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Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la II Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani che si celebra la quarta domenica di luglio – quest’anno il 24 luglio - sul tema "Nella vecchiaia daranno ancora frutti" (Sal 92,15):
Testo in lingua italiana
"Nella vecchiaia daranno ancora frutti" (Sal 92,15)
Carissima, carissimo!
Il versetto del salmo 92 «nella vecchiaia daranno ancora frutti» (v. 15) è una buona notizia, un vero e proprio “vangelo”, che in occasione della seconda Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani possiamo annunciare al mondo. Esso va controcorrente rispetto a ciò che il mondo pensa di questa età della vita; e anche rispetto all’atteggiamento rassegnato di alcuni di noi anziani, che vanno avanti con poca speranza e senza più attendere nulla dal futuro.
A molti la vecchiaia fa paura. La considerano una sorta di malattia con la quale è meglio evitare ogni tipo di contatto: i vecchi non ci riguardano – pensano – ed è opportuno che stiano il più lontano possibile, magari insieme tra loro, in strutture che se ne prendano cura e ci preservino dal farci carico dei loro affanni. È la “cultura dello scarto”: quella mentalità che, mentre fa sentire diversi dai più deboli ed estranei alla loro fragilità, autorizza a immaginare cammini separati tra “noi” e “loro”. Ma, in realtà, una lunga vita – così insegna la Scrittura – è una benedizione, e i vecchi non sono reietti dai quali prendere le distanze, bensì segni viventi della benevolenza di Dio che elargisce la vita in abbondanza. Benedetta la casa che custodisce un anziano! Benedetta la famiglia che onora i suoi nonni!
La vecchiaia, in effetti, è una stagione non facile da comprendere, anche per noi che già la viviamo. Nonostante giunga dopo un lungo cammino, nessuno ci ha preparato ad affrontarla, sembra quasi coglierci di sorpresa. Le società più sviluppate spendono molto per questa età della vita, ma non aiutano a interpretarla: offrono piani di assistenza, ma non progetti di esistenza.[1] Perciò è difficile guardare al futuro e cogliere un orizzonte verso il quale tendere. Da una parte siamo tentati di esorcizzare la vecchiaia nascondendo le rughe e facendo finta di essere sempre giovani, dall’altra sembra che non si possa far altro che vivere in maniera disillusa, rassegnati a non avere più “frutti da portare”.
La fine dell’attività lavorativa e i figli ormai autonomi fanno venir meno i motivi per i quali abbiamo speso molte delle nostre energie. La consapevolezza che le forze declinano o l’insorgere di una malattia possono mettere in crisi le nostre certezze. Il mondo – con i suoi tempi veloci, rispetto ai quali fatichiamo a tenere il passo – sembra non lasciarci alternative e ci porta a interiorizzare l’idea dello scarto. Così sale al cielo la preghiera del salmo: «Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, / non abbandonarmi quando declinano le mie forze» (71,9).
Ma lo stesso salmo – che rintraccia la presenza del Signore nelle diverse stagioni dell’esistenza – ci invita a continuare a sperare: venuta la vecchiaia e i capelli bianchi, Egli ci darà ancora vita e non lascerà che siamo sopraffatti dal male. Confidando in Lui, troveremo la forza per moltiplicare la lode (cfr vv. 14-20) e scopriremo che diventare vecchi non è solo il deterioramento naturale del corpo o lo scorrere ineluttabile del tempo, ma è il dono di una lunga vita. Invecchiare non è una condanna, ma una benedizione!
Dobbiamo, per questo, vigilare su noi stessi e imparare a condurre una vecchiaia attiva anche dal punto di vista spirituale, coltivando la nostra vita interiore attraverso la lettura assidua della Parola di Dio, la preghiera quotidiana, la consuetudine con i Sacramenti e la partecipazione alla Liturgia. E, insieme alla relazione con Dio, le relazioni con gli altri: anzitutto la famiglia, i figli, i nipoti, ai quali offrire il nostro affetto pieno di premure; come pure le persone povere e sofferenti, alle quali farsi prossimi con l’aiuto concreto e con la preghiera. Tutto questo ci aiuterà a non sentirci meri spettatori nel teatro del mondo, a non limitarci a “balconear”, a stare alla finestra. Affinando invece i nostri sensi a riconoscere la presenza del Signore,[2] saremo come “olivi verdeggianti nella casa di Dio” (cfr Sal 52,10), potremo essere benedizione per chi vive accanto a noi.
La vecchiaia non è un tempo inutile in cui farci da parte tirando i remi in barca, ma una stagione in cui portare ancora frutti: c’è una missione nuova che ci attende e ci invita a rivolgere lo sguardo al futuro. «La speciale sensibilità di noi vecchi, dell’età anziana per le attenzioni, i pensieri e gli affetti che ci rendono umani, dovrebbe ridiventare una vocazione di tanti. E sarà una scelta d’amore degli anziani verso le nuove generazioni».[3] È il nostro contributo alla rivoluzione della tenerezza,[4] una rivoluzione spirituale e disarmata di cui invito voi, cari nonni e anziani, a diventare protagonisti.
Il mondo vive un tempo di dura prova, segnato prima dalla tempesta inaspettata e furiosa della pandemia, poi da una guerra che ferisce la pace e lo sviluppo su scala mondiale. Non è casuale che la guerra sia tornata in Europa nel momento in cui la generazione che l’ha vissuta nel secolo scorso sta scomparendo. E queste grandi crisi rischiano di renderci insensibili al fatto che ci sono altre “epidemie” e altre forme diffuse di violenza che minacciano la famiglia umana e la nostra casa comune.
Di fronte a tutto ciò, abbiamo bisogno di un cambiamento profondo, di una conversione, che smilitarizzi i cuori, permettendo a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello. E noi, nonni e anziani, abbiamo una grande responsabilità: insegnare alle donne e gli uomini del nostro tempo a vedere gli altri con lo stesso sguardo comprensivo e tenero che rivolgiamo ai nostri nipoti. Abbiamo affinato la nostra umanità nel prenderci cura del prossimo e oggi possiamo essere maestri di un modo di vivere pacifico e attento ai più deboli. La nostra, forse, potrà essere scambiata per debolezza o remissività, ma saranno i miti, non gli aggressivi e i prevaricatori, a ereditare la terra (cfr Mt 5,5).
Uno dei frutti che siamo chiamati a portare è quello di custodire il mondo. «Siamo passati tutti dalle ginocchia dei nonni, che ci hanno tenuti in braccio»;[5] ma oggi è il tempo di tenere sulle nostre ginocchia – con l’aiuto concreto o anche solo con la preghiera –, insieme ai nostri, quei tanti nipoti impauriti che non abbiamo ancora conosciuto e che magari fuggono dalla guerra o soffrono per essa. Custodiamo nel nostro cuore – come faceva San Giuseppe, padre tenero e premuroso – i piccoli dell’Ucraina, dell’Afghanistan, del Sud Sudan…
Molti di noi hanno maturato una saggia e umile consapevolezza, di cui il mondo ha tanto bisogno: non ci si salva da soli, la felicità è un pane che si mangia insieme. Testimoniamolo a coloro che si illudono di trovare realizzazione personale e successo nella contrapposizione. Tutti, anche i più deboli, possono farlo: il nostro stesso lasciarci accudire – spesso da persone che provengono da altri Paesi – è un modo per dire che vivere insieme non solo è possibile, ma necessario.
Care nonne e cari nonni, care anziane e cari anziani, in questo nostro mondo siamo chiamati ad essere artefici della rivoluzione della tenerezza! Facciamolo, imparando a utilizzare sempre di più e sempre meglio lo strumento più prezioso che abbiamo, e che è il più appropriato alla nostra età: quello della preghiera. «Diventiamo anche noi un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle che ci insegna la Parola di Dio».[6] La nostra invocazione fiduciosa può fare molto: può accompagnare il grido di dolore di chi soffre e può contribuire a cambiare i cuori. Possiamo essere «la “corale” permanente di un grande santuario spirituale, dove la preghiera di supplica e il canto di lode sostengono la comunità che lavora e lotta nel campo della vita».[7]
Ecco allora che la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani è un’occasione per dire ancora una volta, con gioia, che la Chiesa vuole far festa insieme a coloro che il Signore – come dice la Bibbia – ha “saziato di giorni”. Celebriamola insieme! Vi invito ad annunciare questa Giornata nelle vostre parrocchie e comunità; ad andare a trovare gli anziani più soli, a casa o nelle residenze dove sono ospiti. Facciamo in modo che nessuno viva questo giorno nella solitudine. Avere qualcuno da attendere può cambiare l’orientamento delle giornate di chi non si aspetta più nulla di buono dall’avvenire; e da un primo incontro può nascere una nuova amicizia. La visita agli anziani soli è un’opera di misericordia del nostro tempo!
Chiediamo alla Madonna, Madre della Tenerezza, di fare di tutti noi degli artefici della rivoluzione della tenerezza, per liberare insieme il mondo dall’ombra della solitudine e dal demone della guerra.
A tutti voi e ai vostri cari giunga la mia Benedizione, con l’assicurazione della mia affettuosa vicinanza. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me!
Roma, San Giovanni in Laterano, 3 maggio, festa dei santi Apostoli Filippo e Giacomo
FRANCESCO
___________________
[1] Catechesi sulla Vecchiaia - 1. La grazia del tempo e l’alleanza delle età della vita (23 febbraio 2022).
[2] Catechesi sulla Vecchiaia - 5. La fedeltà alla visita di Dio per la generazione che viene (30 marzo 2022).
[3] Catechesi sulla Vecchiaia - 3. L’anzianità, risorsa per la giovinezza spensierata (16 marzo 2022).
[4] Catechesi su San Giuseppe - 8. San Giuseppe padre nella tenerezza (19 gennaio 2022).
[5] Omelia nella Messa per la I Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani (25 luglio 2021).
[6] Catechesi sulla famiglia - 7. I nonni (11 marzo 2015).
[7] Ibid..
[00716-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
«Ils portent encore des fruits dans la vieillesse » (Ps 92, 15)
Très chers !
Le verset du psaume 92, «ils portent encore des fruits dans la vieillesse » (v. 15), est une bonne nouvelle, un véritable "évangile" que nous pouvons annoncer au monde à l’occasion de la Deuxième Journée Mondiale des Grands-parents et des Personnes âgées. Il va à contre-courant de ce que le monde pense de cet âge de la vie ; et aussi de l’attitude résignée de certains d’entre nous, personnes âgées, qui avancent avec peu d’espérance et sans plus rien attendre de l’avenir.
