exercé. Et c'est un revirement, car alors que le pêcheur prend pour lui, attire à lui, le berger prend soin des autres, fait paître les autres. De plus, le berger vit avec le troupeau, nourrit les brebis, s'attache à elles. Il n’est pas au-dessus, comme le pêcheur, mais au milieu. Le berger est devant le peuple pour tracer le chemin, au milieu du peuple comme l’un d’eux, et derrière le peuple pour être proche de ceux qui vont en retard. Le berger n’est pas au-dessus, comme le pêcheur, mais au milieu. Voici le deuxième regard que nous enseigne le Concile, le regard à partir du milieu: être dans le monde avec les autres sans jamais se sentir au-dessus des autres, comme des serviteurs du plus grand Royaume de Dieu (cf. Lumen gentium, n. 5); porter la bonne annonce de l'Évangile dans la vie et dans les langues des hommes (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 36), en partageant leurs joies et leurs espérances (cf. Gaudium et spes, n. 1). Être au milieu du peuple, pas au-dessus du peuple: c’est le péché horrible du cléricalisme qui tue les brebis, qui ne les guide pas, qui ne les fait pas grandir, qui tue. Combien le Concile est actuel: il nous aide à rejeter la tentation de nous enfermer dans les enclos de notre confort et de nos convictions, pour imiter le style de Dieu que le prophète Ezéchiel nous décrit aujourd'hui: aller à la recherche de la brebis perdue et la ramener au bercail, panser la blessée et guérir la malade (cf. Ez 34, 16).

Sois le berger: l'Église n'a pas célébré le Concile pour s'admirer, mais pour se donner. Car notre sainte Mère hiérarchique, surgie du cœur de la Trinité, existe pour aimer. Elle est un peuple sacerdotal (cf. Lumen Gentium, n. 10ss): elle ne doit pas se démarquer du monde, mais servir le monde. Ne l'oublions pas: le Peuple de Dieu naît extraverti et il se rajeunit en se dépensant, car il est sacrement d'amour, «signe et instrument de l'union intime avec Dieu et de l'unité de tout le genre humain» (Lumen Gentium, n. 1). Frères et sœurs, revenons au Concile qui a redécouvert le fleuve vivant de la Tradition sans stagner dans les traditions; qui a retrouvé la source de l'amour non pas pour rester en amont, mais pour que l'Église descende en aval et soit un canal de miséricorde pour tous. Revenons au Concile pour sortir de nous-mêmes et surmonter la tentation de l'autoréférentialité qui est une manière d’être mondain. Sois le berger, répète le Seigneur à son Église; et en faisant paître, elle surmonte la nostalgie du passé, le regret de l’importance, l'attachement au pouvoir, parce que toi, Peuple saint de Dieu, tu es un peuple pastoral: tu n'existes pas pour te paître toi-même, pour escalader, mais pour paître les autres, tous les autres, avec amour. Et, s'il est juste d'avoir une attention particulière, que ce soit pour les préférés de Dieu c’est-à-dire les pauvres, les rejetés (cf. Lumen Gentium, n. 8c; Gaudium et Spes, n. 1); pour être, comme l'a dit le Pape Jean, «l'Église de tous, et particulièrement l'Église des pauvres» (Message radiodiffusé aux fidèles du monde entier à un mois du Concile Œcuménique Vatican II, 11 septembre 1962).

3. M'aimes-tu? Sois le berger – conclut le Seigneur – mes brebis. Il ne parle pas de quelques-unes seulement, mais de toutes, parce qu'il les aime toutes, il les appelle affectueusement "miennes". Le bon Pasteur voit et veut que son troupeau soit uni, sous la conduite des bergers qu'il lui a donnés. Il veut – le troisième regard – le regard d’ensemble: tous, tous ensemble. Le Concile nous rappelle que l'Église, à l'image de la Trinité, est communion (cf. Lumen gentium, n. 4.13). Le diable, au contraire, veut semer l’ivraie de la division. Ne cédons pas à ses flatteries, ne cédons pas à la tentation de la polarisation. Combien de fois, après le Concile, les chrétiens se sont-ils efforcés de choisir un camp dans l'Église, sans se rendre compte qu'ils déchiraient le cœur de leur Mère! Combien de fois a-t-on préféré être "supporter de son propre groupe" plutôt que serviteurs de tous, progressistes et conservateurs plutôt que frères et sœurs, "de droite" ou "de gauche" plutôt que de Jésus; s'ériger en "gardiens de la vérité" ou "solistes de la nouveauté", plutôt que de se reconnaître comme enfants humbles et reconnaissants de la Sainte Mère l'Église. Tous, nous sommes tous fils de Dieu, tous frères dans l’Église, tous Église, tous. Le Seigneur ne nous veut pas ainsi: nous sommes ses brebis, son troupeau, et nous le sommes seulement ensemble, unis. Dépassons les polarisations et gardons la communion, devenons de plus en plus "un", comme Jésus l'a imploré avant de donner sa vie pour nous (cf. Jn 17, 21). Que Marie, Mère de l'Église, nous aide en cela. Qu'elle fasse croître en nous le désir de l'unité, le désir de nous engager pour la pleine communion entre tous ceux qui croient au Christ. Laissons de côté les “ismes”: le peuple de Dieu n’aime pas cette polarisation. Le peuple de Dieu est le saint peuple fidèle de Dieu: telle est l’Église. Il est beau qu'aujourd'hui, comme pendant le Concile, soient avec nous des représentants d'autres communautés chrétiennes. Merci! Mercie d’être venus, merci de cette présence!

Nous te rendons grâce, Seigneur, pour le don du Concile. Toi qui nous aimes, délivre-nous de la présomption de l’autosuffisance et de l'esprit de critique mondaine. Libère-nous de l’auto-exclusion de l’unité. Toi qui nous pais avec tendresse, fais-nous sortir des enclos de l'autoréférentialité. Toi qui veux que nous soyons un troupeau uni, délivre-nous de l'artifice diabolique des polarisations, des “ismes”. Et nous, ton Église, avec Pierre et comme Pierre, nous te disons: Seigneur, tu sais tout, tu sais que nous t'aimons (cf. Jn 21, 17).

[01550-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Do you love me?” These are the first words that Jesus speaks to Peter in the Gospel that we have just heard (Jn 21:15). His final words are: “Feed my sheep” (v. 17). On the anniversary of the opening of the Second Vatican Council, we can sense that those same words of the Lord are also addressed to us, to us as Church: Do you love me? Feed my sheep.

First: Do you love me? It is a question, for Jesus’ style is not so much to offer answers as to ask questions, questions that challenge our lives. The Lord, who “from the fullness of his love, addresses men and women as his friends and lives among them” (Dei Verbum, 2), continues to ask the Church, his Bride: “Do you love me?” The Second Vatican Council was one great response to this question. To rekindle her love for the Lord, the Church, for the first time in her history, devoted a Council to examining herself and reflecting on her nature and mission. She saw herself once more as a mystery of grace generated by love; she saw herself anew as the People of God, the Body of Christ, the living temple of the Holy Spirit!

This is the first way to look at the Church: from above. Indeed, the Church needs first to be viewed from on high, with God’s eyes, eyes full of love. Let us ask ourselves if we, in the Church, start with God and his loving gaze upon us. We are always tempted to start from ourselves rather than from God, to put our own agendas before the Gospel, to let ourselves be caught up in the winds of worldliness in order to chase after the fashions of the moment or to turn our back on the time that Providence has granted us, in order to retrace our steps. Yet let us be careful: both the “progressivism” that lines up behind the world and the “traditionalism” – or “looking backwards” – that longs for a bygone world are not evidence of love, but of infidelity. They are forms of a Pelagian selfishness that puts our own tastes and plans above the love that pleases God, the simple, humble and faithful love that Jesus asked of Peter.

Do you love me? Let us rediscover the Council in order to restore primacy to God, to what is essential: to a Church madly in love with its Lord and with all the men and women whom he loves; to a Church that is rich in Jesus and poor in assets; to a Church that is free and freeing. This was the path that the Council pointed out to the Church. It led her to return, like Peter in the Gospel, to Galilee, to the sources of her first love; to rediscover God’s holiness in her own poverty (cf. Lumen Gentium, 8c; chapter 5. Each one of us also has his or her own Galilee, the Galilee of our first love, and certainly today we are all called to return to our own Galilee in order to hear the voice of the Lord: “Follow me”. And there, to find once more in the gaze of the crucified and risen Lord a joy that had faded; to focus upon Jesus. To rediscover our joy, for a Church that has lost its joy has lost its love. Towards the end of his life, Pope John wrote: “This life of mine, now nearing its sunset, could find no better end than in the concentration of all my thoughts in Jesus, the Son of Mary… a great and constant friendship with Jesus, contemplated as a Child and upon the Cross, and adored in the Blessed Sacrament” (Journal of a Soul). This is our view from on high; this is our ever-living source: Jesus, the Galilee of love, Jesus who calls us, Jesus who asks us: “Do you love me?”.

Brothers and sisters, let us return to the Council’s pure sources of love. Let us rediscover the Council’s passion and renew our own passion for the Council! Immersed in the mystery of the Church, Mother and Bride, let us also say, with Saint John XXIII: Gaudet Mater Ecclesia! (Address at the Opening of the Council, 11 October 1962). May the Church be overcome with joy. If she should fail to rejoice, she would deny her very self, for she would forget the love that begot her. Yet how many of us are unable to live the faith with joy, without grumbling and criticizing? A Church in love with Jesus has no time for quarrels, gossip and disputes. May God free us from being critical and intolerant, harsh and angry! This is not a matter of style but of love. For those who love, as the Apostle Paul teaches, do everything without murmuring (cf. Phil 2:14). Lord, teach us your own lofty gaze; teach us to look at the Church as you see her. And when we are critical and disgruntled, let us remember that to be Church means to bear witness to the beauty of your love, to live our lives as a response to your question: Do you love me? And not to act as if we were at a funeral wake.

