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Messaggio del Santo Padre Francesco per la VI Giornata Mondiale dei Poveri, 14.06.2022


Messaggio del Santo Padre

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Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

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Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la VI Giornata Mondiale dei Poveri che si celebra la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – quest’anno il 13 novembre 2022 – sul tema Gesù Cristo si è fatto povero per voi (cfr 2 Cor 8,9):

Messaggio del Santo Padre

Gesù Cristo si è fatto povero per voi (cfr 2 Cor 8,9)

1. «Gesù Cristo […] si è fatto povero per voi» (cfr 2 Cor 8,9). Con queste parole l’apostolo Paolo si rivolge ai primi cristiani di Corinto, per dare fondamento al loro impegno di solidarietà con i fratelli bisognosi. La Giornata Mondiale dei Poveri torna anche quest’anno come sana provocazione per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente.

Qualche mese fa, il mondo stava uscendo dalla tempesta della pandemia, mostrando segni di recupero economico che avrebbe restituito sollievo a milioni di persone impoverite dalla perdita del lavoro. Si apriva uno squarcio di sereno che, senza far dimenticare il dolore per la perdita dei propri cari, prometteva di poter tornare finalmente alle relazioni interpersonali dirette, a incontrarsi di nuovo senza più vincoli o restrizioni. Ed ecco che una nuova sciagura si è affacciata all’orizzonte, destinata ad imporre al mondo uno scenario diverso.

La guerra in Ucraina è venuta ad aggiungersi alle guerre regionali che in questi anni stanno mietendo morte e distruzione. Ma qui il quadro si presenta più complesso per il diretto intervento di una “superpotenza”, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Si ripetono scene di tragica memoria e ancora una volta i ricatti reciproci di alcuni potenti coprono la voce dell’umanità che invoca la pace.

2. Quanti poveri genera l’insensatezza della guerra! Dovunque si volga lo sguardo, si constata come la violenza colpisca le persone indifese e più deboli. Deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità. Ritornano attuali le parole del Salmista di fronte alla distruzione di Gerusalemme e all’esilio dei giovani ebrei: «Lungo i fiumi di Babilonia / là sedevamo e piangevamo / ricordandoci di Sion. / Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre, / perché là ci chiedevano parole di canto, / coloro che ci avevano deportato, / allegre canzoni i nostri oppressori. / […] Come cantare i canti del Signore / in terra straniera?» (Sal 137,1-4).

Sono milioni le donne, i bambini, gli anziani costretti a sfidare il pericolo delle bombe pur di mettersi in salvo cercando rifugio come profughi nei Paesi confinanti. Quanti poi rimangono nelle zone di conflitto, ogni giorno convivono con la paura e la mancanza di cibo, acqua, cure mediche e soprattutto degli affetti. In questi frangenti la ragione si oscura e chi ne subisce le conseguenze sono tante persone comuni, che vengono ad aggiungersi al già elevato numero di indigenti. Come dare una risposta adeguata che porti sollievo e pace a tanta gente, lasciata in balia dell’incertezza e della precarietà?

3. In questo contesto così contraddittorio viene a porsi la VI Giornata Mondiale dei Poveri, con l’invito – ripreso dall’apostolo Paolo – a tenere lo sguardo fisso su Gesù, il quale «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Nella sua visita a Gerusalemme, Paolo aveva incontrato Pietro, Giacomo e Giovanni i quali gli avevano chiesto di non dimenticare i poveri. La comunità di Gerusalemme, in effetti, si trovava in gravi difficoltà per la carestia che aveva colpito il Paese. E l’Apostolo si era subito preoccupato di organizzare una grande colletta a favore di quei poveri. I cristiani di Corinto si mostrarono molto sensibili e disponibili. Su indicazione di Paolo, ogni primo giorno della settimana raccolsero quanto erano riusciti a risparmiare e tutti furono molto generosi.

Come se il tempo non fosse mai trascorso da quel momento, anche noi ogni domenica, durante la celebrazione della santa Eucaristia, compiamo il medesimo gesto, mettendo in comune le nostre offerte perché la comunità possa provvedere alle esigenze dei più poveri. È un segno che i cristiani hanno sempre compiuto con gioia e senso di responsabilità, perché nessun fratello e sorella debba mancare del necessario. Lo attestava già il resoconto di San Giustino, che, nel secondo secolo, descrivendo all’imperatore Antonino Pio la celebrazione domenicale dei cristiani, scriveva così: «Nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti finché il tempo lo consente. […] Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli elementi consacrati e attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. I facoltosi e quelli che lo desiderano danno liberamente, ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il sacerdote. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, i carcerati, gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno» (Prima Apologia, LXVII, 1-6).

4. Tornando alla comunità di Corinto, dopo l’entusiasmo iniziale il loro impegno cominciò a venire meno e l’iniziativa proposta dall’Apostolo perse di slancio. È questo il motivo che spinge Paolo a scrivere in maniera appassionata rilanciando la colletta, «perché, come vi fu la prontezza del volere, così vi sia anche il compimento, secondo i vostri mezzi» (2 Cor 8,11).

Penso in questo momento alla disponibilità che, negli ultimi anni, ha mosso intere popolazioni ad aprire le porte per accogliere milioni di profughi delle guerre in Medio Oriente, in Africa centrale e ora in Ucraina. Le famiglie hanno spalancato le loro case per fare spazio ad altre famiglie, e le comunità hanno accolto con generosità tante donne e bambini per offrire loro la dovuta dignità. Tuttavia, più si protrae il conflitto, più si aggravano le sue conseguenze. I popoli che accolgono fanno sempre più fatica a dare continuità al soccorso; le famiglie e le comunità iniziano a sentire il peso di una situazione che va oltre l’emergenza. È questo il momento di non cedere e di rinnovare la motivazione iniziale. Ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità.

5. La solidarietà, in effetti, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà. D’altronde, bisogna considerare che ci sono Paesi dove, in questi decenni, si è attuata una crescita di benessere significativo per tante famiglie, che hanno raggiunto uno stato di vita sicuro. Si tratta di un frutto positivo dell’iniziativa privata e di leggi che hanno sostenuto la crescita economica congiunta a un concreto incentivo alle politiche familiari e alla responsabilità sociale. Il patrimonio di sicurezza e stabilità raggiunto possa ora essere condiviso con quanti sono stati costretti a lasciare le loro case e il loro Paese per salvarsi e sopravvivere. Come membri della società civile, manteniamo vivo il richiamo ai valori di libertà, responsabilità, fratellanza e solidarietà. E come cristiani, ritroviamo sempre nella carità, nella fede e nella speranza il fondamento del nostro essere e del nostro agire.

6. È interessante osservare che l’Apostolo non vuole obbligare i cristiani costringendoli a un’opera di carità. Scrive infatti: «Non dico questo per darvi un comando» (2 Cor 8,8); piuttosto, egli intende «mettere alla prova la sincerità» del loro amore nell’attenzione e premura verso i poveri (cfr ibid.). A fondamento della richiesta di Paolo sta certamente la necessità di aiuto concreto, tuttavia la sua intenzione va oltre. Egli invita a realizzare la colletta perché sia segno dell’amore così come è stato testimoniato da Gesù stesso. Insomma, la generosità nei confronti dei poveri trova la sua motivazione più forte nella scelta del Figlio di Dio che ha voluto farsi povero Lui stesso.

L’Apostolo, infatti, non teme di affermare che questa scelta di Cristo, questa sua “spogliazione”, è una «grazia», anzi, «la grazia del Signore nostro Gesù Cristo» (2 Cor 8,9), e solo accogliendola noi possiamo dare espressione concreta e coerente alla nostra fede. L’insegnamento di tutto il Nuovo Testamento ha una sua unità intorno a questo tema, che trova riscontro anche nelle parole dell’apostolo Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,22-25).

7. Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno. A volte, invece, può subentrare una forma di rilassatezza, che porta ad assumere comportamenti non coerenti, quale è l’indifferenza nei confronti dei poveri. Succede inoltre che alcuni cristiani, per un eccessivo attaccamento al denaro, restino impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio. Sono situazioni che manifestano una fede debole e una speranza fiacca e miope.

Sappiamo che il problema non è il denaro in sé, perché esso fa parte della vita quotidiana delle persone e dei rapporti sociali. Ciò su cui dobbiamo riflettere è, piuttosto, il valore che il denaro possiede per noi: non può diventare un assoluto, come se fosse lo scopo principale. Un simile attaccamento impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri. Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare.

Non si tratta, quindi, di avere verso i poveri un comportamento assistenzialistico, come spesso accade; è necessario invece impegnarsi perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto. Pertanto, «nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. […] Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 201). È urgente trovare nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali «concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli» (Enc. Fratelli tutti, 169). Bisogna tendere invece ad assumere l’atteggiamento dell’Apostolo che poteva scrivere ai Corinzi: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13).

8. C’è un paradosso che oggi come nel passato è difficile da accettare, perché si scontra con la logica umana: c’è una povertà che rende ricchi. Richiamando la “grazia” di Gesù Cristo, Paolo vuole confermare quello che Lui stesso ha predicato, cioè che la vera ricchezza non consiste nell’accumulare «tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano» (Mt 6,19), ma piuttosto nell’amore vicendevole che ci fa portare i pesi gli uni degli altri così che nessuno sia abbandonato o escluso. L’esperienza di debolezza e del limite che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, e ora la tragedia di una guerra con ripercussioni globali, devono insegnare qualcosa di decisivo: non siamo al mondo per sopravvivere, ma perché a tutti sia consentita una vita degna e felice. Il messaggio di Gesù ci mostra la via e ci fa scoprire che c’è una povertà che umilia e uccide, e c’è un’altra povertà, la sua, che libera e rende sereni.

La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta. Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento.

La povertà che libera, al contrario, è quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale. In effetti, si può facilmente riscontrare quel senso di insoddisfazione che molti sperimentano, perché sentono che manca loro qualcosa di importante e ne vanno alla ricerca come erranti senza meta. Desiderosi di trovare ciò che possa appagarli, hanno bisogno di essere indirizzati verso i piccoli, i deboli, i poveri per comprendere finalmente quello di cui avevano veramente necessità. Incontrare i poveri permette di mettere fine a tante ansie e paure inconsistenti, per approdare a ciò che veramente conta nella vita e che nessuno può rubarci: l’amore vero e gratuito. I poveri, in realtà, prima di essere oggetto della nostra elemosina, sono soggetti che aiutano a liberarci dai lacci dell’inquietudine e della superficialità.

Un padre e dottore della Chiesa, San Giovanni Crisostomo, nei cui scritti si incontrano forti denunce contro il comportamento dei cristiani verso i più poveri, scriveva: «Se non puoi credere che la povertà ti faccia diventare ricco, pensa al Signore tuo e smetti di dubitare di questo. Se egli non fosse stato povero, tu non saresti ricco; questo è straordinario, che dalla povertà derivò abbondante ricchezza. Paolo intende qui con “ricchezze” la conoscenza della pietà, la purificazione dai peccati, la giustizia, la santificazione e altre mille cose buone che ci sono state date ora e sempre. Tutto ciò lo abbiamo grazie alla povertà» (Omelie sulla II Lettera ai Corinzi, 17,1).

9. Il testo dell’Apostolo a cui si riferisce questa VI Giornata Mondiale dei Poveri presenta il grande paradosso della vita di fede: la povertà di Cristo ci rende ricchi. Se Paolo ha potuto dare questo insegnamento – e la Chiesa diffonderlo e testimoniarlo nei secoli – è perché Dio, nel suo Figlio Gesù, ha scelto e percorso questa strada. Se Lui si è fatto povero per noi, allora la nostra stessa vita viene illuminata e trasformata, e acquista un valore che il mondo non conosce e non può dare. La ricchezza di Gesù è il suo amore, che non si chiude a nessuno e a tutti va incontro, soprattutto a quanti sono emarginati e privi del necessario. Per amore ha spogliato sé stesso e ha assunto la condizione umana. Per amore si è fatto servo obbediente, fino a morire e a morire in croce (cfr Fil 2,6-8). Per amore si è fatto «pane di vita» (Gv 6,35), perché nessuno manchi del necessario e possa trovare il cibo che nutre per la vita eterna. Anche ai nostri giorni sembra difficile, come lo fu allora per i discepoli del Signore, accettare questo insegnamento (cfr Gv 6,60); ma la parola di Gesù è netta. Se vogliamo che la vita vinca sulla morte e la dignità sia riscattata dall’ingiustizia, la strada è la sua: è seguire la povertà di Gesù Cristo, condividendo la vita per amore, spezzando il pane della propria esistenza con i fratelli e le sorelle, a partire dagli ultimi, da quanti mancano del necessario, perché sia fatta uguaglianza, i poveri siano liberati dalla miseria e i ricchi dalla vanità, entrambe senza speranza.

10. Il 15 maggio scorso ho canonizzato Fratel Charles de Foucauld, un uomo che, nato ricco, rinunciò a tutto per seguire Gesù e diventare con Lui povero e fratello di tutti. La sua vita eremitica, prima a Nazaret e poi nel deserto sahariano, fatta di silenzio, preghiera e condivisione, è una testimonianza esemplare di povertà cristiana. Ci farà bene meditare su queste sue parole: «Non disprezziamo i poveri, i piccoli, gli operai; non solo essi sono i nostri fratelli in Dio, ma sono anche quelli che nel modo più perfetto imitano Gesù nella sua vita esteriore. Essi ci rappresentano perfettamente Gesù, l’Operaio di Nazaret. Sono primogeniti tra gli eletti, i primi chiamati alla culla del Salvatore. Furono la compagnia abituale di Gesù, dalla sua nascita alla sua morte […]. Onoriamoli, onoriamo in essi le immagini di Gesù e dei suoi santi genitori […]. Prendiamo per noi [la condizione] che egli ha preso per sé […]. Non cessiamo mai di essere in tutto poveri, fratelli dei poveri, compagni dei poveri, siamo i più poveri dei poveri come Gesù, e come lui amiamo i poveri e circondiamoci di loro» (Commenti al Vangelo di Luca, Meditazione 263).[1] Per Fratel Charles queste non furono solo parole, ma stile concreto di vita, che lo portò a condividere con Gesù il dono della vita stessa.

Questa VI Giornata Mondiale dei Poveri diventi un’opportunità di grazia, per fare un esame di coscienza personale e comunitario e domandarci se la povertà di Gesù Cristo è la nostra fedele compagna di vita.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2022, Memoria di Sant’Antonio di Padova.

FRANCESCO

______________

[1] Meditazione n. 263 su Lc 2,8-20: C. DE FOUCAULD, La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

[00938-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Jésus Christ s’est fait pauvre à cause de vous(cf. 2 Co 8, 9)

1. «Jésus-Christ [...] s’est fait pauvre à cause de vous» (cf.2 Co8, 9). C’est par ces paroles que l’Apôtre Paul s’adresse aux premiers chrétiens de Corinthe, pour donner un fondement à leur engagement de solidarité envers leurs frères dans le besoin. LaJournée Mondiale des Pauvresrevient cette année encore comme une saine provocation pour nous aider à réfléchir sur notre style de vie et sur les nombreuses pauvretés actuelles.

Il y a quelques mois, le monde sortait de la tempête de la pandémie en montrant des signes de reprise économique qui aurait soulagé des millions de personnes appauvries par la perte de leur emploi. S’ouvrait une perspective de sérénité, qui, sans faire oublier la douleur de la perte des proches, promettait de pouvoir enfin revenir aux relations interpersonnelles directes, de se rencontrer à nouveau sans contraintes ni restrictions. Et voici qu’une nouvelle catastrophe s’est présentée à l’horizon, destinée à imposer au monde un scénario différent.

La guerre en Ukraine est venue s’ajouter aux guerres régionales qui, ces dernières années, ont semé mort et destructions. Mais ici, le cadre se présente de manière plus complexe à cause de l’intervention directe d’une "superpuissance" qui entend imposer sa volonté contre le principe d’autodétermination des peuples. Des scènes de tragique mémoire se répètent et, une fois de plus, les chantages réciproques de certains puissants couvrent la voix de l’humanité qui appelle à la paix.

2. Combien de pauvres l’absurdité de la guerre engendre- t-elle ! Partout où l’on regarde, on constate combien la violence frappe les personnes sans défense et les plus faibles; déportations de milliers de personnes, surtout des garçons et des filles, pour les déraciner et leur imposer une autre identité. Les paroles du Psalmiste face à la destruction de Jérusalem et à l’exil des jeunes juifs redeviennent actuelles: «Au bord des fleuves de Babylone / nous étions assis et nous pleurions/ nous souvenant de Sion. / Aux saules des alentours / nous avions pendu nos harpes, /c'est là que nos vainqueurs / nous demandèrent des chansons, / et nos bourreaux, des airs joyeux / […] Comment chanterions-nous un chant du Seigneur / sur une terre étrangère ?» (Ps137, 1-4).

Des millions de femmes, d’enfants et de personnes âgées sont contraints de braver le danger des bombes en cherchant refuge pour se mettre à l’abri dans les pays voisins, en tant que personnes déplacées. Ceux qui restent dans les zones de conflit vivent chaque jour avec la peur et le manque de nourriture, d’eau, de soins médicaux et surtout d’affection. Dans ces circonstances, la raison s’obscurcit et ce sont les personnes ordinaires qui en subissent les conséquences, et qui viennent s’ajouter au nombre déjà élevé de pauvres. Comment donner une réponse adéquate capable d’apporter soulagement et paix à tant de personnes laissées à la merci de l’incertitude et de la précarité?

3. La 6èmeJournée Mondiale des Pauvresse place dans ce contexte si contradictoire, avec l’invitation – reprise de l’Apôtre Paul – à garder le regard fixé sur Jésus qui, «de riche, s’est fait pauvre à cause de vous, pour que vous deveniez riches par sa pauvreté» (2 Co8, 9). Lors de sa visite à Jérusalem, Paul avait rencontré Pierre, Jacques et Jean qui lui avaient demandé de ne pas oublier les pauvres. La communauté de Jérusalem, en effet, se trouvait dans de graves difficultés à cause de la famine qui avait frappé le pays. Et l’Apôtre s’était immédiatement occupé d’organiser une grande collecte en faveur de ces pauvres. Les chrétiens de Corinthe se montrèrent très sensibles et disponibles. Sur les indications de Paul, chaque premier jour de la semaine, ils rassemblaient ce qu’ils avaient pu économiser et tous étaient très généreux.

