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Santa Messa in occasione del X Incontro Mondiale delle Famiglie, 25.06.2022


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questo pomeriggio, in Piazza San Pietro, ha avuto luogo - alla presenza del Santo Padre Francesco - la Santa Messa in occasione del X Incontro Mondiale delle Famiglie, che si svolge a Roma dal 22 al 26 giugno 2022, sul tema: “L’amore familiare: vocazione e via di santità”.

La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta dall’Em.mo Card. Kevin J. Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

Dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’Omelia.

Nel corso dei Riti di Conclusione, dopo le parole di ringraziamento indirizzate al Santo Padre dall’Em.mo Card. Kevin J. Farrell, il Papa ha letto l'Invio Missionario delle Famiglie. Il testo dell’Invio Missionario delle Famiglie verrà distribuito anche domani in Piazza San Pietro ai fedeli presenti alla recita dell’Angelus.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica conclusiva dell’Incontro:

Omelia del Santo Padre

Nell’ambito del X Incontro Mondiale delle Famiglie, questo è il momento del rendimento di grazie. Con gratitudine oggi portiamo davanti a Dio – come in un grande offertorio – tutto ciò che lo Spirito Santo ha seminato in voi, care famiglie. Alcune di voi avete partecipato ai momenti di riflessione e condivisione qui in Vaticano; altre li avete animati e vissuti nelle rispettive diocesi, in una sorta di immensa costellazione. Immagino la ricchezza di esperienze, di propositi, di sogni, e non mancano anche le preoccupazioni e le incertezze. Ora presentiamo tutto al Signore, e chiediamo a Lui che vi sostenga con la sua forza e con il suo amore. Siete papà, mamme, figli, nonni, zii; siete adulti, bambini, giovani, anziani; ciascuno con un’esperienza diversa di famiglia, ma tutti con la stessa speranza fatta preghiera: che Dio benedica e custodisca le vostre famiglie e tutte le famiglie del mondo.

San Paolo, nella seconda Lettura, ci ha parlato di libertà. La libertà è uno dei beni più apprezzati e ricercati dall’uomo moderno e contemporaneo. Tutti desiderano essere liberi, non avere condizionamenti, non essere limitati, e perciò aspirano ad affrancarsi da ogni tipo di “prigione”: culturale, sociale, economica. Eppure, quante persone mancano della libertà più grande: quella interiore! La più grande libertà è la libertà interiore. L’Apostolo ricorda a noi cristiani che questa è anzitutto un dono, quando esclama: «Cristo ci ha liberati per la libertà!» (Gal 5,1). La libertà ci è stata donata. Tutti noi nasciamo con tanti condizionamenti, interiori ed esteriori, e soprattutto con la tendenza all’egoismo, cioè a mettere al centro noi stessi e a fare i nostri propri interessi. Ma da questa schiavitù Cristo ci ha liberati. A scanso di equivoci, San Paolo ci avverte che la libertà donataci da Dio non è la falsa e vuota libertà del mondo, che in realtà è «un pretesto per la carne» (Gal 5,13). No, la libertà che Cristo ci ha acquistato a prezzo del suo sangue è tutta orientata all’amore, affinché – come diceva e dice oggi a noi l’Apostolo – «mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri» (ibid.).

Tutti voi coniugi, formando la vostra famiglia, con la grazia di Cristo avete fatto questa scelta coraggiosa: non usare la libertà per voi stessi, ma per amare le persone che Dio vi ha messo accanto. Invece di vivere come “isole”, vi siete messi “a servizio gli uni degli altri”. Così si vive la libertà in famiglia! Non ci sono “pianeti” o “satelliti” che viaggiano ognuno per la sua propria orbita. La famiglia è il luogo dell’incontro, della condivisione, dell’uscire da sé stessi per accogliere l’altro e stargli vicino. È il primo luogo dove si impara ad amare. Questo non dimenticarlo mai: la famiglia è il primo luogo dove si impara ad amare.

Fratelli e sorelle, mentre con grande convinzione ribadiamo questo, sappiamo bene che nei fatti non è sempre così, per tanti motivi e tante diverse situazioni. E allora, proprio mentre affermiamo la bellezza della famiglia, sentiamo più che mai che dobbiamo difenderla. Non lasciamo che venga inquinata dai veleni dell’egoismo, dell’individualismo, dalla cultura dell’indifferenza e dalla cultura dello scarto, e perda così il suo “dna” che è l’accoglienza e lo spirito di servizio. La traccia propria della famiglia: l’accoglienza, lo spirito di servizio dentro la famiglia.

La relazione tra i profeti Elia ed Eliseo, presentata nella prima Lettura, ci fa pensare al rapporto tra le generazioni, al “passaggio del testimone” tra genitori e figli. Questo rapporto nel mondo di oggi non è semplice ed è spesso motivo di preoccupazioni. I genitori temono che i figli non siano in grado di orientarsi nella complessità e nella confusione delle nostre società, dove tutto sembra caotico, precario, e che alla fine smarriscano la loro strada. Questa paura rende alcuni genitori ansiosi, altri iperprotettivi, e a volte finisce persino per bloccare il desiderio di mettere al mondo nuove vite.

Ci fa bene riflettere sul rapporto tra Elia ed Eliseo. Elia, in un momento di crisi e di paura per il futuro, riceve da Dio il comando di ungere Eliseo come suo successore. Dio fa capire ad Elia che il mondo non finisce con lui e gli comanda di trasmettere ad un altro la sua missione. Questo è il senso del gesto descritto nel testo: Elia getta sulle spalle di Eliseo il proprio mantello, e da quel momento il discepolo prenderà il posto del maestro per continuarne il ministero profetico in Israele. Dio mostra così di avere fiducia nel giovane Eliseo. Il vecchio Elia passa la funzione, la vocazione profetica a Eliseo. Si fida di un giovane, si fida del futuro. In quel gesto c’è tutta una speranza, e con speranza passa il testimone.

Quanto è importante per i genitori contemplare il modo di agire di Dio! Dio ama i giovani, ma non per questo li preserva da ogni rischio, da ogni sfida e da ogni sofferenza. Dio non è ansioso e iperprotettivo. Pensatelo bene, questo: Dio non è ansioso e iperprotettivo; al contrario, ha fiducia in loro e chiama ciascuno alla misura della vita e della missione. Pensiamo al bambino Samuele, all’adolescente Davide, al giovane Geremia; pensiamo soprattutto a quella ragazza, sedicenne, diciassettenne che concepì Gesù, la Vergine Maria. Si fida di una ragazza. Cari genitori, la Parola di Dio ci mostra la strada: non preservare i figli da ogni minimo disagio e sofferenza, ma cercare di trasmettere loro la passione per la vita, di accendere in essi il desiderio di trovare la loro vocazione e di abbracciare la missione grande che Dio ha pensato per loro. È proprio questa scoperta che rende Eliseo coraggioso, determinato e lo fa diventare adulto. Il distacco dai genitori e l’uccisione dei buoi sono proprio il segno che Eliseo ha compreso che adesso “tocca a lui”, che è ora di accogliere la chiamata di Dio e portare avanti quanto aveva visto fare al suo maestro. E lo farà con coraggio fino al termine della sua vita. Cari genitori, se aiutate i figli a scoprire e ad accogliere la loro vocazione, vedrete che essi saranno “afferrati” da questa missione e avranno la forza di affrontare e superare le difficoltà della vita.

Vorrei aggiungere anche che, per un educatore, il modo migliore di aiutare un altro a seguire la sua vocazione è di abbracciare con amore fedele la propria. È ciò che i discepoli hanno visto fare a Gesù, e il Vangelo di oggi ci mostra un momento emblematico, quando Gesù prende «la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51), sapendo bene che là sarà condannato e ucciso. E sulla via per Gerusalemme, Gesù subisce il rifiuto da parte degli abitanti di Samaria, un rifiuto che suscita la reazione sdegnata di Giacomo e Giovanni, ma che Egli accetta perché fa parte della sua vocazione: all’inizio era stato rifiutato a Nazaret – pensiamo a quel giorno nella sinagoga di Nazaret (cfr Mt 13,53-58) –, adesso in Samaria, e alla fine sarà rifiutato a Gerusalemme. Gesù accetta tutto questo perché è venuto per prendere su di sé i nostri peccati. Allo stesso modo, non c’è cosa più incoraggiante per i figli che vedere i propri genitori vivere il matrimonio e la famiglia come una missione, con fedeltà e pazienza, nonostante le difficoltà, i momenti tristi e le prove. E ciò che avvenne a Gesù in Samaria avviene in ogni vocazione cristiana, anche quella familiare. Lo sappiamo tutti: vengono i momenti in cui bisogna prendere su di sé le resistenze, le chiusure, le incomprensioni che provengono dal cuore umano e, con la grazia di Cristo, trasformarli in accoglienza dell’altro, in amore gratuito.

E nel cammino verso Gerusalemme, subito dopo questo episodio, che ci descrive in un certo senso la “vocazione di Gesù”, il Vangelo ci presenta altre tre chiamate, tre vocazioni di altrettanti aspiranti discepoli di Gesù. Il primo viene invitato a non cercare una dimora stabile, una sistemazione sicura seguendo il Maestro. Lui infatti «non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Seguire Gesù significa mettersi in movimento e rimanere sempre in movimento, sempre “in viaggio” con Lui attraverso le vicende della vita. Quanto è vero questo per voi sposati! Anche voi, accogliendo la chiamata al matrimonio e alla famiglia, avete lasciato il vostro “nido” e avete iniziato un viaggio, di cui non potevate conoscere in anticipo tutte le tappe, e che vi mantiene in costante movimento, con situazioni sempre nuove, eventi inaspettati, sorprese, alcune dolorose. Così è il cammino con il Signore. È dinamico, è imprevedibile, ed è sempre una scoperta meravigliosa. Ricordiamoci che il riposo di ogni discepolo di Gesù è proprio nel fare ogni giorno la volontà di Dio, qualunque essa sia.

Il secondo discepolo è invitato a non “tornare a seppellire i suoi morti” (vv. 59-60). Non si tratta di venir meno al quarto comandamento, che rimane sempre valido ed è un comandamento che ci santifica tanto; è invece un invito a obbedire anzitutto al primo comandamento: amare Dio sopra ogni cosa. Così avviene anche per il terzo discepolo, chiamato a seguire Cristo risolutamente e con tutto il cuore, senza “voltarsi indietro”, nemmeno per congedarsi dai suoi familiari (cfr vv. 61-62).

Care famiglie, anche voi siete invitate a non avere altre priorità, a “non volgervi indietro”, cioè a non rimpiangere la vita di prima, la libertà di prima, con le sue ingannevoli illusioni: la vita si fossilizza quando non accoglie la novità della chiamata di Dio, rimpiangendo il passato. E questa strada di rimpiangere il passato e non accogliere le novità che Dio ci manda, ci fossilizza, sempre; ci fa duri, non ci fa umani. Quando Gesù chiama, anche al matrimonio e alla famiglia, chiede di guardare avanti e sempre ci precede nel cammino, sempre ci precede nell’amore e nel servizio. Chi lo segue non rimane deluso!

Cari fratelli e sorelle, le Letture della liturgia di oggi, tutte, provvidenzialmente parlano di vocazione, che è proprio il tema di questo decimo Incontro Mondiale delle Famiglie: “L’amore familiare: vocazione e via di santità”. Con la forza di questa Parola di vita, vi incoraggio a riprendere con decisione il cammino dell’amore familiare, condividendo con tutti i membri della famiglia la gioia di questa chiamata. E non è una strada facile, non è un cammino facile: ci saranno momenti bui, momenti di difficoltà dove penseremo che tutto è finito. L’amore che vivete tra voi sia sempre aperto, estroverso, capace di “toccare” i più deboli e i feriti che incontrate lungo la strada: fragili nel corpo e fragili nell’anima. L’amore, infatti, anche quello familiare, si purifica e si rafforza quando viene donato.

La scommessa sull’amore familiare è coraggiosa: ci vuole coraggio per sposarsi. Vediamo tanti giovani che non hanno il coraggio di sposarsi, e tante volte qualche mamma mi dice: “Faccia qualcosa, parli a mio figlio, che non si sposa, ha 37 anni!” – “Ma, signora, non gli stiri le camicie, incominci lei a mandarlo un po’ via, che esca dal nido”. Perché l’amore familiare spinge i figli a volare, insegna loro a volare e li spinge a volare. Non è possessivo: è di libertà, sempre. E poi, nei momenti difficili, nelle crisi – tutte le famiglie ne hanno, di crisi – per favore non prendere la strada facile: “torno da mamma”. No. Andate avanti, con questa scommessa coraggiosa. Ci saranno momenti difficili, ci saranno momenti duri, ma avanti, sempre. Tuo marito, tua moglie ha quella scintilla di amore che avete sentito all’inizio: lasciatela uscire da dentro, riscoprite l’amore. E questo aiuterà tanto nei momenti di crisi.

