Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Cappella Papale per la Canonizzazione di 10 Beati, 15.05.2022


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10.00 di oggi, V Domenica di Pasqua, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica e il Rito della Canonizzazione dei Beati: Titus Brandsma (1881-1942), Presbitero professo dell’Ordine Carmelitano, martire; Lazzaro detto Devasahayam (1712-1752), laico, martire; César de Bus (1544-1607), presbitero, Fondatore della Congregazione dei Padri della Dottrina Cristiana (Dottrinari); Luigi Maria Palazzolo (1827-1886), Presbitero, Fondatore dell’Istituto delle Suore delle Poverelle – Istituto Palazzolo; Giustino Maria Russolillo (1891-1955), Presbitero, Fondatore della Società delle Divine Vocazioni e della Congregazione delle Suore delle Divine Vocazioni; Charles de Foucauld (1858-1916), Presbitero; Marie Rivier (1768-1838), vergine, Fondatrice della Congregazione delle Suore della Presentazione di Maria; Maria Francesca di Gesù Rubatto (1844-1904), vergine, Fondatrice delle Suore Terziarie Cappuccine di Loano; Maria di Gesù Santocanale (1852-1923), vergine, Fondatrice della Congregazione delle Suore Cappuccine dell’Immacolata di Lourdes; Maria Domenica Mantovani (1862-1934), vergine, Cofondatrice e prima Superiora Generale dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Abbiamo ascoltato alcune parole che Gesù consegna ai suoi prima di passare da questo mondo al Padre, parole che dicono che cosa significa essere cristiani: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questo è il testamento che Cristo ci ha lasciato, il criterio fondamentale per discernere se siamo davvero suoi discepoli oppure no: il comandamento dell’amore. Fermiamoci sui due elementi essenziali di questo comandamento: l’amore di Gesù per noi – come io ho amato voi – e l’amore che Lui ci chiede di vivere – così amatevi gli uni gli altri.

Anzitutto come io ho amato voi. Come ci ha amato Gesù? Fino alla fine, fino al dono totale di sé. Colpisce vedere che pronuncia queste parole in una notte tenebrosa, mentre il clima che si respira nel cenacolo è carico di emozione e preoccupazione: emozione perché il Maestro sta per dare l’addio ai suoi discepoli, preoccupazione perché annuncia che proprio uno di loro lo tradirà. Possiamo immaginare quale dolore Gesù portasse nell’animo, quale oscurità si addensava sul cuore degli apostoli, e quale amarezza vedendo Giuda che, dopo aver ricevuto il boccone intinto dal Maestro per lui, usciva dalla stanza per inoltrarsi nella notte del tradimento. E, proprio nell’ora del tradimento, Gesù conferma l’amore per i suoi. Perché nelle tenebre e nelle tempeste della vita questo è l’essenziale: Dio ci ama.

Fratelli, sorelle, che questo annuncio sia centrale nella professione e nelle espressioni della nostra fede: «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). Non dimentichiamolo mai. Al centro non ci sono la nostra bravura, e i nostri meriti, ma l’amore incondizionato e gratuito di Dio, che non abbiamo meritato. All’inizio del nostro essere cristiani non ci sono le dottrine e le opere, ma lo stupore di scoprirsi amati, prima di ogni nostra risposta. Mentre il mondo vuole spesso convincerci che abbiamo valore solo se produciamo dei risultati, il Vangelo ci ricorda la verità della vita: siamo amati. E questo è il nostro valore: siamo amati. Così ha scritto un maestro spirituale del nostro tempo: «prima ancora che qualsiasi essere umano ci vedesse, siamo stati visti dagli amorevoli occhi di Dio. Prima ancora che qualcuno ci sentisse piangere o ridere, siamo stati ascoltati dal nostro Dio che è tutto orecchie per noi. Prima ancora che qualcuno in questo mondo ci parlasse, la voce dell’amore eterno già ci parlava» (H. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 1997, 50). Lui ci ha amato per primo, Lui ci ha aspettato. Lui ci ama, Lui continua ad amarci. E questa è la nostra identità: amati da Dio. Questa è la nostra forza: amati da Dio.

Questa verità ci chiede una conversione sull’idea che spesso abbiamo di santità. A volte, insistendo troppo sul nostro sforzo di compiere opere buone, abbiamo generato un ideale di santità troppo fondato su di noi, sull’eroismo personale, sulla capacità di rinuncia, sul sacrificarsi per conquistare un premio. È una visione a volte troppo pelagiana della vita, della santità. Così abbiamo fatto della santità una meta impervia, l’abbiamo separata dalla vita di tutti i giorni invece che cercarla e abbracciarla nella quotidianità, nella polvere della strada, nei travagli della vita concreta e, come diceva Teresa d’Avila alle consorelle, “tra le pentole della cucina”. Essere discepoli di Gesù e camminare sulla via della santità è anzitutto lasciarsi trasfigurare dalla potenza dell’amore di Dio. Non dimentichiamo il primato di Dio sull’io, dello Spirito sulla carne, della grazia sulle opere. A volte noi diamo più peso, più importanza all’io, alla carne e alle opere. No: il primato di Dio sull’io, il primato dello Spirito sulla carne, il primato della grazia sulle opere.

L’amore che riceviamo dal Signore è la forza che trasforma la nostra vita: ci dilata il cuore e ci predispone ad amare. Per questo Gesù dice – ecco il secondo aspetto – «come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Questo così non è solo un invito a imitare l’amore di Gesù; significa che possiamo amare solo perché Lui ci ha amati, perché dona ai nostri cuori il suo stesso Spirito, lo Spirito di santità, amore che ci guarisce e ci trasforma. Per questo possiamo fare scelte e compiere gesti di amore in ogni situazione e con ogni fratello e sorella che incontriamo, perché siamo amati e abbiamo la forza di amare. Così come io sono amato, posso amare. Sempre, l’amore che io compio è unito a quello di Gesù per me: “così”. Così come Lui mi ha amato, così io posso amare. È così semplice la vita cristiana, è così semplice! Noi la rendiamo più complicata, con tante cose, ma è così semplice.

E, in concreto, che cosa significa vivere questo amore? Prima di lasciarci questo comandamento, Gesù ha lavato i piedi ai discepoli; dopo averlo pronunciato, si è consegnato sul legno della croce. Amare significa questo: servire e dare la vita. Servire, cioè non anteporre i propri interessi; disintossicarsi dai veleni dell’avidità e della competizione; combattere il cancro dell’indifferenza e il tarlo dell’autoreferenzialità, condividere i carismi e i doni che Dio ci ha donato. Nel concreto, chiedersi “che cosa faccio per gli altri?” Questo è amare, e vivere le cose di ogni giorno in spirito di servizio, con amore e senza clamore, senza rivendicare niente.

E poi dare la vita, che non è solo offrire qualcosa, come per esempio alcuni beni propri agli altri, ma donare sé stessi. A me piace domandare alle persone che mi chiedono consiglio: “Dimmi, tu dai l’elemosina?” – “Sì, Padre, io do l’elemosina ai poveri” – “E quando tu dai l’elemosina, tocchi la mano della persona, o butti l’elemosina e fai così per pulirti?”. E diventano rossi: “No, io non tocco”. “Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi la persona che aiuti, o guardi da un’altra parte?” – “Io non guardo”. Toccare e guardare, toccare e guardare la carne di Cristo che soffre nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle. È molto importante, questo. Dare la vita è questo.

La santità non è fatta di pochi gesti eroici, ma di tanto amore quotidiano. Sei una consacrata o un consacrato? – ce ne sono tanti, oggi, qui – Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato o sposata? Sii santo e santa amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore, una donna lavoratrice? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli, e lottando per la giustizia dei tuoi compagni, perché non rimangano senza lavoro, perché abbiano sempre lo stipendio giusto. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Dimmi, hai autorità? – e qui c’è tanta gente che ha autorità – Vi domando: hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali» (Cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Questa è la strada della santità, così semplice! Sempre guardare Gesù negli altri.

Servire il Vangelo e i fratelli, offrire la propria vita senza tornaconto – questo è un segreto: offrire senza tornaconto –, senza ricercare alcuna gloria mondana: a questo siamo chiamati anche noi. I nostri compagni di viaggio, oggi canonizzati, hanno vissuto così la santità: abbracciando con entusiasmo la loro vocazione – di sacerdote, alcuni, di consacrata, altre, di laico – si sono spesi per il Vangelo, hanno scoperto una gioia che non ha paragoni e sono diventati riflessi luminosi del Signore nella storia. Questo è un santo o una santa: un riflesso luminoso del Signore nella storia. Proviamoci anche noi: non è chiusa la strada della santità, è universale, è una chiamata per tutti noi, incomincia con il Battesimo, non è chiusa. Proviamoci anche noi, perché ognuno di noi è chiamato alla santità, a una santità unica e irripetibile. La santità è sempre originale, come diceva il beato Carlo Acutis: non c’è santità di fotocopia, la santità è originale, è la mia, la tua, di ognuno di noi. È unica e irripetibile. Sì, il Signore ha un progetto di amore per ciascuno, ha un sogno per la tua vita, per la mia vita, per la vita di ognuno di noi. Cosa volete che vi dica? Portatelo avanti con gioia. Grazie.