Comme si le temps ne s’était jamais écoulé depuis lors, chaque dimanche, nous aussi, au cours de la célébration de la sainte Eucharistie, nous accomplissons le même geste en mettant en commun nos offrandes afin que la communauté pourvoie aux besoins des plus pauvres. C’est un signe que les chrétiens ont toujours accompli avec joie et sens de responsabilité, pour qu’aucun frère ou sœur ne manque du nécessaire. Le récit de saint Justin, qui, au deuxième siècle, décrivait à l’empereur Antonin le Pieux la célébration dominicale des chrétiens, en témoignait déjà:« Le jour qu’on appelle “le jour du soleil”, tous, dans les villes et à la campagne, se réunissent dans un même lieu: on lit les mémoires des apôtres et les écrits des prophètes, autant que le temps le permet. […] Puis a lieu la distribution et le partage des choses consacrées à chacun et l’on envoie leur part aux absents par le ministère des diacres. Ceux qui sont dans l’abondance, et qui veulent donner, donnent librement chacun ce qu’il veut, et ce qui est recueilli est remis à celui qui préside. Il assiste les orphelins, les veuves, les malades, les indigents,les prisonniers, les hôtes étrangers, en un mot, il secourttous ceux qui sont dans le besoin» (Première Apologie, LXVII, 1-6).

4. Revenant à la communauté de Corinthe, l’engagement commença à faiblir après l’enthousiasme initial, et l’initiative proposée par l’Apôtre perdit de son élan. C’est la raison qui poussa Paul à écrire avec passion pour relancer la collecte: «Allez jusqu’au bout de la réalisation: comme vous avez mis votre ardeur à prendre cette décision, ainsi vous irez jusqu’au bout, selon vos moyens » (2 Co8, 11).

Je pense en ce moment à la disponibilité de populations entières qui, ces dernières années, ont ouvert leurs portes pour accueillir les millions de réfugiés des guerres au Moyen-Orient, en Afrique centrale et maintenant en Ukraine. Les familles ont ouvert largement leurs maisons pour faire de la place à d’autres familles, et les communautés ont accueilli avec générosité nombre de femmes et d’enfants pour leur offrir la dignité qui leur est due. Cependant, plus le conflit se prolonge, plus ses conséquences s’aggravent. Les peuples qui accueillent ont de plus en plus de mal à assurer la continuité du secours ; les familles et les communautés commencent à ressentir le poids d’une situation qui va au-delà de l’urgence. C’est le moment de ne pas faiblir et de renouveler la motivation initiale. Ce que nous avons commencé doit être achevé avec la même responsabilité.

5. La solidarité, en effet, c’est précisément ceci: partager le peu que nous avons avec ceux qui n’ont rien, afin que personne ne souffre. Plus grandit le sens de la communauté et de la communion comme style de vie, et plus la solidarité se développe. D’ailleurs, il faut considérer qu’il y a des pays où, au cours de ces décennies, s’est réalisée une croissance significative de bien-être pour de nombreuses familles, qui ont atteint une sûreté de vie. C’est un résultat positif de l’initiative privée et des lois qui ont soutenu la croissance économique, associées à une incitation concrète aux politiques familiales et à la responsabilité sociale. Le patrimoine de sécurité et de stabilité atteint peut maintenant être partagé avec ceux qui ont été contraints de quitter leur maison et leur pays pour se sauver et survivre. En tant que membres de la société civile, maintenons vif l’appel aux valeurs de liberté, de responsabilité, de fraternité et de solidarité. Et comme chrétiens, retrouvons toujours dans la charité, dans la foi et dans l’espérance le fondement de notre être et de notre agir.

6. Il est intéressant d’observer que l’Apôtre ne veut pas contraindre les chrétiens en les obligeant à une œuvre de charité. Il écrit en effet: «Ce n’est pas un ordre que je donne » (2 Co8, 8). Au contraire, il entend « vérifier l’authenticité» de leur amour dans l’attention et la sollicitude aux pauvres (cf.ibid.). Le fondement de la demande de Paul est certainement la nécessité d’une aide concrète, mais son intention va plus loin. Il invite à réaliser la collecte afin qu’elle soit signe de l’amour, comme Jésus Lui-même en a témoigné. En somme, la générosité envers les pauvres trouve sa motivation la plus forte dans le choix du Fils de Dieu qui a voulu se faire pauvre Lui-même.

L’Apôtre, en effet, ne craint pas d’affirmer que ce choix du Christ, son “dépouillement”, est une «grâce», voire «la libéralité de notre Seigneur Jésus-Christ» (2Co8, 9), et ce n’est qu’en l’accueillant que nous pouvons donner une expression concrète et cohérente à notre foi. L’enseignement de tout le Nouveau Testament trouve son unité autour de ce thème qui se reflète également dans les paroles de l’apôtre Jacques: «Mettez la Parole en pratique, ne vous contentez pas de l’écouter: ce serait vous faire illusion. Car si quelqu’un écoute la Parole sans la mettre en pratique, il est comparable à un homme qui observe dans un miroir son visage tel qu’il est, et qui, aussitôt après, s’en va en oubliant comment il était. Au contraire, celui qui se penche sur la loi parfaite, celle de la liberté, et qui s’y tient, lui qui l’écoute non pour l’oublier, mais pour la mettre en pratique dans ses actes, celui-là sera heureux d’agir ainsi» (Jc1, 22-25).

7. Face aux pauvres, on ne fait pas de rhétorique, mais on se retrousse les manches et on met la foi en pratique par une implication directe qui ne peut être déléguée à personne. Parfois, une forme de relâchement peut prendre le dessus, conduisant à des comportements incohérents, comme l’indifférence envers les pauvres. Il arrive aussi que certains chrétiens, par attachement excessif à l’argent, s’enlisent dans le mauvais usage des biens et du patrimoine. Ce sont des situations qui manifestent une foi faible et une espérance molle et myope.

Nous savons que le problème n’est pas l’argent lui-même, car il fait partie de la vie quotidienne des personnes et des relations sociales. Ce sur quoi nous devons réfléchir, c’est plutôt la valeur que l’argent a pour nous: il ne peut pas devenir un absolu, comme s’il était le but principal. Un tel attachement empêche de regarder de manière réaliste la vie de tous les jours et brouille le regard en empêchant de voir les besoins des autres. Rien de plus néfaste ne peut arriver à un chrétien ou à une communauté que d’être ébloui par l’idole de la richesse qui finit par enchaîner à une vision de la vie éphémère et défaillante.

Il ne s’agit donc pas d’avoir un comportement d’assistance envers les pauvres, comme c’est souvent le cas; il faut au contraire s’engager pour que personne ne manque du nécessaire. Ce n’est pas l’activisme qui sauve, mais l’attention sincère et généreuse permettant de s’approcher d’un pauvre comme d’un frère qui tend la main, me faisant sortir de la torpeur dans laquelle je suis tombé. Par conséquent, «personne ne devrait dire qu’il reste loin des pauvres parce que ses choix de vie lui font porter davantage d’attention à d’autres tâches. Ceci est une excuse fréquente dans les milieux académiques, d’entreprise ou professionnels, et même ecclésiaux. […] Personne ne peut se sentir exempté de la préoccupation pour les pauvres et pour la justice sociale»(Exhort. ap.Evangelii gaudium, n. 201). Il est urgent de trouver de nouvelles voies qui puissent dépasser l’idée de ces politiques sociales «conçues comme une politiqueversles pauvres, mais jamaisavecles pauvres, jamaisdespauvres, et encore moins insérée dans un projet réunissant les peuples»(Enc.Fratelli tutti, n. 169). Il faut plutôt tendre à adopter l’attitude de l’Apôtre qui pouvait écrire aux Corinthiens: «Il ne s’agit pas de vous mettre dans la gêne en soulageant les autres, il s’agit d’égalité» (2 Co8, 13).

8. Il y a un paradoxe difficile à accepter, aujourd’hui comme hier, car il se heurte à la logique humaine: il y a une pauvreté qui rend riche. Rappelant la “grâce” de Jésus-Christ, Paul veut confirmer ce qu’il a lui-même prêché, à savoir que la vraie richesse ne consiste pas à accumuler «de trésors sur la terre, là où les mites et les vers les dévorent, où les voleurs percent les murs pour voler» (Mt6, 19), mais se trouve dans un amour mutuel qui fait porter les fardeaux les uns des autres afin que personne ne soit abandonné ou exclu. L’expérience de faiblesse et de limitations que nous avons vécue ces dernières années, et maintenant la tragédie d’une guerre aux répercussions mondiales, doivent nous enseigner une chose de décisive: nous ne sommes pas au monde pour survivre, mais pour qu’une vie digne et heureuse soit permise à chacun. Le message de Jésus nous montre la voie et nous fait découvrir qu’il existe une pauvreté qui humilie et tue, et qu’il existe une autre pauvreté, la sienne, qui libère et rend serein.

La pauvreté qui tue, c’est la misère, fille de l’injustice, de l’exploitation, de la violence et de l’injuste répartition des ressources. C’est la pauvreté désespérée, sans avenir, parce qu’elle est imposée par la culture du rejet qui n’offre ni perspectives ni issues. C’est la misère qui, pendant qu’elle impose une condition d’extrême indigence, affecte aussi la dimension spirituelle, laquelle, même si elle est souvent négligée, existe cependant et compte. Quand la seule loi devient celle du calcul du gain au final, il n’existe plus de freins à la logique d’exploitation des personnes: les autres ne sont que des moyens. Le juste salaire, le juste horaire de travail n’existent plus, et de nouvelles formes d’esclavage sont créées, subies par des personnes qui n’ont pas d’alternative et qui doivent accepter cette injustice empoisonnée afin de grappiller un minimum pour leur subsistance.

La pauvreté qui libère, en revanche, est celle qui se place devant nous comme un choix responsable pour s’alléger du lest et se concentrer sur l’essentiel. En fait, on rencontre souvent ce sentiment d’insatisfaction que beaucoup éprouvent car ils sentent leur manquer quelque chose d’important, et partent à sa recherche comme des personnes errantes, sans but. Désireux de trouver ce qui peut les satisfaire, ils ont besoin d’être orientés vers les petits, les faibles, les pauvres pour comprendre finalement ce dont ils ont vraiment besoin. Rencontrer les pauvres permet de mettre fin à beaucoup d’anxiétés et de peurs inconsistantes, d’atteindre ce qui compte vraiment dans la vie et que personne ne peut nous voler: l’amour vrai et gratuit. Les pauvres, en réalité, avant d’être objet de notre aumône, sont des sujets qui nous aident à nous libérer des liens de l’inquiétude et de la superficialité.

Un père et docteur de l’Église, saint Jean Chrysostome, dans ses écrits où l’on rencontre de fortes dénonciations contre le comportement des chrétiens envers les plus pauvres, écrivait: «Si vous ne croyez point que la pauvreté produise la richesse, pensez à votre Maître, et vous n’aurez plus de doute. Car s’il n’était pas devenu pauvre, vous ne seriez pas devenu riche. Chose étonnante pourtant, que la pauvreté ait enrichi la richesse! C’est qu’ici, par le mot “richesse”, Paul entend la science de la piété, la purification de nos péchés, la justice, la sanctification, et les biens innombrables que Dieu nous a procurés» (Homélies sur la Deuxième Lettre aux Corinthiens, 17, 1).

9. Le texte de l’Apôtre auquel se réfère cette6èmeJournée Mondiale des Pauvresprésente le grand paradoxe de la vie de foi: la pauvreté du Christ nous enrichit. Si Paul a pu donner cet enseignement – et l’Église le diffuser et en témoigner au fil des siècles – c’est parce que Dieu, en son Fils Jésus, a choisi et suivi cette voie. S’il s’est fait pauvre pour nous, alors notre vie elle-même en est illuminée et transformée, et acquiert une valeur que le monde ne connaît pas et ne peut donner. La richesse de Jésus c’est son amour qui ne se ferme à personne et va à la rencontre de tous, en particulier de ceux qui sont marginalisés et privés du nécessaire. Par amour, il s’est dépouillé et a assumé la condition humaine. Par amour, il est devenu un serviteur obéissant, jusqu’à mourir et mourir sur la croix (cf.Ph2, 6-8). Par amour, il s’est fait «le pain de vie» (Jn6, 35), afin que personne ne manque du nécessaire et puisse trouver la nourriture qui nourrisse pour la vie éternelle. Encore de nos jours, il semble difficile, comme ce l’était alors pour les disciples du Seigneur, d’accepter cet enseignement (cf.Jn6, 60); mais la parole de Jésus est claire. Si nous voulons que la vie l’emporte sur la mort et que la dignité soit délivrée de l’injustice, le chemin c’est le sien: il consiste à suivre la pauvreté de Jésus-Christ, partageant la vie par amour, rompant le pain de son existence avec les frères et sœurs, en commençant par les derniers, ceux qui manquent du nécessaire, pour que l’égalité soit faite, pour que les pauvres soient délivrés de la misère et les riches de la vanité, toutes deux sans espérance.

10. Le 15 mai dernier, j’ai canonisé Frère Charles de Foucauld, un homme qui, né riche, a tout abandonné pour suivre Jésus et devenir avec lui pauvre et frère de tous. Sa vie d’ermite, d’abord à Nazareth puis dans le désert saharien, faite de silence, de prière et de partage, est un témoignage exemplaire de pauvreté chrétienne. Il nous sera bon de méditer ses paroles: «Ne méprisons pas les pauvres, les petits; non seulement ce sont nos frères en Dieu, mais ce sont ceux qui imitent le plus parfaitement Jésus dans sa vie extérieure: ils nous représentent parfaitement Jésus, l’Ouvrier de Nazareth. Ils sont les aînés parmi les élus, les premiers appelés au berceau du Sauveur. Ils furent la compagnie habituelle de Jésus, de sa naissance à sa mort. Honorons-les, honorons en eux les images de Jésus et de ses saints parents […]. Prenons pour nous [la condition] qu’il a prise pour lui-même […].Ne cessons jamais d’être en tout pauvres, des frères des pauvres, des compagnons des pauvres, soyons les plus pauvres des pauvres comme Jésus, et comme lui, aimons les pauvres et entourons-nous d’eux».[1]Pour Frère Charles, ce ne furent pas seulement des mots, mais un style de vie concret l’amenant à partager avec Jésus le don même de la vie.

Que cette6èmeJournée Mondiale des Pauvresdevienne une occasion de grâce pour faire un examen de conscience personnel et communautaire et nous demander si la pauvreté de Jésus-Christ est notre fidèle compagne de vie.

Rome,Saint-Jean-du-Latran, 13 juin 2022, Mémoire de saint Antoine de Padoue.

FRANÇOIS

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[1] Méditation n. 263 surLc2, 8-20: C. de Foucauld,La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Évangiles(1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, pp. 214-216.

[00938-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

For your sakes Christ became poor (cf. 2 Cor 8:9)

1. “Jesus Christ… for your sakes became poor” (cf.2 Cor8:9). With these words, the Apostle Paul addresses the first Christians of Corinth in order to encourage their efforts to show solidarity with their brothers and sisters in need. The World Day of the Poor comes this year as a healthy challenge, helping us to reflect on our style of life and on the many forms of poverty all around us.

Several months ago, the world was emerging from the tempest of the pandemic, showing signs of an economic recovery that could benefit millions of people reduced to poverty by the loss of their jobs. A patch of blue sky was opening that, without detracting from our sorrow at the loss of our dear ones, promised to bring us back to direct interpersonal relations and to socializing with one another once more without further prohibitions or restrictions. Now, however, a new catastrophe has appeared on the horizon, destined to impose on our world a very different scenario.

The war in Ukraine has now been added to the regional wars that for years have taken a heavy toll of death and destruction. Yet here the situation is even more complex due to the direct intervention of a “superpower” aimed at imposing its own will in violation of the principle of the self-determination of peoples. Tragic scenarios are being reenacted and once more reciprocal extortionate demands made by a few potentates are stifling the voice of a humanity that cries out for peace.

2. What great poverty is produced by the senselessness of war! Wherever we look, we can see how violence strikes those who are defenseless and vulnerable. We think of the deportation of thousands of persons, above all young boys and girls, in order to sever their roots and impose on them another identity. Once more the words of the Psalmist prove timely. Contemplating the destruction of Jerusalem and the exile of the Hebrew youth, he sang: “By the rivers of Babylon – there we sat down and there we wept when we remembered Zion. On the willows there we hung up our harps. For there our captors asked us for songs, and our tormentors for mirth… How could we sing the Lord’s song in a foreign land?” (Ps137:1-4).

Millions of women, children and elderly people are being forced to brave the danger of bombs just to find safety by seeking refuge as displaced persons in neighbouring countries. How many others remain in the war zones, living each day with fear and the lack of food, water, medical care and above all human affections? In these situations, reason is darkened and those who feel its effects are the countless ordinary people who end up being added to the already great numbers of those in need. How can we respond adequately to this situation, and to bring relief and peace to all these people in the grip of uncertainty and instability?

3. In this situation of great conflict, we are celebrating the Sixth World Day of the Poor. We are asked to reflect on the summons of the Apostle to keep our gaze fixed on Jesus, who “though he was rich, yet for [our] sakes became poor, so that by his poverty [we] might become rich” (cf.2 Cor8:9). During his visit to Jerusalem, Paul met with Peter, James and John, who had urged him not to forget the poor. The community of Jerusalem was experiencing great hardship due to a food shortage in the country. The Apostle immediately set about organizing a great collection to aid the poverty-stricken. The Christians of Corinth were very understanding and supportive. At Paul’s request, on every first day of the week they collected what they were able to save and all proved very generous.

From that time on, every Sunday, during the celebration of the Holy Eucharist, we have done the same thing, pooling our offerings so that the community can provide for the needs of the poor. It is something that Christians have always done with joy and a sense of responsibility, to ensure that none of our brothers or sisters will lack the necessities of life. We find a confirmation of this from Saint Justin Martyr, who wrote in the second century to the Emperor Antoninus Pius and described the Sunday celebration of Christians. In his words, “On Sunday we have a common assembly for all our members, whether they live in the city or in the outlying districts. The recollections of the apostles or the writings of the prophets are read, as long as there is time… The Eucharist is distributed, everyone present communicates, and the deacons take it to those who are absent. The wealthy, if they wish, may make a contribution, and they themselves decide the amount. The collection is placed in the custody of the presider, who uses it to help the orphans and widows and all who for any reason are in distress, whether because they are sick, imprisoned, or away from home. In a word, care is provided to all who are in need” (First Apology, LXVII, 1-6).

4. As for the community of Corinth, after the initial outburst of enthusiasm, their commitment began to falter and the initiative proposed by the Apostle lost some of its impetus. For this reason, Paul wrote them, asking in impassioned terms that they relaunch the collection, “so that your eagerness may be matched by completing it according to your means” (2 Cor8:11).

