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Santa Messa del Crisma nella Basilica Vaticana, 14.04.2022


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

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Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

 

Alle ore 9.30 di questa mattina, ricorrenza del Giovedì Santo, il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.

La Messa del Crisma è stata concelebrata dal Santo Padre con i Cardinali, i Vescovi e i Presbiteri (diocesani e religiosi) presenti a Roma.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, i sacerdoti hanno rinnovato le promesse fatte al momento della Sacra ordinazione; quindi ha avuto luogo la benedizione dell’olio degli infermi, dell’olio dei catecumeni e del crisma.

Pubblichiamo di seguito l’Omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Nella Lettura del profeta Isaia che abbiamo ascoltato, il Signore fa una promessa carica di speranza che ci tocca da vicino: «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, / ministri del nostro Dio sarete detti. / […] Io darò loro fedelmente il salario, / concluderò con loro un’alleanza eterna» (61,6.8). Essere sacerdoti è, cari fratelli, una grazia, una grazia molto grande, che non è in primo luogo una grazia per noi, ma per la gente;[1] e per il nostro popolo è un dono grande il fatto che il Signore scelga, in mezzo al suo gregge, alcuni che si occupino delle sue pecore in modo esclusivo, come padri e pastori. È il Signore stesso a pagare il salario del sacerdote: «Io darò loro fedelmente il salario» (Is 61,8). E Lui, lo sappiamo, è buon pagatore, benché abbia le sue particolarità, come quella di pagare prima gli ultimi e poi i primi: è nel suo stile.

La Lettura del libro dell’Apocalisse ci dice qual è il salario del Signore. È il suo Amore e il perdono incondizionato dei nostri peccati a prezzo del suo sangue versato sulla Croce: «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Non c’è salario maggiore dell’amicizia con Gesù, non dimenticare questo. Non c’è pace più grande del suo perdono e questo lo sappiamo tutti. Non c’è prezzo più caro di quello del suo Sangue prezioso, che non dobbiamo permettere sia disprezzato con una condotta indegna.

Se leggiamo con il cuore, cari fratelli sacerdoti, questi sono inviti del Signore ad essergli fedeli, ad esser fedeli alla sua Alleanza, a lasciarci amare, a lasciarci perdonare; sono inviti non solo per noi stessi, ma anche affinché così possiamo servire, con una coscienza pulita, il santo popolo fedele di Dio. La gente lo merita e anche ne ha bisogno. Il Vangelo di Luca ci dice che, dopo che Gesù ebbe letto il passo del profeta Isaia davanti alla sua gente e si fu seduto, «gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (4,20). Anche l’Apocalisse ci parla oggi di occhi fissi su Gesù, dell’attrazione irresistibile del Signore crocifisso e risorto che ci porta ad adorare e a riconoscere: «Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì. Amen!» (1,7). La grazia finale, quando il Signore risorto ritornerà, sarà quella di un riconoscimento immediato: lo vedremo trafitto, riconosceremo chi è Lui e chi siamo noi, peccatori; niente più.

“Fissare gli occhi su Gesù” è una grazia che, come sacerdoti, dobbiamo coltivare. Al termine della giornata fa bene guardare al Signore, e che Lui ci guardi il cuore, insieme al cuore delle persone che abbiamo incontrato. Non si tratta di contabilizzare i peccati, ma di una contemplazione amorosa in cui guardiamo alla nostra giornata con lo sguardo di Gesù e vediamo così le grazie del giorno, i doni e tutto ciò che ha fatto per noi, per ringraziare. E gli mostriamo anche le nostre tentazioni, per riconoscerle e rigettarle. Come vediamo, si tratta di capire che cosa è gradito al Signore e che cosa vuole da noi qui e ora, nella nostra storia attuale.

E forse, se sosteniamo il suo sguardo pieno di bontà, da parte sua ci sarà anche un cenno affinché gli mostriamo i nostri idoli. Quegli idoli che come Rachele, abbiamo nascosto sotto le pieghe del nostro mantello (cfr Gen 31,34-35). Lasciare che il Signore guardi i nostri idoli nascosti - tutti ne abbiamo, tutti! - E questo lasciare che il Signore guardi questi idoli nascosti ci rende forti davanti ad essi e toglie loro il potere.

Lo sguardo del Signore ci fa vedere che, in realtà, in essi noi glorifichiamo noi stessi,[2] perché lì, in quello spazio che viviamo come se fosse esclusivo, si intromette il diavolo aggiungendo un elemento molto maligno: fa sì che non solo “compiacciamo” noi stessi dando briglia sciolta a una passione o coltivandone un’altra, ma ci conduce anche a sostituire con essi, con quegli idoli nascosti, la presenza delle Divine Persone, la presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito, che dimorano dentro di noi. È qualcosa che di fatto accade. Malgrado uno dica a sé stesso che distingue perfettamente che cos’è un idolo e chi è Dio, in pratica andiamo togliendo spazio alla Trinità per darlo al demonio, in una specie di adorazione indiretta: quella di chi lo nasconde, ma continuamente ascolta i suoi discorsi e consuma i suoi prodotti, in modo tale che alla fine non resta nemmeno un angolino per Dio. Perché Lui è così, Lui va avanti lentamente. E poi un’altra volta ho parlato dei demoni “educati”, quelli che Gesù dice che sono peggiori di quello che è stato cacciato via. Ma sono “educati”, suonano il campanello, entrano e passo a passo prendono possesso della casa. Dobbiamo stare attenti, questi sono gli idoli nostri.

È che gli idoli hanno qualcosa – un elemento – di personale. Quando non li smascheriamo, quando non lasciamo che Gesù ci faccia vedere che in essi stiamo cercando malamente noi stessi senza motivo e che lasciamo uno spazio in cui il Maligno si intromette. Dobbiamo ricordare che il demonio esige che noi facciamo la sua volontà e che lo serviamo, ma non sempre chiede che lo serviamo e lo adoriamo continuamente, no, sa muoversi, è un grande diplomatico. Ricevere l’adorazione di quando in quando gli basta per dimostrare che è il nostro vero signore e che persino si sente dio nella nostra vita e nel nostro cuore.

Detto questo, Vorrei condividere con voi, in questa Messa Crismale, tre spazi di idolatria nascosta nei quali il Maligno utilizza i suoi idoli per depotenziarci della nostra vocazione di pastori e, a poco a poco, separarci dalla presenza benefica e amorosa di Gesù, dello Spirito e del Padre.

Uno primo spazio di idolatria nascosta si apre dove c’è mondanità spirituale, che è «una proposta di vita, è una cultura, una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparenza, una cultura del maquillage».[3] Il suo criterio è il trionfalismo, un trionfalismo senza Croce. E Gesù prega affinché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. Questa tentazione di una gloria senza Croce va contro la persona del Signore, va contro Gesù che si umilia nell’Incarnazione e che, come segno di contraddizione, è l’unica medicina contro ogni idolo. Essere povero con Cristo povero e “perché Cristo ha scelto la povertà” è la logica dell’Amore e non un’altra. Nel brano evangelico di oggi vediamo come il Signore si colloca nella sua umile cappella e nel suo piccolo villaggio, quello di tutta la vita, per fare lo stesso Annuncio che farà alla fine della storia, quando verrà nella sua Gloria, circondato dagli angeli. E i nostri occhi devono stare fissi su Cristo, nel qui e ora della storia di Gesù con me, come lo saranno allora. La mondanità di andar cercando la propria gloria ci ruba la presenza di Gesù umile e umiliato, Signore vicino a tutti, Cristo dolente con tutti quelli che soffrono, adorato dal nostro popolo che sa chi sono i suoi veri amici. Un sacerdote mondano non è altro che un pagano clericalizzato. Un sacerdote mondano non è altro che un pagano clericalizzato.

Un altro spazio di idolatria nascosta mette le radici là dove si dà il primato al pragmatismo dei numeri. Coloro che hanno questo idolo nascosto si riconoscono per il loro amore alle statistiche, quelle che possono cancellare ogni tratto personale nella discussione e dare la preminenza alla maggioranza, che, in definitiva, diventa il criterio di discernimento, è brutto. Questo non può essere l’unico modo di procedere né l’unico criterio nella Chiesa di Cristo. Le persone non si possono “numerare”, e Dio non dà lo Spirito “con misura” (cfr Gv 3,34). In questo fascino per i numeri, in realtà, ricerchiamo noi stessi e ci compiacciamo del controllo assicuratoci da questa logica, che non s’interessa dei volti e non è quella dell’amore, ama i numeri. Una caratteristica dei grandi santi è che sanno tirarsi indietro così da lasciare tutto lo spazio a Dio. Questo tirarsi indietro, questo dimenticarsi di sé e voler essere dimenticati da tutti gli altri è la caratteristica dello Spirito, il quale manca di immagine, lo Spirito non ha immagine propria semplicemente perché è tutto Amore che fa brillare l’immagine del Figlio e, in essa, quella del Padre. La sostituzione della sua Persona, che già di per sé ama “non apparire” - perché non ha immagine -, è ciò a cui mira l’idolo dei numeri, che fa sì che tutto “appaia”, seppure in modo astratto e contabilizzato, senza incarnazione.

Un terzo spazio di idolatria nascosta, apparentato al precedente, è quello che si apre con il funzionalismo, un ambito seducente in cui molti, “più che per il percorso si entusiasmano per la tabella di marcia”. La mentalità funzionalista non tollera il mistero, punta all’efficacia. A poco a poco, questo idolo va sostituendo in noi la presenza del Padre. Il primo idolo sostituisce la presenza del Figlio, il secondo idolo quella dello Spirito, e questo la presenza del Padre. Il nostro Padre è il Creatore, ma non uno che solamente fa “funzionare” le cose, ma Uno che “crea” come Padre, con tenerezza, facendosi carico delle sue creature e operando affinché l’uomo sia più libero. Il funzionalista non sa gioire delle grazie che lo Spirito effonde sul suo popolo, delle quali potrebbe “nutrirsi” anche come lavoratore che si guadagna il suo salario. Il sacerdote con mentalità funzionalista ha il proprio nutrimento, che è il suo ego. Nel funzionalismo lasciamo da parte l’adorazione al Padre nelle piccole e grandi cose della nostra vita e ci compiacciamo dell’efficacia dei nostri programmi. Come ha fatto Davide quando, tentato da Satana, si impuntò per realizzare il censimento (cfr 1 Cr 21,1). Questi sono gli innamorati del piano di rotta, del piano del cammino, non del cammino.

In questi due ultimi spazi di idolatria nascosta (pragmatismo dei numeri e funzionalismo) sostituiamo la speranza, che è lo spazio dell’incontro con Dio, con il riscontro empirico. È un atteggiamento di vanagloria da parte del pastore, un atteggiamento che disintegra l’unione del suo popolo con Dio e plasma un nuovo idolo basato su numeri e programmi: l’idolo «il mio potere, il nostro potere»,[4] il nostro programma, i nostri numeri, i nostri piani pastorali. Nascondere questi idoli (con l’atteggiamento di Rachele) e non saperli smascherare nella propria vita quotidiana fa male alla fedeltà della nostra alleanza sacerdotale e intiepidisce la nostra relazione personale con il Signore. Ma cosa vuole questo Vescovo che invece di parlare di Gesù ci parla degli idoli oggi? Qualcuno può pensare questo…

Cari fratelli, Gesù è l’unica via per non sbagliarci nel sapere che cosa sentiamo, a che cosa ci conduce il nostro cuore…; Egli è l’unica via per discernere bene confrontandoci con Lui, ogni giorno, come se anche oggi si fosse seduto nella nostra chiesa parrocchiale e ci avesse detto che oggi si è compiuto tutto quello che abbiamo ascoltato. Gesù Cristo, essendo segno di contraddizione – che non sempre è qualcosa di cruento o di duro, poiché la misericordia è segno di contraddizione e molto di più lo è la tenerezza – Gesù Cristo, dico, fa sì che questi idoli si rivelino, che si veda la loro presenza, le loro radici e il loro funzionamento, e così il Signore li possa distruggere, questa è la proposta: dare spazio perché il Signore possa distruggere i nostri idoli nascosti. E dobbiamo ricordarli, stare attenti, perché non rinasca la zizzania di questi idoli che abbiamo saputo nascondere tra le pieghe del nostro cuore.

E vorrei concludere chiedendo a San Giuseppe, padre castissimo e senza idoli nascosti, che ci liberi da ogni brama di possesso, poiché questa, la brama di possesso, è il terreno fecondo in cui crescono questi idoli. E che ci ottenga anche la grazia di non arrenderci nell’arduo compito di discernere questi idoli che, tanto frequentemente, nascondiamo o si nascondono. E gli chiediamo pure a San Giuseppe che, là dove dubitiamo su come fare meglio le cose, interceda per noi affinché lo Spirito ci illumini il giudizio, come illuminò il suo quando era tentato di lasciare “in segreto” (lathra) Maria, in modo che, con nobiltà di cuore, sappiamo subordinare alla carità ciò che abbiamo appreso per legge.[5]

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[1] Perché il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune. Il Signore ha scelto alcuni perché«in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la funzione sacerdotale» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 10). «I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli» (Lumen gentium, 18).

[2] Cfr Catechesi nell’Udienza generale, 1 agosto 2018.

[3] Omelia nella Messa a S. Marta, 16 maggio 2020.

[4] J.M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero, 2014, 145.

[5] Cfr Lett. ap. Patris corde, 4, nota 18.

[00558-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Dans la lecture du prophète Isaïe que nous venons d'entendre, le Seigneur fait une promesse pleine d'espérance qui nous touche de près : «Vous serez appelés “Prêtres du Seigneur” ; on vous dira “Servants de notre Dieu”, [...] loyalement, je leur donnerai la récompense, je conclurai avec eux une alliance éternelle» (Is 61, 6.8). Être prêtre, chers frères, c’est une grâce, une très grande grâce, qui n'est pas d'abord une grâce pour nous, mais pour les gens.[1] Et, pour notre peuple, c'est un grand don que le Seigneur choisisse, parmi son troupeau, quelques-uns qui s'occupent exclusivement de ses brebis, comme des pères et des pasteurs. C'est le Seigneur lui-même qui assure le salaire du prêtre : «Loyalement, je leur donnerai la récompense» (Is 61, 8). Et il est, nous le savons, un bon payeur, bien qu'il ait ses particularités, comme celle de payer d’abord les derniers et ensuite les premiers: c’est dans son style.