[00759-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Nous avons entendu ces paroles que Jésus confie à ses disciples, avant de passer de ce monde au Père, des paroles qui nous disent ce que signifie être chrétiens : «Comme je vous ai aimés, vous aussi aimez-vous les uns les autres »" (Jn 13, 34). C'est le testament que le Christ nous a laissé, le critère fondamental pour discerner si nous sommes vraiment ses disciples ou non : le commandement de l'amour. Arrêtons-nous sur les deux éléments essentiels de ce commandement : l'amour de Jésus pour nous - comme je vous ai aimés - et l'amour qu'il nous demande de vivre - aimez-vous les uns les autres.

Tout d'abord, comme je vous ai aimés. Comment Jésus nous a-t-il aimés ? Jusqu'au bout, jusqu'au don total de lui-même. Il est frappant de constater qu'il prononce ces paroles par une nuit sombre, alors que l'atmosphère du Cénacle est pleine d'émotion et d'inquiétude : émotion parce que le Maître est sur le point de dire adieu à ses disciples, inquiétude parce qu'il annonce que l'un d'entre eux va le trahir. Nous pouvons imaginer quelle douleur Jésus portait dans son âme, quelles ténèbres s'amoncelaient dans le cœur des apôtres, et quelle amertume en voyant Judas quitter la pièce pour entrer dans la nuit de la trahison, après avoir reçu la bouchée trempée pour lui par le Maître. Et c’est précisément à l'heure même de la trahison que Jésus confirme son amour pour les siens. Car, dans l'obscurité et les tempêtes de la vie, c'est cela l'essentiel : Dieu nous aime.

Cette annonce, frères, sœurs, doit être au centre de la profession et des expressions de notre foi : «Ce n’est pas nous qui avons aimé Dieu, mais c’est lui qui nous a aimés » (1Jn 4, 10). N'oublions jamais cela. Au centre, il n'y a pas notre capacité, nos mérites, mais l'amour inconditionnel et gratuit de Dieu, que nous n'avons pas mérité. Au début de notre être chrétien, il n'y a pas de doctrines ni d'œuvres, mais l'émerveillement de nous découvrir aimés, avant toute réponse de notre part. Alors que le monde veut souvent nous convaincre que nous n'avons de valeur que dans la mesure où nous produisons des résultats, l'Évangile nous rappelle la vérité de la vie : nous sommes aimés. Et c’est notre valeur: nous sommes aimés. Un maître spirituel de notre époque a écrit : «Avant même qu'un être humain puisse nous voir, nous étions vus par les yeux aimants de Dieu. Avant même que quelqu'un nous entende pleurer ou rire, nous étions entendus par notre Dieu qui est toute écoute pour nous. Avant même que quelqu'un en ce monde nous parle, la voix de l'amour éternel nous parlait déjà» (H. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 1997, p. 50). Il nous a aimés le premier, il nous a attendus. Il nous aime, il continue de nous aimer. Et c’est notre identité: aimés de Dieu. C’est notre force: aimés de Dieu.

Cette vérité nous demande de nous convertir sur l'idée que nous nous faisons souvent de la sainteté. Parfois, en insistant trop sur les efforts pour accomplir de bonnes œuvres, nous avons généré un idéal de sainteté trop fondé sur nous-mêmes, sur l'héroïsme personnel, sur la capacité de renonciation, sur le sacrifice de soi pour gagner une récompense. C’est une vision parfois trop pélagienne de la vie, de la sainteté. Nous avons ainsi fait de la sainteté un objectif inaccessible, nous l'avons séparée de la vie quotidienne au lieu de la rechercher et de l'embrasser dans le quotidien, dans la poussière de la rue, dans les efforts de la vie concrète et, comme le disait Thérèse d'Avila à ses sœurs, «parmi les casseroles de la cuisine». Être disciples de Jésus et marcher sur le chemin de la sainteté, c'est avant tout se laisser transfigurer par la puissance de l'amour de Dieu. N'oublions pas la primauté de Dieu sur le moi, de l'Esprit sur la chair, de la grâce sur les œuvres. Parfois on donne plus de poids, plus d'importance au moi, à la chair et aux œuvres. Non: le primat de Dieu sur le moi, le primat de l’Esprit sur la chair, le primat de la grâce sur les œuvres.

L'amour que nous recevons du Seigneur est la force qui transforme notre vie: il dilate notre cœur et nous prédispose à aimer. C'est pourquoi Jésus dit – et c’est le deuxième aspect – "comme je vous ai aimés, vous devez aussi vous aimer les uns les autres". Ce comme n'est pas seulement une invitation à imiter l'amour de Jésus ; il signifie que nous ne pouvons aimer que parce qu'il nous a aimés, parce qu'il donne son Esprit à nos cœurs, l'Esprit de sainteté, l'amour qui nous guérit et nous transforme. C'est pourquoi nous pouvons faire des choix et accomplir des gestes d'amour dans chaque situation et avec chaque frère et sœur que nous rencontrons, parce que nous sommes aimés et que nous avons la force d’aimer. De même que je suis aimé, je peux aimer. Toujours, l’amour que je réalise est uni à celui de Jésus pour moi: “comme ceci”. Tout comme il m’a aimé, ainsi je peux aimer. La vie chrétienne est si simple, elle est si simple! Nous la rendons plus compliquée, avec tant de choses, mais elle est si simple.

Et, concrètement, qu'est-ce que cela signifie de vivre cet amour ? Avant de nous laisser ce commandement, Jésus a lavé les pieds à ses disciples ; après l'avoir annoncé, il s'est livré sur le bois de la croix. Aimer signifie ceci : servir et donner sa vie. Servir, c'est-à-dire ne pas faire passer ses propres intérêts en premier ; se désintoxiquer des poisons de la cupidité et de la concurrence ; combattre le cancer de l'indifférence et le ver de l'autoréférentialité ; partager les charismes et les dons que Dieu nous a donnés. Se demander concrètement: "qu'est-ce que je fais pour les autres?" C’est aimer, et vivre le quotidien dans un esprit de service, avec amour et sans clameur, sans rien revendiquer.

Et puis donner sa vie, ce qui ne se réduit pas à offrir quelque chose, comme une partie de ses biens, aux autres, mais se donner soi-même. J'aime demander aux gens qui me demandent des conseils: “Dis-moi, tu fais l’aumône?” - “Oui, Père, je fais l’aumône aux pauvres” - “Et quand tu fais l’aumône, est-ce que tu touches la main de la personne, ou jettes-tu l’aumône et tu le fais ainsi pour te nettoyer?”. Et ils rougissent: “Non, je ne touche pas”. “Lorsque tu fais l’aumône, regardes-tu la personne que tu aides dans les yeux ou regardes-tu ailleurs?” - “Je ne regarde pas”. Toucher et regarder, toucher et regarder la chair du Christ qui souffre dans nos frères et sœurs. C’est très important. C’est cela, donner la vie. La sainteté n'est pas faite de quelques gestes héroïques, mais de beaucoup d'amour quotidien. « Es-tu une consacrée ou un consacré? – ils sont nombreux, aujourd’hui, ici – Sois saint en vivant avec joie ton engagement. Es-tu marié ou mariée? Sois saint et sainte en aimant et en prenant soin de ton époux ou de ton épouse, comme le Christ l’a fait avec l’Église. Es-tu un travailleur ou une femme qui travaille? Sois saint en accomplissant honnêtement et avec compétence ton travail au service de tes frères, et en luttant pour la justice de tes compagnons, pour qu’ils ne restent pas au chômage, pour qu’ils aient toujours le juste salaire. Es-tu père, mère, grand-père ou grand-mère ? Sois saint en enseignant avec patience aux enfants à suivre Jésus. Dis-moi, as-tu de l’autorité? – et ici il y a tant de gens qui ont de l’autorité – Je vous demande: as-tu de l’autorité ? Sois saint en luttant pour le bien commun et en renonçant à tes intérêts personnels»(cf. Exhortation apostolique Gaudete et Exsultate, n. 14). C’est le chemin de la sainteté, si simple! Regarder toujours Jésus dans les autres.

Servir l'Évangile et les frères, offrir sa vie sans retour – c’est le secret: offrir sans retour –, sans chercher la gloire mondaine: nous sommes, nous aussi, appelés à cela. Nos compagnons de route, canonisés aujourd'hui, ont vécu la sainteté de cette manière : en embrassant leur vocation avec enthousiasme - comme prêtres, certains, comme personnes consacrées, d’autres, comme laïcs - ils se sont dépensés pour l'Évangile, ils ont découvert une joie sans comparaison et ils sont devenus des reflets lumineux du Seigneur dans l'histoire. C’est un saint ou une sainte: un reflet lumineux du Seigneur dans l’histoire. Faisons-le aussi: le chemin de la sainteté n’est pas fermé, il est universel, c’est un appel pour nous tous, il commence par le Baptême, il n’est pas fermé. Faisons-le aussi, parce que chacun de nous est appelé à la sainteté, à une sainteté unique et non reproductible. La sainteté est toujours originale, comme le disait le bienheureux Carlo Acutis: la photocopie de la sainteté n’existe pas, la sainteté est originale, elle est la mienne, la tienne, celle de chacun de nous. Elle est unique et non reproductible. Oui, le Seigneur a un plan d'amour pour chacun de nous, il a un rêve pour ta vie, pour ma vie, pour la vie de chacun de nous. Que voulez-vous que je vous dise? Et faites-le avancer avec joie. Merci.