I think at this time of the generosity that in recent years has led entire populations to open their doors to welcome millions of refugees from wars in the Middle East, Central Africa and now Ukraine. Families have opened their homes to make room for other families, and communities have generously accepted many women and children in order to enable them to live with the dignity that is their due. Even so, the longer conflicts last, the more burdensome their consequences become. The peoples who offer welcome find it increasingly difficult to maintain their relief efforts; families and communities begin to feel burdened by a situation that continues past the emergency stage. This is the moment for us not to lose heart but to renew our initial motivation. The work we have begun needs to be brought to completion with the same sense of responsibility.

5. That, in effect, is precisely what solidarity is: sharing the little we have with those who have nothing, so that no one will go without. The sense of community and of communion as a style of life increases and a sense of solidarity matures. We should also consider that in some countries, over the past decades, families have experienced a significant increase in affluence and security. This is a positive result of private initiatives and favouring economic growth as well as concrete incentives to support families and social responsibility. The benefits in terms of security and stability can now be shared with those who have been forced to leave behind their homes and native countries in search of safety and survival. As members of civil society, let us continue to uphold the values of freedom, responsibility, fraternity and solidarity. And as Christians, let us always make charity, faith and hope the basis of our lives and our actions.

6. It is interesting to observe that the Apostle does not desire to oblige Christians to perform works of charity: “I do not say this as a command” (2 Cor8:8). Paul is instead “testing the genuineness of [their] love” by earnestness of [their] concern for the poor (ibid.). Certainly, Paul’s request is prompted by the need for concrete assistance; nonetheless, his desire is much more profound. He asks the Corinthians to take up the collection so that it can be a sign of love, the love shown by Jesus himself. In a word, generosity towards the poor has its most powerful motivation in the example of the Son of God, who chose to become poor.

Indeed, the Apostle makes it clear that this example on the part of Christ, this “dispossession”, is a grace: “the grace of our Lord Jesus Christ” (2 Cor8:9). Only by accepting it can we give concrete and consistent expression to our faith. The teaching of the entire New Testament is unanimous in this regard. Paul’s teaching finds an echo in the words of the apostle James: “Be doers of the word, and not merely hearers who deceive themselves. For if any are hearers of the word and not doers, they are like those who look at themselves in the mirror; for they look at themselves and, on going away, immediately forget what they were like. But those who look into the perfect law, the law of liberty, and persevere, being not hearers who forget but doers who act – they will be blessed in their doing” (Jas1:22-25).

7. Where the poor are concerned, it is not talk that matters; what matters is rolling up our sleeves and putting our faith into practice through a direct involvement, one that cannot be delegated. At times, however, a kind of laxity can creep in and lead to inconsistent behaviour, including indifference about the poor. It also happens that some Christians, out of excessive attachment to money, remain mired in a poor use of their goods and wealth. These situations reveal a weak faith and feeble, myopic hope.

We know that the issue is not money itself, for money is part of our daily life as individuals and our relationships in society. Rather, what we need to consider is the value that we put on money: it cannot become our absolute and chief purpose in life. Attachment to money prevents us from seeing everyday life with realism; it clouds our gaze and blinds us to the needs of others. Nothing worse could happen to a Christian and to a community than to be dazzled by the idol of wealth, which ends up chaining us to an ephemeral and bankrupt vision of life.

It is not a question, then, of approaching the poor with a “welfare mentality”, as often happens, but of ensuring that no one lacks what is necessary. It is not activism that saves, but sincere and generous concern that makes us approach a poor person as a brother or sister who lends a hand to help me shake off the lethargy into which I have fallen. Consequently, “no one must say that they cannot be close to the poor because their own lifestyle demands more attention to other areas. This is an excuse commonly heard in academic, business or professional, and even ecclesial circles… None of us can think we are exempt from concern for the poor and for social justice” (Evangelii Gaudium, 201). There is an urgent need to find new solutions that can go beyond the approach of those social policies conceived as “a policyforthe poor, but neverwiththe poor and neverofthe poor, much less part of a project that brings people together” (Fratelli Tutti, 169). We need instead to imitate the attitude of the Apostle, who could write to the Corinthians: “I do not mean that there should be relief for others and pressure on you, but it is a question of a fair balance” (2 Cor8:13).

8 There is a paradox that today, as in the past, we find hard to accept, for it clashes with our human way of thinking: that there exists a form of poverty that can make us rich. By appealing to the “grace” of Jesus Christ, Paul wants to confirm the message that he himself preached. It is the message that true wealth does not consist in storing up “treasures on earth, where moth and rust consume, and where thieves break in and steal” (Mt6:19), but rather in a reciprocal love that leads us to bear one another’s burdens in such a way that no one is left behind or excluded. The sense of weakness and limitation that we have experienced in these recent years, and now the tragedy of the war with its global repercussions, must teach us one crucial thing: we are not in this world merely to survive, but to live a dignified and happy life. The message of Jesus shows us the way and makes us realize that there is a poverty that humiliates and kills, and another poverty, Christ’s own poverty, that sets us free and brings us peace.

The poverty that kills is squalor, the daughter of injustice, exploitation, violence and the unjust distribution of resources. It is a hopeless and implacable poverty, imposed by the throwaway culture that offers neither future prospects nor avenues of escape. It is a squalor that not only reduces people to extreme material poverty, but also corrodes the spiritual dimension, which, albeit often overlooked, is nonetheless still there and still important. When the only law is the bottom line of profit at the end of the day, nothing holds us back from seeing others simply as objects to be exploited; other people are merely a means to an end. There no longer exist such things as a just salary or just working hours, and new forms of slavery emerge and entrap persons who lack alternatives and are forced to accept this toxic injustice simply to eke out a living.

The poverty that sets us free, on the other hand, is one that results from a responsible decision to cast off all dead weight and concentrate on what is essential. We can easily discern the lack of satisfaction that many people feel because they sense that something important is missing from their lives, with the result that they wander off aimlessly in search of it. In their desire to find something that can bring them satisfaction, they need someone to guide them towards the insignificant, the vulnerable and the poor, so that they can finally see what they themselves lack. Encountering the poor enables us to put an end to many of our anxieties and empty fears, and to arrive at what truly matters in life, the treasure that no one can steal from us: true and gratuitous love. The poor, before being the object of our almsgiving, are people, who can help set us free from the snares of anxiety and superficiality.

A Father and Doctor of the Church, Saint John Chrysostom, whose writings are filled with sharp criticisms of the conduct of Christians towards the poor, once wrote: “If you are unable to believe that poverty can make you rich, think of your Lord and stop your doubting. Had he not been poor, you would not be rich. Here is something astonishing: poverty has become the source of abundant wealth. What Paul means by “wealth” [cf.2 Cor8:9] is the knowledge of piety, purification from sin, justice, sanctification and a thousand other good things that have been given us now and always. All these things we have thanks to poverty” (Homilies on II Corinthians, 17, 1).

9. The words of the Apostle chosen as the theme of this year’s World Day of the Poor present this great paradox of our life of faith: Christ’s poverty makes us rich. Paul was able to present this teaching, which the Church has spread and borne witness to over the centuries, because God himself, in his Son Jesus, chose to follow this path. Because Christ became poor for our sakes, our own lives are illumined and transformed, and take on a worth that the world does not appreciate and cannot bestow. Jesus’ treasure is his love, which excludes no one and seeks out everyone, especially the marginalized and those deprived of the necessities of life. Out of love, he stripped himself of glory and took on our human condition. Out of love, he became a servant, obedient to the point of accepting death, death on a cross (cf.Phil2:6-8). Out of love, he became the “bread of life” (Jn6:35), so that all might have what they need and find nourishment for eternal life. Just as it was difficult for the Lord’s disciples to accept this teaching (cf.Jn6:60), so it is for us today as well. Yet Jesus’s words are clear: if we want life to triumph over death, and dignity to be redeemed from injustice, we need to follow Christ’s path of poverty, sharing our lives out of love, breaking the bread of our daily existence with our brothers and sisters, beginning with the least of them, those who lack the very essentials of life. This is the way to create equality, to free the poor from their misery and the rich from their vanity, and both from despair.

10. On 15 May last, I canonized Brother Charles de Foucauld, a man born rich, who gave up everything to follow Jesus, becoming, like him, a poor brother to all. Charles’ life as a hermit, first in Nazareth and then in the Saharan desert, was one of silence, prayer and sharing, an exemplary testimony to Christian poverty. We would do well to meditate on these words of his: “Let us not despise the poor, the little ones, the workers; not only are they our brothers and sisters in God, they are also those who most perfectly imitate Jesus in his outward life. They perfectly represent Jesus, the Worker of Nazareth. They are the firstborn among the elect, the first to be called to the Saviour’s crib. They were the regular company of Jesus, from his birth until his death… Let us honour them; let us honour in them the images of Jesus and his holy parents… Let us take for ourselves [the condition] that he took for himself… Let us never cease to be poor in everything, brothers and sisters to the poor, companions to the poor; may we be the poorest of the poor like Jesus, and like him love the poor and surround ourselves with them” (Commentary on the Gospel of Luke, Meditation 263).[1]For Brother Charles, those were not merely words, but a concrete way of living that led him to share with Jesus the offering of his very life.

May this 2022World Day of the Poorbe for us a moment of grace. May it enable us to make a personal and communal examination of conscience and to ask ourselves whether the poverty of Jesus Christ is our faithful companion in life.

Rome, Saint John Lateran, 13 June 2022 Memorial of Saint Anthony of Padua

FRANCIS

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[1] Meditation No. 263 onLk2:8-20: C. DE FOUCAULD,La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

[00938-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Jesus Christus wurde euretwegen arm (vgl. 2 Kor 8,9)

1. »Jesus Christus [...] wurde euretwegen arm« (2 Kor 8,9). Mit diesen Worten wendet sich der Apostel Paulus an die ersten Christen in Korinth, um ihr Engagement für die Solidarität mit ihren bedürftigen Brüdern und Schwestern zu begründen. Der Welttag der Armen ist auch in diesem Jahr wieder eine gesunde Provokation, um uns zu helfen, über unsere Lebensweise und die vielen Formen der Armut der Gegenwart nachzudenken.

Vor einigen Monaten begann die Welt langsam den Sturm der Pandemie hinter sich zu lassen und Anzeichen für einen wirtschaftlichen Aufschwung zu zeigen, der Millionen von durch Arbeitsverlust verarmten Menschen Erleichterung bringen würde. Es zeigte sich ein vorsichtiger Optimismus, weil trotz der bleibenden schmerzlichen Erinnerung an den Verlust geliebter Menschen die Aussicht bestand, endlich zu direkten zwischenmenschlichen Beziehungen zurückzukehren, sich wieder ohne Zwänge und Einschränkungen zu begegnen. Und dann zeichnete sich eine neue Katastrophe am Horizont ab, die der Welt ein anderes Szenario aufzwingen sollte.

Der Krieg in der Ukraine reiht sich ein in die regionalen Kriege, die in den letzten Jahren Tod und Zerstörung gebracht haben. Hier ist das Bild jedoch komplexer, da eine „Supermacht“ direkt eingreift und ihren Willen gegen den Grundsatz der Selbstbestimmung der Völker durchsetzen will. Es wiederholen sich Szenen von tragischer Erinnerung, und wieder einmal überdeckt die gegenseitige Erpressung einiger weniger Mächtiger die Stimme der nach Frieden rufenden Menschheit.

2. Wie viele arme Menschen bringt der Wahnsinn des Krieges hervor! Wo immer wir unseren Blick hinwenden, sehen wir, wie die Gewalt die Wehrlosen und Schwächsten trifft. Es gibt Deportationen von Tausenden von Menschen, insbesondere von Kindern, um sie zu entwurzeln und ihnen eine andere Identität aufzuzwingen. Die Worte des Psalmisten angesichts der Zerstörung Jerusalems und des Exils der jungen Juden werden wieder aktuell: »An den Strömen von Babel, / da saßen wir und wir weinten, wenn wir Zions gedachten. An die Weiden in seiner Mitte hängten wir unsere Leiern. Denn dort verlangten, die uns gefangen hielten, Lieder von uns, / unsere Peiniger forderten Jubel […] Wie hätten wir singen können die Lieder des Herrn, fern, auf fremder Erde?« (Ps 137,1-4).

Millionen von Frauen, Kindern und älteren Menschen sind gezwungen, sich der Gefahr der Bomben auszusetzen, nur um sich in Sicherheit zu bringen und als Flüchtlinge in Nachbarländern Zuflucht zu suchen. Diejenigen, die in den Konfliktgebieten bleiben, leben jeden Tag in Angst und ohne Nahrung, Wasser, medizinische Versorgung und vor allem ohne ihre Lieben. In dieser Lage bleibt die Vernunft auf der Strecke, und die Leidtragenden sind viele einfache Menschen, die zu den ohnehin schon zahlreichen Notleidenden hinzukommen. Wie können wir so vielen Menschen in Ungewissheit und Unsicherheit eine angemessene Antwort geben, um Erleichterung und Frieden zu bringen?

3. In diesem widersprüchlichen Kontext findet der VI. Welttag der Armen statt, mit der vom Apostel Paulus aufgegriffenen Aufforderung, den Blick auf Jesus zu richten: er, »der reich war, wurde euretwegen arm, um euch durch seine Armut reich zu machen« (2 Kor 8,9). Bei seinem Besuch in Jerusalem war Paulus auf Petrus, Jakobus und Johannes getroffen, die ihn gebeten hatten, die Armen nicht zu vergessen. Die Gemeinde in Jerusalem befand sich nämlich aufgrund der Hungersnot, die das Land heimgesucht hatte, in einer schwierigen Lage. Und der Apostel hatte sich sofort darum gekümmert, eine große Sammlung zugunsten dieser armen Menschen zu organisieren. Die Christen in Korinth erwiesen sich als sehr mitfühlend und hilfsbereit. Auf Anweisung von Paulus sammelten sie jeden ersten Tag der Woche, was sie angespart hatten, und alle waren sehr großzügig.

Als ob seit diesem Moment keine Zeit vergangen wäre, vollziehen auch wir jeden Sonntag während der Eucharistiefeier dieselbe Geste und legen unsere Gaben zusammen, damit die Gemeinschaft auf die Not der Ärmsten antworten kann. Es ist ein Zeichen, das die Christen immer mit Freude und Verantwortungsbewusstsein gesetzt haben, damit es keinem Bruder oder keiner Schwester an dem Nötigsten fehlt. Dies bezeugt bereits der Bericht des heiligen Justinus, der im zweiten Jahrhundert dem Kaiser Antoninus Pius die Sonntagsfeiern der Christen so beschrieb: »An dem Tage, den man Sonntag nennt, findet eine Versammlung aller statt, die in den Städten oder auf dem Lande wohnen; dabei werden die Erinnerungen der Apostel oder die Schriften der Propheten vorgelesen, solange es möglich ist. […]. Darauf findet die Austeilung und die Teilnahme an den durch die Danksagung geweihten Dingen statt. Den Abwesenden aber wird er durch die Diakonen gebracht. Wer aber die Mittel und guten Willen hat, gibt nach seinem Ermessen, was er will, und das, was da zusammenkommt, wird bei dem Vorsteher hinterlegt; dieser kommt damit Waisen und Witwen zu Hilfe, solchen, die wegen Krankheit oder aus sonst einem Grunde bedürftig sind, den Gefangenen und den Fremdlingen« (Erste Apologie, LXVII, 1-6).

4. Zurück zur Gemeinde in Korinth: Nach dem anfänglichen Enthusiasmus begann ihr Engagement zu erlahmen und die vom Apostel vorgeschlagene Initiative verlor an Schwung. Dies ist der Grund, warum Paulus in einem leidenschaftlichen Schreiben die Kollekte wieder neu anstößt: «jetzt sollt ihr das Begonnene zu Ende führen, damit das Ergebnis dem guten Willen entspricht - je nach eurem Besitz« (2 Kor 8,11).

Ich denke in diesem Moment an die Bereitschaft, die in den letzten Jahren ganze Nationen dazu bewegt hat, ihre Türen zu öffnen, um Millionen von Flüchtlingen aus den Kriegen im Nahen Osten, in Zentralafrika und jetzt in der Ukraine aufzunehmen. Die Familien haben ihre Häuser weit geöffnet, um Platz für andere Familien zu schaffen, und die Gemeinschaften haben viele Frauen und Kinder großzügig aufgenommen, um ihnen die ihnen gebührende Würde zukommen zu lassen. Je länger der Konflikt jedoch andauert, desto schlimmer werden seine Folgen. Für die Gastländer wird es immer schwieriger, kontinuierliche Hilfe zu leisten; Familien und Gemeinden beginnen, die Last einer Situation zu spüren, die über den Notfall hinausgeht. Jetzt ist es an der Zeit, nicht aufzugeben und die ursprüngliche Motivation zu erneuern. Was wir begonnen haben, muss mit der gleichen Verantwortung zu Ende geführt werden.

5. Solidarität bedeutet nämlich genau das: das Wenige, das wir besitzen, mit denen zu teilen, die nichts haben, damit niemand leidet. Je mehr der Sinn für die Gemeinschaft und das Miteinander als Lebensform wächst, desto mehr Solidarität entwickelt sich. Andererseits muss man bedenken, dass es Länder gibt, in denen in den letzten Jahrzehnten der Wohlstand vieler Familien erheblich gestiegen ist und sie einen gesicherten Lebensstandard erreicht haben. Dies ist ein positives Ergebnis von Privatinitiativen und Gesetzen, die das Wirtschaftswachstum unterstützt haben, kombiniert mit konkreten Anreizen für Familienpolitik und soziale Verantwortung. Das Kapital an Sicherheit und Stabilität, das erreicht wurde, möge nun mit denjenigen geteilt werden, die gezwungen waren, ihre Heimat und ihr Land zu verlassen, um sich zu retten und zu überleben. Als Mitglieder der Zivilgesellschaft müssen wir den Mahnruf zu den Werten der Freiheit, der Verantwortung, der Brüderlichkeit und der Solidarität lebendig erhalten. Und als Christen finden wir in der Nächstenliebe, im Glauben und in der Hoffnung stets die Grundlage unseres Seins und Handelns.

6. Es ist interessant, dass der Apostel die Christen nicht zu einem Werk der Nächstenliebe zwingen will. So schreibt er: »Ich meine das nicht als strenge Weisung« (2 Kor 8,8); vielmehr will er, dass sich ihre Liebe »als echt erweist« in der Fürsorge und den Eifer für die Armen (vgl. ebd.). Die Grundlage der Bitte des Paulus ist sicherlich das Bedürfnis nach konkreter Hilfe, aber seine Absicht geht darüber hinaus. Er ruft dazu auf, dass die Kollekte ein Zeichen der Liebe sein soll, wie sie von Jesus selbst bezeugt wurde. Kurz gesagt, die Großzügigkeit gegenüber den Armen findet ihre stärkste Motivation in der Entscheidung des Gottessohnes, der sich selbst arm machen wollte.