Beaucoup de gens ont peur de la vieillesse. Ils la considèrent comme une sorte de maladie avec laquelle il vaut mieux éviter toute sorte de contact : les personnes âgées ne nous concernent pas – pensent-ils – et il est opportun qu’elles restent le plus loin possible, peut-être entre elles, dans des structures qui s’occupent d’elles et nous préservent d’endosser leurs chagrins. C’est la "culture du rebut" : cette mentalité qui, tout en nous faisant nous sentir différents des plus faibles et étrangers à leur fragilité, nous autorise à imaginer des chemins séparés entre "nous" et "eux". Mais, en réalité, une longue vie – comme l’enseigne l’Écriture – est une bénédiction, et les vieillards ne sont pas des rejetés desquels il faut prendre distances, mais des signes vivants de la bienveillance de Dieu qui donne la vie en abondance. Bénie soit la maison qui garde une personne âgée ! Bénie soit la famille qui honore ses grands-parents !
La vieillesse, en effet, est une saison difficile à comprendre, même pour nous qui la vivons déjà. Bien qu’elle arrive après un long chemin, personne ne nous a préparés à l’affronter, elle semble presque nous prendre par surprise. Les sociétés les plus développées dépensent beaucoup pour cet âge de la vie, mais elles n’aident pas à l’interpréter: elles offrent des plans d’assistance, mais pas des projets de vie.[1] C’est pourquoi il est difficile de regarder vers l’avenir et de saisir un horizon vers lequel tendre. D’une part, nous sommes tentés d’exorciser la vieillesse en cachant les rides et en faisant semblant d’être toujours jeunes, d’autre part, il semble que l’on ne puisse rien faire d’autre que vivre de manière désenchantée, résignée à ne plus avoir de "fruits à porter".
La fin de l’activité professionnelle et le fait que nous ayons des enfants indépendants nous font perdre les raisons pour lesquelles nous avons dépensé beaucoup d’énergies. La conscience que les forces diminuent ou l’apparition d’une maladie peuvent mettre en crise nos certitudes. Le monde – avec ses temps rapides, par rapport auxquels nous avons de la peine à suivre le rythme - semble ne pas nous laisser d’alternatives et nous conduit à intérioriser l’idée de la mise au rebut. Ainsi monte au ciel la prière du psaume: « Ne me rejette pas maintenant que j'ai vieilli, / alors que décline ma vigueur, ne m'abandonne pas » (71, 9).
Mais le même psaume – qui retrace la présence du Seigneur dans les différentes saisons de l’existence – nous invite à continuer à espérer: quand viendra la vieillesse et les cheveux blancs, Il nous donnera encore la vie et ne permettra pas que nous soyons submergés par le mal. En ayant confiance en Lui, nous trouverons la force de multiplier la louange (cf. vv. 14-20) et nous découvrirons que devenir vieux n’est pas seulement la détérioration naturelle du corps ou le passage inéluctable du temps, mais le don d’une longue vie. Vieillir n’est pas une condamnation, mais une bénédiction !
Pour cela, nous devons veiller sur nous-mêmes et apprendre à mener une vieillesse active, même du point de vue spirituel, en cultivant notre vie intérieure à travers la lecture assidue de la Parole de Dieu, la prière quotidienne, l’usage des sacrements et la participation à la Liturgie. Et, avec la relation avec Dieu, les relations avec les autres: avant tout la famille, les enfants, les petits-enfants, auxquels nous devons offrir notre affection pleine d’attention ; ainsi que les personnes pauvres et souffrantes, auxquelles nous devons nous faire proches par l’aide concrète et par la prière. Tout cela nous aidera à ne pas nous sentir de simples spectateurs dans le théâtre du monde, à ne pas nous contenter de "regarder du balcon", à rester à la fenêtre. En affinant au contraire nos sens à reconnaître la présence du Seigneur,[2] nous serons comme de "beaux oliviers dans la maison de Dieu" (Ps 52, 10), nous pourrons être une bénédiction pour ceux qui vivent à côté de nous.
La vieillesse n’est pas un temps inutile où nous devrions rester en retrait en cessant de progresser, mais une saison où l’on peut porter encore des fruits: une nouvelle mission nous attend et nous invite à tourner notre regard vers l’avenir. «La particulière sensibilité de nous autres, les personnes âgées, pour les marques d'attention, les pensées et les marques d'affection qui nous rendent humains, devrait redevenir une vocation pour beaucoup. Et ce sera un choix d'amour des personnes âgées envers les nouvelles générations».[3] C’est notre contribution à la révolution de la tendresse,[4] une révolution spirituelle et désarmée dont je vous invite, chers grands-parents et personnes âgées, à devenir les protagonistes.
Le monde vit un temps de dure épreuve, marqué d’abord par la tempête inattendue et furieuse de la pandémie, puis par une guerre qui blesse la paix et le développement à l’échelle mondiale. Ce n’est pas un hasard si la guerre est revenue en Europe au moment où la génération qui l’a vécue au siècle dernier est en train de disparaître. Et ces grandes crises risquent de nous rendre insensibles au fait qu’il existe d’autres "épidémies" et d’autres formes diffuses de violence qui menacent la famille humaine et notre maison commune.
Face à tout cela, nous avons besoin d’un changement profond, d’une conversion qui démilitarise les cœurs en permettant à chacun de reconnaître en l’autre un frère. Et nous, grands-parents et personnes âgées, avons une grande responsabilité: enseigner aux femmes et aux hommes de notre temps à voir les autres avec le même regard compréhensif et tendre que nous portons sur nos petits-enfants. Nous avons affiné notre humanité en prenant soin des autres et, aujourd’hui, nous pouvons être des maîtres d’une manière de vivre pacifique et attentif aux plus faibles. Cela, peut-être, pourra être vu comme une faiblesse ou une soumission, mais ce seront les doux, non les agressifs et les prévaricateurs, qui recevront la terre en héritage (cf. Mt 5,5).
Un des fruits que nous sommes appelés à porter est celui de prendre soin du monde. « Nous sommes tous passés par les genoux des grands-parents, qui nous ont tenus dans les bras » ;[5] mais aujourd’hui, il est temps de tenir sur nos genoux – par l’aide concrète ou même seulement par la prière –, en plus des nôtres, ces nombreux petits-enfants effrayés que nous ne connaissons pas encore et qui, peut-être, fuient la guerre ou souffrent à cause d’elle. Gardons dans notre cœur – comme le faisait saint Joseph, père tendre et attentionné – les enfants d’Ukraine, d’Afghanistan, du Sud-Soudan...
Beaucoup d’entre nous ont mûri une conscience sage et humble, dont le monde a tant besoin : on ne se sauve pas tout seul, le bonheur est un pain qui se mange ensemble. Témoignons-en à ceux qui se font illusion de trouver l’épanouissement personnel et le succès dans l’opposition. Tous, même les plus faibles, peuvent le faire : notre propre façon de nous laisser assister – souvent par des personnes provenant d’autres pays – est une façon de dire que vivre ensemble est non seulement possible, mais nécessaire.
Chères grands-mères et chers grands-pères, chères personnes âgées, nous sommes appelés à être dans notre monde des artisans de la révolution de la tendresse ! Faisons-le en apprenant à utiliser toujours plus et toujours mieux l’instrument le plus précieux que nous avons, et qui est le plus approprié à notre âge : celui de la prière. « Devenons, nous aussi, un peu poètes de la prière : prenons goût à chercher nos mots, réapproprions-nous de ce que nous enseigne la Parole de Dieu ».[6] Notre invocation confiante peut faire beaucoup : elle peut accompagner le cri de douleur de celui qui souffre et elle peut contribuer à changer les cœurs. Nous pouvons être « la "chorale" permanente d’un grand sanctuaire spirituel, où la prière de supplication et le chant de louange soutiennent la communauté qui travaille et lutte sur le terrain de la vie ».[7]
Voici donc que la Journée mondiale des grands-parents et des personnes âgées est une occasion pour dire encore une fois, avec joie, que l’Église veut faire la fête avec ceux que le Seigneur – comme le dit la Bible – a "rassasiés de jours". Célébrons-la tous ensemble ! Je vous invite à annoncer cette Journée dans vos paroisses et communautés ; à aller trouver les personnes âgées les plus seules, à la maison ou dans les résidences où elles vivent. Faisons en sorte que personne ne vive cette journée dans la solitude. Avoir quelqu’un à attendre peut changer l’orientation des journées de ceux qui n’attendent plus rien de bon de l’avenir ; et, d’une première rencontre, peut naître une nouvelle amitié. La visite aux personnes âgées seules est une œuvre de miséricorde de notre temps !
Demandons à la Vierge, Mère de la Tendresse, de faire de chacun de nous un artisan de la révolution de la tendresse, pour libérer ensemble le monde de l’ombre de la solitude et du démon de la guerre.
Que ma Bénédiction parvienne à vous tous et aux personnes qui vous sont chères, avec l’assurance de mon affectueuse proximité. Et, s’il vous plaît, n’oubliez pas de prier pour moi !
Rome, Saint-Jean-de-Latran, 3 mai 2022, fête des saints Apôtres Philippe et Jacques
FRANÇOIS
__________________
[1] Catéchèse sur la Vieillesse – 1. La grâce du temps et l'alliance des âges de la vie (23 février 2022).
[2] Catéchèse sur la Vieillesse - 5. La fidélité à la visite de Dieu pour la génération future (30 mars 200).
[3] Catéchèse sur la vieillesse - 3. La vieillesse, une ressource pour une jeunesse insouciante (16 mars 2022).
[4] Catéchèse sur saint Joseph - 8. Saint Joseph père dans la tendresse (19 janvier 2022).
[5] Homélie de la Messe pour la Ière Journée Mondiale des Grands-parents et des Personnes-âgées (25 juillet 2021).
[6] Catéchèse sur la famille 7. Les grands-parents (11 mars 2015).
[7] Ibid..
[00716-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
"In old age they will still bear fruit" (Psalm 92:15)
Dear Friends,
"In old age they will still bear fruit" (Ps 92:15). These words of the Psalmist are glad tidings, a true “gospel” that we can proclaim to all on this second World Day for Grandparents and the Elderly. They run counter to what the world thinks about this stage of life, but also to the attitude of grim resignation shown by some of us elderly people, who harbour few expectations for the future.