[00759-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

We have heard what Jesus told his disciples before leaving this world and returning to the Father. He told us what it means to be a Christian: “Even as I have loved you, so you must love one another” (Jn 13:34). This is the legacy that Christ bequeathed to us, the ultimate criterion for discerning whether or not we are truly his disciples. It is the commandment of love. Let us stop to consider two essential elements of this commandment: Jesus’ love for us – “as I have loved you” – and the love he asks us to show to others – “so you must love one another”.

First, the words “as I have loved you”. How did Jesus love us? To the very end, to the total gift of himself. It is striking to think that he spoke these words on that night of darkness, when the atmosphere in the Upper Room was one of deep emotion and anxiety: deep emotion, because the Master was about to bid farewell to his disciples; anxiety because he had said that one of them would betray him. We can imagine the sorrow that filled the heart of Jesus, the dark clouds that were gathering in the hearts of the apostles, and their bitterness at seeing Judas who, after receiving the morsel dipped for him by the Master, left the room to enter into the night of betrayal. Yet at the very hour of his betrayal, Jesus reaffirmed his love for his own. For amid the darkness and tempests of life, that is the most important thing of all: God loves us.

Brothers and sisters, may this message be the core of our own faith and all the ways in which we express it: “…not that we loved God but that he loved us” (1 Jn 4:10). Let us never forget this. Our abilities and our merits are not the central thing, but rather the unconditional, free and unmerited love of God. Our Christian lives begin not with doctrine and good works, but with the amazement born of realizing that we are loved, prior to any response on our part. While the world frequently tries to convince us that we are valued only for what we can produce, the Gospel reminds us of the real truth of life: we are loved. A contemporary spiritual writer put it this way: “Long before any human being saw us, we were seen by God’s loving eyes. Long before anyone heard us cry or laugh, we were heard by our God, who is all ears for us. Long before any person spoke to us in this world, we were spoken to by the voice of eternal love” (H. NOUWEN, Life of the Beloved). He loved us first; he waits for us; he keeps loving us. This is our identity: we are God’s loved ones. This is our strength: we are loved by God.

Acknowledging this truth requires a conversion in the way we often think of holiness. At times, by over-emphasizing our efforts to do good works, we have created an ideal of holiness excessively based on ourselves, our personal heroics, our capacity for renunciation, our readiness for self-sacrifice to achieve a reward. This can at times appear as an overly “pelagian” way of viewing life and holiness. We have turned holiness into an unattainable goal. We have separated it from everyday life, instead of looking for it and embracing it in our daily routines, in the dust of the streets, in the trials of real life and, in the words of Teresa of Avila to her Sisters, “among the pots and pans”. Being disciples of Jesus and advancing on the path of holiness means first and foremost letting ourselves be transfigured by the power of God’s love. Let us never forget the primacy of God over self, of the Spirit over the flesh, of grace over works. For we at times give more importance to self, flesh and works. No, the primacy is that of God over self, of the Spirit over the flesh, of grace over works.

The love that we receive from the Lord is the force that transforms our lives. It opens our hearts and enables us to love. For this reason, Jesus says – here is the second element – “as I have loved you, so must you love one another”. That word “as” is not simply an invitation to imitate Jesus’ love; it tells us that we are able to love only because he has loved us, because he pours into our hearts his own Spirit, the Spirit of holiness, love that heals and transforms. As a result, we can make decisions and perform works of love in every situation and for every brother and sister whom we meet, because we ourselves are loved and we have the power to love. As I myself am loved, so I can love others. The love I give is united to Jesus’ love for me. “As” he loved me, so I can love others. The Christian life is just that simple. Let’s not make it more complicated with so many things. It is just that simple.

In practice, what does it mean to live this love? Before giving us this commandment, Jesus had washed the disciples’ feet; then, after giving it, he gave himself up to the wood of the cross. To love means this: to serve and to give one’s life. To serve, that is, not to put our own interests first: to clear our systems of the poison of greed and competitiveness; to fight the cancer of indifference and the worm of self-referentiality; to share the charisms and gifts that God has given us. Specifically, we should ask ourselves, “What do I do for others?” That is what it means to love, to go about our daily lives in a spirit of service, with unassuming love and without seeking any recompense.

Then, to give one’s life. This is about more than simply offering something of ours to others; it is about giving them our very selves. I like to ask people who seek my counsel whether they give alms. And if they do, whether they touch the hand of the recipient or simply, antiseptically, throw down the alms. Those people usually blush and say no. And I ask whether, in giving alms, they look the person in the eye, or look the other way. They say no. Touching and looking, touching and looking at the flesh of Christ who suffers in our brothers and sisters. This is very important; it is what it means to give one’s life.

Holiness does not consist of a few heroic gestures, but of many small acts of daily love. “Are you called to the consecrated life? So many of you are here today! Then be holy by living out your commitment with joy. Are you married? Be holy by loving and caring for your husband or wife, as Christ does for the Church. Do you work for a living? Be holy by labouring with integrity and skill in the service of your brothers and sisters, by fighting for justice for your comrades, so that they do not remain without work, so that they always receive a just wage. Are you a parent or grandparent? Be holy by patiently teaching the little ones how to follow Jesus. Tell me, are you in a position of authority? So many people in authority are here today! Then be holy by working for the common good and renouncing personal gain” (Gaudete et Exsultate, 14). This is the path of holiness, and it is so simple! To see Jesus always in others.

To serve the Gospel and our brothers and sisters, to offer our lives without expecting anything in return, any worldly glory: this is a secret and it is our calling. That was how our fellow travellers canonized today lived their holiness. By embracing with enthusiasm their vocation – as a priest, as a consecrated women, as a lay person – they devoted their lives to the Gospel. They discovered an incomparable joy and they became brilliant reflections of the Lord of history. For that is what a saint is: a luminous reflection of the Lord of history. May we strive to do the same. The path of holiness is not barred; it is universal and it starts with Baptism. Let us strive to follow it, for each of us is called to holiness, to a form of holiness all our own. Holiness is always “original”, as Blessed Carlo Cutis used to say: it is not a photocopy, but an “original”, mine, yours, all of ours. It is uniquely our own. Truly, the Lord has a plan of love for everyone. He has a dream for your life, for my life, for the life of each of us. What else can I say? Pursue that dream with joy.

[00759-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Wir haben einige Worte gehört, die Jesus an die Seinen richtet, bevor er aus dieser Welt zum Vater geht, Worte, die ausdrücken, was es bedeutet, ein Christ zu sein: »Wie ich euch geliebt habe, so sollt auch ihr einander lieben« (Joh 13,34). Dies ist das Testament, das Christus uns hinterlassen hat, das grundlegende Kriterium, um zu erkennen, ob wir wirklich seine Jünger sind oder nicht: das Gebot der Liebe. Richten wir unsere Aufmerksamkeit auf die beiden wesentlichen Elemente dieses Gebots: Jesu Liebe zu uns - wie ich euch geliebt habe - und die Liebe, die er von uns verlangt - so sollt ihr einander lieben.

Erstens: Wie ich euch geliebt habe. Wie hat Jesus uns geliebt? Bis zum Ende, bis zur totalen Selbsthingabe. Es ist bemerkenswert, dass er diese Worte in einer dunklen Nacht spricht, wobei die Atmosphäre im Abendmahlssaal von Ergriffenheit und Besorgnis geprägt ist: Ergriffenheit, weil der Meister sich von seinen Jüngern verabschieden will, Besorgnis, weil er ankündigt, dass einer von ihnen ihn verraten wird. Wir können uns vorstellen, welchen Kummer Jesus in seiner Seele trug, welche Düsternis sich über die Herzen der Apostel legte und welche Bitterkeit, wenn Judas, nachdem er den vom Meister für ihn eingetauchten Bissen erhalten hatte, den Raum verließ, um in die Nacht des Verrats einzutauchen. Und gerade in der Stunde des Verrats bestätigt Jesus seine Liebe zu den Seinen. Denn in der Dunkelheit und den Stürmen des Lebens ist dies das Wesentliche: Gott liebt uns.

Brüder und Schwestern, lasst diese Verkündigung im Mittelpunkt unseres Glaubensbekenntnisses und unserer Glaubensäußerungen stehen: „Nicht wir haben Gott geliebt, sondern er hat uns geliebt“ (vgl. 1 Joh 4,10). Das sollten wir nie vergessen. Im Mittelpunkt stehen nicht unsere Fähigkeiten und Verdienste, sondern die bedingungslose und unentgeltliche Liebe Gottes, die wir nicht verdient haben. Am Anfang unseres Christseins stehen nicht Lehren und Werke, sondern das Staunen über die Entdeckung, dass wir geliebt werden, noch vor jeder Antwort von unserer Seite. Während die Welt uns oft davon überzeugen will, dass wir nur dann einen Wert besitzen, wenn wir Ergebnisse erzielen, erinnert uns das Evangelium an die Wahrheit des Lebens: Wir werden geliebt. Das ist unser Wert: Wir werden geliebt. So schrieb ein spiritueller Meister unserer Zeit: »Noch bevor uns ein Mensch sah, wurden wir von den liebenden Augen Gottes gesehen. Noch bevor uns jemand weinen oder lachen hörte, wurden wir von unserem Gott gehört, der ganz Ohr für uns ist. Noch bevor irgendjemand in dieser Welt zu uns sprach, sprach die Stimme der ewigen Liebe bereits zu uns« (Henry NOUWEN, Die innere Stimme der Liebe). Er hat uns zuerst geliebt, er hat auf uns gewartet. Er liebt uns, er liebt uns weiterhin. Und das ist unsere Identität: von Gott Geliebte zu sein. Das ist unsere Stärke: von Gott Geliebte zu sein.

