Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Kazakhstan – Santa Messa presso l’EXPO Grounds, 14.09.2022


Santa Messa presso l’EXPO Grounds

Omelia del Santo Padre

Parole al termine della Santa Messa

Questo pomeriggio il Santo Padre Francesco ha lasciato la Nunziatura Apostolica e si è trasferito in auto all’EXPO Grounds per la Santa Messa.

Al Suo arrivo, dopo aver effettuato il cambio di vettura e dopo alcuni giri in papamobile tra i fedeli, alle ore 16.45 (12.45 ora di Roma) ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in latino e russo nella Festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Erano presenti alla Santa Messa circa 6000 fedeli.

Nel corso della Celebrazione, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia.

Al termine della Santa Messa, dopo l’indirizzo di saluto dell’Arcivescovo di Maria Santissima in Astana, S.E. Mons. Tomash Bernard Peta, prima della benedizione finale il Santo Padre ha rivolto ai fedeli e ai pellegrini presenti alcune parole di ringraziamento. Quindi è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica dove ha cenato in privato.

Pubblichiamo di seguito l’omelia e il saluto finale che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

Omelia del Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Traduzione in lingua russa

Testo in lingua italiana

La croce è un patibolo di morte, eppure in questo giorno di festa celebriamo l’esaltazione della Croce di Cristo. Perché su quel legno Gesù ha preso su di sé il nostro peccato e il male del mondo, e li ha sconfitti con il suo amore. Per questo oggi festeggiamo. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ce lo racconta, contrapponendo, da una parte, i serpenti che mordono e, dall’altra, il serpente che salva. Fermiamoci su queste due immagini.

Anzitutto i serpenti che mordono. Essi attaccano il popolo, caduto per l’ennesima volta nel peccato della mormorazione. Mormorare contro Dio significa non soltanto parlare male e lamentarsi di Lui; vuol dire, più in profondità, che nel cuore degli Israeliti è venuta meno la fiducia in Lui, nella sua promessa. Il popolo di Dio, infatti, sta camminando nel deserto verso la terra promessa ed è sopraffatto dalla stanchezza, non sopporta il viaggio (cfr Nm 21,4). Allora si scoraggia, perde la speranza, e a un certo punto è come se dimenticasse la promessa del Signore: quella gente non ha più la forza di credere che è Lui a guidare il suo cammino verso una terra ricca e feconda.

Non è un caso che, esaurendosi la fiducia in Dio, il popolo venga morso da serpenti che uccidono. Essi ricordano il primo serpente di cui parla la Bibbia nel libro della Genesi, il tentatore che avvelena il cuore dell’uomo per farlo dubitare di Dio. Infatti il diavolo, proprio sotto forma di serpente, ammalia Adamo ed Eva, ingenera in loro sfiducia convincendoli che Dio non è buono, anzi è invidioso della loro libertà e felicità. E ora, nel deserto, ritornano i serpenti, dei «serpenti brucianti» (v. 6); ritorna, cioè, il peccato delle origini: gli Israeliti dubitano di Dio, non si fidano di Lui, mormorano, si ribellano a Colui che ha dato loro la vita e vanno così incontro alla morte. Ecco dove porta la sfiducia del cuore!

Cari fratelli e sorelle, questa prima parte del racconto ci chiede di guardare da vicino i momenti della nostra storia personale e comunitaria in cui è venuta meno la fiducia, nel Signore e tra di noi. Quante volte, sfiduciati e insofferenti, ci siamo inariditi nei nostri deserti, perdendo di vista la meta del cammino! Anche in questo grande Paese c’è il deserto che, mentre offre uno splendido paesaggio, ci parla di quella fatica, di quella aridità che a volte portiamo nel cuore. Sono i momenti di stanchezza e di prova, nei quali non abbiamo più le forze per guardare in alto, verso Dio; sono le situazioni di vita personale, ecclesiale e sociale in cui siamo morsi dal serpente della sfiducia, che inietta in noi i veleni della disillusione e dello sconforto, del pessimismo e della rassegnazione, chiudendoci nel nostro io, spegnendo l’entusiasmo.

Ma nella storia di questa terra non sono mancati altri morsi dolorosi: penso ai serpenti brucianti della violenza, della persecuzione ateista, a un cammino a volte travagliato durante il quale è stata minacciata la libertà del popolo e ferita la sua dignità. Ci fa bene custodire il ricordo di quanto sofferto: non bisogna ritagliare dalla memoria certe oscurità, altrimenti si può credere che siano acqua passata e che il cammino del bene sia delineato per sempre. No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale. E perché il Kazakhstan cresca ancora di più «nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione […] per gettare ponti di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture» (S. Giovanni Paolo II, Discorso durante la cerimonia di benvenuto, 22 settembre 2001), c’è bisogno dell’impegno di tutti. Prima ancora, c’è bisogno di un rinnovato atto di fede verso il Signore: di guardare in alto, di guardare a Lui, di imparare dal suo amore universale e crocifisso.

Veniamo così alla seconda immagine: il serpente che salva. Mentre il popolo muore a causa dei serpenti brucianti, Dio ascolta la preghiera di intercessione di Mosè e gli dice: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita» (Nm 21,8). Infatti, «quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (v. 9). Potremmo tuttavia chiederci: perché Dio, anziché dare queste laboriose istruzioni a Mosè, non ha semplicemente distrutto i serpenti velenosi? Questo modo di fare ci rivela il suo agire dinanzi al male, al peccato e alla sfiducia dell’umanità. Allora come ora, nella grande battaglia spirituale che abita la storia fino alla fine, Dio non annienta le bassezze che l’uomo liberamente insegue: i serpenti velenosi non scompaiono, ci sono ancora, stanno in agguato, possono sempre mordere. Che cosa è cambiato allora, che cosa fa Dio?

Gesù lo spiega nel Vangelo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Ecco la svolta: è arrivato tra noi il serpente che salva: Gesù che, elevato sull’asta della croce, non permette ai serpenti velenosi che ci assalgono di condurci alla morte. Di fronte alle nostre bassezze, Dio ci dona un’altezza nuova: se teniamo lo sguardo rivolto a Gesù, i morsi del male non possono più dominarci, perché Lui, sulla croce, ha preso su di sé il veleno del peccato e della morte e ne ha sconfitto la potenza distruttiva. Ecco che cosa ha fatto il Padre dinanzi al dilagare del male nel mondo; ci ha dato Gesù, che si è fatto vicino a noi come non avremmo mai potuto immaginare: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore»(2 Cor 5,21). Questa è l’infinita grandezza della divina misericordia: Gesù che si è “fatto peccato” a nostro favore, Gesù che sulla croce – potremmo dire – “si è fatto serpente” affinché, guardando a Lui, possiamo resistere ai morsi velenosi dei serpenti maligni che ci assalgono.

Fratelli e sorelle, questa è la strada, la strada della nostra salvezza, della nostra rinascita e risurrezione: guardare a Gesù crocifisso. Da quell’altezza possiamo vedere la nostra vita e la storia dei nostri popoli in modo nuovo. Perché dalla Croce di Cristo impariamo l’amore, non l’odio; impariamo la compassione, non l’indifferenza; impariamo il perdono, non la vendetta. Le braccia allargate di Gesù sono l’abbraccio di tenerezza con cui Dio vuole accoglierci. E ci mostrano la fraternità che siamo chiamati a vivere tra di noi e con tutti. Ci indicano la via, la via cristiana: non quella dell’imposizione e della costrizione, della potenza e della rilevanza, mai quella che impugna la croce di Cristo contro altri fratelli e sorelle per i quali Egli ha dato la vita! È un’altra la via di Gesù, la via della salvezza: è la via dell’amore umile, gratuito e universale, senza “se” e senza “ma”.

Sì, perché sul legno della croce Cristo ha tolto il veleno al serpente del male, ed essere cristiani significa vivere senza veleni: non morderci tra di noi, non mormorare, non accusare, non chiacchierare, non spargere opere di male, non inquinare il mondo con il peccato e con la sfiducia che viene dal Maligno. Fratelli, sorelle, siamo rinati dal costato aperto di Gesù sulla croce: non ci sia in noi alcun veleno di morte (cfr Sap 1,14). Preghiamo, invece, perché per grazia di Dio possiamo diventare sempre più cristiani: testimoni gioiosi di vita nuova, di amore, di pace.

[01367-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

La croix est un gibet de mort, et pourtant, en ce jour de fête, nous célébrons l'exaltation de la Croix du Christ. C’est parce que sur ce bois, Jésus a pris sur lui notre péché et le mal du monde, et il les a vaincus par son amour. Voilà pourquoi nous la célébrons aujourd’hui. La Parole de Dieu que nous avons entendue nous le raconte, en opposant, d'une part, les serpents qui mordent et, d'autre part, le serpent qui sauve. Arrêtons-nous sur ces deux images.

Tout d'abord, les serpents qui mordent. Ils attaquent le peuple qui est tombé pour la énième fois dans le péché du murmure. Murmurer contre Dieu ce n’est pas seulement dire du mal et se plaindre de Lui; cela signifie plus profondément, que, dans le cœur des Israélites, la confiance en Lui, en Sa promesse, a fait défaut. Le peuple de Dieu, en effet, marche dans le désert vers la terre promise et accablé par la fatigue, il ne supporte pas le voyage (cf. Nb 21,4). Alors il se décourage, il perd espoir, et, à un certain moment, c'est comme s'il oublie la promesse du Seigneur: ils n'ont plus la force de croire que c'est Lui qui conduit leur voyage vers une terre riche et féconde.

Ce n'est pas une coïncidence si, alors que leur confiance en Dieu s'épuise, le peuple est mordu par des serpents qui tuent. Ceux-ci rappellent le premier serpent mentionné dans la Bible, dans le livre de la Genèse, le tentateur qui empoisonne le cœur de l'homme pour le faire douter de Dieu. En effet, le diable, précisément sous la forme d'un serpent, séduit Adam et Ève, les trompe et les rend méfiants en les convainquant que Dieu n'est pas bon, mais qu'il est plutôt envieux de leur liberté et de leur bonheur. A présent, dans le désert, les serpents reviennent, des «serpents brûlants» (v. 6); c'est dire que le péché des origines revient: les Israélites doutent de Dieu, ils ne lui font pas confiance, ils murmurent, se rebellent contre Celui qui leur a donné la vie et vont ainsi à leur mort. Voilà où mène la défiance du cœur!

Chers frères et sœurs, cette première partie du récit nous demande de regarder de plus près les moments de notre histoire personnelle et communautaire où la confiance, dans le Seigneur et entre nous, a failli. Combien de fois, découragés et impatients, nous nous sommes desséchés dans nos déserts, perdant de vue le but du voyage! Dans ce grand pays aussi, il existe un désert qui, tout en offrant un paysage splendide, nous parle de cette peine, de cette aridité que nous portons parfois dans notre cœur. Ce sont les moments de fatigue et d'épreuve, dans lesquels nous n'avons plus la force de regarder vers le haut, vers Dieu. Ce sont les situations de la vie personnelle, ecclésiale et sociale dans lesquelles nous sommes mordus par le serpent de la méfiance qui nous injecte les poisons de la désillusion et du découragement, du pessimisme et de la résignation, en nous enfermant dans notre ego, en éteignant l'enthousiasme.

