Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Alle ore 9.00 di questa mattina il Santo Padre Francesco è partito dall’eliporto del Vaticano per recarsi ad Assisi in occasione dell’evento “Economy of Francesco”.
Al Suo arrivo nel Piazzale antistante il Pala-Eventi di Santa Maria degli Angeli, il Papa è stato accolto presso il Teatro Lyrick da tre giovani, in rappresentanza dei partecipanti all’evento; dal Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, l’Em.mo Card. Michael Czerny, S.I.; dall’Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, e di Foligno, S.E. Mons. Domenico Sorrentino; dal Presidente della Regione Umbria, la Dott.ssa Donatella Tesei; dal Prefetto di Perugia, il Dott. Armando Gradone; dal Sindaco di Assisi e Presidente della Provincia di Perugia, la Dott.ssa Stefania Proietti; dai Membri del Comitato Promotore dell’Evento, il Prof. Luigino Bruni; la Dott.ssa Francesca di Maolo e Suor Alessandra Smerilli, F.M.A., e da Rappresentanti delle Famiglie Francescane di Assisi e della Pro Civitate Christiana.
Alle ore 9.50 Papa Francesco ha raggiunto il palco del Teatro Lyrick dove ha avuto inizio l’incontro con i giovani. Dopo vari momenti musicali e teatrali, le testimonianze di otto giovani, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso. Subito dopo, ha fatto seguito la lettura e la firma del “Patto”.
Al termine, dopo aver salutato i giovani presenti sul palco, il Santo Padre ha raggiunto in auto il Piazzale antistante il teatro da dove – alle ore 11.50 – è partito in elicottero per rientrare in Vaticano.
Pubblichiamo di seguito il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai giovani nel corso dell’evento:
Discorso del Santo Padre
Carissime e carissimi giovani, buongiorno! Saluto tutti voi che siete venuti, che avete avuto la possibilità di essere qui, ma anche vorrei salutare tutti coloro che non sono potuti arrivare qui, che sono rimasti a casa: un ricordo a tutti! Siamo uniti, tutti: loro dal loro posto, noi qui.
Ho atteso da oltre tre anni questo momento, da quando, il primo maggio 2019, vi scrissi la lettera che vi ha chiamati e poi vi ha portati qui ad Assisi. Per tanti di voi – lo abbiamo appena ascoltato – l’incontro con l’Economia di Francesco ha risvegliato qualcosa che avevate già dentro. Eravate già impegnati nel creare una nuova economia; quella lettera vi ha messo insieme, vi ha dato un orizzonte più ampio, vi ha fatto sentire parte di una comunità mondiale di giovani che avevano la vostra stessa vocazione. E quando un giovane vede in un altro giovane la sua stessa chiamata, e poi questa esperienza si ripete con centinaia, migliaia di altri giovani, allora diventano possibili cose grandi, persino sperare di cambiare un sistema enorme, e un sistema complesso come l’economia mondiale. Anzi, oggi quasi parlare di economia sembra cosa vecchia: oggi si parla di finanza, e la finanza è una cosa acquosa, una cosa gassosa, non la si può prendere. Una volta, una brava economista a livello mondiale mi ha detto che lei ha fatto un’esperienza di incontro tra economia, umanesimo e religione. Ed è andato bene, quell’incontro. Ha voluto fare lo stesso con la finanza e non è riuscita. State attenti a questa gassosità delle finanze: voi dovete riprendere l’attività economica dalle radici, dalle radici umane, come sono state fatte. Voi giovani, con l’aiuto di Dio, lo sapete fare, lo potete fare; i giovani l’hanno fatto altre volte nel corso della storia tante cose.
State vivendo la vostra giovinezza in un’epoca non facile: la crisi ambientale, poi la pandemia e ora la guerra in Ucraina e le altre guerre che continuano da anni in diversi Paesi, stanno segnando la nostra vita. La nostra generazione vi ha lasciato in eredità molte ricchezze, ma non abbiamo saputo custodire il pianeta e non stiamo custodendo la pace. Quando voi sentite che i pescatori di San Benedetto del Tronto in un anno hanno tirato fuori dal mare 12 tonnellate di sporcizia e plastiche e cose così, vedete come non sappiamo custodire l’ambiente. E di conseguenza non custodiamo neppure la pace. Voi siete chiamati a diventare artigiani e costruttori della casa comune, una casa comune che “sta andando in rovina”. Diciamolo: è così. Una nuova economia, ispirata a Francesco d’Assisi, oggi può e deve essere un’economia amica della terra, e un’economia di pace. Si tratta di trasformare un’economia che uccide (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53) in un’economia della vita, in tutte le sue dimensioni. Arrivare a quel “buon vivere”, che non è la dolce vita o passarla bene, no. Il buon vivere è quella mistica che i popoli aborigeni ci insegnano di avere in rapporto con la terra.