La lecture du livre de l'Apocalypse nous indique ce qu'est le salaire du Seigneur. C'est son Amour et le pardon inconditionnel de nos péchés au prix de son sang versé sur la Croix : «Lui qui nous aime, qui nous a délivrés de nos péchés par son sang, qui a fait de nous un royaume et des prêtres pour son Dieu et Père» (Ap 1, 5-6). Il n'y a pas de plus grand salaire que l'amitié avec Jésus, ne l’oublions pas. Il n'y a pas de paix plus grande que son pardon, cela, nous le savons tous. Il n'y a pas de prix plus élevé que celui de son précieux Sang dont nous ne devons pas permettre qu’il soit méprisé par une conduite indigne.

Si nous lisons avec le cœur, chers frères prêtres, ce sont des invitations du Seigneur à lui être fidèles, à être fidèles à son Alliance, à nous laisser aimer, à nous laisser pardonner ; ce sont des invitations non seulement pour nous-mêmes, mais aussi pour que nous puissions servir le saint peuple fidèle de Dieu avec une conscience pure. Les gens le méritent, et ils en ont besoin également. L'Évangile de Luc nous dit qu'après que Jésus ait lu le passage du prophète Isaïe devant les siens et se soit assis, «tous avaient les yeux fixés sur lui» (4, 20). L'Apocalypse nous parle encore aujourd'hui des yeux fixés sur Jésus, de l'irrésistible attraction du Seigneur crucifié et ressuscité qui nous pousse à l'adorer et à le reconnaître : «Voici qu’il vient avec les nuées, tout œil le verra, ils le verront, ceux qui l’ont transpercé ; et sur lui se lamenteront toutes les tribus de la terre. Oui ! Amen !» (1, 7). La grâce finale, lorsque le Seigneur ressuscité reviendra, sera celle d’une reconnaissance immédiate : nous le verrons transpercé, nous reconnaîtrons qui il est et qui nous sommes, des pécheurs ; rien de plus.

“Fixer les yeux sur Jésus” est une grâce que, en tant que prêtres, nous devons cultiver. À la fin de la journée, il est bon de regarder le Seigneur, et que Lui regarde notre cœur, avec celui des personnes que nous avons rencontrées. Il ne s'agit pas de compter les péchés, mais d'une contemplation amoureuse dans laquelle nous regardons notre journée avec le regard de Jésus, et nous voyons ainsi les grâces de la journée, les dons et tout ce qu'il a fait pour nous, afin de lui rendre grâce. Et nous lui montrons aussi nos tentations, afin de les reconnaître et de les rejeter. Comme nous le voyons, il s'agit de comprendre ce qui est agréable au Seigneur et ce qu'il veut de nous ici et maintenant, dans notre histoire présente.

Et, si nous fixons son regard plein de bonté, il y aura peut-être aussi un signe de sa part pour que nous lui montrions nos idoles. Ces idoles que, comme Rachel, nous avons cachées sous les plis de notre manteau (cf. Gn 31, 34-35). Laisser le Seigneur regarder nos idoles cachées – nous en avons tous. Tous! Et le fait de laisser le Seigneur regarder ces idoles cachées nous rend forts face à elles et leur enlève leur pouvoir.

Le regard du Seigneur nous fait voir qu'en réalité, nous nous glorifions nous-mêmes en elles,[2] parce que là, dans cet espace où nous vivons comme s'il était exclusif, le diable s'immisce en ajoutant un élément très mauvais : il fait en sorte que, non seulement nous “complaisons” nous-mêmes en donnant libre cours à une passion ou en cultivant une autre, mais il nous amène aussi à substituer par elles, par ces idoles cachées, la présence des Personnes divines, la présence du Père, du Fils et de l'Esprit, qui demeurent en nous. De fait, c'est une chose qui arrive. Même si l’on se dit à soi-même que l'on distingue parfaitement ce qu'est une idole et qui est Dieu, dans la pratique, on enlève de l'espace à la Trinité pour le donner au démon, dans une sorte d’adoration indirecte : celle de celui qui le cache, mais qui écoute continuellement ses discours et consomme ses produits, de sorte qu'à la fin il ne reste même pas un petit espace pour Dieu. Parce qu’il est comme çà, il avance lentement. Une autre fois, j’ai parlé des démons “éduqués”, ceux dont Jésus dit qu’ils sont pires que celui qui avait été chassé. Ils sont “éduqués”, ils sonnent à la porte, ils entrent et prennent peu à peu possession de la maison. Nous devons être attentifs, voilà nos idoles.

C'est que les idoles ont quelque chose - un élément - qui leur est propre. Quand nous ne les démasquons pas, quand nous ne laissons pas Jésus nous montrer que nous nous cherchons nous-mêmes en elles sans nécessité, nous laissons un espace pour que le Malin s'immisce. Nous devons nous rappeler que le démon exige que nous fassions sa volonté et que nous le servions, mais il ne demande pas toujours que nous le servions et l'adorions continuellement, non, il sait se mouvoir, c’est un grand diplomate. Recevoir l'adoration de temps en temps lui suffit pour montrer qu'il est notre vrai seigneur, et même qu'il se sent le dieu de notre vie et de notre cœur.

Ceci étant dit, je voudrais partager avec vous, en cette Messe Chrismale, trois espaces d'idolâtrie cachée dans lesquels le Malin utilise ses idoles pour nous priver de notre vocation de pasteurs et, peu à peu, nous séparer de la présence bienfaisante et aimante de Jésus, de l'Esprit et du Père.

Un premier espace d'idolâtrie cachée s'ouvre là où il y a de la mondanité spirituelle qui est «une proposition de vie, une culture, une culture de l'éphémère, une culture de l’apparence, une culture du maquillage» .[3] Son critère est le triomphalisme, un triomphalisme sans la Croix. Et Jésus prie pour que le Père nous préserve de cette culture de la mondanité. Cette tentation d'une gloire sans la Croix va à l'encontre de la personne du Seigneur, elle va contre Jésus qui s'humilie dans l'Incarnation et qui, comme signe de contradiction, est le seul remède contre toute idole. Être pauvre avec le Christ pauvre, et “parce que le Christ a choisi la pauvreté”, est la logique de l'Amour, et rien d’autre. Dans le passage de l'Évangile d'aujourd'hui, nous voyons comment le Seigneur se situe dans son humble chapelle et dans son petit village, celui de toute sa vie, pour faire la même Annonce qu'il fera à la fin de l'histoire, quand il viendra dans sa Gloire, entouré des anges. Et nos yeux doivent rester fixés sur le Christ, dans l'ici et maintenant de l'histoire de Jésus avec moi, comme ils le seront alors. La mondanité de la recherche de sa propre gloire nous vole la présence de Jésus humble et humilié, du Seigneur proche de tous, du Christ des douleurs avec tous ceux qui souffrent, adoré par notre peuple qui sait qui sont ses vrais amis. Un prêtre mondain n'est rien d'autre qu'un païen cléricalisé. Un prêtre mondain n'est rien d'autre qu'un païen cléricalisé.

Un autre espace d'idolâtrie cachée prend racine là où l’on donne le primat au pragmatisme des chiffres. Ceux qui ont cette idole cachée se reconnaissent à leur amour des statistiques qui peuvent effacer toute dimension personnelle dans la discussion et donner la prééminence à la majorité, qui devient en définitive le critère de discernement; c’est mauvais. Cela ne peut être la seule façon de procéder ni le seul critère dans l'Église du Christ. Les personnes ne peuvent pas être “numérotées”, et Dieu ne donne pas l'Esprit “avec mesure” (cf. Jn 3, 34). Dans cette fascination pour les chiffres, nous nous cherchons en fait nous-mêmes et prenons plaisir au contrôle que nous fournit cette logique qui ne s'intéresse pas aux visages et n'est pas celle de l'amour, et aime les chiffres. Une caractéristique des grands saints est qu'ils savent se mettre en retrait afin de laisser toute la place à Dieu. Ce retrait, cet oubli de soi et ce désir de se faire oublier de tous est le propre de l'Esprit qui n'a pas d'image; l’Esprit n’a pas d’image propre simplement parce qu’il est tout Amour faisant briller l'image du Fils et, en elle, celle du Père. La substitution de sa Personne qui, déjà en soi, aime “ne pas apparaître” – parce qu’elle n’a pas d’image –, est ce que vise l'idole des chiffres, qui fait en sorte que tout “apparaisse”, bien que de manière abstraite et comptabilisée, sans incarnation.

Un troisième espace d'idolâtrie cachée, lié au précédent, est celui qui s'ouvre avec le fonctionnalisme, un milieu séduisant dans lequel beaucoup “s'enthousiasment davantage pour la feuille de route que pour le parcours”. La mentalité fonctionnaliste ne tolère pas le mystère, elle vise l'efficacité. Peu à peu, cette idole remplace la présence du Père en nous. La première idole se substitue à la présence du Fils, la deuxième à celle de l’Esprit, et celle-ci à la présence du Père. Notre Père est le Créateur, non pas quelqu’un qui fait seulement “fonctionner” les choses, mais quelqu’un qui “crée” comme un Père, avec tendresse, en prenant en charge ses créatures et en œuvrant pour que l'homme soit plus libre. Le fonctionnaliste ne sait pas se réjouir des grâces que l'Esprit répand sur son peuple, desquelles il pourrait aussi se “nourrir” comme un ouvrier qui gagne son salaire. Le prêtre à la mentalité fonctionnaliste a sa propre nourriture, qui est son ego. Dans le fonctionnalisme, nous laissons de côté l'adoration du Père dans les petites et grandes choses de nos vies et nous nous complaisons dans l'efficacité de nos programmes. Comme ce qu’a fait David lorsque, tenté par Satan, il se convainquit d’effectuer le recensement (cf. 1 Ch 21, 1). Ceux-ci sont les amoureux de plan, de l’itinéraire, non du chemin.

Dans ces deux derniers espaces d'idolâtrie cachée (pragmatisme des chiffres et fonctionnalisme), nous remplaçons l'espérance, qui est l'espace de la rencontre avec Dieu, par le résultat empirique. C'est une attitude de vaine gloire de la part du pasteur, une attitude qui désintègre l'union de son peuple avec Dieu et façonne une nouvelle idole basée sur les chiffres et les programmes : l'idole “mon pouvoir, notre pouvoir”[4], notre programme, nos chiffres, nos plans pastoraux. Cacher ces idoles (avec l'attitude de Rachel) et ne pas savoir les démasquer dans sa vie quotidienne nuit à la fidélité de notre alliance sacerdotale et attiédit notre relation personnelle avec le Seigneur. Mais que cherche cet évêque qui, au lieu de parler de Jésus, nous parle de ces idoles d’aujourd’hui? Certains peuvent se dire cela…

Chers frères, Jésus est la voie unique pour ne pas nous tromper dans la connaissance de ce que nous ressentons, de ce à quoi notre cœur nous conduit... ; il est la voie unique pour bien discerner en nous confrontant à Lui, chaque jour, comme si aujourd'hui encore il s’asseyait dans notre église paroissiale et nous disait qu'aujourd'hui s'est accompli tout ce que nous avons entendu. Que Jésus-Christ, en étant un signe de contradiction – ce qui n'est pas toujours quelque chose de cruel ni de dur, puisque la miséricorde est un signe de contradiction et bien plus encore la tendresse – que Jésus-Christ, donc, fasse en sorte que ces idoles soient révélées, que leur présence, leurs racines et leurs rouages soient visibles, et que le Seigneur puisse ainsi les détruire, voilà la proposition: faire de la place pour que le Seigneur puisse détruire nos idoles cachées. Et nous devons nous en souvenir, être attentifs, afin que l’ivraie de ces idoles que nous avons su cacher dans les replis de notre cœur ne repoussent pas.

Et je voudrais conclure en demandant à saint Joseph, le père très chaste et sans idoles cachées, de nous libérer de toute soif de possession, car celle-ci, la soif de possession, est le terreau fertile dans lequel poussent ces idoles. Et qu'il nous obtienne aussi la grâce de ne pas baisser les bras dans la tâche ardue de discerner ces idoles que nous dissimulons ou qui se cachent si souvent. Et demandons aussi à saint Joseph que, là où nous doutons sur la manière de mieux faire, il intercède pour nous afin que l'Esprit éclaire notre jugement, comme il a éclaira le sien lorsqu'il a fut tenté de répudier Marie “en secret” (lathra), de sorte que nous sachions, avec un cœur noble, subordonner à la charité ce que nous avons appris par la loi.[5]

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[1] Parce que le sacerdoce ministériel est au service du sacerdoce commun. Le Seigneur a choisi certains pour «exercer officiellement la fonction sacerdotale pour les hommes au nom du Christ» (Conc. Œcum. Vat. II, Décret Presbyterorum Ordinis, n. 2 ; cf. Constitution dogmatique Lumen Gentium, n. 10). "Car les ministres qui sont dotés du pouvoir sacré servent leurs frères" (Lumen Gentium, n. 18).

[2] Cf. Catéchèse de l’Audience générale, 1er août 2018.

[3] Homélie de la messe à Sainte Marthe, 16 mai 2020.

[4] J. M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero, 2014, 145.

[5] Cf Lett. ap. Patris corde, 4, note 18.

[00558-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

In the reading from the Prophet Isaiah that we have heard, the Lord makes a promise full of hope, one that concerns us at first hand: “You shall be called priests of the Lord; they shall speak of you as the ministers of our God… I will faithfully give them their recompense, and I will make an everlasting covenant with them” (61:6.8). Being priests, dear brothers, is a grace, a very great grace, yet it is not primarily a grace for us, but for our people.[1] The fact that the Lord chooses, from among his flock, some who devote themselves exclusively to the care of his flock as fathers and shepherds is a great gift for our people. The Lord himself pays the priest’s salary: “I will faithfully give them their recompense” (Is 61:8). And, as we all know, he is a good paymaster, even if he has his own particular way of doing things, like paying the last ones before first ones: this is his way.