Many people are afraid of old age. They consider it a sort of disease with which any contact is best avoided. The elderly, they think, are none of their concern and should be set apart, perhaps in homes or places where they can be cared for, lest we have to deal with their problems. This is the mindset of the “throw-away culture”, which leads us to think that we are somehow different from the poor and vulnerable in our midst, untouched by their frailties and separated from “them” and their troubles. The Scriptures see things differently. A long life – so the Bible teaches – is a blessing, and the elderly are not outcasts to be shunned but living signs of the goodness of God who bestows life in abundance. Blessed is the house where an older person lives! Blessed is the family that honours the elderly!
Old age is not a time of life easily understood even by those of us who are already experiencing it. Even though it eventually comes with the passage of time, no one prepares us for old age, and at times it seems to take us by surprise. The more developed societies expend large sums on this stage of life without really helping people to understand and appreciate it; they offer healthcare plans to the elderly but not plans for living this age to the full.[1] This makes it hard to look to the future and discern what direction to take. On the one hand, we are tempted to ward off old age by hiding our wrinkles and pretending to be forever young, while on the other, we imagine that the only thing we can do is bide our time, thinking glumly that we cannot “still bring forth fruit”.
Retirement and grown children make many of the things that used to occupy our time and energy no longer so pressing. The recognition that our strength is ebbing or the onset of sickness can undermine our certainties. The fast pace of the world – with which we struggle to keep up – seems to leave us no alternative but to implicitly accept the idea that we are useless. We can resonate with the heartfelt prayer of the Psalmist: “Do not cast me off in the time of old age; forsake me not when my strength is spent” (71:9).
Yet that same psalm – which meditates on how the Lord has been present at every stage of our lives – urges us to persevere in hope. Along with old age and white hairs, God continues to give us the gift of life and to keep us from being overcome by evil. If we trust in him, we will find the strength to praise him still (cf. vv. 14-20). We will come to see that growing old is more than the natural decline of the body or the inevitable passage of time, but the gift of a long life. Aging is not a condemnation, but a blessing!
For this reason, we ought to take care of ourselves and remain active in our later years. This is also true from a spiritual standpoint: we ought to cultivate our interior life through the assiduous reading of the word of God, daily prayer, reception of the sacraments and participation in the liturgy. In addition to our relationship with God, we should also cultivate our relationships with others: first of all by showing affectionate concern for our families, our children and grandchildren, but also for the poor and those who suffer, by drawing near to them with practical assistance and our prayers. These things will help us not to feel like mere bystanders, sitting on our porches or looking out from our windows, as life goes on all around us. Instead, we should learn to discern everywhere the presence of the Lord.[2] Like “green olive trees in the house of God” (cf. Ps 52:10), we can become a blessing for those who live next to us.
Old age is no time to give up and lower the sails, but a season of enduring fruitfulness: a new mission awaits us and bids us look to the future. “The special sensibility that those of us who are elderly have for the concerns, thoughts and the affections that make us human should once again become the vocation of many. It would be a sign of our love for the younger generations”.[3] This would be our own contribution to the revolution of tenderness,[4] a spiritual and non-violent revolution in which I encourage you, dear grandparents and elderly persons, to take an active role.
Our world is passing through a time of trial and testing, beginning with the sudden, violent outbreak of the pandemic, and then by a war that is harming peace and development on a global scale. Nor is it a coincidence that war is returning to Europe at a time when the generation that experienced it in the last century is dying out. These great crises risk anaesthetizing us to the reality of other “epidemics” and other widespread forms of violence that menace the human family and our common home.
All this points to the need for a profound change, a conversion, that disarms hearts and leads us to see others as our brothers or sisters. We grandparents and elderly people have a great responsibility: to teach the women and men of our time to regard others with the same understanding and loving gaze with which we regard our own grandchildren. We ourselves have grown in humanity by caring for others, and now we can be teachers of a way of life that is peaceful and attentive to those in greatest need. This attitude may be mistaken for weakness or resignation, yet it will be the meek, not the aggressive and the abusive, who will inherit the earth (cf. Mt 5:5).
One fruit that we are called to bring forth is protecting the world. “Our grandparents held us in their arms and carried us on their knees”;[5] now is the time for us to carry on our own knees – with practical assistance or with prayer alone – not only our own grandchildren but also the many frightened grandchildren whom we have not yet met and who may be fleeing from war or suffering its effects. Let us hold in our hearts – like Saint Joseph, who was a loving and attentive father – the little ones of Ukraine, of Afghanistan, of South Sudan…
Many of us have come to a sage and humble realization of what our world very much needs: the recognition that we are not saved alone, and that happiness is a bread we break together. Let us bear witness to this before those who wrongly think that they can find personal fulfilment and success in conflict. Everyone, even the weakest among us, can do this. The very fact that we allow ourselves to be cared for – often by people who come from other countries – is itself a way of saying that living together in peace is not only possible, but necessary.
Dear grandparents, dear elderly persons, we are called to be artisans of the revolution of tenderness in our world! Let us do so by learning to make ever more frequent and better use of the most valuable instrument at our disposal and, indeed, the one best suited to our age: prayer. “Let us too become, as it were, poets of prayer: let us develop a taste for finding our own words, let us once again take up those taught by the word of God”.[6] Our trustful prayer can do a great deal: it can accompany the cry of pain of those who suffer, and it can help change hearts. We can be “the enduring ‘chorus’ of a great spiritual sanctuary, where prayers of supplication and songs of praise sustain the community that toils and struggles in the field of life”.[7]
The World Day of Grandparents and the Elderly is an opportunity to proclaim once more, with joy, that the Church wants to celebrate together with all those whom the Lord – in the words of the Bible – has “filled with days”. Let us celebrate it together! I ask you to make this Day known in your parishes and communities; to seek out those elderly persons who feel most alone, at home or in residences where they live. Let us make sure that no one feels alone on this day. Expecting a visit can transform those days when we think we have nothing to look forward to; from an initial encounter, a new friendship can emerge. Visiting the elderly who live alone is a work of mercy in our time!
Let us ask Our Lady, Mother of Tender Love, to make all of us artisans of the revolution of tenderness, so that together we can set the world free from the spectre of loneliness and the demon of war.
To all of you, and to your loved ones, I send my blessing and the assurance of my closeness and affection. And I ask you, please, not to forget to pray for me!
Rome, Saint John Lateran, 3 May 2022, Feast of the Apostles Philip and James
FRANCIS
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[1] Catechesis on Old Age – 1. The Grace of Time and the Covenant of the Ages of Life (23 February 2022).
[2] Catechesis on Old Age – 5. Fidelity to God’s Visitation for the Next Generation (30 March 2022).
[3] Catechesis on Old Age – 3. Old Age, A Resource for Lighthearted Youth (16 March 2022).
[4] Catechesis on Saint Joseph – 8. Saint Joseph, Father of Tenderness (19 January 2022).
[5] Homily at the Mass for the World Day for Grandparents and the Elderly (25 July 2021).
[6] Catechesis on the Family – 7. Grandparents (11 March 2015).
[7] Ibid.
[00716-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
»Sie tragen Frucht noch im Alter« (Psalm 92, 15)
Meine Lieben!
Der Vers aus Psalm 92 »sie tragen Frucht noch im Alter« (V. 15) ist eine gute Nachricht, ein wahres „Evangelium“, das wir der Welt anlässlich des zweiten Welttages der Großeltern und älteren Menschen verkünden können. Es steht dem entgegen, was die Welt über dieses Lebensalter denkt, und auch gegen die resignierte Haltung mancher älteren Menschen, die mit wenig Hoffnung weiterleben und sich nichts mehr von der Zukunft erwarten.
Viele Menschen haben Angst vor dem Alter. Sie betrachten sie als eine Art Krankheit, mit der man besser jeden Kontakt vermeidet: Alte Menschen gehen uns nichts an – so denken sie - und es ist angemessen, dass sie so weit weg wie möglich leben, vielleicht gemeinsam in Strukturen, die sich um sie kümmern und uns davor bewahren, ihre Lasten tragen zu müssen. Das ist die „Wegwerfkultur“: jene Mentalität, die das Gefühl gibt, anders als die Schwächsten zu sein und nicht von ihrer Zerbrechlichkeit betroffen, und die uns erlaubt, an getrennte Pfade zwischen „uns“ und „ihnen“ zu denken. Aber in Wirklichkeit ist ein langes Leben - wie die Heilige Schrift lehrt - ein Segen, und die Alten sind keine Ausgestoßenen, von denen man sich distanzieren muss, sondern lebendige Zeichen von Gottes Wohlwollen, das Leben in Fülle schenkt. Gesegnet ist das Haus, das sich um einen alten Menschen kümmert! Gesegnet ist die Familie, die ihre Großeltern ehrt!
Das Alter ist in der Tat eine Lebensphase, die nicht leicht zu verstehen ist, selbst für uns, die wir sie bereits erleben. Obwohl es nach einem langen Weg kommt, hat uns niemand darauf vorbereitet, es scheint uns fast zu überraschen. Die am weitesten entwickelten Gesellschaften geben viel Geld für dieses Lebensalter aus, aber sie helfen uns nicht, es zu deuten: Sie bieten Pflegepläne, aber keine Lebensprojekte[1]. Das macht es schwierig, in die Zukunft zu blicken und einen Horizont auszumachen, auf den man hinleben kann. Einerseits sind wir versucht, das Alter zu verbannen, indem wir unsere Falten verstecken und so tun, als wären wir noch jung; andererseits scheint es, als hätten wir keine andere Wahl, als desillusioniert zu leben und uns damit abzufinden, dass wir keine „Früchte mehr zu tragen“ haben.
Mit dem Ende des Arbeitslebens und der Eigenständigkeit der Kinder, die jetzt unabhängig sind, verschwinden die Gründe, für die wir viel Energie aufgewendet haben. Die Erkenntnis, dass unsere Kräfte nachlassen, oder der Ausbruch einer Krankheit können unsere Gewissheiten erschüttern. Die Welt mit ihrer Schnelllebigkeit, mit der wir nur schwer Schritt halten können, scheint uns keine Alternative zu lassen und führt dazu, dass wir den Gedanken von unserer Nutzlosigkeit verinnerlichen. So erhebt sich das Gebet des Psalms zum Himmel: »Verwirf mich nicht, wenn ich alt bin, verlass mich nicht, wenn meine Kräfte schwinden!« (71,9).