Ho apprezzato la vostra scelta di modellare questo incontro di Assisi sulla profezia. Mi è piaciuto quello che avete detto sulle profezie. La vita di Francesco d’Assisi, dopo la sua conversione, è stata una profezia, che continua anche nel nostro tempo. Nella Bibbia la profezia ha molto a che fare con i giovani. Samuele quando fu chiamato era un fanciullo, Geremia ed Ezechiele erano giovani; Daniele era un ragazzo quando profetizzò l’innocenza di Susanna e la salvò dalla morte (cfr Dn 13,45-50); e il profeta Gioele annuncia al popolo che Dio effonderà il suo Spirito e «diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (3,1). Secondo le Scritture, i giovani sono portatori di uno spirito di scienza e di intelligenza. Fu il giovane Davide a umiliare l’arroganza del gigante Golia (cfr 1 Sam 17,49-51). In effetti, quando alla comunità civile e alle imprese mancano le capacità dei giovani è tutta la società che appassisce, si spegne la vita di tutti. Manca creatività, manca ottimismo, manca entusiasmo, manca il coraggio per rischiare. Una società e un’economia senza giovani sono tristi, pessimiste, ciniche. Se voi volete vedere questo, andate in queste università ultra-specializzate in economia liberale, e guardate la faccia dei giovani e delle giovani che studiano lì. Ma grazie a Dio voi ci siete: non solo ci sarete domani, ci siete oggi; voi non siete soltanto il “non ancora”, siete anche il “già”, siete il presente.
Un’economia che si lascia ispirare dalla dimensione profetica si esprime oggi in una visione nuova dell’ambiente e della terra. Dobbiamo andare a questa armonia con l’ambiente, con la terra. Sono tante le persone, le imprese e le istituzioni che stanno operando una conversione ecologica. Bisogna andare avanti su questa strada, e fare di più. Questo “di più” voi lo state facendo e lo state chiedendo a tutti. Non basta fare il maquillage, bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo. La situazione è tale che non possiamo soltanto aspettare il prossimo summit internazionale, che può non servire: la terra brucia oggi, ed è oggi che dobbiamo cambiare, a tutti i livelli. In questo ultimo anno voi avete lavorato sull’economia delle piante, un tema innovativo. Avete visto che il paradigma vegetale contiene un diverso approccio alla terra e all’ambiente. Le piante sanno cooperare con tutto l’ambiente circostante, e anche quando competono, in realtà stanno cooperando per il bene dell’ecosistema. Impariamo dalla mitezza delle piante: la loro umiltà e il loro silenzio possono offrirci uno stile diverso di cui abbiamo urgente bisogno. Perché, se parliamo di transizione ecologica ma restiamo dentro il paradigma economico del Novecento, che ha depredato le risorse naturali e la terra, le manovre che adotteremo saranno sempre insufficienti o ammalate nelle radici. La Bibbia è piena di alberi e di piante, dall’albero della vita al granello di senape. E San Francesco ci aiuta con la sua fraternità cosmica con tutte le creature viventi. Noi uomini, in questi ultimi due secoli, siamo cresciuti a scapito della terra. È stata lei a pagare il conto! L’abbiamo spesso saccheggiata per aumentare il nostro benessere, e neanche il benessere di tutti, ma di un gruppetto. È questo il tempo di un nuovo coraggio nell’abbandono delle fonti fossili d’energia, di accelerare lo sviluppo di fonti a impatto zero o positivo.