Do you love me? Feed my sheep. With that second verb, feed, Jesus expresses the kind of love that he desires from Peter. So let us now reflect on Peter. He was a fisherman whom Jesus made a fisher of men (cf. Lk 5:10). Jesus assigns him a new role, that of a shepherd, something entirely new to him. This was in fact a turning point in Peter’s life, for while fishermen are concerned with hauling a catch to themselves, shepherds are concerned with others, with feeding others. Shepherds live with their flocks; they feed the sheep and come to love them. A shepherd is not “above” the nets – like a fisherman – but “in the midst of” his sheep. A shepherd stands in front of the people to mark the way, in the midst of the people as one of them, and behind the people in order to be close to the stragglers. A shepherd is not above, like a fisherman, but in the midst.

This is the second way of looking at the Church that we learn from the Council: looking around. In other words, being in the world with others without ever feeling superior to others, being servants of that higher realm which is the Kingdom of God (cf. Lumen Gentium, 5); bringing the good news of the Gospel into people’s lives and languages (cf. Sacrosanctum Concilium, 36), sharing their joys and hopes (cf. Gaudium et Spes, 1). Being in the midst of the people, not above the people, which is the bad sin of clericalism that kills the sheep rather than guiding them or helping them grow. How timely the Council remains! It helps us reject the temptation to enclose ourselves within the confines of our own comforts and convictions. The Council helps us imitate God’s approach, which the prophet Ezekiel has described to us today: “Seek the lost sheep and lead back to the fold the stray, bind up the injured and strengthen the weak” (cf. Ezek 34:16).

Feed: the Church did not hold the Council in order to admire herself, but to give herself to others. Indeed, our holy and hierarchical Mother, springing from the heart of the Trinity, exists for the sake of love. She is a priestly people (cf. Lumen Gentium, 10ff.), meant not to stand out in the eyes of the world, but to serve the world. Let us not forget that the People of God is born “extrovert” and renews its youth by self-giving, for it is a sacrament of love, “a sign and instrument of communion with God and of the unity of the entire human race” (Lumen Gentium, 1). Brothers and sisters, let us return to the Council, which rediscovered the living river of Tradition without remaining mired in traditions. The Council rediscovered the source of love, not to remain on mountain heights, but to cascade downwards as a channel of mercy for all. Let us return to the Council and move beyond ourselves, resisting the temptation to self-absorption, which is a way of being worldly. Once more, the Lord tells his Church: feed! And as she feeds, she leaves behind nostalgia for the past, regret at the passing of former influence, and attachment to power. For you, the holy People of God, are a pastoral people. You are not here to shepherd yourselves, or to be on the climb, but to shepherd others – all others – with love. And if it is fitting to show a particular concern, it should be for those whom God loves most: the poor and the outcast (cf. Lumen Gentium, 8; Gaudium et Spes, 1). The Church is meant to be, as Pope John put it, “the Church of all, and particularly the Church of the poor” (Radio Message to the faithful worldwide a month prior to the Second Vatican Ecumenical Council, 11 September 1962).

Do you love me? The Lord then says: “Feed my sheep”. He does not mean just some of the sheep, but all of them, for he loves them all, affectionately referring to them as “mine”. The Good Shepherd looks out and wants his flock to be united, under the guidance of the Pastors he has given them. He wants us – and this is the third way of looking at the Church – to see the whole, all of us together. The Council reminds us that the Church is a communion in the image of the Trinity (cf. Lumen Gentium, 4.13). The devil, on the other hand, wants to sow the darnel of division. Let us not give in to his enticements or to the temptation of polarization. How often, in the wake of the Council, did Christians prefer to choose sides in the Church, not realizing that they were breaking their Mother’s heart! How many times did they prefer to cheer on their own party rather than being servants of all? To be progressive or conservative rather than being brothers and sisters? To be on the “right” or “left”, rather than with Jesus? To present themselves as “guardians of the truth” or “pioneers of innovation” rather than seeing themselves as humble and grateful children of Holy Mother Church. All of us are children of God, all brothers and sisters in the Church, all of us making up the Church, all of us. That is how the Lord wants us to be. We are his sheep, his flock, and we can only be so together and as one. Let us overcome all polarization and preserve our communion. May all of us increasingly “be one”, as Jesus prayed before sacrificing his life for us (cf. Jn 17:21). And may Mary, Mother of the Church, help us in this. May the yearning for unity grow within us, the desire to commit ourselves to full communion among all those who believe in Christ. Let us leave aside the “isms”, for God’s people do not like polarization. The people of God is the holy faithful people of God: this is the Church. It is good that today, as during the Council, representatives of other Christian communities are present with us. Thank you! Thank you for being here, thank you for your presence!

We thank you, Lord, for the gift of the Council. You who love us, free us from the presumption of self-sufficiency and from the spirit of worldly criticism. Prevent us from excluding ourselves from unity. You who lovingly feed us, lead us forth from the shadows of self-absorption. You who desire that we be a united flock, save us from the forms of polarization and the “isms” that are the devil’s handiwork. And we, your Church, with Peter and like Peter, now say to you: “Lord, you know everything; you know that we love you” (cf. Jn 21:17).

[01550-EN.02] [Original text: English]

Traduzione in lingua tedesca

»Liebst du mich?«. Dies ist der erste Satz, den Jesus im eben gehörten Evangelium zu Petrus sagt (Joh 21,15). Der letzte hingegen lautet: »Weide meine Schafe« (V. 17). Am Jahrestag der Eröffnung des Zweiten Vatikanischen Konzils wollen wir diese Worte des Herrn auch auf uns, auf uns als Kirche, beziehen: Liebst du mich? Weide meine Schafe.

1. Zuerst: Liebst du mich? Das ist eine Frage, denn der Stil Jesu ist nicht so sehr, Antworten zu geben, sondern Fragen zu stellen, Fragen, die das Leben herausfordern. Und der Herr, der «aus überströmender Liebe die Menschen an[spricht] wie Freunde« (Dei Verbum, 2), fragt erneut, er fragt die Kirche, seine Braut, immer: „Liebst du mich?“ Das Zweite Vatikanische Konzil war eine bedeutende Antwort auf diese Frage. Um ihre Liebe neu zu beleben, widmete die Kirche zum ersten Mal in der Geschichte ein Konzil der Selbstbefragung, dem Nachdenken über ihr eigenes Wesen und ihre Sendung. Und sie entdeckte sich selbst wieder als Geheimnis der Gnade, das aus der Liebe hervorgeht: Sie entdeckte sich neu als Volk Gottes, als Leib Christi, als lebendiger Tempel des Heiligen Geistes!

Das ist der erste Blick, mit dem man auf die Kirche schauen muss, der Blick von oben. Ja, die Kirche muss zuerst von oben betrachtet werden, mit Gottes liebenden Augen. Fragen wir uns, ob wir in der Kirche von Gott ausgehen, von seinem liebenden Blick auf uns. Es besteht immer die Versuchung, dass wir vom eigenen Ich statt von Gott ausgehen, dass wir unsere Ziele über das Evangelium stellen, uns vom Wind der Weltlichkeit mitreißen lassen und den Moden der Zeit hinterherjagen, dass wir die Gegenwart ablehnen, die uns die Vorsehung schenkt, und uns nach der Vergangenheit umwenden. Doch Vorsicht: Sowohl der Progressivismus, der sich der Welt anpasst, wie auch der Traditionalismus oder die Rückwärtsgewandtheit, welche einer vergangenen Welt nachtrauern, sind keine Beweise der Liebe, sondern der Untreue. Es sind pelagianische Egoismen, die ihre eigenen Vorlieben und ihre eigenen Pläne über die Liebe stellen, die Gott gefällt, jene einfache, demütige und treue Liebe, nach der Jesus Petrus gefragt hat.

Liebst du mich? Entdecken wir das Konzil neu, um Gott den Vorrang zurückzugeben, und dem, was wesentlich ist: einer Kirche, die verrückt ist vor Liebe zu ihrem Herrn und zu allen Menschen, die von ihm geliebt sind; einer Kirche, die reich an Jesus und arm an Mitteln ist; einer Kirche, die frei und befreiend ist. Das Konzil weist der Kirche diesen Weg: Es bringt sie dazu, wie Petrus im Evangelium nach Galiläa zurückzukehren, zum Quell ihrer ersten Liebe, um in ihrer Armut die Heiligkeit Gottes wiederzuentdecken (vgl. Lumen gentium, 8c; Kap. V). Auch wir, jeder von uns hat sein eigenes Galiläa, das Galiläa der ersten Liebe, und gewiss ist auch jeder von uns heute eingeladen, in sein eigenes Galiläa zurückzukehren, um die Stimme des Herrn zu hören: „Folge mir nach“. Dorthin, um im Blick auf den gekreuzigten und auferstandenen Herrn die verlorengegangene Freude wiederzufinden, um sich auf Jesus zu konzentrieren. Die Freude wiederfinden: eine Kirche, die die Freude verloren hat, hat die Liebe verloren. Gegen Ende seiner Tage schrieb Papst Johannes: »Dieses mein Leben, das sich dem Ende zuneigt, könnte nicht besser enden, als in meiner vollen Hinwendung zu Jesus, dem Sohn Marias ... große und andauernde Vertrautheit mit Jesus, in Bildern betrachtet als Kind, als Gekreuzigter, angebetet im Sakrament« (Geistliches Tagebuch, 977-978). Das also ist unser nach oben gerichteter Blick, das also ist unsere immer lebendige Quelle: Jesus, das Galiläa der Liebe, Jesus, der uns ruft, Jesus, der uns fragt: „Liebst du mich?