La Chiesa è con voi, anzi, la Chiesa è in voi! La Chiesa, infatti, è nata da una Famiglia, quella di Nazaret, ed è fatta principalmente di famiglie. Che il Signore vi aiuti ogni giorno a rimanere nell’unità, nella pace, nella gioia e anche nella perseveranza nei momenti difficili, quella perseveranza fedele che ci fa vivere meglio e mostra a tutti che Dio è amore e comunione di vita.

[01012-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Dans le cadre de la 10ème Rencontre Mondiale des Familles, c’est le moment de l’action de grâce. Avec gratitude, nous apportons aujourd’hui devant Dieu – comme dans un grand offertoire – tout ce que l’Esprit Saint a semé en vous, chères familles. Certains d’entre vous ont participé aux moments de réflexion et de partage, ici, au Vatican. D’autres les ont animés et les ont vécus dans leurs diocèses respectifs, en une sorte d’immense constellation. J’imagine la richesse d’expériences, d’intentions, de rêves, avec aussi les soucis et les incertitudes qui ne manquent pas. Nous présentons maintenant tout cela au Seigneur, et nous lui demandons de vous soutenir de sa force et de son amour. Vous êtes des papas, des mamans, des enfants, des grands-parents, des oncles et tantes; vous êtes adultes, enfants, jeunes, personnes âgées; chacun avec une expérience de famille différente, mais tous avec la même espérance devenue prière: que Dieu bénisse et protège vos familles et toutes les familles du monde.

Saint Paul, dans la deuxième Lecture, nous a parlé de liberté. La liberté est l’un des biens les plus appréciés et recherchés par l’homme moderne et contemporain. Chacun veut être libre, ne pas être conditionné, ne pas être limité, et aspire donc à s’affranchir de toute forme de “prison”: culturelle, sociale, économique. Et pourtant, combien de personnes manquent de la plus grande liberté: la liberté intérieure! L’Apôtre nous rappelle, à nous chrétiens, qu’elle est avant tout un don, lorsqu’il s’exclame: «C’est pour que nous soyons libres que le Christ nous a libérés» (Ga 5, 1). La liberté nous a été donnée. Nous naissons tous avec de nombreux conditionnements, intérieurs et extérieurs, et surtout avec la tendance à l’égoïsme, c’est-à-dire à nous mettre au centre et à faire nos intérêts. Mais le Christ nous a libérés de cet esclavage. Pour éviter tout doute, saint Paul nous avertit que la liberté qui nous est donnée par Dieu n’est pas la fausse et vaine liberté du monde, qui en réalité est «un prétexte pour la chair» (Ga 5, 13). Non, la liberté que le Christ nous a acquise au prix de son sang est entièrement tournée vers l’amour, afin que – comme l’Apôtre le disait et nous le dit aujourd’hui – vous soyez, « par amour, au service les uns des autres» (ibid.).

Vous tous, époux, en formant votre famille, avec la grâce du Christ, vous avez fait ce choix courageux de ne pas utilisez votre liberté pour vous-mêmes, mais pour aimer les personnes que Dieu a mises à côté de vous. Au lieu de vivre comme des “îlots”, vous vous êtes mis “au service les uns des autres”. C’est ainsi que la liberté se vit en famille! Il n’existe pas de “planètes” ou de “satellites” qui voyagent chacun sur sa propre orbite. La famille est le lieu de la rencontre, du partage, de la sortie de soi pour accueillir l’autre et lui être proche. Elle est le premier lieu où l’on apprend à aimer.

Frères et sœurs, si nous répétons cela avec beaucoup de conviction, nous savons bien, que dans les faits, il n’en est pas toujours ainsi, pour de nombreuses raisons et dans de nombreuses situations différentes. Et alors que nous affirmons la beauté de la famille, nous sentons plus que jamais que nous devons la défendre. Ne permettons pas qu’elle soit polluée par les poisons de l’égoïsme, de l’individualisme, de la culture de l’indifférence et du rejet, et qu’elle perde ainsi son “ADN” qui est l’hospitalité et l’esprit de service.

La relation entre les prophètes Élie et Elisée, présentée dans la première Lecture, nous fait penser à la relation entre les générations, au “passage de témoin” entre parents et enfants. Cette relation dans le monde d’aujourd’hui n’est pas simple et elle est souvent source de soucis. Les parents craignent que les enfants ne soient pas en mesure de s’orienter dans la complexité et la confusion de nos sociétés, où tout semble chaotique et précaire, et qu’à la fin ils perdent leur chemin. Cette peur rend certains parents anxieux, d’autres trop protecteurs, et parfois elle finit même par bloquer le désir de mettre au monde de nouvelles vies.

Cela nous fait du bien de réfléchir sur la relation entre Élie et Élisée. Élie, dans un moment de crise et de peur pour l’avenir, reçoit de Dieu le commandement d’oindre Élisée comme son successeur. Dieu fait comprendre à Élie que le monde ne finit pas avec lui et il lui commande de transmettre à un autre sa mission. Tel est le sens du geste décrit dans le texte: Élie jette sur les épaules d’Élisée son manteau, et à partir de ce moment le disciple prend la place du maître pour continuer le ministère prophétique en Israël. Dieu montre ainsi qu’il a confiance en le jeune Élisée.

Comme il est important pour les parents de contempler la manière d’agir de Dieu! Dieu aime les jeunes, mais il ne les préserve pas pour autant de tout risque, de tout défi et de toute souffrance. Il n’est pas anxieux, ni super protecteur; au contraire, il a confiance en eux et appelle chacun à la haute mesure de la vie et de la mission. Pensons à l’enfant Samuel, à l’adolescent David, au jeune Jérémie; pensons surtout à la Vierge Marie. Chers parents, la Parole de Dieu nous montre le chemin: ne pas préserver les enfants du moindre malaise et souffrance, mais chercher à leur transmettre la passion pour la vie, d’allumer en eux le désir de trouver leur vocation et d’embrasser la grande mission que Dieu a pensée pour eux. C’est précisément cette découverte qui rend Elisée courageux, déterminé et le fait devenir adulte. Le détachement des parents et le sacrifice des bœufs sont les signes qu’Elisée a compris que “c’est maintenant son tour”, qu’il est temps d’accueillir l’appel de Dieu et de poursuivre ce qu’il a vu faire chez son maître. Et il le fera avec courage jusqu’à la fin de sa vie. Chers parents, si vous aidez les enfants à découvrir et à accueillir leur vocation, vous verrez qu’ils seront “saisis” par cette mission et qu’ils auront la force d’affronter et de surmonter les difficultés de la vie.

Je voudrais ajouter aussi que, pour un éducateur, la meilleure façon d’aider un autre à suivre sa vocation, c’est d’embrasser la sienne propre avec un amour fidèle. C’est ce que les disciples ont vu faire Jésus, et l’Évangile d’aujourd’hui nous montre un moment emblématique, quand Jésus, «le visage déterminé, prend la route de Jérusalem » (Lc 9, 51), sachant bien qu’il y sera condamné et tué. Et sur la route de Jérusalem, Jésus subit le rejet de la part des habitants de Samarie, un refus qui suscite la réaction indignée de Jacques et de Jean, mais que Lui accepte, parce que cela fait partie de sa vocation. Au début, il avait été refusé à Nazareth, maintenant en Samarie, et à la fin il sera refusé à Jérusalem. Jésus accepte tout cela parce qu’il est venu pour prendre sur lui nos péchés. De même, il n’y a rien de plus encourageant pour les enfants que de voir leurs parents vivre le mariage et la famille comme une mission, avec fidélité et une patience, malgré les difficultés, les moments tristes et les épreuves. Et ce qui est arrivé à Jésus en Samarie se produit dans toute vocation chrétienne, y compris familiale. Il y a des moments où il faut prendre sur soi les résistances, les fermetures, les incompréhensions qui proviennent du cœur humain et, avec la grâce du Christ, les transformer en accueil de l’autre, en amour gratuit.

Tout de suite après cet épisode, qui nous décrit en un certain sens la "vocation de Jésus", l’Évangile nous présente trois autres appels, trois vocations d’autant aspirants disciples de Jésus. Le premier est invité à ne pas chercher une demeure stable, un logement sûr en suivant le Maître, Lui qui «n’a pas d’endroit où reposer la tête» (Lc 9, 58). Suivre Jésus signifie se mettre en mouvement et rester toujours en mouvement, "en voyage" avec Lui à travers les événements de la vie. Cela est d’autant plus vrai pour vous, époux ! Vous aussi, en accueillant l’appel au mariage et à la famille, vous avez quitté votre "nid" et vous avez commencé un voyage dont vous ne pouviez pas connaître à l’avance toutes les étapes, et qui vous maintient en mouvement constant, avec des situations toujours nouvelles, des événements inattendus, des surprises. Le chemin avec le Seigneur est ainsi. Il est dynamique, il est imprévisible, et il est toujours une découverte merveilleuse. Souvenons-nous que le repos de tout disciple de Jésus consiste précisément à faire chaque jour la volonté de Dieu, quelle qu’elle soit.

Le second disciple est invité à ne pas "retourner enterrer ses morts" (vv. 59-60). Il ne s’agit pas de manquer au quatrième commandement, qui reste toujours valable. C’est au contraire une invitation à obéir avant tout au premier commandement: aimer Dieu par-dessus toute chose. Il en est de même pour le troisième disciple, appelé à suivre le Christ résolument et de tout son cœur, sans "se retourner", même pour prendre congé de ses proches (cf. 61-62).

Chères familles, vous êtes, vous aussi, invitées à ne pas avoir d’autres priorités, à "ne pas vous retourner", c’est-à-dire à ne pas regretter la vie d’avant, la liberté d’avant, avec ses illusions trompeuses: la vie se fige quand, regrettant le passé, elle n’accueille pas la nouveauté de l’appel de Dieu. Quand Jésus appelle, même au mariage et à la famille, il demande de regarder en avant et il nous précède toujours sur le chemin, il nous précède toujours dans l’amour et dans le service. Ceux qui le suivent ne sont pas déçus !

Chers frères et sœurs, les lectures que la liturgie nous a proposées aujourd’hui, de manière providentielle, parlent toutes de vocation qui est précisément le thème de cette dixième Rencontre Mondiale des Familles: "L’amour familial: vocation et chemin de sainteté". Avec la force de cette Parole de vie, je vous encourage à reprendre avec décision le chemin de l’amour familial, en partageant avec tous les membres de la famille la joie de cet appel. Que l’amour que vous vivez entre vous soit toujours ouvert, extraverti, capable de "toucher" les plus faibles et les blessés que vous rencontrez le long du chemin: fragiles dans leur corps et fragiles dans leur âme. En effet, l’amour familial, lui aussi, se purifie et se renforce lorsqu’il est donné.

L’Église est avec vous, bien plus, l’Église est en vous ! L’Église, en effet, est née d’une Famille, celle de Nazareth, et elle est faite principalement de familles. Que le Seigneur vous aide chaque jour à demeurer dans l’unité, dans la paix et dans la joie, en montrant à tous que Dieu est amour et communion de vie.

[01012-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

In this Tenth World Meeting of Families, it is now the time for thanksgiving. Today we bring before God with gratitude – as if in a great offertory procession – all the fruits that the Holy Spirit has sown in you, dear families. Some of you have taken part in the moments of reflection and sharing here in the Vatican; others have led them and participated in them in the various dioceses, creating a kind of vast “constellation”. I think of the rich variety of experiences, plans and dreams, as well as concerns and uncertainties, which you have shared with one another. Let us now present all of these to the Lord and ask him to sustain you with his strength and love. You are fathers, mothers and children, grandparents, uncles and aunts. You are adults and children, young and old. Each of you brings a different experience of family, but all of you have one hope and prayer: that God will bless and keep your families and all the families of the world.

Saint Paul, in today’s second reading, spoke to us about freedom. Freedom is one of the most cherished ideals and goals of the people of our time. Everyone wants to be free, free of conditioning and limitations, free of every kind of “prison”, cultural, social or economic. Yet, how many people lack the greatest freedom of all, which is interior freedom! The greatest freedom is interior freedom. The Apostle reminds us Christians that interior freedom is above all a gift, when he says: “For freedom Christ has set us free!” (Gal 5:1). Freedom is something we receive. All of us are born with many forms of interior and exterior conditioning, and especially with a tendency to selfishness, to making ourselves the centre of everything and being concerned only with our own interests. This is the slavery from which Christ has set us free. Lest there be any mistake, Saint Paul tells us that the freedom given to us by God is not the false and empty freedom of the world, which in reality is “an opportunity for self-indulgence” (Gal 5:13). No, the freedom that Christ gained at the price of his own blood is completely directed to love, so that – as the Apostle tells us again today – “through love you may become slaves of one another” (ibid.).

All of you married couples, in building your family, made, with the help of Christ’s grace, a courageous decision: not to use freedom for yourselves, but to love the persons that God has put at your side. Instead of living like little islands, you became “slaves of one another”. That is how freedom is exercised in the family. There are no “planets” or “satellites”, each travelling on its own orbit. The family is the place of encounter, of sharing, of going forth from ourselves in order to welcome others and stand beside them. The family is the first place where we learn to love. We must never forget that the family is the first place where we learn to love.