E poi dobbiamo accettare il principio etico universale – che però non piace – che i danni vanno riparati. Questo è un principio etico, universale: i danni vanno riparati. Se siamo cresciuti abusando del pianeta e dell’atmosfera, oggi dobbiamo imparare a fare anche sacrifici negli stili di vita ancora insostenibili. Altrimenti, saranno i nostri figli e i nostri nipoti a pagare il conto, un conto che sarà troppo alto e troppo ingiusto. Io sentivo uno scienziato molto importante a livello mondiale, sei mesi fa, che ha detto: “Ieri mi è nata una nipotina. Se continuiamo così, poveretta, entro trent’anni dovrà vivere in un mondo inabitabile”. Saranno i figli e i nipoti a pagare il conto, un conto che sarà troppo alto e troppo ingiusto. Occorre un cambiamento rapido e deciso. Questo lo dico sul serio: conto su di voi! Per favore, non lasciateci tranquilli, dateci l’esempio! E io vi dico la verità: per vivere su questa strada ci vuole coraggio e alcune volte ci vuole qualche pizzico di eroicità. Ho sentito, in un incontro, un ragazzo, 25enne, appena uscito come ingegnere di alto livello, non trovava lavoro; alla fine l’ha trovato in un’industria che non sapeva bene cosa fosse; quando ha studiato cosa doveva fare – senza lavoro, in condizione di lavorare – ha rifiutato, perché si fabbricavano le armi. Questi sono gli eroi di oggi, questi.
La sostenibilità, poi, è una parola a più dimensioni. Oltre a quella ambientale ci sono anche le dimensioni sociale, relazionale e spirituale. Quella sociale incomincia lentamente ad essere riconosciuta: ci stiamo rendendo conto che il grido dei poveri e il grido della terra sono lo stesso grido (cfr Enc. Laudato si’, 49). Pertanto, quando lavoriamo per la trasformazione ecologica, dobbiamo tenere presenti gli effetti che alcune scelte ambientali producono sulle povertà. Non tutte le soluzioni ambientali hanno gli stessi effetti sui poveri, e quindi vanno preferite quelle che riducono la miseria e le diseguaglianze. Mentre cerchiamo di salvare il pianeta, non possiamo trascurare l’uomo e la donna che soffrono. L’inquinamento che uccide non è solo quello dell’anidride carbonica, anche la diseguaglianza inquina mortalmente il nostro pianeta. Non possiamo permettere che le nuove calamità ambientali cancellino dall’opinione pubblica le antiche e sempre attuali calamità dell’ingiustizia sociale, anche delle ingiustizie politiche. Pensiamo, per esempio, a un’ingiustizia politica; il povero popolo martoriato dei Rohingya che vaga da una parte all’altra perché non può abitare nella propria patria: un’ingiustizia politica.
C’è poi una insostenibilità delle nostre relazioni: in molti Paesi le relazioni delle persone si stanno impoverendo. Soprattutto in Occidente, le comunità diventano sempre più fragili e frammentate. La famiglia, in alcune regioni del mondo, soffre una grave crisi, e con essa l’accoglienza e la custodia della vita. Il consumismo attuale cerca di riempire il vuoto dei rapporti umani con merci sempre più sofisticate – le solitudini sono un grande affare nel nostro tempo! –, ma così genera una carestia di felicità. E questa è una cosa brutta. Pensate all’inverno demografico, per esempio, come è in rapporto con tutto questo. L’inverno demografico dove tutti i Paesi stanno diminuendo grandemente, perché non si fanno figli, ma conta più avere un rapporto affettivo con i cagnolini, con i gatti e andare avanti così. Bisogna riprendere a procreare. Ma anche in questa linea dell’inverno demografico c’è la schiavitù della donna: una donna che non può essere madre perché appena incomincia a salire la pancia, la licenziano; alle donne incinte non è sempre consentito lavorare.
C’è infine una insostenibilità spirituale del nostro capitalismo. L’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, prima di essere un cercatore di beni è un cercatore di senso. Noi tutti siamo cercatori di senso. Ecco perché il primo capitale di ogni società è quello spirituale, perché è quello che ci dà le ragioni per alzarci ogni giorno e andare al lavoro, e genera quella gioia di vivere necessaria anche all’economia. Il nostro mondo sta consumando velocemente questa forma essenziale di capitale accumulata nei secoli dalle religioni, dalle tradizioni sapienziali, dalla pietà popolare. E così soprattutto i giovani soffrono per questa mancanza di senso: spesso di fronte al dolore e alle incertezze della vita si ritrovano con un’anima impoverita di risorse spirituali per elaborare sofferenze, frustrazioni, delusioni e lutti. Guardate la percentuale di suicidi giovanili, com’è salito: e non li pubblicano tutti, nascondono la cifra. La fragilità di molti giovani deriva dalla carenza di questo prezioso capitale spirituale – io dico: voi avete un capitale spirituale? Ognuno si risponda dentro – un capitale invisibile ma più reale dei capitali finanziari o tecnologici. C’è un urgente bisogno di ricostituire questo patrimonio spirituale essenziale. La tecnica può fare molto; ci insegna il “cosa” e il “come” fare: ma non ci dice il “perché”; e così le nostre azioni diventano sterili e non riempiono la vita, neanche la vita economica.