Diese Wahrheit verlangt von uns eine Umkehr in Bezug auf die Vorstellung, die wir oft von Heiligkeit haben. Indem wir manchmal zu sehr auf unseren Bemühungen um gute Werke bestehen, haben wir ein Ideal von Heiligkeit geschaffen, das zu sehr auf uns selbst beruht, auf persönlichem Heldentum, auf der Fähigkeit zum Verzicht, auf der Aufopferung, um einen Preis zu gewinnen. Das ist eine mitunter zu pelagianische Sicht des Lebens und der Heiligkeit.

So haben wir die Heiligkeit zu einem unerreichbaren Ziel gemacht, wir haben sie vom Alltag getrennt, anstatt sie im Alltäglichen zu suchen und zu umarmen, im Staub der Straße, in den Mühen des konkreten Lebens und, wie Teresa von Ávila zu ihren Schwestern zu sagen pflegte, „zwischen den Kochtöpfen“. Jünger Jesu zu sein und den Weg der Heiligkeit zu gehen, bedeutet vor allem, sich von der Kraft der Liebe Gottes verwandeln zu lassen. Vergessen wir nicht den Vorrang Gottes über das eigene Ich, des Geistes über das Fleisch, der Gnade über die Werke. Manchmal geben wir dem Ich, dem Fleisch und den Werken mehr Gewicht, mehr Bedeutung. Nein: zuerst kommt der Vorrang Gottes vor dem Ich, der Vorrang des Geistes vor dem Fleisch, der Vorrang der Gnade vor den Werken.

Die Liebe, die wir vom Herrn empfangen, ist die Kraft, die unser Leben verwandelt: Sie weitet unser Herz und macht uns dazu bereit zu lieben. Deshalb sagt Jesus - und das ist der zweite Aspekt - »wie ich euch geliebt habe, so sollt auch ihr einander lieben«. Dieses so ist nicht nur eine Aufforderung, die Liebe Jesu nachzuahmen; es bedeutet, dass wir nur lieben können, weil Er uns geliebt hat, weil er unseren Herzen seinen eigenen Geist schenkt, den Geist der Heiligkeit, die Liebe, die uns heilt und verwandelt. Deshalb können wir in jeder Situation und bei jedem Bruder und jeder Schwester, denen wir begegnen, Entscheidungen aus Liebe heraus treffen und Taten der Liebe vollbringen, weil wir geliebt werden und die Kraft haben zu lieben. So wie ich geliebt werde, kann ich lieben. Die Liebe, die ich verwirkliche, ist immer mit der Liebe Jesu zu mir verbunden: "So". So wie er mich geliebt hat, kann auch ich lieben. Das christliche Leben ist so einfach, es ist so einfach! Wir machen es komplizierter, mit so vielen Dingen, aber es ist so einfach.

Und was bedeutet es ganz konkret, diese Liebe zu leben? Bevor er uns dieses Gebot hinterließ, wusch Jesus den Jüngern die Füße; nachdem er es ausgesprochen hatte, opferte er sich am Holz des Kreuzes auf. Zu lieben bedeutet: zu dienen und sein Leben hinzugeben. Dienen heißt, nicht die eigenen Interessen in den Vordergrund zu stellen; sich von dem Gift der Habsucht und des Wettkampfs zu befreien; das Krebsgeschwür der Gleichgültigkeit und den Stachel der Selbstbezogenheit zu bekämpfen; die Charismen und Gaben, die Gott uns geschenkt hat, zu teilen. Fragen wir uns konkret: „Was tue ich für andere?“ Das heißt zu lieben. Leben wir die alltäglichen Dinge im Geiste des Dienens, mit Liebe und ohne Aufsehen, ohne etwas zu fordern.

Und dann das Leben hingeben, was nicht nur darin besteht, anderen etwas zu schenken, etwa ein Teil des eigenen Besitzes, sondern sich selbst zu verschenken. Ich frage Menschen, die mich um Rat fragen, gerne: "Sag mir: Gibst du Almosen?" - "Ja, Vater, ich gebe den Armen Almosen" - "Und wenn du Almosen gibst, berührst du die Hand der Person, oder wirfst du die Almosen hin und machst das, um dich rein zu machen?" Und sie werden rot: "Nein, ich berühre sie nicht". "Wenn du Almosen gibst, schaust du der Person, der du hilfst, in die Augen, oder schaust du weg?" - "Ich sehe nicht hin." Berühren und hinsehen, berühren und hinsehen auf das Fleisch Christi, das in unseren Brüdern und Schwestern leidet. Das ist sehr wichtig. Das heißt sein Leben hinzugeben.

Heiligkeit besteht nicht aus ein paar heroischen Gesten, sondern aus viel täglicher Liebe. »Bist du ein Gottgeweihter oder eine Gottgeweihte? – Es sind heute viele hier: Sei heilig, indem du deine Hingabe freudig lebst. Bist du ein verheirateter Mann oder eine verheiratete Frau? Sei ein Heiliger und eine Heilige, indem du deinen Mann oder deine Frau liebst und umsorgst, wie Christus es mit der Kirche getan hat. Bist du ein Arbeiter oder eine berufstätige Frau? Sei heilig, indem du deine Arbeit im Dienst an den Brüdern und Schwestern mit Redlichkeit und Sachverstand verrichtest und indem du für die Gerechtigkeit deiner Kameraden kämpft, damit sie nicht arbeitslos bleiben, sondern dass sie immer einen gerechten Lohn bekommen.

Bist du Vater oder Mutter, Großvater oder Großmutter? Sei heilig, indem du den Kindern geduldig beibringst, Jesus zu folgen. Sag mir: Hast du eine Verantwortungsposition inne? - Es sind hier viele Leute, die eine Verantwortungsposition haben - ich frage Sie: Haben Sie eine Verantwortungsposition inne? Sei heilig, indem du für das Gemeinwohl kämpfst und auf deine persönlichen Interessen verzichtest.« (Vgl. Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 14). Das ist der Weg zu Heiligkeit, so einfach ist das! Jesus immer in den anderen zu sehen.

Dem Evangelium und den Brüdern und Schwestern zu dienen, sein Leben ohne Gegenleistung zu opfern, - das ist ein Geheimnis: Zu schenken, ohne eine Gegenleistung zu erwarten - ohne weltlichen Ruhm zu suchen: dazu sind auch wir aufgerufen. Unsere Begleiter auf der Pilgerreise, die heute heiliggesprochen worden sind, haben die Heiligkeit auf diese Weise gelebt: Indem sie ihre Berufung - als Priester, einige als Gottgeweihte, andere als Laie - mit Begeisterung angenommen haben, haben sie sich für das Evangelium verausgabt, sie haben eine unermessliche Freude entdeckt, und sie strahlten den Glanz des Herrn in der Geschichte wieder. Das bedeutet ein Heiliger oder eine Heilige zu sein: ein leuchtender Abglanz des Herrn in der Geschichte zu sein. Versuchen es auch wir: Der Weg zur Heiligkeit ist nicht abgeschlossen, er ist allgemein gültig, er ist ein Ruf an uns alle, er beginnt mit der Taufe, er ist nicht abgeschlossen.

Versuchen es auch wir, denn jeder von uns ist zur Heiligkeit berufen, zu einer einzigartigen und unwiederholbaren Heiligkeit.

Die Heiligkeit ist immer original, wie der selige Carlo Acutis sagte: Es gibt keine Fotokopie der Heiligkeit, die Heiligkeit ist original, sie ist meine, deine, die eines jeden von uns. Sie ist einzigartig und unwiederholbar.

Ja, der Herr hat einen Plan der Liebe für jeden einzelnen, er hegt einen Traum für dein Leben, für mein Leben, für einen jeden von uns. Was soll ich euch sagen? Verwirklicht diesen Traum weiter mit Freude. Danke

[00759-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Hemos escuchado algunas palabras que Jesús entregó a los suyos antes de pasar de este mundo al Padre, palabras que expresan lo que significa ser cristianos: «Así como yo los he amado, ámense también ustedes los unos a los otros» (Jn 13,34). Este es el testamento que Cristo nos dejó, el criterio fundamental para discernir si somos verdaderamente sus discípulos o no: el mandamiento del amor. Consideremos dos elementos esenciales de este mandamiento: el amor de Jesús por nosotros —así como yo los he amado— y el amor que Él nos pide que vivamos —ámense los unos a los otros.

Ante todo, como yo los he amado. ¿Cómo nos ha amado Jesús? Hasta el extremo, hasta la entrega total de sí. Impacta ver que pronuncia estas palabras en una noche sombría, mientras el clima que se respira en el cenáculo está cargado de emoción y preocupación. Emoción porque el Maestro está a punto de despedirse de sus discípulos. Preocupación porque anuncia que precisamente uno de ellos lo traicionará. Podemos imaginar qué dolor tendría Jesús en su alma, qué oscuridad se acumulaba en el corazón de los apóstoles, y qué amargura ver a Judas que, después de haber recibido del Maestro el bocado mojado en su plato, salía de la sala para adentrarse en la noche de la traición. Y, justo en la hora de la traición, Jesús confirmó el amor por los suyos. Porque en las tinieblas y en las tempestades de la vida lo esencial es que Dios nos ama.

