Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Questa mattina il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza la Delegazione del Patriarcato Ecumenico in occasione della solennità dei SS. Pietro e Paolo e ha rivolto ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Eminenza, cari fratelli!
vi do il benvenuto, grato per la vostra visita e per le cortesi parole che mi avete rivolto. Ieri avete partecipato alla festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo: la vostra presenza alla Liturgia eucaristica è stata motivo di grande gioia per me e per tutti, perché ha manifestato visibilmente la vicinanza e la carità fraterna della Chiesa di Costantinopoli nei riguardi della Chiesa di Roma. Vi chiedo di portare il mio saluto e la mia gratitudine al caro Fratello Bartolomeo, Patriarca Ecumenico, e al Santo Sinodo, che vi hanno inviato qui tra noi.
Il tradizionale scambio di delegazioni tra le nostre Chiese in occasione delle rispettive feste patronali è un segno tangibile che il tempo della distanza e dell’indifferenza, durante il quale si pensava che le divisioni fossero un fatto irrimediabile, è stato superato. Oggi, ringraziando Dio, in obbedienza alla volontà del nostro Signore Gesù Cristo e con la guida dello Spirito Santo, le nostre Chiese portano avanti un fraterno e proficuo dialogo e sono impegnate in modo convinto e irreversibile nel cammino verso il ristabilimento della piena comunione.
A tale proposito, vorrei rivolgere un pensiero riconoscente a coloro che hanno avviato questo percorso. In particolare mi è caro ricordare, a qualche giorno dal cinquantesimo anniversario della scomparsa, l’indimenticabile Patriarca Ecumenico Athenagoras, pastore saggio e coraggioso che continua ad essere per me e per tanti fonte di ispirazione. Egli diceva: “Chiese sorelle, popoli fratelli”.
Chiese sorelle, popoli fratelli: la riconciliazione tra cristiani separati, quale contributo alla pacificazione dei popoli in conflitto, risulta oggi quanto mai attuale, mentre il mondo è sconvolto da un’aggressione bellica crudele e insensata, nella quale tanti cristiani combattono tra di loro. Ma di fronte allo scandalo della guerra anzitutto non c’è da fare considerazioni: c’è da piangere, soccorrere e convertirsi. C’è da piangere le vittime e il troppo sangue sparso, la morte di tanti innocenti, i traumi di famiglie, città, di un intero popolo: quanta sofferenza in chi ha perso gli affetti più cari ed è costretto ad abbondonare la propria casa e la propria patria! C’è poi da soccorrere questi fratelli e sorelle: è un richiamo alla carità che, in quanto cristiani, siamo tenuti a esercitare nei riguardi di Gesù migrante, povero e ferito. Ma c’è anche da convertirsi per capire che conquiste armate, espansioni e imperialismi non hanno nulla a che vedere con il Regno che Gesù ha annunciato, con il Signore della Pasqua che nel Getsemani chiese ai discepolidi rinunciare alla violenza, di rimettere la spada al suo posto «perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt 26,52); e troncando ogni obiezione disse: «Basta!» (Lc 22,51).
Chiese sorelle, popoli fratelli: la ricerca dell’unità dei cristiani non è dunque solo una questione interna alle Chiese. È una condizione imprescindibile per la realizzazione di un’autentica fraternità universale, che si manifesta nella giustizia e nella solidarietà verso tutti. A noi cristiani si impone pertanto una seria riflessione: quale mondo vorremmo che emerga dopo questa terribile vicenda di scontri e contrapposizioni? E quale apporto siamo pronti a offrire ora per una umanità più fraterna? Come credenti non possiamo che attingere le risposte a tali domande nel Vangelo: in Gesù, che ci invita ad essere misericordiosi e mai violenti, perfetti come il Padre senza adeguarci al mondo (cfr Mt 5,48). Aiutiamoci, cari fratelli, a non cedere alla tentazione di imbavagliare la novità dirompente del Vangelo con le seduzioni del mondo e di trasformare il Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (cfr v. 45), nel dio delle proprie ragioni e delle proprie nazioni. Cristo è la nostra pace, colui che incarnandosi, morendo e risorgendo per tutti ha abbattuto i muri di inimicizia e di separazione tra gli uomini (cfr Ef 2,14). Da Lui ripartiamo, per comprendere che non è più il tempo di regolare le agende ecclesiali secondo le logiche di potere e convenienza del mondo, ma secondo l’audace profezia di pace del Vangelo. Con umiltà e tanta preghiera, ma anche con coraggio e parresia.
Un segno di speranza, nel cammino verso il ristabilimento della piena comunione, viene dalla riunione del Comitato di coordinamento della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa che, dopo un’interruzione di due anni a causa della pandemia, ha avuto luogo lo scorso maggio. Attraverso di Lei, cara Eminenza, in quanto Co-presidente ortodosso della Commissione, desidero ringraziare Sua Eminenza Eugenios, Arcivescovo di Creta, e Sua Eminenza Prodromos, Metropolita di Rethymno, per la generosa e fraterna ospitalità offerta ai membri del Comitato. Auspico che il dialogo teologico progredisca promuovendo una mentalità nuova che, conscia degli errori del passato, porti a guardare sempre più insieme al presente e al futuro, senza lasciarci intrappolare nei pregiudizi di altre epoche. Non accontentiamoci di una “diplomazia ecclesiastica” per rimanere gentilmente sulle proprie idee, ma camminiamo insieme da fratelli: preghiamo gli uni per gli altri, lavoriamo gli uni con gli altri, sosteniamoci vicendevolmente guardando a Gesù e al suo Vangelo. Questa è la via perché la novità di Dio non sia tenuta in ostaggio dalla condotta dell’uomo vecchio (cfr Ef 4,22-24).
