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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Kazakhstan – Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali presso la Cattedrale, 15.09.2022


Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali presso la Cattedrale della Madre del Perpetuo Soccorso

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Traduzione in lingua russa

Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato e dopo l’incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presenti in Kazakhstan, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Cattedrale della Madre del Perpetuo Soccorso - sede dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana - dove alle ore 10.30 (6.30 ora di Roma) ha incontrato i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali.

Al Suo arrivo è stato accolto davanti alla chiesa parrocchiale da tre bambini accompagnati da una religiosa che gli hanno donato un omaggio floreale mentre una famiglia ha eseguito musiche tradizionali.

Dopo il saluto di benvenuto di S.E. Mons. Tomash Bernard Peta, Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, del Vescovo Ausiliare e del Parroco, quest’ultimo gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione. Insieme hanno percorso poi la navata centrale fino ad arrivare al presbiterio mentre il coro ha eseguito un canto.

Dopo il saluto liturgico e l’indirizzo di omaggio del Presidente della Conferenza Episcopale dei Vescovi dell’Asia Centrale, S.E. Mons. José Luis Mumbiela Sierra, Vescovo della Diocesi della Santissima Trinità in Almaty, un sacerdote, una suora, una fedele della Chiesa greco-cattolica e un operatore pastorale hanno portato la loro testimonianza. Quindi il Papa ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine, dopo la preghiera di affidamento a Maria Regina della Pace, il canto del Padre Nostro e la Benedizione finale, il Santo Padre, prima di salutare individualmente i Vescovi e posare insieme a loro per la foto di gruppo, ha benedetto l’icona di Maria Madre della Grande Steppa. Quindi ha fatto rientro in auto alla Nunziatura Apostolica dove pranza in privato.

Pubblichiamo di seguito il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Diaconi, ai Consacrati, ai Seminaristi e agli Operatori Pastorali:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli Vescovi, sacerdoti e diaconi, cari consacrati e consacrate, seminaristi e operatori pastorali, buongiorno!

Sono felice di essere qui in mezzo a voi, di salutare la Conferenza Episcopale dell’Asia Centrale e di incontrare una Chiesa fatta di tanti volti, storie e tradizioni diverse, tutte unite dall’unica fede in Cristo Gesù. Monsignor Mumbiela Sierra, che ringrazio per le parole di saluto, ha detto: «La maggior parte di noi sono stranieri»; è vero, perché provenite da luoghi e Paesi differenti, ma la bellezza della Chiesa è questa: siamo un’unica famiglia, nella quale nessuno è straniero. Lo ripeto: nessuno è straniero nella Chiesa, siamo un solo Popolo santo di Dio arricchito da tanti popoli! E la forza del nostro popolo sacerdotale e santo sta proprio nel fare della diversità una ricchezza attraverso la condivisione di ciò che siamo e di ciò che abbiamo: la nostra piccolezza si moltiplica se la condividiamo.

Il brano della Parola di Dio che abbiamo ascoltato afferma proprio questo: il mistero di Dio – dice san Paolo – è stato rivelato a tutti i popoli. Non solo al popolo eletto o a una élite di persone religiose, ma a tutti. Ogni uomo può accedere a Dio, perché – spiega l’Apostolo – tutte le genti «sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6).

Vorrei sottolineare due parole usate da Paolo: eredità e promessa. Da una parte, una Chiesa eredita sempre una storia, è sempre figlia di un primo annuncio del Vangelo, di un evento che la precede, di altri apostoli ed evangelizzatori che l’hanno stabilita sulla parola viva di Gesù; dall’altra parte, essa è anche la comunità di coloro che hanno visto compiersi in Gesù la promessa di Dio e, da figli della risurrezione, vivono nella speranza del compimento futuro. Sì, siamo destinatari della gloria promessa, che anima di attesa il nostro cammino. Eredità e promessa: l’eredità del passato è la nostra memoria, la promessa del Vangelo è il futuro di Dio che ci viene incontro. Su questo vorrei soffermarmi con voi: una Chiesa che cammina nella storia tra memoria e futuro.

Anzitutto, la memoria. Se oggi in questo vasto Paese, multiculturale e multireligioso, possiamo vedere comunità cristiane vivaci e un senso religioso che attraversa la vita della popolazione, è soprattutto grazie alla ricca storia che vi ha preceduto. Penso alla diffusione del cristianesimo nell’Asia centrale, avvenuta già nei primissimi secoli, a tanti evangelizzatori e missionari che si sono spesi per diffondere la luce del Vangelo, fondando comunità, santuari, monasteri e luoghi di culto. C’è dunque un’eredità cristiana, ecumenica, che va onorata e custodita, una trasmissione della fede che ha visto protagoniste anche tante persone semplici, tanti nonni e nonne, padri e madri. Nel cammino spirituale ed ecclesiale non dobbiamo smarrire il ricordo di quanti ci hanno annunciato la fede, perché fare memoria ci aiuta a sviluppare lo spirito di contemplazione per le meraviglie che Dio ha operato nella storia, pur in mezzo alle fatiche della vita e alle fragilità personali e comunitarie.

Facciamo però attenzione: non si tratta di guardare indietro con nostalgia, restando bloccati sulle cose del passato e lasciandoci paralizzare nell’immobilismo: questa è la tentazione dell’indietrismo. Lo sguardo cristiano, quando si volge per fare memoria, vuole aprirci allo stupore dinanzi al mistero di Dio, per riempire il nostro cuore di lode e di gratitudine per quanto il Signore ha compiuto. Un cuore grato, che trabocca di lode, non nutre rimpianti, accoglie invece l’oggi che vive come grazia. E vuole mettersi in cammino, andare avanti, comunicare Gesù, come le donne e i discepoli di Emmaus nel giorno di Pasqua!

È questa memoria viva di Gesù, che ci riempie di stupore e che attingiamo soprattutto dal Memoriale eucaristico, la forza d’amore che ci sospinge. È il nostro tesoro. Perciò senza memoria non c’è stupore. Se perdiamo la memoria viva, allora la fede, le devozioni e le attività pastorali rischiano di affievolirsi, di essere come dei fuochi di paglia, che bruciano subito ma si spengono presto. Quando smarriamo la memoria, si esaurisce la gioia. Viene meno anche la riconoscenza a Dio e ai fratelli, perché si cade nella tentazione di pensare che tutto dipenda da noi. Padre Ruslan ci ha ricordato una bella cosa: che essere prete è già molto, perché nella vita sacerdotale ci si accorge che quanto accade non è opera nostra, ma è dono di Dio. E suor Clara, parlando della sua vocazione, ha voluto anzitutto ringraziare coloro che le hanno annunciato il Vangelo. Grazie per queste testimonianze, che ci invitano a fare memoria grata dell’eredità ricevuta.

Se guardiamo dentro a questa eredità, che cosa vediamo? Che la fede non è stata trasmessa di generazione in generazione come un insieme di cose da capire e da fare, come un codice fissato una volta per tutte. No, la fede è passata con la vita, con la testimonianza che ha portato il fuoco del Vangelo nel cuore delle situazioni per illuminare, purificare e diffondere il calore consolante di Gesù, la gioia del suo amore che salva, la speranza della sua promessa. Facendo memoria, allora, impariamo che la fede cresce con la testimonianza. Il resto viene dopo. Questa è una chiamata per tutti e vorrei ribadirlo a tutti, fedeli laici, vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate che operano in vario modo nella vita pastorale delle comunità: non stanchiamoci di testimoniare il cuore della salvezza, la novità di Gesù, la novità che è Gesù! La fede non è una bella mostra di cose del passato, ma un evento sempre attuale, l’incontro con Cristo che accade qui e ora nella vita! Perciò non si comunica solo con la ripetizione delle cose di sempre, ma trasmettendo la novità del Vangelo. Così la fede rimane viva e ha futuro.

Ecco allora la seconda parola, futuro. La memoria del passato non ci chiude in noi stessi, ma ci apre alla promessa del Vangelo. Gesù ci ha assicurato che sarà sempre con noi: non si tratta dunque di una promessa rivolta solo a un futuro lontano, siamo chiamati ad accogliere oggi il rinnovamento che il Risorto porta avanti nella vita. Nonostante le nostre debolezze, Egli non si stanca di stare con noi, di costruire l’avvenire della sua e nostra Chiesa insieme a noi.

Certo, davanti alle tante sfide della fede – specialmente quelle che riguardano la partecipazione delle giovani generazioni –, così come dinanzi ai problemi e alle fatiche della vita e guardando ai propri numeri, nella vastità di un Paese come questo, ci si potrebbe sentire “piccoli” e inadeguati. Eppure, se adottiamo lo sguardo speranzoso di Gesù, facciamo una scoperta sorprendente: il Vangelo dice che essere piccoli, poveri in spirito, è una beatitudine, la prima beatitudine (cfr Mt 5,3), perché la piccolezza ci consegna umilmente alla potenza di Dio e ci porta a non fondare l’agire ecclesiale sulle nostre capacità. Questa è una grazia! Lo ripeto: c’è una grazia nascosta nell’essere una Chiesa piccola, un piccolo gregge; invece che esibire le nostre forze, i nostri numeri, le nostre strutture e ogni altra forma di rilevanza umana, ci lasciamo guidare dal Signore e ci poniamo con umiltà accanto alle persone. Ricchi di niente e poveri di tutto, camminiamo con semplicità, vicini alle sorelle e ai fratelli del nostro popolo, portando nelle situazioni della vita la gioia del Vangelo. Come lievito nella pasta e come il più piccolo dei semi gettato nella terra (cfr Mt 13,31-33), abitiamo le vicende liete e tristi della società in cui viviamo, per servirla dal di dentro.

Essere piccoli ci ricorda che non siamo autosufficienti: che abbiamo bisogno di Dio, ma anche degli altri, di tutti gli altri: delle sorelle e dei fratelli di altre confessioni, di chi confessa credo religiosi diversi dal nostro, di tutti gli uomini e le donne animati da buona volontà. Ci accorgiamo, in spirito di umiltà, che solo insieme, nel dialogo e nell’accoglienza reciproca, possiamo davvero realizzare qualcosa di buono per tutti. È il compito peculiare della Chiesa in questo Paese: non essere un gruppo che si trascina nelle cose di sempre o si chiude nel suo guscio perché si sente piccolo, ma una comunità aperta al futuro di Dio, accesa dal fuoco dello Spirito: viva, speranzosa, disponibile alle sue novità e ai segni dei tempi, animata dalla logica evangelica del seme che porta frutto nell’amore umile e fecondo. In questo modo, la promessa di vita e di benedizione, che Dio Padre riversa su di noi per mezzo di Gesù, si fa strada non solo per noi, ma si realizza anche per gli altri.

E si realizza ogni volta che viviamo la fraternità tra di noi, che ci facciamo carico dei poveri e di chi è ferito dalla vita, ogni volta che nei rapporti umani e sociali testimoniamo la giustizia e la verità, dicendo “no” alla corruzione e alla falsità. Le comunità cristiane, in particolare il seminario, siano “scuole di sincerità”: non ambienti rigidi e formali, ma palestre di verità, di apertura e di condivisione. E nelle nostre comunità – ricordiamoci – siamo tutti discepoli del Signore: tutti discepoli, tutti essenziali, tutti di pari dignità. Non solo i Vescovi, i preti e i consacrati, ma ogni battezzato è stato immerso nella vita di Cristo e in Lui – come ci ricordava san Paolo – è chiamato per ricevere l’eredità e accogliere la promessa del Vangelo. Va dato dunque spazio ai laici: vi farà bene, perché le comunità non si irrigidiscano e non si clericalizzino. Una Chiesa sinodale, in cammino verso il futuro dello Spirito, è una Chiesa partecipativa e corresponsabile. È una Chiesa capace di uscire incontro al mondo perché allenata nella comunione. Mi ha colpito che in tutte le testimonianze ritornava una cosa: non solo padre Ruslan e le suore, ma anche Kirill, il papà di famiglia ci ha ricordato che nella Chiesa, a contatto con il Vangelo, impariamo a passare dall’egoismo all’amore incondizionato. È un’uscita da sé di cui ogni discepolo ha costante bisogno: è il bisogno di alimentare il dono ricevuto nel Battesimo, che ci spinge ovunque, nei nostri incontri ecclesiali, nelle famiglie, al lavoro, nella società, a diventare uomini e donne di comunione e di pace, che seminano il bene ovunque si trovano. L’apertura, la gioia e la condivisione sono i segni della Chiesa delle origini: e sono anche i segni della Chiesa del futuro. Sogniamo e, con la grazia di Dio, edifichiamo una Chiesa più abitata dalla letizia del Risorto, che respinga paure e lamentele, che non si lasci irrigidire da dogmatismi e moralismi.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo tutto questo ai grandi testimoni della fede di questo Paese. Vorrei ricordare in particolare il beato Bukowiński, un sacerdote che spese l’esistenza per curare gli ammalati, i bisognosi e gli emarginati, pagando sulla propria pelle la fedeltà al Vangelo con la prigione e i lavori forzati. Mi hanno detto che, ancora prima della beatificazione, sulla sua tomba c’erano sempre fiori freschi e una candela accesa. È la conferma che il Popolo di Dio sa riconoscere dove c’è la santità, dove c’è un pastore innamorato del Vangelo. Vorrei dirlo in particolare ai Vescovi e ai sacerdoti, questa è la nostra missione: non essere amministratori del sacro o gendarmi preoccupati di far rispettare le norme religiose, ma pastori vicini alla gente, icone vive del cuore compassionevole di Cristo. Ricordo anche i martiri greco-cattolici, il Vescovo Mons. Budka, il sacerdote don Zarizky e Gertrude Detzel, di cui si è aperto il processo di beatificazione. Come ci ha detto la signora Miroslava: hanno portato l’amore di Cristo nel mondo. Voi siete la loro eredità: siate promessa di nuova santità!

Vi sono vicino e vi incoraggio: vivete con gioia questa eredità e testimoniatela con generosità, perché quanti incontrate possano percepire che c’è una promessa di speranza rivolta anche a loro. Vi accompagno con la preghiera; e ora ci affidiamo in modo particolare al cuore di Maria Santissima, che qui venerate in modo speciale come Regina della pace. Ho letto di un bel segno materno accaduto in tempi difficili: mentre tante persone venivano deportate ed erano costrette alla fame e al freddo, ella, Madre tenera e premurosa, ascoltò la preghiera che i suoi figli le rivolgevano. In uno degli inverni più rigidi, rapidamente la neve si sciolse, facendo emergere un lago con molti pesci, che sfamarono tante persone affamate. Che la Madonna sciolga il freddo dei cuori, infonda nelle nostre comunità un rinnovato calore fraterno, ci doni speranza ed entusiasmo nuovi per il Vangelo! Io con affetto vi benedico e vi ringrazio. E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

[01368-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères Évêques, chers prêtres et diacres, chers consacrés, séminaristes et agents pastoraux, bonjour!

Je suis heureux d'être ici parmi vous, de saluer la Conférence des évêques d'Asie centrale et de rencontrer une Église composée de tant de visages, d'histoires et de traditions différentes, tous unis par l'unique foi en Jésus-Christ. Monseigneur Mumbiela Sierra, que je remercie pour ses mots de salutation, a dit: «La plupart d'entre nous sont des étrangers»; c'est vrai, car vous venez de lieux et de pays différents, mais c’est cela la beauté de l’Église: nous sommes une seule famille, dans laquelle personne n'est étranger. Je le répète: personne n'est étranger dans l'Église, nous sommes un seul Peuple saint de Dieu enrichi par de nombreux peuples! Et la force de notre peuple sacerdotal et saint réside vraiment dans le fait de faire de la diversité une richesse en partageant ce que nous sommes et ce que nous avons: notre petitesse est multipliée si nous la partageons.

Le passage de la Parole de Dieu que nous venons d'entendre l'affirme précisément: le mystère de Dieu – dit saint Paul – a été révélé à tous les peuples. Pas seulement au peuple élu ou à une élite religieuse, mais à tous. Tout homme a accès à Dieu, car – explique l'Apôtre – toutes les nations «sont associées au même héritage, au même corps, au partage de la même promesse, dans le Christ Jésus, par l’annonce de l’Évangile» (Ep 3, 6).