Trovandomi nella città di Francesco, non posso non soffermarmi sulla povertà. Fare economia ispirandosi a lui significa impegnarsi a mettere al centro i poveri. A partire da essi guardare l’economia, a partire da essi guardare il mondo. Senza la stima, la cura, l’amore per i poveri, per ogni persona povera, per ogni persona fragile e vulnerabile, dal concepito nel grembo materno alla persona malata e con disabilità, all’anziano in difficoltà, non c’è “Economia di Francesco”. Direi di più: un’economia di Francesco non può limitarsi a lavorare per o con i poveri. Fino a quando il nostro sistema produrrà scarti e noi opereremo secondo questo sistema, saremo complici di un’economia che uccide. Chiediamoci allora: stiamo facendo abbastanza per cambiare questa economia, oppure ci accontentiamo di verniciare una parete cambiando colore, senza cambiare la struttura della casa? Non si tratta di dare pennellate di vernice, no: bisogna cambiare la struttura. Forse la risposta non è in quanto noi possiamo fare, ma in come riusciamo ad aprire cammini nuovi perché gli stessi poveri possano diventare i protagonisti del cambiamento. In questo senso ci sono esperienze molto grandi, molto sviluppate in India e nelle Filippine.
San Francesco ha amato non solo i poveri, ha amato anche la povertà. Questo modo di vivere austero, diciamo così. Francesco andava dai lebbrosi non tanto per aiutarli, andava perché voleva diventare povero come loro. Seguendo Gesù Cristo, si spogliò di tutto per essere povero con i poveri. Ebbene, la prima economia di mercato è nata nel Duecento in Europa a contatto quotidiano con i frati francescani, che erano amici di quei primi mercanti. Quella economia creava ricchezza, certo, ma non disprezzava la povertà. Creare ricchezza senza disprezzare la povertà. Il nostro capitalismo, invece, vuole aiutare i poveri ma non li stima, non capisce la beatitudine paradossale: “beati i poveri” (cfr Lc 6,20). Noi non dobbiamo amare la miseria, anzi dobbiamo combatterla, anzitutto creando lavoro, lavoro degno. Ma il Vangelo ci dice che senza stimare i poveri non si può combattere nessuna miseria. Ed è invece da qui che dobbiamo partire, anche voi imprenditori ed economisti: abitando questi paradossi evangelici di Francesco. Quando io parlo con la gente o confesso, io domando sempre: “Lei dà l’elemosina ai poveri?” – “Sì, sì, sì!” – “E quando lei dà l’elemosina al povero, lo guarda negli occhi?” – “Eh, non so …” – “E quando tu dai l’elemosina, tu butti la moneta o tocchi la mano del povero?”. Non guardano gli occhi e non toccano; e questo è un allontanarsi dallo spirito di povertà, allontanarsi dalla vera realtà dei poveri, allontanarsi dall’umanità che deve avere ogni rapporto umano. Qualcuno mi dirà: “Papa, siamo in ritardo, quando finisci?”: finisco adesso.
E alla luce di questa riflessione, vorrei lasciarvi tre indicazioni di percorso per andare avanti.
La prima: guardare il mondo con gli occhi dei più poveri. Il movimento francescano ha saputo inventare nel Medioevo le prime teorie economiche e persino le prime banche solidali (i “Monti di Pietà”), perché guardava il mondo con gli occhi dei più poveri. Anche voi migliorerete l’economia se guarderete le cose dalla prospettiva delle vittime e degli scartati. Ma per avere gli occhi dei poveri e delle vittime bisogna conoscerli, bisogna essere loro amici. E, credetemi, se diventate amici dei poveri, se condividete la loro vita, condividerete anche qualcosa del Regno di Dio, perché Gesù ha detto che di essi è il Regno dei cieli, e per questo sono beati (cfr Lc 6,20). E lo ripeto: che le vostre scelte quotidiane non producano scarti.