Mais dans l'histoire de cette terre, il y a eu d'autres morsures douloureuses: je pense aux serpents brûlants de la violence, de la persécution athée, à un parcours parfois troublé au cours duquel la liberté du peuple a été menacée et sa dignité blessée. Il est bon que nous gardions le souvenir de ce que nous avons souffert: nous ne devons pas effacer de notre mémoire certaines obscurités, au risque de croire qu'elles appartiennent au passé et que le chemin du bien est tracé pour toujours. Non, la paix n'est jamais acquise une fois pour toutes, elle doit être conquise chaque jour, tout comme la coexistence entre les différentes ethnies et traditions religieuses, le développement intégral et la justice sociale. Et pour que le Kazakhstan grandisse encore plus «dans la fraternité, le dialogue et la compréhension [...] pour construire des ponts de solidarité et de coopération avec d'autres peuples, nations et cultures» (St Jean Paul II, Discours lors de la cérémonie d'accueil, 22 septembre 2001), l'engagement de tous est nécessaire. Avant tout, un acte de foi renouvelé envers le Seigneur est nécessaire: lever les yeux, regarder vers Lui et apprendre de son amour universel et crucifié.

Nous en arrivons ainsi à la deuxième image: le serpent qui sauve. Alors que le peuple meurt à cause des serpents brûlants, Dieu entend la prière d'intercession de Moïse et lui dit : «Fais-toi un serpent et dresse-le au sommet d’un mât ; celui qui sera mordu et qui le regardera restera en vie» (Nb 21,8). En effet, «quand un serpent avait mordu quelqu'un, s'il regardait le serpent d'airain, il restait en vie» (v. 9). Nous pourrions toutefois nous demander pourquoi Dieu, au lieu de donner ces instructions pénibles à Moïse, n'a-t-il pas simplement détruit les serpents venimeux? Cette manière de faire nous révèle sa façon d’agir face au mal, au péché et à la méfiance de l’humanité. Alors comme maintenant, dans le grand combat spirituel qui anime l'histoire jusqu'à la fin, Dieu n'anéantit pas les bassesses que l'homme poursuit librement: les serpents venimeux ne disparaissent pas, ils sont toujours là, embusqués, ils peuvent toujours mordre. Qu'est-ce qui a changé alors, que fait Dieu?

Jésus l'explique dans l'Évangile: «Comme Moïse a élevé le serpent dans le désert, il faut que le Fils de l'homme soit élevé, afin que quiconque croit en lui ait la vie éternelle» (Jn 3, 14-15). Voici le tournant : le serpent qui sauve est arrivé parmi nous: Jésus qui, élevé sur le bois de la croix, ne permet pas aux serpents venimeux qui nous assaillent de nous conduire à la mort. Face à nos bassesses, Dieu nous donne une nouvelle hauteur: si nous gardons le regard tourné vers Jésus, les morsures du mal ne peuvent plus nous dominer, parce que, sur la croix, il a pris sur Lui le poison du péché et de la mort et en a anéanti le pouvoir destructeur. C'est ce que le Père a fait face à propagation du mal dans le monde; il nous a donné Jésus, qui s'est fait proche de nous d'une manière telle que nous n'aurions jamais pu l’imaginer: «Lui qui n'a pas connu le péché, Dieu l'a fait péché pour nous» (2 Co 5, 21). Telle est l'infinie grandeur de la miséricorde divine: Jésus qui s'est «fait péché» pour nous, Jésus qui sur la croix s'est «fait serpent» – pourrions-nous dire – afin qu’en regardant vers Lui, nous puissions résister aux morsures empoisonnées des serpents mauvais qui nous assaillent.

Frères et sœurs, voici la route, la voie de notre salut, de notre renaissance et de notre résurrection: regarder Jésus crucifié. De cette hauteur, nous pouvons voir nos vies et l'histoire de nos peuples d'une manière nouvelle. Car de la Croix du Christ, nous apprenons l'amour, et non la haine; nous apprenons la compassion, et non l'indifférence; nous apprenons le pardon, et non la vengeance. Les bras ouverts de Jésus sont l'étreinte de tendresse avec laquelle Dieu veut nous accueillir. Et ils nous montrent la fraternité que nous sommes appelés à vivre entre nous et avec tous. Ils nous montrent le chemin, le chemin chrétien: non pas le chemin de l'imposition et de la contrainte, du pouvoir et de l’importance, jamais le chemin qui brandit la croix du Christ contre d'autres frères et sœurs pour lesquels il a donné sa vie! La voie de Jésus, la voie du salut est autre: c'est la voie de l'amour humble, gratuit et universel, sans «si» et sans «mais».

Oui, parce que sur le bois de la croix, le Christ a enlevé le poison du serpent du mal, et qu’être chrétien signifie vivre sans poisons: ne vous mordez pas, ne murmurez pas, n'accusez pas, ne bavardez pas, ne répandez pas d’œuvres mauvaises, ne polluez pas le monde avec le péché et la méfiance qui vient du Malin. Frères et sœurs, nous renaissons du côté ouvert de Jésus sur la croix: qu'il n'y ait pas en nous de poison de mort (cf. Sg 1, 14). Prions plutôt pour que, par la grâce de Dieu, nous devenions de plus en plus chrétiens: témoins joyeux de la vie nouvelle, de l'amour et de la paix.

[01367-FR.01] [Texte original: Italien]

 

Traduzione in lingua inglese

The cross is a gibbet of death. Yet today we celebrate the exaltation of the cross of Christ, for on its wood Jesus took upon himself all our sin and the evil of our world, and vanquished them by his love. That is why we celebrate today’s Feast. The word of God that we have just heard tells us how, by contrasting serpents that bite with a serpent that saves. Let us reflect on these two images.

First, serpents that bite. These serpents attacked the people who had fallen once more into the sin of speaking against God. Such speaking against God was more than simply grumbling and complaining; on a deeper level, it was a sign that in their hearts the Israelites had lost their trust in him and his promises. As God’s people were making their way through the desert towards the promised land, they grew weary and could no longer endure the journey (cf. Num 21:4). They grew discouraged; they lost hope, and, at a certain point, they even seemed to forget the Lord’s promise. They lacked even the strength to believe that the Lord himself was guiding them towards a land of plenty.

It is no coincidence that, once the people no longer trusted in God, they were bitten by deadly serpents. We are reminded of the first serpent mentioned in the Bible, in the Book of Genesis: the tempter, who poisoned the hearts of Adam and Eve and made them doubt God. The devil, in the form of a serpent, tricked them and sowed seeds of distrust in them, convincing them that God is not good, and is even envious of their freedom and happiness. Now, in the desert, serpents reappear, this time as “fiery serpents” (v. 6). In other words, original sin returns: the Israelites doubt God; they do not trust him; they complain and they rebel against the one who gave them life, and so they meet their death. That is where distrustful hearts end up!

Dear brothers and sisters, this first part of the narrative asks us to examine closely those moments in our own personal and community lives when our trust in the Lord and one another has failed. How often have we grown dry, disheartened and impatient in our own personal deserts, and lost sight of our journey’s goal! Here too, in this vast country, there is a desert. For all its great natural beauty, it can also remind us of the weariness and aridity that we at times bear in our hearts. Moments of fatigue and trial, when we no longer have the strength to look up towards God. Situations in our lives when, as individuals, as Church and as a society, we can be bitten by the serpent of distrust, poisoned by disillusionment and despair, pessimism and resignation, and caught up only with ourselves, lacking all enthusiasm.

Yet this land has experienced other kinds of painful “bites” in its history. I think of the fiery serpents of violence, atheistic persecution and all those troubled times when people’s freedom was threatened and their dignity offended. We do well to keep alive the memory of those sufferings and not forget certain grim moments; otherwise, we can consider them water under the bridge and think that now, once and for all, we are on the right road. No. Peace is never achieved once and for all; like integral development, social justice and the harmonious coexistence of different ethnic groups and religious traditions, it must be achieved anew each day. Commitment is demanded on the part of all if Kazakhstan is to keep growing in “fraternity, dialogue and understanding… building bridges of solidarity and cooperation with other peoples, nations and cultures” (SAINT JOHN PAUL II, Address at the Welcome Ceremony, 22 September 2001). Yet even before that, we need to renew our faith in the Lord: to look upwards, to look to him and to learn from his universal and crucified love.

And so we come to the second image: the serpent that saves. As the people are dying from the fiery serpents, God hears Moses’ prayer of intercession and tells him: “Make a fiery serpent and put it on a pole. If anyone is bitten and looks at it, he shall live” (Num 21:8). And indeed, “if anyone was bitten by a serpent, he looked at the bronze serpent and lived” (v. 9). Yet, we might ask: Why did God not simply destroy those poisonous serpents instead of giving these detailed instructions to Moses? God’s way of acting reveals to us his way of dealing with evil, sin and distrust on the part of humanity. Then, as now, in the great spiritual battle that continues throughout history, God does not destroy the vile and worthless things that men and women choose to pursue. Poisonous serpents do not disappear; they are always there, lying in wait, ever ready to bite. What has changed then, what does God do?

Jesus tells us in the Gospel: “As Moses lifted up the serpent in the wilderness, so must the Son of Man be lifted up, that whoever believes in him may have eternal life” (Jn 3:14-15). This is the decisive shift: the serpent that saves has now come among us. Jesus, lifted up on the pole of the cross, does not allow the poisonous serpents that attack us to cause our death. Confronting our misery, God gives us a new horizon: if we keep our gaze fixed on Jesus, the sting of evil can no longer prevail over us, for on the cross he took upon himself the venom of sin and death, and crushed their destructive power. That was the Father’s response to the spread of evil in the world: he gave us Jesus, who drew near to us in a way we could never have imagined. “For our sake he made him to be sin who knew no sin” (2 Cor 5:21). Such is the infinite grandeur of divine mercy: Jesus “became sin” for our sake. Jesus, we could say, on the cross “became a serpent”, so that by gazing upon him we might resist the poisonous bites of the evil serpents that assail us.

Brothers and sisters, this is the path, the path to our salvation, our rebirth and our resurrection: to behold the crucified Jesus. From the heights of the cross, we can view our life and the history of our peoples in a new way. For from the cross of Christ we learn love, not hatred; compassion, not indifference; forgiveness, not vengeance. The outstretched arms of Jesus are the embrace of tender love with which God wishes to embrace us. They show us the fraternal love that we are called to have for one another and for everyone. They show us the way, the Christian way. It is not the way of imposition and force, of power and status; it never brandishes the cross of Christ against our brothers and sisters for whom he gave his life! Jesus’ way, the way of salvation is different: it is the way of a humble gratuitous and universal love, with no “ifs”, “ands” or “buts”.

Yes, for on the wood of the cross Christ removed the venom from the serpent of evil. Being a Christian, then, means living without venom: not biting one another, not complaining, blaming and backbiting, not disseminating evil, not polluting the earth with the sin and distrust that comes from the evil one. Brothers and sisters, we have been reborn from the pierced side of the crucified Jesus. May we be free of the poison of death (cf. Wis 1:14), and pray that by God’s grace we can become ever more fully Christian: joyful witnesses of new life, love and peace.

[01367-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Das Kreuz ist ein Todeswerkzeug, und doch feiern wir an diesem Festtag die Erhöhung des Kreuzes Christi. Denn an diesem Holz hat Jesus unsere Sünde und das Böse der Welt auf sich genommen und sie mit seiner Liebe besiegt. Deshalb feiern wir das Heilige Kreuz. Das Wort Gottes, das wir gehört haben, erzählt uns davon, indem es einerseits die Schlangen, die beißen, und andererseits die Schlange, die rettet, gegenüberstellt. Lasst uns bei diesen beiden Bildern innehalten.

Erstens: die beißenden Schlangen. Sie greifen das Volk an, das zum x-ten Mal in die Sünde des Murrens verfallen ist. Gegen Gott zu murren bedeutet nicht nur, schlecht über ihn zu reden und sich über ihn zu beklagen; es bedeutet eigentlich, dass im Herzen der Israeliten das Vertrauen in ihn, in seine Verheißung, verschwunden ist. Das Volk Gottes wandert nämlich in der Wüste auf das verheißene Land zu, es ist ermüdet und von der Reise erschöpft (vgl. Num 21,4). So verliert es den Mut, es verliert die Hoffnung, und irgendwann ist es, als ob es die Verheißung des Herrn vergessen würde. Diese Menschen haben nicht mehr die Kraft daran zu glauben, dass er sie in ein reiches und fruchtbares Land führt.