Je voudrais insister sur deux mots utilisés par Paul: héritage et promesse. D'une part, une Église hérite toujours d'une histoire, elle est toujours fille d'une première annonce de l'Évangile, d'un événement qui la précède, d'autres apôtres et évangélisateurs qui l'ont fondée sur la parole vivante de Jésus; d'autre part, elle est aussi la communauté de ceux qui ont vu la promesse de Dieu s'accomplir en Jésus et qui, en tant que fils de la résurrection, vivent dans l'espérance de l'accomplissement futur. Oui, nous sommes les destinataires de la gloire promise, qui guide notre chemin dans l’attente. Héritage et promesse: l'héritage du passé est notre mémoire, la promesse de l'Évangile est l'avenir de Dieu qui vient à notre rencontre. C'est sur cela que je voudrais m'attarder avec vous: une Église qui chemine dans l'histoire entre mémoire et avenir.

Tout d'abord, la mémoire. Si aujourd'hui, dans ce vaste pays multiculturel et multi-religieux, on peut voir des communautés chrétiennes dynamiques et un sens religieux qui traverse la vie de la population, c'est avant tout grâce à la riche histoire qui a précédé. Je pense à la diffusion du christianisme en Asie centrale, qui a eu lieu dès les premiers siècles, aux nombreux évangélisateurs et missionnaires qui se sont dépensés pour répandre la lumière de l'Évangile, fondant des communautés, des sanctuaires, des monastères et des lieux de culte. Il y a donc un héritage chrétien, œcuménique, qu'il faut honorer, et préserver, une transmission de la foi qui a eu pour protagonistes tant de gens simples, tant de grands-pères et de grands-mères, de pères et de mères. Sur le chemin spirituel et ecclésial nous ne devons pas perdre le souvenir de ceux qui nous ont annoncé la foi, car faire mémoire nous aide à développer l'esprit de contemplation pour les merveilles que Dieu a accomplies dans l'histoire, même au milieu des difficultés de la vie et des fragilités personnelles et communautaires.

Mais faisons attention: il ne s'agit pas de regarder en arrière avec nostalgie, en restant bloqué sur les choses du passé et en se laissant paralyser dans l'immobilisme: c'est la tentation du retour en arrière. Le regard chrétien, lorsqu'il se retourne pour faire mémoire, veut nous ouvrir à l'émerveillement devant le mystère de Dieu, pour remplir notre cœur de louange et de gratitude pour ce que le Seigneur a accompli. Un cœur reconnaissant, qui déborde de louanges, ne nourrit pas de regrets, mais accueille l'aujourd'hui qu'il vit comme une grâce. Et il veut se mettre en route, aller de l'avant, communiquer Jésus, comme les femmes et les disciples d'Emmaüs le jour de Pâques!

C'est cette mémoire vivante de Jésus, qui nous émerveille et que nous puisons surtout dans le Mémorial eucharistique, la force de l'amour qui nous pousse à avancer. C'est notre trésor. Parce que sans mémoire, il n'y a pas d’émerveillement. Si nous perdons la mémoire vivante, la foi, les dévotions et les activités pastorales risquent de faiblir, d'être comme des feux de paille, qui brûlent rapidement mais s'éteignent vite. Lorsque nous perdons la mémoire, la joie s'épuise. Nous perdons aussi la gratitude envers Dieu et nos frères, car nous tombons dans la tentation de penser que tout dépend de nous. Le Père Ruslan nous a rappelé une belle chose: être prêtre, c'est déjà beaucoup, car dans la vie sacerdotale on se rend compte que ce qui arrive n'est pas de notre fait, mais c’est un don de Dieu. Et Sœur Clara, parlant de sa vocation, a voulu tout d'abord remercier ceux qui lui ont annoncé l'Évangile. Merci pour ces témoignages, qui nous invitent à faire mémoire reconnaissante de l'héritage reçu.

Si nous regardons à l'intérieur de cet héritage, que voyons-nous? Cette foi n'a pas été transmise de génération en génération comme un ensemble de choses à comprendre et à faire, comme un code fixé une fois pour toutes. Non, la foi a été transmise par la vie, par le témoignage qui a apporté le feu de l'Évangile au cœur des situations pour illuminer, purifier et répandre la chaleur consolante de Jésus, la joie de son amour qui sauve, l'espérance de sa promesse. En faisant mémoire, nous apprenons alors que la foi grandit avec le témoignage. Le reste vient après. C'est un appel pour tous, et je voudrais le répéter à tous, fidèles laïcs, évêques, prêtres, diacres, hommes et femmes consacrés qui œuvrent de diverses manières à la vie pastorale des communautés: ne nous lassons pas de témoigner du cœur du salut, de la nouveauté de Jésus, de la nouveauté qu’est Jésus! La foi n'est pas un bel étalage de choses du passé – cela serait un musée –, mais un événement toujours actuel, la rencontre avec le Christ qui se produit ici et maintenant dans la vie! C’est pourquoi elle ne se communique pas seulement en répétant les choses de toujours, mais en transmettant la nouveauté de l'Évangile. Ainsi, la foi reste vivante et a un avenir. C’est pourquoi j’aime dire que la foi doit être transmise "en dialecte".

Voici donc le deuxième mot, l’avenir. La mémoire du passé ne nous enferme pas sur nous-mêmes, mais nous ouvre à la promesse de l'Évangile. Jésus nous a assurés qu’il sera avec nous pour toujours: il ne s'agit donc pas d'une promesse adressée uniquement à un avenir lointain, nous sommes appelés à accueillir aujourd'hui le renouveau que le Ressuscité apporte à la vie. Malgré nos faiblesses, il ne se lasse pas d'être avec nous, de construire avec nous l'avenir de son Église qui est la nôtre.

Bien sûr, face aux nombreux défis de la foi – en particulier ceux concernant la participation des jeunes générations –, ainsi que face aux problèmes et aux épreuves de la vie, et en regardant son nombre, dans l'immensité d'un pays comme celui-ci, on peut se sentir "petit" et insuffisant. Et pourtant, si nous adoptons le regard plein d'espérance de Jésus, nous faisons une découverte surprenante: l'Évangile dit qu'être petit, pauvre en esprit, est une béatitude, la première béatitude (cf. Mt 5,3), parce que la petitesse nous livre humblement à la puissance de Dieu et nous conduit à ne pas fonder notre agir ecclésial sur nos propres capacités. Et c’est une grâce! Je le répète: il y a une grâce cachée en étant une petite Église, un petit troupeau; au lieu de faire étalage de notre force, de notre nombre, de nos structures et de toute autre forme d’importance humaine, nous nous laissons conduire par le Seigneur et nous nous tenons humblement aux côtés des personnes. Riches en rien et pauvres en tout, nous marchons avec simplicité, proches des sœurs et des frères de notre peuple, apportant la joie de l'Évangile dans les situations de la vie. Comme le levain dans la pâte et comme la plus petite des graines jetées en terre (cf. Mt 13, 31-33), nous habitons les événements heureux et tristes de la société dans laquelle nous vivons, pour la servir de l'intérieur.

Être petit nous rappelle que nous ne sommes pas autosuffisants: que nous avons besoin de Dieu, mais aussi des autres, de tous les autres: des sœurs et des frères des autres confessions, de ceux qui professent d'autres croyances religieuses que les nôtres, de tous les hommes et femmes de bonne volonté. Nous sommes conscients, dans un esprit d'humilité, que ce n'est qu'ensemble, dans le dialogue et l'acceptation mutuelle, que nous pouvons vraiment réaliser quelque chose de bon pour tous. C’est le devoir particulier de l'Église dans ce pays: ne pas être un groupe qui s’éternise dans les mêmes vieilles choses ou qui s’enferme dans sa coquille parce qu'il se sent petit, mais une communauté ouverte à l'avenir de Dieu, enflammée par le feu de l'Esprit: vivante, pleine d'espérance, ouverte à ses nouveautés et aux signes des temps, habitée par la logique évangélique de la semence qui porte du fruit dans un amour humble et fécond. De cette manière, la promesse de vie et de bénédiction, que Dieu le Père déverse sur nous par l'intermédiaire de Jésus, s'accomplit non seulement pour nous, mais aussi pour les autres.

Et elle se réalise chaque fois que nous vivons la fraternité entre nous, lorsque nous prenons en charge les pauvres et les blessés de la vie, lorsque dans les relations humaines et sociales nous témoignons de la justice et de la vérité, en disant "non" à la corruption et au mensonge. Les communautés chrétiennes, et en particulier le séminaire, devraient être des "écoles de sincérité": pas des milieux rigides et formels, mais des gymnases de vérité, d'ouverture et de partage. Et dans nos communautés – rappelons-nous – nous sommes tous disciples du Seigneur: tous disciples, tous essentiels, tous d'égale dignité. Non seulement les évêques, les prêtres et les consacrés, mais toute personne baptisée a été immergée dans la vie du Christ et en Lui – comme nous l'a rappelé saint Paul – elle est appelée à recevoir l'héritage et à accueillir la promesse de l'Évangile. Il faut donc donner de l'espace aux laïcs: cela vous fera du bien, afin que les communautés ne deviennent pas rigides et cléricalisées. Une Église synodale, en route vers l’avenir de l'Esprit, est une Église participative et coresponsable. C'est une Église capable d'aller à la rencontre du monde parce qu'elle est formée dans la communion. Une chose m'a frappé dans tous les témoignages: non seulement le Père Ruslan et les sœurs, mais aussi Kirill le père de famille nous ont rappelé que dans l'Église, au contact de l'Évangile, nous apprenons à passer de l'égoïsme à l'amour inconditionnel. C'est une sortie de soi dont tout disciple a constamment besoin: c'est le besoin de nourrir le don reçu au Baptême, qui nous pousse partout, dans nos rassemblements ecclésiaux, dans les familles, au travail, dans la société, à devenir des hommes et femmes de communion et de paix, qui sèment le bien là où ils se trouvent. L'ouverture, la joie et le partage sont les signes de l'Église primitive: et ils sont aussi les signes de l'Église de l’avenir. Rêvons et, avec la grâce de Dieu, construisons une Église davantage habitée par la joie du Ressuscité, qui rejette les peurs et les plaintes, qui ne se laisse pas raidir par des dogmatismes et des moralismes.

Chers frères et sœurs, demandons tout cela aux grands témoins de la foi dans ce pays. Je voudrais rappeler en particulier le bienheureux Bukowiński, un prêtre qui a passé sa vie à s'occuper des malades, des nécessiteux et des marginaux, payant de sa vie sa fidélité à l'Évangile par la prison et les travaux forcés. On m'a dit que même avant sa béatification, il y avait toujours des fleurs fraîches et une bougie allumée sur sa tombe. C'est une confirmation que le peuple de Dieu sait reconnaitre là où il y a de la sainteté, là où il y a un pasteur amoureux de l'Évangile. Je tiens particulièrement à le dire aux évêques et aux prêtres, ainsi qu’aux séminaristes: telle est notre mission: ne pas être des administrateurs du sacré ou des gendarmes chargés de faire respecter les normes religieuses, mais des pasteurs proches des gens, des icônes vivantes du cœur compatissant du Christ. Je me souviens aussi des bienheureux martyrs grecs catholiques, l'évêque Mgr Budka, le prêtre P. Zaryczkyj et Gertrude Detzel, dont le procès de béatification est maintenant ouvert. Comme nous l'a dit Mme Miroslava: ils ont apporté l'amour du Christ dans le monde. Vous êtes leur héritage: soyez la promesse d'une nouvelle sainteté!

Je suis proche de vous et je vous encourage! vivez de cet héritage avec joie et témoignez-en généreusement, afin que ceux que vous rencontrez puissent percevoir qu'il existe une promesse d'espérance qui leur est adressée à eux aussi. Je vous accompagne dans la prière et maintenant nous nous confions de manière particulière au cœur de Marie Très Sainte, que vous vénérez de manière particulière comme Reine de la Paix. J'ai lu un beau signe maternel qui s'est produit en des temps difficiles: alors que tant de personnes étaient déportées et étaient forcées de mourir de faim et de froid, elle, une Mère tendre et attentionnée, écoutait les prières que ses enfants lui adressaient. Au cours de l'un des hivers les plus froids, la neige a rapidement fondu, donnant naissance à un lac riche en poissons, qui a nourri tant de personnes affamées. Que la Vierge fasse fondre la froideur des cœurs, insuffle à nos communautés une chaleur fraternelle renouvelée, nous donne une nouvelle espérance et un nouvel enthousiasme pour l'Évangile! Avec affection, je vous bénis et vous remercie. Et je vous demande, s'il vous plaît, de prier pour moi.

[01368-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear brother bishops, priests and deacons, consecrated men and women, seminarians and pastoral workers, good morning!

I am pleased to be with you, to greet the Bishops’ Conference of Central Asia and to encounter a Church of so many different faces, histories and traditions, all united by our one faith in Christ Jesus. I thank Bishop Mumbiela Sierra for his kind words of greeting, in which he stated that “most of us are foreigners”. That is true, since you come from various places and countries. Yet the beauty of the Church comes from the fact that we are one family, in which no one is a stranger. Let me repeat: in the Church, no one is a stranger! We are the one holy People of God, enriched by a multitude of peoples! The strength of this priestly and holy people lies precisely in its ability to draw richness from this diversity, by sharing with one another who we are and what we have. Indeed, our “littleness” is magnified when it is shared.

The biblical passage we just heard makes this very clear. Saint Paul tells us that the mystery of God has been revealed to all peoples. Not merely to the chosen people, or to a religious elite, but to everyone. Indeed, as the Apostle explains, each of us can now approach God, for all peoples “have become fellow heirs, members of the same body, and sharers in the promise in Christ Jesus through the Gospel” (Eph 3:6).

I would like to emphasize two words used by Paul: heirs and promise. On the one hand, each particular Church is heir to a prior history. It is always born of an initial proclamation of the Gospel, of a prior event, of the apostles and evangelizers who established it upon the living word of Jesus. On the other hand, every Church is also the community of those who have seen God’s promise fulfilled in Jesus and who, as children of the resurrection, live in the hope of future fulfilment. We are destined for the promised glory that even now suffuses our journey with hope and expectation. Heirs and promise. The past we have inherited is our memory, and the promise of the Gospel is the future of God, who comes to meet us. This is what I would like to reflect on together with you: a Church that journeys through history between memory and future.

First, memory. If in this vast, multicultural and multi-religious country, we today see vibrant Christian communities and a religious sense coursing through the lives of its people, this is due above all to the rich history that preceded you. I think of the spread of Christianity in Central Asia, which had already begun in the first centuries, of the many evangelizers and missionaries who spent their lives spreading the light of the Gospel, founding communities, shrines, monasteries and places of worship. We need to honour and preserve this Christian and ecumenical heritage, this passing on of the faith, that took place thanks to many ordinary people, to so many grandparents, fathers and mothers. On our own spiritual and ecclesial journey, we should always remember those who first proclaimed the faith to us. Indeed, this act of remembrance inspires us to contemplate the wonders that God has worked in history, even amid life’s hardships and our own personal and communal limitations.

Yet we need to be attentive. It is not about looking back with nostalgia, getting stuck in the past and letting ourselves be paralyzed and immobile. When we do that, we are tempted to take a step backwards. Instead, when Christians look back and remember the past, they marvel all the more at the mystery of God, their hearts filled with praise and gratitude for what the Lord has accomplished. Indeed, grateful hearts overflowing with praise harbour no regrets, but welcome each day as a grace. They are eager to set out, to move forwards, to spread the word about Jesus, like the women and the disciples of Emmaus on Easter day!

