Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua araba
Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, i Membri della Fondazione AVSI per il Progetto “Ospedali Aperti” in Siria.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Udienza:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Do il benvenuto a tutti voi, radunati in questi giorni per portare avanti la lodevole iniziativa “Ospedali Aperti” in Siria. Ringrazio il Dottor Giampaolo Silvestri, Segretario Generale della Fondazione AVSI, per la sua introduzione. E saluto con viva gratitudine il Cardinale Zenari, che da quattordici anni è Nunzio Apostolico in Siria.
Pensando alla Siria, vengono in mente le parole del Libro delle Lamentazioni: «Poiché è grande come il mare la tua rovina, chi potrà guarirti?» (2,13). Sono espressioni che si riferiscono alle sofferenze di Gerusalemme e che possono far pensare anche a quelle vissute dalla popolazione siriana in questi dodici anni di sanguinoso conflitto. Considerando il numero imprecisato di morti e feriti, le distruzioni di interi quartieri e villaggi, e delle principali infrastrutture, tra cui anche quelle ospedaliere, viene spontaneo chiedersi: “Chi potrà ora guarirti, Siria?”. Quella siriana, a detta degli osservatori internazionali, rimane una delle più gravi crisi nel mondo, con distruzioni, crescenti bisogni umanitari, collasso socio-economico, povertà e fame a livelli gravissimi.
Ho ricevuto in dono l’opera di un artista, che, ispirandosi a una fotografia, a volti reali, ritrae un papà siriano, stremato di forze, che porta il suo bambino sulle spalle. È uno dei circa quattordici milioni di sfollati interni e rifugiati, ossia più di metà della popolazione siriana di prima del conflitto. È un’immagine impressionante di tante sofferenze patite dalla popolazione siriana.
Di fronte a questa immensa sofferenza, la Chiesa è chiamata ad essere un “ospedale da campo”, per curare le ferite sia spirituali sia fisiche. Pensiamo a quello che leggiamo nel Vangelo: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie» (Mc 1,32-34; cfr Lc 4,40). Il Signore che guarisce.
E la Chiesa, fin dal tempo degli Apostoli, è rimasta fedele al mandato di Gesù: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Gli Atti degli Apostoli ci raccontano che «portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro» (5,15) e li guarisce.
Facendo tesoro di questa eredità, ho esortato più volte i sacerdoti, specialmente il Giovedì Santo, a toccare le ferite, i peccati, le angustie della gente (cfr Omelia nella Messa Crismale, 18 aprile 2019). Toccare. E ho incoraggiato tutti i fedeli a toccare le piaghe di Gesù, che sono i tanti problemi, le difficoltà, le persecuzioni, le malattie delle persone che soffrono (cfr Regina Caeli, 28 aprile 2019; Evangelii gaudium, 24), e le guerre.
Cari amici, la vostra iniziativa “Ospedali Aperti”, impegnata a sostenere i tre Ospedali cattolici, operanti in Siria da cent’anni, e quattro ambulatori, è sorta sotto il patrocinio del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ed è sostenuta dalla generosità di Istituzioni ecclesiali – Papal Foundation e qualche Conferenza Episcopale –, di qualche ente governativo – quello ungherese e quello italiano –, di Istituzioni umanitarie cattoliche e di tante persone generose.
“Ospedali Aperti” è il vostro programma. Aperti a malati poveri, senza distinzione di appartenenza etnica e religiosa. Questa caratteristica esprime una Chiesa che vuol essere casa con le porte aperte e luogo di fratellanza umana. Nelle nostre istituzioni assistenziali-caritative, le persone, soprattutto i poveri, devono sentirsi “a casa” e sperimentare un clima di accoglienza dignitosa. E allora, come avete giustamente sottolineato, il frutto raccolto è duplice: curare i corpi e ricucire il tessuto sociale, promuovendo quel mosaico di convivenza esemplare tra vari gruppi etnico-religiosi caratteristico della Siria. A questo proposito, è significativo che i tantissimi musulmani assistiti nei vostri ospedali sono i più riconoscenti.
Questa vostra iniziativa, insieme ad altre che sono state promosse dalle Chiese in Siria, sboccia dalla creatività dell’amore, o, come diceva San Giovanni Paolo II, dalla «fantasia della carità» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50).