Brüder, Schwestern, kehren wir zurück zum reinen Quell der Liebe des Konzils. Lasst uns die Leidenschaft des Konzils wiederentdecken und unsere Leidenschaft für das Konzil erneuern! In das Geheimnis der Kirche – Mutter und Braut – eingetaucht, wollen auch wir mit Johannes XXIII. sagen: Gaudet Mater Ecclesia! (Ansprache bei der Konzilseröffnung, 11. Oktober 1962). Die Kirche soll von Freude erfüllt sein. Wenn sie sich nicht freut, verleugnet sie sich selbst, weil sie die Liebe vergisst, die sie erschaffen hat. Doch wie vielen von uns gelingt es nicht, den Glauben freudig zu leben, ohne zu murren und herumzukritisieren? Eine Kirche, die Jesus liebt, hat keine Zeit für Auseinandersetzungen, Gift und Polemik. Gott befreie uns vom Kritisieren, von Unduldsamkeit, Härte und Wut. Das ist nicht nur eine Frage des Stils, sondern der Liebe, denn wer liebt – so sagt der Apostel Paulus – tut alles ohne Murren (vgl. Phil 2,14). Herr, lehre uns deinen Blick aus der Höhe, lehre uns die Kirche so zu sehen, wie du sie siehst. Und wenn wir kritisch und unzufrieden sind, erinnere uns daran, dass Kirche sein bedeutet, die Schönheit deiner Liebe zu bezeugen, dass es bedeutet, in Antwort auf deine Frage zu leben: Liebst du mich? Es ist also nicht wie bei einer Totenwache.

2. Liebst du mich? Weide meine Schafe. Das zweite Wort: Weide. Mit diesem Verb drückt Jesus die Liebe aus, die er sich von Petrus wünscht. Denken wir an eben diesen Petrus: Er war ein Fischer, der Fische fing, und Jesus hatte ihn zu einem Menschenfischer gemacht (vgl. Lk 5,10). Nun gibt er ihm einen neuen Beruf, den des Hirten, den er nie ausgeübt hatte. Und das ist ein Wendepunkt, denn während der Fischer etwas für sich selbst nimmt, etwas an sich zieht, kümmert sich der Hirte um andere, weidet er andere. Darüber hinaus lebt der Hirte mit der Herde, er nährt die Schafe und hängt an ihnen. Er steht nicht darüber, wie der Fischer, sondern mittendrin. Der Hirte geht dem Volk voraus, um den Weg zu weisen, er ist in der Mitte des Volkes, als einer von ihnen, und hinter dem Volk, um denen nahe zu sein, die etwas zurückliegen. Der Hirte steht nicht droben, wie der Fischer, sondern mittendrin. Das ist der zweite Blick, den uns das Konzil lehrt, den Blick von Mittendrin: mit den anderen in der Welt zu sein, ohne sich ihnen überlegen zu fühlen, als Diener des großen Reiches Gottes (vgl. Lumen gentium, 5); die Frohbotschaft des Evangeliums in das Leben und die Sprache der Menschen hinein zu übertragen (vgl. Sacrosanctum Concilium, 36), ihre Freuden und Hoffnungen zu teilen (vgl. Gaudium et spes, 1). Inmitten der Leute sein, nicht über dem Volk: das ist die hässliche Sünde des Klerikalismus, der die Schafe tötet, der sie nicht führt, der sie nicht wachsen lässt, sondern tötet. Wie aktuell ist doch das Konzil: Es hilft uns, der Versuchung zu widerstehen, uns in den Schutz unserer Bequemlichkeit und unserer Überzeugungen einzuschließen, um den Stil Gottes nachzuahmen, den der Prophet Ezechiel uns heute beschreibt: »Das Verlorene werde ich suchen, das Vertriebene werde ich zurückbringen, das Verletzte werde ich verbinden, das Kranke werde ich kräftigen« (vgl. Ez 34,16).

Weide: die Kirche hat das Konzil nicht abgehalten, um sich selbst zu bewundern, sondern um sich zu verschenken. Tatsächlich existiert unsere heilige hierarchische Mutter, die aus dem Herzen der Dreifaltigkeit hervorgegangen ist, um zu lieben. Sie ist ein priesterliches Volk (vgl. Lumen gentium, 10 ff.): Sie braucht sich nicht vor den Augen der Welt auszuzeichnen, sondern sie muss der Welt dienen. Vergessen wir das nicht: Das Volk Gottes ist von Anfang an nach Außen gerichtet und es wird wieder jung, wenn es sich hingibt, denn es ist das Sakrament der Liebe, »das heißt Zeichen und Werkzeug für die innigste Vereinigung mit Gott wie für die Einheit der ganzen Menschheit« (Lumen gentium, 1). Brüder und Schwestern, kehren wir zum Konzil zurück, das den lebendigen Fluss der Tradition wiederentdeckt hat, ohne in den Traditionen zu erstarren; das die Quelle der Liebe wiederentdeckt hat, nicht um auf dem Berg zu bleiben, sondern damit die Kirche ins Tal hinabsteige und ein Kanal der Barmherzigkeit für alle werde. Kehren wir zum Konzil zurück, um aus uns selbst herauszugehen und die Versuchung der Selbstbezogenheit zu überwinden, welche etwas sehr Weltliches ist. Weide, so sagt der Herr zu seiner Kirche von Neuem; und indem du weidest, überwinde die Nostalgie der Vergangenheit, die Trauer um den Bedeutungsverlust, die Anhänglichkeit an die Macht, denn du, das heilige Volk Gottes, bist ein Hirtenvolk: du bist nicht dazu da, dich selbst zu weiden, aufzusteigen, sondern um die anderen zu weiden, alle anderen, mit Liebe. Und wenn es richtig ist, für jemanden besondere Sorge zu tragen, dann für die von Gott besonders Geliebten, d.h. für die Armen, die Ausgestoßenen (vgl. Lumen gentium, 8c; Gaudium et spes, 1); um, wie Papst Johannes sagte, »die Kirche aller, besonders der Armen« zu sein (Radioansprache an die Gläubigen in aller Welt einen Monat nach Eröffnung des Zweiten Vatikanischen Konzils, 11. September 1962).

3. Liebst du mich? Weide – so schließt der Herr – meine Schafe. Er meint damit nicht nur einige, sondern alle, denn er liebt sie alle, alle nennt er liebevoll „meine“. Der gute Hirte sieht und will seine Herde vereint unter der Führung der Hirten, die er ihm gegeben hat. Er will – das ist der dritte Blick – den Blick für das Ganze: alle, alle zusammen. Das Konzil erinnert uns daran, dass die Kirche nach dem Bild der Dreifaltigkeit Gemeinschaft ist (vgl. Lumen gentium, 4.13). Der Teufel hingegen will das Unkraut der Spaltung säen. Erliegen wir nicht seinen Täuschungen, erliegen wir nicht der Versuchung der Polarisierung. Wie oft haben sich Christen nach dem Konzil für eine Seite in der Kirche entschieden, ohne sich bewusst zu sein, dass sie damit das Herz ihrer Mutter zerreißen! Wie oft wollte man lieber ein „Anhänger der eigenen Gruppierung“ als ein Diener aller sein, Progressive und Konservative statt Brüder und Schwestern, „der Rechten“ oder „der Linken“ statt Jesus zugehörig; sie haben sich als „Hüter der Wahrheit“ oder „Solisten des Neuen“ aufgespielt, statt sich als demütige und dankbare Kinder der Heiligen Mutter Kirche zu sehen. Alle, allesamt sind wir Kinder Gottes, alle Geschwister in der Kirche, alle sind wir Kirche, alle. Der Herr will uns nicht so haben: Wir sind seine Schafe, seine Herde, und wir sind das nur gemeinsam, vereint. Überwinden wir die Polarisierungen und bewahren wir die Gemeinschaft, werden wir mehr und mehr „eins“, wie Jesus betete, bevor er sein Leben für uns hingab (vgl. Joh 17,21). Möge Maria, die Mutter der Kirche, uns dabei helfen. Möge sie in uns die Sehnsucht nach Einheit und das Streben nach voller Gemeinschaft unter allen Christgläubigen stärken. Lassen wir die „Ismen“ beiseite: Das Volk Gottes mag diese Polarisierung nicht. Das Volk Gottes ist das heilige, gläubige Volk Gottes: das ist die Kirche. Es ist schön, dass heute, wie auch während des Konzils, Vertreter anderer christlicher Gemeinschaften unter uns sind. Danke! Danke, für euer Kommen, danke für eure Anwesenheit!

Wir danken dir, Herr, für das Geschenk des Konzils. Du, der du uns liebst, befreie uns von der Überheblichkeit der Selbstgenügsamkeit und dem Geist weltlichen Kritisierens. Befreie uns davon, dass wir uns selbst aus der Einheit ausschließen. Du, der du uns liebevoll weidest, führe uns aus dem Gehege der Selbstbezogenheit heraus. Du, der du willst, dass wir eine geeinte Herde sind, befreie uns von der teuflischen Finesse der Polarisierungen, der „Ismen“. Und wir, deine Kirche, sagen mit Petrus und wie Petrus zu dir: „Herr, du weißt alles; du weißt, dass wir dich lieben“ (vgl. Joh 21,17).

[01550-DE.02] [Originalsprache: Deutsch]

Traduzione in lingua spagnola

«¿Me amas?». Es la primera frase que Jesús dirige a Pedro en el Evangelio que hemos escuchado (Jn 21,15). La última, en cambio, es: «Apacienta mis ovejas» (v. 17). En el aniversario de la apertura del Concilio Vaticano II sentimos que el Señor nos dirige estas palabras también a nosotros, a nosotros como Iglesia: ¿Me amas? Apacienta mis ovejas.