The living and awe-inspiring memory of Jesus, that we draw upon above all in the Eucharist, is the power of a love that impels us. It is our treasure. Without memory, we lack wonder. When we lose that living memory, our faith, our devotions and our pastoral activities risk dying slowly, disappearing like a flash in the pan, which burns bright but then quickly fades. When we lose our memory, joy disappears. Our gratitude to God and to our brothers and sisters also fades, because we fall into the temptation of thinking that everything depends on us. Father Ruslan reminded us of something important: that being a priest is already something great, because in the priestly life we realize that what takes place is not our work, but comes as a gift from God. And Sister Clara, speaking about her vocation, first of all wanted to thank those who shared the Gospel with her. Thank you for these testimonies, which invite us to remember with gratitude what we have inherited.

If we look more closely at this inheritance, what do we see? That the faith was not passed down from generation to generation as a set of ideas to be understood and followed, as a fixed and timeless code. No, our faith was passed on through life, though witnesses who shed the light of the Gospel on different situations in order to illumine and purify them, and to spread the consoling warmth of Jesus, the joy of his saving love and the hope of his promise. By remembering, then, we learn that faith grows through witness. Everything else comes later. This is a call that is addressed to everyone. I want to repeat this: to everyone, to the lay faithful, bishops, priests, deacons, and the consecrated men and women working in various ways in the pastoral life of our communities. May we never grow weary of bearing witness to the very heart of salvation, to the newness of Jesus, to the newness that is Jesus! Faith is not a lovely exhibition of artefacts from a distant past or a museum, but an ever-present event, an encounter with Christ that takes place in the here and now of our lives. So we cannot pass it on by simply repeating the same old things, but by communicating the newness of the Gospel. In this way, faith remains alive and has a future. As I like to say, faith is transmitted through the “mother tongue”.

We thus come to the second word: future. Remembering the past does not make us close in on ourselves; it opens us up to the promise of the Gospel. Jesus assured us that he would remain with us always, so his is not merely a promise about the future. We are called today to embrace the renewal that the risen Jesus is bringing about in our lives. Despite our weaknesses, he never tires of being with us, of building together with us the future of his and our Church.

Naturally, in facing the many challenges to the faith – I think especially of those involving the participation of young people in the life of the Church, the problems and difficulties of life, and the limited numbers of those practising their faith in a vast country like this –, we may well feel “little” and inadequate. Yet, if we see things with the hope-filled gaze of Jesus, we make a surprising discovery: the Gospel says that being “little”, poor in spirit, is a blessing, a beatitude, and indeed the first of the beatitudes (cf. Mt 5:3). For once we acknowledge our littleness, we can humbly hand ourselves over to the power of God, who teaches us not to base our ecclesial activity on our own abilities. This is a grace! I repeat: there is a hidden grace in being a small Church, a little flock, for instead of showing off our strengths, our numbers, our structures and other things that are humanly important, we can let ourselves be guided by the Lord and humbly draw close to others. Rich in nothing and poor in everything, let us walk with simplicity alongside our sisters and brothers, bringing the joy of the Gospel into the situations of everyday life. Like the leaven in the dough and like the smallest of seeds sown in the earth (cf. Mt 13:31-33), may we immerse ourselves in the joyful and sorrowful events of the society in which we live, in order to serve it from within.

Being little also reminds us that we are not self-sufficient: we need God. We also need others, all others: our Christian sisters and brothers of other confessions, those who hold other religious beliefs than our own, all men and women of good will. May we realize, in a spirit of humility, that only together, in dialogue and mutual acceptance, can we truly achieve something good for the benefit of all. That is the special task of the Church in this country: not to be a group bogged down in the same old way of doing things, or withdrawn into its shell since it feels small, but a community open to God’s future, afire with his Spirit. A community that is alive, filled with hope, open to the newness of the Spirit and to the signs of the times, inspired by the Gospel’s example of the little seed that grows and bears fruit in humble and creative love. For in this way, the promise of life and blessing that God the Father pours out on us through Jesus not only grows in our lives, but also comes to fulfilment in the lives of others.

This happens whenever we live in fraternity with one another, whenever we care for the poor and those who suffer, whenever we bear witness to justice and truth in our individual and social relationships, rejecting corruption and falsehood. Christian communities, and seminaries in particular, should be “schools of sincerity”, not places of rigidity and formality, but training grounds in truth, openness and sharing. Let us remember that in our communities we are all disciples of the Lord. We are all disciples: each of us is essential, and all of equal dignity. Not just bishops, priests and consecrated persons, but each of the baptized. We have been immersed in the life of Christ and, as Saint Paul reminded us, each is called to inherit and embrace the promise of the Gospel. We must make room for the laity, then, and this is a good thing, lest our communities become rigid or clerical. A synodal Church, journeying towards the future of the Spirit, is a Church that embraces participation and shared responsibility. A Church that, formed in communion, can go forth to encounter the world. I was struck by a recurring theme in all the testimonies we heard. Kirill, the father of a family, as well as Father Ruslan and the Sisters reminded us that, in the Church, shaped by the Gospel, we learn to pass from selfishness to unconditional love. This means going out of ourselves. Each of us constantly needs to do that. All of us need to nurture the gift we received at our Baptism. That gift inspires us, wherever we are – in our ecclesial meetings, in families, at work, in society – to become men and women of communion and of peace, sowing seeds of goodness wherever we go. Openness, joy and sharing are signs of the nascent Church, and of the Church of tomorrow. Let us dream and, with God’s grace, work for a Church increasingly filled with the joy of the risen Lord, fearless and uncomplaining, rejecting rigidity, dogmatism and moralizing.

Dear brothers and sisters, may all this come about through the intercession of this country’s great witnesses to the faith. Here, I think of Blessed Bukowiński, a priest who spent his life caring for the sick, the outcast and those in need, and paid for fidelity to the Gospel with imprisonment and hard labour. I am told that even before his beatification there were always fresh flowers and a lighted candle on his tomb. This is a confirmation that the People of God can recognize holiness, and a pastor in love with the Gospel. Here, I would say a special word to bishops, priests and seminarians: our mission is not to be administrators of the sacred or enforcers of religious rules, but pastors close to our people, living icons of the compassionate heart of Christ. I would recall too the blessed Greek-Catholic martyrs – Bishop Budka, Father Zaryczkyj, and Gertrude Detzel – whose beatification process has now begun. As Miroslava told us, they brought the love of Christ to the world. You are their heirs, so be the promise of a new flowering of sanctity!

Please know that I am close to you. I encourage you to embrace your spiritual inheritance with joy and to bear generous witness to it, so that all whom you meet may realize that there is a promise of hope meant for them as well. I accompany all of you with my prayers. And now, let us commend ourselves in a particular way to the Heart of Mary Most Holy, whom you greatly venerate as Queen of Peace. I have learned of a beautiful sign of her maternal love that took place at a time of hardship when many people were deported and others forced to starve and to freeze. As a tender and caring Mother, she listened to the prayers that her children offered to her. In the midst of a bitterly cold winter, the snow quickly melted to reveal a lake full of fish, which fed many famished people. May Our Lady similarly melt cold hearts, fill our communities with a renewed fraternal warmth, and grant us new hope and enthusiasm for the Gospel! I thank each of you and with great affection I give you my blessing. And I ask you, please, to pray for me.

[01368-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Bischöfe, Priester und Diakone, liebe Ordensleute, Seminaristen und pastorale Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter, guten Tag!

Ich freue mich, hier bei euch zu sein, die Zentralasiatische Bischofskonferenz zu begrüßen und einer Kirche zu begegnen, die aus so vielen verschiedenen Gesichtern, Geschichten und Traditionen besteht, die alle durch den einen Glauben an Jesus Christus vereint sind. Bischof Mumbiela Sierra, dem ich für sein Grußwort danke, sagte: »Die meisten von uns sind Ausländer«; das stimmt, denn ihr kommt aus verschiedenen Orten und Ländern, aber das Schöne an der Kirche ist: Wir sind eine einzige Familie, in der niemand ein Fremder ist. Ich wiederhole: Niemand ist ein Fremder in der Kirche, wir sind ein einziges heiliges Volk Gottes, das von vielen Völkern bereichert wird! Und die Stärke unseres priesterlichen und heiligen Volkes liegt genau darin, aus der Vielfalt einen Reichtum zu machen, indem wir teilen, was wir sind und was wir haben: das Geringe, das wir haben und sind, vervielfacht sich, wenn wir es teilen.

Der Abschnitt des Wortes Gottes, den wir gehört haben, bestätigt genau das: Das Geheimnis Gottes – sagt der heilige Paulus – ist allen Völkern offenbart worden. Nicht nur dem auserwählten Volk oder einer religiösen Elite, sondern allen. Jeder Mensch hat Zugang zu Gott, denn – so erklärt der Apostel – alle Völker sind Miterben, gehören zu demselben Leib und haben mit teil an der Verheißung in Christus Jesus durch das Evangelium (vgl. Eph 3,6).

Ich möchte zwei Worte hervorheben, die Paulus verwendet: Erbe und Verheißung. Einerseits erbt eine Kirche immer eine Geschichte, sie ist immer Tochter einer ersten Verkündigung des Evangeliums, eines ihr vorausgehenden Ereignisses, anderer Apostel und Verkündiger des Evangeliums, die sie auf das lebendige Wort Jesu gegründet haben; andererseits ist sie auch die Gemeinschaft derer, die Gottes Verheißung in Jesus erfüllt gesehen haben und als Kinder der Auferstehung in der Hoffnung auf die zukünftige Erfüllung leben. Ja, wir sind Adressaten der verheißenen Herrlichkeit, die unsere Reise mit Erwartung belebt. Erbe und Verheißung: Das Erbe der Vergangenheit ist unsere Erinnerung, die Verheißung des Evangeliums ist die Zukunft Gottes, der uns entgegenkommt. Das ist es, worauf ich mit euch eingehen möchte: eine Kirche, die in der Geschichte unterwegs ist, zwischen Erinnerung und Zukunft.

Zuerst die Erinnerung. Wenn wir heute in diesem großen, multikulturellen und multireligiösen Land lebendige christliche Gemeinden und einen religiösen Geist finden, der sich durch das Leben der Bevölkerung zieht, dann ist das vor allem der reichen Geschichte zu verdanken, die euch vorausging. Ich denke an die Ausbreitung des Christentums in Zentralasien, die bereits in den allerersten Jahrhunderten stattfand, an die vielen Verkünder des Evangeliums und die Missionare, die alles gegeben haben, um das Licht des Evangeliums zu verbreiten indem sie Gemeinschaften, Heiligtümer, Klöster und Gotteshäuser gründeten. Es gibt also ein christliches, ökumenisches Erbe, das geehrt und bewahrt werden muss, eine Glaubensweitergabe, bei der auch so viele einfache Menschen, so viele Großväter und Großmütter, Väter und Mütter eine wichtige Rolle gespielt haben. Auf dem geistlichen und kirchlichen Weg dürfen wir die Erinnerung an diejenigen nicht verlieren, die uns den Glauben verkündet haben, denn das Erinnern hilft uns, einen Geist der Kontemplation zu entwickeln, der die Wunder wahrnimmt, die Gott in der Geschichte gewirkt hat, selbst inmitten der Nöte des Lebens und der persönlichen und gemeinschaftlichen Schwächen.

Aber seien wir vorsichtig: Es geht nicht darum, nostalgisch zurückzublicken, an den Dingen der Vergangenheit festzuhalten und uns in Unbeweglichkeit lähmen zu lassen. Das ist die Versuchung der Rückwärtsgewandtheit. Der christliche Blick will uns zum Staunen vor dem Geheimnis Gottes anregen, wenn er sich der Erinnerung zuwendet, um unsere Herzen mit Lob und Dankbarkeit für das zu erfüllen, was der Herr vollbracht hat. Ein dankbares Herz, das vor Lob überfließt, nährt kein Bedauern, sondern nimmt das Heute an, das es als Gnade lebt. Und es will sich auf den Weg machen, weitergehen und Jesus verkündigen, wie die Frauen und Jünger von Emmaus am Ostertag!

Es ist diese lebendige Erinnerung an Jesus, die uns mit Staunen erfüllt und die wir besonders aus dem eucharistischen Gedenken beziehen, die Kraft der Liebe, die uns antreibt. Sie ist unser Schatz. Deshalb gibt es ohne Erinnerung kein Staunen. Wenn wir die lebendige Erinnerung verlieren, besteht die Gefahr, dass Glaube, Frömmigkeit und pastorale Aktivitäten schwinden, dass sie wie Strohfeuer sind, die zwar schnell brennen, aber bald wieder erlöschen. Wenn wir unsere Erinnerung verlieren, erschöpft sich die Freude. Auch die Dankbarkeit gegenüber Gott und unseren Brüdern und Schwestern geht verloren, weil wir der Versuchung erliegen, zu denken, dass alles von uns abhängt. Pater Ruslan hat uns an eine schöne Sache erinnert: dass es schon viel ist, Priester zu sein, weil man im priesterlichen Leben merkt, dass das, was passiert, nicht unser eigenes Werk, sondern Geschenk Gottes ist. Und Schwester Clara, die über ihre Berufung sprach, hat vor allem denen danken wollen, die ihr das Evangelium verkündet haben. Danke für diese Zeugnisse, die uns einladen, uns dankbar an das empfangene Erbe zu erinnern.

Wenn wir in dieses Erbe hineinblicken, was sehen wir dann? Dass der Glaube nicht von Generation zu Generation als eine Reihe von Dingen, die man verstehen und tun muss, weitergegeben wurde, wie ein ein für alle Mal festgelegter Kodex. Nein, der Glaube ist durch das Leben weitergegeben worden, durch das Zeugnis, das das Feuer des Evangeliums mitten in die Verhältnisse hineinbrachte, um zu erleuchten, zu läutern und die tröstliche Wärme Jesu zu verbreiten, die Freude über seine rettende Liebe, die Hoffnung auf seine Verheißung. Indem wir uns erinnern, lernen wir also, dass der Glaube mit dem Zeugnis wächst. Der Rest kommt später. Dies ist ein Aufruf an alle, und ich möchte ihn allen Laien, Bischöfen, Priestern, Diakonen, Ordensmännern und -frauen wiederholen, die auf unterschiedliche Weise im pastoralen Leben der Gemeinden arbeiten: Lasst uns nicht müde werden, das Herzstück der Erlösung zu bezeugen, die Neuheit Jesu, die Neuheit, die Jesus ist! Der Glaube ist keine schöne Ausstellung von Dingen aus der Vergangenheit – dies wäre ein Museum –, sondern ein immer gegenwärtiges Ereignis, die Begegnung mit Christus, die hier und jetzt im Leben stattfindet! Deshalb kommuniziert man nicht bloß durch das Wiederholen der immergleichen Dinge, sondern durch das Weitergeben der Neuheit des Evangeliums. So bleibt der Glaube lebendig und hat Zukunft. Deshalb sage ich gern, dass der Glaube „in der eigenen Mundart“ weitergegeben werden soll.

Kommen wir nun zum zweiten Wort: Zukunft. Die Erinnerung an die Vergangenheit schließt uns nicht in uns selbst ein, sondern öffnet uns für die Verheißung des Evangeliums. Jesus hat uns versichert, dass er immer bei uns bleibt: Es handelt sich also nicht um ein Versprechen, das nur an eine ferne Zukunft gerichtet ist, sondern wir sind aufgerufen, heute die Erneuerung anzunehmen, die der Auferstandene im Leben vorantreibt. Trotz unserer Schwächen wird er nicht müde, bei uns zu sein und die Zukunft seiner und unserer Kirche gemeinsam mit uns aufzubauen.