Brothers and sisters, even as we reaffirm this with profound conviction, we also know full well that it is not always the case, for any number of reasons and a variety of situations. And so, in praising the beauty of the family, we also feel compelled, today more than ever, to defend the family. Let us not allow the family to be poisoned by the toxins of selfishness, individualism, today’s culture of indifference and culture of waste, and as a result lose its very DNA, which is the spirit of acceptance and service. The mark of the family is acceptance and the spirit of service within the family.

The relationship between the prophets Elijah and Elisha, as presented in the first reading, reminds us of the relationship between generations, the “passing on of witness” from parents to children. In today’s world, that relationship is not an easy one, and frequently it is a cause for concern. Parents fear that children will not be able to find their way amid the complexity and confusion of our societies, where everything seems chaotic and precarious, and in the end lose their way. This fear makes some parents anxious and others overprotective. At times, it even ends up thwarting the desire to bring new lives into the world.

We do well to reflect on the relationship between Elijah and Elisha. Elijah, at a moment of crisis and fear for the future, receives from God the command to anoint Elisha as his successor. God makes Elijah realize that the world does not end with him, and commands him to pass on his mission to another. That is the meaning of the gesture described in the text: Elijah throws his mantle over the shoulders of Elisha, and from that moment the disciple takes the place of the master, in order to carry on his prophetic ministry in Israel. God thus shows that he has confidence in the young Elisha. The elderly Elijah passes the position, the prophetic vocation to Elisha. He trusts the young person, he trusts in the future. In this gesture, there is hope, and with hope, he passes the baton.

How important it is for parents to reflect on God’s way of acting! God loves young people, but that does not mean that he preserves them from all risk, from every challenge and from all suffering. God is not anxious and overprotective. Think about it: God is not anxious and overprotective; on the contrary, he trusts young people and he calls each of them to scale the heights of life and of mission. We think of the child Samuel, the adolescent David or the young Jeremiah; above all, we think of that young sixteen or seventeen year old girl who conceived Jesus, the Virgin Mary. He trusts a young girl. Dear parents, the word of God shows us the way: not to shield our children from the slightest hardship and suffering, but to try to communicate to them a passion for life, to arouse in them the desire to discover their vocation and embrace the great mission that God has in mind for them. It was precisely that discovery which made Elisha courageous and determined; it made him become an adult. The decision to leave his parents behind and to sacrifice the oxen is a sign that Elisha realized that it was now “up to him”, that it was time to accept God’s call and to carry on the work of his master. This he would do courageously until the very end of his life. Dear parents, if you help your children to discover and to accept their vocation, you will see that they too will be “gripped” by this mission; and they will find the strength they need to confront and overcome the difficulties of life.

I would like to add that, for educators, the best way to help others to follow their vocation is to embrace our own vocation with faithful love. That is what the disciples saw Jesus do. Today’s Gospel shows us an emblematic moment when Jesus “set his face to go to Jerusalem” (Lk 9:51), knowing well that there he would be condemned and put to death. On his way to Jerusalem, Jesus met with rejection from the inhabitants of Samaria, which aroused the indignant reaction of James and John, but he accepted that rejection, because it was part of his vocation. He met rejection from the very start, first in Nazareth – here we think of that day in the synagogue of Nazareth (cf. Mt 13: 53-58) – now in Samaria, and he was about to be rejected in Jerusalem. Jesus accepted it all, for he came to take upon himself our sins. In a similar way, nothing can be more encouraging for children than to see their parents experiencing marriage and family life as a mission, demonstrating fidelity and patience despite difficulties, moments of sadness and times of trial. What Jesus encountered in Samaria takes place in every Christian vocation, including that of the family. We all know that there are moments when we have to take upon ourselves the resistance, opposition, rejection and misunderstanding born of human hearts and, with the grace of Christ, transform these into acceptance of others and gratuitous love.

Immediately after that episode, which in some way shows us Jesus’ own “vocation”, the Gospel presents three other callings on the way to Jerusalem, represented by three aspiring disciples of Jesus. The first is told not to seek a fixed home, a secure situation, in following Jesus, for the master “has nowhere to place his head” (Lk 9:58). To follow Jesus means to set out on a never-ending “trip” with him through the events of life. How true this is for you married couples! By accepting the call to marriage and family, you too have left the “nest” and set out on a trip, without knowing beforehand where exactly it would lead, and what new situations, unexpected events and surprises, some painful, would eventually lie in store for you. That is what it means to journey with the Lord. It is a lively, unpredictable and marvellous voyage of discovery. Let us remember that every disciple of Jesus finds his or her repose in doing God’s will each day, wherever it may lead.

A second disciple is told not to “go back to bury his dead” (vv. 59-60). This has nothing to do with disobeying the fourth commandment, which remains ever valid and is a commandment that makes us holy. Rather, it is a summons to obey, above all, the first commandment: to love God above all things. The same thing happens with the third disciple, who is called to follow Christ resolutely and with an undivided heart, without “looking back”, not even to say farewell to the members of his family (cf. vv. 61-62).

Dear families, you too have been asked not to have other priorities, not to “look back”, to miss your former life, your former freedom, with its deceptive illusions. Life becomes “fossilized” when it is not open to the newness of God's call and pines for the past. Missing the past and not being open to the newness that God sends always “fossilizes” us; it hardens us and does not make us more human. When Jesus calls, also in the case of marriage and family life, he asks us to keep looking ahead, and he always precedes us on the way. He always precedes us in love and service. And those who follow him will not be disappointed!

Dear brothers and sisters, providentially, the readings of today’s liturgy speak of vocation, which is the theme of this Tenth World Meeting of Families: “Family Love: a Vocation and a Path to Holiness”. Strengthened by those words of life, I encourage you to take up with renewed conviction the journey of family love, sharing with all the members of your families the joy of this calling. It is not an easy journey: there will be dark moments, moments of difficulty in which we will think that it is all over. May the love you share with one another be always open, directed outwards, capable of “touching” the weak and wounded, the frail in body and the frail in spirit, and all whom you meet along the way. For love, including family love, is purified and strengthened whenever it is shared with others.

Betting on family love is courageous: it takes courage to marry. We see many young people who do not have the courage to marry and many times mothers say to me: “Do something, speak to my son, he will not marry, he is thirty-seven years old!” – “But, madam, stop ironing his shirts, start to send him away little by little so that he will leave the nest”. Family love pushes the children to fly; it teaches them to fly and pushes them to do so. It is not possessive: it is always about freedom. In the moments of difficulty and crisis – every family has them – please do not take the easy way: “I am going home to mommy”. No, move forward with this courageous bet. There will be difficult moments, there will be tough moments, but always move forward. Your husband, your wife, has that spark of love that you felt in the beginning: release it from within and rediscover love. This will help in moments of crisis.

The Church is with you; indeed, the Church is in you! For the Church was born of a family, the Holy Family of Nazareth, and is made up mostly of families. May the Lord help you each day to persevere in unity, peace, joy, and in moments of difficulty, that faithful perseverance, which makes us live better and shows everyone that God is love and communion of life.

[01012-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Für das Zehnte Weltfamilientreffen ist der Moment der Danksagung gekommen. Dankbar bringen wir heute – wie in einer großen Gabenprozession – alles vor Gott, was der Heilige Geist in euch, liebe Familien, eingesät hat. Einige von euch haben an den gemeinsamen Momenten der Reflexion und des Austauschs hier im Vatikan teilgenommen; andere haben sie in ihren jeweiligen Diözesen in einem größeren Rahmen miterlebt und gestaltet. Ich kann mir den Reichtum an Erfahrungen, Absichten und Träumen vorstellen, aber ebenso die Sorgen und Verunsicherungen, an denen es nicht mangelt. Nun übergeben wir alles dem Herrn und bitten ihn, euch mit seiner Kraft und Liebe zu unterstützen. Ihr seid Väter, Mütter, Kinder, Großeltern, Tanten und Onkel; ihr seid Erwachsene, Kinder, Jugendliche, alte Menschen; jeder mit einer anderen Erfahrung von Familie, aber alle mit der gleichen Hoffnung im Gebet: dass Gott eure Familien und alle Familien der Welt segnen und behüten möge.

Der heilige Paulus spricht in der zweiten Lesung über die Freiheit. Die Freiheit ist eines der am meisten geschätzten und begehrten Güter des modernen zeitgenössischen Menschen. Jeder Mensch wünscht sich, frei zu sein, unabhängig zu sein, nicht eingeschränkt zu sein, und so strebt er danach, sich von allen Arten von „Gefängnissen“ zu befreien: auf kultureller, sozialer, wirtschaftlicher Ebene. Und doch fehlt vielen Menschen die wichtigste Freiheit: die innere Freiheit! Die wichtigste Freiheit ist die innere Freiheit. Der Apostel erinnert uns Christen daran, dass dies vor allem ein Geschenk ist, wenn er ausruft: »Zur Freiheit hat uns Christus befreit« (Gal 5,1). Die Freiheit wurde uns geschenkt. Wir alle werden mit zahlreichen inneren und äußeren Bedingtheiten geboren, vor allem aber mit der Neigung zum Egoismus, d. h. dazu, uns selbst in den Mittelpunkt zu stellen und unseren eigenen Interessen zu folgen. Aber von dieser Knechtschaft hat uns Christus befreit. Damit keine Missverständnisse entstehen, warnt uns Paulus, dass die Freiheit, die uns von Gott geschenkt wurde, nicht die falsche und leere Freiheit der Welt ist, die in Wirklichkeit ein »Vorwand für das Fleisch« ist (Gal 5,13). Nein, die Freiheit, die Christus für uns um den Preis seines Blutes erkauft hat, ist ganz auf die Liebe ausgerichtet, damit wir – wie der Apostel damals sagte und auch uns heute sagt – einander in Liebe dienen (vgl. ebd.).

Ihr Eheleute habt bei der Gründung eurer Familien alle mit der Gnade Christi diese mutige Entscheidung getroffen, die Freiheit nicht für euch selbst zu nutzen, sondern die Menschen zu lieben, die Gott euch an die Seite gestellt hat. Anstatt als „Inseln“ zu leben, habt ihr euch „in einen gegenseitigen Dienst“ gestellt. So lebt man Freiheit in der Familie! Da gibt es keine „Planeten“ oder „Satelliten“, die jeweils auf ihrer eigenen Umlaufbahn unterwegs sind. Die Familie ist der Ort der Begegnung, wo man teilt und aus sich heraustritt, um den anderen anzunehmen und ihm/ihr nahe zu sein. Sie ist der erste Ort, an dem man lernt zu lieben. Vergessen wir das nicht: Die Familie ist der erste Ort, an dem man lernt zu lieben.

Brüder und Schwestern, auch wenn wir dies mit großer Überzeugung sagen, so sind wir uns doch bewusst, dass dies in der Realität nicht immer der Fall ist, und zwar aus vielen Gründen und aufgrund vieler unterschiedlicher Situationen. Und daher haben wir, gerade wenn wir die Schönheit der Familie betonen, mehr denn je das Gefühl, dass wir sie verteidigen müssen. Wir dürfen nicht zulassen, dass sie durch die Gifte des Egoismus, des Individualismus, der Kultur der Gleichgültigkeit sowie der Wegwerfmentalität verunreinigt wird und so ihre „DNS“, nämlich die Bereitschaft einander anzunehmen und den Geist des Dienens, verliert. Das ist der Familie eigen: die Bereitschaft einander anzunehmen und einander zu dienen.

Die Beziehung zwischen den Propheten Elija und Elischa, die in der ersten Lesung geschildert wird, lässt uns an die Beziehung zwischen den Generationen denken, an die „Weitergabe des Stabes“ von den Eltern an die Kinder. Diese Beziehung ist in der Welt von heute nicht einfach und gibt oft Anlass zur Sorge. Die Eltern befürchten, dass ihre Kinder sich in der Komplexität und Unübersichtlichkeit unserer Gesellschaften, in denen alles chaotisch und unsicher erscheint, nicht zurechtfinden und schließlich die Orientierung verlieren werden. Diese Angst macht manche Eltern unruhig, andere überfürsorglich, und manchmal blockiert sie sogar den Wunsch, neues Leben in die Welt zu setzen.

Es lohnt sich, über die Beziehung zwischen Elija und Elischa nachzudenken. Elija erhält in einer Zeit der Krise und der Zukunftsängste den Auftrag von Gott, Elischa zu seinem Nachfolger zu salben. Gott macht Elia klar, dass die Welt nicht mit ihm endet, und befiehlt ihm, seine Sendung an einen anderen weiterzugeben. Das ist die Bedeutung der im Text beschriebenen Geste: Elija wirft seinen Mantel Elischa über, und von da an wird der Schüler den Platz des Meisters einnehmen, um dessen prophetischen Dienst in Israel fortzusetzen. Gott zeigt damit, dass er Vertrauen in den jungen Elischa hat. Der alte Elija gibt sein Amt, seine prophetische Berufung an Elischa weiter. Er vertraut einem jungen Menschen, er vertraut auf die Zukunft. Diese Geste drückt Hoffnung aus, und hoffnungsvoll gibt er den Staffelstab weiter.

