Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Alle ore 10.00 di questa mattina, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Luca:
Omelia del Santo Padre
Sul Calvario si scontrano due mentalità. Nel Vangelo, infatti, le parole di Gesù crocifisso si contrappongono a quelle dei suoi crocifissori. Questi ripetono un ritornello: “Salva te stesso”. Lo dicono i capi: «Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto» (Lc 23,35). Lo ribadiscono i soldati: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (v. 37). E infine, anche uno dei malfattori, che ha ascoltato, ripete il concetto: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso!» (v. 39). Salvare se stessi, badare a se stessi, pensare a se stessi; non ad altri, ma solo alla propria salute, al proprio successo, ai propri interessi; all’avere, al potere, all’apparire. Salva te stesso: è il ritornello dell’umanità che ha crocifisso il Signore. Pensiamoci.
Ma alla mentalità dell’io si oppone quella di Dio; il salva te stesso si scontra con il Salvatore che offre se stesso. Nel Vangelo odierno sul Calvario anche Gesù prende la parola tre volte, come i suoi oppositori (cfr vv. 34.43.46). Ma in nessun caso rivendica qualcosa per sé; anzi, nemmeno difende o giustifica se stesso. Prega il Padre e offre misericordia al buon ladrone. Una sua espressione, in particolare, marca la differenza rispetto al salva te stesso: «Padre, perdona loro» (v. 34).
Soffermiamoci su queste parole. Quando le dice il Signore? In un momento specifico: durante la crocifissione, quando sente i chiodi trafiggergli i polsi e i piedi. Proviamo a immaginare il dolore lancinante che ciò provocava. Lì, nel dolore fisico più acuto della passione, Cristo chiede perdono per chi lo sta trapassando. In quei momenti verrebbe solo da gridare tutta la propria rabbia e sofferenza; invece Gesù dice: Padre, perdona loro. Diversamente da altri martiri, di cui racconta la Bibbia (cfr 2 Mac 7,18-19), non rimprovera i carnefici e non minaccia castighi in nome di Dio, ma prega per i malvagi. Affisso al patibolo dell’umiliazione, aumenta l’intensità del dono, che diventa per-dono.
Fratelli, sorelle, pensiamo che Dio fa così anche con noi: quando gli provochiamo dolore con le nostre azioni, Egli soffre e ha un solo desiderio: poterci perdonare. Per renderci conto di questo, guardiamo il Crocifisso. È dalle sue piaghe, da quei fori di dolore provocati dai nostri chiodi che scaturisce il perdono. Guardiamo Gesù in croce e pensiamo che non abbiamo mai ricevuto parole più buone: Padre, perdona. Guardiamo Gesù in croce e vediamo che non abbiamo mai ricevuto uno sguardo più tenero e compassionevole. Guardiamo Gesù in croce e capiamo che non abbiamo mai ricevuto un abbraccio più amorevole. Guardiamo il Crocifisso e diciamo: “Grazie Gesù: mi ami e mi perdoni sempre, anche quando faccio fatica ad amarmi e perdonarmi”.
Lì, mentre viene crocifisso, nel momento più difficile, Gesù vive il suo comandamento più difficile: l’amore per i nemici. Pensiamo a qualcuno che ci ha ferito, offeso, deluso; a qualcuno che ci ha fatto arrabbiare, che non ci ha compresi o non è stato di buon esempio. Quanto tempo ci soffermiamo a ripensare a chi ci ha fatto del male! Così come a guardarci dentro e a leccarci le ferite che ci hanno inferto gli altri, la vita o la storia. Gesù oggi ci insegna a non restare lì, ma a reagire. A spezzare il circolo vizioso del male e del rimpianto. A reagire ai chiodi della vita con l’amore, ai colpi dell’odio con la carezza del perdono. Ma noi, discepoli di Gesù, seguiamo il Maestro o il nostro istinto rancoroso? È una domanda che dobbiamo farci: seguiamo il Maestro o seguiamo il nostro istinto rancoroso? Se vogliamo verificare la nostra appartenenza a Cristo, guardiamo a come ci comportiamo con chi ci ha feriti. Il Signore ci chiede di rispondere non come ci viene o come fanno tutti, ma come fa Lui con noi. Ci chiede di spezzare la catena del “ti voglio bene se mi vuoi bene; ti sono amico se sei mio amico; ti aiuto se tu mi aiuti”. No, compassione e misericordia per tutti, perché Dio vede in ciascuno un figlio. Non ci divide in buoni e cattivi, in amici e nemici. Siamo noi che lo facciamo, facendolo soffrire. Per Lui siamo tutti figli amati, che desidera abbracciare e perdonare. Ed è così anche in quell’invito al banchetto di nozze del figlio, quel signore invia i suoi servi all’incrocio delle strade e dice: “Portate tutti, bianchi, neri, buoni e cattivi, tutti, sani, ammalati, tutti…” (cfr Mt 22,9-10). L’amore di Gesù è per tutti, non ci sono privilegi in questo. Tutti. Il privilegio di ognuno di noi è essere amato, perdonato.