Sicher, angesichts der vielen Herausforderungen des Glaubens – vor allem was die Teilnahme der jüngeren Generationen angeht – sowie angesichts der Probleme und Mühen des Lebens und beim Schauen auf die eigene Anzahl könnte man sich in der Weite eines Landes wie diesem „klein“ und unzureichend fühlen. Und doch machen wir eine überraschende Entdeckung, wenn wir den hoffnungsvollen Blick Jesu einnehmen: Das Evangelium sagt, dass es eine Seligkeit ist, klein und arm im Geiste zu sein, die erste Seligkeit (vgl. Mt 5,3), denn die Kleinheit überantwortet uns demütig der Macht Gottes und bringt uns dazu, unser kirchliches Handeln nicht auf unsere eigenen Fähigkeiten zu gründen. Und das ist eine Gnade! Ich wiederhole: Es liegt eine verborgene Gnade darin, eine kleine Kirche, eine kleine Herde zu sein; statt unsere Stärke, unsere Anzahl, unsere Strukturen und jede andere Form von menschlicher Relevanz zur Schau zu stellen, lassen wir uns vom Herrn führen und stellen uns demütig an die Seite der Menschen. Reich an nichts und arm an allem, gehen wir in Einfachheit, den Schwestern und Brüdern unseres Volkes nahe, und tragen die Freude des Evangeliums in die Lebenssituationen hinein. Wie die Hefe im Teig und wie das kleinste in die Erde geworfene Samenkorn (vgl. Mt 13,31-33) bewohnen wir die glücklichen und traurigen Ereignisse der Gesellschaft, in der wir leben, um ihr von innen heraus zu dienen.

Klein zu sein erinnert uns daran, dass wir nicht autark sind: dass wir Gott brauchen, aber auch die anderen, alle anderen: die Schwestern und Brüder der anderen Konfessionen, diejenigen, die sich zu anderen religiösen Überzeugungen als unserer eigenen bekennen, alle Männer und Frauen guten Willens. Wir sind uns im Geiste der Demut bewusst, dass wir nur gemeinsam, im Dialog und in gegenseitiger Annahme, wirklich etwas Gutes für alle erreichen können. Das ist die besondere Aufgabe der Kirche in diesem Land: keine Gruppe zu sein, die sich mit den immergleichen Dingen herumschlägt oder sich in ihrem Gehäuse verschließt, weil sie sich klein fühlt, sondern eine Gemeinschaft, die offen ist für Gottes Zukunft, die vom Feuer des Geistes entzündet ist: lebendig, hoffnungsvoll, verfügbar für seine Neuheiten und für die Zeichen der Zeit, beseelt von der evangeliumsgemäßen Logik des Samenkorns, das in demütiger und fruchtbarer Liebe Früchte bringt. Auf diese Weise bricht sich die Lebens- und Segensverheißung, die Gott Vater durch Jesus über uns ausgießt, nicht nur für uns Bahn, sondern verwirklicht sich auch für andere.

Und sie verwirklicht sich jedes Mal, wenn wir untereinander Geschwisterlichkeit leben, wenn wir uns der Armen und der vom Leben Verwundeten annehmen, jedes Mal, wenn wir in menschlichen und sozialen Beziehungen Zeugnis für Gerechtigkeit und Wahrheit ablegen und „Nein“ zu Korruption und Falschheit sagen. Die christlichen Gemeinschaften, insbesondere das Priesterseminar, sollen „Schulen der Aufrichtigkeit“ sein: keine starren und formalen Umgebungen, sondern Fitnessstudios der Wahrheit, der Offenheit und des Miteinanderteilens. Und in unseren Gemeinschaften – lasst uns daran denken – sind wir alle Jünger des Herrn: alle Jünger, alle wesentlich, alle von gleicher Würde. Nicht nur Bischöfe, Priester und Ordensleute, sondern jeder Getaufte ist in das Leben Christi eingetaucht worden und in ihm – wie uns der heilige Paulus erinnert hat – dazu berufen, das Erbe zu empfangen und die Verheißung des Evangeliums anzunehmen. Deshalb muss den Laien Raum gegeben werden: Das wird euch guttun, damit die Gemeinden nicht erstarren und sich nicht klerikalisieren. Eine synodale Kirche, auf dem Weg in die Zukunft des Geistes, ist eine Kirche der Teilhabe, der Mitverantwortung. Es ist eine Kirche, die fähig ist, hinauszugehen und auf die Welt zuzugehen, weil sie in Gemeinschaftlichkeit geübt ist. Mich hat beeindruckt, dass eine Sache in all den Zeugnissen vorkam: Nicht nur Pater Ruslan und die Schwestern, sondern auch Kirill, der Familienvater, erinnerte uns daran, dass wir in der Kirche, im Kontakt mit dem Evangelium, lernen, vom Egoismus zu bedingungsloser Liebe überzugehen. Es ist ein Herausgehen aus sich selbst, dessen jeder Jünger stets bedarf: Es ist das Erfordernis, die in der Taufe empfangene Gabe zu nähren, das uns überall in unseren kirchlichen Begegnungen, in den Familien, bei der Arbeit und in der Gesellschaft antreibt, Männer und Frauen des Miteinanders und des Friedens zu werden, die Gutes säen, wo immer sie sind. Offenheit, Freude und Miteinanderteilen sind die Zeichen der Urkirche und sie sind auch die Zeichen der Kirche der Zukunft. Lasst uns eine Kirche erträumen und mit Gottes Gnade aufbauen, die mehr von der Freude des Auferstandenen erfüllt ist, die Ängste und Klagen zurückweist, die sich nicht von Dogmatismus und Moralismus verhärten lässt.

Liebe Brüder und Schwestern, erbitten wir all dies von den großen Glaubenszeugen dieses Landes. Ich möchte besonders an den seligen Bukowiński erinnern, einen Priester, der sein Leben dafür hingab, sich um die Kranken, Bedürftigen und Ausgegrenzten zu kümmern und der seine Treue zum Evangelium mit Gefängnis und Zwangsarbeit bezahlte. Man hat mir erzählt, dass schon vor seiner Seligsprechung immer frische Blumen und eine brennende Kerze auf seinem Grab standen. Das ist eine Bestätigung dafür, dass das Volk Gottes erkennen kann, wo es Heiligkeit gibt, wo es einen Hirten gibt, der in das Evangelium verliebt ist. Ich möchte das vor allem den Bischöfen, den Priestern und auch den Seminaristen sagen, das ist unsere Aufgabe: nicht Verwalter des Heiligen oder Gendarmen zu sein, die sich um die Durchsetzung religiöser Normen sorgen, sondern Hirten, die den Menschen nahe sind, lebendige Abbilder des barmherzigen Herzens Christi. Ich denke auch an die seligen griechisch-katholischen Märtyrer, Bischof Budka, den Priester Zaryczkyj und Gertrude Detzel, deren Seligsprechungsprozess jetzt eröffnet ist. Wie uns Frau Miroslava sagte: Sie trugen die Liebe Christi in die Welt. Ihr seid ihr Vermächtnis: Seid die Verheißung einer neuen Heiligkeit!

Ich bin euch nahe und ich ermutige euch: Lebt dieses Vermächtnis mit Freude und bezeugt es großherzig, damit die Menschen, denen ihr begegnet, erkennen, dass es ein Hoffnungsversprechen gibt, das auch an sie gerichtet ist. Ich begleite euch mit dem Gebet und jetzt vertrauen wir uns in besonderer Weise dem Herzen der seligen Jungfrau Maria an, die ihr in besonderer Weise als Königin des Friedens verehrt. Ich habe von einem schönen mütterlichen Zeichen gelesen, das sich in schwierigen Zeiten ereignet hat: Als so viele Menschen deportiert wurden und hungern und frieren mussten, erhörte sie als liebevolle und fürsorgliche Mutter das Gebet, das ihre Kinder an sie richteten. In einem der kältesten Winter schmolz der Schnee schnell und ließ einen See mit vielen Fischen zutage treten, die viele hungrige Menschen sättigten. Möge die Gottesmutter die Kälte der Herzen aufschmelzen, unsere Gemeinschaften mit neuer geschwisterlicher Wärme erfüllen und uns neue Hoffnung und Begeisterung für das Evangelium schenken! Ich segne euch von Herzen und danke euch. Und ich bitte euch, für mich zu beten.

[01368-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos obispos, sacerdotes y diáconos,

queridos consagrados y consagradas,

seminaristas y agentes de pastoral,

¡buenos días!

Estoy contento de estar aquí entre ustedes, de saludar a la Conferencia Episcopal de Asia Central y de encontrar una Iglesia compuesta por tantos rostros, historias y tradiciones diferentes, todas unidas por la única fe en Cristo Jesús. Agradezco las palabras de Mons. Mumbiela Sierra, que en el saludo comentó: «La mayor parte de nosotros somos extranjeros»; es verdad, porque ustedes provienen de lugares y países diferentes, sin embargo, la belleza de la Iglesia es ésta, que somos una sola familia, en la cual nadie es extranjero. Lo repito: ninguno es extranjero en la Iglesia, ¡somos un solo Pueblo santo de Dios enriquecido por muchos pueblos! Y la fuerza de nuestro pueblo sacerdotal y santo está justamente en hacer de la diversidad una riqueza compartiendo lo que somos y lo que tenemos: nuestra pequeñez se multiplica si la compartimos.

El pasaje de la Palabra de Dios que hemos escuchado afirma justamente esto: el misterio de Dios —dice san Pablo— ha sido revelado a todos los pueblos. No sólo al pueblo elegido o a una élite de personas religiosas, sino a todos. Cada hombre puede acceder a Dios, porque —explica el apóstol— todos los pueblos «participan de una misma herencia, son miembros de un mismo Cuerpo y beneficiarios de la misma promesa en Cristo Jesús, por medio del Evangelio» (Ef 3,6).

Quisiera destacar dos palabras que usa Pablo: herencia y promesa. Por un lado, una Iglesia hereda siempre una historia, siempre es hija de un primer anuncio del Evangelio, de un evento que la precede, de otros apóstoles y evangelizadores que la establecieron sobre la palabra viva de Jesús; por otro lado, es también la comunidad de aquellos que han visto en Jesús el cumplimiento de la promesa de Dios y, como hijos de la resurrección, viven en la esperanza de la plenitud futura. Sí, somos destinatarios de la gloria prometida, que anima nuestro camino con esa esperanza. Herencia y promesa: la herencia del pasado es nuestra memoria, la promesa del Evangelio es el futuro de Dios que nos sale al encuentro. Quisiera detenerme con ustedes sobre esto: una Iglesia que camina en la historia entre memoria y futuro.

En primer lugar, la memoria. Si hoy en este vasto país, multicultural y multirreligioso, podemos ver comunidades cristianas vivas, así como un sentido religioso que atraviesa la vida de la población, es sobre todo gracias a la rica historia que los precede. Pienso en la difusión del cristianismo en Asia central, la cual ocurrió ya desde los primeros siglos; en tantos evangelizadores y misioneros que se desgastaron difundiendo la luz del Evangelio, fundando comunidades, santuarios, monasterios y lugares de culto. Por tanto, hay una herencia cristiana, ecuménica, que ha de ser honrada y custodiada, una transmisión de la fe que ha visto protagonistas y también tanta gente sencilla, tantos abuelos y abuelas, padres y madres. En el camino espiritual y eclesial no debemos perder de vista el recuerdo de cuantos nos anunciaron la fe, porque hacer memoria nos ayuda a desarrollar el espíritu de contemplación por las maravillas que Dios ha realizado en la historia, aun en medio de las fatigas de la vida y de las fragilidades personales y comunitarias.

Pero pongamos atención: no se trata de mirar hacia atrás con nostalgia, quedándonos estancados en las cosas del pasado y dejándonos paralizar en el inmovilismo. Esta es la tentación del “retroceso”. La mirada cristiana, cuando vuelve hacia atrás para hacer memoria, lo que quiere es abrirnos al asombro ante el misterio de Dios, para llenar nuestro corazón de alabanza y gratitud por cuanto ha hecho el Señor. Un corazón agradecido, que desborda de alabanza, que no alberga añoranzas, sino que acoge el presente que vive como gracia; y quiere ponerse en camino, ir hacia adelante, comunicar a Jesús, como las mujeres y los discípulos de Emaús el día de la Pascua.

Esta es la memoria viva de Jesús, que nos llena de asombro y a la que accedemos sobre todo por el Memorial eucarístico, la fuerza del amor que nos impulsa. Es nuestro tesoro. Por eso, sin memoria no hay asombro. Si perdemos la memoria viva, entonces la fe, las devociones y las actividades pastorales corren el riesgo de debilitarse, de ser como llamaradas, que se encienden rápidamente, pero se apagan enseguida. Cuando extraviamos la memoria, se agota la alegría. Desaparece la gratitud a Dios y a los hermanos, porque se cae en la tentación de pensar que todo depende de nosotros. El padre Ruslan nos ha recordado algo hermoso: que ser sacerdote ya es mucho, porque en la vida sacerdotal nos damos cuenta de que todo cuanto sucede no es obra nuestra, sino un don de Dios. Y sor Clara, hablando de su vocación, quiso ante todo agradecer a aquellos que le anunciaron el Evangelio. Gracias por estos testimonios, que nos invitan a hacer memoria agradecida de la herencia que hemos recibido.

Si profundizamos en esta herencia, ¿qué es lo que vemos? Que la fe no ha sido transmitida de generación en generación como un conjunto de cosas que hay que entender y hacer, como un código fijado de una vez para siempre. No, la fe se transmite con la vida, con el testimonio de quien ha llevado el fuego del Evangelio en medio de las situaciones para iluminarlas, para purificarlas y difundir el cálido consuelo de Jesús, así como la alegría de su amor que salva, la esperanza de su promesa. Haciendo memoria, entonces, aprendemos que la fe crece con el testimonio. El resto viene después. Esta es una llamada para todos y quisiera reafirmarlo a todos, fieles laicos, obispos, sacerdotes, diáconos, consagrados y consagradas que trabajan de diferentes maneras en la vida pastoral de las comunidades. No nos cansemos de dar testimonio de la esencia de la salvación, de la novedad de Jesús, de la novedad que es Jesús. La fe no es una hermosa exposición de cosas del pasado —esto sería un museo―, sino un evento siempre actual, el encuentro con Cristo que tiene lugar en nuestra vida, aquí y ahora. Por eso no se comunica con la sola repetición de las cosas de siempre, sino transmitiendo la novedad del Evangelio. De este modo, la fe permanece viva y tiene futuro. Por eso me gusta decir que la fe se transmite “en dialecto”.

He aquí entonces la segunda palabra, futuro. La memoria del pasado no nos encierra en nosotros mismos, sino que nos abre a la promesa del Evangelio. Jesús nos aseguró que estará siempre con nosotros. Por lo que no se trata de una promesa dirigida sólo a un futuro lejano, sino que estamos llamados a acoger hoy la renovación que el Resucitado lleva a cabo en la vida. A pesar de nuestras debilidades, Él no se cansa de estar con nosotros, de construir a nuestro lado el futuro de la Iglesia que es suya y nuestra.

Es cierto, delante de tantos retos de la fe —especialmente aquellos que tienen que ver con la participación de las generaciones jóvenes—, así como delante de los problemas y fatigas de la vida, mirando a los números, en la vastedad de un país como este, podríamos llegar a sentirnos “pequeños” e incapaces. Y, sin embargo, si adoptamos la mirada esperanzadora de Jesús, descubrimos algo sorprendente: el Evangelio dice que ser pequeños, pobres de espíritu, es una bienaventuranza, la primera bienaventuranza (cf. Mt 5,3), porque la pequeñez nos entrega humildemente al poder de Dios y nos lleva a no cimentar la acción eclesial en nuestras propias capacidades. ¡Y esta es una gracia! Lo repito: hay una gracia escondida al ser una Iglesia pequeña, un pequeño rebaño, en lugar de exhibir nuestras fortalezas, nuestros números, nuestras estructuras y cualquier otra forma de prestigio humano, nos dejamos guiar por el Señor y nos acercamos con humildad a las personas. Ricos en nada y pobres de todo, caminamos con sencillez, cercanos a las hermanas y a los hermanos de nuestro pueblo, llevando la alegría del Evangelio a las situaciones de la vida. Como levadura en la masa y como la más pequeña de las semillas arrojadas a la tierra (cf. Mt 13,31-33), vivimos los acontecimientos alegres y tristes de la sociedad en la que nos encontramos, para servirla desde dentro.