The reading from the Book of Revelation tells us what the Lord’s recompense is. It is his love and the unconditional forgiveness of our sins at the price of his blood shed on the Cross: “He loves us and has freed us from our sins by his blood and made us a kingdom, priests to his God and Father” (1:5-6). There is no recompense greater than friendship with Jesus, do not forget this. There is no peace greater than his forgiveness, and we all know that. There is no greater price than his precious Blood, and we must not allow it to be devalued by unworthy conduct.

If we think about it, dear brother priests, the Lord is inviting us to be faithful to him, to be faithful to his covenant, and to let ourselves be loved and forgiven by him. They are invitations addressed to us, so that in this way we can serve, with a clear conscience, the holy and faithful people of God. Our people deserve this and they need it. The Gospel of Luke tells us that, after Jesus read the passage from the prophet Isaiah in the presence of his townspeople and sat down, “the eyes of all in the synagogue were fixed on him” (4:20). The Book of Revelation also speaks to us today of eyes fixed on Jesus. It speaks of the irresistible attraction of the crucified and risen Lord that leads us to acknowledge and worship him: “Behold, he is coming with the clouds, and every eye will see him, everyone who pierced him; and all tribes of the earth will wail on account of him. The ultimate grace, at the return of the risen Lord, will be that of immediate recognition. We will see him and his wounds. We will recognize who he is, and who we are, as poor sinners.

“Fixing our eyes on Jesus” is a grace that we, as priests, need to cultivate. At the end of the day, we do well to gaze upon the Lord, and to let him gaze upon our hearts and the hearts of all those whom we have encountered. Not as an accounting of our sins, but as a loving act of contemplation, in which we review our day with the eyes of Jesus, seeing its graces and gifts, and giving thanks for all that he has done for us. But also to set before him our temptations, so as to acknowledge them and reject them. As we can see, this requires knowing what is pleasing to the Lord and what it is that he is asking of us here and now, at this point in our lives.

And perhaps, if we meet his gracious gaze, he will also help us to show him our idols. The idols that, like Rachel, we have hidden under the folds of our cloak (cf. Gen 31: 34-35). Allowing the Lord to see those hidden idols – we all have them; all of us! – and to strengthens us against them and takes away their power.

The Lord’s gaze makes us see that, through them we are really glorifying ourselves[2], for there, in those spaces we mark out as exclusively ours, the devil insinuates himself with his poison. He not only makes us self-complacent, giving free rein to one passion or nurturing another, but he also leads us to replace with those idols the presence of the divine Persons, the Father, the Son and the Spirit who dwell within us. This happens. Even though we might tell ourselves that we know perfectly well the difference between God and an idol, in practice we take space away from the Trinity in order to give it to the devil, in a kind of oblique worship. The worship of one who quietly yet constantly listens to his talk and consumes his products, so that in the end not even a little corner remains for God. He is like that, he works quietly and slowly. In another context I spoke about “educated” demons, those that Jesus said are worse than the one who was cast out. They are “polite”, they ring the bell, they enter and gradually take over the house. We must be careful, these are our idols.

There is something about idols that is personal. When we fail to unmask them, when we do not let Jesus show us that in them we are wrongly and unnecessarily seeking ourselves, we make room for the Evil One. We need to remember that the devil demands that we do his will and that we serve him, but he does not always ask us to serve him and worship him constantly; but beware, he is a great diplomat. Receiving our worship from time to time is enough for him to prove that he is our real master and that he can feel like a god in our life and in our heart.

Having said that, in this Chrism Mass, I want to share with you three spaces of hidden idolatry in which the Evil One uses our idols to weaken us in our vocation as shepherds and, little by little, separate us from the benevolent and loving presence of Jesus, the Spirit and the Father.

One space of hidden idolatry opens up wherever there is spiritual worldliness, which is “a proposal of life, a culture, a culture of the ephemeral, of appearances, of the cosmetic”.[3] Its criterion is triumphalism, a triumphalism without the cross. Jesus prayed that the Father would defend us against this culture of worldliness. This temptation of glory without the cross runs contrary to the very person of the Lord, it runs contrary to Jesus, who humbled himself in the incarnation and, as a sign of contradiction, is our sole remedy against every idol. Being poor with Christ who was poor and “chose to be poor”: this is the mindset of Love; nothing else. In today’s Gospel, we see how the Lord chose a simple synagogue in the small village where he spent most of his life, to proclaim the same message he will proclaim at the end of time, when he will come in his glory, surrounded by angels. Our eyes must be fixed on Christ, on the concrete reality of his history with me, now, even as they will be then. The worldly attitude of seeking our own glory robs us of the presence of Jesus, humble and humiliated, the Lord who draws near to everyone, the Christ who suffers with all who suffer, who is worshiped by our people, who know who his true friends are. A worldly priest is nothing more than a clericalized pagan.

A second space of hidden idolatry opens up with the kind of pragmatism where numbers become the most important thing. Those who cherish this hidden idol can be recognized by their love for statistics, numbers that can depersonalize every discussion and appeal to the majority as the definitive criterion for discernment; this is not good. This cannot be the sole method or criterion for the Church of Christ. Persons cannot be “numbered”, and God does not “measure out” his gift of the Spirit (cf. Jn 3:34). In this fascination with and love of numbers, we are really seeking ourselves, pleased with the control offered us by this way of thinking, unconcerned with individual faces and far from love. One feature of the great saints is that they know how to step back in order to leave room completely for God. This stepping back, this forgetting of ourselves and wanting to be forgotten by everyone else, is the mark of the Spirit, who is in some sense “faceless” – the Spirit is “faceless” – simply because he is completely Love, illuminating the image of the Son and, in him, that of the Father. The idolatry of numbers tries to replace the person of the Holy Spirit, who loves to keep hidden – because he is “faceless” – it tries to make everything “apparent”, albeit in a way abstract and reduced to numbers, without a real incarnation.

A third space of hidden idolatry, related to the second, comes from functionalism. This can be alluring; many people “are more enthusiastic about the roadmap than about the road”. The functionalist mindset has short shrift for mystery; it aims at efficiency. Little by little, this idol replaces the Father’s presence within us. The first idol replaces the Son’s presence, the second one the Spirit’s, and the third one the Father’s. Our Father is the creator, but not simply a creator who makes things “function”. He “creates” us, as our Father, with tender love, caring for his creatures and working to make men and women ever more free. “Functionaries” take no delight in the graces that the Spirit pours out on his people, from which they too can “be nourished” like the worker who earns his wage. The priest with a functionalist mindset has his own nourishment, which is his ego. In functionalism, we set aside the worship of the Father in the small and great matters of our life and take pleasure in the efficiency of our own programmes. As David did when, tempted by Satan, he insisted on carrying out the census (cf. 1 Chron 21:1). These are the lovers of the route plan and the itinerary, and not of the journey itself.

In these last two spaces of hidden idolatry (the pragmatism of numbers and functionalism), we replace hope, which is the space of encounter with God, with empirical results. This shows an attitude of vainglory on the part of the shepherd, an attitude that weakens the union of his people with God and forges a new idol based on numbers and programmes: the idol of “my power, our power”,[4] of our programmes, of our numbers and pastoral plans. Concealing these idols (as Rachel did), and not knowing how to unmask them in our daily lives, detracts from our fidelity to our priestly covenant and makes our personal relationship with the Lord become lukewarm. But what does this Bishop want? Instead of talking about Jesus he is talking about today’s idols. Someone can think like that…

Dear brothers, Jesus is the only “way” to avoid being mistaken in knowing what we feel and where our heart is leading us. He is the only way that leads to proper discernment, as we measure ourselves against him each day. It is as if, even now, he is seated in our parish church and tells us that today all we have heard is now fulfilled. Jesus Christ, as a sign of contradiction – which is not always something harsh and painful, for mercy and, even more, tender love, are themselves signs of contradiction – Jesus Christ, I repeat, forces these idols to show themselves, so that we can see their presence, their roots and the ways they operate, and allow the Lord to destroy them. This is the proposal: allow the Lord to destroy those hidden idols. We should keep these things in mind and be attentive, lest the weeds of these idols that we were able to hide in the folds of our hearts may spring up anew.

I want to end by asking Saint Joseph, as the chaste father, free of hidden idols, to liberate us from every form of possessiveness, for possessiveness is the fertile soil in which these idols grow. May he also obtain for us the grace to persevere in the arduous task of discerning those idols that we all too often conceal or that conceal themselves. Let us ask too, whenever we wonder if we might do things better, that he intercede for us, so that the Spirit may enlighten our judgement, even as he did when Joseph was tempted to set Mary aside “quietly” (lathra). In this way, with nobility of heart, we may be able to subordinate to charity what we have learned by law.[5]

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[1] For the ministerial priesthood is at the service of the common priesthood. The Lord has chosen certain men “in order that they might exercise the priestly office publically on behalf of men and women in the name of Christ” (SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Decree on the Life and Ministry of Priests Presbyterorum Ordinis, 2; cf. Dogmatic Constitution on the Church Lumen Gentium, 10). “Ministers, invested with a sacred power, are at the service of their brothers and sisters” (Lumen Gentium, 18).

[2] Cf. General Audience, 1 August 2018.

[3] Homily, Mass at the Domus Sanctae Marthae, 16 May 2020.

[4] J. M. BERGOGLIO, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero, 2014, 145.

[5] Cf. Apostolic Letter Patris Corde, 4, note 18.

[00558-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

In der Lesung aus dem Propheten Jesaja, die wir gerade gehört haben, macht der Herr eine hoffnungsvolle Verheißung, die uns unmittelbar berührt: »Ihr aber werdet Priester des Herrn genannt, / Diener unseres Gottes sagt man zu euch/ [...] Ich zahle ihnen den Lohn in Treue aus / und schließe einen ewigen Bund mit ihnen« (61,6.8). Priester zu sein, liebe Brüder, ist eine Gnade, eine überaus große Gnade, die nicht in erster Linie eine Gnade für uns ist, sondern für die Menschen[1]; und für unser Volk ist es ein großes Geschenk, dass der Herr aus seiner Herde einige auswählt, die sich als Väter und Hirten ausschließlich um seine Schafe sorgen. Es ist der Herr selbst, der den Priestern ihren Lohn zahlt: »Ich zahle ihnen den Lohn in Treue aus« (Jes 61,8). Und er, wir wissen es, entlohnt gut, auch wenn er seine Besonderheiten hat, wie zum Beispiel, dass er die Letzten zuerst bezahlt und dann die Ersten: Das entspricht seinem Stil.

         Die Lesung aus dem Buch der Offenbarung sagt uns, welches der Lohn des Herrn ist. Es ist seine Liebe und die bedingungslose Vergebung unserer Sünden um den Preis seines am Kreuz vergossenen Blutes: »Ihm, der uns liebt und uns von unseren Sünden erlöst hat durch sein Blut, der uns zu einem Königreich gemacht hat und zu Priestern vor Gott, seinem Vater« (1,5-6). Es gibt keinen besseren Lohn als die Freundschaft mit Jesus, vergessen wir das nicht. Es gibt keinen größeren Frieden als seine Vergebung und das wissen wir alle. Es gibt keinen höheren Preis als den seines kostbaren Blutes, das wir nicht durch unwürdiges Verhalten verachten dürfen.

         Wenn wir mit dem Herzen lesen, liebe Brüder im Priesteramt, so sind das Aufforderungen des Herrn dazu, ihm treu zu sein, seinem Bund treu zu sein, uns lieben zu lassen, uns vergeben zu lassen; es sind Aufforderungen nicht nur an uns selbst, sondern auch, damit wir dem heiligen gläubigen Volk Gottes mit gutem Gewissen dienen können. Die Menschen verdienen das und sind auch darauf angewiesen. Das Lukasevangelium berichtet, dass Jesus, nachdem er den Abschnitt aus dem Propheten Jesaja vor seinem Volk vorgelesen und sich gesetzt hatte, »die Augen aller […] auf ihn gerichtet« waren. (4,20). Auch das Buch der Offenbarung spricht heute zu uns von den Augen, die auf Jesus gerichtet sind, von der unwiderstehlichen Anziehungskraft des gekreuzigten und auferstandenen Herrn, die uns zur Anbetung und Erkenntnis führt: »Siehe, er kommt mit den Wolken und jedes Auge wird ihn sehen, auch alle, die ihn durchbohrt haben; und alle Völker der Erde werden seinetwegen jammern und klagen.« (1,7). Die endgültige Gnade bei der Wiederkunft des auferstandenen Herrn wird ein unmittelbares Erkennen sein: Wir werden ihn durchbohrt sehen, wir werden erkennen, wer er ist und wer wir sind, Sünder; nichts weiter.

„Unsere Augen auf Jesus zu richten“ ist eine Gnade, die wir als Priester pflegen müssen. Am Ende des Tages ist es gut, auf den Herrn zu schauen und ihn in unser Herz schauen zu lassen, und dies zusammen mit dem Herzen der Menschen, denen wir begegnet sind. Es geht nicht darum, Sünden aufzulisten, sondern um eine liebevolle Betrachtung, in der wir mit den Augen Jesu auf unseren Tag blicken und so die Gnaden des Tages, die Gaben und alles, was er für uns getan hat, sehen, um dafür zu danken. Und wir zeigen ihm auch unsere Versuchungen, damit wir sie erkennen und zurückweisen. Wie wir sehen, geht es darum, zu verstehen, was dem Herrn wohlgefällig ist und was er hier und jetzt, in unserer gegenwärtigen Situation, von uns will.

         Wenn wir seinen gütigen Blick aushalten, wird er uns vielleicht auch einen Wink geben, ihm unsere Götzenbilder zu zeigen: jene Götzenbilder, die wir, wie Rahel, unter den Falten unseres Mantels versteckt haben (vgl. Gen 31,34-35). Wenn wir den Herrn einen Blick auf unsere verborgenen Götzen werfen lassen - und wir alle haben welche! -, werden wir ihnen gegenüber erstarken und es nimmt ihnen die Macht.