La seconda: voi siete soprattutto studenti, studiosi e imprenditori, ma non dimenticatevi del lavoro, non dimenticatevi dei lavoratori. Il lavoro delle mani. Il lavoro è già la sfida del nostro tempo, e sarà ancora di più la sfida di domani. Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano. A volte si può sopravvivere senza lavoro, ma non si vive bene. Perciò, mentre create beni e servizi, non dimenticatevi di creare lavoro, buon lavoro e lavoro per tutti.
La terza indicazione è: incarnazione. Nei momenti cruciali della storia, chi ha saputo lasciare una buona impronta lo ha fatto perché ha tradotto gli ideali, i desideri, i valori in opere concrete. Cioè, li ha incarnati. Oltre a scrivere e fare congressi, questi uomini e donne hanno dato vita a scuole e università, a banche, a sindacati, a cooperative, a istituzioni. Il mondo dell’economia lo cambierete se insieme al cuore e alla testa userete anche le mani. I tre linguaggi. Si pensa: la testa, il linguaggio del pensiero, ma non solo, unito al linguaggio del sentimento, del cuore. E non solo: unito al linguaggio delle mani. E tu devi fare quello che senti e pensi, sentire quello che fai e pensare quello senti e fai. Questa è l’unione dei tre linguaggi. Le idee sono necessarie, ci attraggono molto soprattutto da giovani, ma possono trasformarsi in trappole se non diventano “carne”, cioè concretezza, impegno quotidiano: i tre linguaggi. Le idee sole si ammalano e noi finiremo in orbita, tutti, se sono solo idee. Le idee sono necessarie, ma devono diventare “carne”. La Chiesa ha sempre respinto la tentazione gnostica – gnosi, quello della idea sola –, che pensa di cambiare il mondo solo con una diversa conoscenza, senza la fatica della carne. Le opere sono meno “luminose” delle grandi idee, perché sono concrete, particolari, limitate, con luce e ombra insieme, ma fecondano giorno dopo giorno la terra: la realtà è superiore all’idea (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 233). Cari giovani, la realtà è sempre superiore all’idea: state attenti a questo.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per il vostro impegno: grazie. Andate avanti, con l’ispirazione e l’intercessione di San Francesco. E io – se siete d’accordo – vorrei concludere con una preghiera. Io la leggo e voi con il cuore la seguite:
Padre, Ti chiediamo perdono per aver ferito gravemente la terra, per non aver rispettato le culture indigene, per non avere stimato e amato i più poveri, per aver creato ricchezza senza comunione. Dio vivente, che con il tuo Spirito hai ispirato il cuore, le braccia e la mente di questi giovani e li hai fatti partire verso una terra promessa, guarda con benevolenza la loro generosità, il loro amore, la loro voglia di spendere la vita per un ideale grande. Benedicili, Padre, nelle loro imprese, nei loro studi, nei loro sogni; accompagnali nelle difficoltà e nelle sofferenze, aiutali a trasformarle in virtù e in saggezza. Sostieni i loro desideri di bene e di vita, sorreggili nelle loro delusioni di fronte ai cattivi esempi, fa’ che non si scoraggino e continuino nel cammino. Tu, il cui Figlio unigenito si fece carpentiere, dona loro la gioia di trasformare il mondo con l’amore, con l’ingegno e con le mani. Amen.
E grazie tante.
[01449-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Dear young people, good morning!
I greet all those who are able to be here today. I would also like to greet those who could not make it, those at home. I greet all of you! We are all united: those joining us from various places and those present here.
I have waited more than three years for this moment, since 1 May 2019, when I wrote you the letter that called and then brought you here to Assisi. For many of you – as we have just heard – the encounter with the Economy of Francesco awakened something that was already within you. You were already committed to creating a new economy; my letter brought you together, gave you a broader horizon and made you feel part of a worldwide community of young people who have the same vocation. When a young person sees in another young person the same calling, and this experience is repeated with hundreds, even thousands of other young people, then great things become possible, even the hope of changing an enormous and complex system like the world economy. Indeed, it would appear that talking about economics today seems like an old thing: today we talk about finance, and finance is a watery thing, a gaseous thing, you cannot hold it. Once, a good world economist told me that she attended a conference on the link between economics, humanism and religion. The event went well. She wanted to do the same with finance and was not able to do so. Beware of this fleeting nature of finances: you must resume economic activity from the roots, from human roots as was done in the past. You young people, with the help of God, know what to do, you can do it; young people have done many things before in the course of history.