Wie wichtig ist es, dass die Eltern die Art und Weise des Handelns Gottes bedenken. Gott liebt die jungen Menschen, aber das bedeutet nicht, dass er sie vor jedem Risiko, jeder Herausforderung und jedem Leid bewahrt. Gott ist nicht ängstlich und überfürsorglich. Bedenkt das wohl: Gott ist nicht ängstlich und überfürsorglich; im Gegenteil, er vertraut ihnen und beruft einen jeden zu einem angemessenen Leben und Dienst. Denken wir an den kleinen Samuel, den heranwachsenden David, den jungen Jeremia; denken wir vor allem an diese jugendliche Sechzehn- oder Siebzehnjährige, die Jesus empfing, die Jungfrau Maria. Er vertraut auf eine Jugendliche. Liebe Eltern, das Wort Gottes weist uns den Weg: Ihr sollt eure Kinder nicht vor jeder Art von Schwierigkeiten und Leiden bewahren, sondern versuchen, ihnen die Leidenschaft für das Leben zu vermitteln, in ihnen den Wunsch zu wecken, ihre Berufung zu finden und den großen Auftrag anzunehmen, den Gott für sie vorgesehen hat. Es ist genau diese Entdeckung, die Elischa mutig, entschlossen und erwachsen werden lässt. Der Abschied von den Eltern und das Schlachten der Rinder sind ein Zeichen dafür, dass Elischa verstanden hat, dass er nun „an der Reihe“ ist, dass es an der Zeit ist, den Ruf Gottes anzunehmen und das weiterzuführen, was er seinen Meister hatte tun sehen. Und er wird dies bis an sein Lebensende mutig tun. Liebe Eltern, wenn ihr euren Kindern helft, ihre Berufung zu entdecken und anzunehmen, werdet ihr sehen, dass sie von dieser Sendung „ergriffen“ werden und die Kraft haben werden, die Schwierigkeiten des Lebens zu meistern.

Ich möchte noch hinzufügen, dass ein Erzieher einem anderen am besten helfen kann, seiner Berufung zu folgen, wenn er seine eigene mit treuer Liebe annimmt. Das ist es, was die Jünger Jesus tun sahen, und das heutige Evangelium stellt uns den bedeutsamen Moment vor Augen, da »Jesus den festen Entschluss« fasst, »nach Jerusalem zu gehen« (Lk 9,51), wohl wissend, dass er dort verurteilt und getötet werden wird. Auf dem Weg nach Jerusalem bekommt Jesus die Ablehnung der Einwohner von Samaria zu spüren, eine Ablehnung, die bei Jakobus und Johannes Empörung hervorruft, die er jedoch akzeptiert, weil sie zu seiner Berufung gehört: Zuerst erlebte er diese Ablehnung in Nazaret – denken wir an diesen Tag in der Synagoge von Nazaret (vgl. Mt 13,53-58) –, jetzt in Samaria und am Ende wird er in Jerusalem abgelehnt werden. Jesus nimmt all dies auf sich, weil er gekommen ist, um unsere Sünden auf sich zu nehmen. Ebenso gibt es auch für Kinder nichts Ermutigenderes, als zu sehen, wie ihre Eltern ihre Ehe und Familie in Treue und Geduld als eine Berufung leben, trotz mancher Schwierigkeiten, Kummer und Prüfungen. Und was Jesus in Samaria widerfuhr, geschieht in jeder christlichen Berufung, auch in der Berufung zum Familienleben. Das kennen wir alle: Es gibt Momente, in denen man Widerstände, Verschlossenheit und Unverständnis, die aus dem menschlichen Herzen kommen, auf sich nehmen muss, um sie mit der Gnade Christi in Annahme des anderen, in ungeschuldete Liebe zu verwandeln.

Auf dem Weg nach Jerusalem, unmittelbar nach dieser Begebenheit, die in einem gewissen Sinne die „Berufung Jesu“ beschreibt, stellt uns das Evangelium drei weitere Berufungen vor, drei Berufungen von ebenso vielen potenziellen Jüngern Jesu. Der erste wird aufgefordert, nicht nach einem festen Wohnsitz, einer sicheren Bleibe zu suchen, wenn er dem Meister folgen möchte. Denn er »hat keinen Ort, wo er sein Haupt hinlegen kann« (Lk 9,58). Jesus nachzufolgen bedeutet, in Bewegung zu sein und immer in Bewegung zu bleiben, immer mit ihm durch die Höhen und Tiefen des Lebens zu „reisen“. Wie sehr trifft das auf euch Verheiratete zu! Auch ihr habt mit der Entscheidung für Ehe und Familie euer „Nest“ verlassen und euch auf eine Reise begeben, von der ihr im Voraus nicht alle Teilstrecken kennen konntet und die euch ständig in Bewegung hält, mit immer neuen Situationen, unerwarteten Ereignissen und Überraschungen, die manchmal auch schmerzvoll sind. So ist es auf der Reise mit dem Herrn. Sie ist dynamisch, sie ist unvorhersehbar und sie ist immer eine wunderbare Entdeckung. Denken wir daran, dass ein Jünger Jesu gerade dann Frieden findet, wenn er Tag für Tag den Willen Gottes tut, worin auch immer er besteht.

Der zweite Jünger wird aufgefordert, nicht erst wegzugehen, um die Toten zu begraben (vgl. V. 59-60). Es geht nicht darum, das vierte Gebot zu missachten, das immer gültig bleibt und ein Gebot ist, dass unserer Heiligung sehr dient; vielmehr ist es eine Aufforderung, vor allem das erste Gebot zu befolgen: Gott über alles zu lieben. Dies gilt auch für den dritten Jünger, der aufgerufen wird, Christus entschlossen und mit ganzem Herzen nachzufolgen, ohne „zurückzublicken“, nicht einmal, um sich von seiner Familie zu verabschieden (vgl. V. 61-62).

Liebe Familien, auch ihr seid eingeladen, keine anderen Prioritäten zu setzen, nicht „zurückzublicken“, d.h. dem früheren Leben, der früheren Freiheit und den diesbezüglichen Illusionen nicht nachzutrauern: das Leben verkrustet, wenn es sich nicht auf das Neue des Rufes Gottes einlässt und dem Vergangenen hinterhertrauert. Wenn wir dem Vergangenen nachtrauern und das Neue, das Jesus uns schenken möchte, nicht annehmen, lässt uns das verkrusten, immer; das macht uns hart, das macht uns nicht menschlich. Wenn Jesus ruft, auch zu Ehe und Familie, fordert er uns auf, nach vorne zu schauen, und er kommt uns in der Liebe und im Dienen immer zuvor. Diejenigen, die ihm folgen, werden nicht enttäuscht werden!

Liebe Brüder und Schwestern, die Lesungen der Liturgie vom heutigen Tag sprechen alle geradezu providentiell von der Berufung, die das Thema dieses Zehnten Weltfamilientreffens ist: „Familienliebe: Berufung und Weg zur Heiligkeit“. Mit der Kraft dieses Wortes des Lebens ermutige ich euch, entschlossen den Weg der Familienliebe einzuschlagen und mit allen Familienmitgliedern die Freude dieser Berufung zu teilen. Und das ist kein leichter Weg: da wird es dunkle Momente geben, schwierige Momente, wo wir denken, das sei es gewesen. Möge die Liebe, die ihr untereinander lebt, stets offen und nach außen gerichtet sein, fähig, die Schwachen und die Verwundeten zu „berühren“, denen ihr auf eurem Weg begegnet: allen, die unter körperlichen und seelischen Gebrechen leiden. Die Liebe, auch die Liebe in der Familie, wird geläutert und gestärkt, wenn sie weitergegeben wird.

Auf die Liebe des Familienlebens zu setzen ist mutig: Es erfordert Mut, zu heiraten. Wir sehen so viele junge Menschen, die nicht den Mut haben zu heiraten, und oft sagen Mütter zu mir: „Tun Sie etwas, reden Sie mit meinem Sohn, er heiratet nicht, er ist schon 37!“ – „Aber, gute Frau, bügeln Sie ihm nicht die Hemden, schicken Sie ihn ein wenig fort, damit er aus dem Nest kommt“. Damit die Liebe in der Familie die Kinder zum Fliegen motiviert, muss sie ihnen das Fliegen beibringen und sie dazu drängen. Sie ist nicht besitzergreifend: Sie ist immer von Freiheit geprägt. Und dann, in schwierigen Momenten, in Krisen – alle Familien kennen Krisen – bitte nicht den einfachen Weg wählen: „Ich gehe zurück zu Mama“. Nein, nicht! Nur zu, habt Mut und Vertrauen. Es wird schwierige Zeiten geben, es wird harte Zeiten geben, aber macht weiter, immer. Dein Mann, deine Frau hat den Funken der Liebe, den ihr am Anfang gespürt habt: Lasst ihn aus eurem Inneren hervorkommen, entdeckt die Liebe wieder neu. Und das wird in Momenten der Krise sehr hilfreich sein.

Die Kirche ist mit euch, ja, die Kirche ist in euch! Die Kirche ist in der Tat aus einer Familie, nämlich aus der Familie von Nazaret, hervorgegangen und sie setzt sich hauptsächlich aus Familien zusammen. Möge der Herr euch jeden Tag helfen, in Einheit, Frieden und Freude zu leben und in schwierigen Zeiten durchzuhalten – diese treue Ausdauer lässt uns besser leben und zeigt allen, dass Gott Liebe und Lebensgemeinschaft ist.

[01012-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

En el ámbito del X Encuentro Mundial de las Familias, este es el momento de la acción de gracias. Hoy presentamos ante Dios con gratitud —como en un gran ofertorio— todo lo que el Espíritu Santo ha sembrado en vosotras, queridas familias. Algunas de vosotras habéis participado en los momentos de reflexión e intercambio aquí en el Vaticano; otras los habéis animado y vivido en vuestras respectivas diócesis, en una especie de inmensa constelación. Imagino la riqueza de experiencias, de propósitos, de sueños, y tampoco habrán faltado las preocupaciones y las incertidumbres. Ahora presentamos todo al Señor, y le pedimos a Él que os sostenga con su fuerza y con su amor. Sois papás, mamás, hijos, abuelos, tíos; sois adultos, niños, jóvenes, ancianos; cada uno con una experiencia diferente de familia, pero todos con la misma esperanza hecha oración. Que Dios bendiga y proteja a vuestras familias y a todas las familias del mundo.

En la segunda lectura, san Pablo nos ha hablado de libertad. La libertad es uno de los bienes más valorados y buscados por el hombre moderno y contemporáneo. Todos desean ser libres, no tener condicionamientos, no estar limitados, y por eso aspiran a liberarse de todo tipo de “prisión”: cultural, social, económica. Sin embargo, cuántas personas carecen de la libertad más grande, la interior. La libertad más grande es la libertad interior. El Apóstol nos recuerda a nosotros cristianos que esta libertad es sobre todo un don, cuando exclama: «Para la libertad nos ha liberado Cristo» (Ga 5,1). La libertad nos ha sido dada. Todos nosotros nacemos con muchos condicionamientos, interiores y exteriores, y sobre todo con la tendencia al egoísmo, es decir, a ponernos nosotros mismos en el centro y a buscar nuestros propios intereses. Pero Cristo nos ha liberado de esta esclavitud. Para evitar malentendidos, san Pablo nos advierte que la libertad que nos da Dios no es la falsa y vacía libertad del mundo, que en realidad es «un pretexto para satisfacer los deseos carnales» (Ga 5,13). No, la libertad que Cristo nos ha adquirido al precio de su sangre está orientada totalmente al amor, para que —como decía y nos dice hoy el Apóstol— «se hagan más bien esclavos unos de los otros, por medio del amor» (ibíd.).

Todos vosotros cónyuges, formando vuestra familia, con la gracia de Cristo habéis hecho esta elección valiente: no usar la libertad para vosotros mismos, sino para amar a las personas que Dios ha puesto a vuestro lado. En vez de vivir como “islas”, os habéis puesto “al servicio los unos de los otros”. De este modo se vive la libertad en familia. No hay “planetas” o “satélites” que viajan cada uno en su propia órbita. La familia es el lugar del encuentro, del compartir, del salir de sí mismos para acoger a los otros y estar cerca de ellos. Es el primer lugar donde se aprende a amar. No os olvidéis nunca de que la familia es el primer lugar donde se aprende a amar.

Hermanos y hermanas, mientras reafirmamos esto con gran convicción, sabemos bien que en los hechos no siempre es así, por muchos motivos y muchas situaciones diversas. Y así, precisamente mientras afirmamos la belleza de la familia, sentimos más que nunca que debemos defenderla. No dejemos que se contamine con los venenos del egoísmo, del individualismo, de la cultura de la indiferencia y de la cultura del descarte, y pierda así su “ADN” que es la acogida y el espíritu de servicio. Esta es la fisonomía propia de la familia: la acogida, el espíritu de servicio dentro de la familia.

La relación entre los profetas Elías y Eliseo, presentada en la primera lectura, nos hace pensar en la relación entre las generaciones, en el “paso del testigo” de padres a hijos. Esta relación en el mundo de hoy no es sencilla y a menudo es motivo de preocupaciones. Los padres temen que los hijos no sean capaces de orientarse en la complejidad y en la confusión de nuestras sociedades, donde todo parece caótico y precario, y que al final pierdan su camino. Este miedo hace a algunos padres ansiosos, a otros sobreprotectores, y a veces termina incluso por impedir el deseo de traer nuevas vidas al mundo.