Der Blick des Herrn lässt uns erkennen, dass wir uns in ihnen in Wirklichkeit selbst verherrlichen[2], denn dort, in diesem Raum, den wir so leben, als wäre er ausschließlich unserer, mischt sich Teufel ein und fügt ein überaus bösartiges Element hinzu: Er sorgt dafür, dass wir uns nicht nur an uns selbst „erfreuen“, indem wir einer Leidenschaft freien Lauf lassen oder eine andere pflegen, sondern er führt uns auch dazu, mit ihnen, mit diesen verborgenen Götzen, die Gegenwart der Göttlichen Personen, die Gegenwart des Vaters, des Sohnes und des Geistes, die in uns wohnen, zu ersetzen. Das ist es, was in der Tat geschieht. Obwohl man sich einredet, dass man sehr wohl unterscheiden kann, was ein Götze und wer Gott ist, nimmt man in der Praxis der Dreifaltigkeit allmählich den Platz weg und gibt ihn dem Teufel, in einer Art indirekten Anbetung: Man hält ihn versteckt, aber man hört ständig seinen Reden zu und konsumiert seine Erzeugnisse, so dass am Ende nicht einmal mehr ein Winkel für Gott übrigbleibt. Denn Er ist so, Er geht langsam voran. Und ein anderes Mal habe ich von den „höflichen“ Dämonen gesprochen, von denen Jesus sagt, dass sie schlimmer sind als der Dämon, der verjagt wurde. Sie sind „höflich“, sie klingeln an, sie treten ein und ergreifen schrittweise Besitz von dem Haus. Wir müssen aufpassen, dies sind unsere Götzenbilder.

Es ist so, dass die Götzen etwas Persönliches, ein persönliches Element aufweisen, wenn wir sie nicht entlarven, wenn wir nicht zulassen, dass Jesus uns zeigt, dass wir in ihnen unglücklich und grundlos nach uns selbst suchen und dass wir dem Bösen Raum geben, um sich einzumischen. Wir müssen bedenken, dass der Teufel von uns verlangt, seinen Willen zu tun und ihm zu dienen, aber er verlangt nicht immer, dass wir ihm zu jeder Zeit dienen und anbeten, nein, er weiß sich geschickt zu verhalten, er ist ein großer Diplomat. Ihm genügt es, hin und wieder angebetet zu werden, um zu zeigen, dass er unser wahrer Herr ist und er sich in unserem Leben und in unserem Herzen sogar wie Gott fühlt.

         In dieser Chrisammesse möchte ich mit euch nun drei Bereiche des verborgenen Götzendienstes gemeinsam bedenken, in denen der böse Feind seine Götzen benutzt, um uns unserer Berufung als Hirten zu berauben und uns nach und nach von der wohltuenden und liebenden Gegenwart Jesu, des Geistes und des Vaters zu trennen.

         Ein erster Raum des verborgenen Götzendienstes öffnet sich dort, wo es eine geistige Weltlichkeit gibt, sie ist »ein Lebensmodell […] eine Kultur; sie ist eine Kultur des Vergänglichen, eine Kultur des schönen Scheins, eine Kultur des Make-Ups«[3]. Ihr Kriterium ist der Triumphalismus, ein Triumphalismus ohne das Kreuz. Und Jesus betet, dass der Vater uns vor dieser Kultur der Weltlichkeit schützen möge. Diese Versuchung einer Herrlichkeit ohne das Kreuz widerspricht der Person des Herrn, widerspricht Jesus, der sich in der Menschwerdung erniedrigt und der als Zeichen des Widerspruchs das einzige Heilmittel gegen jeden Götzen ist. Mit Christus arm zu sein, „weil Christus die Armut gewählt hat“, das ist die Logik der Liebe und keine andere. Im heutigen Abschnitt des Evangeliums sehen wir, wie der Herr sich in seine bescheidene Kapelle und in sein kleines Dorf, das Dorf seines ganzen Lebens, begibt, um die gleiche Botschaft zu verkünden, die er am Ende der Geschichte verkünden wird, wenn er in seiner Herrlichkeit, umgeben von den Engeln, kommt. Und unsere Augen müssen fest auf Christus gerichtet sein, im Hier und Jetzt der Geschichte Jesu mit mir, genauso wie sie es auch dann sein werden. Das weltliche Streben nach eigenem Ruhm beraubt uns der Gegenwart des demütigen und erniedrigten Jesus, des Herrn, der allen nahe ist, der Gegenwart Christi, der mit allen Leidenden mitleidet, der von unserem Volk angebetet wird, das weiß, wer seine wahren Freunde sind. Ein verweltlichter Priester ist nichts anderes als ein klerikalisierter Heide. Ein verweltlichter Priester ist nichts anderes als ein klerikalisierter Heide.

Ein weiterer Bereich des versteckten Götzendienstes entsteht dort, wo dem Pragmatismus der Zahl der Primat gegeben wird. Diejenigen, die diesen versteckten Götzendienst betreiben, sind bekannt für ihre Vorliebe zu Statistiken, die jede persönliche Eigenschaft in der Diskussion auszulöschen und der Mehrheit den Vorrang zu geben vermag, die schließlich Kriterium der Unterscheidung wird; und das ist schlecht. Dies kann weder die einzige Vorgehensweise noch das einzige Kriterium in der Kirche Christi sein. Menschen können nicht „gezählt“ werden und Gott gibt den Geist nicht „mit Maß“ (vgl. Joh 3,34). In dieser Faszination für die Zahlen suchen wir in Wirklichkeit uns selbst und erfreuen uns an der Kontrolle, die uns diese Logik gewährleistet, die sich nicht für die Gesichter der Menschen interessiert und nicht die Logik der Liebe ist, sie liebt die Zahlen. Ein Merkmal der großen Heiligen ist es, dass sie es verstehen, sich zurückzunehmen, um Gott den ganzen Raum zu überlassen. Dieses Sich-Zurücknehmen, dieses sich Selbst-Vergessen und der Wille, von allen anderen vergessen zu werden, ist das Kennzeichen des Geistes, für den es gerade deswegen kein Bild gibt, weil er ganz Liebe ist, die das Bild des Sohnes und in ihm das des Vaters zum Strahlen bringt. Das Ersetzen seiner Person, die schon an sich „nicht in Erscheinung treten“ möchte – weil sie kein Bild hat -, ist das, was das Idol der Zahlen anstrebt, das alles „in Erscheinung treten“ lässt, wenn auch auf abstrakte und rechnerische Weise, ohne Inkarnation.

Ein dritter Bereich des verborgenen Götzendienstes, der mit dem vorhergehenden verwandt ist, ist der, der sich mit dem Funktionalismus auftut, ein verführerischer Bereich, in dem sich viele „mehr für den Fahrplan als für den Weg begeistern“. Die funktionalistische Mentalität duldet das Mysterium nicht, sie zielt auf Effizienz. Dieses Idol ersetzt nach und nach die Gegenwart des Vaters in uns. Das erste Idol ersetzt die Gegenwart des Sohnes, das zweite Idol die des Geistes und dieses die Gegenwart des Vaters. Unser Vater ist der Schöpfer, aber nicht einer, der die Dinge nur „funktionieren“ lässt, sondern einer, der als Vater mit Zärtlichkeit „erschafft“, der sich um seine Geschöpfe kümmert und so wirkt, damit der Mensch freier wird. Der Funktionalist kann sich nicht über die Gnaden freuen, die der Geist über sein Volk ausgießt und von denen er sich als Arbeiter, der seinen Lohn verdient, auch „ernähren“ könnte. Der funktionalistisch denkende Priester hat seine eigene Nahrung, die sein Ego ist. Im Funktionalismus schieben wir die Anbetung des Vaters in den kleinen und großen Dingen unseres Lebens beiseite und gefallen uns in der Effizienz unserer Pläne: So wie David es getan hat, als er sich, vom Satan versucht, darauf versteifte, die Volkszählung durchzuführen (vgl. 1 Chr 21,1). Das sind die, welche in den Streckenplan, in den Plan des Weges, nicht in den Weg, verliebt sind.

In diesen beiden letzten Räumen des verborgenen Götzendienstes (Pragmatismus der Zahl und Funktionalismus) ersetzen wir die Hoffnung, die der Raum der Begegnung mit Gott ist, durch empirische Nachprüfungen. Es ist eine Haltung der Eitelkeit des Hirten, eine Haltung, die die Einheit seines Volkes mit Gott auflöst und einen neuen Götzen formt, der auf Zahlen und Plänen beruht: der Götze »meine Macht, unsere Macht«[4], unser Programm, unsere Zahlen, unsere Pastoralpläne. Wenn wir diese Götzen (mit der Haltung Rahels) verstecken und nicht im Stande sind, sie in unserem täglichen Leben zu entlarven, schadet das der Treue unseres priesterlichen Bundes und lässt unsere persönliche Beziehung zum Herrn abkühlen. Aber was will denn dieser Bischof, der heute über Götzen anstatt über Jesus zu uns spricht? Jemand könnte das denken …

Liebe Brüder, Jesus ist der einzige Weg, um nicht in die Irre zu gehen und um zu erkennen, was wir fühlen und wohin uns unser Herz führt ...; er ist der einzige Weg, damit wir gut unterscheiden können, indem wir uns jeden Tag mit ihm auseinandersetzen, als ob er sich auch heute in unsere Pfarrkirche gesetzt und uns gesagt hätte, dass sich heute alles erfüllt hat, was wir gehört haben. Jesus Christus, der ein Zeichen des Widerspruchs ist - was nicht immer etwas Blutiges oder Hartes ist, denn die Barmherzigkeit ist ein Zeichen des Widerspruchs und noch viel mehr die Zärtlichkeit - Jesus Christus, sage ich, bewirkt, dass diese Götzen aufgedeckt werden, dass ihre Anwesenheit, ihre Wurzeln und ihr Wirkungsweise sichtbar werden, und so kann der Herr sie zerstören. Das ist der Vorschlag: Raum geben, damit der Herr unsere verborgenen Götzen zerstören kann. Und wir müssen uns an sie erinnern, wir müssen aufmerksam sein, damit das Unkraut dieser Götzen, das wir in den Falten unseres Herzens verstecken konnten, nicht wieder aufkeimt.

Zum Schluss möchte ich den heiligen Josef, den keuschesten Vater ohne verborgene Götzen, bitten, uns von jeglicher Habgier zu befreien, denn diese Habgier ist der fruchtbare Boden, auf dem diese Götzen wachsen. Und möge er uns auch die Gnade erwirken, in der beschwerlichen Aufgabe, diese Götzen zu erkennen, die wir so oft verbergen oder verstecken, nicht zu verzagen. Und bitten wir den heiligen Josef ebenso, dass er dort, wo wir zweifeln, wie wir es besser machen können, für uns eintritt, damit der Geist unser Urteilsvermögen erleuchtet, so wie er das seine erleuchtet hat, als er versucht war, Maria „im Verborgenen“ (lathra) zu verlassen. So mögen wir edlen Herzens fähig sein, das, was wir durch das Gesetz gelernt haben, der Liebe zu unterstellen [5].

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[1] Denn das Amtspriestertum steht im Dienst des allgemeinen Priestertums. Der Herr hat einige dazu auserwählt, »das priesterliche Amt öffentlich für die Menschen in Christi Namen [zu] verwalten« (II. Vatikanisches Konzil, Decr. Presbyterorum ordinis, 2; vgl. Dogmatische Konstitution Lumen Gentium, 10). »Denn die Amtsträger, die mit heiliger Vollmacht ausgestattet sind, stehen im Dienste ihrer Brüder« (Lumen Gentium, 18).

[2] Vgl. Katechese bei der Generalaudienz, 1. August 2018.

[3] Tagesmeditation, Domus Sanctae Marthae, 16. Mai 2020.

[4] J.M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero, 2014, 145.

[5] Vgl. Apostolisches Schreiben Patris corde, 4, Anmerkung 18.

[00558-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

En la lectura del profeta Isaías que hemos escuchado, el Señor hace una promesa esperanzadora que nos toca de cerca: «Ustedes serán llamados sacerdotes del Señor, y se les dirá ministros de nuestro Dios. […] Yo les daré con fidelidad su recompensa y sellaré con ellos una alianza eterna» (61,6.8). Ser sacerdotes es, queridos hermanos, una gracia, una gracia muy grande que no es en primer lugar una gracia para nosotros, sino para la gente;[1] y para nuestro pueblo es un gran don el hecho de que el Señor elija, de entre su rebaño, a algunos que se ocupen de sus ovejas de manera exclusiva, siendo padres y pastores. El Señor mismo es quien paga el salario del sacerdote: «Yo les daré con fidelidad su recompensa» (Is 61,8). Y Él, lo sabemos, es buen pagador, aunque tenga sus particularidades, como la de pagar primero a los últimos y después a los primeros. Ese es su estilo.

La lectura del libro del Apocalipsis nos dice cuál es el salario del Señor. Es su Amor y el perdón incondicional de nuestros pecados a precio de su sangre derramada en la Cruz: «Al que nos sigue amando y liberando de nuestros pecados por medio de su sangre e hizo de nosotros un reino y sacerdotes para su Dios y Padre» (1,5-6). No hay salario mayor que la amistad con Jesús, y esto no debemos olvidarlo. No hay paz más grande que su perdón y esto lo sabemos todos. No hay precio más costoso que el de su Sangre preciosa, que no debemos permitir que se desprecie con una conducta que no sea digna.

Si leemos con el corazón, queridos hermanos sacerdotes, estas son invitaciones del Señor a que le seamos fieles, a ser fieles a su Alianza, a dejarnos amar, a dejarnos perdonar; no sólo son invitaciones para nosotros mismos, sino también para poder así servir, con una conciencia limpia, al santo pueblo fiel de Dios. La gente se lo merece e incluso lo necesita. El evangelio de Lucas nos dice que, luego de que Jesús leyó el pasaje del profeta Isaías delante de su gente y se sentó, «los ojos de todos estaban fijos en Él» (4,20). También el Apocalipsis nos habla hoy de ojos fijos en Jesús, de esta atracción irresistible del Señor crucificado y resucitado que nos lleva a adorar y a discernir: «Helo aquí que viene con las nubes y todo ojo lo verá, también los ojos de los que lo traspasaron, y por Él todas las tribus de la tierra se golpearán el pecho. (1,7). La gracia final, cuando vuelva el Señor resucitado, será la de un reconocimiento inmediato: lo veremos traspasado, reconoceremos quién es Él y quiénes nosotros, pecadores; sin más.