Hermanos, hermanas, que este anuncio sea central en la profesión y en las expresiones de nuestra fe: «no consiste en que nosotros hayamos amado a Dios, sino en que él nos amó primero» (1 Jn 4,10). No lo olvidemos nunca. No son nuestros talentos, nuestros méritos los que están en el centro, sino el amor incondicional y gratuito de Dios, que no hemos merecido. En el origen de nuestro ser cristianos no están las doctrinas y las obras, sino el asombro de descubrirnos amados, antes de cualquier respuesta que nosotros podamos dar. Mientras el mundo quiere frecuentemente convencernos de que sólo valemos si producimos resultados, el Evangelio nos recuerda la verdad de la vida: somos amados. Y este es nuestro valor, somos amados. Un maestro espiritual de nuestro tiempo escribió: «Antes de que cualquier ser humano nos viera, hemos sido mirados por los amorosos ojos de Dios. Antes de que alguien nos escuchara llorar o reír, hemos sido escuchados por nuestro Dios, que es todo oídos para nosotros. Antes de que alguien en este mundo nos hablara, la voz del amor eterno ya nos hablaba» (H. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 1997, 50). Él nos amó primero, Él nos esperó. Él nos ama y sigue amándonos. Esta es nuestra identidad: somos amados por Dios. Esta es nuestra fuerza: somos amados por Dios.

Esta verdad nos pide una conversión en relación con la idea que a menudo tenemos sobre la santidad. A veces, insistiendo demasiado sobre nuestro esfuerzo por realizar obras buenas, hemos erigido un ideal de santidad basado excesivamente en nosotros mismos, en el heroísmo personal, en la capacidad de renuncia, en sacrificarse para conquistar un premio. Es una visión a menudo demasiado pelagiana de la vida y de la santidad. De ese modo, hemos hecho de la santidad una meta inalcanzable, la hemos separado de la vida de todos los días, en vez de buscarla y abrazarla en la cotidianidad, en el polvo del camino, en los afanes de la vida concreta y, como decía Teresa de Ávila a sus hermanas, “entre los pucheros de la cocina”. Ser discípulos de Jesús es caminar por la vía de la santidad y, ante todo, dejarse transfigurar por la fuerza del amor de Dios. No olvidemos la primacía de Dios sobre el yo, del Espíritu sobre la carne, de la gracia sobre las obras. A veces nosotros damos más valor, más importancia al yo, a la carne y a las obras. No. Primacía de Dios sobre el yo, primacía del Espíritu sobre la carne, primacía de la gracia sobre las obras.

El amor que recibimos del Señor es la fuerza que transforma nuestra vida, nos ensancha el corazón y nos predispone para amar. Por eso Jesús dice —y he aquí el segundo aspecto— «así como yo los he amado, ámense también ustedes los unos a los otros». Este así no es solamente una invitación a imitar el amor de Jesús, significa que sólo podemos amar porque Él nos ha amado, porque da a nuestros corazones su mismo Espíritu, el Espíritu de santidad, amor que nos sana y nos transforma. Es por eso que podemos tomar decisiones y realizar gestos de amor en cada situación y con cada hermano y hermana que encontramos. Porque somos amados tenemos la fuerza de amar. Así como yo soy amado, puedo amar. Siempre, el amor que yo doy está unido al amor de Jesús por mí: “así”. Así como Él me ha amado, así yo puedo amar. Es así de simple la vida cristiana, ¡así de simple! Somos nosotros los que la complicamos con tantas cosas. Pero en realidad es así de simple.

Y, en concreto, ¿qué significa vivir este amor? Antes de darnos este mandamiento, Jesús les lavó los pies a sus discípulos; y después de haberlo pronunciado, se entregó en el madero de la cruz. Amar significa esto: servir y dar la vida. Servir significa no anteponer los propios intereses, desintoxicarse de los venenos de la avidez y la competición, combatir el cáncer de la indiferencia y la carcoma de la autorreferencialidad, compartir los carismas y los dones que Dios nos ha dado. Preguntémonos, concretamente, “¿qué hago por los demás?”. Esto es amar. Y vivamos las cosas ordinarias de cada día con espíritu de servicio, con amor y silenciosamente, sin reivindicar nada.

Y, luego, dar la vida, que no es sólo ofrecer algo, como por ejemplo dar algunos bienes propios a los demás, sino darse uno mismo. A mí me gusta preguntar a las personas que me piden un consejo: “Dime, ¿tú das limosna?” —“Sí, Padre, yo doy limosna a los pobres” —“Y cuando tú das la limosna, ¿tocas la mano del pobre o le dejas caer la moneda y te limpias la mano?”. Y las personas se sonrojan y responden: “No, yo no toco”. “Cuando tú das limosna, ¿miras a la persona que estás ayudando o miras para otro lado?” —“Yo no miro”. Tocar y mirar, tocar y mirar la carne de Cristo que sufre en nuestros hermanos y hermanas. Esto es muy importante, esto es dar la vida.

La santidad no está hecha de algunos actos heroicos, sino de mucho amor cotidiano. «¿Eres consagrada o consagrado? —hay muchos hoy aquí— Sé santo viviendo con alegría tu entrega. ¿Estás casado o casada? Sé santo y santa amando y ocupándote de tu marido o de tu esposa, como Cristo lo hizo con la Iglesia. ¿Eres un trabajador o una mujer trabajadora? Sé santo cumpliendo con honradez y competencia tu trabajo al servicio de los hermanos, y luchando por la justicia de tus compañeros, para que no se queden sin trabajo, para que tengan siempre el salario justo. ¿Eres padre, abuela o abuelo? Sé santo enseñando con paciencia a los niños a seguir a Jesús. Dime, ¿tienes autoridad? —y aquí hay muchas personas que tienen autoridad— Les pregunto: ¿tienes autoridad? Sé santo luchando por el bien común y renunciando a tus intereses personales» (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Este es el camino de la santidad, así de simple. Viendo siempre a Jesús en los demás.

Estamos llamados también nosotros a servir al Evangelio y a los hermanos y a ofrecer nuestra propia vida desinteresadamente —esto es un secreto: ofrecer desinteresadamente—, sin buscar ninguna gloria mundana. Nuestros compañeros de viaje, hoy canonizados, vivieron la santidad de este modo: se desgastaron por el Evangelio abrazando con entusiasmo su vocación —de sacerdote, algunos, de consagrada, otras, de laico—, descubrieron una alegría sin igual y se convirtieron en reflejos luminosos del Señor en la historia. Esto es un santo o una santa, un reflejo luminoso del Señor en la historia. Intentémoslo también nosotros: el camino de la santidad no está cerrado, es universal, es una llamada para todos nosotros, comienza con el Bautismo, no está cerrado. Intentémoslo también nosotros, porque todos estamos llamados a la santidad, a una santidad única e irrepetible. La santidad es siempre original, como decía el beato Carlos Acutis, no hay santidad de fotocopia, es la mía, la tuya, la de cada uno de nosotros. Es única e irrepetible. Sí, el Señor tiene un proyecto de amor para cada uno, tiene un sueño para tu vida, para mi vida, para la vida de cada uno de nosotros.¿Qué más puedo decirles? Llévenlo adelante con alegría. Gracias.

[00759-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Acabamos de ouvir algumas das palavras que Jesus confia aos seus discípulos, antes de passar deste mundo para o Pai, manifestando nelas o que significa ser cristão: «Assim como Eu vos amei, amai-vos também vós uns aos outros» (Jo 13, 34). Este é o testamento que Cristo nos deixou, o critério fundamental para discernir se somos verdadeiramente seus discípulos ou não: o mandamento do amor. Detenhamo-nos sobre os dois elementos essenciais deste mandamento: o amor de Jesus por nós – assim como Eu vos amei – e o amor que Ele nos pede para vivermos – amai-vos também vós uns aos outros.

O primeiro ponto: assim como Eu vos amei. E como nos amou Jesus? Até ao fim, até ao dom total de Si mesmo. Causa impressão vê-Lo pronunciar estas palavras numa noite tenebrosa, enquanto se respira no Cenáculo um ambiente denso de comoção e turbamento: comoção, porque o Mestre está prestes a despedir-Se dos seus discípulos; turbamento, porque anuncia que será precisamente um deles a traí-Lo. Podemos imaginar a tristeza que havia no íntimo de Jesus, a escuridão que se adensava no coração dos apóstolos, a amargura vivida ao ver que Judas, depois de receber o bocado de pão ensopado para ele pelo Mestre, saía da sala para adentrar-se na noite da traição. E é precisamente na hora da traição que Jesus confirma o amor pelos seus. Com efeito, nas trevas e tempestades da vida, o essencial é isto: Deus ama-nos.

Irmãos e irmãs, oxalá seja sempre central, na profissão da nossa fé e nas suas expressões, este anúncio: «Não fomos nós que amamos a Deus, mas foi Ele mesmo que nos amou» (1 Jo 4, 10). Nunca nos esqueçamos disto! No centro, não está a nossa capacidade, os nossos méritos, mas o amor incondicional e gratuito de Deus, que não merecemos. No início do nosso ser cristão, não estão as doutrinas e as obras, mas a maravilha de descobrir que se é amado, antes de qualquer resposta nossa. Enquanto o mundo quer muitas vezes convencer-nos de que só temos valor se produzirmos resultados, o Evangelho lembra-nos a verdade da vida: somos amados. E está nisto o nosso valor: somos amados. Assim escreveu um mestre espiritual do nosso tempo: «Ainda antes que nos visse qualquer ser humano, fomos vistos pelos olhos amorosos de Deus. Ainda antes que alguém nos ouvisse chorar ou rir, fomos escutados pelo nosso Deus que é todo ouvidos para nós. Ainda antes que alguém neste mundo nos falasse, já nos falava a voz do amor eterno» (H. Nouwen, Sentir-se amado, Brescia 1997, 50). Ele amou-nos primeiro, esteve à nossa espera. Ama-nos e continua a amar-nos. E esta é a nossa identidade: amados por Deus. Esta é a nossa força: amados por Deus.