Ser pequeños nos recuerda que no somos autosuficientes, que necesitamos de Dios, pero también de los demás, de todos y cada uno: de las hermanas y hermanos de otras confesiones, de quien profesa un credo religioso diferente al nuestro, de todos los hombres y mujeres de buena voluntad. Nos damos cuenta, con un espíritu de humildad, que sólo juntos, en el diálogo y en la aceptación recíproca, podemos hacer algo verdaderamente bueno por todos. Es la tarea particular de la Iglesia en este país, no ser un grupo que se deja arrastrar por las cosas de siempre, o que se encierra en su caparazón porque se siente pequeña, sino una comunidad abierta al futuro de Dios, encendida por el fuego del Espíritu: viva, llena de esperanza, disponible a su novedad y a los signos de los tiempos, animada por la lógica evangélica de la semilla que da frutos de amor humilde y fecundo. De este modo, la promesa de vida y de bendición, que Dios Padre derrama sobre nosotros por medio de Jesús, se hace camino no sólo para nosotros, sino que se realiza también para los demás.

Y se realiza cada vez que vivimos la fraternidad entre nosotros, que atendemos a los pobres y a quienes están heridos por la vida, cada vez que en las relaciones humanas y sociales damos testimonio de la justicia y de la verdad, diciendo “no” a la corrupción y a la falsedad. Que las comunidades cristianas, en particular el seminario, sean “escuelas de sinceridad”; no ambientes rígidos y formales, sino gimnasios de la verdad, de la apertura y del intercambio. Y que en nuestras comunidades —recordémoslo— seamos todos discípulos del Señor: todos discípulos, todos esenciales, todos de igual dignidad. No sólo los obispos, los sacerdotes y los consagrados, sino todos los bautizados han sido sumergidos en la vida de Cristo y en Él —como nos recordaba san Pablo— están llamados a recibir la herencia y a acoger la promesa del Evangelio. De manera que se ha de brindar un espacio a los laicos. Les hará bien, para que las comunidades no se hagan rígidas y no se clericalicen. Una Iglesia sinodal, en camino hacia el futuro del Espíritu, es una Iglesia participativa y corresponsable. Es una Iglesia capaz de salir al encuentro del mundo porque está entrenada en la comunión. Me sorprendió que en todos los testimonios se decía continuamente una cosa: no sólo el padre Ruslan y las religiosas, sino también Kirill, el padre de familia, nos ha recordado que, en la Iglesia, en contacto con el Evangelio, aprendemos a pasar del egoísmo al amor incondicional. Es una salida de sí mismo, que todo discípulo necesita constantemente; es la necesidad de alimentar el don recibido en el Bautismo, que nos impulsa a que, en todo lugar —en nuestros encuentros eclesiales, en las familias, en el trabajo, en la sociedad— seamos hombres y mujeres de comunión y de paz, que siembran el bien allí donde se encuentren. La apertura, la alegría y el intercambio son los signos de la Iglesia de los orígenes, y son también los signos de la Iglesia del futuro. Soñemos y, con la gracia de Dios, edifiquemos una Iglesia que esté más llena de la alegría del Resucitado, que rechace los miedos y las quejas, que no se deje endurecer por dogmatismos ni moralismos.

Queridos hermanos y hermanas, pidamos todo esto a los grandes testigos de la fe de este país. Quisiera recordar, en particular, al beato Bukowiński, un sacerdote que gastó su existencia cuidando a los enfermos, a los necesitados y a los marginados, sufriendo en carne propia la fidelidad al Evangelio con la prisión y los trabajos forzados. Me han contado que, ya desde antes de la beatificación, siempre había sobre su tumba flores frescas y una vela encendida. Esto confirma que el Pueblo de Dios sabe reconocer dónde hay santidad, dónde hay un pastor enamorado del Evangelio. Quiero decirlo particularmente a los obispos y a los sacerdotes, y también a los seminaristas, esta es nuestra misión: no ser administradores de lo sagrado o gendarmes preocupados por hacer que se respeten las normas religiosas, sino pastores cercanos a la gente, imágenes vivas del corazón compasivo de Cristo. Recuerdo también a los beatos mártires greco-católicos, al obispo Mons. Budka, al sacerdote Zariczkyj y a Gertrude Detzel, cuyas causas de beatificación se han abierto. Como nos ha dicho la señora Miroslava, ellos llevaron el amor de Cristo al mundo. Ustedes son su herencia: ¡sean promesa de nueva santidad!

Estoy cercano a ustedes y los animo. Vivan con alegría esta herencia y den testimonio de ella con generosidad, para que todas las personas con las que se encuentren puedan percibir que también hay una promesa de esperanza dirigida a ellas. Los acompaño con la oración; y ahora nos encomendamos de manera particular al corazón de María Santísima, a quien veneran de modo especial como Reina de la paz. Leí sobre un bonito signo maternal que sucedió en tiempos difíciles: mientras tantas personas eran deportadas y se veían obligadas a pasar hambre y frío, ella, Madre tierna y cariñosa, escuchó las oraciones que sus hijos le dirigían. Durante uno de los inviernos más crudos, la nieve se derritió rápidamente, haciendo surgir un lago con muchos peces, que dieron de comer a muchas personas que morían de hambre. ¡Que la Virgen derrita el frío de los corazones, infunda en nuestras comunidades una renovada calidez fraterna y nos dé una nueva esperanza y un nuevo entusiasmo por el Evangelio! Yo, con afecto, los bendigo y les doy las gracias. Y les pido, por favor, que recen por mí.

[01368-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Amados irmãos bispos, sacerdotes e diáconos, caros consagrados e consagradas, seminaristas e agentes pastorais, bom dia!

Estou feliz por me encontrar aqui no vosso meio, saudar a Conferência Episcopal da Ásia Central e ver uma Igreja feita de muitos rostos, histórias e tradições diferentes, mas todos unidos por uma única fé em Cristo Jesus. D. Mumbiela Sierra, cujas palavras de saudação agradeço, disse: «Na maior parte, somos estrangeiros». É verdade, porque vindes de lugares e países diferentes, mas a beleza da Igreja está nisto: em sermos uma única família, na qual ninguém é estrangeiro. Repito: ninguém é estrangeiro na Igreja, somos um único Povo santo de Deus, rico de tantos povos! E a força do nosso povo sacerdotal e santo está precisamente em fazer da diversidade uma riqueza através da partilha daquilo que somos e temos; a nossa pequenez multiplica-se, se a partilharmos.

Afirma-o precisamente a passagem da Palavra de Deus escutada: o mistério de Deus – diz São Paulo – foi revelado a todos os povos; não só ao povo eleito ou a uma elite de pessoas religiosas, mas a todos. Todo o homem pode ter acesso a Deus, porque – como explica o Apóstolo – todos os povos «são admitidos à mesma herança, membros do mesmo corpo e participantes da mesma promessa, em Cristo Jesus, por meio do Evangelho» (Ef 3, 6).

Gostaria de sublinhar duas palavras usadas por Paulo: herança e promessa. Uma Igreja, por um lado, sempre herda uma história, é sempre filha dum primeiro anúncio do Evangelho, dum evento que a precede, doutros apóstolos e evangelizadores que a estabeleceram sobre a palavra viva de Jesus; por outro, é também a comunidade daqueles que viram cumprir-se em Jesus a promessa de Deus e, como filhos da ressurreição, vivem na esperança da sua realização futura. É verdade! Somos destinatários da glória prometida, que anima com a esperança o nosso caminho. Herança e promessa: a herança do passado é a nossa memória, a promessa do Evangelho é o futuro de Deus que vem ao nosso encontro. Gostaria de me deter nisto convosco: uma Igreja que caminha na história entre memória e futuro.

Em primeiro lugar, a memória. Se hoje neste vasto país, multicultural e multirreligioso, podemos ver comunidades cristãs vibrantes e um sentido religioso que permeia a vida da população, deve-se sobretudo à rica história que vos precedeu. Penso na difusão do cristianismo na Ásia central, que sucedeu já nos primeiros séculos, penso em tantos evangelizadores e missionários que se dedicaram a difundir a luz do Evangelho, fundando comunidades, santuários, mosteiros e lugares de culto. Existe, pois, uma herança cristã, ecuménica, que deve ser honrada e guardada, uma transmissão da fé que viu como protagonistas também muitas pessoas simples, tantos avôs e avós, pais e mães. No caminho espiritual e eclesial, não devemos perder a lembrança de quantos nos anunciaram a fé, porque fazer memória ajuda-nos a desenvolver o espírito de contemplação das maravilhas que Deus operou na história, mesmo no meio das fadigas da vida e das fragilidades pessoais e comunitárias.

Mas tenhamos cuidado! Não se trata de olhar para trás com nostalgia, ficando bloqueados nas coisas do passado e deixando-nos paralisar no imobilismo: esta é a tentação de retroceder. Quando se volta para fazer memória, o olhar cristão pretende abrir-nos à estupefação perante o mistério de Deus, enchendo o nosso coração de louvor e gratidão por tudo o que realizou o Senhor. Um coração agradecido, que transborda de louvor, não cultiva lamentos, mas acolhe como uma graça o hoje que vive. E quer pôr-se a caminho, ir para diante, comunicar Jesus, como as mulheres e os discípulos de Emaús no dia de Páscoa.

É esta memória viva de Jesus que nos enche de maravilha e nos faz tirar sobretudo do Memorial eucarístico a força de amor que nos impele. É o nosso tesouro. Por isso, sem memória, não há estupefação. Se perdemos a memória viva, então a fé, as devoções e as atividades pastorais correm o risco de esmorecer, sendo como fogos de palha que acendem imediatamente mas depressa se apagam. Quando perdemos a memória, esgota-se a alegria; e esmorece também a gratidão a Deus e aos irmãos, porque caímos na tentação de pensar que tudo depende de nós. O padre Ruslan lembrou-nos uma coisa boa: já é muito o ser padre, porque, na vida sacerdotal, apercebemo-nos de que não é obra nossa aquilo que acontece, mas dom de Deus. E a irmã Clara, ao falar da sua vocação, quis antes de tudo agradecer àqueles que lhe anunciaram o Evangelho. Obrigado por estes testemunhos, que nos convidam a fazer grata memória da herança recebida.

Se olharmos para esta herança, que vemos? Vemos que a fé não foi transmitida de geração em geração como um conjunto de coisas que se devem compreender e fazer, como um código fixo duma vez por todas. Não! A fé passou com a vida, com o testemunho que levou o fogo do Evangelho ao coração das situações para iluminar, purificar e difundir o calor consolante de Jesus, a alegria do seu amor que salva, a esperança da sua promessa. Assim, ao fazer memória, aprendemos que a fé cresce com o testemunho; o resto vem depois. Isto é um apelo para todos e quero reiterá-lo a todos, fiéis-leigos, bispos, sacerdotes, diáconos, consagrados e consagradas que trabalham de variados modos na vida pastoral das comunidades: não nos cansemos de testemunhar o coração da salvação, a novidade de Jesus, a novidade que é Jesus! A fé não é uma bela exposição de coisas do passado – isto seria um museu –, mas um evento sempre atual, o encontro com Cristo que acontece aqui e agora na vida. Por isso não se comunica apenas com a repetição das coisas de sempre, mas transmitindo a novidade do Evangelho. Assim a fé permanece viva e tem futuro; por isso gosto de dizer que a fé deve ser transmitida «em dialeto».

E vemos aparecer aqui a segunda palavra: futuro. A memória do passado não nos fecha em nós mesmos, mas abre-nos à promessa do Evangelho. Jesus garantiu-nos que estaria sempre connosco: por conseguinte não se trata duma promessa que aponta apenas para um futuro distante, mas somos chamados a acolher hoje a renovação que o Ressuscitado leva por diante na vida. Apesar das nossas fraquezas, Ele não Se cansa de estar connosco, construindo juntamente connosco o futuro da sua e nossa Igreja.

Com certeza, à vista de tantos desafios da fé – especialmente relativos à participação das jovens gerações –, bem como dos problemas e fadigas da vida e perante a leitura das estatísticas na vastidão dum país como este, poder-se-ia sentir «pequenos» e inadequados. Contudo, se adotarmos o olhar esperançoso de Jesus, faremos uma descoberta surpreendente: o Evangelho diz que ser pequeno, pobre em espírito, é uma bem-aventurança, a primeira bem-aventurança (cf. Mt 5, 3), porque a pequenez entrega-se, humildemente, ao poder de Deus e leva-nos a não apoiar a ação eclesial sobre as nossas capacidades. Isto é uma graça! Repito: há uma graça escondida no facto de se constituir uma pequena Igreja, um pequeno rebanho; em vez de exibir as nossas forças, os nossos números, as nossas estruturas e todas as outras formas de relevância humana, deixamo-nos guiar pelo Senhor e colocamo-nos, com humildade, ao lado das pessoas. Ricos de nada, pobres de tudo, caminhamos com simplicidade, próximo das irmãs e irmãos do nosso povo, levando às situações da vida a alegria do Evangelho. Como fermento na massa e como a menor das sementes lançadas à terra (cf. Mt 13, 31-33), vivemos os acontecimentos felizes e tristes da sociedade onde vivemos para a servir a partir de dentro.

Ser pequeno lembra-nos que não somos autossuficientes: que precisamos de Deus, mas também dos outros, de todos eles: das irmãs e irmãos doutras confissões, de quem professa um credo religioso diferente do nosso, de todos os homens e mulheres animados de boa vontade. Damo-nos conta, com espírito de humildade, de que só juntos, no diálogo e no acolhimento recíproco, se pode verdadeiramente realizar algo de bom para todos. É a tarefa peculiar da Igreja neste país: não um grupo que se arrasta nas coisas de sempre ou se fecha na própria concha porque se sente pequeno, mas uma comunidade aberta ao futuro de Deus, abrasada pelo fogo do Espírito: viva, esperançosa, disponível às novidades d’Ele e aos sinais dos tempos, animada pela lógica evangélica da semente que frutifica no amor humilde e fecundo. Deste modo, abre caminho não só para nós, mas realiza-se também para os outros, a promessa de vida e de bênção que Deus Pai derrama sobre nós por meio de Jesus.

E realiza-se sempre que vivemos a fraternidade entre nós, que cuidamos dos pobres e de quem está ferido na vida, sempre que testemunhamos a justiça e a verdade nas relações humanas e sociais, dizendo «não» à corrupção e à falsidade. Que as comunidades cristãs, em particular o Seminário, sejam «escolas de sinceridade»: não ambientes rígidos e formais, mas ginásios de treino para a verdade, a abertura e a partilha. E recordemo-nos de que, nas nossas comunidades, somos todos discípulos do Senhor: todos discípulos, todos essenciais, todos com igual dignidade. Não só os bispos, os sacerdotes e os consagrados, mas todos os batizados foram imersos na vida de Cristo e n'Ele – como nos recordava São Paulo – são chamados a receber a herança e acolher a promessa do Evangelho. Por isso deve-se dar espaço aos leigos: far-vos-á bem, para que as comunidades não se tornem rígidas nem se clericalizem. Uma Igreja sinodal, em caminho para o futuro do Espírito, é uma Igreja participativa, corresponsável. É uma Igreja capaz de sair ao encontro do mundo, porque treinada na comunhão. Surpreendeu-me que isto aparecesse em todos os testemunhos: não só o padre Ruslan e as irmãs, mas também Kirill, pai de família, lembraram-nos que na Igreja, em contacto com o Evangelho, aprendemos a passar do egoísmo ao amor incondicional. É a saída de si mesmo, de que todo o discípulo tem constante necessidade; precisa de alimentar o dom recebido no Batismo, que em todo o lado, nos nossos encontros eclesiais, nas famílias, no trabalho, na sociedade, nos impele a tornar-nos homens e mulheres de comunhão e de paz, que semeiam o bem onde quer que se encontrem. A abertura, a alegria e a partilha são os sinais da Igreja primitiva; mas são também os sinais da Igreja do futuro. Sonhemos e, com a graça de Deus, construamos uma Igreja mais habitada pela alegria do Ressuscitado, que rejeite medos e lamentos, que não se deixe endurecer por dogmatismos e moralismos.