Es ist kein Zufall, dass die Menschen in dem Moment, in dem ihr Vertrauen in Gott schwindet, von tödlichen Schlangen gebissen werden. Sie erinnern an die erste Schlange, die in der Bibel im Buch Genesis erwähnt wird, den Versucher, der das Herz des Menschen vergiftet, um ihn an Gott zweifeln zu lassen. Tatsächlich verführt der Teufel eben in Gestalt einer Schlange Adam und Eva und sät in ihnen Misstrauen, indem er sie davon überzeugt, dass Gott nicht gut ist, sondern dass er neidisch auf ihre Freiheit und ihr Glück ist. Und nun, in der Wüste, kehren die Schlangen zurück, »Feuerschlangen« (V. 6); das heißt, die Ursünde kehrt zurück: Die Israeliten zweifeln an Gott, sie vertrauen ihm nicht, sie murren, sie rebellieren gegen den, der ihnen das Leben geschenkt hat, und so gehen sie dem Tod entgegen. Dazu führt also das Misstrauen im Herzen!

Liebe Brüder und Schwestern, dieser erste Teil der Geschichte fordert uns auf, die Momente in unserer persönlichen und gemeinschaftlichen Geschichte genauer zu betrachten, in denen das Vertrauen in den Herrn und in die anderen geschwunden ist. Wie oft sind wir entmutigt und unduldsam in unseren Wüsten vertrocknet und haben das Ziel des Weges aus den Augen verloren! Auch in diesem großen Land gibt es eine Wüste, eine herrliche Landschaft, die uns aber zugleich von der Mühsal und Trockenheit spricht, die wir manchmal in unseren Herzen tragen. Das sind die Momente der Müdigkeit und der Prüfung, in denen wir nicht mehr die Kraft haben, aufzublicken zu Gott; das sind die Situationen des persönlichen, kirchlichen und sozialen Lebens, in denen wir von der Schlange des Misstrauens gebissen werden, die uns das Gift der Enttäuschung und der Verzweiflung, des Pessimismus und der Resignation einflößt, uns in unser eigenes Ich einschließt und den Enthusiasmus erstickt.

Doch in der Geschichte dieses Landes gab es auch andere schmerzhafte Bisse. Ich denke an die Feuerschlangen der Gewalt, der atheistischen Verfolgung, der religiösen Unterdrückung, ich denke an einen manchmal mühseligen Weg, auf dem die Freiheit der Menschen bedroht und ihre Würde verletzt wurde. Es tut uns gut, die Erinnerung an das Erlittene zu bewahren. Bestimmte dunkle Begebenheiten streichen wir besser nicht aus unserem Gedächtnis, sonst könnten wir auf den Gedanken kommen, dass sie Schnee von gestern sind und dass der Weg des Guten ein für alle Mal vorgezeichnet ist. Nein, der Frieden ist nicht ein für alle Mal gewonnen, er muss jeden Tag neu errungen werden, ebenso wie das Zusammenleben verschiedener Ethnien und religiöser Traditionen, eine ganzheitliche Entwicklung und soziale Gerechtigkeit. Und damit Kasachstan noch mehr »in der Brüderlichkeit, im Dialog und in der Verständigung« wächst, »die unerlässliche Voraussetzungen sind, um „Brücken“ der solidarischen Zusammenarbeit mit den anderen Völkern, Nationen und Kulturen zu bauen« (Johannes Paul II., Ansprache bei der Begrüßungszeremonie, 22. September 2001), ist das Engagement aller nötig. Zuallererst jedoch ist ein erneuter Akt des Glaubens an den Herrn notwendig: nach oben zu blicken, auf ihn zu schauen, von seiner universalen Liebe zu lernen, von seiner Hingabe am Kreuz.

Damit kommen wir zum zweiten Bild: die Schlange, die rettet. Als das Volk durch die Feuerschlangen stirbt, hört Gott auf die Fürsprache des Mose und sagt zu ihm: »Mach dir eine Feuerschlange und häng sie an einer Stange auf! Jeder, der gebissen wird, wird am Leben bleiben, wenn er sie ansieht« (Num 21,8). Und tatsächlich: »Wenn nun jemand von einer Schlange gebissen wurde und zu der Kupferschlange aufblickte, blieb er am Leben« (V. 9). Wir könnten uns jedoch fragen: Warum hat Gott, anstatt Mose diese aufwändigen Anweisungen zu geben, die Giftschlangen nicht einfach vernichtet? Diese Art des Handelns offenbart uns sein Handeln gegenüber dem Bösen, der Sünde und dem Misstrauen der Menschen. Damals wie heute, im großen geistlichen Kampf, der die Geschichte bis zum Ende durchzieht, vernichtet Gott nicht die Niedertracht, der der Mensch aus freien Stücken anhängt: Die Giftschlangen verschwinden nicht, sie sind immer noch da, sie liegen auf der Lauer, sie können immer zubeißen. Was hat sich also geändert, was tut Gott?

Jesus erklärt es im Evangelium: »Wie Mose die Schlange in der Wüste erhöht hat, so muss der Menschensohn erhöht werden, damit jeder, der glaubt, in ihm ewiges Leben hat« (Joh 3,14-15). Das also ist der Wendepunkt: Die Schlange, die rettet, ist zu uns gekommen, Jesus, der am Pfahl des Kreuzes erhöht, nicht zulässt, dass uns die giftigen Schlangen, die uns angreifen, in den Tod führen. Unserer Niedertracht begegnet Gott dadurch, dass er uns eine neue Hoheit verleiht. Wenn wir unseren Blick auf Jesus richten, können uns die Bisse des Bösen nichts mehr anhaben, denn er hat am Kreuz das Gift der Sünde und des Todes auf sich genommen und dessen zerstörerische Macht besiegt. Das ist es, was der Vater angesichts der Ausbreitung des Bösen in der Welt getan hat; er hat uns Jesus geschenkt, der uns auf eine Weise seine Nähe geschenkt hat, die wir uns nie hätten vorstellen können: »Er hat den, der keine Sünde kannte, für uns zur Sünde gemacht, damit wir in ihm Gerechtigkeit Gottes würden« (2 Kor 5,21). Das ist die unendliche Größe der göttlichen Barmherzigkeit: Jesus, der sich für uns „zur Sünde gemacht hat“, Jesus, der sich am Kreuz – so könnten wir sagen – „zur Schlange gemacht hat“, damit wir, wenn wir auf ihn schauen, den giftigen Bissen der bösen Schlangen widerstehen können, die uns angreifen.

Brüder und Schwestern, das ist der Weg, der einzige Weg unserer Erlösung, unserer Wiedergeburt und Auferstehung: auf den gekreuzigten Jesus zu schauen. Von jener Höhe aus können wir unser Leben und die Geschichte unserer Völker auf eine neue Weise sehen. Denn vom Kreuz Christi lernen wir Liebe, nicht Hass; lernen wir Mitgefühl, nicht Gleichgültigkeit; lernen wir Vergebung, nicht Rache. Die ausgebreiteten Arme Jesu sind die zärtliche Umarmung, mit der Gott unser Leben annehmen will. Und sie zeigen uns die Geschwisterlichkeit, die wir untereinander leben sollen. Sie zeigen uns den Weg, den christlichen Weg: nicht den Weg des Auferlegens und des Zwangs, der Macht und der Bedeutsamkeit, und niemals den Weg, der das Kreuz Christi gegen die anderen Brüder und Schwestern benützt, für die er sein Leben hingegeben hat! Jesu Weg, der Weg des Heils, ist ein anderer: Es ist der Weg der demütigen, ungeschuldeten und allumfassenden Liebe, ohne „wenn“ und „aber“.

Ja, denn am Holz des Kreuzes hat Christus der Schlange des Bösen das Gift entzogen, und Christsein bedeutet, ohne Gift zu leben: sich nicht gegenseitig zu beißen, nicht zu murren, nicht anzuklagen, nicht zu tratschen, keine bösen Werke zu verbreiten, die Welt nicht mit Sünde und mit dem Misstrauen zu verschmutzen, das vom Bösen kommt. Brüder und Schwestern, wir sind aus der offenen Seite Jesu am Kreuz wiedergeboren. Kein Gift des Verderbens sei in uns (vgl. Weish 1,14). Beten wir stattdessen, dass wir durch Gottes Gnade immer mehr zu Christen werden: zu freudigen Zeugen des neuen Lebens, der Liebe und des Friedens.

[01367-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

La cruz es un patíbulo de muerte y, sin embargo, en este día de fiesta celebramos la exaltación de la Cruz de Cristo. Porque sobre ese leño Jesús ha tomado sobre sí nuestro pecado y el mal del mundo, y los ha vencido con su amor. Por eso hoy festejamos. Nos lo narra la Palabra de Dios que hemos escuchado, contrastando, por un lado, las serpientes que muerden y, por el otro, la serpiente que salva. Detengámonos en estas dos imágenes.

En primer lugar, las serpientes que muerden. Estas atacan al pueblo, caído por enésima vez en el pecado de la murmuración. Murmurar contra Dios significa no sólo hablar mal y quejarse de Él; quiere decir, más profundamente, que el corazón de los israelitas ya no confía en Él, en su promesa. De hecho, el pueblo de Dios está caminando en el desierto hacia la tierra prometida y se encuentra abrumado por el cansancio, no soporta el viaje (cf. Nm 21,4). De manera que se desanima, pierde la esperanza, y llega un momento en que parece que se ha olvidado de la promesa del Señor. Esa gente no tiene ya la fuerza para creer que es Él quien guía su camino hacia una tierra rica y fecunda.

No es casual que, agotándose la confianza en Dios, el pueblo sea mordido por las serpientes que matan. Estas hacen recordar la primera serpiente de la que habla la Biblia en el libro del Génesis, el tentador que envenena el corazón del hombre para hacerlo dudar de Dios. De ese modo el diablo, precisamente bajo la forma de serpiente, cautiva a Adán y Eva, engendra en ellos desconfianza convenciéndoles de que Dios no es bueno, más aún, de que Él envidia su libertad y su felicidad. Y ahora, en el desierto, vuelven las serpientes, unas «serpientes abrasadoras» (v. 6); es decir, vuelve el pecado de los orígenes: los israelitas dudan de Dios, no se fían de Él, murmuran, se rebelan contra Aquél que les dio la vida y de ese modo van al encuentro de la muerte. ¡Hasta ahí lleva la desconfianza del corazón!

Queridos hermanos y hermanas, esta primera parte de la narración nos llama a mirar con detenimiento los momentos de nuestra historia personal y comunitaria en los que ha decaído la confianza, en el Señor y entre nosotros. Cuántas veces, desalentados e intolerantes, nos hemos marchitado en nuestros desiertos, perdiendo de vista la meta del camino. También en este gran país está el desierto que, mientras ofrece un espléndido paisaje, nos habla de esa fatiga, de esa aridez que a veces llevamos en el corazón. Son los momentos de cansancio y de prueba, en los que ya no tenemos fuerzas para levantar la mirada hacia Dios; son las situaciones de la vida personal, eclesial y social en las que nos muerde la serpiente de la desconfianza, que inyecta en nosotros los venenos de la desilusión y del desaliento, del pesimismo y de la resignación, encerrándonos en nuestro “yo”, apagando nuestro entusiasmo.