You are living your youth in a time that is not easy: the environmental crisis, then the pandemic, and now the war in Ukraine, and the other wars which have continued for years in various countries, have marked your lives. Our generation has left you with a rich heritage, but we have not known how to protect the planet and are not securing peace. When you hear that the fishermen of San Benedetto del Tronto, pulled 12 tons of dirt and plastic and other things out of the sea in one year, you realise that we do not know how to protect the environment. Nor do we know how to keep peace as a result. You are called to become artisans and builders of our common home, a common home that “is falling into ruin”. Today, a new economy inspired by Francis of Assisi can and must become an economy of friendship with the earth and an economy of peace. It is a question of transforming an economy that kills (cf. Evangelii Gaudium, 53) into an economy of life, in all its aspects. That “good life” is not the sweet life or living it well, no. Good living is the mysticism that the indigenous peoples teach us to have in relation to the earth.
I admire your decision to model this gathering in Assisi on prophecy. I liked what you said about prophecy. After his conversion, Francis of Assisi’s life was a prophecy that continues also into our own times. In the Bible, prophecy is very much connected with young people. Samuel was called as a boy, Jeremiah and Ezechiel were young, Daniel was a youth when he prophesied the innocence of Susanna and saved her from death (cf. Dan 13:45-50); and the prophet Joel announced to the people that God would send his Spirit and “their sons and daughters would prophesy” (3:1). According to Scripture, young people are the bearers of a spirit of knowledge and intelligence. It was the young David who humbled the arrogance of the giant Goliath (cf 1 Sam 17: 49-51). Indeed, when civil society and businesses lack the skills of the young, the whole of society withers and the life of everyone is extinguished. There is a lack of creativity, optimism, enthusiasm, and courage to take risks. A society and an economy without young people are sad, pessimistic and cynical. If you want to see this, go to these ultra-specialized universities in liberal economics, and look at the faces of the young men and women studying there. Yet, we are grateful to God that you are here: not only will you be there tomorrow, you are here today. You are not just the “not yet”, you are also the “already here”, you are the present.
An economy that inspires us with the prophetic dimension is expressed today in a new vision of the environment and the earth. We have to embrace this harmony with the environment and the earth. There are many people, businesses and institutions that are making an ecological conversion. We need to go forward on this road and do more. You are doing and asking everyone to do this “more”. It is not enough to make cosmetic changes; we need to discuss models of development. The situation is such that we cannot just wait until the next international summit, which might be too late. The earth burns today, and today we must change, at all levels. In this last year, you have worked on the economy of plants, an innovative topic. You have seen that the plant paradigm contains a different approach to the earth and the environment. Plants cooperate with their whole environmental surroundings, and also when they compete, they actually are cooperating for the good of the ecosystem. Let us learn from the meekness of plants: their humility and their silence can offer us a different approach, which we urgently need. For, if we speak of ecological transition but remain in the economic paradigm of the twentieth century, which plundered the earth and its natural resources, then the strategies we adopt will always be insufficient or sick from the roots. The Bible is full of images of trees and plants, from the tree of life to the mustard seed. And Saint Francis helps us with his universal fraternity with all living creatures. We human beings, in these last two centuries, have grown at the expense of the earth. The earth is the one that pays the price. We have often plundered in order to increase our own well-being, and not even the well-being of all, but of a small group. Now is the time for new courage in abandoning fossil fuels to accelerate the development of zero or positive impact sources of energy.
We must also accept the universal ethical principal – however unpopular – that damages must be repaired. This is a universal, ethical principle: damage must be repaired. If we grew up abusing the planet and the atmosphere, today we must also learn to make sacrifices in lifestyles that remain unsustainable. Otherwise, our children and grandchildren will pay the price, a price that will be too high and too unjust. Six months ago, I listened to a very important scientist, who said: “Yesterday my granddaughter was born. If we continue like this, within thirty years the poor girl will have to live in an uninhabitable world”. Our children and grandchildren will pay the price, a price that will be very high and unfair. Quick and decisive change is needed. I say this with seriousness. I am counting on you! Please, do not be afraid to bother us! Be an example for us! And I tell you the truth: one needs courage to walk on this path, and sometimes it takes a little bit of heroism. In a meeting, I listened to a 25-year-old man, who had just graduated as an engineer, and who could not find a job. In the end, he found one in an industry about which he did not know much. When he realised what the job entailed, he refused it because they were making weapons. These are the heroes of today.
