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Udienza ai Partecipanti al VI Convegno Missionario Giovanile, 23.04.2022


Il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Partecipanti al VI Convegno Missionario Giovanile, promosso dalla Fondazione “Missio” della Conferenza Episcopale Italiana, che ha luogo dal 22 al 25 aprile 2022 presso la Fraterna Domus di Sacrofano (Roma).

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Udienza:

Discorso del Santo Padre

Eccellenze, cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Ringrazio il Segretario nazionale per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Grazie!

Siete venuti dai diversi territori dell’Italia per il Convegno missionario giovanile, sul tema “Back to the COMIGI: La missione riparte dal futuro”. È un appuntamento organizzato in collaborazione con gli Istituti missionari, che qualifica il vostro itinerario formativo, invitandovi a rinnovare insieme l’impegno nella missione universale della Chiesa. Quest’anno è anche un’occasione preziosa per festeggiare il cinquantesimo anniversario della nascita del Movimento giovanile missionario delle Pontificie Opere Missionarie, oggi “Missio Giovani”.

È una ricorrenza importante per voi giovani missionari: un’opportunità per fare memoria di quello che è stato posto a fondamento della nascita di questo Movimento. E dalla rilettura della sua storia e nella fedeltà ad essa troverete la spinta per un nuovo slancio missionario da vivere giorno dopo giorno. La missione è così: giorno dopo giorno, non è una volta per sempre, no, si deve vivere ogni giorno.

Per questo vorrei consegnarvi tre verbi, così facili da ricordare, che ritengo fondamentali per la missione oggi, soprattutto dei giovani. Li ritrovo in tre passi del Nuovo Testamento, che vedono in azione Gesù e i discepoli. Questi verbi sono: rialzati, prenditi cura e testimonia. Esprimono tre movimenti ben precisi, che mi auguro possano sostenere il vostro percorso per il futuro.

Il primo verbo – rialzati – è tratto dall’episodio del Vangelo di Luca in cui Gesù ridà vita al figlio della vedova di Nain (7,11-17). Solo Luca, molto attento ai moti dell’animo umano e, in particolare, delle donne, registra questo episodio. Leggendo il testo si resta impressionati dalla sua dinamica: Gesù arriva in questa cittadina e vede che c’è un corteo funebre che esce dall’abitato; una madre vedova accompagna la bara del figlio verso la sepoltura; l’evangelista annota: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”» (v. 13). Si è avvicinato alla mamma e ha detto: “Non piangere!”. Questo lo diciamo noi quando andiamo alle veglie funebri: “non piangere”. Ma Gesù l’ha detto per incominciare un’azione. Si interessa del dolore degli ultimi, Gesù si interessa del dolore di chi soffre spesso in modo composto e dignitoso, di chi ha perso la speranza, di chi non vede più un futuro. La morte di un figlio, in quella circostanza, significava la perdita di tutto. Gesù si avvicina alla bara e la tocca. Non gli interessa se questo contatto lo può rendere impuro, come diceva la Legge. Egli è venuto per salvare chi sta nelle tenebre e nell’ombra di morte. Poi dice: «Ragazzo, dico a te, alzati!» (v. 14). È questo il verbo: “Alzati!”. Mettiamo l’immaginazione: davanti alla bara di questo ragazzo, un ragazzo come voi: “Dico a te: alzati!”. Ridare vita a questo ragazzo significa restituire il futuro anche alla madre e all’intera comunità.

Questa parola di Gesù riecheggia ancora oggi nel cuore di tanti ragazzi e a ciascuno rivolge l’invito: «Ti dico, alzati!». Questo è un primo senso della missione su cui vi invito a riflettere: Gesù ci dà la forza per alzarci e ci chiede di sottrarci alla morte del ripiegamento su noi stessi, alla paralisi dell’egoismo, della pigrizia, della superficialità. Queste paralisi sono un po’ dappertutto. E sono quelle che ci bloccano e ci fanno vivere una fede da museo, non una fede forte, una fede più morta che viva. Gesù, per questo, per risolvere questo atteggiamento brutto, dice: “Alzati!”. “Alzatevi!”, per essere rilanciati verso un futuro di vita, carico di speranza e di carità verso i fratelli. La missione riparte quando prendiamo sul serio la parola del Signore Gesù: rialzati!

Un altro aspetto collegato al primo si trova nel celebre brano del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). Ancora una volta l’evangelista è Luca. Un dottore della Legge chiede a Gesù: “Chi è il mio prossimo?”, e Gesù risponde con la parabola del Buon Samaritano: un uomo scende da Gerusalemme verso Gerico e lungo il tragitto è derubato e picchiato da briganti, e rimane mezzo morto sul ciglio della strada.