Pero en la historia de esta tierra no han faltado otras mordeduras dolorosas. Pienso en las serpientes abrasadoras de la violencia, de la persecución atea; en un camino a veces tortuoso durante el cual la libertad del pueblo fue amenazada, y su dignidad herida. Nos hace bien custodiar el recuerdo de todo lo que se ha sufrido; no hay que eliminar de la memoria ciertas oscuridades, pues de otro modo se puede creer que son agua pasada y que el camino del bien está encauzado para siempre. No, la paz nunca se consigue de una vez por todas, se conquista cada día, del mismo modo que la convivencia entre las etnias y las tradiciones religiosas, el desarrollo integral y la justicia social. Y para que Kazajistán crezca todavía más «en la fraternidad, en el diálogo y en la comprensión […] para “construir puentes” de cooperación solidaria con otros pueblos, naciones y culturas» (S. Juan Pablo II, Discurso durante la ceremonia de bienvenida, 22 de septiembre de 2001), es necesario el compromiso de todos. Más aún, es necesario un renovado acto de fe en el Señor; mirar hacia lo alto, mirarlo a Él, y aprender de su amor universal y crucificado.

Llegamos así a la segunda imagen: la serpiente que salva. Mientras el pueblo muere a causa de las serpientes abrasadoras, Dios escucha la oración de intercesión de Moisés y le dice: «Fabrica una serpiente abrasadora y colócala sobre un asta. Y todo el que haya sido mordido, al mirarla, quedará curado» (Nm 21,8). De hecho, «cuando alguien era mordido por una serpiente, miraba hacia la serpiente de bronce y quedaba curado» (v. 9). Pero, podríamos preguntarnos: ¿Por qué Dios, en vez de dar estas complicadas instrucciones a Moisés, no ha destruido simplemente las serpientes venenosas? Este modo de proceder nos revela su forma de actuar contra el mal, el pecado y la desconfianza de la humanidad. Tanto entonces como ahora, en la gran batalla espiritual que habita la historia hasta el final, Dios no destruye las bajezas que el hombre sigue libremente; las serpientes venenosas no desaparecen, todavía están ahí, al acecho, siempre pueden morder. Entonces, ¿qué ha cambiado? ¿Qué hace Dios?

Jesús lo explica en el Evangelio: «De la misma manera que Moisés levantó en alto la serpiente en el desierto, también es necesario que el Hijo del hombre sea levantado en alto, para que todos los que creen en él tengan Vida eterna» (Jn 3,14-15). Este es el cambio radical, ha llegado a nosotros la serpiente que salva: Jesús, que, elevado sobre el mástil de la cruz, no permite que las serpientes venenosas que nos acechan nos conduzcan a la muerte. Ante nuestras bajezas, Dios nos da una nueva estatura; si tenemos la mirada puesta en Jesús, las mordeduras del mal no pueden ya dominarnos, porque Él, en la cruz, ha tomado sobre sí el veneno del pecado y de la muerte, y ha derrotado su poder destructivo. Esto es lo que ha hecho el Padre ante la difusión del mal en el mundo; nos ha dado a Jesús, que se ha hecho cercano a nosotros como nunca habríamos podido imaginar: «A aquel que no conoció el pecado, Dios lo identificó con el pecado en favor nuestro» (2 Co 5,21). Esta es la infinita grandeza de la divina misericordia: Jesús que se ha “identificado con el pecado” en favor nuestro, Jesús que sobre la cruz —podríamos decir— “se ha hecho serpiente” para que, mirándolo a Él, podamos resistir las mordeduras venenosas de las serpientes malignas que nos atacan.

Hermanos y hermanas, este es el camino, el camino de nuestra salvación, de nuestro renacimiento y resurrección: mirar a Jesús crucificado. Desde esa altura podemos ver nuestra vida y la historia de nuestros pueblos de un modo nuevo. Porque desde la Cruz de Cristo aprendemos el amor, no el odio; aprendemos la compasión, no la indiferencia; aprendemos el perdón, no la venganza. Los brazos extendidos de Jesús son el tierno abrazo con el que Dios quiere acogernos. Y nos muestran la fraternidad que estamos llamados a vivir entre nosotros y con todos. Nos indican el camino, el camino cristiano; no el de la imposición y la coacción, del poder o de la relevancia, nunca el camino que empuña la cruz de Cristo contra los demás hermanos y hermanas por quienes Él ha dado la vida. El camino de Jesús, el camino de la salvación, es otro: es el camino del amor humilde, gratuito y universal, sin condiciones y sin “peros”.

Sí, porque Cristo, sobre el leño de la cruz, ha extraído el veneno a la serpiente del mal, y ser cristianos significa vivir sin venenos. Es decir, no mordernos entre nosotros, no murmurar, no acusar, no chismorrear, no difundir maldades, no contaminar el mundo con el pecado y con la desconfianza que vienen del Maligno. Hermanos, hermanas, hemos renacido del costado abierto de Jesús en la cruz; que no haya entre nosotros ningún veneno mortal (cf. Sb 1,14). Oremos, más bien, para que por la gracia de Dios podamos ser cada vez más cristianos, testigos alegres de la vida nueva, del amor y de la paz.

[01367-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

A cruz é um patíbulo de morte, mas, neste dia de festa, celebramos a exaltação da Cruz de Cristo. Porque, naquele madeiro, Jesus tomou sobre Si o nosso pecado e o mal do mundo, e derrotou-os com o seu amor. É por isso que fazemos festa hoje. A Palavra de Deus que escutamos narra-nos isso mesmo, contrapondo, por um lado, as serpentes que mordem e, por outro, a serpente que salva. Detenhamo-nos sobre estas duas imagens.

Em primeiro lugar, as serpentes que mordem. Atacam o povo, que se deixou cair mais uma vez no pecado da murmuração. Murmurar contra Deus não significa apenas falar mal e lamentar-se d’Ele; quer dizer também, e mais profundamente, que, no coração dos israelitas, esmoreceu a confiança n’Ele, na sua promessa. Com efeito, o povo de Deus encontrava-se a caminhar no deserto rumo à Terra Prometida e sente-se dominado pelo cansaço, não suporta a viagem (cf. Nm 21, 4). Então desanima, perde a esperança e, a certa altura, é como se esquecesse a promessa do Senhor: aquelas pessoas já não têm a força de acreditar que é Ele quem guia o seu caminho para uma terra rica e fecunda.

Não é por acaso que o povo, tendo-se esgotado a confiança em Deus, acaba mordido por serpentes que matam. Eles lembram-se da primeira serpente de que fala a Bíblia no livro do Génesis: o tentador que envenena o coração do homem para o fazer duvidar de Deus. De facto o diabo, precisamente sob a forma de serpente, enfeitiça Adão e Eva, gera neles a desconfiança convencendo-os de que Deus não é bom, antes é invejoso da sua liberdade e felicidade. E agora, no deserto, voltam as serpentes, «serpentes ardentes» (Nm 21, 6); isto é, volta o pecado das origens: os israelitas duvidam de Deus, não se fiam d’Ele, murmuram, rebelam-se contra Aquele que lhes deu a vida e, assim, vão ao encontro da morte. Eis aonde leva a desconfiança do coração!

Queridos irmãos e irmãs, esta primeira parte da narração pede para vermos atentamente os momentos da nossa história pessoal e comunitária nos quais veio a faltar a confiança no Senhor e entre nós. Quantas vezes estiolamos, desanimados e impacientes, nos nossos desertos, perdendo de vista a meta do caminho! Aqui, no Cazaquistão, também existe o deserto que, a par da paisagem esplêndida que nos oferece, fala-nos simultaneamente do cansaço, da aridez que às vezes trazemos no coração: são os momentos de cansaço e de prova, em que já não temos forças para olhar para cima, olhar para Deus; são as situações de vida pessoal, eclesial e social em que somos mordidos pela serpente da desconfiança, injetando em nós os venenos da desilusão e do desconsolo, do pessimismo e da resignação, fechando-nos no nosso eu, apagando o entusiasmo.

Mas, na história desta terra, não faltaram outras mordeduras dolorosas: penso nas serpentes ardentes da violência, da perseguição ateísta, penso naquele caminho por vezes conturbado durante o qual foi ameaçada a liberdade do povo e ferida a sua dignidade. Faz-nos bem guardar a recordação daquilo que sofremos: certas brumas, é preciso não as cancelar da memória; caso contrário, pode-se pensar que sejam água passada e que o caminho do bem esteja delineado para sempre. E não! A paz nunca está conquistada duma vez por todas; há de ser conquistada cada dia, como também a convivência entre etnias e tradições religiosas diversas, o desenvolvimento integral, a justiça social. E, para que o Cazaquistão cresça ainda mais «na fraternidade, no diálogo e na compreensão (...) para “lançar pontes” de cooperação solidária com os outros povos, nações e culturas» (S. João Paulo II, Discurso na cerimónia de boas-vindas, 22/IX/2001), há necessidade do empenho de todos. E ainda antes há necessidade dum renovado ato de confiança no Senhor: olhar para cima, olhar para Ele, aprender com o seu amor universal e crucificado.

Passamos assim à segunda imagem: a serpente que salva. Enquanto o povo vai morrendo por causa das serpentes ardentes, Deus escuta a oração de intercessão de Moisés e diz-lhe: «Faz para ti uma serpente abrasadora e coloca-a num poste. Sucederá que todo aquele que tiver sido mordido, se olhar para ela, ficará vivo» (Nm 21, 8). De facto, «quando alguém era mordido por uma serpente e olhava para a serpente de bronze, vivia» (21, 9). Poderíamos, porém, interrogar-nos: porque é que Deus, em vez de dar estas instruções laboriosas a Moisés, não destruiu simplesmente as serpentes venenosas? Este modo de proceder revela-nos o seu modo de agir perante o mal, o pecado e a difidência da humanidade. Então como agora, na grande batalha espiritual que habita a história até ao fim, Deus não aniquila as baixezas que o homem segue livremente: as serpentes venenosas não desaparecem, continuam a existir; estão à espreita, sempre podem morder. Que mudou então? Que faz Deus?

Jesus explica-o no Evangelho: «Assim como Moisés ergueu a serpente no deserto, assim também é necessário que o Filho do Homem seja erguido ao alto, a fim de que todo o que n’Ele crê tenha a vida eterna» (Jo 3, 14-15). Eis aqui a viragem! Chegou entre nós a serpente que salva: Jesus, elevado no poste da cruz, não permite às serpentes venenosas, que nos assaltam, não lhes permite levar-nos à morte. Perante as nossas baixezas, Deus aponta- nos uma nova altura: se mantivermos o olhar voltado para Jesus, as mordeduras do mal já não nos podem dominar, porque Ele, na cruz, tomou sobre Si o veneno do pecado e da morte, e aniquilou a sua força destruidora. Aqui temos o que fez o Pai perante a propagação do mal no mundo; deu-nos Jesus, que Se aproximou de nós como nunca poderíamos ter imaginado: «Aquele que não havia conhecido o pecado, Deus O fez pecado por nós» (2 Cor 5, 21). Tal é a grandeza infinita da misericórdia divina: Jesus que Se «fez pecado» em nosso favor, Jesus que na cruz – poderíamos dizer – «Se fez serpente» a fim de que, olhando para Ele, possamos resistir às mordeduras venenosas das serpentes malignas que nos assaltam.

Irmãos e irmãs, esta é a estrada, a estrada da nossa salvação, do nosso renascimento e ressurreição: olhar para Jesus crucificado. Daquela altura, podemos ver de maneira nova a nossa vida e a história dos nossos povos. Porque, a partir da Cruz de Cristo, aprendemos o amor, não o ódio; aprendemos a compaixão, não a indiferença; aprendemos o perdão, não a vingança. Os braços abertos de Jesus são o abraço de ternura com que Deus nos quer acolher. E mostram-nos a fraternidade que somos chamados a viver entre nós e com todos. Indicam-nos o caminho, o caminho cristão: não o da imposição e constrição, da força e da exuberância; nunca o que levanta a cruz de Cristo contra outros irmãos e irmãs por quem Ele deu a vida! É outro o caminho de Jesus, o caminho da salvação: é o caminho do amor humilde, gratuito e universal, sem «se» nem «mas».