“Fijar los ojos en Jesús” es una gracia que, como sacerdotes, debemos cultivar. Al terminar el día hace bien mirar al Señor y que Él nos mire el corazón, junto con el corazón de la gente con la que nos encontramos. No se trata de contabilizar los pecados, sino de una contemplación amorosa en la que miramos nuestra jornada con la mirada de Jesús y vemos así las gracias del día, los dones y todo lo que ha hecho por nosotros, para agradecer. Y le mostramos también nuestras tentaciones, para discernirlas y rechazarlas. Como vemos, se trata de entender qué le agrada al Señor y qué desea de nosotros aquí y ahora, en nuestra historia actual.

Y quizá, si sostenemos su mirada bondadosa, de parte suya habrá también una señal para que le mostremos nuestros ídolos. Esos ídolos que, como Raquel, escondimos bajo los pliegues de nuestro poncho (cf. Gn 31,34-35). Dejar que el Señor mire nuestros ídolos escondidos ―todos los tenemos, ¡sin excepción!― Y dejar que el Señor mire a esos ídolos escondidos nos hace fuertes frente a ellos y les quita su poder.

La mirada del Señor nos hace ver que, en realidad, en ellos nos glorificamos a nosotros mismos,[2] porque allí, en ese espacio que vivimos como si fuera exclusivo, se nos mete el diablo agregando un componente muy maligno: hace que no sólo nos “complazcamos” a nosotros mismos dando rienda suelta a una pasión o cultivando otra, sino que también nos lleva a reemplazar con ellos, con esos ídolos escondidos, la presencia de las divinas personas, la presencia del Padre, del Hijo y del Espíritu, que moran en nuestro interior. Es algo que se da de hecho. Aunque uno se diga a sí mismo que distingue perfectamente lo que es un ídolo y quién es Dios, en la práctica le vamos quitando espacio a la Trinidad y dándoselo al demonio, en una especie de adoración indirecta: la de quien lo esconde, pero escucha sus discursos y consume sus productos todo el tiempo, de manera tal que al final no queda ni un ratito para Dios. Porque él es así, avanza lentamente. Otra vez me referí a los demonios “educados”, de los que Jesús dice que son peores del que fue expulsado antes. Sí, son “educados”, tocan el timbre, entran y poco a poco toman posesión de la casa. Hay que estar atentos, porque estos son nuestros ídolos.

Es que los ídolos tienen algo —un elemento— personal. Al no desenmascararlos, al no dejar que Jesús nos haga ver que en ellos nos estamos buscando mal a nosotros mismos sin necesidad, y que dejamos un espacio en el que se mete el Maligno. Debemos recordar que el demonio exige que hagamos su voluntad y le sirvamos, pero no siempre requiere que le sirvamos y adoremos continuamente, no, sabe cómo moverse, es un gran diplomático. Recibir la adoración de vez en cuando le es suficiente para mostrarse que es nuestro verdadero señor y que todavía se sienta dios en nuestra vida y corazón.

Dicho esto, quisiera compartir con ustedes, en esta Misa crismal, tres espacios de idolatría escondida en los que el Maligno utiliza sus ídolos para depotenciarnos de nuestra vocación de pastores e ir apartándonos de la presencia benéfica y amorosa de Jesús, del Espíritu y del Padre.

Un primer espacio de idolatría escondida se abre donde hay mundanidad espiritual que es «una propuesta de vida, es una cultura, una cultura de lo efímero, una cultura de la apariencia, una cultura del maquillaje».[3] Su criterio es el triunfalismo, un triunfalismo sin Cruz. Y Jesús reza para que el Padre nos defienda de esta cultura de la mundanidad.Esta tentación de una gloria sin Cruz va contra la persona del Señor, va contra Jesús que se humilla en la Encarnación y que, como signo de contradicción, es la única medicina contra todo ídolo. Ser pobre con Cristo pobre y “porque Cristo eligió la pobreza” es la lógica del Amor y no otra. En el pasaje evangélico de hoy vemos cómo el Señor se sitúa en su humilde capilla y en su pequeño pueblo, el de toda la vida, para hacer el mismo Anuncio que hará al final de la historia, cuando venga en su Gloria, rodeado de sus ángeles. Y nuestros ojos tienen que estar fijos en Cristo, en el aquí y ahora de la historia de Jesús conmigo, como lo estarán entonces. La mundanidad de andar buscando la propia gloria nos roba la presencia de Jesús humilde y humillado, Señor cercano a todos, Cristo doloroso con todos los que sufren, adorado por nuestro pueblo que sabe quiénes son sus verdaderos amigos. Un sacerdote mundano no es otra cosa que un pagano clericalizado. Un sacerdote mundano no es más que un pagano clericalizado.

Otro espacio de idolatría escondida echa sus raíces allí donde se da la primacía al pragmatismo de los números. Los que tienen este ídolo escondido se reconocen por su amor a las estadísticas, esas que pueden borrar todo rasgo personal en la discusión y dar la preeminencia a las mayorías que, en definitiva, pasan a ser el criterio de discernimiento, y eso está mal. Éste no puede ser el único modo de proceder ni el único criterio en la Iglesia de Cristo. Las personas no se pueden “numerar”, y Dios no da el Espíritu “con medida” (cf. Jn 3,34). En esta fascinación por los números, en realidad, nos buscamos a nosotros mismos y nos complacemos en el control que nos da esta lógica, que no tiene rostros y que no es la del amor, sino que ama los números. Una característica de los grandes santos es que saben retraerse de tal manera que le dejan todo el lugar a Dios. Este retraimiento, este olvido de sí y deseo de ser olvidado por todos los demás, es lo característico del Espíritu, el cual carece de imagen, el Espíritu no tiene imagen propia simplemente porque es todo Amor que hace brillar la imagen del Hijo y en ella la del Padre. El reemplazo de su Persona, que ya de por sí ama “no aparecer”, ―porque carece de imagen― es lo que busca el ídolo de los números, que hace que todo “aparezca” aunque de modo abstracto y contabilizado, sin encarnación.

Un tercer espacio de idolatría escondida, hermanado con el anterior, es el que se abre con el funcionalismo, un ámbito seductor en el que muchos, “más que con la ruta se entusiasman con la hoja de ruta”. La mentalidad funcionalista no tolera el misterio, va a la eficacia. De a poco, este ídolo va sustituyendo en nosotros la presencia del Padre. El primer ídolo sustituye la presencia del Hijo, el segundo ídolo, la del Espíritu, y este, la presencia del Padre. Nuestro Padre es el Creador, pero no uno que hace “funcionar” las cosas solamente, sino Uno que “crea” como Padre, con ternura, haciéndose cargo de sus creaturas y trabajando para que el hombre sea más libre. El funcionalista no sabe gozar con las gracias que el Espíritu derrama en su pueblo, de las que podría “alimentarse” también como trabajador que se gana su salario. El sacerdote con mentalidad funcionalista tiene su propio alimento, que es su ego. En el funcionalismo, dejamos de lado la adoración al Padre en la pequeñas y grandes cosas de nuestra vida y nos complacemos en la eficacia de nuestros planes. Como hizo David cuando, tentado por Satanás (cf. 1 Cro 21,1) se encaprichó en realizar el censo. Estos son lo que están enamorados de la hoja de ruta, del itinerario, pero no del camino.

En estos dos últimos espacios de idolatría escondida (pragmatismo de los números y funcionalismo) reemplazamos la esperanza, que es el espacio del encuentro con Dios, por la constatación empírica. Es una actitud de vanagloria por parte del pastor, una actitud que desintegra la unión de su pueblo con Dios y plasma un nuevo ídolo basado en números y planes: el ídolo de «mi poder, nuestro poder».[4] Nuestro programa, nuestros números, nuestros planes pastorales. Esconder estos ídolos (con la actitud de Raquel) y no saber desenmascararlos en la propia vida cotidiana, lastima la fidelidad de nuestra alianza sacerdotal y entibia nuestra relación personal con el Señor. A lo mejor alguno podría estar pensando, pero ¿qué es lo que quiere este Obispo que hoy, en lugar de hablarnos de Jesús, nos habla de los ídolos?

Queridos hermanos, Jesús es el único camino para no equivocarnos en saber qué sentimos, a qué nos conduce nuestro corazón. Él es el único camino para discernir bien, confrontándonos con Él, cada día, como si también hoy se hubiera sentado en nuestra iglesia parroquial y nos dijera que hoy se ha cumplido todo lo que acabamos de escuchar. Jesucristo, siendo signo de contradicción —que no siempre es algo cruento ni duro, ya que la misericordia es signo de contradicción y mucho más lo es la ternura—, Jesucristo, digo, hace que se revelen estos ídolos, que se vea su presencia, sus raíces y su funcionamiento, y así el Señor los pueda destruir, y ésta es la propuesta: dar espacio para que el Señor pueda destruir nuestros ídolos escondidos. Y debemos recordarlos, estar atentos, para que no renazca la cizaña de esos ídolos que supimos esconder entre los pliegues de nuestro corazón.

Y quisiera concluir pidiéndole a san José, padre castísimo y sin ídolos escondidos, que nos libre de todo afán de posesión, ya que este, el afán de posesión, es la tierra fecunda en la que crecen los ídolos. Y que nos dé también la gracia de no claudicar en la ardua tarea de discernir estos ídolos que, con tanta frecuencia, escondemos o se esconden. Y también le pedimos a san José que allí donde dudamos acerca de cómo hacer las cosas mejor, interceda por nosotros para que el Espíritu nos ilumine el juicio, como iluminó el suyo cuando estuvo tentado de dejar “en secreto” (lathra) a María, de modo tal que, con nobleza de corazón, sepamos supeditar a la caridad lo aprendido por ley.[5]

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[1] Porque el sacerdocio ministerial está al servicio del sacerdocio común. El Señor elige a algunos para «desempeñar públicamente, en nombre de Cristo, la función sacerdotal en favor de los hombres» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; cf. Const. dogm. Lumen gentium, 10). «Pues los ministros que poseen la sacra potestad están al servicio de sus hermanos» (Const. dogm. Lumen gentium, 18).

[2] Cf. Catequesis en la Audiencia general (1 agosto 2018).

[3] Homilía durante la Misa, Domus Sanctae Marthae (16 mayo 2020).

[4] J.M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero 2014, 145.

[5] Cf. Carta ap. Patris corde, 4, nota 18.

[00558-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Na leitura que ouvimos do profeta Isaías, o Senhor faz uma promessa cheia de esperança que nos diz intimamente respeito: «Vós sereis chamados “Sacerdotes do Senhor”, e nomeados “Ministros do nosso Deus”. (...) Dar-lhes-ei fielmente a sua recompensa e farei com eles uma aliança eterna» (Is 61, 6.8). Ser sacerdote é uma graça, queridos irmãos, uma graça muito grande, que não se destina primariamente a nós, mas aos fiéis;[1] e, para o nosso povo, é um grande dom que o Senhor escolha, dentre o seu rebanho, alguns que se ocupem das suas ovelhas, de forma exclusiva, como pais e pastores. É o próprio Senhor que dá a recompensa ao sacerdote: «dar-lhes-ei fielmente a sua recompensa (Is 61, 8). E sabemos que Ele é bom pagador, embora tenha as suas peculiaridades como a de pagar primeiro os últimos e, depois, os primeiros, segundo o seu estilo.

A leitura do livro do Apocalipse diz-nos qual é a recompensa do Senhor. É o seu Amor e o perdão incondicional dos nossos pecados com o preço do seu sangue derramado na Cruz: Aquele «que nos ama e nos purifica dos nossos pecados com o seu sangue, e fez de nós um reino, sacerdotes para Deus e seu Pai» (Ap 1, 5-6). Não há recompensa maior do que a amizade com Jesus (não o esqueçamos). Não há paz maior do que o seu perdão (isto, sabemo-lo nós todos). Não há preço mais elevado do que o seu precioso Sangue: não permitamos que seja aviltado com uma conduta indigna.

Queridos irmãos sacerdotes, se lermos tudo isto com o coração, veremos que se trata de convites do Senhor para Lhe sermos fiéis, fiéis à sua Aliança, para nos deixarmos amar, nos deixarmos perdoar; são convites não só para nosso próprio proveito, mas também para podermos assim servir, com uma consciência pura, o santo povo fiel de Deus. Este povo merece-o, e também tem necessidade. O Evangelho de Lucas conta que Jesus, depois de ter lido a passagem do profeta Isaías diante do seu povo, Se sentou; e acrescenta: todos «tinham os olhos fixos n’Ele» (Lc 4, 20). Também o Apocalipse nos fala hoje de olhos fixos em Jesus, da atração irresistível do Senhor crucificado e ressuscitado que nos leva a reconhecê-Lo e adorá-Lo: «Olhai; Ele vem no meio das nuvens! Todos os olhos O verão, até mesmo os que O trespassaram. Todas as nações da terra se lamentarão por causa d’Ele. Sim. Amen!» (Ap 1,7). A graça final, quando o Senhor ressuscitado voltar, será a graça de O reconhecermos de forma imediata: vê-Lo-emos trespassado, reconheceremos que é Ele e também quem somos nós: pecadores, e nada mais!

«Fixar os olhos em Jesus» é uma graça que devemos cultivar como sacerdotes. No fim do dia, é bom olhar para o Senhor e deixar que Ele contemple o nosso coração, juntamente com o coração das pessoas que encontramos. Não se trata de contabilizar os pecados, mas duma contemplação amorosa em que vemos o nosso dia com o olhar de Jesus repassando assim as graças do dia, os dons e tudo o que Ele fez por nós a fim de Lhe agradecermos. E mostramos-Lhe também as nossas tentações, para as identificarmos e rejeitarmos. Como vemos, trata-se de compreender aquilo que é agradável ao Senhor e o que Ele quer de nós, aqui e agora, na nossa história atual.

E talvez, se nos mantivermos sob o seu olhar cheio de bondade, haverá também da parte d’Ele um sinal para Lhe mostrarmos os nossos ídolos: aqueles ídolos que escondemos, como Raquel, sob as dobras do nosso manto (cf. Gn 31, 34-35). Deixar que o Senhor veja os nossos ídolos escondidos. Todos nós os temos, todos! E deixar que o Senhor veja os nossos ídolos escondidos torna-nos fortes face a eles e tira-lhes o poder.