Oggi mi avete regalato una bella icona di Gesù Buon Samaritano. Quel malcapitato della parabola evangelica, derubato e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, può essere un’altra immagine drammatica della Siria, aggredita, derubata e abbandonata mezza morta ai bordi della strada. Ma non dimenticata e abbandonata da Cristo, il Buon Samaritano, e da tanti buoni samaritani: singole persone, associazioni, istituzioni. Alcune centinaia di questi buoni samaritani, tra cui alcuni volontari, hanno perso la vita soccorrendo il prossimo. A loro va tutta la nostra riconoscenza.
Nell’Enciclica Fratelli tutti ho scritto: «La storia del Buon Samaritano si ripete: l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada» (n. 71). E invitavo a riflettere: «Tutti abbiamo una responsabilità riguardo a quel ferito che è il popolo stesso e tutti i popoli della terra» (n. 79).
Di fronte a tante e gravi necessità, sentiamo tutto il limite delle nostre possibilità di intervento. Ci sentiamo un po’ come i discepoli di Gesù di fronte alla numerosa folla da sfamare: «Non abbiamo altro che cinque pani e due pesci; ma che cosa è questo per tanta gente?» (Gv 6,5-9).
Una goccia d’acqua nel deserto, verrebbe da dire. Tuttavia anche il pietroso deserto siriano, dopo le prime piogge di primavera, si ammanta di una coltre di verde. Tante piccole gocce, tanti fili d’erba!
Carissimi, vi ringrazio per il vostro lavoro e vi benedico di cuore. Andate avanti! Che i malati possano essere curati, che la speranza possa rinascere, che il deserto possa rifiorire! Lo chiedo a Dio per voi e con voi. E, per favore, non dimenticatevi di pregare anche per me. Grazie.
(Dopo la benedizione)
Questa sarà l’immagine, di questo papà siriano che fugge con il figlio, che a me ha fatto venire in mente quando San Giuseppe è dovuto fuggire in Egitto: non se n’è andato in carrozza, no, era così, fuggendo precariamente. L’originale di questa immagine me l’ha regalata l’autore che è un artista piemontese; io vorrei offrirla a voi perché guardando questo papà siriano e suo figlio pensiate a questa fuga in Egitto di ogni giorno, di questo popolo che soffre tanto. Grazie.
[01301-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters, welcome!
I offer you a warm greeting, as you meet in these days to advance the praiseworthy initiative of “Open Hospitals” in Syria. I thank Dr. Giampaolo Silvestri, Secretary General of the ASVI Foundation, for his kind words of introduction. I also cordially greet Cardinal Zenari, who has served as Apostolic Nuncio in Syria for fourteen years.
When we think of Syria, there comes to mind the verse of the Book of Lamentations: “Vast as the sea is your ruin; who can heal you?” (2:13). Those words refer to the sufferings of Jerusalem, but they also make us think of the suffering endured by the Syrian people in these twelve years of violent conflict. If we consider the number of the dead and wounded, the destruction of entire quarters and villages, as well as important infrastructures, including healthcare institutions, it is natural to ask: “Syria, who can now heal you?”
International observers tell us that the crisis in Syria continues to be one of the most serious worldwide, in terms of destruction, growing humanitarian needs, social and economic collapse, and poverty and famine at dire levels.
Recently, I was given a gift, a work by an artist who, inspired by a photograph with real faces, portrayed a Syrian father, physically exhausted, carrying his son on his shoulders. He was just one of some fourteen million internally displaced persons and refugees. That is more than half of the Syrian population prior to the conflict. It was a powerful image of the sufferings experienced by the Syrian people.
In the face of such immense suffering, the Church is called to be a “field hospital” and to heal wounds both physical and spiritual. We think of the words of the Gospel: “That evening, at sundown, they brought to [Jesus] all who were sick and possessed with demons. The whole city was gathered around the door. And he cured many who were sick with various diseases” (Mk 1:32-34; cf. Lk 4:40). It is the Lord who heals.
From the time of the Apostles, the Church has remained faithful to the mandate she has received from Jesus: “Cure the sick, raise the dead, cleanse the lepers, cast out demons. You have received without payment; give without payment” (Mt 10:8). In the Acts of the Apostles we read that “they carried out the sick into the streets and laid them on cots and mats, in order that Peter’s shadow might fall on some of them as he came by” (5:15) and might heal them.
Mindful of this legacy, I have frequently encouraged priests, especially on Holy Thursday, to touch the wounds, the sins, the anguish of their people (cf. Homily, Chrism Mass, 18 April 2019). To touch them. I have also encouraged all the faithful to touch the wounds of Jesus, that is, the many problems, difficulties, persecutions, and infirmities of those who suffer (cf. Regina Caeli, 28 April 2019; Evangelii Gaudium, 24), and the wars.