Sim, porque, no madeiro da cruz, Cristo tirou o veneno à serpente do mal, e ser cristão significa viver sem venenos: não nos mordermos entre nós, não murmurar, não acusar, não criticar os outros, não disseminar as obras do mal, não poluir o mundo com o pecado e a desconfiança que vem do Maligno. Irmãos e irmãs, renascemos do lado aberto de Jesus na cruz: não haja em nós qualquer veneno de morte (cf. Sab 1, 14). Pelo contrário, rezemos para que, pela graça de Deus, possamos tornar-nos cada vez mais cristãos: testemunhas alegres de vida nova, de amor, de paz.

[01367-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Choć krzyż jest narzędziem śmierci, to jednak w dzisiejszym dniu świątecznym celebrujemy wywyższenie Krzyża Chrystusa. Bowiem na tym drzewie Jezus wziął na siebie nasz grzech i zło świata, i zwyciężył je swoją miłością. Dlatego też obchodzimy święto Krzyża Świętego. Usłyszane przez nas słowo Boże mówi nam o tym, przeciwstawiając sobie z jednej strony jadowite węże a z drugiej strony węża, który zbawia. Zastanówmy się nad tymi dwoma obrazami.

Po pierwsze: jadowite węże. Atakują lud, który kolejny raz popadł w grzech szemrania. Szemranie przeciwko Bogu oznacza nie tylko mówienie źle i narzekanie na Niego. Oznacza to w istocie, że w sercach Izraelitów zabrakło zaufania do Niego, do Jego obietnicy. Bowiem lud Boży pielgrzymuje po pustyni ku ziemi obiecanej i ogarnia go znużenie, nie może znieść tej podróży (por. Lb 21, 4). Wówczas ulega zniechęceniu, traci nadzieję i w pewnym momencie jakby zapomina o obietnicy Pana: ci ludzie nie mają już siły, by wierzyć, że to On kieruje ich drogą ku ziemi bogatej i płodnej.

Nie przypadkiem, kiedy wyczerpało się ich zaufanie do Boga, ludzie są kąsani przez węże, które zabijają. Przypominają one pierwszego węża wspomnianego w Biblii w Księdze Rodzaju, kusiciela, który zatruwa serce człowieka, by ten zwątpił w Boga. Istotnie diabeł, właśnie pod postacią węża, zwodzi Adama i Ewę, zaszczepia w nich nieufność przekonując, że Bóg nie jest dobry, a raczej zazdrosny o ich wolność i szczęście. A teraz, na pustyni, powracają węże, „węże o jadzie palącym” (w. 6); czyli powraca grzech pierworodny: Izraelici wątpią w Boga, nie ufają Mu, szemrzą, buntują się przeciwko Temu, który dał im życie i w ten sposób zmierzają ku śmierci. Oto dokąd prowadzi nieufność serca!

Drodzy bracia i siostry, ta pierwsza część opisu domaga się, abyśmy przyjrzeli się bliżej wydarzeniom w naszej osobistej i wspólnotowej historii, kiedy brakowało nam zaufania do Pana i siebie nawzajem. Ileż to razy, zniechęceni i niecierpliwi, usychaliśmy na naszych pustyniach, tracąc z oczu cel pielgrzymowania! Także w tym wielkim kraju znajduje się pustynia, która, choć tworzy wspaniały krajobraz, mówi nam o tym znużeniu, o tej oschłości, które czasem nosimy w sercu. Są to chwile znużenia i próby, w których nie mamy już sił, aby patrzeć w górę, ku Bogu; są to sytuacje życia osobistego, religijnego i społecznego, w których jesteśmy kąsani przez węża nieufności, wstrzykującego nam trucizny rozczarowania i zniechęcenia, pesymizmu i rezygnacji, zamykając nas w naszym „ja”, gasząc entuzjazm.

Jednak w historii tej ziemi miały też miejsce też inne bolesne ukąszenia: myślę o palących wężach przemocy, o prześladowaniach ateistycznych, o ucisku religijnym, o niekiedy trudnej drodze, podczas której wolność ludu była zagrożona, a jego godność zraniona. Warto strzec pamięci o tych cierpieniach: nie wolno nam usuwać z naszej pamięci pewnych mroków, w przeciwnym razie możemy uwierzyć, że są one czymś, co minęło i że droga dobra została wytyczona raz na zawsze. Nie, pokoju nigdy nie zdobywa się raz na zawsze, trzeba go zdobywać każdego dnia, podobnie jak współistnienie różnych grup etnicznych i tradycji religijnych, integralny rozwój, sprawiedliwość społeczną. Aby Kazachstan mógł jeszcze bardziej wzrastać „w braterstwie, dialogu i porozumieniu [...], aby budować mosty solidarności i współpracy z innymi narodami, państwami i kulturami” (św. Jan PAWEŁ II, Przemówienie podczas uroczystości powitalnej, 22 września 2001 r.), potrzebne jest zaangażowanie wszystkich. Jeszcze wcześniej konieczny jest ponowne wyznanie wiary wiary w Pana: spojrzenie w górę, spojrzenie na Niego, uczenie się z Jego powszechnej i ukrzyżowanej miłości.

W ten sposób dochodzimy do drugiego obrazu: węża, który zbawia. Gdy lud umierał z powodu węży o jadzie palącym, Bóg usłyszał modlitwę wstawienniczą Mojżesza i powiedział do niego: „Sporządź węża i umieść go na wysokim palu; wtedy każdy ukąszony, jeśli tylko spojrzy na niego, zostanie przy życiu” (Lb 21, 8). Rzeczywiście, „jeśli kogo wąż ukąsił, a ukąszony spojrzał na węża miedzianego, zostawał przy życiu” (w. 9). Możemy jednak zadać sobie pytanie: dlaczego Bóg, zamiast dawać Mojżeszowi te pracochłonne nakazy po prostu nie unicestwił jadowitych węży? Ten sposób postępowania odsłania nam Jego działanie w obliczu zła, grzechu i nieufności człowieka. Tak wtedy, jak i teraz, w wielkiej walce duchowej, która wpisana jest w dzieje aż po sam ich kres, Bóg nie unicestwia podłości, do której człowiek dąży dobrowolnie: jadowite węże nie znikają, one wciąż są obecne, czyhają, zawsze mogą ukąsić. Co zatem się zmieniło, co czyni Bóg?

Jezus wyjaśnia to w Ewangelii: „jak Mojżesz wywyższył węża na pustyni, tak potrzeba, by wywyższono Syna Człowieczego, aby każdy, kto w Niego wierzy, miał życie wieczne” (J 3, 14-15). Oto punkt zwrotny: wszedł między nas wąż, który zbawia: Jezus, który wyniesiony na palu krzyża nie pozwala, aby atakujące nas jadowite węże doprowadziły nas do śmierci. W obliczu naszej małości Bóg daje nam nowy szczyt: jeśli utkwimy wzrok w Jezusie, ukąszenia zła nie mogą już nad nami panować, ponieważ On, na krzyżu, wziął na siebie truciznę grzechu i śmierci i pokonał jej niszczycielską moc. To właśnie uczynił Ojciec w obliczu szerzącego się w świecie zła; dał nam Jezusa, który stał się nam bliski w sposób, jakiego nigdy nie mogliśmy sobie wyobrazić: „On to dla nas grzechem uczynił Tego, który nie znał grzechu, abyśmy się stali w Nim sprawiedliwością Bożą” (2 Kor 5, 21). Oto nieskończona wielkość Bożego miłosierdzia: Jezus, który dla nas „uczynił siebie grzechem”, Jezus, który na krzyżu – można powiedzieć – „uczynił siebie wężem”, abyśmy, patrząc na Niego, mogli oprzeć się jadowitym ukąszeniom atakujących nas złych węży.

Bracia i siostry, to jest droga, jedyna droga naszego zbawienia, naszego odrodzenia i zmartwychwstania: patrzeć na Jezusa ukrzyżowanego. Z tej wysokości możemy zobaczyć nasze życie i historię naszych narodów w nowy sposób. Z Krzyża Chrystusa uczymy się bowiem miłości, a nie nienawiści; uczymy się współczucia, a nie obojętności; uczymy się przebaczenia, a nie zemsty. Rozpostarte ramiona Jezusa to uścisk czułości, z jakim Bóg chce przyjąć nasze życie. I ukazują nam braterstwo, do którego jesteśmy powołani, aby żyć między sobą. Wskazują nam one drogę, drogę chrześcijańską: nie drogę narzucania i przymusu, władzy i znaczenia, nigdy drogę, która wymierza krzyż Chrystusa przeciwko innym braciom i siostrom, za których On oddał swoje życie! Droga Jezusa jest inną, jest drogą zbawienia: jest to droga miłości pokornej, bezinteresownej i powszechnej, bez „jeśli” czy „ale”.

Tak, bo na drzewie krzyża Chrystus zabrał truciznę wężowi zła, a bycie chrześcijanami oznacza życie bez trucizny: nie kąsanie się nawzajem, nie szemranie, nie oskarżanie, nie plotkowanie, nie szerzenie złych uczynków, nie zanieczyszczanie świata grzechem i nieufnością, która pochodzi od Złego. Bracia, siostry, odradzamy się z otwartego boku Jezusa na krzyżu: niech nie będzie w nas śmiercionośnego jadu (por. Mdr 1, 14). Módlmy się natomiast, abyśmy dzięki łasce Bożej stawali się coraz bardziej chrześcijanami: radosnymi świadkami nowego życia, miłości, pokoju.

[01367-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى كازاخستان

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القداس الإلهي في عيد ارتفاع الصّليب المقدّس

في نور سلطان

الأربعاء 14 أيلول/سبتمبر 2022

الصّليب هو مشنقة الموت، ولكن في هذا العيد نحتفل بارتفاع صليب المسيح. لأنّه على تلك الخشبة حمل يسوع على عاتقه خطيئتنا وشرّ العالم، وهزمهما بمحبّته. لهذا نحتفل اليوم. تبيِّن لنا ذلك كلمة الله التي أصغينا إليها: هناك من ناحية، الحيّات التي تلدغ، ومن ناحية أخرى الحيّة التي تخلّص. لنتوقّف عند هاتَين الصّورتَين.

أوّلًا، الحيّات التي تلدغ. إنّها تلدغ الشّعب الذي سقط للمرّة الألف في خطيئة التذمّر. التذمّر على الله لا يعني فقط كلام السّوء والتذمّر عليه تعالى؛ بل هو، بمعنى أعمق، غياب الثقة بالله، وبوعده، من قلوب بَني إِسْرائيل. كان شعب الله، في الواقع، يسير في الصّحراء نحو أرض الميعاد وقد أنهكه التعب، ولم يستطِع تحمّل السّفر (راجع عدد 21، 4). فأحبطت عزيمته، وفقد الرّجاء، وفي لحظة معينة بدا الأمر كما لو أنّه نسي وعد الله: لم يعد لدى هؤلاء الناس القوّة ليؤمنوا بأنّه هو الذي يقود مسيرتهم نحو أرض غنيّة ومثمرة.

ليس من قبيل الصّدفة أنّه عندما نَفَدَت الثقة بالله، بدأت الحيّات القاتلة تلدغ الشّعب. إنّها تذكّرنا بالحيّة الأولى التي تكلّم عليها الكتاب المقدس في سِفر التكوين، إنّها المجرّب الذي سمّم قلب الإنسان وجعله يشك في الله. في الواقع هو أنّ الشّيطان، بالتّحديد في شكل حيّة، قد فَتَنَ آدم وحواء، وولّد فيهما عدم الثقة وأقنعهما أنّ الله ليس صالحًا، بل هو حسودٌ بسبب حريتهما وسعادتهما. والآن، في الصّحراء، عادت الحيّات، "الحَيَّاتِ اللاَّذعة" (عدد 21، 6)؛ أيّ عادت الخطيئة الأصليّة: بَنو إسْرائيل يشكُّون في الله، ولا يثقون به، ويتذمرّون، ويتمردون على من أعطاهم الحياة، وبالتالي يعرِّضون أنفسهم للموت. هذا ما يُحدِثُه عدم الثقة في القلب!