Aber derselbe Psalm, der die Gegenwart des Herrn in den verschiedenen Jahreszeiten des Lebens nachzeichnet, lädt uns ein, weiterhin zu hoffen: Wenn Alter und graue Haare kommen, wird er uns immer noch Leben schenken und uns nicht vom Bösen überwältigen lassen. Im Vertrauen auf ihn werden wir die Kraft finden, unseren Lobpreis noch zu mehren (vgl. VV. 14-20), und wir werden entdecken, dass das Älterwerden nicht nur der natürliche Verfall des Körpers oder das unausweichliche Vergehen der Zeit ist, sondern das Geschenk eines langen Lebens. Altwerden ist keine Strafe, sondern ein Segen!
Wir müssen also auf uns aufpassen und lernen, auch in geistlicher Hinsicht ein aktives Alter zu leben, indem wir unser inneres Leben durch eifriges Lesen des Wortes Gottes, tägliches Gebet, Vertrautheit mit den Sakramenten und Teilnahme an der Liturgie pflegen. Und, zusammen mit unserer Beziehung zu Gott, unsere Beziehungen zu anderen pflegen: vor allem in der Familie, mit den Kindern, den Enkelkinder, denen wir unsere Zuneigung und Fürsorge schenken, sowie mit armen und leidenden Menschen, denen wir durch konkrete Hilfe und Gebet nahe sein müssen. All dies wird uns helfen, uns nicht als bloße Zuschauer im Welttheater zu fühlen, uns nicht auf das „Zuschauen vom Balkon aus“ zu beschränken, am Fenster zu stehen. Wenn wir stattdessen unsere Sinne schärfen, um die Gegenwart des Herrn zu erkennen[2], werden wir wie »ein grünender Ölbaum im Haus Gottes« (vgl. Ps 52,10) und können ein Segen für diejenigen sein, die an unserer Seite leben.
Das Alter ist keine sinnlose Zeit, in der man das Handtuch wirft und sich zurückzieht, sondern eine Zeit, in der wir noch Früchte tragen können: Eine neue Aufgabe wartet auf uns, und sie lädt uns ein, in die Zukunft zu schauen. »Die besondere Sensibilität, die wir alten Menschen – das Alter – für die Aufmerksamkeiten, die Gedanken und die Liebe haben, die uns menschlich machen, sollte wieder zur Berufung für viele werden. Und es wird eine Entscheidung der alten Menschen für die Liebe gegenüber den neuen Generationen sein«[3]. Dies ist unser Beitrag zur Revolution der Zärtlichkeit[4], einer geistlichen und unbewaffneten Revolution, zu der ich euch, liebe Großeltern und ältere Menschen, einlade, um dessen Protagonisten zu werden.
Die Welt erlebt eine Zeit großer Prüfungen, zunächst durch den unerwarteten, heftigen Sturm der Pandemie und dann durch einen Krieg, der den Frieden und die Entwicklung auf globaler Ebene beschneidet. Es ist kein Zufall, dass der Krieg zu der Zeit nach Europa zurückgekehrt ist, in der die Generation, die ihn im letzten Jahrhundert erlebt hat, ausstirbt. Diese großen Krisen bergen die Gefahr, dass wir vergessen, dass es noch andere „Epidemien“ und weit verbreitete Formen von Gewalt gibt, die die Menschheitsfamilie und unser gemeinsames Haus bedrohen.
Angesichts all dessen brauchen wir eine tiefgreifende Veränderung, eine Umkehr, die die Herzen entmilitarisiert und bewirkt, dass wir im Nächsten einen Bruder erkennen. Wir Großeltern und Senioren haben da eine große Verantwortung: Wir müssen den Frauen und Männern unserer Zeit lehren, den Nächsten mit demselben Verständnis und zärtlichen Blick anzuschauen wie unsere Enkelkinder. Wir sind durch die Fürsorge für andere in unserer Menschlichkeit gewachsen und können heute Lehrer für eine friedliche Lebensweise sein, die achtsam gegenüber den Schwächsten ist. Unsere Haltung kann vielleicht als Schwäche oder Nachgiebigkeit missverstanden werden, doch es sind die Sanftmütigen, nicht die Aggressiven und Ausbeuter, die das Land erben werden (vgl. Mt 5,5).
Eine der Früchte, die wir zu tragen berufen sind, ist die Bewahrung der Welt. »Wir sind alle auf den Knien unserer Großeltern gesessen, die uns in ihren Armen hielten«[5]; aber heute ist es an der Zeit, auf unseren Knien - mit konkreter Hilfe oder auch nur mit Gebet - zusammen mit unseren eigenen die vielen verängstigten Enkelkinder sitzen zu lassen, die wir noch nicht kennen und die vielleicht vor dem Krieg fliehen oder unter ihm leiden. Lasst uns die Kleinen in der Ukraine, in Afghanistan, im Südsudan … in unser Herz schließen, so wie es der heilige Josef als ein zärtlicher und fürsorglicher Vater tat.
Viele von uns haben eine weise, schlichte Erkenntnis gewonnen, die die Welt bitter nötig hat: nämlich, dass wir uns nicht alleine retten, dass das Glück wie ein Brot ist, das wir zusammen essen. Geben wir davon denen ein Zeugnis, die meinen, persönliche Erfüllung und Erfolg in der Konfrontation zu finden. Das kann auch der Schwächste leben: selbst, dass wir uns betreuen lassen - oft von Menschen aus anderen Ländern -, ist ein Zeichen dafür, dass das Zusammenleben nicht nur möglich, sondern notwendig ist.
Liebe Großmütter und Großväter, liebe ältere Frauen und Männer, in dieser unserer Welt sind wir aufgerufen, die Revolution der Zärtlichkeit zu gestalten! Tun wir dies durch den häufigeren und besseren Einsatz des wertvollsten Hilfsmittels, das wir haben und das unserem Alter am angemessensten ist: dem Gebet. »Werden auch wir ein wenig zu Poeten des Gebets: Finden wir Geschmack daran, nach eigenen Worten zu suchen, machen wir uns jene zu eigen, die das Wort Gottes uns lehrt«[6]. Unsere vertrauensvollen Bittgebete können viel bewirken: Sie können den Schmerzensschrei der Leidenden begleiten und dazu beitragen, die Herzen zu verändern. Wir können der »ständige[n] „Chor“ eines großen geistlichen Heiligtums [sein], wo die Fürbitte und der Lobpreis die Gemeinschaft stützt, die auf dem Feld des Lebens arbeitet und kämpft«[7].
Deshalb ist der Welttag der Großeltern und älteren Menschen eine Gelegenheit, noch einmal mit Freude zu sagen, dass die Kirche gemeinsam mit denen feiern will, die der Herr - wie die Bibel sagt – „lebenssatt“ gemacht hat. Feiern wir gemeinsam! Ich lade euch ein, diesen Tag in euren Pfarreien und Gemeinden bekannt zu machen und die älteren Menschen, die am einsamsten sind, zu Hause oder in den Heimen, in denen sie leben, zu besuchen. Niemand soll diesen Tag in Einsamkeit verbringen. Jemanden zu haben, auf den man warten kann, kann die Blickrichtung der Tage derjenigen ändern, die sich nichts Gutes mehr von der Zukunft erwarten; und aus einem ersten Treffen kann eine neue Freundschaft entstehen. Der Besuch bei einsamen alten Menschen ist ein Werk der Barmherzigkeit unserer Zeit!
Bitten wir die Madonna, die Mutter der Zärtlichkeit, dass sie uns alle zu Mitarbeitern an der Revolution der Zärtlichkeit macht, damit wir gemeinsam die Welt von der Trübnis der Einsamkeit und vom Dämon des Krieges befreien können.
Mögen mein Segen und die Gewissheit meiner liebevollen Nähe euch alle und eure Lieben erreichen. Bitte vergesst nicht, für mich zu beten!
Rom, St. Johannes im Lateran, 3. Mai 2022, Fest der Heiligen Apostel Philippus und Jakobus
FRANZISKUS
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[1] Katechese über das Alter - 1. Die Gnade der Zeit und das Bündnis der Lebensalter (23. Februar 2022).
[2] Katechese über das Alter - 5. Die Treue zur Gegenwart Gottes für die kommende Generation (30. März 2022).
[3] Katechese über das Alter - 3. Das Alter, eine Ressource für die unbeschwerte Jugend (16. März 2022).
[4] Katechese über den heiligen Josef - 8. Der heilige Josef, Vater in Zärtlichkeit (19. Januar 2022).
[5] Predigt bei der Messe zum 1. Welttag der Großeltern und älteren Menschen (25. Juli 2021).
[6] Katechese über die Familie 7. Großeltern (11. März 2015).
[7] Ivi.
[00716-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
"En la vejez seguirán dando fruto" (Sal 92, 15)
Querida hermana, querido hermano:
El versículo del salmo 92 «en la vejez seguirán dando frutos» (v. 15) es una buena noticia, un verdadero “evangelio”, que podemos anunciar al mundo con ocasión de la segunda Jornada Mundial de los Abuelos y de los Mayores. Esto va a contracorriente respecto a lo que el mundo piensa de esta edad de la vida; y también con respecto a la actitud resignada de algunos de nosotros, ancianos, que siguen adelante con poca esperanza y sin aguardar ya nada del futuro.
La ancianidad a muchos les da miedo. La consideran una especie de enfermedad con la que es mejor no entrar en contacto. Los ancianos no nos conciernen —piensan— y es mejor que estén lo más lejos posible, quizá juntos entre ellos, en instalaciones donde los cuiden y que nos eviten tener que hacernos cargo de sus preocupaciones. Es la “cultura del descarte”, esa mentalidad que, mientras nos hace sentir diferentes de los más débiles y ajenos a sus fragilidades, autoriza a imaginar caminos separados entre “nosotros” y “ellos”. Pero, en realidad, una larga vida —así enseña la Escritura— es una bendición, y los ancianos no son parias de los que hay que tomar distancia, sino signos vivientes de la bondad de Dios que concede vida en abundancia. ¡Bendita la casa que cuida a un anciano! ¡Bendita la familia que honra a sus abuelos!
La ancianidad, en efecto, no es una estación fácil de comprender, tampoco para nosotros que ya la estamos viviendo. A pesar de que llega después de un largo camino, ninguno nos ha preparado para afrontarla, y casi parece que nos tomara por sorpresa. Las sociedades más desarrolladas invierten mucho en esta edad de la vida, pero no ayudan a interpretarla; ofrecen planes de asistencia, pero no proyectos de existencia.[1] Por eso es difícil mirar al futuro y vislumbrar un horizonte hacia el cual dirigirse. Por una parte, estamos tentados de exorcizar la vejez escondiendo las arrugas y fingiendo que somos siempre jóvenes, por otra, parece que no nos quedaría más que vivir sin ilusión, resignados a no tener ya “frutos para dar”.