Esta verdade pede-nos uma conversão da ideia de santidade que frequentemente possuímos. Às vezes, insistindo muito sobre o nosso esforço para praticar boas obras, criamos um ideal de santidade demasiado fundado em nós mesmos, no heroísmo pessoal, na capacidade de renúncia, nos sacrifícios feitos para se conquistar um prémio. Às vezes temos uma visão demasiado pelagiana da vida, da santidade. Deste modo fizemos da santidade uma meta inacessível, separamo-la da vida de todos os dias, em vez de a procurar e abraçar na existência quotidiana, no pó da estrada, nas aflições da vida concreta e – como dizia Teresa de Ávila às suas irmãs – «entre as panelas da cozinha». Ser discípulo de Jesus e caminhar pela via da santidade é, antes de mais nada, deixar-se transfigurar pela força do amor de Deus. Não esqueçamos o primado de Deus sobre o próprio eu, do Espírito sobre a carne, da graça sobre as obras. Às vezes damos mais peso, mais importância ao próprio eu, à carne e às obras. Não está certo, mas há de ser a primazia de Deus sobre o eu, a primazia do Espírito sobre a carne, a primazia da graça sobre as obras.

O amor que recebemos do Senhor é a força que transforma a nossa vida: dilata-nos o coração e predispõe-nos a amar. Por isso – e passamos ao segundo ponto – Jesus diz «assim como Eu vos amei, amai-vos também vós uns aos outros. Este assim como não é apenas um convite a imitar o amor de Jesus; mas significa que só podemos amar porque Ele nos amou, porque dá aos nossos corações o seu próprio Espírito, o Espírito de santidade, amor que nos cura e transforma. Por isso podemos decidir-nos a praticar gestos de amor em toda a situação e com cada irmão e irmã que encontramos, porque somos amados e temos a força de amar. Assim como sou amado eu, posso amar. Sempre, o amor que partilho está unido ao de Jesus por mim: «assim como». Assim como Ele me amou, assim também eu posso amar. A vida cristã é assim simples, tão simples! Nós tornamo-la mais complicada, com tantas coisas, mas é simples assim.

E que significa, concretamente, viver este amor? Antes de nos deixar este mandamento, Jesus lavou os pés aos discípulos; depois de o ter pronunciado, entregou-Se no madeiro da cruz. Amar significa isto: servir e dar a vida. Servir, isto é, não colocar os próprios interesses em primeiro lugar; desintoxicar-se dos venenos da ganância e da preeminência; combater o câncer da indiferença e o caruncho da autorreferencialidade, partilhar os carismas e os dons que Deus nos concedeu. Perguntando-nos o que fazemos em concreto pelos outros. Isto é amar: viver as tarefas de cada dia em espírito de serviço, com amor e sem alarde, sem nada reivindicar.

Primeiro servir, depois dar a vida. Aqui não se trata só de oferecer aos outros qualquer coisa, alguns bens próprios, mas dar-se a si mesmo. Gosto de perguntar às pessoas que me pedem conselho: «Diz-me uma coisa: tu dás esmola?» - «Sim, padre, eu dou esmola aos pobres» - «E quando dás esmola, tocas a mão da pessoa, ou deitas a esmola e fazes assim [esfrego as mãos uma na outra] para te limpares?». E elas coram: «Não, eu não toco». «Quando dás a esmola, fixas nos olhos a pessoa que ajudas, ou olhas para o outro lado?» - «Eu não olho». Tocar e olhar, tocar e olhar a carne de Cristo que sofre nos nossos irmãos e irmãs. Isto é muito importante. Dar a vida é isto. A santidade não se faz de alguns gestos heroicos, mas de muito amor diário. «És uma consagrada ou um consagrado [hoje aqui há muitos]? Sê santo, vivendo com alegria a tua doação. Estás casado [ou casada]? Sê santo [e santa], amando e cuidando do teu marido ou da tua esposa, como Cristo fez com a Igreja. És um trabalhador[, uma mulher trabalhadora]? Sê santo, cumprindo com honestidade e competência o teu trabalho ao serviço dos irmãos [e lutando pela justiça a favor dos teus companheiros, para que não fiquem sem trabalho, para que tenham sempre o salário justo]. És progenitor, avó ou avô? Sê santo, ensinando com paciência as crianças a seguirem Jesus. [Diz-me:] estás investido em autoridade? [Aqui temos muitas pessoas que têm autoridade – pergunto-vos: estás investido em autoridade?] Sê santo, lutando pelo bem comum e renunciando aos teus interesses pessoais» (cf. Francisco, Exort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Esta é a estrada da santidade: ver sempre Jesus nos outros.

Servir o Evangelho e os irmãos, oferecer a própria vida sem retribuição – fazê-lo em segredo: oferecer sem esperar retribuição –, sem buscar qualquer glória mundana, mas escondido humildemente como Jesus: a isto somos chamados também nós. Os nossos companheiros de viagem, hoje canonizados, viveram assim a santidade: abraçando com entusiasmo a sua vocação – uns de sacerdote, outras de consagrada, e outros ainda de leigo –, gastaram-se pelo Evangelho, descobriram uma alegria sem par e tornaram-se reflexos luminosos do Senhor na história. Um santo ou uma santa é isto: um reflexo luminoso do Senhor na história. Tentemos fazê-lo também nós: não está fechado o caminho da santidade, é universal, é uma chamada para todos nós, começa com o Batismo, não está fechado o caminho. Tentemos também nós, porque cada um de nós é chamado à santidade, a uma santidade única e irrepetível. A santidade é sempre original, como dizia o Beato Carlos Acutis: não há santidade de fotocópia, a santidade é original, é a minha, a tua, a de cada um de nós. É única e irrepetível. Sim, o Senhor tem um plano de amor para cada um, tem um sonho para a tua vida, para a minha vida, para a vida de cada um de nós. E que posso dizer-vos eu? Levai-o para diante com alegria. Obrigado.

[00759-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Usłyszeliśmy słowa, które Jezus przekazuje swoim uczniom przed odejściem z tego świata do Ojca, słowa, które mówią, co to znaczy być chrześcijaninem: „Tak jak Ja was umiłowałem; żebyście i wy tak się miłowali wzajemnie” (J 13, 34). To jest testament, jaki zostawił nam Chrystus, podstawowe kryterium, które pozwala rozpoznać, czy naprawdę jesteśmy Jego uczniami, czy też nie – przykazanie miłości. Zastanówmy się nad dwoma zasadniczymi elementami tego przykazania: miłością Jezusa do nas – tak jak Ja was umiłowałem – oraz miłością, o której przeżywanie prosi On nas – żebyście i wy tak się miłowali wzajemnie.

Po pierwsze – tak jak Ja was umiłowałem. Jak Jezus nas umiłował? Aż do końca, aż do całkowitego daru z siebie. Uderzające jest to, że wypowiada te słowa w ciemną noc, podczas gdy atmosfera w Wieczerniku jest pełna emocji i niepokoju; emocji, ponieważ Mistrz wkrótce pożegna się ze swoimi uczniami; niepokoju, ponieważ zapowiada, że właśnie jeden z nich Go zdradzi. Możemy sobie wyobrazić, jaki ból nosił w duszy Jezus, jakie ciemności wypełniały serca apostołów i jaka gorycz na widok Judasza, który otrzymawszy kęs umoczony dla niego przez Mistrza, wyszedł z Wieczernika, aby wejść w noc zdrady. I właśnie w godzinie zdrady Jezus potwierdza miłość do swoich. Bo w ciemnościach i burzach życia to właśnie jest najważniejsze: Bóg nas miłuje.

Bracia, siostry, niech to przesłanie będzie centrum wyznawania i wyrażania naszej wiary: „nie my umiłowaliśmy Boga, ale On sam nas umiłował” (1 J 4, 10). Nigdy o tym nie zapominajmy. W centrum nie jest nasza umiejętność i nasze zasługi, lecz jest bezwarunkowa i darmowa miłość Boga, na którą nie zasłużyliśmy. U początków naszego bycia chrześcijanami, nie leżą doktryny i uczynki, lecz zadziwienie, gdy odkrywamy, że jesteśmy miłowani, przed jakąkolwiek naszą odpowiedzią. Podczas gdy świat często chce nas przekonać, że mamy wartość tylko wtedy, gdy osiągamy wyniki, Ewangelia przypomina nam prawdę życia: jesteśmy miłowani. I to jest naszym znaczeniem – jesteśmy miłowani. Pewien mistrz duchowy naszych czasów napisał: „Zanim zobaczył nas jakikolwiek człowiek, zostaliśmy dostrzeżeni przez miłujące oczy Boga. Zanim ktokolwiek usłyszał jak płaczemy lub śmiejemy się, byliśmy usłyszani przez naszego Boga, który słucha nas chętnie i uważnie. Zanim ktokolwiek na tym świecie do nas przemówił, przemawiał już do nas głos wiecznej miłości” (Henri J. NOUWEN, Życie Umiłowanego. Jak żyć duchowo w świeckim świecie?, Kraków 2005, s. 48-49). On pierwszy nas umiłował, On nas oczekiwał. On nas miłuje i nadal nas kocha. I to jest nasza tożsamość: jesteśmy miłowani przez Boga. To jest nasza siła: być miłowani przez Boga.