Nos hace bien reflexionar sobre la relación entre Elías y Eliseo. Elías, en un momento de crisis y de miedo por el futuro, recibe de Dios la orden de ungir a Eliseo como su sucesor. Dios le hace entender a Elías que el mundo no termina con él y le manda que transmita a otro su misión. Este es el sentido del gesto descrito en el texto: Elías puso su manto en los hombros de Eliseo, y desde ese momento el discípulo toma el lugar del maestro para continuar el ministerio profético en Israel. Dios muestra de este modo que tiene confianza en el joven Eliseo. El anciano Elías le pasa la función, la vocación profética a Eliseo. Se fía de un joven, se fía del futuro. En aquel gesto está toda la esperanza, y con esperanza le pasa el testigo.

¡Qué importante es para los padres contemplar el modo de actuar de Dios! Dios ama a los jóvenes, pero no por eso los preserva de todos los peligros, desafíos y sufrimientos. Dios no es ansioso ni sobreprotector. Pensad bien en esto: Dios no es ansioso ni sobreprotector; al contrario, confía en ellos y llama a cada uno al sentido de la vida y de la misión. Pensemos en el niño Samuel, en el adolescente David, en el joven Jeremías; pensemos sobre todo en aquella jovencita, de dieciséis o diecisiete años, que concibió a Jesús, la Virgen María. Se fía de una jovencita. Queridos padres, la Palabra de Dios nos muestra el camino: no preservar a los hijos de cualquier malestar y sufrimiento, sino tratar de transmitirles la pasión por la vida, de encender en ellos el deseo de que encuentren su vocación y que abracen la gran misión que Dios ha pensado para ellos. Este descubrimiento es justamente el que hace a Eliseo valiente, determinado, y lo convierte en un adulto. El alejamiento de los progenitores y la inmolación de los bueyes son precisamente el signo por el que Eliseo comprendió que ahora “le tocaba a él”, que era el momento de acoger la llamada de Dios y de llevar adelante cuanto había visto hacer a su maestro. Y lo hará con valentía hasta el final de su vida. Queridos padres, si ayudáis a vuestros hijos a que descubran y acojan su vocación, veréis que ellos estarán “aferrados” a esta misión y tendrán la fuerza de afrontar y superar las dificultades de la vida.

Quisiera agregar también que, para un educador, el mejor modo de ayudar a otro a seguir su vocación es el de abrazar la propia vocación con amor fiel. Fue lo que los discípulos vieron hacer a Jesús, y el Evangelio de hoy nos muestra un momento emblemático, cuando Jesús «se encaminó decididamente hacia Jerusalén» (Lc 9,51), sabiendo bien que allí sería condenado y moriría. Y en el camino hacia Jerusalén, Jesús sufrió el rechazo de los habitantes de Samaría, un rechazo que suscitó la reacción indignada de Santiago y Juan, pero que Él aceptó porque formaba parte de su vocación. Al principio fue rechazado en Nazaret ―pensemos en aquel día en la sinagoga de Nazaret (cf. Mt 13,53-58)―, ahora en Samaría, y al final será rechazado en Jerusalén. Jesús acepta todo esto porque ha venido para cargar sobre sí nuestros pecados. Del mismo modo, no hay nada más estimulante para los hijos que ver a los propios padres vivir el matrimonio y la familia como una misión, con fidelidad y paciencia, a pesar de las dificultades, los momentos tristes y las pruebas. Y esto que le sucedió a Jesús en Samaría acontece en toda vocación cristiana, también en la familiar. Todos sabemos que llegan momentos en los que es necesario cargar sobre sí las resistencias, las cerrazones, las incomprensiones que provienen del corazón humano y, con la gracia de Cristo, transformarlas en acogida del otro, en amor gratuito.

En el camino hacia Jerusalén, inmediatamente después de este episodio, que nos describe en cierto sentido la “vocación de Jesús”, el Evangelio nos presenta otras tres llamadas, tres vocaciones de otros aspirantes a discípulos de Jesús. El primero es invitado a no buscar una morada estable, un lugar seguro siguiendo al Maestro. De hecho, Él «no tiene dónde reclinar la cabeza» (Lc 9,58). Seguir a Jesús significa ponerse en movimiento y permanecer siempre en movimiento, siempre “en camino” con Él a través de las vicisitudes de la vida. ¡Qué verdadero es esto para vosotros casados! También vosotros, acogiendo la llamada al matrimonio y a la familia, habéis dejado vuestro “nido” y habéis iniciado un viaje, del que no podíais conocer anticipadamente todas las etapas, y que os mantiene en constante movimiento, con situaciones siempre nuevas, acontecimientos inesperados, sorpresas, algunas de ellas dolorosas. Así es el camino con el Señor. Es dinámico, es impredecible, y es siempre un descubrimiento maravilloso. Recordemos que el descanso de todo discípulo de Jesús está precisamente en hacer cada día la voluntad de Dios, sea cual fuere.

El segundo discípulo es invitado a “no volver a enterrar a sus muertos” (cf. vv. 59-60). No se trata de faltar al cuarto mandamiento, que permanece siempre válido y que es un mandamiento que nos santifica mucho; sino que es una invitación a obedecer sobre todo al primer mandamiento: amar a Dios sobre todas las cosas. Así le sucedió también al tercer discípulo, llamado a seguir a Cristo decididamente y con todo el corazón, sin “volverse atrás”, ni siquiera para despedirse de sus familiares (cf. vv. 61-62).

Queridas familias, también vosotras estáis invitadas a no tener otras prioridades, a “no volveros atrás”, es decir, a no echar de menos la vida de antes, la libertad de antes, con sus ilusiones engañosas. Cuando no se acoge la novedad de la llamada de Dios la vida se fosiliza, añorando el pasado. Y este camino de estar echando de menos el pasado y no acoger las novedades que Dios nos manda, nos fosiliza, siempre; nos vuelve duros, no nos hace humanos. Cuando Jesús llama, también al matrimonio y a la familia, pide que miremos hacia adelante y siempre nos precede en el camino, siempre nos precede en el amor y en el servicio. Quien lo sigue no queda defraudado.

Queridos hermanos y hermanas, las lecturas de la liturgia de hoy, todas, providencialmente, hablan de vocación, que es justamente el tema de este décimo Encuentro Mundial de las Familias: “El amor familiar: vocación y camino de santidad”. Con la fuerza de esta Palabra de vida, os animo a retomar con decisión el camino del amor familiar, compartiendo con todos los miembros de la familia la alegría de esta llamada. Y no se trata de un trayecto fácil, no; no es un camino fácil. Habrá momentos de oscuridad, momentos de dificultad en que pensaremos que todo se acabó. Que el amor que vivís entre vosotros sea siempre abierto, extrovertido, capaz de “alcanzar” a los más débiles y a los heridos que encontráis a lo largo del camino; frágiles en el cuerpo y frágiles en el alma. El amor, en efecto, también el familiar, se purifica y se refuerza cuando se da.

La apuesta por el amor familiar es valiente; hace falta valor para casarse. Vemos a tantos jóvenes que no tienen el valor de casarse, muchas veces alguna mamá me dice: “Haga algo, hable con mi hijo, ¡ya tiene 37 años y no se casa!”. “Pero, señora, no le planche las camisas, empiece a alejarlo un poco, deje que salga del nido”. Porque el amor familiar empuja a los hijos a volar, les enseña a volar y los anima a volar. No es un amor posesivo, sino de libertad; siempre. Y luego, en los momentos difíciles, en las crisis ―todas las familias tienen crisis, todas pasan por ellas―, por favor, no tomes la salida fácil: “Regreso con mamá”. No lo hagáis. Seguid adelante, con esta apuesta valiente. Habrá momentos duros, habrá momentos difíciles, pero hay que seguir adelante, siempre. Tu marido, tu mujer tiene esa chispa de amor que habéis experimentado al principio; dejad que salga de vuestro interior, descubrid de nuevo el amor. Esto os ayudará mucho en los momentos de crisis.

La Iglesia está con vosotros, es más, la Iglesia está en vosotros. De hecho, la Iglesia nació de una Familia, la de Nazaret, y está formada principalmente por familias. Que el Señor os ayude cada día a permanecer en la unidad, en la paz, en la alegría y también en la perseverancia en los momentos difíciles, esa perseverancia fiel que nos hace vivir mejor y que muestra a todos que Dios es amor y comunión de vida.

[01012-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

No âmbito do X Encontro Mundial das Famílias, este é o momento da ação de graças. Hoje trazemos, com gratidão, à presença de Deus – como num grande ofertório – tudo o que o Espírito Santo semeou em vós, queridas famílias. Algumas de vós participaram nos momentos de reflexão e partilha aqui no Vaticano; outras animaram e viveram os mesmos momentos nas respetivas dioceses, formando uma espécie de imensa constelação. Imagino a riqueza de experiências, propósitos, sonhos, como não mancaram também as preocupações e as incertezas. Agora apresentamos tudo ao Senhor e pedimos-Lhe que vos sustente com a sua força e o seu amor. Sois pais, mães, filhos, avós, tios; sois adultos, crianças, jovens, idosos; cada qual com uma experiência diversa de família, mas todos com a mesma esperança feita oração: Que Deus abençoe e guarde as vossas famílias e todas as famílias do mundo.

Na segunda Leitura, São Paulo falou-nos de liberdade. A liberdade é um dos bens mais apreciados e procurados pelo homem moderno e contemporâneo. Todos desejam ser livres, não sofrer condicionamentos, nem ver-se limitados; por isso aspiram a libertar-se de qualquer tipo de «prisão»: cultural, social, económica. E, no entanto, quantas pessoas carecem da liberdade maior: a liberdade interior! A maior liberdade é a liberdade interior. O Apóstolo lembra-nos, a nós cristãos, que esta é primariamente um dom, quando exclama: «Foi para a liberdade que Cristo nos libertou» (Gal 5, 1). A liberdade foi-nos dada. Nascemos, todos, com muitos condicionamentos, interiores e exteriores, e sobretudo com a tendência para o egoísmo, isto é, para nos colocarmos a nós mesmos no centro e privilegiar os nossos próprios interesses. Mas, desta escravidão, libertou-nos Cristo. Para evitar equívocos, São Paulo adverte-nos que a liberdade dada por Deus não é a liberdade falsa e vazia do mundo que, na realidade, é «uma ocasião para os [nossos] apetites carnais» (Gal 5, 13). Essa, não! A liberdade, que Cristo nos conquistou com o preço do seu Sangue, está inteiramente orientada para o amor, a fim de que – como dizia, e nos diz hoje a nós, o Apóstolo –, «pelo amor, [nos façamos] servos uns dos outros» (Gal 5, 13).

Todos vós, esposos, ao formar a vossa família, com a graça de Cristo fizestes esta corajosa opção: não usar a liberdade para proveito próprio, mas para amar as pessoas que Deus colocou junto de vós. Em vez de viver como «ilhas», fizestes-vos «servos uns dos outros». Assim se vive a liberdade em família! Não há «planetas» ou «satélites», movendo-se cada qual pela sua própria órbita. A família é o lugar do encontro, da partilha, da saída de si mesmo para acolher o outro e estar junto dele. É o primeiro lugar onde se aprende a amar. Nunca o esqueçais: a família é o primeiro lugar onde se aprende a amar.

Irmãos e irmãs, ao mesmo tempo que reafirmamos com grande convicção tudo isto, bem sabemos que na realidade dos factos não é sempre assim, por muitos motivos e pelas mais variadas situações. Por isso, justamente enquanto afirmamos a beleza da família, sentimos mais do que nunca que devemos defendê-la. Não deixemos que seja poluída pelos venenos do egoísmo, do individualismo, da cultura da indiferença e da cultura do descarte, perdendo assim o seu DNA que é o acolhimento e o espírito de serviço. A caraterística própria da família: o acolhimento, o espírito de serviço dentro da família.

A relação entre os profetas Elias e Eliseu, apresentada na primeira Leitura, faz-nos pensar na relação entre as gerações, na «passagem do testemunho» entre pais e filhos. No mundo atual, esta relação não é simples, revelando-se muitas vezes motivo de preocupação. Os pais temem que os filhos não consigam orientar-se no meio da complexidade e confusão das nossas sociedades, onde tudo parece caótico, precário, acabando por extraviar-se da sua estrada. Este medo torna alguns pais ansiosos; outros, superprotetores. E por vezes acaba até por bloquear o desejo de trazer novas vidas ao mundo.

Faz-nos bem refletir sobre a relação entre Elias e Eliseu. Elias, num momento de crise e medo face ao futuro, recebe de Deus a ordem de ungir Eliseu como seu sucessor. Deus faz compreender a Elias que o mundo não termina com ele, e manda-lhe transmitir a outro a sua missão. Tal é o significado deste gesto descrito no texto: Elias lança o seu manto sobre os ombros de Eliseu e, a partir daquele momento, o discípulo tomará o lugar do mestre para continuar o seu ministério profético em Israel. Deus mostra, assim, que tem confiança no jovem Eliseu. O velho Elias passa a Eliseu a função, a vocação profética. Tem confiança num jovem, tem confiança no futuro. Naquele gesto, está contida toda uma esperança, e é com esperança que passa o testemunho.