Der Apostel scheut sich in der Tat nicht zu bekräftigen, dass diese Wahl Christi, diese „Erniedrigung“ seiner selbst, eine Gnade ist, ja »die Gnade unseres Herrn Jesus Christus« (2 Kor 8,9), und nur wenn wir sie für uns annehmen, können wir unserem Glauben konkreten und kohärenten Ausdruck verleihen. Die Lehre des gesamten Neuen Testaments schöpft ihre Einheit aus diesem Thema, das sich auch in den Worten des Apostels Jakobus widerspiegelt: »Werdet aber Täter des Wortes und nicht nur Hörer, sonst betrügt ihr euch selbst! Wer nur Hörer des Wortes ist und nicht danach handelt, gleicht einem Menschen, der sein eigenes Gesicht im Spiegel betrachtet: Er betrachtet sich, geht weg und schon hat er vergessen, wie er aussah. Wer sich aber in das vollkommene Gesetz der Freiheit vertieft und an ihm festhält, wer es nicht nur hört und es wieder vergisst, sondern zum Täter des Werkes geworden ist, wird selig sein in seinem Tun« (Jak 1,22-25).

7. Angesichts der Armen nützen keine großen Worte, sondern man krempelt die Ärmel hoch und setzt den Glauben durch das persönliche Engagement in die Praxis um, welches nicht an andere delegiert werden kann. Manchmal kann jedoch eine gewisse Laxheit eintreten, die zu inkonsequentem Verhalten führt, z. B. zu Gleichgültigkeit gegenüber den Armen. Es kommt auch vor, dass sich einige Christen aufgrund einer übermäßigen Anhänglichkeit an Geld in den Missbrauch von Gütern und Vermögenswerten verstricken. Dies sind Situationen, die einen schwachen Glauben und eine träge und kurzsichtige Hoffnung offenbaren.

Wir wissen, dass das Problem nicht das Geld selbst ist, denn es ist Teil des täglichen Lebens und der sozialen Beziehungen der Menschen. Wir müssen vielmehr über den Wert nachdenken, den das Geld für uns hat: Es darf nicht zu einem absoluten Wert werden, als ob es der Hauptzweck wäre. Eine solche Anhänglichkeit hindert uns daran, den Alltag realistisch zu betrachten, und vernebelt unsere Sicht, so dass wir die Bedürfnisse anderer nicht erkennen können. Es gibt nichts Schädlicheres für einen Christen und eine Gemeinschaft, als sich vom Götzen des Reichtums blenden zu lassen, der einen an eine oberflächliche und zum Scheitern verurteilte Lebenseinstellung bindet.

Es geht also nicht um eine Wohlfahrtsmentalität gegenüber den Armen, wie es oft der Fall ist, sondern es geht darum, sich dafür einzusetzen, dass es niemandem am Nötigsten fehlt. Es ist nicht der Aktivismus, der rettet, sondern die aufrichtige und großherzige Aufmerksamkeit, mit der man sich einem armen Menschen als Bruder nähert, der seine Hand ausstreckt, damit ich aus der Lähmung, in die ich gefallen bin, erwache. Daher gilt: »Niemand dürfte sagen, dass er sich von den Armen fernhält, weil seine Lebensentscheidungen es mit sich bringen, anderen Aufgaben mehr Achtung zu schenken. Das ist eine in akademischen, unternehmerischen oder beruflichen und sogar kirchlichen Kreisen häufige Entschuldigung. […] [Es] darf sich niemand von der Sorge um die Armen und um die soziale Gerechtigkeit freigestellt fühlen« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 201). Es ist dringend notwendig, neue Wege zu finden, die über den Ansatz jener Sozialpolitiken hinausgehen, die »verstanden wird als eine Politik „gegenüber“ den Armen, aber nie „mit“ den Armen, die nie die Politik „der“ Armen ist und schon gar nicht in einen Plan integriert ist, der die Völker wieder miteinander vereint« (Enzyklika Fratelli tutti, 169). Stattdessen müssen wir nach der Haltung des Apostels streben, der an die Korinther schreiben konnte: »Denn es geht nicht darum, dass ihr in Not geratet, indem ihr anderen helft; es geht um einen Ausgleich« (2 Kor 8,13).

8. Es gibt ein Paradoxon, das heute wie damals schwer zu akzeptieren ist, weil es der menschlichen Logik widerspricht: Es gibt eine Armut, die reich macht. Indem er an die „Gnade“ Jesu Christi erinnert, will Paulus bekräftigen, was er selbst gepredigt hat, nämlich dass der wahre Reichtum nicht in der Ansammlung von »Schätze[n] hier auf der Erde, wo Motte und Wurm sie zerstören und wo Diebe einbrechen und sie stehlen« (Mt 6,19) besteht, sondern in der gegenseitigen Liebe, die uns dazu motiviert, die Lasten des anderen zu tragen, damit niemand im Stich gelassen oder ausgeschlossen wird. Die Erfahrung von Schwäche und Begrenztheit, die wir in den letzten Jahren gemacht haben, und nun die Tragödie eines Krieges mit globalen Auswirkungen müssen uns etwas Entscheidendes lehren: Wir sind nicht auf dieser Welt, um zu überleben, sondern damit allen ein würdiges und glückliches Leben ermöglicht wird. Die Botschaft Jesu zeigt uns den Weg und lässt uns entdecken, dass es eine Armut gibt, die erniedrigt und tötet, und eine andere Armut, seine eigene, die befreit und gelassen macht.

Die Armut, welche tötet, ist das Elend, das Ergebnis von Ungerechtigkeit, Ausbeutung, Gewalt und ungerechter Verteilung der Ressourcen. Das ist die verzweifelte Armut, die keine Zukunft hat, weil sie von der Wegwerfkultur aufgezwungen wird, die weder Perspektiven noch Auswege bietet. Das ist die Armut, welche Menschen in extreme Bedürftigkeit bringt und dadurch auch die spirituelle Dimension untergräbt, die, auch wenn sie oft übersehen wird, existiert und zählt. Wenn das einzige Gesetz die Gewinnberechnung am Ende des Tages ist, dann gibt es keine Hemmungen mehr, der Logik der Ausbeutung von Menschen zu folgen: die Anderen sind nur Mittel. Gerechte Löhne, gerechte Arbeitszeiten gibt es nicht mehr, und es werden neue Formen der Sklaverei geschaffen, unter denen die Menschen leiden, die keine Alternative haben und diese bittere Ungerechtigkeit hinnehmen müssen, um das Existenzminimum zusammenzukratzen.

Dagegen ist die Armut, die befreit, diejenige, die sich uns als verantwortungsvolle Entscheidung präsentiert, um Ballast abzuwerfen und sich auf das Wesentliche zu konzentrieren. In der Tat kann man bei vielen Menschen leicht Unzufriedenheit erkennen, weil sie das Gefühl haben, dass etwas Wichtiges fehlt und sie sich wie ziellose Wanderer auf die Suche danach begeben. Auf der Suche nach dem, was sie befriedigen kann, müssen sie sich den Geringen, Schwachen und Armen zuwenden, um so endlich zu begreifen, was sie wirklich brauchen. Die Begegnung mit den Armen ermöglicht es, viele Ängste und substanzlose Befürchtungen zu überwinden und zu dem vorzustoßen, was im Leben wirklich zählt und was uns niemand wegnehmen kann: die wahre und unentgeltliche Liebe. Die Armen sind in der Tat, noch bevor sie Empfänger unserer Almosen sind, Individuen, die uns helfen, uns von den Fesseln der Rastlosigkeit und der Oberflächlichkeit zu befreien.

Johannes Chrysostomus, ein Kirchenvater und Kirchenlehrer, der in seinen Schriften das Verhalten der Christen gegenüber den Armen scharf anprangert, schrieb: »Wenn du nicht vertraust, dass Armut Reichtum bewirken kann, so denke an deinen Herrn und höre auf, zu zweifeln. Denn wäre der Herr nicht arm geworden, so wärest du nicht reich geworden. Das ist gerade das Wunderbare, dass die Armut Reichtum erzeugt hat. Unter Reichtum versteht aber hier der Apostel die Gottseligkeit, die Reinigung von Sünden, die Gerechtigkeit und Heiligkeit und all jene unzähligen Güter, die der Herr uns schon gewährt hat und noch gewähren wird. Und all dieses ist uns aus der Armut erwachsen« (Homilien über den Zweiten Korintherbrief, 17.1).

9. Der Text des Apostels, auf den sich dieser VI. Welttag der Armen bezieht, zeigt das große Paradox des Glaubenslebens: Die Armut Christi macht uns reich. Paulus konnte diese Lehre weitergeben - und die Kirche kann sie verbreiten und über die Jahrhunderte hinweg bezeugen -, weil Gott in seinem Sohn Jesus diesen Weg gewählt hat und ihn gegangen ist. Weil er für uns arm geworden ist, wird unser Leben erhellt und verwandelt und erhält einen Wert, den die Welt nicht kennt und nicht geben kann. Der Reichtum Jesu besteht in seiner Liebe, die sich niemandem verschließt und allen entgegenkommt, vor allem diejenigen, die an den Rand gedrängt und des Nötigsten beraubt sind. Aus Liebe hat er sich erniedrigt und menschliche Gestalt angenommen. Aus Liebe wurde er ein gehorsamer Diener, bis hin zum Tod am Kreuz (vgl. Phil 2,6-8). Aus Liebe wurde er zum »Brot des Lebens« (Joh 6,35), damit niemandem das Lebensnotwendige fehlt und er die Nahrung für das ewige Leben finden kann. So wie damals für die Jünger des Herrn scheint es auch heute noch schwierig zu sein, diese Lehre zu akzeptieren (vgl. Joh 6,60); aber das Wort Jesu ist deutlich. Wenn wir wollen, dass das Leben über den Tod triumphiert und die Würde von der Ungerechtigkeit befreit wird, dann ist der Weg der seine: Er besteht darin, der Armut Jesu Christi zu folgen, das Leben aus Liebe zu teilen, das Brot der eigenen Existenz mit den Brüdern und Schwestern zu brechen, angefangen bei den Geringsten, bei denen, denen das Nötigste fehlt, damit Gleichheit erreicht wird, die Armen vom Elend und die Reichen von der Selbstgefälligkeit befreit werden, die beide hoffnungslos sind.

10. Am 15. Mai habe ich Bruder Charles de Foucauld heiliggesprochen, einen Mann, der reich geboren wurde und auf alles verzichtete, um Jesus zu folgen und mit ihm arm und ein Bruder für alle zu werden. Sein Einsiedlerleben, zunächst in Nazareth und dann in der Wüste der Sahara, das aus Schweigen, Gebet und Teilen bestand, ist ein beispielhaftes Zeugnis christlicher Armut. Es wird uns guttun, über diese Worte von ihm nachzudenken: »Verachten wir nicht die Armen, die Kleinen, die Arbeiter; sie sind nicht nur unsere Brüder in Gott, sondern auch diejenigen, die Jesus in seinem äußeren Leben am vollkommensten nachahmen. Sie stellen genau Jesus, den Arbeiter von Nazareth, dar. Sie sind die Erstgeborenen unter den Auserwählten, die ersten, die an die Wiege des Erlösers gerufen wurden. Sie waren der alltägliche Umgang Jesu, von seiner Geburt bis zu seinem Tod [...]. Lasst uns sie ehren, lasst uns in ihnen die Bilder Jesu und seiner heiligen Eltern ehren [...]. Lasst uns für uns selbst [die Bedingung] annehmen, die er für sich selbst angenommen hat [...]. Lasst uns nie aufhören, in allem arm zu sein, Brüder der Armen, Gefährten der Armen, lasst uns wie Jesus die Ärmsten der Armen sein, und wie er lasst uns die Armen lieben und uns mit ihnen umgeben« (Kommentare zum Lukasevangelium, Meditation 263)[1]. Für Bruder Charles waren dies nicht nur Worte, sondern eine konkrete Lebensweise, die ihn dazu brachte, mit Jesus die Hingabe des Lebens selbst zu teilen.

Möge dieser VI. Welttag der Armen zu einer Gelegenheit der Gnade werden, eine persönliche und gemeinschaftliche Gewissensprüfung vorzunehmen und uns zu fragen, ob die Armut Jesu Christi unser treuer Begleiter im Leben ist.

Rom, St. Johannes im Lateran, 13. Juni 2022, Gedenktag des Heiligen Antonius von Padua.

FRANZISKUS

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[1] Meditation Nr. 263 über Lk 2,8-20: C. DE FOUCAULD, La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

[00938-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Jesucristo se hizo pobre por ustedes (cf. 2 Co 8,9)

1. “Jesucristo se hizo pobre por ustedes” (cf. 2 Co 8,9). Con estas palabras el apóstol Pablo se dirige a los primeros cristianos de Corinto, para dar fundamento a su compromiso solidario con los hermanos necesitados. La Jornada Mundial de los Pobres se presenta también este año como una sana provocación para ayudarnos a reflexionar sobre nuestro estilo de vida y sobre tantas pobrezas del momento presente.

Algunos meses atrás, el mundo estaba saliendo de la tempestad de la pandemia, mostrando signos de recuperación económica que traerían alivio a millones de personas empobrecidas por la pérdida del empleo. Se vislumbraba un poco de serenidad que, sin olvidar el dolor por la pérdida de los seres queridos, prometía finalmente poder regresar a las relaciones interpersonales directas, a reencontrarnos sin limitaciones o restricciones. Y es entonces que ha aparecido en el horizonte una nueva catástrofe, destinada a imponer al mundo un escenario diferente.

La guerra en Ucrania vino a agregarse a las guerras regionales que en estos años están trayendo muerte y destrucción. Pero aquí el cuadro se presenta más complejo por la directa intervención de una “superpotencia”, que pretende imponer su voluntad contra el principio de autodeterminación de los pueblos. Se repiten escenas de trágica memoria y una vez más el chantaje recíproco de algunos poderosos acalla la voz de la humanidad que invoca la paz.

2. ¡Cuántos pobres genera la insensatez de la guerra! Dondequiera que se mire, se constata cómo la violencia afecta a los indefensos y a los más débiles. Deportación de miles de personas, especialmente niños y niñas, para desarraigarlos e imponerles otra identidad. Se vuelven actuales las palabras del Salmista ante la destrucción de Jerusalén y el exilio de los jóvenes hebreos: «Junto a los ríos de Babilonia / nos sentábamos a llorar, / acordándonos de Sión. / En los sauces de las orillas / teníamos colgadas nuestras cítaras. / Allí nuestros carceleros / nos pedían cantos, / y nuestros opresores, alegría. / [...] ¿Cómo podíamos cantar un canto del Señor / en tierra extranjera?» (Sal 137,1-4).

Son millones las mujeres, los niños, los ancianos obligados a desafiar el peligro de las bombas con tal de ponerse a salvo buscando amparo como refugiados en los países vecinos. Los que permanecen en las zonas de conflicto, conviven cada día con el miedo y la falta de alimentos, agua, atención médica y sobre todo de cariño. En estas situaciones, la razón se oscurece y quienes sufren las consecuencias son muchas personas comunes, que se suman al ya gran número de indigentes. ¿Cómo dar una respuesta adecuada que lleve alivio y paz a tantas personas, dejadas a merced de la incertidumbre y la precariedad?

3. En este contexto tan contradictorio se enmarca la VI Jornada Mundial de los Pobres, con la invitación —tomada del apóstol Pablo— a tener la mirada fija en Jesús, el cual «siendo rico, se hizo pobre por nosotros, a fin de enriquecernos con su pobreza» (2 Co 8,9). En su visita a Jerusalén, Pablo se había encontrado con Pedro, Santiago y Juan, quienes le habían pedido que no se olvidara de los pobres. La comunidad de Jerusalén, en efecto, se encontraba en graves dificultades por la carestía que azotaba al país, y el Apóstol se había preocupado inmediatamente de organizar una gran colecta en favor de los pobres. Los cristianos de Corinto se mostraron muy sensibles y disponibles. Por indicación de Pablo, cada primer día de la semana recogían lo que habían logrado ahorrar y todos eran muy generosos.

Como si el tiempo no hubiera transcurrido desde aquel momento, también nosotros cada domingo, durante la celebración de la Santa Eucaristía, realizamos el mismo gesto, poniendo en común nuestras ofrendas para que la comunidad pueda proveer a las exigencias de los más pobres. Es un signo que los cristianos siempre han realizado con alegría y sentido de responsabilidad, para que a ninguna hermana o hermano le falte lo necesario. Lo atestigua ya san Justino, que, en el segundo siglo, explicando la celebración dominical de los cristianos al emperador Antonio Pío, escribía así: «En el día llamado “del Sol” se reúnen todos juntos, habitantes de la ciudad o del campo, y se leen las memorias de los Apóstoles o los escritos de los profetas según el tiempo lo permita. […] Luego se hace la fracción y distribución de los elementos consagrados a cada uno y a través de los diáconos se envía a los ausentes. Los adinerados y los que lo desean dan libremente, cada uno lo que quiere y lo que se recoge viene depositado con el sacerdote. Este socorre a los huérfanos, a las viudas, y a quien es indigente por enfermedad o por cualquier otra causa, a los encarcelados, a los extranjeros que se encuentran entre nosotros: en resumen, tiene cuidado de cualquiera que esté en necesidad» (Primera Apología, LXVII, 1-6).

4. Regresando a la comunidad de Corinto, después del entusiasmo inicial, su compromiso comenzó a disminuir y la iniciativa propuesta por el Apóstol perdió fuerza. Es este el motivo que estimula a Pablo a escribir de manera apasionada insistiendo en la colecta, «llévenla ahora a término, para que los hechos respondan, según las posibilidades de cada uno, a la decisión de la voluntad» (2 Co 8,11).

Pienso en este momento en la disponibilidad que, en los últimos años, ha movido a enteras poblaciones a abrir las puertas para acoger millones de refugiados de las guerras en Oriente Medio, en África central y ahora en Ucrania. Las familias han abierto de par en par sus casas para hacer espacio a otras familias, y las comunidades han recibido con generosidad tantas mujeres y niños para ofrecerles la debida dignidad. Sin embargo, mientras más dura el conflicto, más se agravan sus consecuencias. A los pueblos que acogen les resulta cada vez más difícil dar continuidad a la ayuda; las familias y las comunidades empiezan a sentir el peso de una situación que va más allá de la emergencia. Este es el momento de no ceder y de renovar la motivación inicial. Lo que hemos comenzado necesita ser llevado a cumplimiento con la misma responsabilidad.