O olhar do Senhor faz-nos ver que neles, na realidade, glorificamo-nos a nós mesmos,[2] porque, naquele espaço tomado por nós como se fosse exclusivo, intromete-se o diabo, acrescentando um elemento tipicamente maligno: faz com que não só nos «comprazamos» nós próprios dando rédea solta a uma paixão ou cultivando outra, mas leva-nos também a substituir com eles, com esses ídolos escondidos, a presença das Pessoas divinas, a presença do Pai, do Filho e do Espírito, que moram dentro de nós. É algo que acontece efetivamente. Embora uma pessoa diga a si mesma que distingue perfeitamente o que é um ídolo e quem é Deus, na prática estamos tirando espaço à Trindade para o dar ao demónio, numa espécie de adoração indireta: a de quem o esconde, mas continuamente escuta as suas sugestões e consome os seus produtos, de tal forma que no final não sobra sequer um cantinho para Deus. É que o Senhor deixa fazer, afasta-Se lentamente. Além disso existem os demónios «educados» (de que já vos falei uma vez); acerca deles, disse Jesus que são piores do que o outro que Ele tinha já expulso. Estes são «educados», tocam a campainha, instalam-se e pouco a pouco apoderam-se da casa. Devemos estar atentos; são os nossos ídolos.

É que os ídolos têm qualquer coisa (um elemento) de pessoal. Quando não os desmascaramos, quando não deixamos que Jesus nos faça ver que, errando, neles estamos a procurar-nos a nós mesmos sem motivo, então deixamos um espaço onde se intromete o Maligno. Devemos recordar-nos que o demónio exige que façamos a sua vontade e o sirvamos… Mas nem sempre pede que o sirvamos e adoremos continuamente; sabe como levar-nos. É um grande diplomático; basta-lhe receber a adoração de vez em quando para lhe demonstrar que é o nosso verdadeiro senhor e que até se sente deus na nossa vida e no nosso coração.

Dito isto, gostaria, nesta Missa Crismal, de partilhar convosco três espaços de idolatria escondida nos quais o Maligno se serve dos seus ídolos para nos enfraquecer na nossa vocação de pastores e, pouco a pouco, separar-nos da presença benéfica e amorosa de Jesus, do Espírito e do Pai.

Um primeiro espaço de idolatria escondida abre-se onde há mundanidade espiritual, que é «uma proposta de vida, é uma cultura, uma cultura do efémero, uma cultura da aparência, uma cultura da maquilhagem».[3] O seu critério é o triunfalismo, um triunfalismo sem Cruz. E Jesus reza para que o Pai nos defenda desta cultura da mundanidade. Esta tentação duma glória sem Cruz vai contra a pessoa do Senhor, vai contra Jesus que Se humilha na Encarnação e que, como sinal de contradição, é o único remédio contra todo o ídolo. Ser pobre com Cristo pobre e «porque Cristo escolheu a pobreza» é a lógica do Amor; e não outra. No texto evangélico de hoje, vemos como o Senhor Se apresenta na sua humilde sinagoga e na sua pequena aldeia – a de toda a vida – para proferir o mesmo Anúncio que fará no final da história, quando vier na sua Glória, rodeado pelos anjos. E os nossos olhos devem estar fixos em Cristo, na história de Jesus aqui e agora comigo, como estarão na parusia. A mundanidade de andar à procura da própria glória rouba-nos a presença de Jesus humilde e humilhado, Senhor próximo de todos, Cristo sofredor com todos os que sofrem, adorado pelo nosso povo que sabe quais são os seus verdadeiros amigos. Um sacerdote mundano não passa dm pagão clericalizado. Repito: um sacerdote mundano não passa dum pagão clericalizado.

Outro espaço de idolatria escondida cria raízes onde se dá a primazia ao pragmatismo dos números. Aqueles que possuem este ídolo escondido, reconhecem-se pelo seu amor às estatísticas, aquelas que podem apagar qualquer traço pessoal no debate e dar a proeminência às maiorias, que passam a ser, em última análise, o critério de discernimento. Está mal! Mas isto não pode ser a única maneira de proceder nem o único critério na Igreja de Cristo. As pessoas não se podem reduzir a números, e Deus dá o Espírito «sem medida» (Jo 3, 34). Na realidade, neste fascínio pelos números, é a nós mesmos que nos procuramos, comprazendo-nos no controlo que nos dá esta lógica, que não se interessa dos rostos, e não é a lógica do amor; ama os números. Uma caraterística dos grandes santos é que sabem retirar-se para deixar todo o espaço a Deus. Este retirar-se, este esquecer-se de si mesmo e querer ser esquecido por todos os outros é a caraterística do Espírito, o Qual carece de imagem; o Espírito não tem imagem própria, simplesmente porque todo Ele é Amor, que faz brilhar a imagem do Filho e, nesta, a do Pai. A substituição da sua Pessoa, que já de por si gosta de «não aparecer» (porque não tem imagem!), é aquilo que visa o ídolo dos números, que faz com que tudo «apareça», mas de modo abstrato e contabilizado, sem encarnação.

Um terceiro espaço de idolatria escondida, emparentado com o anterior, é aquele que se abre com o funcionalismo, um ambiente sedutor em que muitos, «mais do que pelo percurso, se entusiasmam com a tabela de marcha». A mentalidade funcionalista não tolera o mistério, aposta na eficácia. Pouco a pouco, este ídolo vai substituindo em nós a presença do Pai. O primeiro ídolo substitui a presença do Filho; o segundo ídolo, a do Espírito; e este, a presença do Pai. O nosso Pai é o Criador: não alguém que faz apenas «funcionar» as coisas, mas Alguém que «cria» como Pai, com ternura, ocupando-Se das suas criaturas e agindo para que o homem seja mais livre. O funcionalista não sabe alegrar-se com as graças que o Espírito derrama sobre o seu povo e das quais poderia também «alimentar-se» como trabalhador que recebe a sua recompensa; mas o sacerdote com mentalidade funcionalista tem o seu alimento que é o próprio «eu». No funcionalismo, deixamos de lado a adoração do Pai nas pequenas e grandes coisas da nossa vida e comprazemo-nos na eficácia dos nossos programas, como fez David, quando, tentado por Satanás, se obstinou em realizar o recenseamento (cf. 1 Cro 21, 1). Estão enamorados pelo plano de rota, pelo plano do caminho, não pelo caminho.

Nestes dois últimos espaços de idolatria escondida (pragmatismo dos números e funcionalismo) substituímos a esperança, que é o espaço do encontro com Deus, pela constatação empírica. Trata-se duma atitude de vanglória por parte do pastor, uma atitude que desintegra a união do seu povo com Deus e plasma um novo ídolo baseado em números e programas: o ídolo «o meu poder, o nosso poder»,[4] o nosso programa, os nossos números, os nossos planos pastorais. Esconder estes ídolos (imitando a atitude de Raquel) e não os saber desmascarar na vida quotidiana prejudica a fidelidade da nossa aliança sacerdotal e resfria a nossa relação pessoal com o Senhor. Poderia alguém pensar: mas afinal o que é que quer este Bispo que hoje, em vez de falar de Jesus, nos fala dos ídolos?

Queridos irmãos, Jesus é o único caminho para não nos enganarmos no conhecimento do que sentimos e para onde nos leva o nosso coração; é o único caminho para um bom discernimento, confrontando-nos dia-a-dia com Jesus como se Ele estivesse também hoje sentado na nossa igreja paroquial e nos dissesse que hoje se cumpriu tudo o que acabamos de ouvir. Sendo sinal de contradição (nem sempre é sinónimo de algo cruento ou duro, pois a misericórdia é sinal de contradição como o é, e muito mais, a ternura), Jesus Cristo faz com que estes ídolos se manifestem, se veja a sua presença, as suas raízes e o seu funcionamento, a fim de que o Senhor os possa destruir. Esta é a proposta: dar espaço ao Senhor, para que Ele possa destruir os nossos ídolos escondidos. E devemos ter em mente e estar atento para que não renasça a cizânia destes ídolos que soubemos esconder nas dobras do nosso coração.

Gostaria de concluir pedindo a São José, pai castíssimo e sem ídolos escondidos, que nos liberte de toda a avidez de possuir, pois esta – a avidez de possuir – é o terreno fecundo onde crescem estes ídolos. E que nos alcance também a graça de não desistir na árdua tarefa de discernir estes ídolos que, com grande frequência, escondemos ou se escondem. E pedimos ainda a São José que, quando duvidarmos sobre como fazer melhor as coisas, interceda por nós a fim de que o Espírito nos ilumine o discernimento, como iluminou o dele quando esteve tentado a deixar Maria «em segredo» (lathra), para que, com nobreza de coração, saibamos subordinar à caridade o que aprendemos com a lei.

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[1] Pois o sacerdócio ministerial está ao serviço do sacerdócio comum. O Senhor escolheu alguns para «exercer oficialmente o ofício sacerdotal em nome de Cristo a favor dos homens» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum ordinis, 2; cf. Const. dogm. Lumen gentium, 10). «Com efeito, os ministros que têm o poder sagrado servem os seus irmãos» (Lumen gentium, 18).

[2] Cf. Papa Francisco, Catequese, na Audiência Geral de 1 de agosto de 2018.

[3] Papa Francisco, Homilia na Missa em Santa Marta, 16 de maio de 2020.

[4] J. M. Bergoglio, Meditações para religiosos (Mensajero - Bilbau 2014), 145.

[5] Cf. Papa Francisco, Carta apost. Patris corde, n.º 4, nota 18.

[00558-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

W czytaniu z proroka Izajasza, którego wysłuchaliśmy, Pan składa obietnicę pełną nadziei, która dotyczy nas bezpośrednio: „Wy zaś będziecie nazywani kapłanami Pana,/ zwać was będą sługami Boga naszego [...] Dam im uczciwą zapłatę/ i zawrę z nimi wieczyste przymierze” (61, 6. 8). Bycie kapłanami jest, drodzy bracia, łaską, bardzo wielką łaską, która nie jest przede wszystkim łaską dla nas, lecz dla ludu[1]; a dla naszego ludu wielkim darem jest to, że Pan wybiera spośród swojej trzody tych, którzy będą się opiekować Jego owcami w sposób wyłączny, jako ojcowie i pasterze. To sam Pan płaci kapłanom wynagrodzenie: „Dam im uczciwą zapłatę” (Iz 61, 8). I jest On, jak wiemy, dobrym płatnikiem, choć ze szczególnymi właściwościami, jak ta, że płaci najpierw ostatnim, a następnie pierwszym: to w Jego stylu.

Czytanie z księgi Apokalipsy mówi nam, jaka jest zapłata Pana. Jest to Jego Miłość i bezwarunkowe przebaczenie naszych grzechów za cenę Jego krwi przelanej na Krzyżu: „Ten, który nas miłuje i który przez swą krew uwolnił nas od naszych grzechów, i uczynił nas królestwem – kapłanami dla Boga i Ojca swojego” (por. 1, 5-6). Nie ma większej zapłaty niż przyjaźń z Jezusem, nie zapominajmy o tym. Nie ma większego pokoju niż Jego przebaczenie, a to wiemy wszyscy. Nie ma wyższej ceny niż cena Jego drogocennej Krwi, i nie możemy pozwolić, by była ona wzgardzona przez niegodne postępowanie.

Jeśli czytamy sercem, drodzy bracia kapłani, są to wezwania Pana, abyśmy byli Mu wierni, abyśmy byli wierni Jego Przymierzu, abyśmy pozwolili się kochać, abyśmy pozwolili sobie przebaczyć. Są to zachęty skierowane nie tylko do nas samych, ale także po to, abyśmy mogli z czystym sumieniem służyć świętemu ludowi Bożemu. Ludzie zasługują na to, a nawet tego potrzebują. Ewangelia św. Łukasza mówi nam, że po tym, jak Jezus przeczytał przed swoim ludem fragment z proroka Izajasza i usiadł, „oczy wszystkich były w Niego utkwione” (por. 4, 20). Także Apokalipsa mówi nam dzisiaj o oczach utkwionych w Jezusie, o nieodpartym przyciąganiu przez ukrzyżowanego i zmartwychwstałego Pana, które skłania nas do wielbienia i uznania: „Oto nadchodzi z obłokami i ujrzy Go wszelkie oko i wszyscy, którzy Go przebili. I będą Go opłakiwać wszystkie pokolenia ziemi” (1, 7). Ostateczna łaska, kiedy zmartwychwstały Pan powróci, będzie polegała na natychmiastowym rozpoznaniu – zobaczymy Go przebitego, rozpoznamy, kim jest i kim my jesteśmy – grzesznikami; nikim więcej.

„Utkwienie wzroku w Jezusie” jest łaską, którą jako kapłani musimy pielęgnować. Na koniec dnia dobrze jest spojrzeć na Pana, aby On spojrzał na nasze serca, a także na serca ludzi, których spotkaliśmy. Nie chodzi o liczenie grzechów, lecz o kontemplację z miłością, w której patrzymy na nasz dzień spojrzeniem Jezusa i w ten sposób dostrzegamy łaski tego dnia, dary i wszystko, co dla nas uczynił, aby wyrazić wdzięczność. Ukazujemy Mu także nasze pokusy, aby je rozpoznać i odrzucić. Jak widzimy, chodzi o to, aby zrozumieć, co jest miłe Panu i czego On od nas oczekuje tu i teraz, w naszej aktualnej historii.

A może, jeśli wytrzymamy Jego spojrzenie pełne dobroci, da nam znak, abyśmy pokazali Mu nasze bożki. Te bożki, które - jak Rachela - ukryliśmy pod fałdami naszego płaszcza (por. Rdz 31, 34-35). Pozwólmy Panu, aby zobaczył nasze ukryte bożki – wszyscy je mamy, wszyscy! A to pozwolenie Panu, aby zobaczył nasze ukryte bożki, czyni nas silnymi wobec nich i odbiera im moc.