Como é importante, para os pais, contemplar o modo de agir de Deus! Deus ama os jovens, mas isto não significa que os preserve de todo o risco, desafio e sofrimento. Deus não é ansioso, nem superprotetor. Pensai bem nisto: Deus não é ansioso, nem superprotetor; pelo contrário, tem confiança neles e chama cada um à medida alta da vida e da missão. Pensemos no pequeno Samuel, no adolescente David, no jovem Jeremias; pensemos sobretudo naquela donzela de dezasseis ou dezassete anos que concebeu Jesus: a Virgem Maria. Fia-Se duma donzela. Queridos pais, a Palavra de Deus mostra-nos o caminho: não é preservar os filhos do mínimo incómodo e sofrimento, mas procurar transmitir-lhes a paixão pela vida, acender neles o desejo de encontrar a sua vocação e abraçar a missão grande que Deus pensou para eles. É precisamente esta descoberta que torna Eliseu corajoso, determinado, que o torna adulto. O afastamento dos pais e a morte dos bois são o sinal concreto de que Eliseu compreendeu que agora «é a vez dele», que é hora de acolher a vocação de Deus e levar por diante aquilo que viu o seu mestre fazer. E fá-lo-á com coragem até ao fim da sua vida. Queridos pais, se ajudardes os filhos a descobrirem e acolherem a sua vocação, vereis que serão «fascinados» por esta missão e terão força para enfrentar e superar as dificuldades da vida.

Quero ainda acrescentar que a melhor maneira de um educador ajudar a outrem a seguir a sua vocação é abraçar com um amor fiel a própria. Foi o que os discípulos viram Jesus fazer; e o Evangelho de hoje mostra-nos um momento emblemático disso mesmo, quando Jesus «Se dirigiu resolutamente para Jerusalém» (Lc 9, 51), sabendo bem que lá seria condenado e morto. E, no caminho para Jerusalém, Ele vê-Se repelido pelos habitantes da Samaria; uma rejeição, que suscita a reação indignada de Tiago e João, mas que Jesus aceita pois faz parte da sua vocação: ao princípio, fora rejeitado em Nazaré –pensemos naquele dia na sinagoga de Nazaré (cf. Mt 13, 53-58) –, agora, na Samaria e, no fim, será rejeitado em Jerusalém. Jesus aceita tudo isto, porque veio para tomar sobre Si os nossos pecados. De igual modo, não há nada mais animador para os filhos do que ver os seus pais viverem o casamento e a família como uma missão, com fidelidade e paciência, apesar das dificuldades, horas tristes e provações. E, o que sucedeu com Jesus na Samaria, acontece em toda a vocação cristã, incluindo a vocação familiar. Todos o sabemos: há momentos em que é preciso assumir as resistências, os fechamentos, as incompreensões que provêm do coração humano e, com a graça de Cristo, transformá-los em acolhimento do outro, em amor gratuito.

E no caminho para Jerusalém, imediatamente depois deste episódio que, de certo modo, nos descreve a «vocação de Jesus», o Evangelho apresenta-nos outros três chamamentos, três vocações de igual número de aspirantes a discípulos de Jesus. O primeiro é convidado a não procurar, no seguimento do Mestre, uma morada estável, uma acomodação segura. Com efeito Ele «não tem onde reclinar a cabeça» (Lc 9, 58). Seguir Jesus significa pôr-se em movimento e estar sempre em movimento, sempre «em viagem» com Ele através das vicissitudes da vida. Como tudo isto é verdade para vós, casados! Também vós, ao acolher a vocação para o matrimónio e a família, deixastes o vosso «ninho» e começastes uma viagem, da qual não podíeis conhecer de antemão todas as etapas, e que vos mantém em constante movimento, com situações sempre novas, factos inesperados, surpresas (algumas dolorosas). Assim é o caminho com o Senhor: dinâmico, imprevisível mas sempre uma maravilhosa descoberta! Lembremo-nos de que o repouso de cada discípulo de Jesus encontra-se justamente em fazer cada dia a vontade de Deus, seja ela qual for.

O segundo discípulo é convidado a não voltar atrás porque queria, «primeiro, sepultar o pai» (cf. Lc 9, 59-60). Não se trata de faltar ao quarto mandamento, que permanece sempre válido e é um mandamento que nos santifica imenso; mas é um convite a obedecer, antes de tudo, ao primeiro mandamento: amar a Deus sobre todas as coisas. O mesmo se verifica com o terceiro discípulo, chamado a seguir Cristo resolutamente e de todo o coração, sem «olhar para trás», nem mesmo para se despedir dos seus familiares (cf. Lc 9, 61-62).

Queridas famílias, também vós sois convidadas a não ter outras prioridades, a «não olhar para trás», isto é, a não vos lamentardes repassando a vida de outrora, a liberdade de antes com as suas ilusões enganadoras: a vida fossiliza-se quando não acolhe a novidade do chamamento de Deus, chorando pela falta do passado. E este caminho de lamentar a falta do passado e non acolher as novidades que Deus nos manda, sempre nos fossiliza; faz-nos duros, faz-nos desumanos. Quando Jesus chama, nomeadamente ao matrimónio e à família, pede para olharmos em frente, e sempre nos precede no caminho, sempre nos precede no amor e no serviço. Quem O segue, não fica dececionado!

Queridos irmãos e irmãs, providencialmente todas as Leituras da liturgia de hoje nos falam de vocação, que é precisamente o tema deste X Encontro Mundial das Famílias: «O amor familiar: vocação e caminho de santidade». Com a força desta Palavra de vida, animo-vos a retomar resolutamente o caminho do amor familiar, partilhando com todos os membros da família a alegria desta vocação. E não é uma estrada fácil, não é um caminho fácil: haverá momentos escuros, momentos de dificuldade nos quais pensaremos que tudo acabou. O amor que viveis entre vós seja sempre aberto, comunicativo, capaz de «tocar com a mão» os mais frágeis e os feridos que encontrardes pelo caminho: frágeis no corpo e frágeis na alma. De facto é quando se dá que o amor, incluindo o amor familiar, se purifica e fortalece.

A aposta no amor familiar é corajosa: é preciso coragem para casar. Vemos muitos jovens que não têm a coragem de se casar, e muitas vezes acontece uma mãe vir dizer-me: «Faça qualquer coisa, converse com o meu filho, que não se casa; tem 37 anos!» – «Mas, senhora, deixe de lhe passar a ferro as camisas, comece a senhora a mandá-lo sair um pouco, que saia do ninho». Porque o amor familiar impele os filhos a voarem, ensina-os a voar e impele-os a voar. Não é possessivo: sempre dá liberdade. E depois, nos momentos difíceis, nas crises – crises, todas as famílias as têm –, por favor, não sigais o caminho mais fácil: «volto para casa da mãe». Não. Andai avante com esta aposta corajosa. Haverá momentos difíceis, haverá momentos duros, mas avante, sempre. O teu marido, a tua esposa tem aquela centelha de amor que vós sentistes ao princípio: deixai-a sair de dentro, redescobri o amor. E isto ajudar-vos-á imenso nos momentos de crise.

A Igreja está convosco; antes, a Igreja está em vós! Com efeito, a Igreja nasceu de uma família, a família de Nazaré, e é composta principalmente por famílias. Que o Senhor vos ajude cada dia a permanecer na unidade, na paz, na alegria e também numa fiel perseverança que nos faz viver melhor e mostra a todos que Deus é amor e comunhão de vida.

[01012-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

W ramach Dziesiątego Światowego Spotkania Rodzin przeżywamy teraz czas dziękczynienia. Z wdzięcznością zanosimy dziś przed oblicze Boga - niczym w wielkim ofertorium - to wszystko, co Duch Święty zasiał w was, drogie rodziny. Niektórzy z was uczestniczyli w czasie refleksji i dzielenia się tutaj, w Watykanie; inni spośród was animowali je i przeżywali w swoich diecezjach, tworząc wszyscy razem coś na kształt ogromnej konstelacji. Wyobrażam sobie bogactwo waszych doświadczeń, planów, marzeń. Nie brakuje też trosk i niepewności. Teraz przedstawiamy to wszystko Panu i prosimy Go, by was wspierał swoją mocą i miłością. Jesteście ojcami, matkami, dziećmi, dziadkami, ciotkami i wujkami; jesteście dorosłymi, dziećmi, młodzieżą, ludźmi starszymi. Każdy z was ma inne doświadczenie rodziny, ale wszyscy tę samą nadzieję, która staje się modlitwą: aby Bóg pobłogosławił i strzegł wasze rodziny i wszystkie rodziny świata.

Święty Paweł w drugim czytaniu mówił nam o wolności. Wolność jest jednym z dóbr najbardziej cenionych i poszukiwanych przez współczesnego i nowoczesnego człowieka. Wszyscy pragną być wolni, nie być związanym uzależnieniami ani ograniczeniami. Dążą zatem do uwolnienia się od wszelkiego rodzaju „więzień”: kulturowych, społecznych, ekonomicznych. A jednak jakże wielu osobom brakuje przy tym tej największej wolności: wolności wewnętrznej! Największą wolnością jest wolność wewnętrzna. Apostoł, wołając: „Ku wolności wyswobodził nas Chrystus” (Ga 5, 1) przypomina nam, chrześcijanom, że wolność jest przede wszystkim darem. Zostaliśmy obdarzeni wolnością. Wszyscy rodzimy się z licznymi uwarunkowaniami, wewnętrznymi i zewnętrznymi, a przede wszystkim ze skłonnością do egoizmu, czyli stawiania siebie w centrum uwagi i dążenia do osiągnięcia własnych korzyści. Ale z tej niewoli wyzwolił nas Chrystus. Pragnąc uniknąć wątpliwości, św. Paweł ostrzega nas, że wolność dana nam przez Boga nie jest „fałszywą i pustą wolnością świata, która jest „zachętą do hołdowania ciału” (Ga 5, 13). Nie, wolność, którą Chrystus nabył dla nas za cenę swojej krwi jest w pełni ukierunkowana na miłość, abyśmy mogli - jak powiedział Apostoł i mówi do nas dzisiaj – „miłością ożywieni służyć sobie wzajemnie” (tamże).

Małżonkowie, wy wszyscy, kształtując swoją rodzinę, dokonaliście dzięki łasce Chrystusa tego odważnego wyboru: nie wykorzystywać wolności dla samych siebie, ale miłować osoby, które Bóg postawił obok was. Zamiast żyć jak „wyspy”, oddaliście się „na służbę jedni drugim”. Tak się przeżywa wolność w rodzinie! Nie ma „planet” ani „satelitów”, poruszających się każda po swej własnej orbicie. Rodzina jest miejscem spotkania, dzielenia się, wychodzenia ze swoich ograniczeń, aby przyjąć drugiego człowieka i być blisko niego. Jest to pierwsze miejsce, w którym człowiek uczy się kochać. Nigdy o tym nie zapominajcie: rodzina jest pierwszym miejscem, gdzie człowiek uczy się kochać.

Bracia i siostry, chociaż stwierdzamy to z wielkim przekonaniem, to dobrze wiemy, że w praktyce, z wielu powodów i ze względu na wiele różnych sytuacji, nie zawsze się tak dzieje Dlatego też, potwierdzając piękno rodziny, czujemy zarazem, bardziej niż kiedykolwiek, że musimy jej bronić. Nie pozwólmy, aby została ona skażona truciznami egoizmu, indywidualizmu, kultury obojętności i kultury odrzucenia, i w ten sposób utraciła swoje „DNA”, którym jest gościnność i duch służby. Cechą właściwą rodzinie jest gościnność, duch służby w obrębie rodziny.

Relacja między prorokami Eliaszem i Elizeuszem, przedstawiona w pierwszym czytaniu, każe nam myśleć o więzi między pokoleniami, o „przekazywaniu pałeczki” między rodzicami a dziećmi. Ta relacja w dzisiejszym świecie nie jest prosta i często jest źródłem niepokoju. Rodzice obawiają się, że ich dzieci nie będą umiały odnaleźć się w złożoności i nieporządku naszych społeczeństw, w których wszystko wydaje się chaotyczne, niepewne, i że w końcu zagubią swą drogę. Ten lęk sprawia, że niektórzy rodzice stają się niespokojni, inni nadopiekuńczy, a czasem nawet powoduje on powstrzymanie pragnienia wydania na świat nowego życia.

Warto zastanowić się nad relacją między Eliaszem a Elizeuszem. Eliasz, w czasie kryzysu i lęku o przyszłość, otrzymuje od Boga polecenie namaszczenia Elizeusza na swojego następcę. Bóg uświadamia Eliaszowi, że świat nie kończy się na nim i nakazuje mu przekazać jego misję komuś innemu. Takie jest znaczenie gestu opisanego w tekście: Eliasz zarzuca swój płaszcz na ramiona Elizeusza i odtąd ów uczeń zajmie miejsce mistrza, aby kontynuować jego posługę prorocką w Izraelu. Bóg pokazuje w ten sposób, że ma zaufanie do młodego Elizeusza. Starzec Eliasz przekazuje Elizeuszowi funkcję, powołanie prorockie. Ufa młodemu człowiekowi, ufa przyszłości. W tym geście jest nadzieja i z nadzieją przekazuje pałeczkę.