5. La solidaridad, en efecto, es precisamente esto: compartir lo poco que tenemos con quienes no tienen nada, para que ninguno sufra. Mientras más crece el sentido de comunidad y de comunión como estilo de vida, mayormente se desarrolla la solidaridad. Por otra parte, es necesario considerar que hay países donde, en las últimas décadas, se ha producido un importante aumento del bienestar para muchas familias, que han alcanzado un estado de vida seguro. Este es un resultado positivo debido a la iniciativa privada y a leyes que han apoyado el crecimiento económico articulado con un incentivo concreto a las políticas familiares y a la responsabilidad social. El patrimonio de seguridad y estabilidad logrado pueda ahora ser compartido con aquellos que se han visto obligados a abandonar su hogar y su país para salvarse y sobrevivir. Como miembros de la sociedad civil, mantengamos vivo el llamado a los valores de libertad, responsabilidad, fraternidad y solidaridad. Y como cristianos encontremos siempre en la caridad, en la fe y en la esperanza el fundamento de nuestro ser y nuestro actuar.

6. Es interesante observar que el Apóstol no quiere obligar a los cristianos forzándolos a una obra de caridad. De hecho, escribe: «Esta no es una orden» (2 Co 8,8); más bien, pretende “manifestar la sinceridad” de su amor en la atención y solicitud por los pobres (cf. ibíd.). Como fundamento de la petición de Pablo está ciertamente la necesidad de una ayuda concreta, pero su intención va más allá. Él invita a realizar la colecta para que sea un signo del amor, tal como lo ha testimoniado el mismo Jesús. En definitiva, la generosidad hacia los pobres encuentra su motivación más fuerte en la elección del Hijo de Dios que quiso hacerse pobre Él mismo.

El Apóstol, en efecto, no teme afirmar que esta elección de Cristo, este “despojo” suyo, es una «gracia», más aún, «la gracia de nuestro Señor Jesucristo» (2 Co 8,9), y sólo acogiéndola podemos dar expresión concreta y coherente a nuestra fe. La enseñanza de todo el Nuevo Testamento tiene su unidad en torno a este tema, que también se refleja en las palabras del apóstol Santiago: «Pongan en práctica la Palabra y no se contenten sólo con oírla, de manera que se engañen a ustedes mismos. El que oye la Palabra y no la practica, se parece a un hombre que se mira en el espejo, pero en seguida se va y se olvida de cómo es. En cambio, el que considera atentamente la Ley perfecta, que nos hace libres, y se aficiona a ella, no como un oyente distraído, sino como un verdadero cumplidor de la Ley, será feliz al practicarla» (St 1,22-25).

7. Frente a los pobres no se hace retórica, sino que se ponen manos a la obra y se practica la fe involucrándose directamente, sin delegar en nadie. A veces, en cambio, puede prevalecer una forma de relajación, lo que conduce a comportamientos incoherentes, como la indiferencia hacia los pobres. Sucede también que algunos cristianos, por un excesivo apego al dinero, se empantanan en el mal uso de los bienes y del patrimonio. Son situaciones que manifiestan una fe débil y una esperanza endeble y miope.

Sabemos que el problema no es el dinero en sí, porque este forma parte de la vida cotidiana y de las relaciones sociales de las personas. Más bien, lo que debemos reflexionar es sobre el valor que tiene el dinero para nosotros: no puede convertirse en un absoluto, como si fuera el fin principal. Tal apego impide observar con realismo la vida de cada día y nubla la mirada, impidiendo ver las necesidades de los demás. Nada más dañino le puede acontecer a un cristiano y a una comunidad que ser deslumbrados por el ídolo de la riqueza, que termina encadenando a una visión de la vida efímera y fracasada.

Por lo tanto, no se trata de tener un comportamiento asistencialista hacia los pobres, como suele suceder; es necesario, en cambio, hacer un esfuerzo para que a nadie le falte lo necesario. No es el activismo lo que salva, sino la atención sincera y generosa que permite acercarse a un pobre como a un hermano que tiende la mano para que yo me despierte del letargo en el que he caído. Por eso, «nadie debería decir que se mantiene lejos de los pobres porque sus opciones de vida implican prestar más atención a otros asuntos. Ésta es una excusa frecuente en ambientes académicos, empresariales o profesionales, e incluso eclesiales. […] Nadie puede sentirse exceptuado de la preocupación por los pobres y por la justicia social» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 201). Es urgente encontrar nuevos caminos que puedan ir más allá del marco de aquellas políticas sociales «concebidas como una política hacia los pobres pero nunca con los pobres, nunca de los pobres y mucho menos inserta en un proyecto que reunifique a los pueblos» (Carta enc. Fratelli tutti, 169). En cambio, es necesario tender a asumir la actitud del Apóstol que podía escribir a los corintios: «No se trata de que ustedes sufran necesidad para que otros vivan en la abundancia, sino de que haya igualdad» (2 Co 8,13).

8. Hay una paradoja que hoy como en el pasado es difícil de aceptar, porque contrasta con la lógica humana: hay una pobreza que enriquece. Haciendo referencia a la “gracia” de Jesucristo, Pablo quiere confirmar lo que Él mismo predicó, es decir, que la verdadera riqueza no consiste en acumular «tesoros en la tierra, donde la polilla y la herrumbre los consumen, y los ladrones perforan las paredes y los roban» (Mt 6,19), sino en el amor recíproco que nos hace llevar las cargas los unos de los otros para que nadie quede abandonado o excluido. La experiencia de debilidad y limitación que hemos vivido en los últimos años, y ahora la tragedia de una guerra con repercusiones globales, nos debe enseñar algo decisivo: no estamos en el mundo para sobrevivir, sino para que a todos se les permita tener una vida digna y feliz. El mensaje de Jesús nos muestra el camino y nos hace descubrir que hay una pobreza que humilla y mata, y hay otra pobreza, la suya, que nos libera y nos hace felices.

La pobreza que mata es la miseria, hija de la injusticia, la explotación, la violencia y la injusta distribución de los recursos. Es una pobreza desesperada, sin futuro, porque la impone la cultura del descarte que no ofrece perspectivas ni salidas. Es la miseria que, mientras constriñe a la condición de extrema pobreza, también afecta la dimensión espiritual que, aunque a menudo sea descuidada, no por esto no existe o no cuenta. Cuando la única ley es la del cálculo de las ganancias al final del día, entonces ya no hay freno para pasar a la lógica de la explotación de las personas: los demás son sólo medios. No existen más salarios justos, horas de trabajo justas, y se crean nuevas formas de esclavitud, sufridas por personas que no tienen otra alternativa y deben aceptar esta venenosa injusticia con tal de obtener lo mínimo para su sustento.

La pobreza que libera, en cambio, es la que se nos presenta como una elección responsable para aligerar el lastre y centrarnos en lo esencial. De hecho, se puede encontrar fácilmente esa sensación de insatisfacción que muchos experimentan, porque sienten que les falta algo importante y van en su búsqueda como errantes sin una meta. Deseosos de encontrar lo que pueda satisfacerlos, tienen necesidad de orientarse hacia los pequeños, los débiles, los pobres para comprender finalmente aquello de lo que verdaderamente tenían necesidad. El encuentro con los pobres permite poner fin a tantas angustias y miedos inconsistentes, para llegar a lo que realmente importa en la vida y que nadie nos puede robar: el amor verdadero y gratuito. Los pobres, en realidad, antes que ser objeto de nuestra limosna, son sujetos que nos ayudan a liberarnos de las ataduras de la inquietud y la superficialidad.

Un padre y doctor de la Iglesia, san Juan Crisóstomo, en cuyos escritos se encuentran fuertes denuncias contra el comportamiento de los cristianos hacia los más pobres, escribió: «Si no puedes creer que la pobreza te enriquece, piensa en tu Señor y deja de dudar de esto. Si Él no hubiera sido pobre, tú no serías rico; esto es extraordinario, que de la pobreza surgió abundante riqueza. Pablo quiere decir aquí con “riquezas” el conocimiento de la piedad, la purificación de los pecados, la justicia, la santificación y otras mil cosas buenas que nos han sido dadas ahora y siempre. Todo esto lo tenemos gracias a la pobreza» (Homilías sobre la II Carta a los Corintios, 17,1).

9. El texto del Apóstol al que se refiere esta VI Jornada Mundial de los Pobres presenta la gran paradoja de la vida de fe: la pobreza de Cristo nos hace ricos. Si Pablo pudo dar esta enseñanza —y la Iglesia difundirlo y testimoniarlo a lo largo de los siglos— es porque Dios, en su Hijo Jesús, eligió y siguió este camino. Si Él se hizo pobre por nosotros, entonces nuestra misma vida se ilumina y se transforma, y adquiere un valor que el mundo no conoce ni puede dar. La riqueza de Jesús es su amor, que no se cierra a nadie y va al encuentro de todos, especialmente de los que son marginados y privados de lo necesario. Por amor se despojó a sí mismo y asumió la condición humana. Por amor se hizo siervo obediente, hasta morir y morir en la cruz (cf. Flp 2,6-8). Por amor se hizo «pan de Vida» (Jn 6,35), para que a nadie le falte lo necesario y pueda encontrar el alimento que nutre para la vida eterna. También en nuestros días parece difícil, como lo fue entonces para los discípulos del Señor, aceptar esta enseñanza (cf. Jn 6,60); pero la palabra de Jesús es clara. Si queremos que la vida venza a la muerte y la dignidad sea rescatada de la injusticia, el camino es el suyo: es seguir la pobreza de Jesucristo, compartiendo la vida por amor, partiendo el pan de la propia existencia con los hermanos y hermanas, empezando por los más pequeños, los que carecen de lo necesario, para que se cree la igualdad, se libere a los pobres de la miseria y a los ricos de la vanidad, ambos sin esperanza.

10. El pasado 15 de mayo canonicé al hermano Charles de Foucauld, un hombre que, nacido rico, renunció a todo para seguir a Jesús y hacerse con Él pobre y hermano de todos. Su vida eremítica, primero en Nazaret y luego en el desierto del Sahara, hecha de silencio, oración y compartir, es un testimonio ejemplar de la pobreza cristiana. Nos hará bien meditar en estas palabras suyas: «No despreciemos a los pobres, a los pequeños, a los trabajadores; ellos no sólo son nuestros hermanos en Dios, sino que son también aquellos que del modo más perfecto imitan a Jesús en su vida exterior. Ellos nos representan perfectamente a Jesús, el Obrero de Nazaret. Son los primogénitos entre los elegidos, los primeros llamados a la cuna del Salvador. Fueron la compañía habitual de Jesús, desde su nacimiento hasta su muerte […]. Honrémoslos, honremos en ellos las imágenes de Jesús y de sus santos padres […]. Tomemos para nosotros [la condición] que Él tomó para sí mismo […]. No dejemos nunca de ser pobres en todo, hermanos de los pobres, compañeros de los pobres, seamos los más pobres de los pobres como Jesús, y como Él amemos a los pobres y rodeémonos de ellos» (Comentario al Evangelio de Lucas, Meditación 263).[1] Para el hermano Charles estas no fueron sólo palabras, sino un estilo de vida concreto, que lo llevó a compartir con Jesús el don de la vida misma.

Que esta VI Jornada Mundial de los Pobres se convierta en una oportunidad de gracia, para hacer un examen de conciencia personal y comunitario, y preguntarnos si la pobreza de Jesucristo es nuestra fiel compañera de vida.

Roma, San Juan de Letrán, 13 de junio de 2022, Memoria de san Antonio de Padua.

FRANCISCO

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[1] Meditación n. 263 sobre Lc 2,8-20: C. DE FOUCAULD, La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

[00938-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Jesus Cristo fez-Se pobre por vós (cf. 2 Cor 8, 9)

1. «Jesus Cristo (…) fez-Se pobre por vós» (2 Cor 8, 9). Com estas palavras, o apóstolo Paulo dirige-se aos cristãos de Corinto para fundamentar o seu compromisso de solidariedade para com os irmãos necessitados. O Dia Mundial dos Pobres torna este ano como uma sadia provocação para nos ajudar a refletir sobre o nosso estilo de vida e as inúmeras pobrezas da hora atual.

Há alguns meses, o mundo estava a sair da tempestade da pandemia, mostrando sinais de recuperação económica que se esperava voltasse a trazer alívio a milhões de pessoas empobrecidas pela perda do emprego. Abria-se uma nesga de céu sereno que, sem esquecer a tristeza pela perda dos próprios entes queridos, prometia ser possível tornar finalmente às relações interpessoais diretas, encontrar-se sem embargos nem restrições. Mas eis que uma nova catástrofe assomou ao horizonte, destinada a impor ao mundo um cenário diferente.

A guerra na Ucrânia veio juntar-se às guerras regionais que, nestes anos, têm produzido morte e destruição. Aqui, porém, o quadro apresenta-se mais complexo devido à intervenção direta duma «superpotência», que pretende impor a sua vontade contra o princípio da autodeterminação dos povos. Vemos repetir-se cenas de trágica memória e, mais uma vez, as ameaças recíprocas de alguns poderosos abafam a voz da humanidade que implora paz.

2. Quantos pobres gera a insensatez da guerra! Para onde quer que voltemos o olhar, constata-se como os mais atingidos pela violência sejam as pessoas indefesas e frágeis. Deportação de milhares de pessoas, sobretudo meninos e meninas, para os desenraizar e impor-lhes outra identidade. Voltam a ser atuais as palavras do Salmista perante a destruição de Jerusalém e o exílio dos judeus: «Junto aos rios da Babilónia nos sentamos a chorar, / recordando-nos de Sião. / Nos salgueiros das suas margens / penduramos as nossas harpas. / Os que nos levaram para ali cativos / pediam-nos um cântico; / e os nossos opressores, uma canção de alegria / (...). Como poderíamos nós cantar um cântico do Senhor, / estando numa terra estranha?» (Sal 137, 1-4).

Milhões de mulheres, crianças e idosos veem-se constrangidos a desafiar o perigo das bombas para pôr a vida a salvo, procurando abrigo como refugiados em países vizinhos. Entretanto, aqueles que permanecem nas zonas de conflito têm de conviver diariamente com o medo e a carência de comida, água, cuidados médicos e sobretudo com a falta de afeto familiar. Nestes momentos, a razão fica obscurecida e quem sofre as consequências é uma multidão de gente simples, que vem juntar-se ao número já elevado de pobres. Como dar uma resposta adequada que leve alívio e paz a tantas pessoas, deixadas à mercê da incerteza e da precariedade?

3. Neste contexto tão desfavorável, situa-se o VI Dia Mundial dos Pobres, com o convite – tomado do apóstolo Paulo – a manter o olhar fixo em Jesus, que, «sendo rico, Se fez pobre por vós, para vos enriquecer com a sua pobreza» (2 Cor 8, 9). Na sua visita a Jerusalém, Paulo encontrara Pedro, Tiago e João, que lhe tinham pedido para não esquecer os pobres. De facto, a comunidade de Jerusalém debatia-se com sérias dificuldades devido à carestia que assolara o país. O Apóstolo preocupou-se imediatamente em organizar uma grande coleta a favor daqueles pobres. Os cristãos de Corinto mostraram-se muito sensíveis e disponíveis. Por indicação de Paulo, em cada primeiro dia da semana recolhiam quanto haviam conseguido poupar e todos foram muito generosos.

Como se o tempo tivesse parado naquele momento, também nós, cada domingo, durante a celebração da Santa Missa, cumprimos o mesmo gesto, colocando em comum as nossas ofertas para que a comunidade possa prover às necessidades dos mais pobres. É um sinal que os cristãos sempre cumpriram com alegria e sentido de responsabilidade, para que a nenhum irmão e irmã faltasse o necessário. Já o testemunhava no século II São Justino que, ao descrever ao imperador Antonino Pio a celebração dominical dos cristãos, escrevia: «No dia do Sol, como é chamado, reúnem-se num mesmo lugar os habitantes, quer das cidades quer dos campos, e leem-se, na medida em que o tempo o permite, ora os comentários dos Apóstolos ora os escritos dos Profetas. (…) Seguidamente, a cada um dos presentes se distribui e faz participante dos dons sobre os quais foi pronunciada a ação de graças, e dos mesmos se envia aos ausentes por meio dos diáconos. Os que possuem bens em abundância dão livremente o que lhes parece bem, e o que se recolhe põe-se à disposição daquele que preside. Este socorre os órfãos e viúvas e os que, por motivo de doença ou qualquer outra razão, se encontram em necessidade, assim como os encarcerados e hóspedes que chegam de viagem; numa palavra, ele toma sobre si o encargo de todos os necessitados» (Primeira Apologia, LXVII, 1-6).

4. Voltando à comunidade de Corinto, sucedeu que, depois do entusiasmo inicial, começou a esmorecer o empenho, e a iniciativa proposta pelo Apóstolo perdeu impulso. Este é o motivo que leva Paulo a escrever com grande paixão, relançando a coleta, «para que, como fostes prontos no querer, também o sejais no executar, conforme as vossas possibilidades» (2 Cor 8, 11).

Neste momento, penso na disponibilidade que, nos últimos anos, moveu populações inteiras para abrir as portas a fim de acolher milhões de refugiados das guerras no Médio Oriente, na África Central e, agora, na Ucrânia. As famílias abriram as suas casas para deixar entrar outras famílias, e as comunidades acolheram generosamente muitas mulheres e crianças para lhes proporcionar a devida dignidade. Mas quanto mais se alonga o conflito, tanto mais se agravam as suas consequências. Os povos que acolhem têm cada vez mais dificuldade em dar continuidade à ajuda; as famílias e as comunidades começam a sentir o peso duma situação que vai além da emergência. Este é o momento de não ceder, mas de renovar a motivação inicial. O que começamos precisa de ser levado a cabo com a mesma responsabilidade.

5. Com efeito, a solidariedade é precisamente partilhar o pouco que temos com quantos nada têm, para que ninguém sofra. Quanto mais cresce o sentido de comunidade e comunhão como estilo de vida, tanto mais se desenvolve a solidariedade. Aliás, deve-se considerar que há países onde, nas últimas décadas, se verificou um significativo crescimento do bem-estar de muitas famílias, que alcançaram um estado de vida seguro. Trata-se dum resultado positivo da iniciativa privada e de leis que sustentaram o crescimento económico, aliado a um incentivo concreto às políticas familiares e à responsabilidade social. Possa este património de segurança e estabilidade alcançado ser agora partilhado com quantos foram obrigados a deixar as suas casas e o seu país para se salvarem e sobreviverem. Como membros da sociedade civil, mantenhamos vivo o apelo aos valores da liberdade, responsabilidade, fraternidade e solidariedade; e, como cristãos, encontremos sempre na caridade, na fé e na esperança o fundamento do nosso ser e da nossa atividade.