Dear friends, your project – “Open Hospitals” – is committed to supporting the three Catholic hospitals that have operated in Syria for a hundred years, as well as four walk-in clinics. This initiative came about with the patronage of the Dicastery for Promoting Integral Human Development and is supported by the generosity of Church-related institutions – The Papal Foundation and several Bishops’ Conferences, and some government agencies – Hungarian and Italian –Catholic humanitarian institutions and a number of generous individuals.
Your programme is precisely that of “Open Hospitals”. Open to those who are sick and poor, without distinction of ethnic or religious affiliation. This is the hallmark of a Church that seeks to be a home with open doors, a place of human fraternity. In our charitable institutions, people, and above all the poor, must feel “at home” and experience a climate of dignified welcome. Then, as you have rightly emphasized, two things will result: people’s bodies will be cared for and the social fabric will be mended by fostering the exemplary coexistence between different ethnic and religious groups that is characteristic of Syria. In this regard, it is significant that the many Muslims assisted by your hospitals are the most grateful.
Your initiative, together with others that have been promoted by the Church in Syria, blooms, as Saint John Paul II said, from the “creativity of charity” (Novo Millennio Ineunte, 50).
Today, you gave me a beautiful icon of Jesus the Good Samaritan. The man in the Gospel parable, beaten, robbed and left half-dead by the side of the road, can serve as another tragic image of Syria, beaten, robbed and abandoned for dead on the roadside. Yet not forgotten or abandoned by Christ, the Good Samaritan, and by so many other good Samaritans: individuals, associations and institutions. Several hundred of these good Samaritans, including several volunteers, have lost their lives helping their neighbours. Our gratitude goes to all of them.
In the Encyclical Fratelli Tutti, I wrote that, “The story of the Good Samaritan is constantly being repeated. We can see this clearly as social and political inertia are turning many parts of our world into a desolate byway, even as domestic and international disputes and the robbing of opportunities are leaving great numbers of the marginalized stranded on the roadside” (No. 71). And I asked everyone to consider that “all of us have a responsibility for the wounded, those of our own people and all the peoples of the earth” (No. 79).
In the face of so many serious needs, we experience how very limited are our possibilities for intervening. We feel a bit like Jesus’ disciples, faced with an enormous crowd that had to be fed: “We have only five barley loaves and two fish; but what are they among so many?” (Jn 5:6-9). A drop of water in the desert, we might say. Yet even the rocky Syrian desert, after the first spring rains, is clothed in a blanket of green. So many small drops, so many blades of grass!
Dear friends, I thank you for your work and I offer you my heartfelt blessing. Keep pressing forward! May the sick be cured, hope be reborn, and the desert blossom! I ask this of God, for you and with you. And I ask you too, please, remember to pray for me. Thank you.
(After the blessing)
This image, of the Syrian father fleeing with his son, reminded me of when Saint Joseph had to flee to Egypt. He did not go in a carriage, no, he went like this, fleeing precariously. The original of this image was given to me by the artist, who is from Piedmont. I want to offer it to you so that, looking at this Syrian father and his son, you can think of this everyday flight into Egypt, of this people that is suffering so much. Thank you.
[01301-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua araba
كلمة قداسة البابا فرنسيس
إلى المشاركين في مبادرة ”المستشفيّات المفتوحة“ في سوريا
السبت 3 أيلول/سبتمبر 2022
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، صباح الخير!
أرحّب بكم جميعًا، أنتم المجتمعين في هذه الأيام لكي تنفذوا في سوريا مبادرة ”المستشفيّات المفتوحة“ الجديرة بالثناء. أشكّر الدكتور جامباولو سيلفيستري، أمين عام مؤسّسة جمعيّة المتطوعين للخدمة الدوليّة (AVSI)، على مقدمته. وأحيّي بخالص الشّكر والتّقدير الكاردينال زيناري، السّفير البابويّ في سوريا منذ أربعة عشر عامًا.
عندما نفكر في سوريا، تتبادر إلى ذهني كلمات سفر المراثي: "لِأَنَّ تَحَطُّمَكِ عَظيمٌ كالبَحْر فمَن ذا يَشْفيكِ؟" (2، 13). هذه التعابير تشير إلى آلام القدس ويمكن أن تجعلنا نفكر في آلام الشّعب السّوري وكلّ معاناته، وفي هذه السّنوات الاثنتي عشرة من الصّراع الدمويّ. بالنظر إلى الأعداد غير المحّددة للقتلى والجرحى، ودمار أحياء وقرى بأكملها، والبنى التحتيّة الرئيسيّة، بما في ذلك المستشفيّات، يتبادر إلى الذهن عفويًّا السّؤال: ”من يستطيع الآن أن يحمل إليكِ الشّفاء، يا سوريا؟“.