1. En primer lugar: ¿Me amas? Es una interrogación, porque el estilo de Jesús no es tanto el de dar respuestas, como el de hacer preguntas, preguntas que interpelan la vida. Y el Señor, que «habla a los hombres como amigos, movido por su gran amor y mora con ellos» (Dei Verbum, 2), nos pregunta todavía y seguirá preguntando siempre a la Iglesia, su esposa: “¿Me amas?”. El Concilio Vaticano II fue una gran respuesta a esa pregunta. Fue para reavivar su amor que la Iglesia, por primera vez en la historia, dedicó un Concilio a interrogarse sobre sí misma, a reflexionar sobre su propia naturaleza y su propia misión. Y se redescubrió como misterio de gracia generado por el amor, se redescubrió como Pueblo de Dios, Cuerpo de Cristo, templo vivo del Espíritu Santo.

Esta es la primera mirada que hay que tener sobre la Iglesia, la mirada de lo alto. Sí, hay que mirar la Iglesia ante todo desde lo alto, con los ojos enamorados de Dios. Preguntémonos si en la Iglesia partimos de Dios, de su mirada enamorada sobre nosotros. Siempre existe la tentación de partir más bien del yo que de Dios, de anteponer nuestras agendas al Evangelio, de dejarnos transportar por el viento de la mundanidad para seguir las modas del tiempo o de rechazar el tiempo que nos da la Providencia de volver atrás. Pero estemos atentos: ni el progresismo que se adapta al mundo, ni el tradicionalismo o el “involucionismo” que añora un mundo pasado son pruebas de amor, sino de infidelidad. Son egoísmos pelagianos, que anteponen los propios gustos y los propios planes al amor que agrada a Dios, ese amor sencillo, humilde y fiel que Jesús pidió a Pedro.

¿Me amas tú? Redescubramos el Concilio para volver a dar la primacía a Dios, a lo esencial, a una Iglesia que esté loca de amor por su Señor y por todos los hombres que Él ama, a una Iglesia que sea rica de Jesús y pobre de medios, a una Iglesia que sea libre y liberadora. El Concilio indica a la Iglesia esta ruta: la hace volver, como Pedro en el Evangelio, a Galilea, a las fuentes del primer amor, para redescubrir en sus pobrezas la santidad de Dios (cf. Lumen gentium, 8c; cap. V). También nosotros, cada uno de nosotros tiene su propia Galilea, la Galilea del primer amor, y seguramente también cada uno de nosotros hoy está invitado a volver a su Galilea para escuchar la voz del Señor, "sígueme". Ahí, para volver a encontrar en la mirada del Señor crucificado y resucitado la alegría perdida, para concentrarse en Jesús. Reencontrar la alegría, una Iglesia que ha perdido la alegría ha perdido el amor. El Papa Juan, en sus últimos días, escribía: «Esta vida mía que llega a su fin no podría terminar mejor que concentrándome totalmente en Jesús, Hijo de María… grande y continuada intimidad con Jesús, contemplado en imagen: niño, crucificado, adorado en el Sacramento» (Diario del alma, 977-978). ¡Esta es nuestra mirada alta, nuestra fuente siempre viva! Jesús, la Galilea del amor, Jesús que nos llama, Jesús que nos pregunta “¿me amas?”.

Hermanos, hermanas, volvamos a las límpidas fuentes de amor del Concilio. Reencontremos la pasión del Concilio y renovemos la pasión por el Concilio. Abismados en el misterio de la Iglesia madre y esposa, digamos también nosotros, con san Juan XXIII: Gaudet Mater Ecclesia (Discurso en la apertura del Concilio, 11 octubre 1962). Que en la Iglesia viva la alegría. Si no se alegra se contradice a sí misma, porque olvida el amor que la ha creado. Y, sin embargo, ¿cuántos entre nosotros no logran vivir la fe con alegría, sin murmurar y sin criticar? Una Iglesia enamorada de Jesús no tiene tiempo para conflictos, venenos y polémicas. Que Dios nos libre de ser críticos e impacientes, amargados e iracundos. No es sólo cuestión de estilo, sino de amor, porque el que ama, como enseña el apóstol Pablo, hace todo sin murmuraciones (cf. Flp 2,14). Señor, enséñanos a mirar alto, a mirar la Iglesia como la ves Tú. Y cuando seamos críticos y estemos insatisfechos, recuérdanos que ser Iglesia es testimoniar la belleza de tu amor, es vivir respondiendo a tu pregunta: ¿me amas? No es como si fuéramos a un funeral.

2. ¿Me amas? Apacienta mis ovejas. La segunda palabra, apacienta: Jesús expresa con este verbo el amor que desea de Pedro. Pensemos precisamente en Pedro: era un pescador de peces y Jesús lo transformó en pescador de hombres (cf. Lc 5,10). Ahora le asigna un nuevo oficio, el de pastor, que nunca había ejercitado. Y es un cambio, porque mientras el pescador toma para sí, atrae hacia sí, el pastor se ocupa de los otros, apacienta a los otros. Es más, el pastor vive con su rebaño, alimenta a las ovejas, se encariña con ellas. No está arriba, como el pescador, sino en medio. El pastor está delante del pueblo para marcar el camino, en medio del pueblo como uno de ellos, y detrás del pueblo para estar cerca de los que van tarde. El pastor no está por encima, como el pescador, sino en el medio. Esta es la segunda mirada que nos enseña el Concilio, la mirada en el medio, estar en el mundo con los demás y sin sentirnos jamás por encima de los demás, como servidores del Reino de Dios (cf. Lumen gentium, 5); llevar la buena noticia del Evangelio a la vida y en las lenguas de los hombres (cf. Sacrosanctum Concilium, 36), compartiendo sus alegrías y sus esperanzas (cf. Gaudium et spes, 1). Estar en medio del pueblo, no por encima del pueblo. Este es el feo pecado del clericalismo que mata a las ovejas, no las guía, no las hace crecer, mata. Qué actual es el Concilio, nos ayuda a rechazar la tentación de encerrarnos en los recintos de nuestras comodidades y convicciones, para imitar el estilo de Dios, que nos ha descrito hoy el profeta Ezequiel: “ir en busca de la oveja perdida y hacer volver al rebaño a la descarriada, vendar a la que está herida y curar a la enferma” (cf. Ez 34,16).

Apacienta: la Iglesia no celebró el Concilio para contemplarse, sino para darse. En efecto, nuestra santa Madre jerárquica, que surgió del corazón de la Trinidad, existe para amar. Es un pueblo sacerdotal (cf. Lumen gentium, 10 ss.), no debe sobresalir ante los ojos del mundo, sino servir al mundo. No lo olvidemos: el Pueblo de Dios nace extrovertido y rejuvenece desgastándose, porque es sacramento de amor, «signo e instrumento de la unión íntima con Dios y de la unidad de todo el género humano» (Lumen gentium, 1). Hermanos, hermanas, volvamos al Concilio, que ha redescubierto el río vivo de la Tradición sin estancarse en las tradiciones; que ha reencontrado la fuente del amor no para quedarse en el monte, sino para que la Iglesia baje al valle y sea canal de misericordia para todos. Volvamos al Concilio para salir de nosotros mismos y superar la tentación de la autorreferencialidad, que es un modo de ser mundano. Apacienta, repite el Señor a su Iglesia; y apacentando, supera las nostalgias del pasado, la añoranza de la relevancia, el apego al poder, porque tú, Pueblo santo de Dios, eres un pueblo pastoral, no existes para apacentarte a ti mismo, para trepar, sino para pastorear a los demás, a todos los demás, con amor. Y, si es justo tener una atención particular, que sea para los predilectos de Dios, es decir los pobres y los descartados (cf. Lumen gentium, 8c; Gaudium et spes, 1); para ser, como dijo el Papa Juan, «la Iglesia de todos, en particular la Iglesia de los pobres» (Radiomensaje a los fieles de todo el mundo, un mes antes de la apertura del Concilio Ecuménico Vaticano II, 11 septiembre 1962).

3 ¿Me amas? Apacienta —concluye el Señor— mis ovejas. No piensa sólo en algunas, sino en todas, porque las ama a todas, las llama a todas afectuosamente “mías”. El buen Pastor ve y quiere a su grey unida, bajo la guía de los pastores que le ha dado. Quiere —tercera mirada— la mirada de conjunto. Todos, todos juntos. El Concilio nos recuerda que la Iglesia, a imagen de la Trinidad, es comunión (cf. Lumen gentium, 4.13). El diablo, en cambio, quiere sembrar la cizaña de la división. No cedamos a sus lisonjas, no cedamos a la tentación de la polarización. Cuántas veces, después del Concilio, los cristianos se empeñaron por elegir una parte en la Iglesia, sin darse cuenta que estaban desgarrando el corazón de su Madre. Cuántas veces se prefirió ser “hinchas del propio grupo” más que servidores de todos, progresistas y conservadores antes que hermanos y hermanas, “de derecha” o “de izquierda” más que de Jesús; erigirse como “custodios de la verdad” o “solistas de la novedad”, en vez de reconocerse hijos humildes y agradecidos de la santa Madre Iglesia. Todos, todos somos hijos de Dios, todos hermanos en la Iglesia. Todos Iglesia, todos. El Señor no nos quiere así, nosotros somos sus ovejas, su rebaño, y sólo lo somos juntos, unidos. Superemos las polarizaciones y defendamos la comunión, convirtámonos cada vez más en “una sola cosa”, como Jesús suplicó antes de dar la vida por nosotros (cf. Jn 17,21). Que nos ayude en esto María, Madre de la Iglesia. Que acreciente en nosotros el anhelo de unidad, el deseo de comprometernos por la plena comunión entre todos los creyentes en Cristo. Dejemos aparte los “ismos”, al pueblo de Dios no le agrada esta polarización. El pueblo de Dios es el santo pueblo fiel de Dios, esta es la Iglesia. Es hermoso que hoy, como durante el Concilio, estén con nosotros los representantes de otras comunidades cristianas. ¡Gracias, gracias por haber venido, gracias por esta presencia!