Amados irmãos e irmãs, peçamos tudo isto às grandes testemunhas da fé deste país. Quero recordar em particular o Beato Bukowiński, sacerdote que gastou a sua existência a cuidar dos doentes, dos necessitados e dos marginalizados, pagando a fidelidade ao Evangelho na própria pele com a prisão e os trabalhos forçados. Disseram-me que, ainda antes da sua Beatificação, havia sempre flores frescas e uma vela acesa no seu túmulo. É a confirmação de que o povo de Deus sabe reconhecer onde existe a santidade, onde há um pastor apaixonado pelo Evangelho. Quero dizer de modo particular aos bispos e aos sacerdotes, mas também aos seminaristas, que a nossa missão não é ser administradores do sagrado ou polícias preocupados em fazer respeitar as normas religiosas, mas pastores próximos do povo, ícones vivos do coração compassivo de Cristo. Recordo também os Beatos mártires greco-católicos, o Bispo D. Budka, o padre Zaryczkyj e Gertrude Detzel, cujo processo de beatificação já começou. Eles, como nos disse a senhora Miroslava, trouxeram o amor de Cristo ao mundo. Vós sois a sua herança: sede promessa de novas santidades!

Estou unido a vós e vos encorajo: vivei com alegria esta herança e testemunhai-a com generosidade, para que quantos encontrardes, possam dar-se conta de que há uma promessa de esperança também para eles. Acompanho-vos com a oração e, agora, confiemo-nos de modo particular ao Coração de Maria Santíssima, que venerais de modo especial como Rainha da Paz. Li algures este admirável sinal materno, que aconteceu em tempos difíceis: enquanto muitas pessoas deportadas estavam condenadas a passar fome e frio, Ela, Mãe terna e carinhosa, escutou a prece que os seus filhos Lhe dirigiam. Num dos invernos mais rígidos, a neve derreteu-se rapidamente fazendo emergir um lago com muitos peixes, que saciaram tantas pessoas famintas. Que Nossa Senhora derreta o frio dos corações, infunda nas nossas comunidades um renovado calor fraterno e nos dê esperança e um novo entusiasmo pelo Evangelho! Com afeto, vos abençoo e agradeço. E peço-vos, por favor, que rezeis por mim.

[01368-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy bracia biskupi,

kapłani i diakoni,

drodzy konsekrowani i konsekrowane, seminarzyści

i pracownicy duszpasterscy,

dzień dobry!

Cieszę się, że jestem tu pośród was, że mogę pozdrowić Konferencję Episkopatu Azji Środkowej i spotkać Kościół zbudowany z tak wielu oblicz, historii i tradycji, a wszystkich zjednoczonych jedną wiarą w Jezusa Chrystusa. Biskup Mumbiela Sierra, któremu dziękuję za słowa pozdrowienia, powiedział: „Większość z nas jest cudzoziemcami”. To prawda, bo pochodzicie z różnych miejsc i krajów, ale piękno Kościoła polega na tym, że jesteśmy jedną rodziną, w której nikt nie jest cudzoziemcem. Powtarzam: nikt nie jest cudzoziemcem w Kościele, jesteśmy jednym świętym ludem Bożym, ubogaconym przez wiele narodów! A siła naszego ludu kapłańskiego i świętego leży właśnie w czynieniu z różnorodności bogactwa poprzez dzielenie się tym, czym jesteśmy i co mamy: nasza małość powiększa się, jeśli nią dzielimy się z innymi.

Fragment Słowa Bożego, który właśnie usłyszeliśmy, stwierdza właśnie to: tajemnica Boga, jak mówi św. Paweł, została objawiona wszystkim narodom. Nie tylko narodowi wybranemu czy jakieś elicie osób religijnych, ale wszystkim. Każdy człowiek może mieć dostęp do Boga, ponieważ – jak wyjaśnia Apostoł – wszystkie narody „już są współdziedzicami i współczłonkami Ciała, i współuczestnikami obietnicy w Chrystusie Jezusie przez Ewangelię” (Ef 3, 6).

Chciałbym podkreślić dwa słowa użyte przez Pawła: dziedzictwo i obietnica. Z jednej strony Kościół zawsze dziedziczy historię, jest zawsze dzieckiem pierwszego głoszenia Ewangelii, wydarzenia, które go poprzedza, innych apostołów i ewangelizatorów, którzy ustanowili go na żywym słowie Jezusa. Z drugiej strony jest on też wspólnotą tych, którzy widzieli wypełnienie się obietnicy Boga w Jezusie i jako dzieci zmartwychwstania żyją w nadziei na jej przyszłe wypełnienie się. Tak, jesteśmy adresatami obiecanej chwały, która za sprawą oczekiwania ożywia nasze pielgrzymowanie. Dziedzictwo i obietnica: dziedzictwo przeszłości to nasza pamięć, zaś obietnica Ewangelii – to przyszłość Boga, który wychodzi nam na spotkanie. Nad tym chciałbym się z wami zastanowić: Kościołem pielgrzymującym w dziejach między pamięcią a przyszłością.

Przede wszystkim pamięć. Jeśli dziś w tym rozległym, wielokulturowym i wieloreligijnym kraju widzimy żywe wspólnoty chrześcijańskie i zmysł religijny, przenikający życie ludności, to przede wszystkim dzięki bogatej historii, która was poprzedziła. Myślę o rozprzestrzenianiu się chrześcijaństwa w Azji Środkowej, które miało miejsce już w pierwszych wiekach, o wielu ewangelizatorach i misjonarzach, którzy poświęcili się szerzeniu światła Ewangelii, zakładaniu wspólnot, budowaniu sanktuariów, klasztorów i miejsc kultu. Istnieje zatem chrześcijańskie, ekumeniczne dziedzictwo, które należy czcić i którego należy strzec, przekaz wiary, w który czynnie angażował się także wielu ludzi prostych, wielu dziadków i babć, ojców i matek. W pielgrzymce duchowej i eklezjalnej nie wolno nam zatracić pamięci o tych, którzy głosili nam wiarę, ponieważ zachowywanie pamięci o nich pomaga nam rozwijać ducha kontemplacji cudów, jakich Bóg dokonał w historii, również pośród życiowych trudów i słabości osobistych i wspólnotowych.

Jednakże uważajmy: nie chodzi o to, by z nostalgią spoglądać wstecz, tkwić w sprawach z przeszłości i w bezruchu ulegać paraliżowi: jest to pokusa uwsteczniania. Spojrzenie chrześcijańskie, gdy kierowane jest ku temu, co chce ocalić od zapomnienia, pragnie nas otworzyć na zachwyt w obliczu tajemnicy Boga, napełnić nasze serca uwielbieniem i wdzięcznością za to, czego dokonał Pan. Wdzięczne serce, które przepełnione jest uwielbieniem, nie żywi żalu, natomiast przyjmuje dzień dzisiejszy, który przeżywa jako łaskę. I chce wyruszyć, pójść naprzód, głosić Jezusa, jak niewiasty i uczniowie z Emaus w Dzień Wielkanocny!

Tym właśnie jest żywa pamięć o Jezusie, która napełnia nas zachwytem i którą czerpiemy szczególnie z Pamiątki eucharystycznej, tym jest siła miłości, która nas pobudza. To nasz skarb. Dlatego bez pamięci nie ma zachwytu. Jeśli stracimy żywą pamięć, to wówczas wierze, pobożności i działalności duszpasterskiej grozi osłabienie i to, że będą niczym słomiany ogień, który szybko się rozpala, ale i szybko gaśnie. Gdy tracimy pamięć, wyczerpuje się radość. Brakuje nam też wdzięczności wobec Boga i naszych braci, bo wpadamy w pokusę myślenia, że wszystko zależy od nas samych. Ksiądz Rusłan przypomniał nam piękną rzecz: że bycie księdzem samo w sobie bardzo dużo, bowiem w życiu kapłańskim człowiek uświadamia sobie, że to, co się wydarza, nie jest naszym dziełem, ale darem od Boga. A siostra Klara, mówiąc o swoim powołaniu, chciała przede wszystkim podziękować tym, którzy głosili jej Ewangelię. Dziękujemy za te świadectwa, które zapraszają nas do wdzięcznej pamięci o otrzymanym dziedzictwie.

Jeśli zajrzymy do wnętrza tego dziedzictwa, to co zobaczymy? Że wiara nie była przekazywana z pokolenia na pokolenie jako zbiór spraw do zrozumienia i wykonania, jako kodeks ustalony raz na zawsze. Nie, wiara była przekazywana poprzez życie, przez świadectwo, które w centrum zdarzeń wnosiło ogień Ewangelii, aby rozświetlać, oczyszczać i rozprzestrzeniać pocieszające ciepło Jezusa, radość Jego zbawczej miłości, nadzieję Jego obietnicy. Ocalając pamięć uczymy się więc, że wiara wzrasta wraz ze świadectwem. Reszta przychodzi później. Jest to wezwanie dla wszystkich i wszystkim chciałbym je powtórzyć: wiernym świeckim, biskupom, kapłanom, diakonom, osobom konsekrowanym, które na różne sposoby pracują w życiu duszpasterskim wspólnot. Nie ustawajmy w dawaniu świadectwa o istocie zbawienia, o nowości Jezusa, o nowości, którą jest Jezus! Wiara to nie piękna wystawa rzeczy z przeszłości, to byłoby muzeum, ale wydarzenie zawsze aktualne, spotkanie z Chrystusem, które dokonuje się tu i teraz w życiu! Dlatego nie przekazuje się jej tylko przez powtarzanie tego, co zawsze, ale przez przekazywanie nowości Ewangelii. W ten sposób wiara pozostaje żywa i ma przyszłość. Dlatego lubię mówić, że wiara powinna być przekazywana „w dialekcie”.

Oto zatem drugie słowo, przyszłość. Pamięć o przeszłości nie zamyka nas w sobie, ale otwiera nas na obietnicę Ewangelii. Jezus nas zapewnił, że zawsze będzie z nami: nie jest to zatem obietnica skierowana jedynie do odległej przyszłości, jesteśmy wezwani do przyjęcia już dziś odnowy, którą Zmartwychwstały wnosi w życie. Pomimo naszych słabości niestrudzenie jest z nami, by razem z nami budować przyszłość swojego i naszego Kościoła.

Oczywiście, w obliczu wielu wyzwań wiary – zwłaszcza tych, dotyczących udziału młodszych pokoleń – jak również w obliczu życiowych problemów i trudów, a także patrząc na własne zasoby, wobec tak ogromnego kraju jak ten, można czuć się „maluczkim” i niewystarczającym. A jednak, jeśli przyjmiemy pełne nadziei spojrzenie Jezusa, dokonamy zaskakującego odkrycia: Ewangelia mówi, że bycie maluczkimi, ubogimi w duchu, jest błogosławieństwem, pierwszym błogosławieństwem (por. Mt 5, 3), ponieważ małość pokornie oddaje nas w ręce mocy Boga i prowadzi nas do tego, abyśmy nie opierali naszego działania kościelnego na własnych możliwościach. I to jest to łaska! Powtarzam: w byciu małym Kościołem, małą trzódką kryje się łaska: zamiast popisywać się swoją siłą, liczebnością, strukturami i wszelkimi innymi formami tego, co znaczące po ludzku, dajemy się prowadzić Panu i pokornie stajemy obok ludzi. Niczym bogaci i ubodzy we wszystkim, idziemy z prostotą, będąc blisko sióstr i braci naszego narodu, wnosząc radość Ewangelii w sytuacje życiowe. Jak zaczyn w cieście i niczym najmniejsze nasiona zasiane w ziemi (por. Mt 13, 31-33), przeżywamy radosne i smutne wydarzenia społeczeństwa w którym żyjemy, aby służyć mu od wewnątrz.

Bycie maluczkimi przypomina nam, że nie jesteśmy samowystarczalni: że potrzebujemy Boga, ale potrzebujemy też innych, wszystkich innych: braci i sióstr innych wyznań, tych, którzy wyznają inną religię niż nasza, wszystkich mężczyzn i kobiet ożywianych dobrą wolą. Zauważamy, w duchu pokory, że tylko razem, w dialogu i wzajemnej akceptacji, możemy naprawdę osiągnąć coś dobrego dla wszystkich. Jest to szczególne zadanie Kościoła w tym kraju: nie być grupą, która pogrąża się w tych samych starych sprawach, albo zamyka się w swojej muszli, bo czuje się mała, ale wspólnotą otwartą na Bożą przyszłość, rozpaloną ogniem Ducha: żywą, pełną nadziei, otwartą na Jego nowości i znaki czasu, ożywioną ewangeliczną logiką ziarna, które wydaje owoce w pokornej i owocnej miłości. W ten sposób obietnica życia i błogosławieństwa, którą Bóg Ojciec wylewa na nas przez Jezusa, dociera nie tylko do nas, ale i do innych.

I realizuje się ona ilekroć żyjemy w braterstwie między sobą, ilekroć troszczymy się o ubogich i zranionych przez życie, ilekroć w relacjach międzyludzkich i społecznych dajemy świadectwo sprawiedliwości i prawdy, odrzucając korupcję i fałsz. Niech wspólnoty chrześcijańskie, a zwłaszcza seminarium, będą „szkołami szczerości”: nie środowiskami rygorystycznymi i formalnymi, ale miejscami ćwiczenia się w prawdzie, otwartości i dzieleniu się. A w naszych wspólnotach – pamiętajmy – wszyscy jesteśmy uczniami Pana: wszyscy są uczniami, wszyscy są istotni, wszyscy o równej godności. Nie tylko biskupi, kapłani i osoby konsekrowane, ale każdy ochrzczony został zanurzony w życie Chrystusa i w Nim – jak przypomniał nam św. Paweł – jest powołany do przyjęcia dziedzictwa i przyjęcia obietnicy Ewangelii. Należy więc uczynić miejsce dla świeckich: to wam dobrze zrobi, aby wspólnoty nie stały się rygorystyczne i sklerykalizowane. Kościół synodalny, w drodze do przyszłości Ducha, jest Kościołem uczestniczącym i współodpowiedzialnym. Jest to Kościół zdolny do wyjścia na spotkanie świata, ponieważ jest nauczony komunii. We wszystkich świadectwach uderzyło mnie jedno: nie tylko ksiądz Rusłan i siostry, ale także Cyryl, ojciec rodziny przypominali nam, że w Kościele, w kontakcie z Ewangelią, uczymy się przechodzić od egoizmu do bezwarunkowej miłości. Jest to wyjście z siebie, którego każdy uczeń nieustannie potrzebuje: jest to potrzeba pielęgnowania daru otrzymanego na Chrzcie, który pobudza nas, gdziekolwiek jesteśmy, w naszych spotkaniach kościelnych, w rodzinach, w pracy, w społeczeństwie, abyśmy stali się mężczyznami i kobietami komunii i pokoju, którzy sieją dobro, gdziekolwiek są. Otwartość, radość i dzielenie się są znakami pierwotnego Kościoła: i są także znakami Kościoła przyszłości. Marzmy i z łaską Bożą budujmy Kościół w którym bardziej obecna jest radość Zmartwychwstałego Pana, który odrzuca lęki i narzekania, który nie daje się zacieśniać dogmatyzmom i moralizmom.

Drodzy bracia i siostry, prosimy o to wszystko wielkich świadków wiary w tym kraju. Chciałbym przypomnieć w szczególności błogosławionego księdza Władysława Bukowińskiego, kapłana, który całe swoje życie poświęcił trosce chorych, potrzebujących i zepchniętych na margines, płacąc osobiście za wierność Ewangelii więzieniem i przymusową pracą. Powiedziano mi, że jeszcze przed jego beatyfikacją na jego grobie zawsze były świeże kwiaty i zapalona świeca. Jest to potwierdzenie, że lud Boży potrafi rozpoznać, gdzie jest świętość, gdzie jest duszpasterz zakochany w Ewangelii. Chciałbym to powiedzieć szczególnie biskupom i kapłanom, a także seminarzystom, taka jest nasza misja: nie być szafarzami sacrum czy żandarmami zajmującymi się egzekwowaniem norm religijnych, ale pasterzami bliskimi ludziom, żywymi obrazami współczującego serca Chrystusa. Pamiętam też o błogosławionych męczennikach greckokatolickich, biskupie Budce, księdzu Zaryckim i Gertrudzie Detzel, której proces beatyfikacyjny jest obecnie otwarty. Jak powiedziała nam pani Mirosława: wnieśli w świat miłość Chrystusa. Jesteście ich dziedzictwem: bądźcie obietnicą nowej świętości!