El final de la actividad laboral y los hijos ya autónomos hacen disminuir los motivos por los que hemos gastado muchas de nuestras energías. La consciencia de que las fuerzas declinan o la aparición de una enfermedad pueden poner en crisis nuestras certezas. El mundo —con sus tiempos acelerados, ante los cuales nos cuesta mantener el paso— parece que no nos deja alternativa y nos lleva a interiorizar la idea del descarte. Esto es lo que lleva al orante del salmo a exclamar: «No me rechaces en mi ancianidad; no me abandones cuando me falten las fuerzas» (71,9).
Pero el mismo salmo —que descubre la presencia del Señor en las diferentes estaciones de la existencia— nos invita a seguir esperando. Al llegar la vejez y las canas, Él seguirá dándonos vida y no dejará que seamos derrotados por el mal. Confiando en Él, encontraremos la fuerza para alabarlo cada vez más (cf. vv. 14-20) y descubriremos que envejecer no implica solamente el deterioro natural del cuerpo o el ineludible pasar del tiempo, sino el don de una larga vida. ¡Envejecer no es una condena, es una bendición!
Por ello, debemos vigilar sobre nosotros mismos y aprender a llevar una ancianidad activa también desde el punto de vista espiritual, cultivando nuestra vida interior por medio de la lectura asidua de la Palabra de Dios, la oración cotidiana, la práctica de los sacramentos y la participación en la liturgia. Y, junto a la relación con Dios, las relaciones con los demás, sobre todo con la familia, los hijos, los nietos, a los que podemos ofrecer nuestro afecto lleno de atenciones; pero también con las personas pobres y afligidas, a las que podemos acercarnos con la ayuda concreta y con la oración. Todo esto nos ayudará a no sentirnos meros espectadores en el teatro del mundo, a no limitarnos a “balconear”, a mirar desde la ventana. Afinando, en cambio, nuestros sentidos para reconocer la presencia del Señor,[2] seremos como “verdes olivos en la casa de Dios” (cf. Sal 52,10), y podremos ser una bendición para quienes viven a nuestro lado.
La ancianidad no es un tiempo inútil en el que nos hacemos a un lado, abandonando los remos en la barca, sino que es una estación para seguir dando frutos. Hay una nueva misión que nos espera y nos invita a dirigir la mirada hacia el futuro. «La sensibilidad especial de nosotros ancianos, de la edad anciana por las atenciones, los pensamientos y los afectos que nos hacen más humanos, debería volver a ser una vocación para muchos. Y será una elección de amor de los ancianos hacia las nuevas generaciones».[3] Es nuestro aporte a la revolución de la ternura,[4] una revolución espiritual y pacífica a la que los invito a ustedes, queridos abuelos y personas mayores, a ser protagonistas.
El mundo vive un tiempo de dura prueba, marcado primero por la tempestad inesperada y furiosa de la pandemia, luego, por una guerra que afecta la paz y el desarrollo a escala mundial. No es casual que la guerra haya vuelto en Europa en el momento en que la generación que la vivió en el siglo pasado está desapareciendo. Y estas grandes crisis pueden volvernos insensibles al hecho de que hay otras “epidemias” y otras formas extendidas de violencia que amenazan a la familia humana y a nuestra casa común.
Frente a todo esto, necesitamos un cambio profundo, una conversión que desmilitarice los corazones, permitiendo que cada uno reconozca en el otro a un hermano. Y nosotros, abuelos y mayores, tenemos una gran responsabilidad: enseñar a las mujeres y a los hombres de nuestro tiempo a ver a los demás con la misma mirada comprensiva y tierna que dirigimos a nuestros nietos. Hemos afinado nuestra humanidad haciéndonos cargo de los demás, y hoy podemos ser maestros de una forma de vivir pacífica y atenta con los más débiles. Nuestra actitud tal vez pueda ser confundida con debilidad o sumisión, pero serán los mansos, no los agresivos ni los prevaricadores, los que heredarán la tierra (cf. Mt 5,5).
Uno de los frutos que estamos llamados a dar es el de proteger el mundo. «Todos hemos pasado por las rodillas de los abuelos, que nos han llevado en brazos»;[5] pero hoy es el tiempo de tener sobre nuestras rodillas —con la ayuda concreta o al menos con la oración—, junto con los nuestros, a todos aquellos nietos atemorizados que aún no hemos conocido y que quizá huyen de la guerra o sufren por su causa. Llevemos en nuestro corazón —como hacía san José, padre tierno y solícito— a los pequeños de Ucrania, de Afganistán, de Sudán del Sur.
Muchos de nosotros hemos madurado una sabia y humilde conciencia, que el mundo tanto necesita. No nos salvamos solos, la felicidad es un pan que se come juntos. Testimoniémoslo a aquellos que se engañan pensando encontrar realización personal y éxito en el enfrentamiento. Todos, también los más débiles, pueden hacerlo. Incluso dejar que nos cuiden —a menudo personas que provienen de otros países— es un modo para decir que vivir juntos no sólo es posible, sino necesario.
Queridas abuelas y queridos abuelos, queridas ancianas y queridos ancianos, en este mundo nuestro estamos llamados a ser artífices de la revolución de la ternura. Hagámoslo, aprendiendo a utilizar cada vez más y mejor el instrumento más valioso que tenemos, y que es el más apropiado para nuestra edad: el de la oración. «Convirtámonos también nosotros un poco en poetas de la oración: cultivemos el gusto de buscar palabras nuestras, volvamos a apropiarnos de las que nos enseña la Palabra de Dios».[6] Nuestra invocación confiada puede hacer mucho, puede acompañar el grito de dolor del que sufre y puede contribuir a cambiar los corazones. Podemos ser «el “coro” permanente de un gran santuario espiritual, donde la oración de súplica y el canto de alabanza sostienen a la comunidad que trabaja y lucha en el campo de la vida».[7]
Es por eso que la Jornada Mundial de los Abuelos y de los Mayores es una ocasión para decir una vez más, con alegría, que la Iglesia quiere festejar con aquellos a los que el Señor —como dice la Biblia— les ha concedido “una edad avanzada”. ¡Celebrémosla juntos! Los invito a anunciar esta Jornada en sus parroquias y comunidades, a ir a visitar a los ancianos que están más solos, en sus casas o en las residencias donde viven. Tratemos que nadie viva este día en soledad. Tener alguien a quien esperar puede cambiar el sentido de los días de quien ya no aguarda nada bueno del futuro; y de un primer encuentro puede nacer una nueva amistad. La visita a los ancianos que están solos es una obra de misericordia de nuestro tiempo.
Pidamos a la Virgen, Madre de la Ternura, que nos haga a todos artífices de la revolución de la ternura, para liberar juntos al mundo de la sombra de la soledad y del demonio de la guerra.
Que mi Bendición, con la seguridad de mi cercanía afectuosa, llegue a todos ustedes y a sus seres queridos. Y ustedes, por favor, no se olviden de rezar por mí.
Roma, San Juan de Letrán, 3 de mayo de 2022, fiesta de los santos apóstoles Felipe y Santiago.
FRANCISCO
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[1] Catequesis sobre la vejez, 1: “La gracia del tiempo y la alianza de las edades de la vida” (23 febrero 2022).
[2] Ibíd., 5: “La fidelidad a la visita de Dios para la generación que viene” (30 marzo 2022).
[3] Ibíd., 3: “La ancianidad, recurso para la juventud despreocupada” (16 marzo 2022).
[4] Catequesis sobre san José, 8: “San José padre en la ternura” (19 enero 2022).
[5] Homilía durante la Santa Misa, I Jornada Mundial de los Abuelos y de los Mayores (25 julio 2021).
[6] Catequesis sobre la familia, 7: “Los abuelos” (11 marzo 2015).
[7] Ibíd.
[00716-ES.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua portoghese
“Dão fruto mesmo na velhice” (Sl 92, 15)
Caríssima, caríssimo!
O versículo 15 do Salmo 92 – «dão fruto mesmo na velhice » – é uma boa notícia, um verdadeiro «evangelho» que podemos, por ocasião do II Dia Mundial dos Avós e Idosos, anunciar ao mundo. O mesmo vai contracorrente relativamente àquilo que o mundo pensa desta idade da vida e também ao comportamento resignado de alguns de nós, idosos, que caminhamos com pouca esperança e sem nada mais esperar do futuro.
Muitas pessoas têm medo da velhice. Consideram-na uma espécie de doença, com a qual é melhor evitar qualquer tipo de contacto: os idosos não nos dizem respeito – pensam elas – e é conveniente que estejam o mais longe possível, talvez juntos uns com os outros, em estruturas que cuidem deles e nos livrem da obrigação de nos ocuparmos das suas penas. É a «cultura do descarte»: aquela mentalidade que, enquanto nos faz sentir diversos dos mais frágeis e alheios à sua fragilidade, permite-nos imaginar caminhos separados entre «nós» e «eles». Mas, na realidade, uma vida longa – ensina a Sagrada Escritura – é uma bênção, e os idosos não são proscritos de quem se deve estar à larga, mas sinais vivos da benevolência de Deus que efunde a vida em abundância. Bendita a casa que guarda um ancião! Bendita a família que honra os seus avós!
Com efeito, a velhice constitui uma estação que não é fácil de entender, mesmo para nós que já a vivemos. Embora chegue depois dum longo caminho, ninguém nos preparou para a enfrentar; parece quase apanhar-nos de surpresa. As sociedades mais desenvolvidas gastam muito para esta idade da vida, mas não ajudam a interpretá-la: proporcionam planos de assistência, mas não projetos de existência.[1] Por isso é difícil olhar para o futuro e individuar um horizonte para onde tender. Por um lado, somos tentados a exorcizar a velhice, escondendo as rugas e fingindo ser sempre jovens, por outro parece que nada mais se possa fazer senão viver desiludidos, resignados a não ter mais «frutos para dar».
O fim da atividade laboral e os filhos já autónomos fazem esmorecer os motivos pelos quais gastamos muitas das nossas energias. A consciência de que as forças declinam ou o aparecimento duma doença podem pôr em crise as nossas certezas. O mundo – com os seus ritmos acelerados, que sentimos dificuldade em acompanhar – parece não nos deixar alternativa, levando-nos a interiorizar a ideia do descarte. Assim se eleva para o céu esta súplica do Salmo: «Não me rejeites no tempo da velhice; não me abandones, quando já não tiver forças» (71, 9).