Sustainability, then, is a multidimensional word. Aside from the environmental, there are also the social, relational and spiritual dimensions. The social aspect is slowly beginning to be recognized: we are realizing that the cry of the poor and the cry of the earth are the same cry (cf. Laudato Si’, 49). When we work for ecological transformation, then, we must keep in mind the effects that some environmental choices have on poverty. Not all environmental solutions have the same effects on the poorest, and therefore those that reduce misery and inequality should be preferred. As we seek to save the planet, we must not neglect those who suffer. Carbon dioxide is not the only pollution that kills; inequality also fatally damages our planet. We must not allow the new environmental calamities to erase from public view the long-standing and ever-present calamities of social injustice, as well as political injustices. Let us think, for example, of a political injustice; the poor battered people of the Rohingya who wander from one place to another because they cannot live in their own homeland. It is a political injustice.
Then there is the unsustainability of our relationships: in many countries relationships between people are becoming impoverished. Especially in the West, communities are becoming increasingly fragile and fragmented. The family, and with it the acceptance and protection of life, is suffering a serious crisis in some regions of the world. Current consumerism seeks to fill the void of human relationships with ever more sophisticated commodities – loneliness is big business in our time! – but in this way it generates a famine of happiness. This is not a good thing. Think of the demographic winter, for example, and how it relates to all this. The demographic winter where the population of all countries is going down significantly because, instead of having children, people give greater attention to having emotional relationships with dogs and cats. We have to start procreating again. But also in this demographic winter there is the slavery of women: a woman who cannot be a mother because as soon as her belly begins to rise, they fire her; pregnant women are not always allowed to work.
Finally, there is a spiritual unsustainability to our capitalism. Human beings, created in the image and likeness of God, are seekers of meaning before being seekers of material goods. We are all seekers of meaning. That is why the first capital of any society is spiritual capital, for this is what gives us a reason to get up every morning and go to work, and engenders the joy of living that is also necessary for the economy. Our world is quickly consuming this essential kind of capital, accumulated over centuries by religions, wise traditions and popular piety. Consequently, young people especially suffer from this lack of meaning: faced with the pain and uncertainties of life, they often find their souls depleted of the spiritual resources needed to process suffering, frustration, disappointment and grief. Go and look at the percentage of suicide among young people, and how the numbers are going up. They do even not publish everything, and sometimes hide the figures. The fragility of many young people comes from a lack of this precious spiritual capital – an invisible but more real capital than financial or technological capital. I ask, do you have a spiritual capital? Everyone can answer quietly. We urgently need to rebuild this essential spiritual patrimony. Technology can do much: it teaches us the “what” and the “how”: but it does not tell us the “why”; and so our actions become sterile and do not bring fulfilment to life, not even economic life.
Finding myself in the city of Francis, I cannot help but speak about poverty. Developing an economy inspired by him means committing ourselves to putting the poor at the centre. Starting with them, we look at the economy; starting with them, we look at the world. There is no “Economy of Francesco” without respect, care and love for the poor, for every poor person, for every fragile and vulnerable person – from conception in the womb to the sick person with disabilities, to the elderly person in difficulty. I would go even further: an economy of Francesco must not limit itself to working for or with the poor. As long as our system “produces” discarded people, and we operate according to this system, we will be accomplices of an economy that kills. Let us ask ourselves. Are we doing enough to change this economy or are we content with painting a house in order to change its colour without changing the structure of the house? It is not a question of paint strokes, no: you have to change the structure. Perhaps our response should not be based on how much we can do but on how we are able to open new paths so that the poor themselves can become protagonists of change. In this regard, there are significant and developed examples in India and the Philippines.