بحسب المراقبين الدوليّين، لا تزال الأزمة السّورية واحدة من أضخم وأشدّ الأزمات في العالم، ففيها دمار على دمار، وتفاقُم الاحتياجات الإنسانيّة، وانهيار اجتماعيّ واقتصاديّ، وفقرٌ وجوع بمستويات خطيرة جدًّا.
تلقيت هديةً عملَ فنان، استوحى من صورة فوتوغرافيّة، بوجوه حقيقيّة، وصوّر أبًا سوريًا منهك القوّة ويحمل طفله على كتفيه. إنّه واحد من حوالي أربعة عشر مليون نازح داخل سوريا ولاجئ، أيّ أكثر من نصف سكان سوريا قبل الصّراع. إنّها صورة مؤثّرة للآلام الكثيرة التي عانى منها الشّعب السّوري.
أمام هذا الألم الهائل، الكنيسة مدعوّة إلى أن تكون ”مستشفًى ميدانيًا“، لمعالجة الجراح الرّوحيّة والجسديّة. لنفكر في ما نقرأه في الإنجيل: "وعِندَ المَساء بَعدَ غُروبِ الشَّمْس، أَخَذَ النَّاسُ يَحمِلونَ إِلَيه جَميعَ المَرْضى والمَمْسوسين. وَاحتَشَدَتِ المَدينةُ بِأَجمَعِها على الباب. فَشَفى كثيرًا مِنَ المَرْضى المُصابينَ بِمُخَتَلِفِ العِلَل" (مرقس 1، 32-34؛ لوقا 4، 40). الرّبّ يسوع الذي يشفي.
بقيت الكنيسة، منذ زمن الرّسل، أمينة لأمر يسوع: "اِشْفوا المَرْضى، وأَقيموا المَوتى، وأَبرِئوا البُرْص، واطرُدوا الشَّياطين. أَخَذتُم مَجَّاناً فَمَجَّاناً أَعطوا" (متّى 10، 8). سفر أعمال الرّسل يروي لنا أنّهم "كانوا يَخرُجونَ بِالمَرْضى إِلى الشَّوارِع، فَيَضعونَهم على الأَسِرَّةِ والفُرُش، لِكَي يَقَعَ ولَو ظِلُّ بُطرُسَ عِندَ مُرورِه على أَحَدٍ مِنهُم" (5، 15) ويشفيهم.
اعتزازًا بهذا التراث، فقد حثثت الكهنة عدة مرّات، لا سّيما يوم الخميس المقدّس، على لمس جراح الناس وخطاياهم وضيقاتهم (راجع عظة قداس الميرون، 18 نيسان/أبريل 2019). وشجّعتُ جميع المؤمنين على لمس جراح يسوع، وهي المشاكل والصّعوبات والاضطهادات والأمراض العديدة التي يتألّم منها الناس (راجع كلمة البابا فرنسيس في صلاة افرحي يا ملكة السّماء، 28 نيسان/أبريل 2019؛ فرح الإنجيل - Evangelii gaudium، 24)، والحروب.
أيّها الأصدقاء الأعزّاء، إنّ مبادرتكم، مبادرة ”المستشفيّات المفتوحة“، التي تريد أن تدعم المستشفيّات الكاثوليكيّة الثلاثة، العاملة في سوريا منذ مائة عام، والعيادات الأربع، نشأت تحت رعاية دائرة خدمة التنمية البشريّة المتكاملة، وبدَعم سخيّ من مؤسّسات كنسيّة أخرى، - المؤسّسة البابويّة وبعض المجالس الأسقفيّة -، وبعض الهيئات الحكوميّة - الهنغاريّة والإيطاليّة -، والمؤسّسات الإنسانيّة الكاثوليكيّة، وأشخاص كثيرين من أهل الخير.