Te damos gracias, Señor, por el don del Concilio. Tú que nos amas, líbranos de la presunción de la autosuficiencia y del espíritu de la crítica mundana. Líbranos de la autoexclusión de la unidad. Tú, que nos apacientas con ternura, condúcenos fuera de los recintos de la autorreferencialidad. Tú, que nos quieres una grey unida, líbranos del engaño diabólico de las polarizaciones, de los “ismos”. Y nosotros, tu Iglesia, con Pedro y como Pedro te decimos: “Señor, tú lo sabes todo; tú sabes que te amamos” (cf. Jn 21,17).

[01550-ES.02] [Texto original: Español]

Traduzione in lingua portoghese

 

«Amas-Me?» é a primeira frase que Jesus dirige a Pedro, no Evangelho que ouvimos (Jo 21, 15), ao passo que a última será «apascenta as minhas ovelhas» (21, 17). No aniversário da abertura do Concílio Vaticano II, sentimos dirigidas também a nós, a nós como Igreja, estas palavras do Senhor: Amas-Me? Apascenta as minhas ovelhas.

1. Em primeiro lugar, amas-Me? É uma interpelação, porque o estilo de Jesus não é tanto o de dar respostas, mas de fazer perguntas, perguntas que provocam a vida. E o Senhor, que «na riqueza do seu amor fala aos homens como amigos e convive com eles» (Dei Verbum, 2), pergunta ainda, pergunta sempre à Igreja, sua esposa: «Amas-Me?» O Concílio Vaticano II foi uma grande resposta a esta pergunta: foi para reavivar o seu amor que a Igreja, pela primeira vez na história, dedicou um Concílio a interrogar-se sobre si mesma, a refletir sobre a sua própria natureza e missão. E descobriu-se mistério de graça gerado pelo amor: descobriu-se povo de Deus, corpo de Cristo, templo vivo do Espírito Santo!

Este é o primeiro olhar que devemos ter sobre a Igreja, o olhar do alto. Sim, antes de mais nada a Igreja deve ser vista do alto, com os olhos enamorados de Deus. Perguntemo-nos se, na Igreja, partimos de Deus, do seu olhar enamorado sobre nós. Existe sempre a tentação de partir do eu antes que de Deus, colocar as nossas agendas antes do Evangelho, deixar-se levar pelo vento do mundanismo para seguir as modas do tempo ou rejeitar o tempo que a Providência nos dá e voltar-nos para trás. Mas tenhamos cuidado! Nem o progressismo que segue o mundo, nem o tradicionalismo – o «retrogradismo» – que lamenta um mundo passado são provas de amor, mas de infidelidade. São egoísmos pelagianos, que antepõem os próprios gostos e planos ao amor que agrada a Deus, ou seja, o amor simples, humilde e fiel que Jesus pediu a Pedro.

Amas-Me? Redescubramos o Concílio para devolver a primazia a Deus, ao essencial: a uma Igreja que seja louca de amor pelo seu Senhor e por todos os homens, por Ele amados; a uma Igreja que seja rica de Jesus e pobre de meios; a uma Igreja que seja livre e libertadora. O Concílio indica à Igreja esta rota: como Pedro no Evangelho, fá-la voltar à Galileia, às fontes do primeiro amor, para redescobrir nas suas pobrezas a santidade de Deus (cf. Lumen gentium, 8c; cap. V). Também nós, cada um de nós tem a sua própria Galileia, a Galileia do seu primeiro amor, e seguramente também cada um de nós é convidado hoje a voltar à sua própria Galileia para ouvir a voz do Senhor: «Segue-me». Voltar lá para reencontrar, no olhar do Senhor crucificado e ressuscitado, a alegria perdida, para se concentrar em Jesus. E assim reencontrar a alegria: uma Igreja que perdeu a alegria, perdeu o amor. Quando já se aproximava o fim dos seus dias, o Papa João escrevia: «Esta minha vida, que caminha para o ocaso, não poderia ter melhor coroamento do que concentrar-me totalmente em Jesus, filho de Maria, (...) em grande e continuada intimidade com Jesus, contemplado na imagem: menino, crucificado, adorado no Sacramento» (Jornal da Alma, 977-978). Este é o nosso olhar alto, esta é a nossa fonte sempre viva: Jesus, a Galileia do amor, Jesus que nos chama, Jesus que nos pergunta: «Amas-me”?»

Irmãos, irmãs, voltemos às puras fontes de amor do Concílio. Reencontremos a paixão do Concílio e renovemos a paixão pelo Concílio! Imersos no mistério da Igreja mãe e esposa, digamos também nós com São João XXIII: «gaudet Mater Ecclesia – alegra-se a Mãe Igreja» (Discurso na abertura do Concílio, 11/X/1962). Seja a Igreja habitada pela alegria. Se não se alegra, desdiz-se a si mesma, porque esquece o amor que a criou. E todavia quantos de nós não conseguem viver a fé com alegria, sem murmurar nem criticar? Uma Igreja enamorada por Jesus não tem tempo para confrontos, venenos e polémicas. Deus nos livre de ser críticos e impacientes, duros e irascíveis. Não é só questão de estilo, mas de amor, porque quem ama – como ensina o apóstolo Paulo – faz tudo sem murmurar (cf. Flp 2, 14). Senhor, ensinai-nos o vosso olhar alto, ensinai-nos a olhar a Igreja como a vedes Vós. E quando formos críticos e descontentes, lembrai-nos que ser Igreja é testemunhar a beleza do vosso amor, é viver dando resposta à vossa pergunta: amas-Me? Não é comportar-se como se fôssemos a um velório fúnebre.

2. Amas-Me? Apascenta as minhas ovelhas. A segunda palavra: Apascenta: com este verbo, Jesus exprime o amor que deseja de Pedro. Pensemos precisamente em Pedro: era um pescador de peixes e Jesus transformara-o em pescador de homens (cf. Lc 5, 10). Agora atribui-lhe um ofício novo: o de pastor, que nunca havia exercido. E é uma viragem, porque, enquanto o pescador agarra para si, atrai a si, o pastor ocupa-se dos outros, apascenta os outros. Mais, o pastor vive com o rebanho, alimenta as ovelhas, afeiçoa-se a elas. Não está por cima, como o pescador, mas no meio. O pastor está à frente do povo para assinalar o caminho, no meio do povo como um deles, e atrás do povo para estar perto daqueles que vão atrasados. O pastor não está por cima, como o pescador, mas no meio. Eis o segundo olhar que nos ensina o Concílio: o olhar no meio, estar no mundo com os outros e sem nunca se sentir acima dos outros, como servidores do maior reino que é o Reino de Deus (cf. Lumen gentium, 5); levar a boa nova do Evangelho para dentro da vida e das línguas dos homens (cf. Sacrosanctum Concilium, 36), partilhando as suas alegrias e esperanças (cf. Gaudium et spes, 1). Estar no meio do povo, não acima do povo: este é o pecado feio do clericalismo que mata as ovelhas, não as guia, nem as faz crescer; mata-as. Como é atual o Concílio! Ajuda-nos a rejeitar a tentação de nos fecharmos nos recintos das nossas comodidades e convicções, para imitar o estilo de Deus, que nos descreveu hoje o profeta Ezequiel: «procurarei a [ovelha] que se tinha perdido, reconduzirei a que se tinha tresmalhado; cuidarei a que está ferida e tratarei da que está doente» (Ez 34, 16).

Apascenta: a Igreja não celebrou o Concílio para fazer-se admirar, mas para se dar. De facto, a nossa santa Mãe hierárquica, nascida do coração da Trindade, existe para amar. É um povo sacerdotal (cf. Lumen gentium, 10s.): não deve destacar-se aos olhos do mundo, mas servir o mundo. Não o esqueçamos! O povo de Deus nasce sociável e rejuvenesce gastando-se, porque é sacramento de amor, sinal e «instrumento da íntima união com Deus e da unidade de todo o género humano» (Lumen gentium, 1). Irmãos e irmãs, voltemos ao Concílio, que redescobriu o rio vivo da Tradição sem estagnar nas tradições; reencontrou a fonte do amor, não para ficar a montante, mas para que a Igreja desça a jusante e seja canal de misericórdia para todos. Voltemos ao Concílio para sair de nós mesmos e superar a tentação da autorreferencialidade, que é um modo de ser mundano. Apascenta – repete o Senhor à sua Igreja – e, apascentando, supera as nostalgias do passado, o lamento pela falta de relevância, o apego ao poder, porque tu, povo santo de Deus, és um povo pastoral: não existes para te apascentar a ti mesmo, para trepar, mas para apascentar os outros, todos os outros, com amor. E, se é justo prestar uma atenção particular, que esta seja para os prediletos de Deus, isto é, os pobres, os descartados (cf. Lumen gentium, 8c; Gaudium et spes, 1), a fim de ser, como disse o Papa João, «a Igreja de todos, e particularmente a Igreja dos pobres» (Radiomensagem aos fiéis de todo o mundo um mês antes do Concílio Ecuménico Vaticano II, 11/IX/1962).