Ta prawda wymaga od nas nawrócenia się, odnośnie do często pojawiającej się w nas idei świętości. Niekiedy, kładąc zbyt duży nacisk na nasz wysiłek w spełnianiu dobrych uczynków, stworzyliśmy ideał świętości, który za bardzo opierał się na nas, na osobistym heroizmie, na umiejętności wyrzeczenia się, na poświęceniu się, by zdobyć nagrodę. Jest to niekiedy nazbyt pelagiańska wizja życia, świętości. W ten sposób uczyniliśmy ze świętości cel nie do osiągnięcia, oderwaliśmy ją od zwyczajnych dni życia, zamiast szukać jej i przyjmować ją w codzienności, w kurzu ulicy, w trudach konkretnego życia i – jak mawiała Teresa z Avili do swoich sióstr – „między kuchennymi garnkami”. Być uczniami Jezusa i kroczyć drogą świętości, to przede wszystkim pozwolić, aby moc Bożej miłości przemieniła nas samych. Nie zapominajmy o prymacie Boga przed „ja”, Ducha przed ciałem, łaski przed uczynkami. Czasami przywiązujemy większą wagę, większe znaczenie do „ja”, do ciała i uczynków. Nie: prymat Boga nad „ja”, prymat Ducha nad ciałem, prymat łaski przed uczynkami.

Miłość, którą otrzymujemy od Pana jest siłą, która przemienia nasze życie: poszerza nasze serca i uzdalnia nas do miłości. Dlatego Jezus mówi – oto drugi aspekt – „tak jak Ja was umiłowałem, tak i wy miłujcie się wzajemnie”. To tak nie jest tylko zaproszeniem do naśladowania miłości Jezusa; oznacza, że możemy miłować, tylko dlatego, że On nas umiłował, ponieważ daje naszym sercom swojego Ducha, Ducha świętości, miłości, która nas uzdrawia i przemienia. Dlatego możemy dokonywać wyborów i spełniać gesty miłości w każdej sytuacji i wobec każdego brata i siostry, których spotykamy, ponieważ jesteśmy miłowani i mamy siłę, by kochać. Tak jak jestem kochany, mogę kochać. Zawsze miłość, którą okazuję, jest zjednoczona z miłością Jezusa do mnie: „tak jak”. Tak jak On mnie umiłował, tak i ja mogę kochać. Życie chrześcijańskie jest takie proste! Czynimy je bardziej skomplikowanym poprzez wiele rzeczy, a jest ono tak bardzo proste.

A konkretnie, co to znaczy żyć tą miłością? Zanim Jezus zostawił nam to przykazanie, umył uczniom nogi, a wypowiedziawszy je oddał samego siebie na drzewie krzyża. Kochać to znaczy: służyć i oddać życie. Służyć, to znaczy nie stawiać na pierwszym miejscu własnych interesów; odtruwać się z trucizn chciwości i rywalizacji; zwalczać raka obojętności i robaka odnoszenia wszystkiego do siebie; dzielić się charyzmatami i darami, którymi obdarzył nas Bóg. Konkretnie, zadać sobie pytanie: „Co robię dla innych?”. To znaczy miłować i przeżywać codzienne sprawy w duchu służby, z miłością i bez rozgłosu, nie domagając się niczego.

Następnie oddać życie, które nie jest tylko ofiarowaniem czegoś, jak na przykład jakichś swoich dóbr innym, ale oddaniem samego siebie. Lubię pytać ludzi, którzy proszą mnie o radę: „Powiedz mi, czy dajesz jałmużnę?”. – „Tak, ojcze, daję jałmużnę ubogim” – „A kiedy dajesz jałmużnę, czy dotykasz ręki tej osoby, czy też wrzucasz jałmużnę i robisz to, aby się oczyścić?”. A oni się czerwienią: „Nie, nie dotykam”. „Kiedy dajesz jałmużnę, czy patrzysz w oczy osobie, której pomagasz, czy odwracasz wzrok?”. – „Nie patrzę”. Dotykajcie i patrzcie, dotykajcie i patrzcie na ciało Chrystusa cierpiące w naszych braciach i siostrach. To bardzo ważne. Dawanie życia jest właśnie tym. Świętość to nie kilka heroicznych gestów, lecz wiele codziennej miłości. „Jesteś osobą konsekrowaną? - jest ich dzisiaj tu bardzo wielu - Bądź świętym, żyjąc radośnie swoim darem. Jesteś żonaty albo jesteś mężatką? Bądź świętym, świętą kochając i troszcząc się o męża lub żonę, jak Chrystus o Kościół. Jesteś pracownikiem czy kobietą pracującą? Bądź świętym wypełniając uczciwie i kompetentnie twoją pracę w służbie braciom, i walcząc o sprawiedliwość twoich towarzyszy, aby nie byli bez pracy, aby sprawiedliwą zapłatę. Jesteś rodzicem, babcią lub dziadkiem? Bądź świętym, cierpliwie ucząc dzieci naśladowania Jezusa. Powiedz mi, czy sprawujesz władzę – jakże wiele osób sprawuje władzę – pytam was; sprawujesz władzę? Bądź świętym, walcząc o dobro wspólne i wyrzekając się swoich interesów osobistych” (por. Adhort. apost. Gaudete et exsultate, 14). Oto droga do świętości, taka prosta! Zawsze patrz na Jezusa obecnego w innych ludziach.

Służyć Ewangelii oraz braciom i siostrom, ofiarować swoje życie nie oczekując niczego w zamian – oto tajemnica: dawać nie oczekując niczego w zamian - bez szukania jakiejkolwiek chwały światowej: my także jesteśmy do tego powołani. Nasi towarzysze podróży, dziś kanonizowani, doświadczyli świętości w ten sposób: przyjmując z entuzjazmem swoje powołanie – kapłana, niektórzy osoby konsekrowanej, inni osoby świeckiej – poświęcili się dla Ewangelii, odkryli radość, która nie ma sobie równych i stali się jaśniejącymi odbiciami Pana w dziejach. Święty czy też święta swą właśnie tym: jaśniejącym odbicie Pana w dziejach. Spróbujmy także i my. droga do świętości nie jest zamknięta, jest powszechna, jest wezwaniem dla każdego z nas, zaczyna się od chrztu, nie jest zamknięta. Spróbujmy i my, bo każdy z nas jest powołany do świętości, do świętości jedynej i niepowtarzalnej. Świętość jest zawsze oryginalna, jak powiedział bł. Carlo Acutis: nie ma świętości w kserokopii, świętość jest oryginalna, jest moja, twoja, każdego z nas. Jest on wyjątkowa i niepowtarzalna. Tak, Pan ma dla każdego plan miłości, ma marzenie dla twojego życia, dla mojego życia, dla życia każdego z nas. Cóż chcecie, aby wam powiedział? Realizujcie go z radością. Dziękuję.

[00759-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة إعلان قدّيسين جُدُد

يوم الأحد 15 أيّار/مايو 2022

ساحة القدّيس بطرس

أصغينا إلى بعض الكلمات التي قالها يسوع لتلاميذه قبل أن ينتقل من هذا العالم إلى الآب السّماوي، وهي كلمات تبيِّن لنا ما معنى أن نكون مسيحيّين. قال: "كما أَحبَبتُكم، أَحِبُّوا أَنتُم أَيضًا بَعضُكم بَعْضًا" (يوحنّا 13، 34). هذه هي الوصيّة التي تركها لنا السيّد المسيح، وهي المعيار الأساسيّ لنميّز هل نحن حقًّا تلاميذه أم لا: إنّها وصيّة المحبّة. لنتوقّف عند عنصرين أساسيّين في هذه الوصيّة، هُما: محبّة يسوع لنا - كما أَحبَبتُكم - والمحبّة التي طلب منّا أن نعيشها - أَحِبُّوا أَنتُم أَيضًا بَعضُكم بَعْضًا -.

أوّلًا، كما أَحبَبتُكم. كيف أحبّنا يسوع؟ أحبّنا حتّى النّهاية، وحتّى بذل نفسه كاملةً. من المؤثّر أنّه أعلن هذه الكلمات في ليلة مظلمة، بينما كان الجوّ في العُليّة مُثقَلًا بالانفعال والقلق: بالانفعال لأنّ المعلّم كان يودّع تلاميذه، وبالقلق لأنّه أعلن أنّ واحدًا منهم بالتّحديد سوف يخونه. يمكننا أن نتخيّل حجم الألم الذي كان يحمله يسوع في نفسه، وحجم الظُّلمة التي كانت تزداد في قلب الرّسل، وحجم المرارة عندما رأى يهوذا الذي غادر الغرفة ليدخل ليلة الخيانة، بعد أن تلقّى الّلقمة التي غمسها المعلّم وناوله إياها. في ساعة الخيانة بالتّحديد، أكّد يسوع محبّته لتلاميذه. لأنّه في ظُلمة الحياة وعواصفها، هذا هو الجوهر: أنّ الله يحبّنا.