Mas o mesmo Salmo, que repassa a presença do Senhor nas diversas estações da existência, convida-nos a continuar a esperar: chegada a velhice e os cabelos brancos, o Senhor continuará a dar-nos a vida e não deixará que sejamos oprimidos pelo mal. Confiando n’Ele, encontraremos a força para multiplicar o louvor (cf. Sal 71, 14-20) e descobriremos que envelhecer não é apenas a deterioração natural do corpo ou a passagem inevitável do tempo, mas também o dom duma vida longa. Envelhecer não é uma condenação, mas uma bênção!
Por isso, devemos vigiar sobre nós mesmos e aprender a viver uma velhice ativa, inclusive do ponto de vista espiritual, cultivando a nossa vida interior através da leitura assídua da Palavra de Deus, da oração diária, do recurso habitual aos Sacramentos e da participação na Liturgia. E, a par da relação com Deus, cultivemos as relações com os outros: antes de mais nada, com a família, os filhos, os netos, a quem havemos de oferecer o nosso afeto cheio de solicitude; bem como as pessoas pobres e atribuladas, das quais nos façamos próximo com a ajuda concreta e a oração. Tudo isto ajudará a não nos sentirmos meros espetadores no teatro do mundo, não nos limitarmos a olhar da sacada, a ficar à janela. Ao contrário, apurando os nossos sentidos para reconhecerem a presença do Senhor,[2] seremos como uma «oliveira verdejante na casa de Deus» (Sal 52, 10), poderemos ser uma bênção para quem vive junto de nós.
A velhice não é um tempo inútil, no qual a pessoa deva pôr-se de lado recolhendo os remos para dentro do barco, mas uma estação para continuar a dar fruto: há uma nova missão, que nos espera, convidando-nos a voltar os olhos para o futuro. «A nossa sensibilidade especial de idosos, da idade anciã às atenções, pensamentos e afetos que nos tornam humanos deve voltar a ser uma vocação para muitos. E será uma escolha de amor dos idosos para com as novas gerações».[3] É o nosso contributo para a revolução da ternura,[4] uma revolução espiritual e desarmada da qual vos convido, queridos avós e idosos, a fazer-vos protagonistas.
O mundo vive um período de dura provação, marcado primeiro pela tempestade inesperada e furiosa da pandemia, depois por uma guerra que fere a paz e o desenvolvimento à escala mundial. Não é por acaso que a guerra tenha voltado à Europa no momento em que está a desaparecer a geração que a viveu no século passado. E estas grandes crises correm o risco de nos tornar insensíveis ao facto de que existem outras «epidemias» e outras formas generalizadas de violência que ameaçam a família humana e a nossa casa comum.
Perante tudo isto, temos necessidade duma mudança profunda, duma conversão, que desmilitarize os corações, permitindo a cada um reconhecer no outro um irmão. E nós, avós e idosos, temos uma grande responsabilidade: ensinar às mulheres e aos homens do nosso tempo a contemplar os outros com o mesmo olhar compreensivo e terno que temos para com os nossos netos. Aprimoramos a nossa humanidade ao cuidar do próximo e, hoje, podemos ser mestres dum modo de viver pacífico e atento aos mais frágeis. A nossa atitude poderá, talvez, ser confundida com fraqueza ou servilismo, mas serão os mansos – não os agressivos e prevaricadores – que herdarão a terra (cf. Mt 5, 5).
Um dos frutos que somos chamados a produzir é o de guardar o mundo. «Todos nos sentamos nos joelhos dos avós, que nos tiveram ao colo»;[5] mas hoje é o momento de colocar sobre os nossos joelhos – com a ajuda concreta ou mesmo só com a oração –, juntamente com os nossos netos, muitos outros assustados que ainda não conhecemos e que talvez fujam da guerra ou sofram por causa dela. Guardemos no nosso coração – como fazia São José, pai terno e solícito – os pequeninos da Ucrânia, do Afeganistão, do Sudão do Sul...
Muitos de nós maturaram uma consciência sábia e humilde, de que o mundo tanto precisa: não nos salvamos sozinhos, a felicidade é um pão que se come juntos. Testemunhemo-lo àqueles que se iludem de encontrar realização pessoal e sucesso na contraposição. Todos o podem fazer, mesmo os mais frágeis: até mesmo o deixarmo-nos cuidar – muitas vezes por pessoas que provêm doutros países – é uma maneira de dizer que é não só possível mas também necessário vivermos juntos.
Neste nosso mundo, queridas avós e queridos avôs, queridas idosas e queridos idosos, estamos chamados a ser artífices da revolução da ternura! Façamo-lo aprendendo a usar cada vez mais e melhor o instrumento mais precioso e apropriado que temos para a nossa idade: a oração. «Tornemo-nos, também nós, um pouco poetas da oração: adquiramos o gosto de procurar palavras que nos são próprias, voltando a apoderar-nos daquelas que a Palavra de Deus nos ensina».[6] A nossa imploração confiante pode fazer muito: é capaz de acompanhar o grito de dor de quem sofre e pode contribuir para mudar os corações. Podemos ser «o “grupo coral” permanente dum grande santuário espiritual, onde a oração de súplica e o canto de louvor sustentam a comunidade que trabalha e luta no campo da vida».[7]
Deste modo o Dia Mundial dos Avós e Idosos é uma oportunidade para dizer mais uma vez, com alegria, que a Igreja quer fazer festa juntamente com aqueles que o Senhor – como diz a Bíblia – «saciou com longos dias» (Sal 91, 16). Celebremo-la juntos! Convido-vos a anunciar este Dia nas vossas paróquias e comunidades, a visitar os idosos mais abandonados, em casa ou nas residências onde estão hospedados. Procuremos que ninguém viva este dia na solidão. Ter alguém para cuidar pode mudar a orientação dos dias de quem já não espera nada de bom do futuro; e dum primeiro encontro pode nascer uma nova amizade. A visita aos idosos abandonados é uma obra de misericórdia do nosso tempo!
Peçamos a Nossa Senhora, Mãe da Ternura, que faça de todos nós dignos artífices da revolução da ternura para, juntos, libertarmos o mundo da sombra da solidão e do demónio da guerra.
A todos vós e aos vossos entes queridos, chegue a minha Bênção, com a certeza da minha afetuosa proximidade. E, por favor, não vos esqueçais de rezar por mim!
Roma, São João de Latrão, na festa dos Santos Apóstolos Filipe e Tiago, 3 de maio de 2022.
FRANCISCO
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[1] Cf. Francisco, Catequese sobre a velhice: 1. A graça do tempo e a aliança das idades da vida (23 de fevereiro de 2022).
[2] Cf. Francisco, Catequese sobre a velhice: 5. Fidelidade à visita de Deus para a geração seguinte (30 de março de 2022).
[3] Francisco, Catequese sobre a Velhice: 3. A velhice, recurso para a juventude incauta (16 de março de 2022).
[4] Cf. Francisco, Catequese sobre São José: 8. São José, pai na ternura (19 de janeiro de 2022).
[5] Francisco, Homilia na Missa do I Dia Mundial dos Avós e Idosos (25 de julho de 2021).
[6] Francisco, Catequese sobre a família: 7. Os avós (11 de março de 2015).
[7] Ibidem.
[00716-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Wydadzą owoc nawet i w starości” (Psalmu 92, 15)
Najdroższa, najdroższy!
Werset z Psalmu 92: „wydadzą owoc nawet i w starości” (w. 15) jest dobrą nowiną, prawdziwą „ewangelią”, którą możemy głosić światu z okazji drugiego Światowego Dnia Dziadków i Osób Starszych. Jest ona przeciwieństwem tego, co świat myśli o tym okresie życia, a także przeciwieństwem zrezygnowanej postawy niektórych z nas, starszych, podążających naprzód z niewielką nadzieją i nieoczekujących już niczego od przyszłości.
Wiele osób boi się starości. Postrzegają ją jako rodzaj choroby, z którą lepiej unikać jakiegokolwiek kontaktu: uważają, że ludzie starzy nie dotyczą nas i należy ich trzymać jak najdalej, być może zgromadzonych w strukturach, które się nimi opiekują, a nas chronią przed braniem odpowiedzialności za ich zmartwienia. Jest to „kultura odrzucenia”: mentalność sprawiająca, że gdy czujemy się inni niż najsłabsi i odlegli od ich kruchości, ona pozwala nam wyobrażać sobie, że „my” i „oni” podążamy odrębnymi drogami. W rzeczywistości jednak, długie życie – jak naucza Pismo święte – jest błogosławieństwem, a ludzie starzy nie są wyrzutkami, od których należy się dystansować, lecz żywymi znakami życzliwości Boga, który obdarza życiem w obfitości. Błogosławiony dom, który troszczy się o osobę starszą! Błogosławiona rodzina, która szanuje swoich dziadków!
Owszem, starość jest okresem, który nie jest łatwy do zrozumienia, nawet dla nas, którzy już go przeżywamy. Chociaż następuje po długiej drodze, nikt nas nie przygotował do zmierzenia się z nią; wydaje się wręcz, że ona nas zaskakuje. Najbardziej rozwinięte społeczeństwa poświęcają dużo temu okresowi życia, jednak nie pomagają nam go zinterpretować: oferują „plany pomocy, ale nie wizję życia”[1]. Trudno więc spojrzeć w przyszłość i uchwycić horyzont, ku któremu należy dążyć. Z jednej strony jesteśmy kuszeni, by odpędzić starość, ukrywając zmarszczki i udając, że wciąż jesteśmy młodzi; z drugiej strony wydaje się, że nie można już robić nic innego, jak tylko żyć w rozczarowaniu, pogodzeni z tym, że nie mamy więcej „owoców do wydania”.
Zakończenie aktywności zawodowej i usamodzielnienie się dzieci sprawiają, że znikają powody, dla których poświęciliśmy wiele naszej energii. Świadomość, że siły słabną lub pojawienie się choroby mogą zachwiać naszą pewność siebie. Świat – z jego szybkim tempem, za którym trudno nam nadążyć – zdaje się nie pozostawiać nam alternatywy i prowadzi nas do przyswojenia idei odrzucenia. Tak oto wznosi się ku niebu modlitwa psalmu: „Nie odtrącaj mnie w czasie starości; gdy siły ustaną, nie opuszczaj mnie!” (Ps 71, 9).