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Il Vangelo sottolinea che Gesù «diceva» (v. 34) questo: non lo disse una volta per tutte al momento della crocifissione, ma trascorse le ore sulla croce con queste parole sulle labbra e nel cuore. Dio non si stanca di perdonare. Dobbiamo capire questo, ma capirlo non solo con la mente, capirlo con il cuore: Dio non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono, ma Lui mai si stanca di perdonare. Lui non sopporta fino a un certo punto per poi cambiare idea, come siamo tentati di fare noi. Gesù – insegna il Vangelo di Luca – è venuto nel mondo a portarci il perdono dei nostri peccati (cfr Lc 1,77) e alla fine ci ha dato un’istruzione precisa: predicare a tutti, nel suo nome, il perdono dei peccati (cfr Lc 24,47). Fratelli e sorelle, non stanchiamoci del perdono di Dio: noi preti di amministrarlo, ogni cristiano di riceverlo e di testimoniarlo. Non stanchiamoci del perdono di Dio.
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Notiamo ancora una cosa. Gesù non solo implora il perdono, ma dice anche il motivo: perdonali perché non sanno quello che fanno. Ma come? I suoi crocifissori avevano premeditato la sua uccisione, organizzato la sua cattura, i processi, e ora sono sul Calvario per assistere alla sua fine. Eppure Cristo giustifica quei violenti perché non sanno. Ecco come si comporta Gesù con noi: si fa nostro avvocato. Non si mette contro di noi, ma per noi contro il nostro peccato. Ed è interessante l’argomento che utilizza: perché non sanno, quell’ignoranza del cuore che abbiamo tutti noi peccatori. Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi.
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Molti ascoltano questa frase inaudita; ma uno solo la accoglie. È un malfattore, crocifisso accanto a Gesù. Possiamo pensare che la misericordia di Cristo abbia suscitato in lui un’ultima speranza e l’abbia portato a pronunciare quelle parole: «Gesù, ricordati di me» (Lc 23,42). Come a dire: “Tutti si sono dimenticati di me, ma tu pensi pure a chi ti crocifigge. Con te, allora, c’è posto anche per me”. Il buon ladrone accoglie Dio mentre la vita sta per finire e così la sua vita inizia di nuovo; nell’inferno del mondo vede aprirsi il paradiso: «Oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). Ecco il prodigio del perdono di Dio, che trasforma l’ultima richiesta di un condannato a morte nella prima canonizzazione della storia.
Fratelli, sorelle, in questa settimana accogliamo la certezza che Dio può perdonare ogni peccato. Dio perdona tutti, può perdonare ogni distanza, mutare ogni pianto in danza (cfr Sal 30,12); la certezza che con Cristo c’è sempre posto per ognuno; che con Gesù non è mai finita, non è mai troppo tardi. Con Dio si può sempre tornare a vivere. Coraggio, camminiamo verso la Pasqua con il suo perdono. Perché Cristo continuamente intercede presso il Padre per noi (cfr Eb 7,25) e, guardando il nostro mondo violento, il nostro mondo ferito, non si stanca di ripetere – e noi lo facciamo adesso con il nostro cuore, in silenzio – di ripetere: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno.