أيها الإخوة والأخوات الأعزّاء، هذا الجزء الأوّل من القصة يطلب منّا أن ننظر عن كثب إلى اللحظات في تاريخنا الشّخصيّ والجماعيّ التي غابت فيها الثقة بالله، وثقتنا بعضنا ببعض. كم مرّة فقدنا الثقة والصّبر، وقَسَوْنا في صحاري حياتنا، وغاب عن بصرنا هدف المسيرة! حتى في هذا البلد الكبير توجد الصّحراء التي تقدّم لنا مشاهد رائعة، وتذكّرنا في الوقت نفسه بالتعب والجهد، والجفاف الذي نحمله في قلوبنا. إنّها لحظات التعب والمحنة، التي لم تَعُدْ لدينا فيها القوّة لننظر إلى العُلَى، إلى الله؛ إنّها مواقف في الحياة الشّخصيّة والكنسيّة والاجتماعيّة، التي تلدغنا فيها حيّة عدم الثقة، وتنفث فينا سموم خيبة الأمل وصعوبة العيش والتشاؤم والاستسلام، فننغلق في ”الأنا“، وتُطفئ فينا الحماس.

في تاريخ هذه الأرض، كانت هناك لدغات أخرى مؤلمة: أفكّر في حيّات العنف اللاَّذعة، والاضطهاد الإلحاديّ، ومسيرة مُضنِيَة أحيانًا، هدَّدَت حرية الشّعب وجرحت كرامته. حَسَنٌ لنا أن نحتفظ بذكرى آلامنا: يجب ألّا نزيل بعض الظلمات في ذاكرتنا، وإلا يمكن أن نظن أنّها مياه عابرة، وأن طريق الخير صار محدّدًا بشكل نهائي. لا، لا يتمّ كسب السّلام أبدًا مرّة واحدة وإلى الأبد، بل يجب الفوز به كلّ يوم، وكذلك العيش معًا بين الجماعات العرقيّة والتّقاليد الدينيّة المختلفة، والتنمية المتكاملة، والعدالة الاجتماعيّة. حتى يتمّ مزيد من التقدّم والنمو في كازاخستان "في الأخوّة والحوار والتفاهم [...]، ولبناء جسور تعاون وتضامن مع الشّعوب والأمّم والثقافات الأخرى" (القدّيس يوحنا بولس الثاني، خطاب أثناء حفل الترحيب، 22 أيلول/سبتمبر 2001)، يحتاج البلد إلى التزام الجميع. حتى قبل ذلك، هناك حاجة إلى فعل إيمان متجدّد بالله: أن ننظر إلى العُلَى، وأن ننظر إليه تعالَى، وأن نتعلّم من محبّته الشّاملة على الصّليب.

وهكذا نأتي إلى الصّورة الثّانية وهي: الحيّة التي تُخلّص. بينما كان الشّعب يموت بسبب الحيّات اللّاذعة، استجاب الله لصلاة موسى يتشفّع بالشّعب، وقال له: "اصنَعْ لَكَ حَيَّةً لاذِعَةً واجعَلْها على سارِيَة، فكُلُّ لَديغٍ يَنظُرُ إِلَيها يَحْيا" (عدد 21، 8). في الواقع، "كانَ أَيُّ إِنْسانٍ لَدَغَته حَيَّةٌ ونَظَرَ إِلى الحَيَّةِ النُحاسِيَّةِ يَحْيا" (آية 9). ومع ذلك، يمكن أن نتساءل: لماذا لم يقضِ الله ببساطة على الحيّات السّامّة، بدل أن يعطي هذه التّعليمات المعقّدة لموسى؟ يبَيِّن لنا هذا طريقة الله في التعامل مع الناس، أمام الشّرّ، والخطيئة وانعدام الثّقة في البشريّة. وكما في الماضي، كذلك الآن أيضًا، في المعركة الروحيّة الكبرى التي تسكن التاريخ حتى النّهاية، لا يبيد الله الشّرّ الذي يسعى إليه الإنسان بحريّته: الحيّات السّامّة لا تختفي، إنّها دائمًا موجودة، وتتربّص بنا، ويمكنها دائمًا أن تلدغ. ما الذي تغيّر إذن، وماذا صنع الله؟

شرح يسوع ذلك في الإنجيل، قال: "كما رَفَعَ مُوسى الحَيَّةَ في البَرِّيَّة، فكذلِكَ يَجِبُ أَن يُرفَعَ ابنُ الإِنسان، لِتَكونَ بِهِ الحَياةُ الأَبديَّةُ لِكُلِّ مَن يُؤمِن" (يوحنّا 3، 14-15). هذا هو التحوّل: وصلت إلى ما بيننا الحيّة التي تخلّص: وهو يسوع الذي رُفع على خشبة الصّليب، ولا يسمح للحيّات السّامّة التي تهاجمنا، أن تقودنا إلى الموت. أمام وَضَاعَتنا، وَهَبنا الله سُمُوًّا جديدًا وهو: إن أبقينا نظرنا موجّهًا إلى يسوع، لن تستطع بعد لدغات الشّرّ أن تسيطر علينا، لأنّ يسوع، على الصّليب، أخذ على عاتقه سُمّ الخطيئة والموت، وهزم قوّتها المدمّرة. هذا ما فعله الآب أمام انتشار الشّرّ في العالم، لقد أعطانا يسوع، الذي تقرّب منّا كما لم يكن بإمكاننا أن نتخيّل أبدًا: "ذاكَ الَّذي لم يَعرِفِ الخَطيئَة جَعَلَه اللهُ خَطيئَةً مِن أَجْلِنا" (2 قورنتس 5، 21). هذه هي عَظَمَة الرّحمة الإلهيّة التي لا نهاية لها: يسوع الذي ”صار خطيئة“ من أجلنا، ويسوع الذي على الصّليب ”صار حيّة“ - يمكننا أن نقول -، حتّى إذا ما نظرنا إليه أمكننا أن نقاوم لدغات الحيّات السّامّة والخبيثة التي تهاجمنا.

أيّها الإخوة والأخوات، هذا هو الطّريق، طريق خلاصنا، وولادتنا من جديد وقيامتنا، وهو: أن ننظر إلى يسوع المصلوب. من هذا الارتفاع يمكننا أن نرى حياتنا وتاريخ شعوبنا بطريقة جديدة. لأنّنا من صليب المسيح نتعلّم المحبّة، لا الكراهية، ونتعلّم الرّأفة، لا اللّامبالاة، ونتعلّم المغفرة، لا الانتقام. إنّ ذراعَي يسوع المفتوحتَين، هما عناق الحنان الذي به يريد الله أن يستقبلنا، ويبيّنان لنا الأخوّة التي نحن مدعوّون إلى أن نعيشها فيما بيننا ومع الجميع. إنّهما يدلّاننا على الطّريق، الطّريق المسيحيّ: لا طريق إجبار إكراه، ولا طريق القوي ومَن هو الأهمّ، ولا الطريق الذي به يصارع صليب المسيح الإخوة والأخوات الذين من أجلهم بذل المسيح حياته. طريق يسوع هو طريق آخر، هو طريق الخلاص: إنّه طريق المحبّة المتواضعة، والمجّانيّة والشّاملة، ومن دون ”إذا“ ومن دون ”لكن“.

نعم، لأنّ يسوع وهو على خشبة الصّليب، أزال سُمّ حيّة الشّرّ. وأن نكون مسيحيّين، هذا يعني أن نعيش من دون سُموم: أي ألّا نلدغ بعضنا بعضًا، ولا نتذمّر، ولا نتّهم، ولا نثرثر، ولا ننشر عمل الشّرّ، ولا نلوّث العالم بالخطيئة وعدم الثّقة اللذين يأتيان من الشّرّير. أيّها الإخوة والأخوات، لقد وُلدنا من جديد من جَنْبِ يسوع المفتوح على الصّليب: فلا يكن فينا سُمٌّ مُهلِك (راجع الحكمة 1، 14). بل، لنصلِّ، حتّى يمكننا أن نصير مسيحيّين بنعمة الله أكثر فأكثر: وأن نصبح شهودًا فرحين لحياة جديدة، وللمحبّة، وللسّلام.

[01367-AR.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua russa

ПРОПОВЕДЬ СВЯТЕЙШЕГО ОТЦА

С. Месса в праздник Воздвижения Святого Креста

Нур-Султан, 14 сентября 2022

Крест - это эшафот смерти, но в этот праздничный день мы молитвенно отмечаем воздвижение Креста Христова. Ведь на том древе Иисус взял на Себя наш грех и зло мира и победил их Своей любовью. Именно поэтому сегодня для нас праздник. Слово Божье, которое мы услышали, говорит нам об этом, противопоставляя, с одной стороны, змей, которые кусают, и, с другой стороны, змея, который спасает. Давайте остановимся на этих двух образах.

Во-первых, змеи, которые кусают. Они нападают на народ, который в очередной раз впал в грех ропота. Роптать на Бога означает не только злословить и жаловаться на Него; это означает, более глубоко, что в сердцах израильтян доверие к Нему, к Его обещанию, потерпело крах. Народ Божий, по сути, идет по пустыне к обетованной земле и его одолевает усталость, он не в состоянии выносить этот путь (ср. Чис 21, 4). И тогда он впадает в уныние, теряет надежду, и в какой-то момент как будто забывает обещание Господа: у этих людей больше нет сил верить, что именно Он направляет их путь к богатой и плодородной земле.

Не случайно, когда иссякает их доверие к Богу, людей кусают змеи, которые убивают. Они напоминают первого змея, упомянутого в Библии в книге Бытия, искусителя, который отравляет сердце человека, заставляя его сомневаться в Боге. На самом деле, дьявол, именно в виде змея, обольщает Адама и Еву, вводит их в заблуждение, убеждая, что Бог не добр, да и вообще, он завидует их свободе и счастью. И вот, в пустыню возвращаются змеи, "жалящие змеи" (ст. 6), то есть возвращается первородный грех: израильтяне сомневаются в Боге, не доверяют Ему, ропщут, восстают против Того, Кто дал им жизнь, и таким образом идут на встречу смерти. Вот к чему приводит недоверие сердца!

Дорогие братья и сёстры, эта первая часть повествования просит нас внимательнее присмотреться к тем моментам в нашей личной и общинной истории, когда потерпело крах доверие, как к Господу, так и между нами. Сколько раз, удрученные и смятенные, мы увяли в своих пустынях, теряя из виду цель пути! Также в этой большой стране есть пустыня, которая, хотя и представляет собой великолепный пейзаж, говорит нам о той усталости, о той засухе, которую мы иногда носим в наших сердцах. Это моменты усталости и испытаний, когда у нас больше нет сил вознести взор к Богу; это ситуации личной, церковной и общественной жизни, когда нас кусает змея недоверия, которая впрыскивает в нас яды разочарования и уныния, пессимизма и покорности судьбе, замыкая нас в нашем эго, гася энтузиазм.

Но ведь история этой земли не лишена и других болезненных укусов: я думаю о жалящих змеях насилия, об атеистическом преследовании, о порой неспокойном пути, на котором свобода народа была под угрозой, а его достоинство уязвлено. Нам полезно бережно хранить воспоминания о пережитых страданиях: мы не должны вычеркивать из своей памяти некоторые неясности, иначе мы можем поверить, что они - это утёкшая вода, которая назад не вернётся и что путь добра навсегда проложен. Нет, мир нельзя приобрести раз и навсегда, его нужно стяжать каждый день, как и сосуществование различных этнических групп и религиозных традиций, цельное развитие, социальную справедливость. А для того, чтобы Казахстан еще больше развивался «в братстве, диалоге и понимании [...] для наведения мостов солидарного сотрудничества с другими народами, нациями и культурами» (Св. Иоанн Павел II, Выступление во время церемонии приветствия, 22 сентября 2001 г.), необходимо всеобщее усилие. А ещё раньше, необходим обновленный акт веры в Господа: устремлять взор вверх, обращать взор к Нему, учиться у Его всеобщей и распятой любви.