Jakże to ważne, aby rodzice kontemplowali sposób działania Boga! Bóg kocha młodych, ale nie znaczy to, że chroni ich przed wszelkim ryzykiem, wszelkimi wyzwaniami i cierpieniem. Bóg nie jest niespokojny i nadopiekuńczy. Dobrze to przemyślcie: Bóg nie jest niespokojny i nadopiekuńczy. Przeciwnie, ufa im i wzywa każdego z nich, by w swym życiu i swej misji mierzyli wysoko. Pomyślmy o małym Samuelu, o dorastającym Dawidzie, o młodym Jeremiaszu; pomyślmy przede wszystkim o tej dziewczynie, szesnastoletniej, siedemnastoletniej, która poczęła Jezusa, Maryi Dziewicy. Ufa młodej dziewczynie. Drodzy rodzice, Słowo Boże wskazuje nam drogę: nie chrońcie swoich dzieci przed wszelkimi najmniejszymi trudnościami i cierpieniami, ale starajcie się przekazać im umiłowanie życia, rozpalić w nich pragnienie odnalezienia swojego powołania i podjęcia wielkiej misji, którą zaplanował dla nich Bóg. Właśnie to odkrycie czyni Elizeusza odważnym, zdeterminowanym i sprawia, że staje się dorosły. To rozstanie z rodzicami i zabicie wołów stają się znakiem, że Elizeusz zrozumiał, iż nadeszła „jego kolej”, że nadszedł czas, aby przyjąć Boże powołanie i kontynuować to, co widział w działaniach swego mistrza. I będzie to czynił odważnie, aż do końca życia. Drodzy rodzice, jeśli pomożecie waszym dzieciom odkryć i przyjąć ich powołanie, zobaczycie, że będą one „zafascynowane” tą misją i będą miały siłę, by stawić czoła i przezwyciężyć trudności życia.

Chciałbym jeszcze dodać, że dla wychowawcy najlepszym sposobem, aby pomóc drugiemu człowiekowi w podążaniu za jego powołaniem, jest przyjęcie z wierną miłością własnego powołania. Właśnie to widzieli w Jezusie, z kolei dzisiejsza Ewangelia ukazuje nam znamienny moment, w którym Jezus „postanowił udać się do Jeruzalem” (Łk 9, 51), wiedząc dobrze, że tam zostanie skazany i zabity. W drodze do Jerozolimy spotyka się z odrzuceniem przez mieszkańców Samarii, które wywołuje oburzenie Jakuba i Jana, ale które On sam akceptuje, ponieważ jest częścią Jego powołania: najpierw został odrzucony w Nazarecie - pomyślcie o tym dniu w synagodze w Nazarecie (por. Mt 13, 53-58) -, teraz w Samarii, a na końcu zostanie odrzucony także w Jerozolimie. Jezus przyjmuje to wszystko, ponieważ przyszedł na świat, aby wziąć na siebie nasze grzechy. Podobnie jest w przypadku dzieci: nic nie dodaje dzieciom otuchy bardziej, niż widok rodziców przeżywających swoje małżeństwo i życie rodzinne wiernie i cierpliwie, jako misję, pomimo trudności, chwil smutnych i trudnych doświadczeń. To, co spotkało Jezusa w Samarii, wydarza się w każdym powołaniu chrześcijańskim, także w powołaniu rodzinnym. Wiemy to wszyscy: przychodzą chwile, kiedy trzeba wziąć na siebie przeciwności, brak otwartości, nieporozumienia, które pochodzą z ludzkiego serca, i z łaską Chrystusa przemienić je w akceptację drugiego człowieka w bezinteresownej miłości.

A w drodze ku Jerozolimie, bezpośrednio po tym wydarzeniu, które w pewnym sensie opisuje nam „powołanie Jezusa”, Ewangelia przedstawia trzy inne wezwania, trzy powołania ludzi pragnących być uczniami Jezusa. Pierwszy z nich otrzymał zachętę, żeby, podążając za Mistrzem, nie szukał stałego miejsca zamieszkania, ani bezpiecznego schronienia. On bowiem „nie ma miejsca, gdzie by głowę mógł położyć” (Łk 9, 58). Pójście za Jezusem oznacza wyruszenie w drogę i bycie zawsze w drodze, zawsze „podróżując” z Nim pośród zmiennych kolei życia. Jakże prawdziwe jest to dla was, małżonków! Wy również, przyjmując powołanie do małżeństwa i rodziny, opuściliście swoje „gniazdo” i rozpoczęliście podróż, której wszystkich etapów nie mogliście z góry przewidzieć, a która utrzymuje was stale w ruchu, z nieustannie nowymi sytuacjami, nieoczekiwanymi wydarzeniami, niespodziankami, niektórymi bolesnymi. Tak właśnie wygląda droga z Panem. Jest dynamiczna, nieprzewidywalna i zawsze jest wspaniałym odkryciem. Pamiętajmy, że odpoczynek każdego ucznia Jezusa polega właśnie na codziennym wypełnianiu woli Bożej, niezależnie od tego, jaka ona jest.

Drugi uczeń jest zachęcany, aby nie wracał, żeby pogrzebać swoich zmarłych (w. 59-60). Nie chodzi tu o łamanie czwartego przykazania, które zawsze pozostaje ważne i jest przykazaniem, które nas tak bardzo uświęca, lecz o zaproszenie do przestrzegania przede wszystkim pierwszego przykazania: miłowania Boga ponad wszystko. Tak jest również w przypadku trzeciego ucznia, który jest powołany do pójścia za Chrystusem w sposób zdecydowany i z całego serca, bez „oglądania się wstecz”, nawet po to, by pożegnać się ze swoją rodziną (por. w. 61-62).

Drogie rodziny, wy także jesteście zachęcane, by nie mieć innych priorytetów, by nie „oglądać się wstecz”, to znaczy nie żałować dawnego życia, dawnej wolności, z jej zwodniczymi iluzjami: bowiem życie staje się skostniałe, gdy, żałując przeszłości, nie przyjmuje nowości Bożego powołania. A ta droga użalania się nad przeszłością i nieprzyjmowania nowości, które zsyła nam Bóg, zawsze nas usztywnia; czyni nas twardymi, nie czyni nas ludźmi.

Kiedy Jezus powołuje, także do małżeństwa i rodziny, prosi nas, abyśmy patrzyli w przyszłość, i zawsze wyprzedza nas w drodze, zawsze idzie przed nami w miłości i służbie. Kto za Nim idzie, nie będzie zawiedziony!

Drodzy bracia i siostry, wszystkie czytania dzisiejszej liturgii opatrznościowo mówią o powołaniu, które jest właśnie tematem trwającego Dziesiątego Światowego Spotkania Rodzin: „Miłość rodzinna: powołanie i droga do świętości”. Z mocą tego Słowa Życia zachęcam was, abyście zdecydowanie wyruszyli drogą miłości rodzinnej, dzieląc ze wszystkimi członkami rodziny radość płynącą z tego powołania. A nie jest to droga łatwa: będą chwile mroczne, chwile trudności, w których będziemy myśleć, że wszystko skończone. Niech miłość, której doświadczacie między wami, zawsze będzie otwarta, wychodząca ku innym, zdolna do „dotykania” najsłabszych i poranionych, których spotykacie na waszej drodze: słabych na ciele i słabych na duszy. Miłość bowiem, także ta rodzinna, oczyszcza się i umacnia, kiedy jest dawana.

Postawienie na miłość rodzinną jest odważne: trzeba mieć odwagę, by się pobrać. Widzimy wielu ludzi młodych, którzy nie mają odwagi się pobrać, i wiele razy jakaś matka mówi do mnie: „Niech coś zrobi, porozmawia z moim synem, który nie chce się ożenić, ma 37 lat!”. – „Ależ proszę pani, niech pani nie prasuje jego koszul, niech go pani trochę odpycha, niech wyjdzie z gniazdka”. Bowiem miłość rodzinna pobudza dzieci do latania, uczy je latać i pobudza do latania. Nie jest zaborcza, ma zawsze posmak wolności. A potem, w chwilach trudnych, w kryzysach - wszystkie rodziny je mają, przeżywają kryzysy - proszę, nie wybierajcie łatwej drogi: „Wracam do mamusi”. Nie. Śmiało, idźcie naprzód z tym odważnym postawieniem na rodzinę. Będą chwile trudne, będą chwile ciężkie, ale idźcie naprzód, zawsze. Twój mąż, twoja żona mają tę iskrę miłości, którą poczuliście na początku: pozwólcie jej się ujawnić od wewnątrz, odkryjcie miłość na nowo. A to bardzo pomoże w chwilach kryzysu.

Kościół jest z wami, co więcej: Kościół jest w was! Kościół narodził się bowiem z rodziny, z Rodziny z Nazaretu, i składa się głównie z rodzin. Niech Pan pomaga wam każdego dnia trwać w jedności, pokoju, radości, a także w wytrwałości w chwilach trudnych, tej wiernej wytrwałości, która sprawia, że żyjemy lepiej i ukazuje wszystkim, że Bóg jest miłością i Bóg jest komunią życia.

[01012-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في اللقاء العالمي العاشر للعائلات

يوم السبت 25 حزيران/يونيو 2022

ساحة القدّيس بطرس

في إطار اللقاء العالمي العاشر للعائلات، هذه هي اللحظة التي نقدّم فيها الشّكر. نحمل اليوم أمام الله شاكرين، كما في تقدّمة شاملة، كلّ ما زرعه الرّوح القدس فيكم، أيّتها العائلات العزيزة. شارك بعضكم في لحظات التأمّل والمشاركة، هنا في الفاتيكان. وآخرون أحيّوا وعاشوا تلك اللحظات في ابرشياتكم المختلفة، في نوع من التجمّع العالميّ الكبير حولنا. أتخيّل غِنى الخبرات والمقاصد والأحلام، ولم تغب طبعًا المخاوف والشّكوك. لنقدّم الآن كلّ شيء للرّبّ يسوع، ولنطلب منه أن يسندكم بقوّته وبمحبّته. أنتم آباء وأمّهات وأبناء وأجداد وأعمام وأخوال. أنتم بالغون، وأطفال، وشباب، وكبار في السّنّ. كلّ واحدٍ لديه خبرة عائليّة مختلفة، ولكن كلّنا لدينا الرّجاء نفسه نجعله صلاة: ليبارك الله وليَحمِ عائلاتكم وكلّ عائلات العالم.

كلّمنا القدّيس بولس في القراءة الثانيّة على الحريّة. الحريّة هي من أكثر الخيرات التي يقدّرها ويبحث عنها الإنسان الحديث والمعاصر. الكلّ يرغبون في أن يكونوا أحرارًا، وألّا يكونوا مقيَّدين بشروط، أو حدود، وبالتّالي يتطلّعون إلى أن يحرّروا أنفسهم من أيّ نوع من ”السّجون“: السّجن الثّقافي، والاجتماعيّ، والاقتصاديّ. ومع ذلك، كم من الأشخاص يفتقرون إلى أكبر الحريّات وهي: الحريّة الداخليّة! الحريّة الأكبر هي الحريّة الداخليّة. ذكّرنا الرّسول، نحن المسيحيّين، أنّ هذه الحريّة هي قبل كلّ شيء عطيّة، عندما هتف: "إِنَّ المسيحَ قد حَرَّرَنا تَحْريرًا" (غلاطية 5، 1). الحريّة وُهِبَت لنا. كلّنا وُلِدنَا مع الكثير من الشّروط المفروضة علينا، الداخليّة والخارجيّة، وفوق كلّ شيء مع ميلٍ إلى الأنانيّة، أيّ أن نضع أنفسنا في المركز ونعمل على تحقيق مصالحنا الخاصّة. لكن يسوع حرّرنا من هذه العبوديّة. ولتجنّب اللّغط، حذّرنا القدّيس بولس من أنّ الحريّة التي وهبنا إياها الله ليست حريّة العالم الزائفة والفارغة، التي هي في الواقع "فُرصَةً لِلجَسَد" (غلاطية 5، 13). لا، الحريّة التي نالها لنا المسيح بثمن دمه موجّهة كلّها نحو المحبّة، وكما قال الرّسول ويقول لنا اليوم، "بِفَضلِ المَحَبَّةِ ٱخدِموا بَعضُكم بَعضًا" (المرجع نفسه).

كلّكم أيّها الأزواج، اخترتم واتّخذتم القصد الشّجاع، لتكوين عائلتكم، بنعمة المسيح، فلا تستخدموا الحريّة لأنفسكم، بل لكي تحبّوا الأشخاص الذين وضعهم الله بجانبكم. وبدل أن تعيشوا مثل ”جزر“، وضعتم أنفسكم ”في خدمة بعضكم بعضًا“. هكذا تُعاش الحريّة في العائلة! لا توجد ”كواكب“ أو ”أقمار صناعية“ تتجوّل كلّ منها في مدارها الخاصّ. العائلة هي مكان اللقاء والمشاركة والخروج من الذّات، من أجل قبول الآخر والاقتراب منه. إنّها المكان الأوّل الذي نتعلّم فيه أن نحبّ. لا تنسوا هذا أبدًا: العائلة هي المكان الأوّل الذي نتعلّم فيه أن نحبّ.