Cari membri della Delegazione, i santi fratelli Pietro e Andrea intercedano per noi e ottengano la benedizione di Dio, Padre buono, sul nostro cammino e sul mondo intero. Io vi ringrazio di cuore e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me e per il mio ministero.
[01033-IT.01]
Traduzione in lingua inglese
Your Eminence, dear brothers!
I welcome you and I am grateful for your visit [and your kind words]. Yesterday you took part in the feast of the holy Apostles Peter and Paul: your presence at the Eucharistic liturgy was a source of great joy for me and for all present, for it visibly manifested the closeness and fraternal charity of the Church of Constantinople towards the Church of Rome. I ask you to convey my greetings and my gratitude to my dear brother Bartholomew, Ecumenical Patriarch, and to the Holy Synod, who sent you to be here with us.
The traditional exchange of delegations between our Churches for the celebration of our respective patronal feasts is a tangible sign that the days of distance and indifference, when our divisions were considered irreparable, is long past. Today, thank God, in obedience to the will of our Lord Jesus Christ and with the guidance of the Holy Spirit, our Churches are engaged in a fraternal and fruitful dialogue and are committed in a convinced and irreversible way to advancing towards the restoration of full communion.
In this regard, I think with gratitude of those who initiated this process. In particular, I gladly recall, as the fiftieth anniversary of his death approaches, the unforgettable Ecumenical Patriarch Athenagoras, a wise and courageous pastor who continues to be a source of inspiration for me and for many others. It was he, who spoke of “Sister Churches, Brother Peoples”.
Sister Churches, Brother Peoples. Reconciliation among separated Christians, as a means of contributing to peace between peoples in conflict, is a most timely consideration these days, as our world is disrupted by a cruel and senseless war of aggression in which many, many Christians are fighting one another. Before the scandal of war, in the first place, our concern must not be for talking and discussing, but for weeping, for helping others and for experiencing conversion ourselves. We need to weep for the victims and the overwhelming bloodshed, the deaths of so many innocent people, the trauma inflicted on families, cities and an entire people. How much suffering has been endured by those who have lost their loved ones and been forced to abandon their homes and their own country! We need to help these, our brothers and sisters. We are summoned to exercise that charity which, as Christians, we are obliged to show towards Jesus, present in the displaced, the poor and the wounded. But we also need to experience conversion, and to recognize that armed conquest, expansionism and imperialism have nothing to do with the Kingdom that Jesus proclaimed. Nothing to do with the risen Lord, who in Gethsemane told his disciples to reject violence, to put the sword back in its place, since those who live by the sword will die by the sword (Mt 26:52), and who, cutting short every objection, simply said: “Enough!” (cf. Lk 22:51).
Sister Churches, Brother Peoples. Seeking Christian unity is not merely a question internal to the Churches. It is an essential condition for the realization of an authentic universal fraternity, manifested in justice and solidarity towards all. It thus calls for serious reflection on the part of us Christians. What kind of world do we want to emerge in the wake of this terrible outbreak of hostilities and conflict? And what contribution are we prepared to make even now towards a more fraternal humanity? As believers, we must necessarily find the answers to these questions in the Gospel: in Jesus, who calls us to be merciful and never violent, to be perfect as the Father is perfect, and not be conformed to the world (cf. Mt 5:48). Let us help one another, dear brothers, not to yield to the temptation to muffle the explosive newness of the Gospel with the seductions of this world. And not to turn the Father of all, “who makes his sun rise on the evil and on the good, and sends rain on the righteous and the unrighteous” (cf. v. 45), into the god of our own ideas and our own nations. Christ is our peace. By his incarnation, death and resurrection for all, he has torn down the walls of enmity and division between people (cf. Eph 2:14). Let us start anew from him, and recognize that it is no longer the time to order our ecclesial agendas in accordance with the world’s standards of power and expediency, but in accordance with the Gospel’s bold prophetic message of peace. With humility and much prayer, but also with courage and parrhesía.
One sign of hope, in the journey towards the restoration of full communion, comes from the meeting of the Coordinating Committee of the Joint International Commission for Theological Dialogue between the Catholic Church and Orthodox Church, which, after an interruption of two years due to the pandemic, took place last May. Through you, dear Eminence, as the Orthodox Co-President of the Commission, I would like to thank His Eminence Eugenios, Archbishop of Crete, and His Eminence Prodromos, Metropolitan of Rethymno, for the generous and fraternal hospitality offered to the members of the Committee. It is my hope that the theological dialogue will progress by promoting a new mentality that, conscious of the errors of the past, can help us to look together to the present and future, without letting ourselves be trapped in the prejudices of the past. Let us not be content with an “ecclesiastical diplomacy” that would allow us to politely maintain our own points of view, but instead journey together as brothers. Let us pray for one another, work with one another and support one another by looking to Jesus and his Gospel. In this way, the newness that God brings will not be held hostage to the conduct of the “old man” (cf. Eph 4:22-24).
Dear members of the Delegation. May the holy brothers Peter and Andrew intercede for us and obtain the blessing of God, the Good Father, upon our journey together and upon the entire world. I thank you most heartily and I ask you, please, not to forget to pray for me and for my ministry.
[01033-EN.01] [Original text: Italian]
[B0505-XX.01]