Spojrzenie Pana sprawia, że widzimy, iż w rzeczywistości oddajemy w nich chwałę samym sobie[2], ponieważ tam, w tę przestrzeń, którą przeżywamy, jakby była na wyłączność, wchodzi diabeł, dodając bardzo zły element: sprawia, że nie tylko „podobamy się” sobie, dając upust jakiejś namiętności lub pielęgnując jakąś inną, lecz także prowadzi nas do zastępowania nimi, tymi ukrytymi bożkami, obecności Osób Boskich, obecności Ojca, Syna i Ducha Świętego, które mieszkają w naszym wnętrzu. Takie sytuacje rzeczywiście mają miejsce. Mimo że wmawiamy sobie, iż potrafimy doskonale odróżnić, czym jest bożek, od tego, kim jest Bóg, w praktyce odbieramy miejsce Trójcy Świętej i oddajemy je diabłu, w swego rodzaju pośredniej adoracji ze strony tych, którzy ukrywając to, nieustannie słuchają jego słów i karmią się jego wytworami, tak iż w końcu dla Boga nie pozostaje nawet kącik. Ponieważ on jest taki, on posuwa się naprzód powoli. A innym razem mówiłem o „uprzejmych” demonach, o tych, o których Jezus mówi, że są gorsze, od tego, który został wypędzony. Ale one są „uprzejme”, dzwonią do drzwi, wchodzą i krok po kroku przejmują dom. Musimy być ostrożni, to są nasze bożki.

Chodzi o to, że bożki mają coś osobistego – pewien element. Kiedy ich nie demaskujemy, kiedy nie pozwalamy Jezusowi, by nam pokazał, że w sposób niewłaściwy szukamy w nich samych siebie bez powodu i że zostawiamy miejsce, w które wchodzi Zły. Musimy pamiętać, że diabeł wymaga, abyśmy spełniali jego wolę i abyśmy mu służyli, ale nie zawsze domaga się, abyśmy mu służyli i adorowali go nieustannie, nie, umie się poruszać, jest wspaniałym dyplomatą. Czczenie go od czasu do czasu wystarcza mu, aby pokazać, że jest naszym prawdziwym panem, a nawet czuje się bogiem w naszym życiu i w naszym sercu.

To powiedziawszy, w czasie tej Mszy św. Krzyżma, chciałbym powiedzieć wam o trzech obszarach ukrytego bałwochwalstwa, w których Zły posługuje się swoimi bożkami, aby osłabić nasze powołanie duszpasterzy i stopniowo oddzielić nas od dobroczynnej i pełnej miłości obecności Jezusa, Ducha Świętego i Ojca.

Pierwsza przestrzeń ukrytego bałwochwalstwa otwiera się tam, gdzie panuje duchowa światowość, która jest „pewną propozycją życia: jest kulturą ulotności, pozorów, kulturą makijażu[3]. Jej kryterium jest triumfalizm – pewien triumfalizm bez krzyża. A Jezus modli się, aby Ojciec bronił nas przed tą kulturą światowości. Ta pokusa chwały bez krzyża jest przeciwko osobie Pana, przeciwko Jezusowi, który uniża się we Wcieleniu i który, jako znak sprzeciwu, jest jedynym lekarstwem przeciwko wszelkim bożkom. Bycie ubogim z ubogim Chrystusem i „dlatego że Chrystus wybrał ubóstwo”, jest logiką Miłości, a nie inną. W dzisiejszym fragmencie Ewangelii widzimy, jak Pan staje w swojej skromnej kaplicy i w swoim małym miasteczku – miasteczku całego życia, aby wygłosić to samo przesłanie, które wygłosi na końcu historii, kiedy przyjdzie w swojej chwale, otoczony aniołami. I nasze oczy muszą być utkwione w Chrystusa, w tu i teraz historii Jezusa ze mną, tak jak będą utkwione wtedy. Światowość polegająca na szukaniu własnej chwały okrada nas z obecności Jezusa pokornego i uniżonego, Pana, który jest blisko wszystkich, Chrystusa, bolejącego ze wszystkimi cierpiącymi, wielbionego przez nasz lud, który wie, kto jest Jego prawdziwym przyjacielem. Kapłan-światowiec to nie kto inny, jak po prostu sklerykalizowany poganin. Kapłan-światowiec to nie kto inny, jak po prostu sklerykalizowany poganin.

Inny obszar ukrytego bałwochwalstwa zakorzenia się tam, gdzie przyznaje się prymat pragmatyzmowi liczb. Ludzi, którzy mają tego ukrytego bożka, można rozpoznać po ich umiłowaniu do statystyk, które potrafią zatrzeć wszelkie cechy osobiste w dyskusji i dać pierwszeństwo większości, która ostatecznie staje się kryterium rozeznania, co jest okropne. Nie może to być jedyny sposób postępowania ani jedyne kryterium w Kościele Chrystusowym. Ludzi nie da się „policzyć”, a Bóg nie daje Ducha „według miary” (por. J 3, 34). W tej fascynacji liczbami tak naprawdę szukamy samych siebie i zadowalamy się kontrolą, jaką zapewnia nam ta logika, której nie interesują twarze i która nie jest logiką miłości, która kocha liczby. Cechą charakterystyczną wielkich świętych jest to, że umieją się wycofać, aby w ten sposób zostawić całą przestrzeń dla Boga. To usunięcie się, to zapomnienie o sobie i pragnienie bycia zapomnianym przez wszystkich innych, jest cechą charakterystyczną Ducha, który nie ma wizerunku, Duch nie ma własnego obrazu po prostu dlatego, że jest cały Miłością, sprawiającą, że jaśnieje obraz Syna, a w nim obraz Ojca. Zastąpienie Jego Osoby, która ze swej natury lubi się „nie pokazywać” – ponieważ nie ma własnego obrazu – jest tym, do czego dąży bożek liczb, który sprawia, że wszystko „jest widoczne”, choć w sposób abstrakcyjny i rachunkowy, bez ucieleśnienia.

Trzecim obszarem ukrytego bałwochwalstwa, spokrewnionym z poprzednim, jest ten, który otwiera się przez funkcjonalizm, pociągającą sferę, w której wielu „ekscytuje się bardziej harmonogramem niż przemierzaną drogą”. Mentalność funkcjonalistyczna nie toleruje tajemnicy, stawia na skuteczność. Stopniowo ten bożek zastępuje w nas obecność Ojca. Pierwszy bożek zastępuje obecność Syna, drugi – obecność Ducha Świętego, a ten obecność Ojca. Nasz Ojciec jest Stwórcą, a nie kimś takim, kto tylko sprawia, że rzeczy „działają”, lecz Tym, kto „stwarza” jak Ojciec, z czułością, biorąc pod opiekę swoje stworzenia i działając, aby człowiek był bardziej wolny. Funkcjonalista nie umie cieszyć się z łask, które Duch wylewa na swój lud, a którymi mógłby się „karmić” także jako robotnik, zarabiający na swoją płacę. Kapłan o mentalności funkcjonalistycznej ma własne pożywienie, którym jest jego ego. W funkcjonalizmie odkładamy na bok adorowanie Ojca w małych i dużych sprawach naszego życia i popadamy w samozadowolenie z powodu skuteczności naszych programów. Podobnie jak to uczynił Dawid, kiedy kuszony przez Szatana, postanowił przeprowadzić spis ludności (por. 1 Krn 21, 1). Są to miłośnicy planu trasy, planu drogi, a nie samej drogi.

W tych dwóch ostatnich przestrzeniach ukrytego bałwochwalstwa (pragmatyzm liczb i funkcjonalizm) zastępujemy nadzieję, która jest przestrzenią spotkania z Bogiem, dowodami. Jest to postawa zarozumiałości ze strony pasterza, postawa, która rozbija jedność jego ludu z Bogiem i kształtuje nowego bożka, opartego na liczbach i programach: bożka „mojej władzy, naszej władzy”[4], naszego programu, naszych liczb, naszych planów duszpasterskich. Ukrywanie tych bożków (postawa Racheli) i nieumiejętność demaskowania ich w codziennym życiu szkodzi wierności naszego kapłańskiego przymierza i osłabia naszą osobistą relację z Panem. Ale czego chce ten Biskup, który zamiast mówić o Jezusie, mówi nam dziś o bożkach? Niektórzy mogą tak myśleć...

Drodzy bracia, Jezus jest jedyną drogą, pozwalającą nie popełniać błędów w rozeznawaniu tego, co czujemy, do czego prowadzi nas serce...; On jest jedyną drogą, pozwalającą dobrze rozeznawać, konfrontując się z Nim każdego dnia, tak jakby również dzisiaj siedział w naszym kościele parafialnym i powiedział nam, że dzisiaj wypełniło się wszystko, co słyszeliśmy. Jezus Chrystus, będąc znakiem sprzeciwu - który nie zawsze jest okrutny czy surowy, ponieważ miłosierdzie jest znakiem sprzeciwu, a o wiele bardziej jest nim czułość - Jezus Chrystus, powtarzam, sprawia, że te bożki się ujawniają, żeby ich obecność, ich korzenie i ich działanie były widoczne, i żeby dzięki temu Pan mógł je zniszczyć, oto propozycja: uczynienie miejsca, aby Pan mógł zniszczyć nasze ukryte bożki. I musimy o nich pamiętać, być uważni, aby chwasty, jakimi są te bożki, które udało nam się ukryć w zakamarkach naszych serc, nie odrodziły się na nowo.

Na zakończenie chciałbym prosić św. Józefa, najczystszego ojca, nie mającego ukrytych bożków, aby uwolnił nas od wszelkiej żądzy posiadania, ponieważ to właśnie żądza posiadania jest żyzną glebą, na której wyrastają wspomniane bożki. I niech nam wyjedna także łaskę, byśmy nie poddawali się w trudnym zadaniu rozeznawania tych bożków, które tak często ukrywamy, lub które się chowają. Prośmy również św. Józefa, aby tam, gdzie mamy wątpliwości, jak lepiej postępować, wstawiał się za nami, aby Duch Święty oświecił nasz osąd, tak jak oświecił jego, gdy był kuszony, by „potajemnie” (lathra) opuścić Maryję, tak abyśmy ze szlachetnością serca umieli podporządkować miłości to, czego nauczyliśmy się przez prawo[5].

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[1] Ponieważ kapłaństwo służebne służy kapłaństwu wspólnemu. Pan wybrał niektórych, aby „w imieniu Chrystusa publicznie pełnili dla ludzi funkcję kapłańską” (SOBÓR WATYKAŃSKI II, Dekr. Presbyterorum ordinis, 2; por. Konstytucja dogmatyczna o Kościele Lumen gentium, 10). „Wyposażeni bowiem w świętą władzę szafarze służą swoim braciom” (Lumen gentium, 18).

[2] Por. Katecheza podczas audiencji generalnej, 1 sierpnia 2018 r.

[3] Por. Homilia podczas Mszy św. w Domu św. Marty, 16 maja 2020.

[4] J.M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos [Medytacje dla zakonników], Bilbao, Mensajero, 2014, 145.

[5] Por. List apost. Patris corde, 4, przypis 18.

[00558-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في قدّاس الميرون المقدّس

الخميس 14 نيسان/أبريل 2022

بازيليكا القدّيس بطرس

 

في قراءة النبي أشعيا التي أصغينا إليها، يعدنا الله وعدًا مليئًا بالرّجاء، وهو يخصّنا ويهمّنا جدًّا: "أَمَّا أَنتُم فتُدعَونَ كَهَنَةَ الرَّبّ ويُقالُ لَكم خَدَمَةُ إِلهِنا. [...] فأُعْطيهمِ المُكافَأَةَ في الحَقّ وأُعاهِدُهم عَهداً أَبَدِيّاً" (61، 6. 8). أن نكون كهنة، أيّها الإخوة الأعزّاء، هذه نعمة، نعمة كبيرة جدًّا، وليست النعمة لنا في المقام الأوّل، بل هي نعمة للناس[1]، ومن أجل شعبنا، هي نعمة كبيرة حقًّا إذ يختار الله، من بين قطيعه، البعض ليرعوا خرافه وليكونوا بصورة حصرية آباء ورعاة. والله نفسه هو الذي يعطي الكاهن مكافأته: "أُعْطيهمِ المُكافَأَةَ في الحَقّ" (أشعيا 61، 8). وهو، كما نعلم، يدفع جيدًّا، ولو أنّ له طريقته في الدفع، مثلًا، يبدأ فيدفع للأخرين أولًا، ومن ثمّ للأوّلين، إنّه أسلوبه.

قراءة سفر الرّؤيا تقول لنا ما هي مكافأة الله. إنّها حبّه ومغفرته غير المشروطة لخطايانا بثمن دمه المسفوك على الصّليب: "الَّذي أَحَبَّنا فحَلَّنا مِن خَطايانا بِدَمِه، وجَعَلَ مِنَّا مَملَكَةً مِنَ الكَهَنَةِ لإِلهِه وأَبيه" (1، 5-6). لا يوجد مكافأة أكبر من صداقة يسوع، لا تنسَوا هذا. ولا يوجد سلام أكبر من مغفرته، وهذا كلّنا نعلمه. ولا يوجد ثمن أغلى من ثمن دمه الثمين، الذي يجب ألّا نسمح لأنفسنا بأن نحتقره بسلوك لا يليق.

إن قرأنا بقلوبنا، أيّها الإخوة الكهنة الأعزّاء، فهذه هي دعوات الله لنا لنكون مخلصين له، ونكون مخلصين لعهده، ونترك أنفسنا نُحَبّ، ونترك الله يغفر لنا. إنّها دعوات ليس فقط لأنفسنا، بل أيضًا حتى نتمكّن بهذه الطريقة من أن نخدم، بضمير نقي، شعب الله الأمين والمقدّس. الناس تستحق ذلك وتحتاج إليه أيضًا. إنجيل لوقا يقول لنا إنّه بعد أن قرأ يسوع مقطع النبي أشعيا أمام أهله وجلس، "كانَت عُيونُ أَهلِ الـمَجمَعِ كُلِّهِم شاخِصَةً إِلَيه" (4، 20). حتى سفر الرّؤيا يكلّمنا اليوم على عيون شاخصة إلى يسوع، على جاذبية لا يمكن مقاومتها في الرّب يسوع المصلوب والقائم من بين الأموات الذي يقودنا لنسجد له ونعترف به: "هاهُوَذا آتٍ في الغَمام. ستَراه كُلُّ عَينٍ حَتَّى الَّذينَ طَعَنوه، وتَنتَحِبُ علَيه جَميعُ قَبائِلِ الأَرض (1، 7). ستكون النعمة الأخيرة، عندما يعود الرّبّ يسوع القائم من بين الأموات، هي نعمة التعرّف عليه على الفور: سنراه مطعونًا، وسنعرفه من هو، ومن نحن، نحن خطأة، ولا شيء آخر.