6. É interessante notar que o Apóstolo não quer obrigar os cristãos, forçando-os a uma obra de caridade; de facto, escreve: «Não o digo como quem manda». O que ele pretende é «pôr à prova a sinceridade do amor» demonstrado pelos Coríntios na atenção e solicitude pelos pobres (cf. 2 Cor 8, 8). Na base do pedido de Paulo, está certamente a necessidade de ajuda concreta, mas a sua intenção vai mais longe. Convida a realizar a coleta, para que seja sinal do amor testemunhado pelo próprio Jesus. Enfim, a generosidade para com os pobres encontra a sua motivação mais forte na opção do Filho de Deus que quis fazer-Se pobre.

Na realidade, o Apóstolo não hesita em afirmar que esta opção de Cristo, este seu «despojamento», é uma «graça» – aliás, é «a graça de Nosso Senhor Jesus Cristo» (2 Cor 8, 9) – e só acolhendo-a é que podemos dar expressão concreta e coerente à nossa fé. O ensinamento de todo o Novo Testamento revela a propósito uma especial unanimidade, como se verifica nesta passagem da Carta do apóstolo Tiago sobre a Palavra que foi semeada nos crentes: «Tendes de a pôr em prática e não apena ouvi-la, enganando-vos a vós mesmos. Porque, quem se contenta com ouvir a palavra, sem a pôr em prática, assemelha-se a alguém que contempla a sua fisionomia num espelho; mal acaba de se contemplar, sai dali e esquece-se de como era. Aquele, porém, que medita com atenção a lei perfeita, a lei da liberdade, e nela persevera – não com quem a ouve e logo se esquece, mas como quem a cumpre – esse encontrará a felicidade ao pô-la em prática» (1, 22-25).

7. No caso dos pobres, não servem retóricas, mas arregaçar as mangas e pôr em prática a fé através dum envolvimento direto, que não pode ser delegado a ninguém. Às vezes, porém, pode sobrevir uma forma de relaxamento que leva a assumir comportamentos incoerentes, como no caso da indiferença em relação aos pobres. Além disso acontece que alguns cristãos, devido a um apego excessivo ao dinheiro, fiquem empantanados num mau uso dos bens e do património. São situações que manifestam uma fé frágil e uma esperança fraca e míope.

Sabemos que o problema não está no dinheiro em si, pois faz parte da vida diária das pessoas e das relações sociais. Devemos refletir, sim, sobre o valor que o dinheiro tem para nós: não pode tornar-se um absoluto, como se fosse o objetivo principal. Um tal apego impede de ver, com realismo, a vida de todos os dias e ofusca o olhar, impedindo de reconhecer as necessidades dos outros. Nada de mais nocivo poderia acontecer a um cristão e a uma comunidade do que ser ofuscados pelo ídolo da riqueza, que acaba por acorrentar a uma visão efémera e falhada da vida.

Entretanto não se trata de ter um comportamento assistencialista com os pobres, como muitas vezes acontece; naturalmente é necessário empenhar-se para que a ninguém falte o necessário. Não é o ativismo que salva, mas a atenção sincera e generosa que me permite aproximar dum pobre como de um irmão que me estende a mão para que acorde do torpor em que caí. Por isso, «ninguém deveria dizer que se mantém longe dos pobres, porque as suas opções de vida implicam prestar mais atenção a outras incumbências. Esta é uma desculpa frequente nos ambientes académicos, empresariais ou profissionais, e até mesmo eclesiais. (…) Ninguém pode sentir-se exonerado da preocupação pelos pobres e pela justiça social» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 201). Urge encontrar estradas novas que possam ir além da configuração daquelas políticas sociais «concebidas como uma política para os pobres, mas nunca com os pobres, nunca dos pobres e muito menos inserida num projeto que reúna os povos» (Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 169). Em vez disso, é preciso tender para assumir a atitude do Apóstolo, que podia escrever aos Coríntios: «Não se trata de, ao aliviar os outros, vos fazer entrar em apuros, mas sim de que haja igualdade» (2 Cor 8, 13).

8. Estamos diante dum paradoxo, que, hoje como no passado, é difícil de aceitar, porque embate na lógica humana: há uma pobreza que nos torna ricos. Recordando a «graça» de Jesus Cristo, Paulo quer confirmar o que o próprio Senhor pregou, ou seja, que a verdadeira riqueza não consiste em acumular «tesouros na terra, onde a traça e a ferrugem os corroem e os ladrões arrombam os muros, a fim de os roubar» (Mt 6, 19), mas, antes, no amor recíproco que nos faz carregar os fardos uns dos outros, para que ninguém seja abandonado ou excluído. A experiência de fragilidade e limitação, que vivemos nestes últimos anos e, agora, a tragédia duma guerra com repercussões globais, devem ensinar-nos decididamente uma coisa: não estamos no mundo para sobreviver, mas para que, a todos, seja consentida uma vida digna e feliz. A mensagem de Jesus mostra-nos o caminho e faz-nos descobrir a existência duma pobreza que humilha e mata, e há outra pobreza – a d’Ele – que liberta e nos dá serenidade.

A pobreza que mata é a miséria, filha da injustiça, da exploração, da violência e da iníqua distribuição dos recursos. É a pobreza desesperada, sem futuro, porque é imposta pela cultura do descarte que não oferece perspetivas nem vias de saída. É a miséria que, enquanto constringe à condição de extrema indigência, afeta também a dimensão espiritual, que, apesar de muitas vezes ser transcurada, não é por isso que deixa de existir ou de contar. Quando a única lei passa a ser o cálculo do lucro no fim do dia, então deixa de haver qualquer freio na adoção da lógica da exploração das pessoas: os outros não passam de meios. Deixa de haver salário justo, horário justo de trabalho e criam-se novas formas de escravidão, suportada por pessoas que, sem alternativa, devem aceitar este veneno de injustiça a fim de ganhar o mínimo para comer.

Ao contrário, pobreza libertadora é aquela que se nos apresenta como uma opção responsável para alijar da estiva quanto há de supérfluo e apostar no essencial. De facto, pode-se individuar facilmente o sentido de insatisfação que muitos experimentam, porque sentem que lhes falta algo de importante e andam à sua procura como extraviados sem rumo. Desejosos de encontrar o que os possa saciar, precisam de ser encaminhados para os humildes, os frágeis, os pobres para compreenderem finalmente aquilo de que tinham verdadeiramente necessidade. Encontrar os pobres permite acabar com tantas ansiedades e medos inconsistentes, para atracar àquilo que verdadeiramente importa na vida e que ninguém nos pode roubar: o amor verdadeiro e gratuito. Na realidade, os pobres, antes de ser objeto da nossa esmola, são sujeitos que ajudam a libertar-nos das armadilhas da inquietação e da superficialidade.

Um padre e doutor da Igreja, São João Crisóstomo, em cujos escritos se encontram fortes denúncias contra o comportamento dos cristãos para com os mais pobres, escrevia: «Se não consegues acreditar que a pobreza te faça tornar rico, pensa no teu Senhor e deixa de duvidar quanto a isso. Se Ele não tivesse sido pobre, tu não serias rico; trata-se de algo extraordinário: que da pobreza tenha derivado riqueza abundante. Aqui Paulo entende por “riquezas” o conhecimento da piedade, a purificação dos pecados, a justiça, a santificação e milhares doutras coisas boas que nos foram dadas agora e para sempre. Tudo isto, o temos graças à pobreza» (Homilias sobre a II Carta aos Coríntios, 17, 1).

9. O texto do Apóstolo a que se refere este VI Dia Mundial dos Pobres apresenta o grande paradoxo da vida de fé: a pobreza de Cristo torna-nos ricos. Se Paulo pôde comunicar este ensinamento – e a Igreja difundi-lo e testemunhá-lo ao longo dos séculos – é porque Deus, em seu Filho Jesus, escolheu e seguiu esta estrada. Se Ele Se fez pobre por nós, então a nossa própria vida ilumina-se e transforma-se, adquirindo um valor que o mundo não conhece nem pode dar. A riqueza de Jesus é o seu amor, que não se fecha a ninguém mas vai ao encontro de todos, sobretudo de quantos estão marginalizados e desprovidos do necessário. Por amor, despojou-Se a Si mesmo e assumiu a condição humana. Por amor, fez-Se servo obediente, até à morte e morte de cruz (cf. Flp 2, 6-8). Por amor, fez-Se «pão de vida» (Jo 6, 35), para que a ninguém falte o necessário, e possa encontrar o alimento que nutre para a vida eterna. Também em nossos dias parece difícil, como foi então para os discípulos do Senhor, aceitar este ensinamento (cf. Jo 6, 60); mas a palavra de Jesus é clara. Se quisermos que a vida vença a morte e que a dignidade seja resgatada da injustiça, o caminho a seguir é o d’Ele: é seguir a pobreza de Jesus Cristo, partilhando a vida por amor, repartindo o pão da própria existência com os irmãos e irmãs, a começar pelos últimos, por aqueles que carecem do necessário, para que se crie a igualdade, os pobres sejam libertos da miséria e os ricos da vaidade, ambos sem esperança.

10. No passado dia 15 de maio, canonizei o Irmão Carlos de Foucauld, um homem que, tendo nascido rico, renunciou a tudo para seguir Jesus e com Ele tornar-se pobre e irmão de todos. A sua vida eremita, primeiro em Nazaré e depois no deserto do Saara, feita de silêncio, oração e partilha, é um testemunho exemplar da pobreza cristã. Ajudar-nos-á a meditação destas suas palavras: «Não desprezemos os pobres, os humildes, os operários; são não só nossos irmãos em Deus, mas também os que mais perfeitamente imitam a Jesus na sua vida exterior. Eles apresentam-nos perfeitamente Jesus, o Operário de Nazaré. São primogénitos entre os eleitos, os primeiros chamados ao berço do Salvador. Foram a companhia habitual de Jesus, desde o seu nascimento até à sua morte (…). Honremo-los, honremos neles as imagens de Jesus e dos seus santos progenitores (…). Tomemos para nós [a condição] que Ele tomou para Si (…). Nunca deixemos de ser, em tudo, pobres, irmãos dos pobres, companheiros dos pobres; sejamos os mais pobres dos pobres, como Jesus, e como Ele amemos os pobres e rodeemo-nos deles» (Comentário ao Evangelho de Lucas, Meditação 263).[1] Para o Irmão Carlos, estas não eram apenas palavras, mas estilo concreto de vida, que o levou a partilhar com Jesus o dom da própria existência.

Oxalá este VI Dia Mundial dos Pobres se torne uma oportunidade de graça, para fazermos um exame de consciência pessoal e comunitário, interrogando-nos se a pobreza de Jesus Cristo é a nossa fiel companheira de vida.

Roma, São João de Latrão, na Memória de Santo António, 13 de junho de 2022.

FRANCISCO

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[1] Meditação n. 263, sobre Lc 2, 8-20: C. De Foucauld, A Bondade de Deus. Meditações sobre os santos Evangelhos, I, Nouvelle Cité – Montrouge 1996, 214-216.

[00938-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Chrystus dla was stał się ubogim” (por. 2 Kor 8, 9)

1. «Chrystus Jezus […] dla was stał się ubogim» (por. 2 Kor 8, 9). Tymi słowami Apostoł Paweł zwraca się do pierwszych chrześcijan w Koryncie, aby utwierdzić ich działania solidarnościowe na rzecz potrzebujących braci. Światowy Dzień Ubogich również w tym roku staje się na nowo swego rodzaju pozytywną prowokacją, która ma nam pomóc w refleksji nad naszym stylem życia oraz nad wieloma wymiarami ubóstwa, które pojawiają się w tym obecnym momencie dziejowym.

Kilka miesięcy temu świat wychodził z burzy pandemii, ukazując znaki ożywienia ekonomicznego, które mogłoby przynieść ulgę milionom osób wpędzonych w biedę z powodu utraty pracy. Otwierał się pogodny scenariusz, który nie zapominając o cierpieniu z powodu utraty osób bliskich, przedstawiał wreszcie perspektywy powrotu do bezpośrednich relacji międzyosobowych, do spotkań bez ograniczeń i restrykcji. Oto jednak nowe nieszczęście pojawiło się na horyzoncie nakładając na świat inny scenariusz wydarzeń.

Wojna na Ukrainie dołączyła do wojen regionalnych, które w ostatnich latach sieją śmierć i zniszczenie. W tym wypadku jednak obraz jawi się bardziej złożony ze względu na bezpośrednią interwencję jednego z mocarstw, które chce narzucić swoją wolę wbrew zasadzie samostanowienia narodów. Powtarzają się sceny znane nam z tragicznej pamięci, gdzie raz jeszcze wzajemny szantaż niektórych możnych tego świata zagłusza głos ludzkości domagającej się pokoju.

2. Iluż to biednych rodzi niedorzeczność wojny! Gdziekolwiek się nie spojrzymy, widzimy, że przemoc uderza w osoby bezbronne i najsłabsze. Deportacje tysięcy osób, przede wszystkim dzieci, aby je wykorzenić i wymusić na nich zmianę tożsamości. Powracają jakże aktualne słowa Psalmisty, napisane w obliczu zniszczenia Jerozolimy oraz wygnania młodych Hebrajczyków: Nad rzekami Babilonu - tam myśmy siedzieli i płakali, /kiedyśmy wspominali Syjon./Na topolach tamtej krainy/zawiesiliśmy nasze harfy./Bo tam żądali od nas /pieśni ci, którzy nas uprowadzili, /pieśni radości ci, którzy nas uciskali: / […] Jakże możemy śpiewać /pieśń Pańską /w obcej krainie? /(Ps137,1 4).

Miliony kobiet, dzieci oraz osób starszych, zmuszonych jest do narażenia się na niebezpieczeństwo bomb, byle tylko znaleźć ocalenie, szukając schronienia jako uchodźcy w krajach sąsiednich. Iluż jednak z nich pozostaje w strefach konfliktu, mając każdego dnia do czynienia ze strachem, doświadczając braku jedzenia oraz wody, opieki medycznej, a przede wszystkim miłości. W takich sytuacjach rozum zostaje przyćmiony, a konsekwencje ponosi wielu zwykłych ludzi, którzy dołączają do i tak już dużej liczby osób pozbawionych środków do życia. Jak udzielić adekwatnej odpowiedzi, która przyniesie ulgę i pokój tak wielu ludziom, zdanym łaskę losu i ubóstwo?

3. W tym jakże sprzecznym kontekście, jakże bolesnym, pojawia się VI Światowy Dzień Ubogich, z zaproszeniem – zaczerpniętym z Apostoła Pawła – aby utrzymywać wzrok utkwiony w Jezusie, który: «będąc bogaty, dla was stał się ubogim, aby was ubóstwem swoim ubogacić» (2 Kor8, 9). Podczas swojej wizyty w Jerozolimie Paweł spotkał Piotra, Jakuba i Jana, którzy poprosili go aby nie zapominał o ubogich. Wspólnota z Jerozolimy znajdowała się bowiem w poważnych trudnościach z powodu głodu, który dotknął kraj. Apostoł Paweł natychmiast zatroszczył się o zorganizowanie wielkiej zbiórki na rzecz tychże ubogich. Chrześcijanie z Koryntu okazali się bardzo wrażliwymi i chętnymi do pomocy. Za wskazaniem Pawła, każdego pierwszego dnia tygodnia zbierali to, co udało im się oszczędzić, a wszyscy byli bardzo szczodrzy.

Czas jakby się zatrzymał w tym punkcie, także i my, każdej niedzieli, podczas celebracji Mszy świętej dokonujemy tego samego gestu, zbierając wspólnie nasze ofiary, ażeby wspólnota mogła zaspokoić potrzeby najbiedniejszych. Jest to znak, który chrześcijanie zawsze czynili z radością i z poczuciem odpowiedzialności, ponieważ żaden brat i siostra nie powinien odczuwać braku tego, co konieczne do życia. Zaświadczał o tym już święty Justyn, który w II wieku, opisując dla Cesarza Antoniusza Piusa niedzielną celebrację chrześcijan, pisał tak: „W dniu zaś, zwanym Dniem Słońca, odbywa się zebranie w jednym miejscu wszystkich razem, i z miast i ze wsi. Tedy czyta sięPamiętniki apostolskiealboPisma prorockie, póki czas pozwala. […] Wreszcie następuje rozdawanie i rozdzielenie wszystkim tego, co się stało Eucharystią, nieobecnym zaś rozsyła się ją przez diakonów. Ci którym się dobrze powodzi, i którzy dobrą mają wolę, dają co chcą, a wszystko, co się zbierze, składa się na ręce przełożonego. On zaś roztacza opiekę nad sierotami, wdowami, chorymi, albo z innej przyczyny cierpiącymi niedostatek, nad więźniami, obcymi gośćmi, jednym słowem śpieszy z pomocą wszystkim, co są w potrzebie” (Apologia Pierwsza, LXVII, 1-6).

4. Wracając do wspólnoty w Koryncie, po początkowym entuzjazmie zaangażowanie zaczęło się zmniejszać, a inicjatywa zaproponowana przez Apostoła utraciła rozmach. To właśnie pobudziło Pawła do napisania z wielką pasją, ożywiając na nowo zbiórkę «aby czynne podzielenie się tym, co macie, potwierdzało waszą chętną gotowość» (2 Kor8, 11).

Myślę w tej chwili o dyspozycyjności, którą w ostatnich latach okazały całe narody otwierając drzwi, by przyjąć miliony uchodźców wojennych na Bliskim Wschodzie, w Afryce Środkowej, a obecnie na Ukrainie. Rodziny otworzyły na oścież drzwi swoich domów innym rodzinom, a wspólnoty przyjęły ze szczodrobliwością wiele kobiet i dzieci, aby zaoferować należną im godność. Jednakowoż im bardziej przeciąga się konflikt, tym bardziej pogarszają się jego następstwa. Narody, które przyjmują uchodźców są coraz bardziej znużone, starając się, by pomoc była ciągła; rodziny i wspólnoty zaczynają odczuwać ciężar sytuacji, która wykracza już poza sytuację kryzysową. To jest właśnie moment, aby nie odpuścić i by odnowić początkową motywację. To, co rozpoczęliśmy, należy doprowadzić do końca z tą samą odpowiedzialnością..

5. Solidarność polega bowiem właśnie na tym: podzielić się tym, czego mamy niewiele, z tymi, którzy nic nie mają, tak aby nikt nie cierpiał. Im bardziej rośnie poczucie wspólnoty i komunii jako stylu życia, tym bardziej rozwija się solidarność. Oprócz tego trzeba również rozważyć, iż są kraje, w których w ostatnich dziesięcioleciach dokonał się znaczący wzrost dobrobytu, odczuwalny dla wielu rodzin, które to osiągnęły pewien bezpieczny poziom życia. Mówimy tu o pozytywnych owocach inicjatywy prywatnej oraz praw, które wsparły rozwój ekonomiczny łączący się z konkretnym bodźcem dla polityki rodzinnej powiązanej z odpowiedzialnością społeczną. Został dzięki temu osiągnięty taki poziom bezpieczeństwa i stabilności, którym można się teraz podzielić z tymi, którzy zostali zmuszeni do opuszczenia swoich domów i swojego kraju, aby się ratować i przeżyć. Jako członkowie społeczeństwa obywatelskiego pielęgnujmy odwołanie do poszanowania wartości wolności, odpowiedzialności, braterstwa i solidarności. Jako chrześcijanie, natomiast, odnajdujmy zawsze w miłości, w wierze i w nadziei fundament naszego życia i naszego działania.