أيّها الإخوة والأخوات، ليكن هذا الإعلان هو المحور عندما نعترف بإيماننا وعندما نعبّر عنه: "لَسنا نَحنُ أَحبَبْنا الله، بل هو أَحبَّنا" (1 يوحنّا 4، 10). لا ننسَ هذا أبدًا. لا يوجد في المحور مهارتنا واستحقاقاتنا، بل محبّة الله غير المشروطة والمجانيّة، التي لم نستحقّها. في البداية عندما أصبحنا مسيحيّين، لم تكن هناك عقائد وأعمال، بل كانت دهشتنا في اكتشافنا أنّنا محبوبون، قبل أيّ جواب منّا. بينما يريد العالم غالبًا أن يُقنعنا بأنّه لا قيمة لنا إلّا إذا حقّقنا إنجازات، يذكّرنا الإنجيل بحقيقة الحياة، وهي: نحن محبوبون. وهذه هي قيمتنا: نحن محبوبون. هكذا كتب معلّم روحي في عصرنا، قال: "قبل أن يرانا أيّ إنسان، رآنا الله بعيون المحبّة. قبل أن يسمعنا أيّ شخص نبكي أو نضحك، سمعنا إلهنا الذي هو كلّه آذانٌ مُصغِية إلينا. قبل أن يكلّمنا أيّ شخص في هذا العالم، كان صوت المحبّة الأبدي يكلّمنا" (H. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 1997, 50) . لقد أحبّنا الله أوّلًا، وانتظرنا. إنّه يحبّنا، ولا يزال يحبّنا. هذه هي هويتنا: أنّ الله أحبّنا. وهذه هي قوّتنا: أنّ الله أحبّنا.

هذه الحقيقة تطلب منّا أن نراجع الفكرة التي قد نحملها غالبًا عن القداسة. أحيانًا، عندما نصرّ كثيرًا على جهدنا لكي نقوم بأعمال صالحة، ننشئ مثالًا للقداسة يتكلّ كثيرًا على أنفسنا، وعلى مآثرنا الشخصيّة، وعلى قدرتنا على التّجرد، وعلى تضحيتنا من أجل الفوز بالجّائزة. إنّها أحيانًا رؤية بلاجية للحياة وللقداسة. هكذا جعلنا القداسة هدفًا منيعًا، وفصلناها عن الحياة اليوميّة بدل أن نبحث عنها ونعانقها في الحياة اليوميّة، وفي غبار الطّريق، وفي متاعب الحياة الحقيقيّة، وكما قالت تيريزا الأفيليّة لأخواتها، ”بين أواني المطبخ“. أن نكون تلاميذ ليسوع ونسير على طريق القداسة، يعني أوّلًا أن نتبدّل بقوّة محبّة الله. لا ننسَ أولويّة الله على الأنا، وأولويّة الرّوح القدس على الجسَد، وأولويّة النّعمة على الأعمال. أحيانًا نعطي وزناً أكبر، وأهميّة أكبر للأنا والجسَد والأعمال. لا: علينا أن نعطي أولويّة الله على الأنا، وأولويّة الرّوح على الجسَد، وأولويّة النّعمة على الأعمال.

المحبّة التي ننالها من الرّبّ يسوع هي القوّة التي تغيّر حياتنا: إنّها تفتح قلوبنا وتهيّئنا لأن نحبّ. لهذا قال يسوع - وهذا هو الجانب الثاني - "كما أَحبَبتُكم، أَحِبُّوا أَنتُم أَيضًا بَعضُكم بَعْضًا". ليست مجرّد دعوة لأن نقلّد محبّة يسوع، بل تعني أنّنا يمكننا أن نحبّ فقط لأنّه أحبّنا، ولأنّه منح قلوبنا روحه الخاصّة، روح القداسة، والمحبّة التي تشفينا وتغيّرنا. لهذا يمكننا أن نحدّد مواقفنا، ونقوم بأعمال محبّة في كلّ ظرف ومع كلّ أخ وأخت نلتقي بهما، لأنّ الله أحبّنا ولدينا القوّة على أن نحبّ. هكذا كما أنا أُحببت، يمكنني أن أحبّ. المحبّة التي أحقّقها هي دائمًا متّحدة مع محبّة يسوع لي: ”هكذا“. كما أحبّني، هكذا يمكنني أن أحبّ. وهكذا تكون الحياة المسيحيّة بسيطة جدًّا، إنّها بسيطة جدًّا! نحن نجعلها أكثر تعقيدًا، مع أمور عديدة، لكنّها هي بسيطة.

وعمليًّا، ماذا يعني أن نعيش هذه المحبّة؟ قبل أن يترك لنا هذه الوصيّة، غسل يسوع أرجل تلاميذه، وبعد أن أعلن هذه الوصيّة، أسلم نفسه على خشبة الصّليب. المحبّة تعني هذا: أن نخدم ونهب حياتنا. أن نخدم، أي ألّا نضع مصالحنا في المرتبة الأولى، وأن نتطهّر من سموم الجشع والمنافسة، وأن نحارب سرطان اللامبالاة ودودة المرجعيّة الذاتيّة، ونشارك الآخرين المواهب والعطايا التي منحنا إيّاها الله. لنسأل أنفسنا، فعليًّا: ”ماذا أفعل أنا للآخرين؟“. هذه هي المحبّة. وبعد ذلك، أعيش الأمور اليوميّة بروح الخدمة، وبمحبّة ومن دون صخب، ومن دون أن أطالب بأيّ شيء.

ثمّ، ”أن نهب حياتنا“، وهو ليس أن نقدّم شيئًا ما فقط، على سبيل المثال، أن نقدّم بعض ما نملك للآخرين، بل هو أن نهب أنفسنا. أحبّ أن أسأل الأشخاص الذين يطلبون مني نصيحة: ”قل لي، هل تتصدّق؟“ - ”نعم، يا أبتِ، أنا أتصدّق على الفقراء“ - ”وعندما تتصدّق، هل تلمس يدّ الشخص، أو ترمي الصّدقة وتفعل هكذا لكي تريح ضميرك؟“. فتصبح وجوههم حمراء: فيقولون: ”لا، أنا لا ألمس“. ”عندما تتصدّق، هل تنظر في عين الشخص الذي تساعده، أم تنظر في مكان آخر؟“ - ”أنا لا أنظر“. المسوا وانظروا إلى جسد المسيح الذي يتألّم في إخوتنا وأخواتنا. هذا مهم جدًّا. هذا هو إعطاء الحياة. لا تقوم القداسة ببعض الأعمال البطوليّة القليلة، بل بكثير من المحبّة اليوميّة. أنتِ مكرّسة أو أنتَ مُكرّس؟ - يوجد الكثير منهم هنا اليوم - كُن قدّيسًا بعيش تكريسك بفرح. أنت شخص متزوِّج أو متزوّجة؟ كن قدّيسًا بحبّك واهتمامك بشريكك كما صنع المسيح مع الكنيسة. أنت عامل أو عاملة؟ كُن قدِّيسًا وأنت تتمّم عملك بصدق وكفاءة في خدمة الإخوة، وناضل من أجل عدالة رفقائك، حتى لا يبقون بلا عمل، وحتى يحصلوا على الراتب المناسب. أنت والد أو والدة أو جدّة أو جدّ؟ كن قدّيسًا بتعليمك الأطفال بصبر أن يتّبعوا يسوع. قل لي، أنت صاحب سلطة؟ - وهنا يوجد أناس كثيرون أصحاب سلطة – أسألكم: أنت صاحب سلطة؟ كُن قدّيسًا بالنضال في سبيل الخير العام والتخلّي عن المصالح الشخصيّة (راجع الإرشاد الرسولي، اِفرَحوا وابتَهِجوا، 14). هذه هي طريق القداسة، إنّها بسيطة! أنظروا دائمًا إلى يسوع في الآخرين.

أن نخدم الإنجيل والإخوة، ونقدّم حياتنا من دون فائدة تعود علينا - هذا هو السّر: أن نقدّم من دون فائدة تعود علينا - ومن دون أن نبحث عن أيّ مجدٍ دنيويّ: نحن أيضًا مدعوّون إلى هذا. رفقاؤنا في السّفر، الذين نعلن قداستهم اليوم، عاشوا القداسة بهذه الطّريقة: قبلوا دعوتهم بحماس – الكاهن، والمكرّسة، والعلمانيّ – وبذلوا أنفسهم من أجل الإنجيل، واكتشفوا فرحًا لا مثيل له، وأصبحوا انعكاسًا مشعًّا للرّبّ يسوع في التاريخ. هذا هو القدّيس أو القدّيسة: هو انعكاس مشعٌّ للرّبّ يسوع في التاريخ. لنحاول نحن أيضًا: الطريق إلى القداسة ليست مغلقةً، إنّها كونيّة، وهي دعوةٌ لنا جميعًا، تبدأ بالمعمودية، إنّها ليست مغلقةً. لنحاول نحن أيضًا، لأن كلّ واحدٍ منّا مدعُوٌّ إلى القداسة، مدعُوٌّ إلى قداسةٍ فريدة لا تتكرّر. القداسة هي دائمًا أصليّة، كما قال الطوباوي كارلو أكوتيس: لا توجد قداسة مصوّرة، القداسة أصليّة، إنّها لي، ولك، ولكلّ واحد منا. إنّها فريدة لا تتكرّر. نَعم، الرّبّ يسوع لديه خطّة حبّ لكلّ واحدٍ، ولديه حِلم لحياتك ولحياتي ولحياة كلّ واحد منا. ماذا تريدون مني أن أقول لكم؟ سيرُوا به بفرح. شكرًا.

[00759-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0360-XX.02]