Saint Francis loved not only the poor but poverty itself. This can also be called an austere way of living. Francis went to lepers not so much to love them but because he wanted to become poor like them. Following Jesus Christ, he stripped himself of everything to become poor with the poor. Indeed, the first market economy was born in the thirteenth century in Europe through daily contact with Franciscan Friars, who were friends of the first merchants. That economy certainly created wealth but it did not despise poverty. Our capitalism, instead, wants to help the poor but does not respect them; it does not understand the paradox in the beatitude: “Blessed are the poor” (cf. Lk 6:20). We do not have to love poverty. On the contrary, we need to combat it, above all, by creating work, dignified work. The Gospel tells us, however, that without respect for the poor, we cannot combat poverty. It is from here that all of us need to begin, including entrepreneurs and economists: living the evangelical paradoxes of Francis. When I talk to people or hear confessions, I always ask: “Do you give alms to the poor?” – “Yes, yes, yes!” – “And when you give alms to the poor, do you look him or her in the eye?” – “Eh, I don’t know ...” – “And when you give alms, do you throw the coin or touch the poor person’s hand?”. They do not look at the eyes and do not touch; and this is a way of distancing ourselves from the spirit of poverty, distancing ourselves from the true reality of the poor, distancing ourselves from the humanity that every human relationship must have. Someone will say to me: “Holy Father, we haven’t got much time, when are you finishing?”: I am finishing now.
In light of this reflection, I would like to leave you with three signposts for moving forward.
The first is to look at the world with the eyes of the poorest of the poor. In the medieval period, the Franciscan movement was able to create the first economic theories and even the first banks for those in need (“Monti di Pietà”), because it looked at the world with the eyes of the poorest of the poor. You too will improve the economy if you look at things from the perspective of victims and the discarded. In order to have the eyes of the poor and victims, however, it is necessary to get to know them, to be their friends. And, believe me, if you become friends of the poor, you will share their life, you will have a share in the Kingdom of God, because Jesus said that to these belong the Kingdom of God. For this reason, they are blessed (cf. Lk 6:20). I will say it again: may your daily choices not “produce” discarded people.
The second: you are mostly students, scholars and entrepreneurs, but do not forget about work, do not forget about workers. The work of our hands. Work is already the challenge of our time, and it will be all the more the challenge of tomorrow. Without dignified work and just remuneration, young people will not truly become adults and inequality will increase. It is possible, at times, for a person to survive without work but he or she does not live well. So while you create goods and services, do not forget to create work, good work and work for everyone.
The third signpost is incarnation. In the crucial moments of history, those who left a good mark were able to do so because they translated ideals, desires and values into concrete actions. They “incarnated” them. In addition to writing and organizing conferences, these men and women established schools and universities, banks, trade unions, associations and institutions. You will change the economic world if you use your hands together with your heart and head. The three languages. When we think: we have the head, the language of thought. But we don’t stop there, we have to combine it with the language of feeling, the language of the heart. And not only that, we also have to link it with the language of the hands. So you have to do what you feel and think, feel what you do, and think what you feel and do. This is the union of the three languages. Ideas are necessary, they entice us, especially young people, but they can turn into traps if they do not become “flesh”, in other words something concrete, a daily commitment: the three languages. Ideas alone do not work; we will all finish up in an endless circle if we follow just ideas. Ideas are necessary, but they must take “flesh”. The Church has always rejected the gnostic – gnosis, that of idea alone – temptation of thinking that the world changes only through different knowledge, without the effort of the flesh. Actions are less “luminous” than great ideas because they are concrete, particular, limited, with light and shadow together, but they fertilize the ground day after day for reality is greater than an idea (cf. Evangelii Gaudium, 233). Dear young people, reality is always bigger than idea: pay attention to this.
Dear brothers and sisters, I thank you for your efforts: thank you. Go forward together with the inspiration and intercession of Saint Francis. And if you are agreeable, I would like to conclude with a prayer. I will pray it aloud and you can follow me silently in your heart.
Father, we ask forgiveness for having damaged the earth, for not having respected indigenous cultures, for not having valued and loved the poorest of the poor, for having created wealth without communion. Living God, who with your Spirit have inspired the hearts, hands and minds of these young people and sent them on the way to a promised land, look kindly on their generosity, love and desire to spend their lives for a great ideal. Bless them, Father, in their undertakings, studies and dreams; accompany them in their difficulties and sufferings, help them to transform their difficulties and sufferings into virtue and wisdom. Support their longing for the good and for life, lift them up when facing disappointments due to bad examples, do let them become discouraged but instead may they continue on their path. You, whose only begotten Son became a carpenter, grant them the joy of transforming the world with love, ingenuity and hands. Amen.
Thank you very much.
[01449-EN.02] [Original text: Italian]
[B0709-XX.02]