Jestem blisko was i zachęcam was: żyjcie z radością tym dziedzictwem i dawajcie o nim wielkoduszne świadectwo, aby ci, których spotykacie, mogli dostrzec, że także do nich skierowana jest obietnica nadziei. Będę was wspierał modlitwą. Powierzamy się w szczególny sposób sercu Najświętszej Maryi Panny, którą w szczególny sposób czcicie jako Królową Pokoju. Czytałam o pięknym matczynym znaku, który wydarzył się w trudnych czasach: podczas gdy tak wielu ludzi było deportowanych i zmuszonych do głodu i zamarzania, Ona, czuła i troskliwa Matka, wysłuchała modlitw, które skierowały do Niej Jej dzieci. W jedną z najmroźniejszych zim śnieg szybko stopniał, rodząc jezioro z wieloma rybami, które wykarmiły jakże wiele osób głodnych. Niech Matka Boża stopi chłód serc, niech napełni nasze wspólnoty odnowionym braterskim ciepłem, niech da nam nową nadzieję i entuzjazm dla Ewangelii! Serdecznie wam błogosławię i dziękuję. I proszę was, abyście się za mnie modlili.

[01368-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

الزيارة الرسوليّة إلى كازاخستان

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع الأساقفة والكهنة والشّمامسة والمكرّسين والإكليركيّين والعاملين الرّعويّين

في كاتدرائية نور سلطان

الخميس 15 أيلول/سبتمبر 2022

أيّها الإخوة الأعزّاء، الأساقفة والكهنة والشّمامسة، أيّها الأعزّاء المكرّسين والمكرّسات والإكليريكيّين والعاملين الرّعويّين، صباح الخير!

يسعدني أن أكون هنا بينكم، وأن أحيّي مجلس أساقفة آسيا الوسطى وألتقي بكنيسة مكوّنة من وجوه عديدة وقصص وتقاليد مختلفة، وكلّها متّحدة بإيمان واحد بالمسيح يسوع. المونسنيور مومبييلا سييرا، الذي أشكره على كلماته التّرحيبية، قال: "معظمنا غرباء". هذا صحيح، لأنّكم أتيتم من أماكن ودول مختلفة، لكن جمال الكنيسة هو هذا: نحن عائلة واحدة، لا أحد غريب فيها. أكرّر ذلك: لا أحد غريب في الكنيسة، نحن شعب الله المقدّس الغنيّ بشعوب كثيرة! وتكمن قوّة شعبنا الكهنوتي والمقدّس بالتّحديد في أن نجعل من التنوّع غنًى بالمشاركة، نتشارك في ما نحن وفي ما لنا: صِغَرُنا يتضاعف بالمشاركة.

   المقطع الذي أصغينا إليه من كلمة الله يؤكّد بالتّحديد هذا: يقول القدّيس بولس: سرّ الله أُوحِيَ لجميع الشّعوب. ليس فقط للشعب المختار أو لنخبة من أناس متديّنين، بل للجميع. كلّ إنسان يمكنه أن يصل إلى الله، لأنّ جميع الناس، كما يقول الرّسول، مدعوّون إلى أن يكونوا "شُرَكاء في المِيراثِ والجَسَدِ والوَعْد في المسيحِ يسوع، ويَعودُ ذٰلِك إِلى البشارة" (أفسس 3، 6).

   أودّ أن أركِّز على كلمتَين استخدمهما بولس الرّسول: الميراث والوَعْد. من ناحية، الكنيسة ترث دائمًا تاريخًا، هي دائمًا ابنة الإعلان الأوّل بالإنجيل، ولحدث يسبقها، وابنة رسل ومبشرين آخرين الذين أسّسوها على كلمة يسوع الحية. ومن ناحية أخرى، الكنيسة هي أيضًا جماعة أولئك الذين رأوا أن وعد الله قد تحقّق في يسوع، وهم أبناء القيامة، يعيشون على رجاء التتمّة في المستقبل. نعم، نحن سائرون نحو المجد الموعود الذي يُحيي، بالانتظار، مسيرتنا. الميراث والوَعْد: الميراث الماضيّ هو ذاكرتنا، ووَعْد الإنجيل هو مستقبل الله الذي يأتي للقائنا. أودّ أن أتوقّف معكم مع هذه الفكرة: كنيسة تسير في التاريخ بين الذاكرة والمستقبل.

   أوّلًا، الذاكرة. إن كان بإمكاننا اليوم في هذا البلد الشاسع ومتعدّد الثقافات والأديان أن نرى جماعات مسيحيّة نابضة بالحياة وحسًا دينيًّا يسري في حياة السّكان، ذلك أوّلًا بفضل التاريخ الغنيّ الذي سبق. أفكّر في انتشار المسيحيّة في آسيا الوسطى، الذي حدث من قَبل في القرون الأولى، والمبشّرين والمرسلّين الذين بذلوا جهودهم لنشر نور الإنجيل، فأسّسوا الجماعات والمزارات والأديرة ودور العبادة. هناك إذن ميراث مسيحيّ مسكونيّ يجب تكريمه والحفاظ عليه، وكان نقل الإيمان على يدّ شخصيّات عديدة من البسطاء، والعديد من الأجداد والجدات والآباء والأمهات. في المسيرة الرّوحيّة والكنسيّة يجب ألّا نفقد ذكرى الذين بشَّرونا بالإيمان، لأن التذكّر يساعدنا على تنمية روح التأمّل في العجائب التي صنعها الله في التاريخ، حتى في وسط مصاعب الحياة والضّعف الشّخصيّ والجماعيّ.

لكن لننتبه: هذا لا يعني أن ننظر إلى الوراء، ويغلبنا الحنين إلى الماضيّ، ونبقى متجمدين في أمور الماضيّ ونسمح للشلل والجمود أن يسيطرا علينا: هذه تجربة الرّجوع إلى الوراء. النظرة المسيحيّة، عندما تتذكّر، تريد أن تفتح أنفسنا للاندهاش أمام سرّ الله، ولنملأ قلوبنا بحمد الله وشكره لما صنعه لنا. القلب الشّاكر، الذي يفيض بالحمد، لا يغذّي أيّ ندم، بل يَقبل اليوم الذي يعيشه كنعمة. وهو يريد الانطلاق والمضيّ قُدُمًا، ليُوصِّل يسوع إلى الناس، مثل نساء وتلميذَي عمواس في يوم الفصح!

إنّها ذكرى يسوع الحية، التي تملأنا بالدهشة والتي نستمدها خاصّة من الذكرى الإفخارستيّة، إنّها قوّة المحبّة التي تدفعنا. إنّها كنزنا. لذلك، بدون ذاكرة لا يوجد دهشة. إن فقدنا ذاكرتنا الحية، فإنّ الإيمان والعبادات والأنشطة الرّعويّة توشك أن تتلاشى، وتصير مثل نار القش، التي تشتعل على الفور ولكنّها تنطفئ بسرعة. عندما نفقد ذاكرتنا، ينفد الفرح. ويَقِلُّ أيضًا شكر الله والإخوة، لأنّنا نقع في تجربة الاعتقاد بأنّ كلّ شيء يعتمد علينا. ذكّرنا الأب روسلان بشيء جميل: أن تكون كاهنًا، هذا شيء كثير أصلًا، لأنّنا في الحياة الكهنوتيّة ندرك أن ما يحدث ليس من عملنا، بل هو عطية من الله. والأخت كلارا وهي تتحدّث عن دعوتها، أرادت أوّلًا أن تشكر الذين بشَّروها بالإنجيل. شكرًا لهذه الشّهادات، التي تَدْعُوَنا إلى أن نتذكّر بشكر الميراث الذي قبلناه.

إن نظرنا إلى داخل هذا الميراث، ماذا نرى؟ نرى أنّ هذا الإيمان لم ينتقل من جيلٍ إلى جيل مثل مجموعة من الأمورٍ يجب أن نفهمها ونعمل بها، ولا مثل قانون ثابت بشكل دائم. لا، انتقل الإيمان مع الحياة، ومع الشّهادة التي حملت نار الإنجيل إلى قلب المواقف لتُنيرها وتطهّرها وتنشر دِفء يسوع المعزّي، وفرح محبّته المُخلّصة، والرّجاء في انتظار وعده. ومن ثمّ، إذا تذكّرنا، فإنّنا نتعلّم أنّ الإيمان ينمو بالشّهادة. والباقي يأتي لاحقًا. هذه دعوة للجميع، وأودّ أن أكرّرها للجميع، المؤمنين العلمانيّين، والأساقفة، والكهنة، والشّمامسة، والمكرّسين والمكرّسات الذين يعملون بطرق مختلفة في حياة الجماعات الرّعويّة: لا نتعب ولا نكلّ من الشّهادة لما هو جوهر الخلاص، ما هو جديد في يسوع، الأمر الجديد الذي هو يسوع.  ليس الإيمان معرضًا جميلًا لأمور من الماضيّ – هذا سيكون متحفًا -، بل هو حدث يحدث دائمًا، هو لقاءً مع المسيح يحدث هنا والآن في الحياة! لذلك لا يمكن أن نوصله إلى الآخرين بتكرار الأمور المعتادة فقط، بل بنقل كلّ ما هو جديد في الإنجيل. هكذا يبقى الإيمان حيًا ويكون لهُ مستقبل. لهذا السّبب أحبّ أن أقول إنّ الإيمان يُنقَل ”باللغة المحكيّة“.

وهذه هي الكلمة الثّانية، المستقبل. ذكرى الماضيّ لا يُغلِقنا على أنفسنا، بل يفتحنا على وعد الإنجيل. أكّد لنا يسوع أنّه سيكون معنا دائمًا، لذلك، ليس الوعد فقط بأمورٍ مرتبطة بمستقبلٍ بعيد، بل نحن مدعوّون اليوم إلى أن نستقبل الجديد الذي يصنعه الرّبّ القائم من بين الأموات في الحياة. على الرّغم من ضعفنا، إنّه لا يتعب من البقاء معنا، وبناء مستقبل كنيسته وكنيستنا معنا.

بالتّأكيد، أمام تحدّيات الإيمان الكثيرة - وخاصّة تلك التي تتعلّق بمشاركة الأجيال الشّابّة – وأيضًا أمام مشاكل ومتاعب الحياة، وبالنّظر إلى أعدادنا، في اتّساع مساحة بلدٍ مثل هذا البلد، يمكننا أن نشعر بأنفسنا ”صغارًا“ ولا مكان لنا. مع ذلك، إن تبنّينا نظرة يسوع المليئة بالرّجاء، سنكتشف اكتشافًا مذهلًا، لأنّ الإنجيل يقول: أن تكونوا صغارًا، وفقراء في الرّوح، فهذه تطويبة، وهي التّطويبة الأولى (راجع متّى 5، 3)، لأنّ الصِّغَر يسلّمنا بتواضع إلى قدرة الله، ويحملنا على ألّا نؤسّس العمل الكنسيّ على قدراتنا. وهذه نعمة! أكرّر وأقول: توجد نعمة مخفيّة في أن نكون كنيسة صغيرة، وقطيعًا صغيرًا، وبدل أن نستعرض قوّتنا، وتعدادنا، وهيّكليّاتنا وكلّ شكل آخر من الأمور المهمّة بشرِيًّا، نترك الرّبّ يسوع يقودنا، ولنضع أنفسنا بتواضع بجانب الأشخاص. أغنياء بلا شيء وفقراء في كلّ شيء، لِنَسِرْ ببساطة، إلى جانب الإخوة والأخوات في شعبنا، ولنحمل فرح الإنجيل في مواقف الحياة. مثل الخميرة في العجين ومثل أصغر البذور التي تُلقى في الأرض (راجع متّى 13، 31-33)، لنعِش الأحداث السّعيدة والحزينة في المجتمع الذي نعيش فيه، ولنخدمه من الدّاخل.

أن نكون صغارًا، هذا يذكّرنا بأنّنا لسنا مكتفين ذاتيًّا، أنّنا بحاجة إلى الله، وأيضًا إلى الآخرين، كلّ الآخرين: أي للإخوة والأخوات من الطّوائف الأخرى، والذين يعترفون بمعتقدات دينيّة مختلفة عن معتقداتنا، وكلّ الرّجال والنّساء أصحاب النّوايا الحسنة. نُدرِك، بروح التّواضع، أنّنا معًا فقط، وفي الحوار والقبول المتبادل، يمكننا حقًّا أن نحقّق شيئًا جيّدًا للجميع. هذه هي مهمّة الكنيسة الخاصّة في هذا البلد، وهي: ألّا تكون مجموعة تجرّ نفسها في الأمور الاعتياديّة، أو تنغلق على نفسها في قوقعتها لأنّها تشعر بنفسها صغيرة، بل أن تكون جماعة منفتحة على مستقبل الله، ومشتعلة بنار الرّوح القدس: حيّة، ومفعمة بالرّجاء، ومستعدّة لكلّ جديدٍ من الرّوح القدس وفي علامات الأزّمنة، ونحن منتعشون بمنطق البذرة في الإنجيل التي تُثمر في المحبّة المتواضعة والخصبة. بهذه الطريقة، يتمّ الوعد بالحياة والبركة التي يسكبها الله الآب علينا بوساطة يسوع، وليس فقط من أجلنا، بل يتحقّق أيضًا من أجل الآخرين.

وهو يتحقّق في كلّ مرّة نعيش فيها الأخوّة في ما بيننا، وفي كلّ مرّة نعتني فيها بالفقراء وبكلّ جريح في الحياة، وفي كلّ مرّة نشهد فيها، في العلاقات الإنسانيّة والاجتماعيّة، للعدالة والحقيقة، ونقول ”لا“ للفساد والباطل. يجب أن تكون الجماعات المسيحيّة، وخاصّة الإكليريكيّة، ”مدارس إخلاص“، وليس بيئة متزمّتة وشكليّة، بل أماكن تدريب على الحقيقة، والانفتاح والمشاركة. وفي مجتمعاتنا – لنتذكّر هذا الأمر - نحن كلّنا تلاميذ للرّبّ يسوع: كلّنا تلاميذ، وكلّنا أساسيّون، وكلّنا متساوون في الكرامة. ليس فقط الأساقفة والكهنة والمكرّسون، بل كلّ معمَّد غُطِّسَ في حياة المسيح وفيه - كما ذكّرنا القدّيس بولس – هو مدعو إلى قبول الميراث ووعد الإنجيل. لذلك، يجب أن نعطي مساحة للعلمانيّين، وهذا سيفيدكم، حتّى لا تتصلّب الجماعات ولا تصبح إكليريكيّة متسلّطة. الكنيسة السينوديّة، التي تسير نحو مستقبل الرّوح القدس، هي كنيسة مُشارِكة ومسؤوليّة مشتركة. إنّها كنيسة قادرة على أن تخرج للقاء العالم، لأنّها مُدرّبة على الشّركة والوَحدة. أثّر فيّ أنْ تكرَّرَ، في جميع الشّهادات، أمرٌ واحد وهو: ليس فقط الأب رُسلان والرّاهبات، بل أيضًا كيريل، أبُو العائلة، كلّهم ذكّرونا أنّنا نتعلّم، بالاتّصال بالإنجيل، في الكنيسة، نتعلّم كيف ننتقل من الأنانيّة إلى المحبّة غير المشروطة. إنّه خروجٌ من الذّات يحتاج إليه كلّ تلميذ باستمرار. إنّها الحاجة إلى أن نغذّي العطيّة التي قبلناها في المعموديّة، والتي تدفعنا إلى كلّ مكان: في اجتماعاتنا الكنسيّة، وفي العائلات، وفي العمل، وفي المجتمع، لنصير رجال ونساء شركة ووَحدة وسلام، يزرعون الخير أينما وُجِدوا. الانفتاح والفرح والمشاركة هي علامات الكنيسة الأولى، وهي أيضًا علامات كنيسة المستقبل. لنحلم ولنبنِ، بنعمة الله، كنيسة يسكنها فرح الرّبّ القائم من بين الأموات، الذي يُبعد المخاوف والشّكاوى، ولا تتصلّب في إرشادات عقائديّة وأخلاقيّة مبتذلة.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، لنطلب كلّ هذا من شهود إيمان هذا البلد العظماء. أودّ أن أذكر على وجه الخصّوص الطّوباوي بوكوفينسكي، الكاهن الذي قضى حياته في رعاية المرضى، والمحتاجين والمهمّشين، ودفع بروحه وجسده ثمن أمانته للإنجيل، وحُكِم عليه بالسّجن والأعمال الشّاقّة. قالوا لِي إنّه قبل تطويبه، كانت دائمًا أزهار نضرة وشمعة مضاءة على قبره. هذا إثبات أنّ شعب الله يعرف أين توجد القداسة، وأين يوجد راعٍ عاشق للإنجيل. أودّ أن أقول هذا خصّوصًا للأساقفة والكهنة والإكليريكيّين أيضًا: هذه هي رسالتنا: لسنا مدبّرين للأمور المقدّسة أو شرطة تهتمّ بأن يتمّ احترام الأحكام الدينيّة، بل نحن رعاة قريبون من النّاس، وأيقونات حية لقلب المسيح الرّؤوف. أذكر أيضًا شهداء الرّوم الكاثوليك الطّوباويّين، المطران بودكا، والكاهن زاريسزكي وجيرترود ديتزيل، التي بدأت قضيّة تطويبها. كما قالت لنا السّيّدة ميروسلافا: لقد حملوا محبّة المسيح في العالم. أنتم ورثتهم: كونوا وعدًا لقداسة جديدة!