A differenza di due ministri del culto, che lo vedono ma passano oltre, un Samaritano, cioè uno straniero per i Giudei del tempo, che non avevano tanta amicizia con loro, si ferma e si prende cura di lui. E lo fa anche in modo intelligente: gli dà un primo soccorso come può, poi lo porta in una locanda e paga il padrone perché possa essere assistito nei giorni successivi. Poche pennellate per descrivere un altro aspetto della missione, cioè il secondo verbo: prendersi cura. Cioè vivere la carità in modo dinamico e intelligente. Oggi abbiamo bisogno di persone, in particolare di giovani, che abbiano occhi per vedere le necessità dei più deboli e un cuore grande che li renda capaci di spendersi totalmente.

Anche voi siete chiamati a mettere a frutto le vostre competenze e mettere a servizio la vostra intelligenza, per organizzare la carità con progetti di ampio respiro. Oggi tocca a voi, ma non siete i primi! Quanti missionari “buoni samaritani” hanno vissuto la missione prendendosi cura dei fratelli e delle sorelle feriti lungo la strada! Sulle loro orme, con lo stile e le modalità adatte al nostro tempo, adesso tocca a voi realizzare una carità discreta ed efficace, una carità fantasiosa e intelligente, non episodica ma continua nel tempo, capace di accompagnare le persone nel loro cammino di guarigione e di crescita. Questo è il secondo verbo che vi consegno: prenditi cura dei fratelli. Senza egoismo, al servizio, per aiutare.

Infine, un terzo aspetto essenziale della missione si trova in un episodio degli Atti degli Apostoli, che si addice bene al tempo di Pasqua che stiamo vivendo. Infatti, dopo la sua risurrezione, per quaranta giorni Gesù si è mostrato ai suoi discepoli. Lo ha fatto per spiegare loro il mistero della sua morte, per perdonare la loro fuga nel momento della prova, ma soprattutto per incoraggiarli ad essere suoi testimoni nel mondo intero. Gesù dice così: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).

Ogni cristiano, battezzato in acqua e Spirito Santo, è chiamato a vivere come immerso in una Pasqua perenne e quindi a vivere da risorto. Non vivere come un morto, vivere da risorto! Questo dono non è per noi soltanto, ma è destinato ad essere condiviso con tutti. La missione non può non essere motivata dall’entusiasmo di poter finalmente condividere questa felicità con gli altri. Un’esperienza della fede bella e arricchente, che sa anche affrontare le inevitabili resistenze della vita, diventa quasi naturalmente convincente. Quando qualcuno racconta il Vangelo con la propria vita, questo fa breccia nei cuori anche più duri. Per questo vi affido l’ultimo verbo del missionario cristiano: testimonia con la tua vita. E quello che non dà testimonianza con la vita, che fa finta… è come uno che ha qualche assegno in mano ma non mette la firma. “Ti regalo questo”: non serve a nulla. Testimoniare è mettere la firma sulle proprie ricchezze, sulle proprie qualità, sulla propria vocazione. Per favore, ragazzi e ragazze, mettete la firma, sempre! Mettete il vostro cuore lì.

Non dimenticate questi tre verbi: rialzarsi dalla propria sedentarietà, per prendersi cura dei fratelli e testimoniare il Vangelo della gioia. Avete capito? Com’erano i tre verbi? [Rispondono: rialzati, prenditi cura, testimonia] Ah, l’avete imparato! Bene.

Vi saluto con una frase di Sant’Oscar Romero: «Quanto più un uomo è felice, tanto più si manifesta in lui la gloria di Cristo». Vi auguro di essere missionari di gioia, missionari di amore. L’annuncio va fatto col sorriso, non con la tristezza. San Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, verso la fine, dice che è una cosa brutta vedere evangelizzatori tristi, melanconici: leggete questo. Verso la fine, le ultime due pagine: la descrizione dell’evangelizzatore forte, del missionario, e di quelli che sono tristi dentro di sé, che sono incapaci di dare vita agli altri. Per questo vi auguro di essere missionari di gioia e di amore. L’annuncio va fatto con il sorriso: ma non con il sorriso professionale, o quello che fa la pubblicità del dentifricio, no, con quello non va. Quello non serve. L’annuncio va fatto con il sorriso, ma con il sorriso di cuore, e non con la tristezza. Condividete sempre la Buona Notizia e vi sentirete felici. Vi accompagno con la preghiera e vi benedico. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

[00588-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0283-XX.01]