6. Warto zauważyć, że Apostoł Paweł nie chciał zmusić chrześcijan narzucając im uczynek miłosierdzia. Pisze bowiem: «Nie mówię tego, aby wam wydawać rozkazy»(2 Kor8, 8) ale raczej, «aby wskazując na gorliwość innych, wypróbować waszą miłość» (tamże).U podstaw prośby Pawła z pewnością znajduje się konieczność konkretnej pomocy, jednak jego intencje wykraczają ponad nią. Zachęca do dokonania zbiórki, aby stała się ona znakiem miłości, tak jak zostało to poświadczone przez samego Jezusa. Szczodrość zatem w stosunku do ubogich znajduje swój głęboki fundament w decyzji Syna Bożego, który sam zechciał stać się ubogim.

Apostoł bowiem stwierdza bez obaw, że ten wybór Chrystusa, to jego „ogołocenie się”, jest „łaską”, co więcej, «łaską Pana naszego Jezusa Chrystusa» (2 Kor8, 9) i tylko przyjmując ją możemy dać konkretny i spójny wyraz naszej wiary. Nauczanie całego Nowego Testamentu w tym temacie jest jednolite i znajduje również swoje potwierdzenie w słowach Apostoła Jakuba: «wprowadzajcie zaś słowo w czyn, a nie bądźcie tylko słuchaczami oszukującymi samych siebie.Jeżeli bowiem ktoś przysłuchuje się tylko słowu, a nie wypełnia go, podobny jest do człowieka oglądającego w lustrze swe naturalne odbicie.Bo przyjrzał się sobie, odszedł i zaraz zapomniał, jakim był.Kto zaś pilnie rozważa doskonałe Prawo, Prawo wolności, i wytrwa w nim, ten nie jest słuchaczem skłonnym do zapominania, ale wykonawcą dzieła; wypełniając je, otrzyma błogosławieństwo» (Jk1, 22-25).

7. Wobec ubogich nie uprawia się retoryki, ale zakasuje się rękawy i realizuje się wiarę poprzez bezpośrednie zaangażowanie, które nie może być scedowane na innych. Czasami natomiast może występować pewna forma rozprzężenia, prowadząca do przyjęcia zachowań nieodpowiednich, takich jak obojętność wobec ubogich. Zdarza się więc, że niektórzy chrześcijanie, ze względu na zbyt mocne przywiązanie do pieniądza, ugrzęźli w złym używaniu dóbr oraz majątku. Są to sytuacje, które ukazują słabą wiarę, a także słabą i krótkowzroczną nadzieję.

Wiemy, że problemem nie jest pieniądz sam w sobie, ponieważ jest on częścią codziennego życia osób oraz relacji społecznych. Tym, nad czym powinniśmy się pochylić i przemyśleć, jest raczej wartość, jaką pieniądz posiada dla nas: nie może stać się absolutem, jakby był celem nadrzędnym. Przywiązanie tego rodzaju nie pozwala patrzeć z realizmem na życie codzienne oraz osłabia wzrok, uniemożliwiając dostrzeżenie potrzeb innych. Nic bardziej szkodliwego nie może przydarzyć się chrześcijaninowi oraz wspólnocie chrześcijańskiej, jak właśnie zaślepienie przez bożka bogactwa, co w rezultacie kończy się zniewoleniem przez wizję życia ulotnego i zbankrutowanego.

Nie chodzi więc o to, aby mieć wobec ubogich postawę świadczenia usług socjalnych, jak to często się dzieje; trzeba natomiast działać, aby nikomu nie zabrakło tego, co konieczne. To nie aktywizm ratuje, ale szczery i szczodry szacunek, który pozwala podejść do ubogiego, jak do brata, który wyciąga rękę, abym to ja wyszedł z letargu, w który wpadłem. Dlatego też «nikt nie może mówić, że stoi z dala od ubogich, ponieważ jego życiowe wybory wiążą się ze skupieniem uwagi na innych sprawach. Często spotykamy się z tym usprawiedliwieniem w środowiskach akademickich, przedsiębiorców lub profesjonalistów, a nawet w środowiskach kościelnych. […] nikt nie może się czuć zwolniony z troski o ubogich i o sprawiedliwość społeczną» (Evangelii gaudium, 201). Pilnie należy znaleźć nowe drogi, które mogą poprowadzić ponad układy tej polityki społecznej, rozumianej „jako politykidlaubogich, ale nigdyzbiednymi i nigdyzubogimi, a tym bardziej nie będącej częścią projektu, który może doprowadzić ludzi do siebie” (Fratelli tutti, 169). Należy natomiast dążyć do podjęcia postawy Apostoła, który pisał do Koryntian: „Nie o to bowiem idzie, żeby innym sprawiać ulgę, a sobie utrapienie, lecz żeby była równość” (2 Kor8, 13).

8. Jest pewien paradoks, który dziś, podobnie jak i w przeszłości, trudno jest zaakceptować, ponieważ koliduje on z logiką ludzką: istnieje ubóstwo, które ubogaca. Paweł, przywołując „łaskę” Jezusa Chrystusa, pragnie potwierdzić to, co On sam przepowiadał, a mianowicie, że prawdziwe bogactwo nie polega na gromadzeniu «sobie skarbów na ziemi, gdzie mól i rdza niszczą i gdzie złodzieje włamują się, i kradną» (Mt6, 19), ale raczej na wzajemnej miłości, która pozwala nam dźwigać ciężary jedni drugich, tak aby nikt nie czuł się opuszczony czy wykluczony. Doświadczenie słabości oraz ograniczenia, które przeżyliśmy w minionych latach, a teraz tragedia wojny ze skutkami globalnymi, powinny nauczyć nas czegoś decydującego: nie jesteśmy na świecie po to, aby przeżyć, ale po to, by wszyscy mogli żyć godnie i szczęśliwie. Orędzie Jezusa pokazuje nam drogę i pozwala nam odkryć, że istnieje ubóstwo, które upokarza i zabija oraz, że istnieje inne ubóstwo, Jego ubóstwo, która wyzwala i czyni beztroskimi.

Ubóstwo, które zabija, to nędza zrodzona z niesprawiedliwości, wyzysku, przemocy oraz niesprawiedliwego podziału bogactw i zasobów. To ubóstwo rozpaczliwe, pozbawione przyszłości, ponieważ narzucone przez kulturę odrzucenia, która nie daje perspektyw ani dróg wyjścia. Jest to nędza, która zmuszając do stanu skrajnego niedostatku, oddziałuje również na wymiar duchowy, który, nawet jeśli często jest zaniedbany, to przecież nie z tego powodu nie istnieje czy się nie liczy. Kiedy jedynym prawem staje się rachunek zysku na koniec dnia, to wtedy nie ma już hamulców, aby zastosować logikę wyzysku osób: inni ludzie stają się jedynie środkami. Nie istnieje już wtedy sprawiedliwa zapłata, czy słuszne godziny pracy, ale tworzą się nowe formy niewolnictwa, których doznają osoby, które nie mają innej drogi wyjścia i muszą zaakceptować tę trującą niesprawiedliwość, aby uciułać minimum na przeżycie.

Natomiast ubóstwo, które wyzwala jest tym, które jawi się przed nami jako odpowiedzialny wybór, pozwalający zrzucić ciążący balast i dążyć do tego, co istotne. Można bowiem łatwo dostrzec owo poczucie niezadowolenia, którego wielu doświadcza, ponieważ odczuwają brak czegoś ważnego i szukają tego, błądząc bez celu. Pragnąc znalezienia czegoś, co by mogło ich zaspokoić, potrzebują ukierunkowania ku maluczkim, słabym, ubogim, żeby mogli wreszcie zrozumieć to, czego naprawdę potrzebują. Spotkanie ubogich pozwala położyć kres wielu niepokojom i bezpodstawnym lękom, aby dotrzeć do tego, co naprawdę liczy się w życiu i czego nikt nie może nam ukraść: miłości prawdziwej i bezinteresownej. Ubodzy są bowiem, zanim staną się przedmiotem naszej jałmużny, są podmiotem, który pomaga nam uwolnić się z więzów niepokoju i powierzchowności.

Ojciec i Doktor Kościoła, święty Jan Chryzostom, w którego listach spotykamy mocne zwroty przeciwko nieodpowiednim postawom chrześcijan w stosunku do najuboższych, tak pisał: „Jeśli nie jesteś przekonany, że ubóstwo może przynieść bogactwo to pomyśli o swoim Panu i przestań powątpiewać. Gdyby Pan nie stał się biedny, nie mógłbyś stać się bogaty. To właśnie jest cudowne, że ubóstwo przyniosło bogactwo. Przez bogactwo Apostoł rozumie pobożność, oczyszczenie z grzechów, sprawiedliwość i świętość, i wszystkie owe niezliczone dobra, które Pan nam podarował i jeszcze podaruje. I to wszystko wyrosło dla nas z ubóstwa” (Homilie do Drugiego Listu św. Pawła do Koryntian,przekład z języka greckiego, ks. Antoni Paciorek, Częstochowa, 2019, s. 290).

9. Tekst Apostoła Pawła, do którego odsyła nasVI Światowy Dzień Ubogich, ukazuje wielki paradoks życia wiary: ubóstwo Chrystusa ubogaca nas. Jeśli Paweł mógł dać nam to nauczanie – a Kościół rozpowszechnić je i zaświadczyć o nim na przestrzeni wieków – to stało się tak, ponieważ Bóg w swoim synu Jezusie, wybrał i przemierzył tę drogę. Jeśli On dla nas stał się ubogim, to nasze życie jest oświecone i przemienione, i nabywa wartość, której świat nie zna i nie może dać. Bogactwem Jezusa jest Jego miłość, która nie zamyka się na nikogo i wszystkim wychodzi na spotkanie, a szczególnie tym, którzy są usunięci na margines i pozbawieni tego, co konieczne. Z miłości ogołocił samego siebie i przyjął postać ludzką. Z miłości stał się sługą posłusznym aż do śmierci – i to śmierci krzyżowej (por.Fil2, 6-8). Z miłości stał się „chlebem życia” (por.J6, 35), aby nikomu nie zabrakło tego, co konieczne oraz aby każdy mógł znaleźć pokarm na życie wieczne. Również dzisiaj, podobnie jak to było wówczas dla uczniów Pana, trudne wydaje się, zaakceptowanie tego nauczania (por.J6,60); jednak słowo Jezusa jest wyraziste. Jeśli chcemy, aby życie zwyciężyło nad śmiercią, a godność była wybawiona od niesprawiedliwości, to trzeba iść Jego drogą: naśladować ubóstwo Jezusa Chrystusa, dzieląc życie ze względu na miłość, dzieląc chleb swego życia z braćmi i siostrami, poczynając od ostatnich, od tych którym brakuje tego co konieczne, żeby nastała równość, ażeby ubodzy zostali wyzwoleni z nędzy, a bogaci z próżności, w obydwu bowiem nie ma nadziei.

10. Dnia 15 maja br. kanonizowałem brataKarola de Foucauld,człowieka, który urodził się bogatym, ale wyrzekł się wszystkiego, aby pójść za Jezusem i stać się wraz z Nim ubogim oraz bratem wszystkich. Jego życie pustelnicze, najpierw w Nazarecie, a następnie na pustyni Saharyjskiej, utkane z milczenia, modlitwy oraz dzielenia się jest przykładnym świadectwem ubóstwa chrześcijańskiego. Dobrze nam uczyni przemyślenie jego słów: «Nie gardźmy ubogimi, małymi, robotnikami; nie tylko dlatego, iż są oni naszymi braćmi w Bogu, ale również dlatego, że w sposób najdoskonalszy naśladują Jezusa w Jego życiu zewnętrznym. Oni ukazują nam doskonale Jezusa, Robotnika z Nazaretu. Są pierworodnymi wśród wybranych, pierwszymi wezwanymi do żłóbka Zbawiciela. Byli codziennymi towarzyszami Jezusa: od Jego urodzin, aż do śmierci [...]. Czcijmy ich, czcijmy w nich obraz Jezusa oraz jego Świętych Rodziców [...]. Przyjmujmy na siebie [postać], którą on sam wybrał dla siebie [...]. Nie przestawajmy nigdy być we wszystkim ubogimi, braćmi ubogich, towarzyszami ubogich, jesteśmy najuboższymi z ubogich jak Jezus i tak jak On kochamy ubogich i otaczamy się nimi» (Komentarze do Ewangelii według świętego Łukasza, Medytacja 263) [1]. Dla brata Karola były to nie tylko słowa, ale konkretny styl życia, który go doprowadził do dzielenia z Chrystusem daru samego życia.

Niech ten VI Światowy Dzień Ubogich stanie się okazją łaski, aby uczynić rachunek sumienia osobisty oraz wspólnotowy i zapytać się, czy ubóstwo Jezusa Chrystusa jest naszym wiernym towarzyszem życia.

Rzym, u św. Jana na Lateranie, 13 czerwca 2022, we Wspomnienie św. Antoniego z Padwy.

FRANCISZEK

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[1] Meditazione n. 263 su Lc 2,8-20: C. DE FOUCAULD, La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

[00938-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في مناسبة اليوم العالمي السادس للفقراء

13 تشرين الثاني/نوفمبر 2022

يسوع المسيح افتَقَرَ لأَجْلِكُم (راجع 2 قورنتس 8، 9)

1. "يسوع المسيح […] افتَقَرَ لأَجْلِكُم" (راجع 2 قورنتس 8، 9). بهذه الكلمات خاطب الرسول بولس المسيحيّين الأوائل في قورنتس، ليضع أساسًا لالتزامهم بالتضامن مع الإخوة المحتاجين. اليوم العالمي للفقراء يعود مرة أخرى هذه السنة وكأنّه يوم يستفزنا ويستثيرنا ليساعدنا على التفكير في نمط حياتنا وأشكال الفقر العديدة في الوقت الحاضر.

قبل بضعة أشهر، كان العالم يخرج من عاصفة الجائحة، وظهرت عليه علامات التعافي الاقتصادي الذي كان من المفروض أن يعيد الانتعاش إلى ملايين الفقراء الذين فقدوا عملهم. وانفتحت نافذة من الهدوء والصّفاء، دون نسيان ألم فقدان الأحباء، وعدَت أخيرًا بالقدرة على العودة إلى العلاقات الشخصيّة المباشرة، والالتقاء مرة أخرى دون قيود أو تقييدات. وهنا ظهرت كارثة جديدة في الأفق، مقدَّرٌ لها أن تفرض مشهدًا أخر على العالم.

جاءت الحرب في أوكرانيا لتضاف إلى الحروب الإقليميّة التي حصدت الموت والدمار في السنوات الأخيرة. لكن الصورة هنا أكثر تعقيدًا بسبب التدّخل المباشر لـ ”قوة عظمى“ تنوي فرض إرادتها ضد مبدأ حق تقرير مصير الشعوب. وتكرّرت مشاهد ذكريات مأساويّة، ومرة أخرى يعلو تهديد بعض الأقوياء المتبادل صوت الإنسانيّة الداعية إلى السّلام.

2. كم من الفقراء تخلِّفُ حماقة الحرب! أينما ننظر، يمكننا أن نرى كيف يؤثر العنف على الأشخاص العزّل والأضعفين. إجلاء آلاف الأشخاص عن بلادهم، وخاصة الأطفال، لاستئصالهم وفرض هوية أخرى عليهم. كلمات صاحب المزامير أمام دمار أورشليم وسبي الشباب العبرانيين تعود أمامنا وتصير واقعيّة: "على أَنهارِ بابِلَ هُناكَ جَلَسْنا فبَكَينا عِندَما صِهْيونَ تَذَكَّرْنا على الصَّفْصافِ في وَسَطِها عَلَّقْنا كِنَّاراتِنا. هُناكَ سأَلَنا الَّذينَ أَسَرونا نَشيدًا والَّذينَ عَذَّبونا طَرَبًا: [...] كَيفَ نُنشِدُ نشيدَ الرَّبّ ونَحنُ في أَرضِ الغُربَة؟" (مزمور 137، 1-4).

يضطر ملايين النساء والأطفال وكبار السّنّ إلى تحدي خطر القنابل لإنقاذ أنفسهم بالبحث عن ملاذ كلاجئين في البلدان المجاورة. ومن يبقون في مناطق النزاع يعيشون بعد ذلك كلّ يوم في خوف ونقص الطعام والماء والرعايّة الطبيّة وخاصةً المشاعر والمودّة. في هذه المواقف الصعبة، يتوقّف العقل، والذين يعانون من العواقب هم الأشخاص العاديّون الكثيرون، الذين ينضمون إلى عدد كبير من الفقراء. كيف نقدم جوابًا مناسبًا يجلب الانتعاش والسّلام للناس العديدين، الذين تُركوا رَهنَ ظروف غير ثابتة وغير مستقرة؟

3. في هذا السياق المليء بالتناقضات، يأتي اليوم العالمي السادس للفقراء، مع الدعوة - المأخوذة من الرسول بولس - لإبقاء نظرنا مثبّتًا في يسوع، الذي "افتَقَرَ لأَجْلِكُم وهو الغَنِيُّ لِتَغتَنوا بِفَقْرِه" (2 قورنتس 8، 9). التقى بولس خلال زيارته إلى أورشليم، مع بطرس ويعقوب ويوحنا الذين طلبوا منه ألّا ينسى الفقراء. في الواقع، كانت جماعة أورشليم في صعوبة شديدة بسبب المجاعة التي عصفت بالبلاد. وكان الرسول مهتّمًا على الفور بتنظيم جمع تبرعات كبيرة لصالح هؤلاء الفقراء. كان مؤمنو قورنتس سريعي التأثر ومتعاونين. بتوجيه من بولس، كانوا يجمعون كلّ يوم في أولّ أيام الأسبوع ما تمكّنوا من توفيره، وكانوا جميعًا كرماء جدًّا.