Jednak ten sam psalm, który odnajduje obecność Pana w różnych okresach życia, zachęca nas do nieustannej nadziei: gdy nadejdzie starość i siwe włosy, On nadal będzie dawał nam życie i nie pozwoli, by przytłoczyło nas zło. Ufając Mu, znajdziemy siłę, by pomnażać uwielbienie (por. ww. 14-20) i odkryjemy, że starość nie jest tylko naturalnym osłabieniem ciała, czy nieuchronnym upływem czasu, lecz darem długiego życia. Starzenie się nie jest potępieniem, lecz błogosławieństwem!
Musimy zatem czuwać nad sobą i uczyć się przeżywać starość w sposób aktywny, także pod względem duchowym, pielęgnując nasze życie wewnętrzne poprzez wytrwałą lekturę słowa Bożego, codzienną modlitwę, regularne korzystanie z sakramentów i uczestnictwo w liturgii. A wraz z relacją do Boga, pielęgnować nasze relacje z innymi: przede wszystkim z rodziną, z dziećmi, z wnukami, którym powinniśmy okazywać naszą czułość pełną troski, a także z ludźmi ubogimi i cierpiącymi, którym powinniśmy być bliscy poprzez konkretną pomoc i modlitwę. Wszystko to pomoże nam, by nie czuć się jedynie widzami w teatrze świata i nie ograniczać się do przesiadywania na balkonie i stania w oknie. Bowiem wyostrzając nasze zmysły, aby rozpoznać obecność Pana[2], będziemy niczym „oliwki zielone w domu Bożym” (por. Ps 52, 10), będziemy mogli być błogosławieństwem dla tych, którzy żyją obok nas.
Starość nie jest okresem bezużytecznym, w którym należy usunąć się na bok porzucając stery łodzi, ale porą, w której należy wciąż przynosić owoce: jest nowa misja, która czeka na nas i zaprasza do spojrzenia w przyszłość. „Szczególne uwrażliwienie nas, ludzi starych, w podeszłym wieku, na poświęcanie uwagi, myśli i uczucia, które czynią nas ludzkimi, powinno stać się na nowo powołaniem wielu. I będzie to wyborem miłości osób starszych do nowych pokoleń”[3]. Jest to nasz wkład w rewolucję czułości[4], duchową i pozbawioną broni rewolucję. Zapraszam was, drodzy dziadkowie i osoby starsze, abyście stali się jej bohaterami.
Świat przeżywa czas ciężkiej próby, naznaczony najpierw niespodziewaną i gwałtowną burzą pandemii, a następnie wojną, która na światową skalę godzi w pokój i rozwój. Nie jest przypadkiem, że wojna powróciła do Europy w czasie, gdy odchodzi pokolenie, które doświadczyło jej w ubiegłym wieku. I te wielkie kryzysy mogą sprawić, że staniemy się nieczuli na fakt, że istnieją inne „epidemie” i inne rozpowszechnione formy przemocy, zagrażające rodzinie ludzkiej i naszemu wspólnemu domowi.
W obliczu tego wszystkiego potrzebna jest głęboka przemiana, nawrócenie, które rozbroi serca, pozwalając każdemu rozpoznać brata w drugim człowieku. I to na nas, dziadkach i osobach starszych, spoczywa wielka odpowiedzialność: nauczyć kobiety i mężczyzn naszych czasów patrzenia na innych z takim samym wyrozumiałym i czułym spojrzeniem, jakim my obdarzamy nasze wnuki. W trosce o bliźniego udoskonaliliśmy nasze człowieczeństwo i dziś możemy być nauczycielami pokojowego, wrażliwego na najsłabszych stylu życia. Być może nasza postawa będzie mylona ze słabością lub ustępliwością, ale to właśnie cisi, a nie agresywni i krnąbrni, odziedziczą ziemię (por. Mt 5, 5).
Jednym z owoców, do wydawania których jesteśmy powołani, jest troska o świat. „Wszyscy byliśmy na kolanach naszych dziadków, którzy trzymali nas w objęciach”[5], ale dziś jest czas, aby na naszych kolanach – z konkretną pomocą lub tylko z modlitwą – trzymać, wraz z naszymi wnukami, także te liczne wystraszone wnuczęta, których jeszcze nie znamy, a które być może uciekają przed wojną lub cierpią z jej powodu. Strzeżmy w naszym sercu – jak to czynił św. Józef, czuły i troskliwy ojciec – maluczkich z Ukrainy, Afganistanu, Sudanu Południowego...
W wielu z nas dojrzała mądra i pokorna świadomość, której świat tak bardzo potrzebuje: nie zbawiamy się sami, szczęście jest chlebem, który spożywa się razem. Dajmy o tym świadectwo ludziom, którzy łudzą się, że osobiste spełnienie i sukces mogą odnaleźć w przeciwstawianiu się innym. Wszyscy, nawet ci najsłabsi mogą je dawać: już samo pozwolenie, by się ktoś nami zaopiekował – często np. osoby pochodzące z innych krajów – jest to sposób, by powiedzieć, że wspólne życie jest nie tylko możliwe, ale i konieczne.
Drogie babcie i drodzy dziadkowie, drogie starsze kobiety i drodzy starsi mężczyźni, w tym naszym świecie jesteśmy wezwani, by być sprawcami rewolucji czułości! Uczyńmy to, ucząc się coraz bardziej i coraz lepiej wykorzystywać najcenniejsze narzędzie, jakie mamy i które jest najbardziej stosowne dla naszego wieku: modlitwę. „Stawajmy się i my po trosze poetami modlitwy: zasmakujmy w szukaniu naszych słów, przyswajajmy sobie te, których nas uczy Słowo Boże”[6]. Nasze ufne przyzywanie Boga może zdziałać wiele: może towarzyszyć krzykowi bólu tych, co cierpią, i może przyczynić się do przemiany serc. Możemy stać się stałym „«chórem» wielkiego duchowego sanktuarium, gdzie modlitwa błagalna i pieśń chwały wspierają wspólnotę, która pracuje i walczy na polu życia”[7].
Światowy Dzień Dziadków i Osób Starszych jest zatem okazją, by jeszcze raz z radością powiedzieć, że Kościół chce świętować razem z tymi, których Pan – jak mówi Biblia – „nasycił dniami”. Świętujmy go razem! Zachęcam was do ogłoszenia tego Dnia w waszych parafiach i wspólnotach; by pójść odwiedzić osoby starsze, które są najbardziej samotne, w domu lub tam, gdzie przebywają. Zróbmy tak, by nikt nie przeżywał tego dnia w samotności. Posiadanie kogoś, na kogo się czeka, może odmienić przeżywanie dni osobom, które nie spodziewają się już niczego dobrego od przyszłości; a z tego pierwszego spotkania może narodzić się nowa przyjaźń. Odwiedzanie samotnych osób starszych to uczynek miłosierdzia naszych czasów!
Prośmy Matkę Bożą, Matkę Czułości, aby uczyniła nas wszystkich sprawcami rewolucji czułości, tak, byśmy razem mogli uwolnić świat od mroków samotności i demona wojny.
Niech moje Błogosławieństwo i zapewnienie o mojej serdecznej bliskości dotrą do was wszystkich i do osób wam bliskich. A wy, proszę, nie zapominajcie o modlitwie za mnie!
Rzym, u św. Jana na Lateranie, dnia 3 maja 2022 roku, w święto świętych Apostołów Filipa i Jakuba
FRANCISZEK
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[1] Katecheza na temat starości: 1. Łaska czasu i przymierze dwóch okresów życia (23 lutego 2022): L'Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 3-4 (441)/2022, s. 21.
[2] Katecheza na temat starości: 5. Wierność nawiedzania Pana dla nadchodzącego pokolenia, (30 marca 2022).
[3] Katecheza na temat starości: 3. Starość zasobem dla beztroskiej młodości (16 marca 2022): L'Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 3-4 (441)/2022, s. 26.
[4] Katecheza o św. Józefie: 8. Święty Józef jako czuły ojciec (19 stycznia 2022): L'Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 2 (440)/2022, s. 32.
[5] Homilia podczas Mszy św. z okazji Światowego Dnia Dziadków i Osób Starszych (25 lipca 2021).
[6] Katecheza na temat rodziny, 7. Dziadkowie (11 marca 2015): L'Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 3-4 (370)/2015, s. 41.
[7] Tamże.
[00716-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
رسالة قداسة البابا فرنسيس
في مناسبة اليوم العالمي للأجداد وكبار السّن
عزيزتي المسّنة، وعزيزي المسّن،
آية المزمور 92 "ما زالوا في المَشيبِ يُثمِرون" (الآية 15) هي بشرى سارة، و”إنجيل“ حقيقي وخاص، يمكن أن نعلنه للعالم في مناسبة اليوم العالمي الثاني للأجداد وكبار السّن. إنّها آية عكس التيار أمام ما يعتقده العالم عن هذا العمر في الحياة، وأيضًا أمام السلوك المستسلم لبعض كبار السّن، الذين يتقدّمون برجاء ضئيل وبدون أن ينتظروا شيئًا من المستقبل.
كثير من الناس يخافون من الشّيخوخة. إنّهم يعتبرونها نوعًا مِن المرض، ومِن الأفضل تجنّب أي نوع مِن الاتصال به: يعتقدون أنّ كبار السّن ليسوا أمرًا يهمنا، ومن المستحسّن أن يبقوا بعيدًا قدر الإمكان، أن يبقوا ربما بعضهم مع بعض، وفي المؤسسات التي تعتني بهم وتأخذ عنا تحمّل همومهم. هذه ”ثقافة الإقصاء“: تلك العقليّة التي تجعلنا نفكر بأنّنا مختلفون عن الأضعفين وأنّنا غرباء عن هشاشتهم، وتسمح لنا بأن نتخيّل طرقًا منفصلة بيننا ”نحن“ وبينهم ”هم“. لكن، في الواقع، الحياة الطويلة - كما يعلّم الكتاب المقدس - هي بركة، وكبار السّن ليسوا منبوذين يجب أن نبتعد عنهم، بل هم علامات حيّة لمحبّة الله الذي يمنح الحياة بوفرة. مبارك البيت الذي يحافظ على كبير السّن! ومباركة العائلة التي تكرّم أجدادها!