”أن نثبّت عيوننا على يسوع“ هي نعمة يجب أن ننميها بكوننا كهنة. في نهاية اليوم من المفيد لنا أن ننظر إلى الرّبّ يسوع، وأن ينظر هو إلى قلوبنا وإلى قلوب الناس الذين التقيناهم. إنّها ليست مسألة محاسبة وتدقيق في خطايانا، بل هي مسألة تأمّل محبّ ننظر به إلى يومنا بنظرة يسوع ونرى بالتالي نعمة اليوم، والعطايا وكلّ ما صنعه من أجلنا، لكي نشكره. ونبيّن له أيضًا تجاربنا حتى نعرفها ونرفضها. كما نرى، علينا أن نفهم ما يرضي الرّبّ يسوع وما يريده منا هنا والآن، في تاريخنا الحالي.

وربما، إذا ثبتنا أمام نظرته المليئة بالعطف علينا، ستكون هناك أيضًا إشارة منه لنا لنبيّن له أصنامنا. تلك الأصنام التي أخفيناها، مثل راحيل، تحت ثنايا ردائنا (راجع تكوين 31، 34-35). لنترك الرّبّ يسوع ينظر إلى أصنامنا المخفية – كلّنا لدينا أصنام، كلّنا! – وأن نترك الرّبّ يسوع ينظر إلى هذه الأصنام المخفية يجعلنا أقوياء أمامها وينتزع منها قدرتها.

في الواقع، نظرة الرّبّ يسوع تجعلنا نرى أنّنا نمجد أنفسنا فيها[2]، لأنّه هناك في هذه المساحة التي نعيش فيها كما لو كنا وحدنا، يدخل الشيطان، ويضع فينا عنصرًا شريرًا للغاية: فهو لا يجعلنا فقط ”نُرضِي“ أنفسنا بإرخاء العنان فينا لهوى، أو لتنمية هوى آخر، بل يقودنا أيضًا إلى أن نستبدل حضور الأقانيم الإلهيّة، حضور الآب والابن والرّوح الذين يسكنون فينا، بتلك الأصنام المخفية. إنّه شيء يحدث بالفعل. على الرّغم من أنّ المرء يمكن أن يقول لنفسه إنّه يميز تمامًا بين ما هو صنم ومن هو الله، فإنّنا في الواقع نأخذ مساحة من الثالوث الأقدس ونعطيها للشيطان، فتصبح نوعًا من السّجود غير المباشر: سجودٌ نخفيه، لكنا نستمر بالإصغاء إلى أحاديث الشيطان ونستهلك منتجاته، إلى أن لا تبقى فينا حتى زاوية صغيرة لله في النهاية. لأنّه هو هكذا، يمضي ببطء. ثمّ تكلّمت مرّة أخرى على الشّياطين ”المهذّبة“، التي قال عنها يسوع أنّها أسوأ من الذي تمّ طرده. لكنّها ”مهذّبة“، فهي تقرع الجرس، وتدخل وشيئًا فشيئًا تستولي على البيت. يجب أن نكون حذرين منها، هذه هي أصنامنا.

يوجد في الأصنام في الواقع شيء - عنصر - شخصي، عندما لا نزيل القناع عنها، وعندما لا ندع يسوع يُبيّن لنا أنّنا فيها نبحث عن أنفسنا، وبالطريقة السيئة، وبدون سبب، وأنّنا نترك مساحة يتدّخل فيها الشرير. يجب أن نتذكر أنّ الشيطان يطلب منا أن نعمل مشيئته وأن نخدمه، لكنّه لا يطلب منا بصورة دائمة أن نخدمه ونسجد له، لا، هو يعرف كيف يتحرّك، إنّه دبلوماسي كبير. يكفيه أن نسجد له من وقت لآخر، حتى يصير هو ربّنا الحقيقي، وسيشعر حتى أنّه إله في حياتنا وفي قلوبنا.

بعد أن قلت هذا، أودّ أن أشارككم في قدّاس الميرون المقدّس هذا، ثلاثة مجالات مخفيّة لعبادة الأصنام، فيها يختبئ الشّرّير ويستخدم أصنامه لكي يضعفنا في ممارسة دعوتنا، وفي كوننا رُعاة، وشيئًا فشيئًا، يفصلنا عن حضور يسوع المحيّي والمحبّ، والرّوح القدس والآب.

مجال أوّل لعبادة الأصنام الخفيّة فينا هي الروحانيّة الدنيويّة. إنّها تقترح علينا "حياة، وثقافة، ثقافة سريعة الزّوال، وثقافة المظاهر، وثقافة التبرّج"[3]. معيار هذه الروحانيّة هو روح الانتصار، انتصار من دون صليب. ويسوع صلّى حتّى يحمينا الآب من هذه الثّقافة الدنيويّة. تجربة المجد هذه من دون صليب تتعارض مع شخص الرّبّ يسوع، تتعارض مع يسوع الذي تواضع في تجسّده، وبكونه آية للمعارضة، هو الدّواء الوحيد ضدّ كلّ صنم. أن تكون فقيرًا مع المسيح الفقير و”لأنّ المسيح اختار الفقر“، هذا هو منطق المحبّة ولا يوجد منطق آخر. في مقطع إنجيل اليوم، رأينا كيف وضع الرّبّ يسوع نفسه في مكان صلاته المتواضع وفي قريته الصّغيرة، التي عاش فيها طوال حياته، ليعلن الإعلان نفسه الذي سيعلنه في نهاية التّاريخ، عندما سيأتي في مجده، ويحيط به الملائكة. يجب أن تبقى عيوننا ثابتة في المسيح، الآن وهنا في قصّة يسوع معي، كما ستكون في حينها عند عودته. الرّوح الدنيويّة هي أن نذهب ونبحث عن مجدنا الخاصّ، وبهذا نحرم أنفسنا حضور يسوع المتواضع والمُهان، والرّبّ القريب من الجميع، والمسيح الذي يتألّم مع كلّ الذين تألّموا، والذي يسجد له شعبنا ويعرف من هم أصدقاؤه الحقيقيّون. الكاهن الدّنيوي ليس أكثر من مجرّد عابد أصنام في هيئة كاهن. الكاهن الدّنيوي ليس أكثر من مجرّد عابد أصنام في هيئة كاهن.

مجال آخر لعبادة الأصنام الخفيّة تمتد جذوره حيث تُعطَى الأولويّة لبراغماتيّة الأرقام. يُعرف الذين لديهم هذا الصنم المخفي بحبّهم للإحصاءات، التي يمكنها أن تمحو كلّ ميزة شخصيّة في المناقشة، فتُعطَى الأفضليّة للأكثرية، ويصبح العدد في النهاية هو معيار التّمييز، هذا سيّء. لا يمكن أن تكون هذه الطّريقة الوحيدة للعمل ولا المعيار الوحيد في كنيسة المسيح. لا يمكن أن نحوِّل الأشخاص إلى أعداد، والله لا يعطي الرّوح ”بحساب“ (راجع يوحنّا ​3، 34). في إعجابنا هذا بالأرقام، في الواقع، نحن نبحث عن أنفسنا، ونُسَرُّ بالتحكّم الذي يضمنه لنا هذا المنطق الذي لا يهتمّ بالوجوه ولا بالمحبّة، بل بمحبّة الأرقام. إحدى ميّزات القدّيسين الكبار هي أنّهم عرفوا كيف يُخفوا أنفسهم، حتّى يتركوا كلّ المجال لله. إخفاء النفس هذا، ونسيان الذّات، والرّغبة في أن ينسانا الآخرون هي ميزة الرّوح القدس، الذي ليس له صورة، لأنّه ببساطة كلّه حبّ، ويترك صورة الابن تظهر، وفيها صورة الآب. إخفاء شخصيّة الرّوح، الذي هو من نفسه لا صورة له، ولا هو مظاهر، لأنّ ليس له صورة، هذا ما يهدف إليه صنم الأعداد الذي يهتم بأن يكون كلّ شيء مظاهر، ولو بطريقة مجرّدة وحسابيّة، ومن دون تجسّد.

مجال ثالث لعبادة الأصنام الخفيّة، وهي مرتبطة بما سبق، هو روح الوظيفة، وهي روح مغريّة، فيها يكون الكثيرون ”متحمّسين للتقدّم في الوظيفة أو في خريطة الإنجاز، أكثر من اهتمامهم للعمل نفسه“. عقليّة الوظيفة لا تقبل السّرّ، فهي تهدف إلى الفعاليّة. وشيئًا فشيئًا، يَستبدل هذا الصنم فينا حضور الآب. يستبدل الصّنم الأوّل حضور الابن، ويستبدل الصّنم الثّاني حضور الرّوح القدس، وهذا الصّنم يستبدل حضور الآب. أبونا السماوي هو الخالق، ليس من يجعل الأمور ”تعمل“ فقط، بل ”يخلق“ مثل أب، بحنان، ويتحمّل مسؤوليّة مخلوقاته ويعمل حتّى تزداد حرّيّة الإنسان. لا يعرف ”الوظائفيّ“ أن يفرح بالنِّعَم التي يفيضها الرّوح القدس على شعبه، وفيها يمكنه هو أيضًا أن يجد غذاءً له مثل عامل يستحق أجرته. الكاهن الذي لديه العقليّة الوظائفيّة لديه غذاؤه الخاصّ، وهو الغرور. في الوظائفيّة، نحن نترك جانبًا السّجود للآب في الأمور الصّغيرة والكبيرة في حياتنا، ونُسَرّ بفعاليّة برامجنا. مثلما فعل داود عندما جرّبه الشّيطان، وقرّر أن يجري الإحصاء (راجع الأخبار الأوّل 21، 1). هؤلاء هُم عُشّاق خِطَّة الطّريق وخِطَّة المسيرة، وليست المسيرة نفسها.

في المجالَين الأخيرَين لعبادة الأصنام الخفيّة (براغماتيّة العدد والرّوح الوظائفيّة) نحن نستبدل الرّجاء، الذي هو مجال الّلقاء مع الله. نضع بدله الأدلّة التجريبيّة التي تدلّ على المجد الباطل من قِبَل الرّاعي. هذا تصرّف يفكّك وحدة الشّعب مع الله، ويشكّل صنمًا جديدًا قائمًا على الأرقام والبرامج: الصنم هو دليل "سلطاني، وسلطاننا"[4]، برنامجنا، وأرقامنا وخططنا الرعويّة. أن نخفي هذه الأصنام (كما تصرّفت راحيل) وألّا نعرف كيف نكشفها في حياتنا اليوميّة، يُضِرُّ بأمانة عهدنا الكهنوتي ويجعل علاقتنا الشخصيّة مع الرّبّ يسوع فاترة. قد يقول قائلٌ: ماذا يريد هذا الأسقف الذي يكلّمنا على أصنام اليوم، بدلاً من أن يكلّمنا على يسوع؟

أيّها الإخوة الأعزّاء، يسوع هو الطّريق الوحيد حتّى لا نخطئ فنعرف ما نشعر به، وإلى أين يقودنا قلبنا...، يسوع هو الطّريق الوحيد لنميّز جيّدًا، فننظر إلى أنفسنا أمامه، كلّ يوم، كما لو كان قد جلس اليوم أيضًا في كنيسة رعيّتنا وقال لنا إنّ كلّ ما سمعناه اليوم قد تحقّق. وكون يسوع المسيح آية للمعارضة- لكنّه ليس دائمًا أمرًا فيه دماء وقسوة، لأنّ الرّحمة نفسها هي آية معارضة، وكذلك الحنان، أكثر من ذلك بكثير – أقول إنّ يسوع المسيح، يساعدنا لكشف الأصنام، فنرى حضورها، وجذورها وطريقة عملها، وبهذه الطريقة يبيدها الرّبّ يسوع، هذا هو الاقتراح: أن نعطي مساحة حتّى يستطيع الرّبّ يسوع أن يبيد أصنامنا المخفيّة. ويجب أن نتذكّرها، وأن نكون حذرين، حتّى لا ينمو من جديد زؤان هذه الأصنام التي عرفنا كيف نخفيها في ثنايا قلوبنا.

وأودّ أن أختم وأطلب إلى القدّيس يوسف، الأب العفيف جدًّا ومن دون أصنام مخفيّة، أن يحرّرنا من كلّ رغبة في التملّك، لأنّ هذه الرغبة في التملّك، هي الأرض الخصبة التي فيها تنمو هذه الأصنام. وأن يحصل لنا أيضًا على النعمة لكي لا نستسلم في مهمّة تميّيز الأصنام الشّاقّة هذه، التي نخفيها باستمرار أو هي تتخفّى. ولنطلب أيضًا إلى القدّيس يوسف، عندما يرتابنا الشكّ ونتساءل كيف نعمل الأمور بشكل أفضل، أن يتشفّع بنا حتّى يُنير الرّوح القدس حُكمَنا، كما أنار حُكمَه عندما وقع في التجربة ونوى أن يترك مريم ”سِرًّا“ (λάθρᾳ)، حتى نعرف بقلب نبيل كيف نُخضع للمحبّة ما تعلّمناه من الشريعة[5].

[1] لأنّ كهنوت الخدمة هو في خدمة الكهنوت العام. اختار الله البعض حتى "يقوموا باسم المسيح بالخدمة الكهنوتية للبشر بشكل رسمي" (المجمع الفاتيكاني الثاني، قرار في حياة الكهنة وخدمتهم الراعوية، الدرجة الكهنوتية، 2؛ راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 10). "في الواقع، الخدام الذين مُنحوا سلطة مقدسة يخدمون إخوتهم" (نور الأمم، 18).

[2]  راجع التعليم المسيحي في المقابلة العامة، 1 آب/أغسطس 2018.

[3] عظة البابا فرنسيس في القدّاس الإلهي في كنيسة القدّيسة مرتا، 16 أيّار/مايو 2020.

[4] J.M. Bergoglio, Meditaciones para religiosos, Bilbao, Mensajero, 2014, 145.

[5] راجع رسالة رسوليّة، بقلب أبوي، 4، ملاحظة 18.

[00558-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0263-XX.02]