كما لو أنّ الوقت لم يمرّ منذ تلك اللحظة، فإنّنا اليوم أيضًا، كلّ يوم أحد، خلال الاحتفال بالإفخارستيا المقدّسة، نقوم بنفس العمل، ونشارك بتقدمتنا حتى تتمكّن الجماعة من تلبية احتياجات أشدّ الناس فقرًا. إنّها علامة على أنّ المسيحيّين قد أتمّوا رسالتهم دائمًا بفرح وإحساس بالمسؤوليّة، حتى لا ينقص ما هو ضروري لأي أخ أو أخت. وقد شهد على ذلك القدّيس يوستينوس، الذي وصف للإمبراطور أنطونينوس بيوس، في القرن الثاني، احتفال المسيحيّين يوم الأحد. قال: "في اليوم الذي يُدعى ”يوم الشمس“، نجتمع جميعًا معًا، السكان من المدن أو من الريف ونقرأ مذكرات الرسل أو كتابات الأنبياء بقدر ما يسمح الوقت بذلك. […] يتمّ بعد ذلك تقسيم وتوزيع الأشياء المكرّسة على كلّ واحد، ويتمّ إرسالها مع الشمامسة إلى الغائبين. الأثرياء وهؤلاء الذين يرغبون في ذلك يعطون بمجانيّة، كلّ واحد ما يريد، وما يتمّ جمعه يودع لدى الكاهن. وهو يساعد الأيتام والأرامل والمعوزين بسبب المرض أو بسبب آخر، والسجناء والغرباء القريبين منا: باختصار، يتم الاعتناء بكلّ محتاج" (الدفاع الأوّل، 67، 1-6 / Prima Apologia, LXVII, 1-6).

4. بالعودة إلى جماعة قورنتس، بعد الحماس الأوّل بدأ التزامهم يقلّ وفقدت المبادرة المقترحة من قبل الرسول اندفاعها. هذا هو السبب الذي دفع بولس إلى أن يكتب بحماسة، ليعيد الاهتمام بجمع التبرعات، "لِيَكونَ الإِتْمامُ على قَدْرِ طاقَتِكم ووَفقًا لِشِدَّةِ الرَّغبَة" (2 قورنتس 8، 11).

أفكّر في هذه اللحظة في الاستعداد الذي دفع، في السنوات الأخيرة، شعوبًا بأكملها لفتح الأبواب لاستقبال ملايين اللاجئين من الحروب في الشرق الأوسط، ووسط إفريقيا، والآن في أوكرانيا. فتحت العائلات بيوتها وأعطت مكانًا لعائلات أخرى، وقد استقبلت الجماعات بسخاء العديد من النساء والأطفال لمنحهم الكرامة الواجبة. ومع ذلك، فكلّما طال أمد الصراع، اشتدّت عواقبه. فالشعوب التي تستقبل، تجد صعوبة متزايدة في الاستمرار في تقديم المساعدة، إذ بدأت العائلات والجماعات تشعر بثقل الوضع الذي يتجاوز حالة الطوارئ. هذا هو الوقت المناسب لعدم الاستسلام ولتجديد الحماس الأوّل. ما بدأناه يحتاج إلى أن يتمّ بنفس المسؤوليّة.

5. في الواقع، هذا هو التضامن: أن نتقاسم القليل الذي لدينا مع الذين ليس لديهم شيء، حتى لا يتألّم أحد. كلّما زاد الشعور الجماعي والشركة كأسلوب حياة، يتطوّر التضامن. من ناحية أخرى، يجب أن يُؤخذ في الاعتبار أنّ هناك بلدانًا شهدت، في العقود الأخيرة، نموًا كبيرًا في رفاهية العائلات العديدة، التي وصلت إلى حالة حياة آمنة. إنّها ثمرة إيجابيّة للمبادرة الخاصة والقوانين التي دعمت النمو الاقتصادي إلى جانب حافز عملي لسياسات العائلات والمسؤوليّة الاجتماعيّة. يمكن الآن تقاسم تراث الأمن والاستقرار الذي تم تحقيقه مع الذين أُجبروا على ترك بيوتهم وبلدهم لإنقاذ أنفسهم والبقاء على قيد الحياة. بكوننا أعضاء في المجتمع المدني، لنحافظ على استمرار الدعوة إلى قيَم الحرّيّة والمسؤوليّة والأخوّة والتضامن. وبكوننا مسيحيّين، لنجد دائمًا أساس حياتنا وعملنا في المحبّة والإيمان والرجاء.

6. من المثير للاهتمام ملاحظة أنّ الرسول لم يُرِدْ أن يلزم المسيحيّين ويجبرهم على عمل الخير. في الواقع، كتب: "لا أَقولُ ذلِك على سَبيلِ الأَمْر" (2 قورنتس 8، 8)، بل إنّه نوى "اختبار صدق" محبّتهم في الاهتمام بالفقراء والعناية بهم (راجع المرجع نفسه). بناءً على طلب بولس، هناك بالتأكيد حاجة إلى مساعدة عمليّة، ولكن نيته ذهبت إلى أبعد من ذلك. فهو يدعونا إلى أن نقوم بجمع التبرعات حتى تكون علامة على المحبّة كما شهد عليها يسوع نفسه. باختصار، الكرم تجاه الفقراء يجد أقوى دافع له في اختيار ابن الله الذي افتقر هو بنفسه.

في الواقع، لا يخشى الرسول أن يؤكد على أنّ اختيار المسيح هذا، أي "تجرّده"، هو نعمة، بل، هو "نعمة رَبِّنا يسوعَ المسيح" (2 قورنتس 8، 9)، ونحن بقبولنا هذه النعمة فقط يمكننا أن نعبّر عمليًّا وبصورة منسجمة عن إيماننا. إنّ تعليم العهد الجديد بأكمله له وَحدته في هذا الموضوع، ويظهر ذلك أيضًا في كلام الرسول يعقوب: "كونوا مِمَّن يَعمَلونَ بهذه الكَلِمَة، لا مِمَّن يَكتَفونَ بِسَماعِها فيَخدَعونَ أَنفُسَهم. فمَن يَسمعَ الكَلِمَةَ ولا يَعمَلْ بِها يُشبِهْ رَجُلاً يَنظُرُ في المِرآةِ صورَةَ وَجْهِه. فما إِن نظَرَ إِلى نَفْسِه ومَضى حتَّى نَسِيَ كَيفَ كان. وأَمَّا الَّذي أَكَبَّ على الشَّريعَةِ الكامِلَة، شَريعَةِ الحُرِّيَّة، ولَزِمَها، لا شَأْنَ مَن يَسمعُ ثُمَّ يَنْسى، بل شأنَ مَن يَعمَل، فذاكَ الَّذي سيَكونُ سَعيدًا في عَمَلِه" (يعقوب 1، 22-25).

7. لا كلام ولا بلاغة أمام الفقراء، بل علينا أن نشمّر عن سواعدنا ونعيش الإيمان من خلال التدّخل المباشر، وهذا لا يمكن أن نفوّض أيّ شخص آخر للقيام به بدلنا. ومع ذلك، في بعض الأحيان، يمكن أن يطرأ علينا شكل من أشكال الاسترخاء، يؤدي إلى سلوكيات غير منطقيّة مع إيماننا، مثل اللامبالاة تجاه الفقراء. ويصادف أيضًا أنّ يبقى بعض المسيحّيين، بسبب التعلّق المفرط بالمال، مُوحِلِين في إساءة استخدام الأموال والميراث. هذه مواقف تبيّن الإيمان الضعيف والرجاء الواهم وقصير النظر.

نعلم أنّ المشكلة ليست المال بحد ذاته، لأنّه جزء من حياة الناس اليوميّة وعلاقاتهم الاجتماعيّة. بل ما نحتاج إلى التفكير فيه هو القيمة التي نجعلها للمال: لا يمكن أن يصبح المال شيئًا مطلقًا، كما لو كان الغاية الرئيسيّة. مِثلُ هذا التعلّق يمنعك من النظر بشكل واقعي إلى الحياة اليوميّة ويشوّش نظرك، ويمنعك من رؤية احتياجات الآخرين. لا شيء أكثر ضررًا يمكن أن يحدث للمسيحي وللجماعة من أن تنبهر أمام صنم الغنى، الذي ينتهي به الأمر إلى أن يقيِّد الإنسان ويثبِّتها في رؤية حياة زائلة وفاشلة.

لذلك، ليس الأمر هو أن نتخذ موقف الإعالة ونخلق الاتكاليّة لدى الفقراء، كما يحدث غالبًا، بل من الضروري أن نلتزم حتى لا يوجد أحد ينقصه ما هو ضروري. ليست النشاطات هي التي تخلِّص، بل الاهتمام الصادق والسخي هو الذي يسمح لنا بأن نقترب من شخص فقير ونرى فيه أخًا يمدّ يده حتى أستفيق أنا من السبات الذي وقعت فيه. لذلك، "لا أحد يستطيع القول إنّه يبقى بعيدًا عن الفقراء لأنّه اختار اهتمامات أخرى. هذا عذر متكرّر في الأوساط الأكاديميّة والمؤسساتيّة والمهنيّة وحتى الكنسية. [...] إلّا أنّه لا لأحد يستطيع أن يعتبر نفسه معذورًا من الاهتمام بالفقراء والعدالة الاجتماعيّة" (الإرشاد الرسولي، فرح الإنجيل، 201). من الملِحّ إيجاد طرق جديدة يمكن أن تتجاوز فرض تلك السياسات الاجتماعيّة "التي تُعتبَر سياسة من أجل الفقراء لكنّها ليست سياسة مع الفقراء، ولا هي للفقراء، ولا يمكن إدراجها في مشروع يعيد توحيد الشعوب" (رسالة بابوية عامة، كلّنا إخوة - Fratelli tutti، 169). بل يجب أن نسعى لتبّني موقف الرسول الذي استطاع أن يكتب إلى أهل قورنتس: "فلَيسَ المُرادُ أَن يَكونَ الآخَرونَ في يُسْرٍ وتَكونوا أَنتُم في عُسْر، بَلِ المُرادُ هو المُساواة" (2 قورنتس 8، 13).

8. هناك مفارقة يصعب قبولها اليوم كما في الماضي، لأنّها تتعارض مع المنطق البشري: وهي الفقر الذي يجعلك غنيًا. استعاد بولس الرسول ذكر ”جُود“ يسوع المسيح، ليؤكد ما بشّر به يسوع نفسه، أي أنّ الغنى الحقيقي ليس في تجميع "كُنوز في الأَرض، حَيثُ يُفسِدُ السُّوسُ والصَّدَأ، ويَنقُبُ السَّارِقونَ فيَسرِقون" (متى 6، 19)، بل في المحبّة المتبادلة التي تجعلنا نحمل أعباء بعضنا بعضًا حتى لا يبقى أحد متروكًا أو مُبعَدًا. خبرة الضعف والقيود التي عشناها في السنوات الأخيرة، والآن مأساة الحرب ذات التداعيات العالميّة، يجب أن تُعلّمنا شيئًا حاسمًا: لسنا في العالم من أجل البقاء، بل حتى يُسمح للجميع بحياة كريمة وسعيدة. رسالة يسوع تبيّن لنا الطريق وتجعلنا نكتشف أنّ هناك فقرًا يُذِل ويقتل، وهناك فقر آخر، هو فقره، يحرّرنا ويجعلنا مطمئنين.

الفقر الذي يقتل هو الشقاء، الذي يولِّدُه الظلم والاستغلال والعنف وتوزيع الموارد الظالم. إنّه فقر اليأس، بلا مستقبل، لأنّه مفروض من قبل ثقافة الإقصاء التي لا تفتح الآفاق ولا تقدّم السبل للخروج. هو الشقاء الذي يفرض على المرء حالة من الفقر المدقع، ويؤثّر أيضًا على البعد الروحي، الذي ولو تمّ إهماله في كثير من الأحيان، فهذا لا يعني أنّه لا وجود له أو لا يُحسب له حساب. عندما يصبح القانون الوحيد هو حساب المكاسب في نهاية اليوم، لا يبقى أي عائق أمام منطق استغلال الناس: فالآخرون ليسوا سوى وسائل. ولا تبقى أجور عادلة، ولا ساعات عمل عادلة، وتُخلَق أشكال جديدة من العبوديّة، يعاني منها الأشخاص الذين ليس لديهم بديل ويجب عليهم أن يقبلوا هذا الظلم المليء بالسموم من أجل أن يحصلوا على الحد الأدنى من الرزق.

الفقر الذي يحرّر هو، عكس ذلك، هو الذي يقف أمامنا كخيار مسؤول للتخفيف من ثقل الثانويّات، والتركيز على الأساسي. في الواقع، يمكن أن نجد بسهولة هذا الشعور بعدم الرضا الذي يشعر به الكثيرون، لأنّهم يشعرون أنّهم يفقدون شيئًا مهمًا، ويذهبون في البحث عنه مثل تائه لا هدف له. إن رغبوا في العثور على ما يرضيهم، يجب أن يُوجَّهوا إلى الصغار والضعفاء والفقراء حتى يفهموا أخيرًا ما يحتاجون إليه حقًا. لقاء الفقراء يسمح بأن نضع حدًّا لقلق كثير ومخاوف لا سبب لها، للوصول إلى ما يهمّ حقًا في الحياة ولا يتمكّن أحد أن يسرقه منا، وهو: المحبّة الحقيقيّة والمجانيّة. في الواقع، الفقراء، قبل أن يكونوا هدف صدقتنا وحسناتنا، هم أناس يساعدوننا على أن نتحرّر من قيود القلق والسطحيّة.

القديس يوحنا الذهبي الفم، أب ومعلّم في الكنيسة، الذي نجد في كتاباته تنديدات شديدة لسلوك المسيحيين تجاه أشدّ الناس فقرًا، كتب: "إن كنتَ لا تصدّق أنّ الفقر يجعلك غنيًا، فكّر في ربك وتوقّف عن الشّكّ في هذا. لو لم يكن فقيرًا لما كنت غنيًا. هذا أمر غير عادي، أنّ يأتي الغنى الوافر من الفقر. قصد بولس هنا بـ ”الغنى” معرفة التقوى، والتطهير من الخطايا، والبرّ والصّلاح، والتقدّيس، وآلاف الأشياء الحسنة الأخرى التي أُعطيت لنا الآن وإلى الأبد. كل هذا بفضل الفقر" (عظات في الرسالة الثانية إلى أهل قورنتس، 17، 1).

9. الآيات المقتبسة من الرسول والمخصّصة لليوم العالمي السادس للفقراء تقدّم التناقض الكبير في حياة الإيمان: فقر المسيح يجعلنا أغنياء. إن كان بولس قادرًا على أن يعلِّمَنا هذا التّعليم - والكنيسة نشرته وشهدت له عبر القرون - فذلك لأنّ الله، في ابنه يسوع، قد اختار هذا الطريق واتبعه. وإن افتقر لأجلنا، فإنّ حياتنا نفسها ستصبح منيرة وتتبدّل، وستكتسب قيمة لا يعرفها العالم ولا يستطيع أن يعطيها. غنى المسيح هو محبّته التي لا تنغلق على أحد، وتذهب للقاء الجميع، وخاصة المهمّشين والمحرومين ممّا هو ضروري. من أجل المحبّة تجرّد من ذاته واتخذ حالة الإنسان. من أجل المحبّة أصبح خادمًا مطيعًا حتى الموت والموت على الصّليب (راجع فيلبي 2، 6-8). من أجل المحبّة، صار "خبز الحياة" (يوحنا 6، 35)، حتى لا ينقص أحد مما هو ضروري، ويتمكّن من أن يجد الطعام الذي يغذي للحياة الأبديّة. حتى في أيامنا هذه، يبدو من الصعب، كما كان عليه الحال في ذلك الوقت لتلاميذ الرّبّ يسوع، قبول هذا التّعليم (راجع يوحنا 6، 60)، لكن كلمة يسوع واضحة. إذا أردنا أن تنتصر الحياة على الموت وأن تتحرّر الكرامة من الظلم، فإنّ الطريق هو في اتباعه: هو أن نتبع فقر يسوع المسيح ونشارك الحياة من أجل المحبّة، ونكسر خبز حياتنا مع الإخوة والأخوات، بدءًا من الأخرين، من الذين يفتقرون إلى الضروري، حتى يتمّ خلق المساواة، ويتمّ تحرير الفقراء من البؤس، والأغنياء من الغرور والباطل، وكلاهما بلا رجاء.

10. في 15 أيار/مايو الماضي، أعلّنت قداسة الأخ شارل دي فوكو، الإنسان الذي ولد غنيًا وتخلّى عن كلّ شيء ليتبع يسوع ويصبح معه فقيرًا وأخًا للجميع. حياته النسكيّة، أوّلًا في الناصرة ثم في الصحراء الكبرى، كانت ممتلئة بالصّمت والصّلاة والمشاركة، وهي شهادة نموذجيّة على الفقر المسيحي. من المفيد لنا أن نتأمّل في كلامه هذا: "لا نحتقر الفقراء والصغار والعمال. إنّهم ليسوا إخوتنا في الله فحسب، بل هم أيضًا من يقتدُون بيسوع تمامًا في حياته الخارجيّة. إنّهم يمثلّون يسوع على نحو كامل، يسوع العامل، من الناصرة. هم البكر من بين المختارين، وأوّل من دُعوا إلى مهد المخلّص. كانوا رفقاء يسوع العاديين، من ولادته حتى موته [...]. لنكرّمهم، ولنكرّم فيهم صور يسوع ووالدَيه القديسَين [...]. ولنأخذ لأنفسنا [الحالة] التي أخذها لنفسه […]. لا نتوقّف أبدًا عن أن نكون فقراء في كلّ شيء، عن أن نكون إخوة الفقراء، ورفقاء الفقراء، وأن نكون أفقر الفقراء مثل يسوع، ومثله لنحبّ الفقراء ولْنُحِط أنفسنا بهم" (تعليق على إنجيل لوقا، تأمّل 263)[1]. بالنسبة للأخ شارل لم يكن هذا مجرّد كلام، بل كان هذا أسلوب حياته العملي، الذي جعله يتقاسَم مع يسوع عطيّة الحياة نفسها.

هذا اليوم العالمي السادس للفقراء ليكن لنا نعمة ومناسبة لفحص ضميرنا أفرادًا وجماعات، ولنطرح السؤال على أنفسنا: هل فقر يسوع المسيح هو رفيق حياتنا الأمين؟

أُعطيَ في روما، في بازيليكا القدّيس يوحنا في اللاتران، يوم 13 حزيران/يونيو 2022، في تذكار القدّيس أنطونيوس البدواني.

 

فرنسيس

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[1] تأمّل رقم 263 في إنجيل لوقا 2، 8-20؛ شارل دي فوكو، صلاح الله. تأمّل في الأناجيل المقدسة (1)، مونروج 1996، 214-216.

Meditazione n. 263 su Lc 2,8-20: C. DE FOUCAULD, La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

 

[00938-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0456-XX.02]