الشّيخوخة، في الواقع، هي وقت ليس من السهل فهمه، حتى بالنسبة لنا نحن الذين أصبحنا نعيشه. على الرّغم من أنّها تأتي بعد مسيرة طويلة، لا أحد يهيئنا لمواجهتها، ويبدو وكأنّها تفاجئنا. المجتمعات المتقدّمة تنفق الكثير من أجل هذا العمر في الحياة، لكنّها لا تساعد في تفسيره: فهي تقدّم خطط المساعدة، ولكنّها لا تقدّم مشاريع حياة[1]. لذلك من الصعب التطلع إلى المستقبل لرؤيّة أفق نسعى إليه. من ناحية، نحن نميل إلى التخلّص من الشيخوخة بإخفاء التجاعيد والتظاهر دائمًا بأنّنا شباب، ومن ناحية أخرى، يبدو أنّنا لا نستطيع إلّا أن نعيش في طريقة غير واهمة، ونستسلّم لأنّنا لم نعد قادرين على ”حمل ثمار“.
نهاية نشاط العمل والأبناء المستقلّون الآن يجعلون الأسباب تختفي التي من أجلها أنفقنا الكثير من طاقتنا. إنّ الوعي بأنّ قوانا تتراجع أو ظهور مرض ما يمكن أن يقوّض شعورنا بالأمن. يبدو أنّ العالم - بأوقاته السريعة، التي نكافح من أجل مواكبتها - لا يترك لنا أية بدائل ويقودنا إلى استيعاب فكرة الإقصاء. وهكذا ترتفع صلاة المزمور إلى السماء: "لا تنبذْني في زَمَنِ شَيخوخَتي ولا في وَهَنِ قوتي تَتْركْني" (71، 9).
لكن نفس المزمور - الذي يتتبع حضور الله في أوقات الحياة المختلفة - يدعونا إلى الاستمرار في الرّجاء: مع مجيء الشّيخوخة والشعر الأبيض، سيمنحنا الله المزيد من الحياة ولن يدع الشّرّ يغمرنا. إذا وثقنا به، سنجد القوّة لمضاعفة التّسبيح (راجع الآيات 14-20) وسنكتشف بأن نصبح كبارًا في السّن لا يعني فقط تردِّيًا طبيعيًّا في الجسّد أو مرورًا حتميًّا للزمن، بل يعني عطية حياة طويلة. الشّيخوخة ليست حكمًا علينا بل بركة!
لهذا يجب أن نسهر على أنفسنا ونتعلّم أن نتدبَّرَ أمر شيخوختنا فنجعلها نشطة، من الناحية الروحيّة أيضًا، فننمّي حياتنا الداخليّة بالقراءة الدؤوبة لكلمة الله، والصّلاة اليوميّة، وممارسة الأسرار المقدّسة والمشاركة في الليتورجيا. وإلى جانب العلاقة مع الله، هنالك العلاقات مع الآخرين: أوّلاً العائلة والأبناء والأحفاد الذين نقدّم لهم مودّة مليئة بالعناية، وكذلك الفقراء والمتألّمين، الذين يجب أن نكون قريبين منهم بمساعدة عمليّة وبالصّلاة. كلّ هذا سيساعدنا على ألّا نشعر بأنفسنا مجرد متفرّجين في مسرح العالم، وألّا نبقى على ”الشرفة“، أو واقفين عند النافذة. بل إذا طهرنا حواسنا للتعرّف على حضور الله[2]، سنكون مثل ”أشجار الزيتون الخضراء في بيت الله“ (راجع مزمور 52، 10)، ويمكننا أن نكون بركة للذين يعيشون معنا.
الشّيخوخة ليست وقتًا لا جدوى منه للتنحي فيه عن الدفع بالمجاديف في قارب الحياة، بل هو وقت يؤتي ثمره مرةً أخرى: هناك رسالة جديدة تنتظرنا وتدعونا إلى أن نوجه نظرتنا إلى المستقبل. "إنّ الحساسيّة الخاصّة، التي لدى كبار السّن، للانتباه، والأفكار، والعواطف، التي تجعلنا بشرًا، يجب أن تصبح من جديد دعوة للكثيرين. وسيكون ذلك من كبار السّن خيارَ محبّةٍ نحو الأجيال الجديدة"[3]. إنّها مساهمتنا في ثورة الحنان[4]، ثورة روحيّة غير مسلحة، التي أدعوكم، أيّها الأجداد وكبار السّن الأعزّاء، إلى أن تصبحوا فيها الشخصيّات الرئيسيّة.
العالم يمرّ بفترة من الاختبار القاسيّ، تميّز أوّلاً بالعاصفة الحادّة وغير المتوقعة للجائحة، ثمّ الحرب التي تضر بالسّلام والتنميّة على نطاق عالمي. ليس من قبيل المصادفة أنّ تعود الحرب إلى أوروبا في وقت يختفي فيه الجيل الذي عاشها في القرن الماضي. وهذه الأزمات الكبرى تهدّد بأن تجعلنا عديمي الإحساس تجاه ”أوبئة“ أخرى وأشكال عنف أخرى منتشرة تهدّد الأسرّة البشريّة وبيتنا المشترك.
أمام كلّ هذا، نحتاج إلى تغيير عميق، وتوبة، تجرّد القلوب من السّلاح، وتسمح لكلّ واحد بأن يرى في الآخر أخًا. ونحن، الأجداد وكبار السّن، لدينا مسؤولية كبيرة: أن نعلّم النساء والرجال في عصرنا على أن يروا الآخرين بنفس النظرة المتفهمّة والحنونة التي نوجهها إلى أحفادنا. لقد طهرنا إنسانيتنا في الاهتمام بالقريب، ويمكننا اليوم أن نكون معلّمين لطريقة حياة سلميّة ومتنبّهة للأضعفين. ربما تخطئ إنسانيتنا بسبب ضعف فينا أو خضوع، لكن سيكون الودعاء وليس العدوانيون والفاسدون، هم الذين سيرثون الأرض (راجع متى 5، 4).
إحدى الثمار التي نحن مدعوون إلى حملها هي حراسة العالم. "مررنا جميعًا بأحضان أجدادنا الذين حملونا بين أيديهم"[5]، واليوم هو الوقت الذي فيه نبقيهم في أحضاننا – بمساعدة عمليّة أو حتى بالصّلاة فقط -، مع أحفادنا نضم الأحفاد الكثيرين في العالم الخائفين الذين لم نعرفهم بعد والذين يفرّون من الحرب أو يتألّمون بسببها. مثل القدّيس يوسف، الأب الحنون والمتنبّه لكلّ شيء، لنحفظ في قلبنا أطفال أوكرانيا والأفغانستان وجنوب السودان...
كثيرون منا أنضجوا وعيًا حكيمًا ومتواضعًا، العالم بأشدّ الحاجة إليه: لا يمكننا أن نخلص وحدنا، فالسعادة هي الخبز الذي نأكله معًا. لنشهد على ذلك أمام الذين يتوّهمون أنّهم يحققون ذاتهم ونجاحهم في المعارضة. يمكن للجميع، حتى الأضعفين، أن يفعلوا ذلك: أن نسمح لأنفسنا بأن يتمّ الاعتناء بنا - غالبًا من قبل أشخاص يأتون من بلدان أخرى – هو طريقة للقول إن العيش معًا ليس ممكنًا فحسب، بل هو ضروري.
عزيزتي المسنة وعزيزي المسن، أعزّائي كبار السّن، نحن مدعوون في عالمنا هذا إلى أن نكون صانعي ثورة الحنان! لنفعل ذلك، ولنتعلّم أن نستخدم دائمًا وبطريقة أفضل أثمن أداة لدينا، والأنسب لعمرنا: وهي الصّلاة. "لنصبحْ نحن أيضًا شعراء صلاة: لنجد متعة في البحث عن كلمات لنا في صلاتنا، ولنستخدم مجدّدًا تلك الكلمات التي تعلّمنا إيّاها كلمة الله"[6]. صلاتنا وثقتنا بالله يمكن أن تصنع الشيء الكثير: يمكن أن ترافق صرخة الألّم الصادرة من الذين يتألّمون ويمكن أن تساهم في تغيير القلوب. يمكننا أن نكون "”الجوقة“ الدائمة لمزار روحيّ كبير، حيث يسند نشيد التّسبيح وصلاة الابتهال الجماعة التي تعمل وتناضل في حقل الحياة"[7].
وهكذا، فإنّ اليوم العالمي للأجداد وكبار السّن هو فرصة للقول مرة أخرى، بفرح، إنّ الكنيسة تريد أن تحتفل مع الذين أشبعهم الله أيامًا، كما يقول الكتاب المقدس. لنحتفل به معًا! أدعوكم إلى أن تعلنوا عن هذا اليوم في رعاياكم وجماعاتكم، وإلى زيارة كبار السّن الذين يعيشون وحدهم، في البيت أو في المؤسّسات حيث هم ضيوف. لنعمل حتى لا يعيش أحد هذا اليوم في عزلة. أن يكون لديه شخص ينتظره يمكن أن يغيّر اتجاه أيام الذين لم يعودوا يتوقعون شيئًا جيدًّا من المستقبل، ومن أوّل لقاء يمكن أن تولد صداقة جديدة. زيارة كبار السّن الذين يعيشون وحدهم هو عمل رحمة في زمننا!
لنسأل سيّدتنا مريم العذراء، أمّ الحنان، أن تجعلنا جميعًا صانعي ثورة الحنان، لتحرير العالم معًا من ظلّ العزلة وشيطان الحرب.
لتبلغ بركتي إليكم جميعًا وإلى أحبائكم، وأؤكّد لكم قربي الحنون. وأنتم، من فضلكم، لا تنسَوا أن تصلّوا من أجلي!
أُعطيَ في روما، في بازيليكا القدّيس يوحنا في اللاتران، يوم 3 أيار/مايو 2022، في عيد القدّيسَين الرّسولَين فيلبس ويعقوب.
فرنسيس
[00716-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0342-XX.02]
[1] تعليم مسيحيّ في الشّيخوخة – 1. نعمة الوقت وتحالف الفئات العمريّة في الحياة (23 شباط/فبراير 2022).
[2] تعليم مسيحيّ في الشّيخوخة - 5. الأمانة لزيارة الله للجيل القادم (30 آذار/مارس 2022).
[3] تعليم مسيحيّ في الشّيخوخة - 3. كِبر السنّ، مصدرٌ لشبابٍ لا يبالي (16 آذار/مارس 2022).
[4] تعليم مسيحيّ في القدّيس يوسف - 8. القدّيس يوسف أبًا حنونًا (19 كانون الثاني/يناير 2022).
[5] عظة في القداس من أجل اليوم العالمي الأوّل للأجداد وكبار السّن (25 تموز/ يوليو 2021).
[6] تعليم مسيحيّ في العائلة - 7. الأجداد (11 آذار/مارس 2015).
[7] نفس المرجع.