أنا قريب منكم وأشجّعكم: عيشوا هذا الميراث بفرح واشهدوا له بسخاء، حتّى يدرك كلّ الذين تقابلوهم أنّ هناك وعدًا بالرّجاء، وهو موجّه إليهم أيضًا. أنا أرافقكم بالصّلاة، والآن، لنوكل أنفسنا بطريقة خاصّة إلى قلب مريم الكاملة القداسة، التي توقّرونها بطريقة خاصّة بلقب ملكةِ السّلام. قرأت عن آية والدية جميلة حدثت في الأوقات العصيبة: بينما كان يتمّ ترحيل أشخاص كثيرين وكانوا مجبرين على تحمّل الجوع والبرد، أصغت، الأم الحنونة والرّؤوفة، إلى الصّلاة التي وجهّها إليها أبناؤها. ففي فصل من أقسى فصول الشّتاء، ذاب الثّلج بسرعة، وظهرت بحيرة فيها أسماك كثيرة، فأطعمت الكثير من الجّياع. لتذوّب سيّدتنا مريم العذراء برد قلوبنا، ولتغمر جماعاتنا بدفء أخويّ متجدّد، ولتعطنا رجاءً وحماسًا جديدَين للإنجيل! أبارككم وأشكركم بمودّة. وأطلب منكم، من فضلكم، أن تصلّوا من أجلي.

[01368-AR.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua russa

 

Встреча с епископами, священниками, дьяконами, монашествующими, семинаристами и теми, кто занимается пастырской деятельностью

Кафедральный Собор в Нур-Султане, 15 сентября 2022

Дорогие братья Епископы, священники и дьяконы, дорогие монашествующие, семинаристы и те, кто занимается пастырской деятельностью, здравствуйте!

Я счастлив быть здесь среди вас, приветствовать Конференцию Епископов Центральной Азии и встретиться с Церковью, состоящей их множества лиц, историй и различных традиций, объединенных одной верой во Христа Иисуса. Монсеньор Мумбьела Сьерра, которому я очень благодарен за слова приветствия, сказал: «Большинство из нас иностранцы». Это верно, потому что вы из разных мест и стран, но красота Церкви состоит в том, что мы представляем собой одну семью, в которой нет иностранцев. Повторяю: никто в Церкви не является иностранцем, мы все один святой Народ Божий, обогащённый множеством племён! Сила нашего священнического и святого народа – именно в том, что различие становится богатством благодаря делению тем, что у нас есть и кем мы являемся. Наша мизерность преумножается, когда мы ею делимся.

Отрывок из Слова Божия, который мы только что слушали, утверждает именно это: тайна Бога – по словам святого Павла – открылась всем народам. Не только избранному народу или религиозной элите, но всем. Каждый человек может приступить к Богу, потому что, как объясняет Апостол, и язычники — сонаследники и члены того же тела и сопричастники обетования во Христе Иисусе через Евангелие. (см. Еф 3,6).

Мне хотелось бы обратить внимание на два слова, которые употребляет Павел: наследие и обетование. С одной стороны, Церковь получает в наследство историю, она дочь - первого провозглашения Евангелия, события, что ей предшествует, других апостолов и евангелизаторов, что учредили ее на живом слове Иисуса; с другой стороны, она еще и община тех, кто видел как в Иисусе исполнилось обетование Бога, и которые, будучи сынами воскресения, живут в надежде на будущее свершение. Действительно, обещанная слава обращена к нам, она оживляет ожиданием наш путь. Наследие и обетование: наследие прошлого – наша память, обетование Евангелия – будущее Бога, Который идет к нам навстречу. На этом мне хотелось бы задержаться подольше: Церковь, которая совершает путь в истории между памятью и будущим.

В первую очередь, память. Если сегодня в этой большой стране, мультикультурной и многоконфессиональной, мы видим действующие христианские общины, равно как то, что жизнь людей наполнена религиозным смыслом: то всё это существует, в первую очередь, благодаря богатой истории, которая вам предшествовала. Думаю о распространении христианства в центральной Азии, происходившем уже в первые века его истории, о множестве евангелизаторов и миссионеров, пожертвовавших себя ради распространения света Евангелия, основавших общины, святилища, монастыри и места культа. Поэтому христианское, экуменическое наследие здесь присутствует, его следует почитать и сохранять. Вера передается, и передавалась она также многими простыми людьми, бабушками и дедушками, отцами и матерями. Совершая наш духовный и церковный путь, мы не должны забывать о тех, кто провозглашал нам веру, потому что память помогает нам развивать дух созерцательности, с помощью которого мы видим чудеса, совершенные Богом в истории, даже среди жизненных невзгод, несмотря на личные и общинные недостатки.

Однако стоит быть внимательными: это отнюдь не означает смотреть назад с ностальгией, замкнувшись в прошлом, лишив себя свободы действия из-за косности – это искушение «индьетризма» (отставания). Взгляд христианина, когда обращается к воспоминаниям, хочет открыть нас для удивления перед тайной Бога, чтобы сердце наполнилось хвалением и благодарностью за дела, что совершил Господь. Благодарное сердце, преисполненное хвалы, не сожалеет, но принимает сегодняшний день как благодать. Оно желает отправиться в путь, идти вперед, провозглашать Христа, подобно женщинам и ученикам в Эммаусе в день Пасхи!

Это и есть живая память Иисуса, которая наполняет нас изумлением, и которую мы черпаем, в первую очередь, из евхаристического Воспоминания, это сила любви, которая движет нами. Это наше сокровище. Таким образом без памяти нет изумления. Если мы утратим живую память, то потеряем и веру, благочестивые практики, пастырская деятельность могут ослабнуть, уподобятся соломе, которая моментально вспыхивает и быстро гаснет. Если мы утратим память, угаснет и наша радость. Не будет уже такой сильной благодарности Богу и братьям, ибо мы впадем в искушение – думать, что все зависит от нас. Отец Руслан сделал прекрасное напоминание нам: быть священником – это уже много, потому что в священнической жизни замечаешь, что все что происходит не является нашей заслугой, а даром Бога. А сестра Клара, когда рассказывала о своем призвании, хотела, прежде всего, поблагодарить тех, кто ей провозгласил Евангелие. Благодарю вас за эти свидетельства, которые призывают нас к тому, чтобы мы с благодарностью помнили о полученном нами наследии.

Что мы увидим, если заглянем внутрь этого наследия? Вера не передавалась из поколения в поколение как совокупность истин, которые нужно понять и исполнять, как некий свод правил, определенных один раз для всех. Нет, вера передавалась посредством жизни, в свидетельстве, которое зажгло пламя Евангелия в самом сердце истории, освещая и очищая ее, распространяя вокруг себя умиротворяющее тепло Иисуса, радость Его спасающей любви, надежду Его обетования. Когда мы храним память, узнаем, что вера умножается свидетельством. Остальное приходит потом. Это призыв ко всем, настоятельно повторяю – ко всем: верующим мирянам, епископам, священникам, дьяконам, монашествующим, которые каждый своим способом исполняет пастырское служение в общине. Неустанно свидетельствуйте о сердце спасения, новизне Иисуса, новизне, которая и есть Иисус! Вера – это не красивая выставка того, что было в прошлом - это был бы музей -, но всегда актуальное событие, встреча со Христом, которая происходит здесь и сейчас в нашей жизни! Она не передается только повторением одного и того же, но свидетельствует о новизне Евангелия. Так вера сохраняется живой и обретает будущее. Вот почему я люблю говорить, что вера должна передаваться «на диалекте».

Второе слово – будущее. Память о прошлом не запирает нас в самих себе, но открывает нас обетованию Евангелия. Иисус обещал нам, что никогда нас не оставит: это не обещание, которое относится лишь к далекому будущему, мы должны сегодня согласиться, чтобы Воскресший обновил нашу жизнь. Несмотря на наши недостатки, Он неустанно пребывает с нами, строит будущее Своей и нашей Церкви вместе с нами.

Конечно, перед лицом множества трудностей в вере – особенно тех, что касаются участия молодых поколений – равно как перед лицом жизненных проблем и трудностей, и видя, как нас немного в такой огромной стране, можно ощущать себя «незначительным» и малоспособным. Но если мы посмотрим с надеждой на Иисуса, нам откроется поразительная тайна: Евангелие утверждает, что быть малым, нищим духом, — это блаженство, первостепенное блаженство (см. Мф 5,3): потому что наша незначительность, смиренно отдает нас Божьей всемогущести, благодаря чему мы понимаем, что нельзя основывать деятельность в Церкви только на наших способностях. И это благодать! Повторяю: в маленькой Церкви, малом стаде кроется благодать: вместо того, чтобы хвастаться своими способностями, числом, структурами и любой другой формой человеческой значимости, лучше позволить, чтобы нами руководил Господь и смиренно посвятить себя служению людям. Богаты ни в чем и бедные во всем, давайте идти вперёд с простотой, рядом с сестрами и братьями своего народа, наполняя жизненные ситуации радостью Евангелия. Подобно закваске в тесте и самому малому зерну, брошенному в землю (см. Мф 13, 31-33), мы пребываем в радостях и горестях общества, в котором живем, чтобы служить ему.

Именно наша незначительность напоминает нам, что мы не самодостаточны: мы нуждаемся в Боге, равно как и в других, во многих других. Мы нуждаемся в сестрах и братьях из других конфессий, которые исповедуют веру, отличную от нашей, в каждом человеке, в котором живет добрая воля. Мы осознаем, в духе смирения, что только сообща, в диалоге и взаимном приятии, мы можем по-настоящему сделать что-то хорошее для всех. Это особая задача Церкви в этой стране – быть не группой, которая держится за одно и то же, и запирается в своем панцире только потому, что ощущает себя незначительной, но общиной, открытой будущему Бога, пылающей огнем Святого Духа: Живой, полной надежды, открытой новизне и знакам времени, воодушевляемой евангельской логикой семени, что приносит плод в смиренной и плодотворной любви. Так, обетование жизни и благословения, которое Бог Отец излил на нас через Христа, исполнится не только для нас, но и для других.

Оно исполняется всякий раз, когда мы живем как братья между собой, когда заботимся о бедных и тех, кому не повезло в жизни, всякий раз, когда свидетельствуем о справедливости и истине в человеческих и общественных отношениях, протестуя против коррупции и фальши. Христианские общины, в частности семинария, должны быть «школой искренности». Не местом, где царит скованность и формализм, но таким местом, в котором учатся истине, открытости и умению делиться. В своих общинах, - мы не должны забывать об этом - мы все ученики Господа. Все ученики, важные и с равным достоинством. Не только Епископы, священники и монашествующие, но каждый крещенный был погружен в жизнь Христа и в Нем – как утверждал святой Павел – призван получить наследие и принять обетование Евангелия. Необходимо определить место мирянам: только так можно избежать клерикализации и закоснелости в общине. Синодальная Церковь, идущая к будущему Святого Духа – является такой Церковью, где пребывает совместная ответственность и всеобщее участие. Такая Церковь способна идти навстречу миру, потому что умеет общаться. Меня тронуло, что во всех свидетельствах звучало одно и то же: не только отец Руслан и сестры, но и Кирилл, отец семейства, вспомнили, что в Церкви, когда мы соприкасаемся с Евангелием, учимся переходить от эгоизма к безусловной любви. Избавиться от эгоизма – в этом нуждается каждый ученик. Каждый нуждается в том, чтобы совершенствовать дар, полученный в Крещении, благодаря которому везде, где бы мы не находились – на церковных встречах, в семье, на работе, в обществе – мы становимся людьми общения и мира, которые повсюду сеют добро. Открытость, радость, деление – знаки ранней Церкви, равно как и Церкви будущего. Давайте будем мечтать, но и с благодатью Божией, созидать Церковь, в которой живет радость Воскресшего, которая изгоняет страх и роптание, и не дает нам закоснеть в догматизме и морализме.

Дорогие братья и сестры, давайте будем просить обо всем этом у великих свидетелей веры этой страны. Мне хотелось бы особенно вспомнить о блаженном Буковинским, священнике, который всю свою жизнь посвятил служению больным, нуждающимся и отверженным, заплативший за преданность Евангелию тюремным заключением и принудительными работами. Мне говорили, что еще до его беатификации, на его могиле всегда были свежие цветы и зажженная свеча. Это свидетельствует, что Народ Божий хорошо распознает святость, пастыря, влюбленного в Евангелие. Мне хотелось бы сказать это особенно Епископам и священникам, а также семинаристам – это и есть наша миссия: не быть распорядителями священного или жандармами, что заботятся лишь о том, чтобы соблюдались религиозные нормы, а пастырями, близкими людям, живыми образами сострадающего сердца Христа. Следует вспомнить также и мучеников греко-католической Церкви: Епископа Будку, священника Зарицкого, а также Гертруду Детцель, процесс беатификации которой уже начался. Как сказала госпожа Мирослава: они несли любовь Христа в мир. Вы их наследие: будьте обетованием новой святости!

Я вместе с вами и призываю вас: воплощайте с радостью в жизни это наследие и свидетельствуйте о нем с великодушием, чтобы те, кого вы встретите поняли, что это обетование надежды обращено и к ним. Я с вами в молитве. А теперь особенным образом вверим себя сердцу Пресвятой Марии, которую вы здесь почитаете как Царицу мира. Я прочитал, что в тяжелые времена было одно знамение. Это было во время депортаций, когда многие страдали от голода и холода: Она, милостивая и заботливая Мать, услышала молитвы, обращенные к ней ее детьми. Однажды в одну из суровых зим, снег вдруг растаял, и образовалось озеро, кишевшее рыбой, благодаря чему многие люди смогли спастись от голода. Пусть Богоматерь растопит холод сердец, наполнит наши общины обновленным братским теплом, пошлет нам новую надежду и энтузиазм на благо Евангелия! А я сердечно благословляю вас и благодарю. И прошу вас, пожалуйста, молитесь обо мне.

[01368-RU.02] [Testo originale: Italiano]

[B0682-XX.02]