أيّها الإخوة والأخوات، بينما نكرّر هذا باقتناع كبير، نعلَم جيّدًا أنّ الأمر في الواقع ليس هكذا دائمًا، لأسباب كثيرة وفي حالات مختلفة. لهذا، وبينما نؤكّد على جمال العائلة بالتّحديد، نشعر أكثر من أيّ وقت مضى أنّه يجب علينا الدّفاع عنها. لا نسمح بأن تلوّثها سموم الأنانيّة والفرديّة وثقافة اللامبالاة والإقصاء، فتفقد بالتالي ذاتها، ال“dna” الذي لها، والذي هو الاستقبال وروح الخدمة. العلامة الخاصّة للعائلة هي: الاستقبال وروح الخدمة داخل العائلة.

إنّ العلاقة بين النبيَّين إيلِيَّا وأَليشاع، التي سمعناها في القراءة الأولى، تجعلنا نفكّر في العلاقة بين الأجيال، وفي ”عبور الشّاهد“ بين الوالدين والأبناء. هذه العلاقة ليست بسيطة في عالم اليوم، بل غالبًا ما تكون مدعاة للقلق. يخشى الوالدان ألّا يكون أبناؤهم قادرين على توجيه أنفسهم في تعقيدات مجتمعاتنا واضطراباتها، حيث يبدو كلّ شيء فوضويًّا ومحفوفًا بالمخاطر، فيَضِلُّون طريقهم في النهاية. هذا الخوف يجعل بعض الوالدين قلقين، والبعض الآخر مبالغين في حماية الأبناء، وفي بعض الأحيان ينتهي بهم الأمر إلى إيقاف الرغبة في أن يُنجبوا حياة جديدة إلى العالم.

يفيدنا أن نفكّر في العلاقة بين إيلِيَّا وأَليشاع. إيلِيَّا، في لحظة أزمة وخوف على المستقبل، تلقى أمرًا من الله أن يدهن بالزيت أَليشاع ليكون خليفة له. أراد الله من إيليَّا أن يفهم أنّ العالم لا ينتهي معه، فأمره أن ينقل رسالته إلى شخص آخر. هذا هو معنى الحركة التي جاء وصفها في النص: إذ ألقى إيليَّا عباءته على أكتاف أليشاع، ومن تلك اللحظة حلّ التلميذ مكان معلّمه لمواصلة خدمته النبويّة في إسرائيل. وهكذا أظهر الله ثقته بالشّاب أليشاع. نقل إيليَّا المسّن الخدمة، والدّعوة النبويّة إلى أليشاع. وَثقَ بشابٍّ ووَثقَ بالمستقبل. كان يوجد في مبادرته هذا الرّجاء كلّه، وبالرّجاء يمرّ الشّاهد.

كم هو مهم أن يفكّر الوالدان في طريقة الله وتعامله! الله يحبّ الشّباب، لكن ليس لهذا السبب هو يحميهم من كلّ خطر ومن كلّ تحدّ ومن كلّ ألم. اللّه ليس قلقًا ومفرطًا في الحماية. فكّروا في هذا جيّدًا: اللّه ليس قلقًا ومفرطًا في الحماية، بل العكس، هو يثق بهم ويدعو كلّ واحد إلى مستوى من الحياة والرّسالة. لنفكر في الطفل صموئيل، والفتى المراهق داود، وإرميا الشّاب. لنفكّر قبل كلّ شيء في تلك الفتاة ذات الستّة عشر عامًا أو السبعة عشر عامًا التي حبلت بيسوع، وهي مريم العذراء. لقد وَثقَ بفتاة. أيّها الوالدون الأعزاء، إنّ كلمة الله تبيّن لنا الطريق: ليس لحماية الأبناء من كلّ أدنى ضيق من الانزعاج والمعاناة، بل لمحاولة نقل حبّ الحياة إليهم، وإشعال الرّغبة فيهم في أن يجدوا دعوتهم وفي أن يقبلوا الرّسالة الكبيرة التي فكّر الله فيها لهم. هذا الاكتشاف بالتّحديد هو الذي جعل أَليشاع شجاعًا وعازمًا وجعله يصير بالغًا. الانفصال عن الوالدين وقتل الثيران هي تمامًا علامة على أنّ أَليشاع فهم الآن أنّه قد ”حان دوره“، وأنّ الوقت قد حان لقبول دعوة الله ومواصلة ما رآه من معلمه. وسوف يفعل ذلك بشجاعة حتى نهاية حياته. أيّها الوالدون الأعزاء، إذا ساعدتم أبناءكم على اكتشاف دعوتهم وقبولها، سترَون أنّه سيتم ”فهمهم“ من خلال هذه الرّسالة وستكون لديهم القوّة لمواجهة صعوبات الحياة والتغلّب عليها.

أودّ أيضًا أن أضيف أنّه بالنسبة إلى المعلّم، فإنّ أفضل طريقة لمساعدة شخص آخر على متابعة دعوته هي أن يقبل رسالته بحبّ صادق. هذا الذي رآه التلاميذ في يسوع، وبيّن لنا إنجيل اليوم لحظة رمزيّة، عندما "عَزَمَ [يسوع] على الاتِّجاهِ إِلى أُورَشَليم" (لوقا 9، 51)، وهو يعلم جيّدًا أنّه سيُحكَم عليه هناك وسيُقتل. وفي طريقه إلى أورشليم، تألّم يسوع من رفض سكان السّامرة له، وهو رفضٌ أثار ردّ فعل غاضب من قبل يعقوب ويوحنا. لكن يسوع قَبِلَ ذلك لأنّه كان جزءًا من دعوته: تمّ رفضه في الناصرة – لنفكّر في ذلك اليوم في مجمَع النّاصرة (راجع متّى 13، 53-58) -، والآن في السّامرة، وفي النهاية سيتمّ رفضه في أورشليم. قَبِلَ يسوع كلّ هذا لأنّه جاء ليحمل خطايانا. وبنفس الأسلوب، ليس هناك ما يشجّع الأبناء أكثر من أن يروا والديهم يعيشون الزواج والعائلة كرسالة، بإخلاص وصبر، على الرّغم من الصّعوبات واللحظات الحزينة والمحن. وما حدث ليسوع في السّامرة يحدث في كلّ دعوة مسيحيّة، حتى العائليّة منها. كلّنا نعلم ذلك: ستأتي لحظات يجب علينا فيها أن نستوعب المقاومة والانغلاقات وسوء الفهم التي تأتي من قلب الإنسان، وبنعمة المسيح، علينا أن نحوّلها إلى قبول الآخر، وإلى محبّة مجانيّة.

وفي المسيرة نحو أورشليم، بعد هذه الحادثة مباشرة، التي تصف بمعنى ما ”دعوة يسوع“، قدّم لنا الإنجيل ثلاث دعوات أخرى، ثلاث دعوات لكثير من تلاميذ يسوع الطموحين. الأول تمّ دعوته إلى عدم البحث عن بيت ثابت، وملجإ آمن في اتباع المعلّم. في الواقع، يسوع لم يكن "لَه ما يَضَعُ علَيهِ رَأسَه" (لوقا 9، 58). إنّ إتباع يسوع يعني التحرّك والاستمرار دائمًا في الحركة، أي أن نكون دائمًا ”في سَفَرٍ“ معه من خلال أحداث الحياة. كم هذا صحيح لكم أنتم الأزواج! أنتم أيضًا، بقبولكم الدعوة إلى الزواج وإلى إنشاء عائلة، قد تركتم ”عشّكم“ وبدأتم رحلة لا يمكنكم معرفة كلّ مراحلها مسبقًا، والتي تبقيكم في حالة حركة مستمرة، مع مواقف جديدة وأحداث غير متوقعة ومفاجآت، بعضها مؤلم. هكذا هي المسيرة مع الرّبّ يسوع. إنّها ديناميكيّة، ولا يمكن توقّع كلّ شيء فيها، وستكون دائمًا اكتشافًا رائعًا. لنتذكّر أنّ راحة كلّ تلميذ ليسوع هي بالتّحديد في عمل مشيئة الله كلّ يوم، ومهما كانت.

التلميذ الثاني تمّ دعوته إلى ”عدم الرجوع لدفن موتاه“ (راجع الآيات 59-60). ليست المسألة عدم العمل بالوصيّة الرابعة، التي تبقى صالحة دائمًا، وهي وصيّة تقدّسنا كثيرًا، بل هي دعوة لطاعة الوصيّة الأولى أوّلًا وقبل كلّ شيء: أن نحبّ الله فوق كلّ شيء. هذا هو الحال أيضًا مع التلميذ الثالث، المدعو إلى اتباع المسيح بتصميم ومن كلّ قلبه، دون ”أن ينظر إلى الوراء“، ولا حتى أن يوّدع أهل بيته (راجع الآيات 61 - 62).

العائلات العزيزة، أنتم أيضًا مدعوّون إلى ألّا تكون لكم أولويات أخرى، وإلى ”ألّا تنظروا إلى الوراء“، أي إلى عدم الندم على الحياة السابقة، والحريّة السابقة، بأوهامها المخادعة: الحياة تصبح متحجرة عندما لا نقبل ما هو جديد في دعوة الله، وعندما نندم على الماضي. وهذه الطّريق في أن نندم على الماضي ولا نقبل ما هو جديد في ما يرسله الله لنا، يجعلنا متحجّرين دائمًا، ويجعلنا متصلّبين، ولا يجعلنا إنسانيّين. عندما يدعو يسوع، حتى إلى الزواج وإنشاء العائلة، يطلب منا أن ننظر إلى الأمام وهو يسبقنا دائمًا في المسيرة، فهو دائمًا يسبقنا في المحبّة والخدمة. والذين يتبعونه لن يخيب أملهم!

أيّها الإخوة والأخوات الأعزاء، إنّ قراءات ليتورجيّا اليوم كلّها تتكلّم على الدعوة، التي هي تمامًا موضوع هذا اللقاء العالميّ العاشر للعائلات: ”الحبّ العائليّ: دعوة وطريق إلى القداسة“. بقوّة كلمة الحياة هذه، أشجّعكم على استئناف مسيرة الحبّ العائليّ بعزم، وعلى مشاركة فرحة لهذه الدعوة مع جميع أفراد العائلة. وهي ليست طريق سهلة، وليست مسيرة سهلة، بل سيكون هناك لحظات من الظلمة، ولحظات من الصّعوبات، حيث سنظنّ أنّ كلّ شيء قد انتهى. ليكن الحبّ الذي تعيشونه بينكم دائمًا منفتحًا وقادرًا على ”أن يصل إلى الأضعفين والجرحى الذين نلتقي بهم على طول الطريق: الضّعفاء في الجسد والضّعفاء في الرّوح. في الواقع، الحبّ العائليّ أيضًا يُنقي ويُقوّي عندما يُعطى.

الرهان على حبّ العائلة هو رهان شجاع: فنحن بحاجة إلى الشّجاعة من أجل أن نتزوّج. نرى الكثير من الشّباب الذين لا يملكون الشجاعة ليتزوّجوا، وفي كثير من الأحيان قالت لي بعض الأمّهات: ”افعل شيئًا، تكلّم مع ابني الذي لم يتزوّج، وعمره 37 سنة!“ – أجبتها ”يا سيّدتي، لا تكوِ له قمصانه، وابدئي في إبعاده قليلًا، ودعيه يخرج من العش“. لأن حبّ العائلة يدفع الأبناء إلى التحليق، ويعلّمهم التحليق ويدفعهم إلى التحليق. إنّها ليست مسألة ملكيّة، بل حريّة، دائمًا. ثمّ، في اللحظات الصّعبة، في الأزمات - كلّ العائلات تعاني من أزمات - من فضلكم، لا تسلكوا الطريق السّهل، وهو: ”سأعود إلى أمي“. لا، امضوا قُدُمًا في هذا الرّهان الشّجاع. ستكون هناك لحظات صعبة، وستكون هناك أوقات قاسية، ولكن استمرّوا إلى الأمام، دائمًا. لدى زوجك أو زوجتك شرارة الحبّ التي شعرتما بها في البداية: دعوها تخرج من الداخل، واكتشفا الحبّ من جديد. وهذا سيساعد كثيرًا في أوقات الأزمات.

الكنيسة معكم، بل الكنيسة فيكم! فالكنيسة، في الواقع، وُلدت من عائلة، هي عائلة الناصرة، وهي تتكوّن أساسًا من عائلات. ليساعدكم الرّبّ يسوع كلّ يوم لتبقوا في الوَحدة والسّلام والفرح، وكذلك في المثابرة في اللحظات الصّعبة، تلك المثابرة المُخلصة التي تجعلنا نعيش بشكل أفضل وتبيّن للجميع أنّ الله محبّة وشركة حياة.

[01012-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0492-XX.02]