3. Amas-Me? Apascenta – conclui o Senhor – as minhas ovelhas. Não tem em mente só algumas, mas todas, porque ama a todas; a todas designa, afetuosamente, como «minhas». O bom Pastor vê e quer o seu rebanho unido, sob a guia dos Pastores que lhe deu. Quer – e é o terceiro olhar – o olhar do conjunto: todos, todos juntos. O Concílio recorda-nos que a Igreja, à imagem da Trindade, é comunhão (cf. Lumen gentium, 4.13). Em vez disso, o diabo quer semear a cizânia da divisão. Não cedamos às suas adulações, não cedamos à tentação da polarização. Quantas vezes, depois do Concílio, os cristãos se empenharam por escolher uma parte na Igreja, sem se dar conta de dilacerar o coração da sua Mãe! Quantas vezes se preferiu ser «adeptos do próprio grupo» em vez de servos de todos, ser progressistas e conservadores em vez de irmãos e irmãs, «de direita» ou «de esquerda» mais do que ser de Jesus; arvorar-se em «guardiões da verdade» ou em «solistas da novidade», em vez de se reconhecer como filhos humildes e agradecidos da santa Mãe Igreja. Todos, todos somos filhos de Deus, todos irmãos na Igreja, todos Igreja, todos. O Senhor não nos quer assim: somos as suas ovelhas, o seu rebanho, e só o seremos juntos, unidos. Superemos as polarizações e guardemos a comunhão, tornemo-nos cada vez mais «um só», como Jesus implorou antes de dar a vida por nós (cf. Jo 17, 21). Nisto, nos ajude Maria, Mãe da Igreja. Aumente em nós o anseio pela unidade, o desejo de nos empenharmos pela plena comunhão entre todos os crentes em Cristo. Deixemos de lado os «ismos»: o povo de Deus não gosta desta polarização. O povo de Deus é o santo povo fiel de Deus: esta é a Igreja. É bom que hoje, como durante o Concílio, estejam connosco representantes doutras Comunidades cristãs. Obrigado! Obrigado por terem vindo! Obrigado pela presença!

Nós Vos damos graças, Senhor, pelo dom do Concílio. Vós que nos amais, livrai-nos da presunção da autossuficiência e do espírito da crítica mundana. Livrai-nos da autoexclusão da unidade. Vós, que nos apascentais com ternura, fazei-nos sair dos recintos da autorreferencialidade. Vós que nos quereis rebanho unido, livrai-nos do artifício diabólico das polarizações, dos «ismos». E nós, vossa Igreja, com Pedro e como Pedro Vos dizemos: «Senhor, Vós sabeis tudo; bem sabeis que Vos amamos» (cf. Jo 21, 17).

[01550-PO.02] [Texto original: Português]

Traduzione in lingua polacca

„Czy Mnie miłujesz?”. To pierwsze słowa, jakie Jezus kieruje do Piotra w usłyszanej przez nas Ewangelii (J 21,15). Ostatnie natomiast to: „Paś owce moje” (w. 17). W rocznicę otwarcia Soboru Watykańskiego II słyszymy skierowane także do nas, do nas jako Kościoła, te słowa Pana: Czy Mnie miłujesz? Paś owce moje.

1. Przede wszystkim: Czy mnie miłujesz? Jest to pytajnik, bo styl Jezusa polega nie tyle na udzielaniu odpowiedzi, co na zadawaniu pytań, pytań prowokujących do życia. A Pan, który „w swojej wielkiej miłości przemawia do ludzi jak do przyjaciół i przestaje z nimi” (Dei Verbum, 2), pyta ponownie, zawsze pyta Kościół, swoją oblubienicę: „Czy Mnie miłujesz?”. Sobór Watykański II był wielką odpowiedzią na to pytanie: właśnie po to, by ożywić swoją miłość, Kościół po raz pierwszy w historii poświęcił sobór na stawianie pytań samemu sobie, na refleksję nad własną naturą i misją. I odkrył siebie na nowo jako tajemnicę łaski zrodzonej przez miłość: odkrył siebie na nowo jako Lud Boży, Ciało Chrystusa, żywą świątynię Ducha Świętego!

To jest pierwsze spojrzenie jakie należy mieć na Kościół, spojrzenie z góry. Tak, na Kościół trzeba najpierw spojrzeć z góry, rozmiłowanymi oczami Boga. Zapytajmy siebie, czy w Kościele zaczynamy od Boga, od Jego spojrzenia rozmiłowanego w nas. Zawsze istnieje pokusa, by zacząć od „ja”, a nie od Boga, by postawić nasze plany działania przed Ewangelią, by dać się ponieść wiatrowi światowości, by gonić za modami czasu lub odrzucić czas, który Opatrzność daje nam, byśmy zawrócili. Jednak uważajmy: zarówno progresywizm, który podąża za światem, jak i tradycjonalizm, ideologizowanie cofania się wstecz, opłakujące świat miniony, nie są dowodami miłości, lecz niewierności. Są to pelagiańskie egoizmy, które przedkładają własne upodobania i plany nad miłość, która podoba się Bogu, miłość prostą, pokorną i wierną, o którą Jezus prosił Piotra.

Czy Mnie miłujesz? Odkryjmy na nowo Sobór, aby przywrócić prymat Bogu, temu, co istotne: Kościołowi który byłby szalony z miłości do swego Pana i do wszystkich ludzi, przez Niego umiłowanych; Kościołowi który byłby bogaty w Jezusa, a ubogi w środki; Kościołowi który byłby wolny i wyzwalający. Sobór wskazuje Kościołowi ten kierunek: każe mu powrócić, jak Piotr w Ewangelii, do Galilei, do źródeł pierwszej miłości, aby w swoim ubóstwie odkryć na nowo świętość Boga (por. Lumen gentium, 8c; rozdz. V). Także my, każdy z nas ma swoją Galileę, Galileę pierwszej miłości i z pewnością także każdy z nas jest zaproszony, aby powróć do swojej Galilei, aby usłyszeć głos Pana: „Pójdź za Mną!”. I tam w spojrzeniu ukrzyżowanego i zmartwychwstałego Pana odnaleźć swoją utraconą radość, by skoncentrować się na Jezusie. Odnaleźć radość. Kościół, który zatracił radość, utracił miłość. Pod koniec swoich dni papież Jan napisał: „Nie mógłbym znaleźć lepszego rozwiązania dla mego życia, chylącego się ku zachodowi, jak koncentrując je na Jezusie, Synu Maryi... ścisłe i stałe zjednoczenie z Jezusem, którego będą kontemplował jako Dziecię, jako Ukrzyżowanego i uczczonego w Najświętszym Sakramencie” (Dziennik duszy, Kraków 1965, s. 555). Oto nasze wzniosłe spojrzenie, oto nasze źródło wiecznie żywe - Jezus, Galilea miłości, Jezus, który nas wzywa, Jezus, który nas pyta: Czy Mnie miłujesz?

Bracia, siostry, powróćmy do czystych źródeł miłości soborowej. Odkryjmy na nowo pasję Soboru i odnówmy naszą pasję soborową! Zanurzeni w tajemnicy Kościoła matki i oblubienicy, mówmy też ze św. Janem XXIII: Niech Kościół będzie przeniknięty radością. Jeśli się nie raduje, to zaprzecza sobie samemu, bo zapomina o miłości, która go stworzyła. A jednak, jak wielu z nas nie potrafi żyć wiarą z radością, bez szemrania i bez krytykowania? Kościół zakochany w Jezusie nie ma czasu na starcia, jady i polemiki. Niech Bóg nas uwolni od bycia krytycznymi i niecierpliwymi, zgorzkniałymi i zagniewanymi. Jest to nie tylko kwestia stylu, ale miłości, bo ten, kto kocha - jak uczy św. Paweł apostoł - wszystko czyni bez szemrania (por. Flp 2,14). Panie, naucz nas Twego wzniosłego spojrzenia, postrzegania Kościoła takim, jaki widzisz go Ty. A kiedy jesteśmy krytyczni i niezadowoleni, przypomnij nam, że być Kościołem to być świadkami piękna Twojej miłości, to żyć w odpowiedzi na Twoje pytanie: czy Mnie miłujesz? Nie jest to pójście tak, jakbyśmy byli na stypie.

2. Czy Mnie miłujesz? Paś owce moje. Drugie słowo: paś: Jezus wyraża tym czasownikiem miłość, której pragnie od Piotra. Pomyślmy tylko o Piotrze: łowił ryby, a Jezus uczynił go rybakiem ludzi (por. Łk 5,10). Teraz przydziela mu nowy zawód, zawód pasterza, którego nigdy nie wykonywał. I jest to przełom, bo o ile rybak bierze dla siebie, przyciąga do siebie, o tyle pasterz troszczy się o innych, pasterzuje innym. Co więcej, pasterz żyje ze stadem, karmi owce, przywiązuje się do nich. On nie stoi ponad, jak rybak, ale pośród. Pasterz jest przed ludem, aby wskazać drogę, pośród ludu jako jego członek, i za ludem, aby być blisko tych, którzy są opóźnieni. Pasterz nie stoi ponad, jak rybak, ale pośród. Oto drugie spojrzenie, którego uczy nas Sobór, spojrzenie pośród: być w świecie z innymi i nie czując się nigdy ponad innymi, jako słudzy wznioślejszego Królestwa Bożego (por. Lumen gentium, 5); wnosząc dobrą nowinę Ewangelii w życie i języki ludzi (por. Sacrosanctum Concilium, 36), dzieląc ich radości i nadzieje (por. Gaudium et spes, 1). Przebywać pośród ludu, a nie ponad ludem – jest to okropny grzech klerykalizmu, zabijający owce. Nie prowadzi ich, nie sprawia ich wzrostu - zabija. Jakże aktualny jest ten Sobór: pomaga nam odrzucić pokusę zamknięcia się w zaporach własnej wygody i przekonań, aby naśladować styl Boga, który opisał nam dziś prorok Ezechiel: „wyjść na poszukiwanie owcy zagubionej i przyprowadzić ją z powrotem do owczarni, opatrzeć skaleczoną i umocnić chorą” (por. Ez 34, 16).