Вот теперь, переходим ко второму образу: змею, который спасает. В то время, когда люди умирали от жалящих змей, Бог слышит заступническую молитву Моисея и говорит ему: «Сделай себе змея и выставь его на знамя, и ужаленный, взглянув на него, останется жив» (Чис 21, 8). Действительно, «когда змей ужалил человека, он, взглянув на медного змея, оставался жив» (ст. 9). Однако мы можем спросить себя: почему Бог, вместо того чтобы давать Моисею эти трудоемкие инструкции, просто не уничтожил ядовитых змей? Такой способ действий раскрывает нам Его деяние перед лицом зла, греха и недоверия человечества. Тогда, как и сейчас, в великой духовной битве, которая будет присутствовать до конца истории, Бог не уничтожает мерзость, за которой вольно гонится человек: ядовитые змеи не исчезли, они все ещё там, они залегли в засаде, они всегда могут укусить. Что же тогда изменилось, что делает Бог?

Иисус объясняет это в Евангелии: «И как Моисей вознес змию в пустыне, так должно вознесену быть Сыну Человеческому, дабы всякий, верующий в Него, не погиб, но имел жизнь вечную» (Ин 3, 14-15). Вот поворотный момент: змей, который спасает, пришел к нам: Иисус, вознесенный на древе креста, не позволяет ядовитым змеям, нападающим на нас, привести нас к смерти. Перед лицом наших подлостей Бог дарует нам новую высоту: если мы устремляем свой взор на Иисуса, укусы зла больше не могут властвовать над нами, потому что Он на кресте принял на Себя яд греха и смерти и победил их разрушительную силу. Вот как поступил Небесный Отец ввиду распространения зла в мире: Он дал нам Иисуса, Который сблизился с нами так, как мы никогда не могли бы себе представить. «Не знавшего греха Бог сделал грехом ради нас» (2 Кор 5, 21). Это и есть бесконечное величие Божественного милосердия: Иисус, Который "сделался грехом" ради нас, Иисус, Который на кресте - можно сказать - "сделался змеем", чтобы, взирая на Него, мы могли противостоять ядовитым укусам злых змей, нападающих на нас.

Братья и сёстры, вот путь, путь нашего спасения, нашего возрождения и воскресения: взирать на Иисуса распятого. С этой высоты мы можем по-новому увидеть нашу жизнь и историю наших народов. Ведь от Креста Христа мы учимся любви, а не ненависти; учимся состраданию, а не безразличию; учимся прощать, а не мстить. Протянутые руки Иисуса - это объятия нежности, в которые Бог хочет заключить нас. И они показывают нам братство, между собой и со всеми, в котором мы призваны жить. Они показывают нам путь, христианский путь: не путь навязывания и принуждения, власти и значимости, никоим образом такой путь, который использует крест Христа против других братьев и сестер, за которых Он отдал Свою жизнь! Путь Иисуса - другой, путь спасения: это путь смиренной, безвозмездной и всеобщей любви, без "если" и "но".

Да, потому что на древе креста Христос отнял яд у змея зла, а быть христианами - значит жить без яда: не кусать друг друга, не роптать, не обвинять, не сплетничать, не распространять злые дела, не загрязнять мир грехом и недоверием, исходящим от Лукавого. Братья, сёстры, мы возродились из бока Иисуса, пробитого на кресте: да не будет в нас яда смерти (ср. Прем 1,14). Вместо этого давайте помолимся о том, чтобы по Божьей милости мы становились все более и более христианами: радостными свидетелями новой жизни, любви, мира.

[01367-RU.01] [Testo originale: Italiano]

Parole di ringraziamento al termine della Santa Messa

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Traduzione in lingua russa

Testo in lingua italiana

Grazie, Mons. Peta, per le Sue parole, grazie per tutto l’impegno profuso nel preparare questa Celebrazione e la mia visita. Desidero in proposito rinnovare cordiale riconoscenza alle Autorità civili e religiose del Paese. Saluto tutti voi, fratelli e sorelle, in modo particolare quanti siete giunti da altri Paesi dell’Asia centrale e da parti lontane di questa sconfinata terra. Benedico di cuore gli anziani e gli ammalati, i bambini e i giovani.

Oggi, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, sentiamoci spiritualmente uniti al santuario nazionale della Regina della Pace di Oziornoje. Mons. Tomash ha ricordato che lì si trova una grande croce, su cui tra l’altro è scritto: “Al popolo del Kazakhstan gratitudine” e “agli uomini pace”. La gratitudine al Signore per il santo popolo di Dio che vive in questo grande Paese si unisce a quella per il suo impegno a promuovere il dialogo, e si trasforma in invocazione di pace, pace di cui il nostro mondo è assetato.

Penso a tanti luoghi martoriati dalla guerra, soprattutto alla cara Ucraina. Non abituiamoci alla guerra, non rassegniamoci alla sua ineluttabilità. Soccorriamo chi soffre e insistiamo perché si provi davvero a raggiungere la pace. Che cosa deve accadere ancora, quanti morti bisognerà attendere prima che le contrapposizioni cedano il passo al dialogo per il bene della gente, dei popoli e dell’umanità? L’unica via di uscita è la pace e la sola strada per arrivarci è il dialogo. Ho appreso con preoccupazione che in queste ore si sono accesi nuovi focolai di tensione nella regione caucasica. Continuiamo a pregare perché, anche in questi territori, sulle contese prevalgano il confronto pacifico e la concordia. Il mondo impari a costruire la pace, anche limitando la corsa agli armamenti e convertendo le ingenti spese belliche in sostegni concreti alle popolazioni. Grazie a tutti coloro che credono in questo, grazie a voi e a quanti sono messaggeri di pace e di unità!

[01389-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Merci, Mgr Peta, pour vos paroles, merci pour tous vos efforts déployés dans la préparation de cette célébration et de ma visite. À cet égard, je tiens à renouveler ma cordiale gratitude aux Autorités civiles et religieuses du pays. Je vous salue tous, frères et sœurs, en particulier ceux qui sont venus d'autres pays d'Asie centrale, et de régions éloignées de cette terre sans limites. Je bénis de tout cœur les personnes âgées et les malades, les enfants et les jeunes.

Aujourd'hui, fête de l'Exaltation de la Sainte Croix, sentons-nous spirituellement unis au sanctuaire national de la Reine de la Paix, d’Oziornoje. Mgr Tomash a rappelé qu'il y a là une grande croix, sur laquelle est notamment écrit: "Au peuple du Kazakhstan merci" et "paix aux hommes". La gratitude envers le Seigneur pour le saint peuple de Dieu qui vit dans ce grand pays se combine avec la gratitude pour son engagement à promouvoir le dialogue, et se transforme en une invocation pour la paix, une paix dont notre monde a soif.

Je pense à tant de lieux marqués par la guerre, notamment à la chère Ukraine. Ne nous habituons pas à la guerre, ne nous résignons pas à son caractère inévitable. Allons au secours de ceux qui souffrent, et insistons pour que nous essayions réellement de parvenir à la paix. Que faut-il de plus, combien de morts faut-il attendre avant que les affrontements ne cèdent le pas au dialogue pour le bien des personnes, des peuples et de l'humanité? La seule issue est la paix et la seule voie pour y arriver est le dialogue. J’ai appris avec inquiétude que de nouveaux foyers de tension se sont allumés au cours de ces heures dans la région dans la région du Caucase. Continuons à prier afin que, même dans ces territoires, la confrontation pacifique et la concorde l’emportent sur les querelles. Le monde apprenne à construire la paix, notamment en limitant la course aux armements et en convertissant les énormes dépenses de guerre en soutien concret aux populations. Merci à tous ceux qui y croient, merci à vous et à tous ceux qui sont des messagers de paix et d'unité!

[01389-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Thank you, Archbishop Peta, for your kind words. Thank you too for all the effort that went into the preparation for this celebration and for my Visit. I also renew the expression of my heartfelt gratitude to the civil and religious authorities of the country. I greet all of you, brothers and sisters, and in particular those of you who have come from other countries of Central Asia and from the distant parts of this vast land. With great affection, I bless the elderly and the sick, the children and the young people.

Today, on this Feast of the Exaltation of the Holy Cross, we feel spiritually united to the National Sanctuary of the Queen of Peace in Oziornoje. Bishop Tomash reminded us of its great cross, inscribed with the words: “Gratitude to the People of Kazakhstan” and “Peace to Mankind”. Gratitude to the Lord for the holy people of God living in this great country, joined to gratitude for its commitment to promoting dialogue, becomes a plea for peace, the peace for which our world so deeply yearns.

My thoughts turn to all the war-torn areas of our world, and particularly beloved Ukraine. May we never grow accustomed to war, or resigned to its inevitability. Let us come to the aid of those who suffer and insist that genuine efforts be made to achieve peace. What still needs to happen, and how many deaths will it still take, before conflict yields to dialogue for the good of people, nations and all humanity? The one solution is peace and the only way to arrive at peace is through dialogue. I am troubled to learn that in these very hours there have been new outbreaks of tension in the Caucasus region. Let us continue to pray that, in these lands too, peaceful discussions and concord will prevail over disagreements. May our world learn how to build peace, not least by limiting the arms race and converting the enormous sums spent on war into concrete assistance to peoples. I thank all those who believe in this; I thank all of you, and all those men and women who are heralds of peace and unity!

[01389-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Danke, lieber Erzbischof Peta, für Ihre Worte, danke für all Ihre Bemühungen bei der Vorbereitung dieser Feier und meines Besuchs. In diesem Zusammenhang möchte ich den zivilen und religiösen Autoritäten des Landes meinen herzlichen Dank aussprechen. Ich grüße euch alle, liebe Brüder und Schwestern, insbesondere diejenigen, die aus anderen Ländern Zentralasiens und aus weit entfernten Teilen dieses unermesslich großen Gebietes gekommen sind. Ich segne von Herzen die Alten und die Kranken, die Kinder und die Jugendlichen.

Heute, am Fest der Kreuzerhöhung, wollen wir uns im Geiste mit dem Nationalheiligtum der Königin des Friedens in Oziornoje vereinen. Erzbischof Tomash hat daran erinnert, dass dort ein großes Kreuz steht, auf dem unter anderem zu lesen ist: „Dankbarkeit dem Volk von Kasachstan“ und „Friede den Menschen“. Die Dankbarkeit gegenüber dem Herrn für das heilige Volk Gottes, das in diesem großen Land lebt, verbindet sich mit der Dankbarkeit für sein Engagement zur Förderung des Dialogs und wird schließlich zu einem Ruf nach Frieden, nach dem unsere Welt dürstet.

Ich denke an die vielen so schwer vom Krieg gezeichneten Orte, vor allem an die geliebte Ukraine. Wir dürfen uns nicht an den Krieg gewöhnen, wir dürfen uns nicht mit seiner Unvermeidlichkeit abfinden. Lasst uns denen helfen, die leiden, und lasst uns darauf bestehen, dass wirklich versucht wird, Frieden zu schaffen. Was muss noch geschehen, wie viele Tote muss es erst noch geben, bevor die Konflikte dem Dialog zum Wohle der Menschen, der Völker und der Menschheit weichen? Der einzige Ausweg ist der Frieden, und der einzige Weg dorthin ist der Dialog. Mit Besorgnis habe ich vernommen, dass es in den letzten Stunden zu neuen Spannungen in der Kaukasusregion gekommen ist. Beten wir weiterhin dafür, dass sich auch in diesen Gebieten friedliche Konfliktlösungen und Verständigung durchsetzen werden. Die Welt möge lernen, Frieden zu schaffen, unter anderem dadurch, dass sie das Wettrüsten einschränkt und die enormen Kriegsausgaben in konkrete Unterstützungsleistungen für die Völker umwandelt. Danke an alle, die daran glauben, danke an euch und an alle, die Boten des Friedens und der Einheit sind!