”المستشفيّات المفتوحة“ هو برنامجكم. وهي مفتوحة للمرضى الفقراء، ومن دون تمييز في الانتماء العرقيّ والدّينيّ. تعبّر هذه الصّفة عن كنيسة تريد أن تكون بيتًا أبوابه مفتوحة ومكانًا للأخوّة البشريّة. في مؤسّساتنا الاجتماعيّة والخيريّة، يجب أن يشعر الأشخاص، وخاصّة الفقراء، بأنّهم ”في بيتهم“ وأن يختبروا جوًّا من الاستقبال يحافظ على كرامتهم. لذلك، كما أشرتم بحقّ، تكون الثّمرة التي نجنيها مزدوجة: معالجة الأجساد وترميم النّسيج الاجتماعيّ، وتعزيز فسيفساء العيش معًا النّموذجي بين مختلف المجموعات العرقيّة والدينيّة، التي تتميّز بها سوريا. في هذا الصّدد، أن يبدي المسلمون الكثيرون شكرهم، أكثر من غيرهم، لتَلَقِّي المساعدة في مستشفياتكم، يحمل معنى كبيرًا.
مبادرتكم هذه، مع المبادرات الأخرى التي شجّعت عليها الكنائس في سوريا، تنبع من إبداع المحبّة، أو، كما قال القدّيس يوحنّا بولس الثّاني، من "خيال المحبّة" (رسالة رسوليّة، Novo millennio ineunte، 50).
أهديتموني اليوم أيقونة جميلة ليسوع السّامري الرّحيم. هذا الإنسان البائس في مَثَلِ الإنجيل، الذي نهبه اللصّوص وتركوه نصف ميت على جانب الطّريق، يمكن أن يكون صورة مأساويّة أخرى لسوريا، التي اعتُدِيَ عليها، ونُهِبَت، وتُرِكَت نصف ميتة على جانب الطريق. لكنّ المسيح، السّامري الرّحيم، لا ينساها، ولا يتركها. لا هو ولا الكثيرون من السّامريّين الصّالحين والرّحماء: أفرادًا، وجمعيّات، ومؤسّسات. بعض المئات من هؤلاء السّامريّين الصّالحين والرّحماء، ومن بينهم بعض المتطوّعين، فقدوا حياتهم وهم يساعدون الآخرين. لهم نقدّم كلّ شكرنا وتقديرنا.
في الرّسالة العامّة ”كلّنا إخوة“ (Fratelli tutti) كتبت ما يلي: "إنّ قصّة السّامري الرّحيم تتكرّر: الاهمال الاجتماعيّ والسّياسيّ قد حوّل أجزاء كثيرة من عالمنا إلى طرق مهجورة، تَترك فيها النزاعات الداخليّة والدوليّة وتدمير الفرص، الكثيرَ من المهمّشين، وتُلقي بهم إلى جانب الطريق" (رقم 71). ودعوت إلى التّفكير: "كلّنا مسؤولون تجاه الرّجل الجريح الذي هو الشّعب نفسه وجميع شعوب الأرض" (رقم 79).
أمام الاحتياجات الخطيرة الكثيرة، نشعر بحدود إمكانيّاتنا في التدخّل. نشعر بأنفسنا نوعًا ما مثل تلاميذ يسوع، أمام الجموع الكثيرة الجائعة: "ليس لدينا سوى خمسة أرغفة وسمكتان، ولكِن ما هذا لِمِثلِ هذا العَدَدِ الكَبير؟" (يوحنّا 6، 5-9). قد يقول قائلٌ: إنّها قطرةُ ماءٍ في الصّحراء. ومع ذلك، حتّى الصّحراء السّوريّة الصّخريّة، بعد أمطار الرّبيع الأولى، تَلتَحِف بالخضار. فالكثير من القطرات الصّغيرة، والكثير من العشب!
أيّها الأعزّاء، أشكركم على عملكم وأبارككم من كلّ قلبي. امضوا قُدُمًا! ليُشفَ المرضى، وليُولَد الرّجاء من جديد، ولتُزهِر الصّحراء من جديد! أسأل الله ذلك من أجلكم ومعكم. ومن فضلكم، لا تنسَوْا أن تصلّوا أيضًا من أجلي. شكرًا.
(بعد البركة)
ستكون هذه الصّورة، صورة هذا الأب السّوري الذي هرب مع ابنه، التي ذكرتني عندما اضطر القدّيس يوسف أن يهرب إلى مصر: لم يذهب في عربة، لا، لقد كان الأمر كذلك، هرب هروبًا غير مستقر. أهداني أصل هذه الصّورة صاحب العمل، وهو فنان من منطقة بييمونتي. أودّ أن أقدمها لكم حتى إذا نظرتم إلى هذا الأب السّوري وابنه، تفكرون في هذا الهروب إلى مصر كلّ يوم، وفي هذا الشّعب الذي يتألّم كثيرًا. شكرًا.
[01301-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0644-XX.02]