Paś: Kościół nie odbywał Soboru, by zachwycać się sobą, lecz aby dawać siebie. Rzeczywiście, nasza święta hierarchiczna Matka, wypływająca z serca Trójcy Świętej, istnieje po to, by miłować. Jest ludem kapłańskim (por. Lumen gentium, 10 nn.): nie może eksponować siebie w oczach świata, ale służyć światu. Nie zapominajmy: Lud Boży rodzi się wychodząc i odmładza się dając siebie, ponieważ jest sakramentem miłości, „znakiem i narzędziem wewnętrznego zjednoczenia z Bogiem i jedności całego rodzaju ludzkiego” (Lumen gentium, 1). Bracia i siostry, powróćmy do Soboru, który odkrył na nowo żywą rzekę Tradycji, nie zastygając w tradycjach; który odkrył na nowo źródło miłości nie po to, by pozostać w górze rzeki, ale po to, by Kościół mógł iść w dół rzeki i być kanałem miłosierdzia dla wszystkich. Powróćmy do Soboru, aby wyjść z naszych ograniczeń i pokonać pokusę skoncentrowania się wyłącznie na sobie, która jest światowym sposobem bycia. Paś, powtarza Pan do swego Kościoła; a pasąc przezwyciężaj nostalgię za przeszłością, opłakiwanie dawnego znaczenia, przywiązanie do władzy, bo ty, święty Lud Boży, jesteś ludem pasterskim: nie istniejesz po to, by paść samego siebie, żeby zrobić karierę, lecz aby paść innych, wszystkich innych, z miłością. A jeśli słuszna jest szczególna troska, to niech będzie ona o umiłowanych przez Boga czyli o ubogich, odrzuconych (por. Lumen gentium, 8c; Gaudium et spes, 1); o to, by być, jak powiedział papież Jan, „Kościołem wszystkich, a szczególnie Kościołem ubogich” (Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo a un mese dal Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 settembre 1962).

3. Czy mnie miłujesz? Paś - podsumowuje Pan - owce moje. Czy mnie miłujesz? Paś owce moje Nie ma na myśli tylko niektórych, ale wszystkie, bo kocha wszystkich, wszystkie, które czule nazywa „moimi”. Dobry Pasterz widzi i chce, aby jego stado było zjednoczone, pod przewodnictwem pasterzy, których mu dał. Pragnie – będzie to trzecie spojrzenie - spojrzenia całościowego - wszyscy, wszyscy razem. Sobór przypomina, że Kościół, na obraz Trójcy Świętej, jest jednością (por. Lumen gentium, 4, 13). Diabeł natomiast chce zasiać chwast podziału. Nie ulegajmy jego pochlebstwom, nie poddawajmy się pokusie polaryzacji. Ileż to razy po Soborze chrześcijanie starali się obrać jakieś stronnictwo w Kościele, nie zdając sobie sprawy, że rozdzierają serce swojej Matki! Ileż to razy woleli być „kibicami swojej grupy” niż sługami wszystkich, postępowcami i konserwatystami niż braćmi i siostrami, „prawicą” lub „lewicą” niż być Jezusa; ustawiać się w roli „stróży prawdy” lub „solistów nowości”, zamiast uznać się za pokorne i wdzięczne dzieci Świętej Matki Kościoła. Wszyscy, wszyscy jesteśmy dziećmi Bożymi, wszyscy jesteśmy braćmi w Kościele, wszyscy w Kościele, wszyscy... Pan nie chce, abyśmy byli takimi: jesteśmy Jego owcami, Jego owczarnią, a jesteśmy nimi tylko razem, zjednoczeni. Przezwyciężajmy polaryzacje i pielęgnujmy jedność, stawajmy się coraz bardziej „jedno”, jak błagał Jezus, zanim oddał za nas życie (por. J 17, 21). Niech nam w tym pomoże Maryja, Matka Kościoła. Niech wzmaga w nas tęsknotę za jednością, pragnienie dążenia do pełnej komunii wszystkich wierzących w Chrystusa. Odłóżmy na bok „izmy”, Ludowi Bożemu nie podoba się ta polaryzacja. Lud Boży jest świętym wiernym ludem Bożym: to jest Kościół. Dobrze, że dziś, podobnie jak podczas Soboru, są z nami przedstawiciele innych wspólnot chrześcijańskich. Dziękuję, dziękuję, że przybyliście, dziękuję za tę obecność!

Dziękujemy Ci, Panie, za dar Soboru. Ty, który nas miłujesz, uwolnij nas od pychy samowystarczalności i ducha krytyki światowej, wybaw nas od samo wykluczania się z jedności. Ty, który czule nas pasiesz, wyprowadź nas z zamknięć skoncentrowania się wyłącznie na sobie. Ty, który chcesz, abyśmy byli zjednoczoną owczarnią, wybaw nas od diabolicznych chwytów polaryzacji. „izmów”. A my, Twój Kościół, z Piotrem i jak Piotr mówimy Tobie: „Panie, Ty wszystko wiesz; Ty wiesz, że Cię kochamy” (por. J 21,17).

[01550-PL.02] [Testo originale: Polacco]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة الذكرى السّتين لافتتاح المجمع الفاتيكاني الثاني

11 تشرين الأوّل/أكتوبر 2022

بازيليكا القدّيس بطرس

"أَتُحِبُّني؟". إنّها أوّل عبارة وجّهها يسوع إلى بطرس في الإنجيل الذي أصغينا إليه الآن (يوحنّا 21، 15). والعبارة الأخيرة كانت: "إِرْعَ خِرافي" (الآية 17). في ذكرى افتتاح المجمع الفاتيكاني الثاني، كلمات الرّبّ يسوع هذه: أَتُحِبُّني؟ إِرْعَ خِرافي، نسمعها موجّهةً إلينا نحن أيضًا، لأنّنا كنيسة.

1. أوّلًا: أَتُحِبُّني؟ إنّه سؤال، أسلوب يسوع لا يقوم فقط بتقديم الإجابات. كان يُلقي الأسئلة أيضًا، أسئلة توقظ الحياة. والرّبّ يسوع، الذي "بفَيضِ محبته للبشر، يُكلِّمهم كأحباءَ ويتحدَّثُ إليهم" (دستور عقائدي في الوحي الإلهي، كلمة الله، 2)، يسأل أيضًا، يسأل دائمًا الكنيسة، عروسه: "أَتُحِبُّني؟". كان المجمع الفاتيكاني الثاني جوابًا بليغًا على هذا السّؤال: فمن أجل إحياء محبّتها، كرّست الكنيسة، لأوّل مرّة في التاريخ، مجمعًا لتسأل نفسها وتتأمّل في طبيعتها ورسالتها. وقد عادت واكتشفت نفسها أنّها سرُّ نعمة وُلِدَ من المحبّة: عادت واكتشفت أنّها شعب الله، وجسد المسيح، وهيكل الرّوح القدس الحيّ!

هذه هي أوّل نظرة إلى الكنيسة، نظرة مِن عَلُ. نعم، يجب أن يُنظر إلى الكنيسة أوّلًا وقبل كلّ شيء مِن عَلُ، وبعَينَيْ الله المليئتَين بالمحبّة. لنسأل أنفسنا هل ننطلق في الكنيسة من الله، ومن نظرته المُحِبّة لنا. هناك دائمًا التجربة لننطلق من الأنا بدلًا من الله، ونضع أجنداتنا قبل الإنجيل، ونسمح لأنفسنا بأن تجرفنا رياح الرّوح الدنيويّة لاتباع موضة العصر، أو أن نرفض الزمن الذي تمنحنا إياه العنايّة الإلهيّة حتى نلتفت إلى الوراء. لنكن متنبّهين: سواء التقدميّة التي تستند إلى العالم، أو المحافظة – أو الرجوع إلى الوراء - التي تتحسر على عالم مضى، كِلاهما ليسا دليلًا على المحبّة، بل على عدم الأمانة. كِلاهما مواقف أنانيّة بيلاجيّة، يقدّمان ذوقهما وخططهما على المحبّة التي ترضي الله، المحبّة البسيطة والمتواضعة والأمينة التي طلبها يسوع من بطرس.

أَتُحِبُّني؟ لنكتشف من جديد المجمع حتى نعيد الأولويّة إلى الله، إلى ما هو أساسيّ: إلى كنيسة فتنها حبُّها لربّها ولجميع الناس الذين يحبّهم؛ إلى كنيسة غنيّة بيسوع وفقيرة في إمكانياتها، إلى كنيسة حرّة ومحرّرة. المجمع يرشد الكنيسة إلى هذا الطريق: إنّه يجعلها تعود، مثل بطرس في الإنجيل، إلى الجليل، إلى ينابيع الحبّ الأوّل، لتكتشف من جديد قداسة الله في فقرها (راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمّم، 8ج؛ الفصل الخامس). نحن أيضًا، كلّ واحدٍ منّا لديه جليله، جليل الحبّ الأوّل، وبالتّأكيد كلّ واحدٍ منّا اليوم هو مدعوٌ إلى أن يعود إلى جليله ليسمع صوت الرّبّ يسوع الذي يقول: ”اتبعني“. وهناك، حتى تجد من جديد في نظرة الرّبّ يسوع المصلوب والقائم من بين الأموات الفرح الذي فقدته، ولتركّز على يسوع. لتجد من جديد الفرح: فالكنيسة التي خسرت الفرح، قد خسرت المحبّة. كتب البابا يوحّنا في أيامه الأخيرة: "هذه حياتي تصل إلى المغيب لا يمكن إنهاؤها بطريقة أفضل من تركيزها كلّها على يسوع، ابن مريم... علاقة حميمة كبيرة ومستمرة مع يسوع، والتأمّل فيه: طفلًا، ومصلوبًا، يُسجَد له في القربان المقدس" (Giornale dell’anima, 977-978). هذه هي نظرتنا مِن عَلُ، وينبوعنا الحيّ دائمًا: يسوع، وجليل الحبّ، ويسوع الذي يدعونا، ويسوع الذي يسألنا: أَتُحِبُّني؟

أيّها الإخوة والأخوات، لنعد من جديد إلى ينابيع حبّ المجمع النقيّة. لنجد من جديد حبّ المجمع، لنجدّد حبّنا للمجمع! ونحن مغمورون في سرّ الكنيسة، الأم والعروس، لنقل نحن أيضًا، مع القدّيس يوحنا الثالث والعشرين: لتفرح أمُّنا الكنيسة! (كلمة في افتتاح المجمع، 11 تشرين الأوّل/أكتوبر 1962). ليسكن الفرح في الكنيسة. إذا لم تفرح فإنّها تنكر نفسها لأنّها تنسى المحبّة التي خلقتها. ومع ذلك، كم منّا لا يستطيع أن يعيش الإيمان بفرح، دون تذمّر ودون انتقاد؟ الكنيسة التي تحبّ يسوع ليس لديها وقت للصدامات والسّموم والخلافات. حرّرنا الله من المنتقدين وغير الرّاضين والذين أصبحوا قساة وغاضبين. إنّها ليست مجرد مسألة أسلوب، بل مسألة محبّة، لأنّ الذين يحبّون، كما علّم الرّسول بولس، يفعلون كلّ شيء دون تذمّر (راجع فيلبي 2، 14). يا ربّ، علّمنا أن ننظر بمثل نظرتك مِن عَلُ، أن ننظر إلى الكنيسة كما تراها أنت. وعندما نكون منتقدين وغير راضين، ذكّرنا بأنّنا كنيسة لنشهد على جمال محبّتك، ولتكون حياتنا جوابًا على سؤالك: أَتُحِبُّني؟ ولا نذهب لنشهد على جمال محبّتك كما لو أنّنا في مأتم.