[01389-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Gracias, Mons. Peta, por sus palabras, gracias por todo el esfuerzo realizado para preparar esta Celebración y mi visita. A este respecto, deseo renovar un cordial agradecimiento a las Autoridades civiles y religiosas del país. Los saludo a todos ustedes, hermanos y hermanas, de modo particular a los que han llegado de otros países de Asia central y de partes lejanas de esta tierra infinita. Bendigo de corazón a los ancianos y a los enfermos, a los niños y a los jóvenes.

Hoy, Fiesta de la Exaltación de la Santa Cruz, sintámonos unidos espiritualmente al Santuario nacional de la Reina de la Paz de Oziornoje. Mons. Tomash ha recordado que allí se encuentra una gran cruz, en la que, entre otras cosas, está escrito: “Al pueblo de Kazajistán gratitud” y “a los hombres paz”. La gratitud al Señor por el santo pueblo de Dios que vive en este gran país se une a su esfuerzo por promover el diálogo, y se transforma en súplica de paz, paz de la que nuestro mundo está sediento.

Pienso en tantos lugares martirizados por la guerra, sobre todo en la querida Ucrania. No nos acostumbremos a la guerra, no nos resignemos a lo inevitable. Socorramos a los que sufren e insistamos para que se intente realmente alcanzar la paz. ¿Qué debe suceder aún, qué cantidad de muertos debemos esperar antes de que las rivalidades cedan el paso al diálogo por el bien de la gente, de los pueblos y de la humanidad? La única salida es la paz y el único camino para llegar a ella es el diálogo. He sentido una gran preocupación al enterarme de que en estas horas se han iniciado nuevos focos de tensión en la región caucásica. Sigamos rezando para que, también en estos territorios, la confrontación pacífica y la concordia prevalezcan sobre los conflictos. Que el mundo aprenda a construir la paz, también reduciendo la carrera armamentística y convirtiendo los enormes gastos de guerra en ayudas concretas a la población. Gracias a todos los que creen en esto, gracias a ustedes y a cuantos son mensajeros de la paz y la unidad.

[01389-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Obrigado, D. Tomash Peta, pelas suas palavras! Obrigado por todo o esforço feito para preparar esta Celebração e a minha visita. A propósito, desejo renovar a minha cordial gratidão às Autoridades civis e religiosas do país. Saúdo a todos vós, irmãos e irmãs, em particular aqueles que vieram doutros países da Ásia central e dos lugares mais distantes desta terra infinda. Abençoo de coração os idosos e os doentes, as crianças e os jovens.

Hoje, festa da Exaltação da Santa Cruz, sentimo-nos espiritualmente unidos ao Santuário nacional da Rainha da Paz em Ozyornoje. D. Tomash lembrou que lá se encontra uma grande cruz na qual, entre outras coisas, está escrito: «Ao povo do Cazaquistão, gratidão» e «aos homens, paz». A gratidão ao Senhor pelo santo povo de Deus, que vive neste grande país, junta-se à gratidão pelo seu empenho na promoção do diálogo, e transforma-se numa imploração de paz; paz de que está sequioso o nosso mundo.

Penso em tantos lugares martirizados pela guerra, sobretudo na querida Ucrânia. Não nos habituemos à guerra, não nos resignemos à sua inevitabilidade. Socorramos quem sofre e insistamos para que se tente verdadeiramente alcançar a paz. Que mais terá ainda de acontecer? Quantos mortos teremos ainda de contar antes de as contraposições cederem o passo ao diálogo para bem das pessoas, dos povos e da humanidade? A única saída é a paz, e a única estrada para se chegar lá é o diálogo. Soube com preocupação que, nestas horas, surgiram novos focos de tensão na região do Cáucaso. Continuemos a rezar para que, também nestes territórios, o confronto pacífico e a concórdia prevaleçam sobre as disputas. Continuemos a rezar para que o mundo aprenda a construir a paz, inclusive limitando a corrida aos armamentos e convertendo os enormes gastos de guerra em apoio concreto às populações. Obrigado a todos aqueles que acreditam nisto! Obrigado a vós e a quantos são mensageiros de paz e de unidade!

[01389-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Dziękuję Księże Arcybiskupie Peta za Twoje słowa, dziękuję za cały wysiłek włożony w przygotowanie tej uroczystości i mojej wizyty. Pragnę przy tej okazji ponowić serdeczną wdzięczność Władzom cywilnym i religijnym Kraju. Pozdrawiam was wszystkich, bracia i siostry, w szczególny sposób tym, którzy przybyli z innych krajów Azji Środkowej i z odległych zakątków tej bezkresnej ziemi. Serdecznie błogosławię osoby starsze i chore, dzieci i młodzież.

Dziś, w święto Podwyższenia Krzyża Świętego, czujemy się duchowo zjednoczeni w narodowym sanktuarium Królowej Pokoju w Oziornoje. Ksiądz Arcybiskup Tomasz przypomniał, że znajduje się tam duży krzyż, na którym m.in. wypisane są słowa: „narodowi kazachskiemu – rozkwit” i „ludziom – pokój”. Wdzięczność Panu za święty lud Boży, który żyje w tym wielkim kraju łączy się z wdzięcznością za jego zaangażowanie w krzewienie dialogu i przekształca się w błaganie o pokój, pokój, którego nasz świat jest spragniony.

Myślę o wielu miejscach udręczonych wojną, szczególnie o umiłowanej Ukrainie. Nie przyzwyczajajmy się do wojny, nie ulegajmy jej nieuchronności. Przyjdźmy z pomocą tym, którzy cierpią, i nalegajmy, aby naprawdę usiłowano osiągnąć pokój. Co jeszcze musi się wydarzyć, ile osób musi umrzeć zanim konfrontacje ustąpią miejsca dialogowi dla dobra ludzi, narodów i ludzkości? Jedynym wyjściem jest pokój, a jedyną drogą do niego jest dialog. Z niepokojem dowiedziałem się, że w ostatnich godzinach w regionie Kaukazu pojawiły się nowe ogniska napięcia. Módlmy się nadal o to, aby również na tych terytoriach nad sporami zwyciężyła spokojna rozmowa i zgoda. Niech świat nauczy się budować pokój, także poprzez ograniczenie wyścigu zbrojeń i zamianę ogromnych wydatków wojennych na konkretne wsparcie dla ludności. Dziękuję wszystkim, którzy w to wierzą, dziękuję Wam i wszystkim, którzy są posłańcami pokoju i jedności!

[01389-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى كازاخستان

كلمة شكر في ختام القدّاس الإلهيّ

في نور سلطان

الأربعاء 14 أيلول/سبتمبر 2022

شكرًا لك، المونسنيور بيتا، على كلماتك، وشكرًا على كلّ الجهود التي بذلتها في التحضير لهذا الاحتفال وفي تحضير زيارتي. في هذا الصّدد، أودّ أن أجدّد خالص شكري وتقديري لسُّلطات البلاد المدنيّة والدينيّة. أحيّيكم جميعًا، أيّها الإخوة والأخوات، وخاصّة أنتم الذين قدِمتم من بلدان أخرى في آسيا الوسطى ومن أنحاء بعيدة من هذه الأرض الشاسعة. أبارك من كلّ قلبي كبار السّن والمرضى والأطفال والشّباب.

لنتحّد روحيًّا اليوم، في عيد ارتفاع الصّليب المقدّس، مع مزار ملكة السّلام الوطنيّ في أوزيورنوي (Oziornoje). ذَكَرَ المونسنيور توماش أنّ هناك في المزار صليبًا كبيرًا كُتِبَ عليه، من بين ما كُتِب: ”شُكرًا لشعب كازاخستان“ و ”للناس السّلام“. شُكرًا للرّبّ يسوع من أجل شعب الله المقدّس الذي يعيش في هذا البلد الكبير، والشُكر الموصول من أجل التزام هذا البلد بتعزيز الحوار، ويتحوّل الشُكر إلى دعاء للسّلام، السّلام الذي يتعطّش إليه عالمنا.

أفكّر في الأماكن العديدة التي مزقتها الحرب، ولا سيّما أوكرانيا العزيزة. لا نتعوّد على الحرب، ولا نستسلم لحتميتها. لنساعد الذين يتألّمون ولنلِحّ حتّى تتمّ المحاولة حقًا لتحقيق السّلام. ما الذي يجب أن يحدث بعد، وكم عدد القتلى الذي يجب أن ننتظره قبل أن تفسح المُخاصمات المجال للحوار من أجل خير الناس والشّعوب والإنسانيّة؟ الطّريق الوحيد للخروج من هذا الوضع هو السّلام، والطّريق الوحيد للوصول إليه هو الحوار. علمتُ بقلق أنّه في هذه السّاعات اشتعلت في منطقة القوقاز توتّرات جديدة. لنواصل الصّلاة حتّى يسود، في هذه الأراضي أيضًا، اللقاء السّلمي والانسجام على الخلافات. ليتعلّم العالم بناء السّلام، وذلك أيضًا بالحدّ من سباق التسلّح وبتحويل نفقات الحرب الهائلة إلى دعم عمليّ للسكان. شكرًا لكلّ من يؤمن بهذا، وشكرًا لكم ولكلّ من هم رسل السّلام والوَحدة!

[01389-AR.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua russa

N. 3b СЛОВА БЛАГОДАРНОСТИ

после Святой Мессы

Нур-Султан, 14 сентября 2022 г.

Благодарю Вас, архиепископ Пета, за ваши слова, спасибо за все ваши усилия по подготовке этого Богослужения и моего визита. В связи с этим я хочу ещё раз выразить сердечную благодарность представителям гражданских и религиозных властей страны. Приветствую всех вас, братья и сёстры, особенно тех, кто приехал из других стран Центральной Азии и из дальних уголков этой бескрайней земли. От всего сердца благословляю пожилых и больных людей, детей и молодёжь.

Сегодня, в праздник Воздвижения Святого Креста, мы пребываем в духовном единении с Национальным Святилищем Царицы Мира в Озёрном. Архиепископ Томаш напомнил, что там находится большой крест, на котором среди прочего написано: «Народу Казахстана - благодарность» и «людям - мир». Благодарность Господу за святой Божий народ, живущий в этой великой стране, сочетается с благодарностью за его стремление содействовать диалогу и превращается в призыв к миру, к тому миру, которого жаждет наш мир.

Я думаю о многих местах, измождённых войной, особенно о дорогой Украине. Давайте не привыкать к войне, давайте не смиряться с ее неизбежностью. Давайте придем на помощь тем, кто страдает, и давайте настаивать на попытках, направленных действительно на достижение мира. Что еще должно произойти, сколько смертей следует ожидать, прежде чем конфронтация уступит место диалогу на благо людей, народов и человечества? Единственный выход - это мир, а единственный путь к нему - диалог. С беспокойством я узнал, что в эти часы загорелись новые очаги напряжения в Кавказском регионе. Давайте продолжать молиться о том, чтобы также на тех территориях мирное урегулирование и согласие преобладало над раздорами. Пусть мир научится строить мир, в том числе путем ограничения гонки вооружений и преобразования огромных военных расходов в конкретную поддержку населения. Благодарю всех тех, кто верит в это, спасибо вам и всем тем, кто является посланником мира и единства!

[01389-RU.02] [Testo originale: Italiano]

[B0680-XX.02]