2. أَتُحِبُّني؟ إِرْعَ خِرافي. الكلمة الثّانية هي إِرْعَ: عبّر يسوع بهذا الفعل عن المحبّة التي يطلبها من بطرس. لنفكّر في بطرس: كان صيّاد سمك، ويسوع حوّله إلى صيّادٍ للبشر (راجع لوقا 5، 10). والآن كلّفه بخدمة جديدة، هي خدمة الرّاعي، التي لم يمارسها قطّ. وهذه نقطة تحوّل، لأنّ صيّاد السّمك يأخذ الصّيد لنفسه، يجذب إلى نفسه، أمّا الرّاعي فإنّه يهتم بالآخرين، ويرعى الآخرين. علاوة على ذلك، يعيش الرّاعي مع القطيع، ويُطعم الخراف، ويتعلّق بها. لا يتسامى فوقها، مثل صيّاد السّمك، بل هو في وسطها. يقف الرّاعي أمام الشّعب ليحدّد لهم الطّريق، وفي وسط الشّعب مثل واحدٍ منهم، وخلف الشّعب ليكون قريبًا من هؤلاء المتأخّرين. الراعي لا يتسامى فوق الشّعب مثل صيّاد السّمك، بل هو في وسطه. هذه هي النّظرة الثّانية التي علّمنا إيّاها المجمع، النّظرة في الوسط: أي أن نكون في العالم مع الآخرين، ومن دون أن نشعر بأنفسنا أبدًا أنّنا فوق الآخرين، بل مثل خدّام لملكوت الله الأكبر (راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 5)، ونُدخِل بُشرى الإنجيل السّارّة في حياة الناس ولغاتهم (راجع دستور في الليتورجيا المقدّسة، المجمع المقدّس، 36)، ونشاركهم أفراحهم وآمالهم (راجع دستور رعائي في الكنيسة في عالم اليوم، فرح ورجاء، 1). أن نكون في وسط الشّعب، لا فوق الشّعب: هذه هي خطيئة روح التسلّط الإكليريكي السيّئة التي تقتل الخراف، ولا ترشدها ولا ترعاها، بل تقتلها. كم نحن بحاجة إلى المجمع الآن: إنّه يساعدنا على رفض تجربة الانغلاق داخل أسوار راحتنا وقناعاتنا، لكي نقتدي بأسلوب الله، الذي وصفه لنا اليوم النّبي حزقيال، قال: "فأَبحَثُ عن الضَّالَّةِ وأَرُدُّ الشَّارِدَةَ وأَجبُرُ المَكْسورَةَ وأُقَوِّي الضَّعيفَة" (راجع حزقيال 34، 16).

إِرْعَ: لم تحتفل الكنيسة بالمجمع لكي تُعجب بنفسها، بل لتهب نفسها. في الواقع، إنّ أمّنا المقدّسة في تراتبيّتها، المنبثقة من قلب الثّالوث الأقدس، هي موجودة من أجل أن تُحِب. إنّها شعب كهنوتيّ (راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 10 وما يليها): ويجب ألّا تَكبر في أعين العالم، بل عليها أن تخدم العالم. لا ننسَ ذلك: يولد شعب الله منفتحًا على الخارج ويزداد شبابًا ببذل نفسه من أجل الآخرين، لأنّه سرّ المحبّة، "العلامة والأداة للاتّحاد الصّميم بالله ولوَحدة الجنس البشريّ برمتّه" (دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 1). أيّها الإخوة والأخوات، لنعُد إلى المجمع الذي أعاد اكتشاف نهر التّقليد الحيّ، دون الرّكود في التّقاليد، والذي وجد من جديد ينبوع المحبّة، لا لكي يبقى في القمّة، بل لكي تنزل الكنيسة إلى الوادي وتكون قناة رحمة للجميع. لنعُد إلى المجمع حتّى نخرج من أنفسنا ونتغلّب على تجربة المرجعيّة الذاتيّة، التي هي أسلوب لنكون دنيويّين. إِرْعَ، يكرّر الرّبّ يسوع لكنيسته، وإن رَعَت، تغلّبت على الحنين إلى الماضي، والنّدم على أهميّة مفقودة، والتعلّق بالسّلطة، لأنّك أنت، شعب الله المقدّس، شعب رعاة: أنت موجود لا لترعى نفسك، وتتسلّق صعودًا، بل لترعى الآخرين، كلّ الآخرين، بمحبّة. إن كان من الصّواب أن نولي البعضَ اهتمامًا خاصًّا، فليكونوا من هم أحبّاء الله، أي الفقراء والمستبعدين (راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 8؛ دستور رعائي في الكنيسة في عالم اليوم، فرح ورجاء، 1)، لكي تكون الكنيسة، كما قال البابا يوحنّا الثّالث والعشرون، "كنيسة الجميع، ولا سيّما كنيسة الفقراء" (رسالة إذاعيّة إلى المؤمنين في جميع أنحاء العالم بعد شهر واحد من المجمع الفاتيكانيّ الثّاني، 11 أيلول/سبتمبر 1962).

3. أَتُحِبُّني؟ واختتم الرّبّ يسوع كلامه بقوله: إِرْعَ خِرافي. لم يقصد بعضًا من الخراف فقط، بل كلّ الخراف، لأنّه يحبّها كلّها، ويدعوها كلّها بمودة ”خرافي“. الرّاعي الصّالح يرى قطيعه ويريده أن يكون موحَّدًا، بقيادة الرّعاة الذين أعطاها إيّاهم. يريد أن ننظر معًا، كلّنا، كلّنا معًا، هذه النّظرة الثّالثة. يذكّرنا المجمع أنّ الكنيسة هي شركة ووَحدة، على صورة الثّالوث الأقدس (راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 4. 13). بينما الشّيطان يريد أن يزرع زؤان التّفرقة. لا نستسلم لمغرياته الخادعة، ولا نستسلم لتجربة الاستقطاب. كم مرّة، بعد المجمع، سَعَى المسيحيّون لكي يختاروا جزءًا من الكنيسة، دون أن يدركوا أنّهم يمزّقون قلب أمّهم! كم مرّة سعوا للترويج لمجموعتهم بدل أن يكونوا خدّامًا للجميع، انقسموا بين تقدّميّين ومحافظين بدل أن يكونوا إخوة وأخوات، وصاروا ”من حزب اليمين“ أو ”من حزب اليسار“ بدل أن يكونوا من حزب يسوع، وجعلوا من أنفسهم ”حرّاسًا للحقيقة“ أو ”صوتًا منفردًا“ يؤيّد وحده ما هو جديد، بدل أن يعترفوا بأنّهم أبناءٌ متواضعون وشاكرون لأمّهم الكنيسة المقدّسة. الرّبّ يسوع لا يريدنا كذلك: نحن خرافه، وقطيعه، وسنكون كذلك فقط إن كنّا معًا، متّحدين. لنتغلّب على الاستقطاب ولنحافظ على الشّركة، ولْنَصِرْ دائمًا ”واحدًا“ أكثر فأكثر، كما توسّل يسوع إلى الآب أن نكون قبل أن يبذل حياته من أجلنا (راجع يوحنّا ​​17، 21). لتساعدنا في هذا مريم، أمّ الكنيسة. لِتَزِدْ فينا التّوق إلى الوَحدة، والرّغبة في أن نلتزم من أجل شركة كاملة بين جميع المؤمنين بالمسيح. لندع ”المذاهب“ جانبًا: شعب الله لا يحبّ هذا الاستقطاب. شعب الله هو شعب الله المقدّس والمُخلص: هذه هي الكنيسة. جميل أن يكون معنا اليوم ممثّلو الجماعات المسيحيّة الأخرى، كما كان في أثناء المجمع. شكرًا! شكرًا لأنّكم أتيتم، وشكرًا لحضوركم!

نشكرك أيّها الرّبّ يسوع على عطيّة المجمع. أنت الذي تحبّنا، حرّرنا من ادّعائنا باكتفائنا الذّاتي ومن روح الانتقاد الدّنيوي. حرّرنا مِن إقصائنا الذّاتي مِن الوَحدة. أنت الذي ترعانا بحنان، أخرجنا من أسوار المرجعيّة الذاتيّة. أنت الذي تريدنا قطيعًا موحَّدًا، حرّرنا من مكيدة الاستقطاب الشّيطانيّة، ومن ”المذاهب“. ونحن، كنيستك، مع بطرس ومثل بطرس نقول لك: "يا رَبّ، أَنتَ تَعلَمُ كُلَّ شَيء، أَنتَ تَعلَمُ أَنَّنا نُحِبُّكَ" (راجع يوحنّا 21، 17).

[01550-AR.02] [Testo originale: Arabo]

 

[B0757-XX.02]