[00539-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Sur le Calvaire, deux mentalités s'affrontent. Dans l'Évangile, en effet, les paroles de Jésus crucifié s’opposent à celles de ceux qui le crucifient. Ceux-ci répètent le même refrain : "Sauve-toi toi-même". Les chefs le disent : «Qu’il se sauve lui-même, s’il est le Messie de Dieu, l’Élu !» (Lc 23, 35). Les soldats le répètent : « Si tu es le roi des Juifs, sauve-toi toi-même ! » (v. 37). Et finalement, l'un des malfaiteurs, qui a écouté, répète l'idée : « N’es-tu pas le Christ ? Sauve-toi toi-même ! » (v. 39). Se sauver soi-même, s’occuper de soi, penser à soi ; pas aux autres, mais seulement à sa santé, à son succès, à ses intérêts ; à l'avoir, au pouvoir, au paraître. Sauve-toi toi-même : c'est le refrain de l'humanité qui a crucifié le Seigneur. Réfléchissons-y.
Mais à la mentalité du moi s'oppose la mentalité de Dieu ; le sauve-toi toi-même se heurte au Sauveur qui s'offre lui-même. Dans l'Évangile de ce jour sur le Calvaire, Jésus prend également la parole à trois reprises, comme ses adversaires (cf. vv. 34.43.46). Mais en aucun cas il ne revendique quoi que ce soit pour lui-même; il ne se défend même pas et ne se justifie pas. Il prie le Père et fait miséricorde au bon larron. Une de ses expressions, en particulier, marque la différence avec le sauve-toi toi-même : «Père, pardonne-leur» (v. 34).
Attardons-nous sur ces mots. Quand le Seigneur les dit-il ? À un moment bien précis : lors de la crucifixion, lorsqu'il sent les clous lui percer les poignets et les pieds. Essayons d'imaginer la douleur atroce que cela a provoqué. Là, dans la douleur physique la plus aiguë de la passion, le Christ demande pardon pour ceux qui le transpercent. À cet instant, on n’aurait pour seule envie que de crier toute sa colère et sa souffrance ; au lieu de cela, Jésus dit : Père, pardonne-leur. Contrairement aux autres martyrs dont parle la Bible (cf. 2 M 7, 18-19), il ne fait pas de reproches aux bourreaux ni ne menace de punition au nom de Dieu, mais il prie pour les méchants. Fixé à la potence de l'humiliation, il augmente l'intensité du don, qui devient par-don.
Frères et sœurs, pensons que Dieu fait de même avec nous : lorsque nous lui faisons mal par nos actions, il souffre et n'a qu'un seul désir : pouvoir nous pardonner. Pour s'en rendre compte, regardons le Crucifié. C'est de ses blessures, de ces brèches de douleur causés par nos clous, que jaillit le pardon. Regardons Jésus sur la croix et méditons sur le fait que nous n'avons jamais reçu de meilleures paroles : Père, pardonne. Regardons Jésus sur la croix et constatons que nous n'avons jamais reçu un regard plus tendre et plus compatissant. Regardons Jésus sur la croix et réalisons que nous n'avons jamais reçu une étreinte plus aimante. Regardons le Crucifié et disons : "Merci Jésus : tu m'aimes et me pardonnes toujours, même quand j'ai du mal à m'aimer et à me pardonner".
Là, alors qu’on le crucifie, au moment le plus difficile, Jésus vit son commandement le plus difficile : l'amour des ennemis. Pensons à quelqu'un qui nous a blessés, offensés, déçus ; quelqu'un qui nous a mis en colère, qui ne nous a pas compris ou qui n'a pas été un bon exemple. Combien de temps restons-nous à penser à ceux qui nous ont fait du mal ! Tout comme nous restons à regarder à l'intérieur de nous-mêmes et à lécher les blessures qui nous ont été infligées par les autres, par la vie, par l'histoire. Jésus nous apprend aujourd'hui à ne pas en rester là, mais à réagir. À briser le cercle vicieux du mal et du regret. À réagir aux clous de la vie avec amour, aux coups de la haine avec la caresse du pardon. Mais nous, les disciples de Jésus, suivons-nous le Maître ou notre propre instinct rancunier ? C’est une question que nous devons nous poser: suivons-nous le Maître ou suivons-nous notre instinct rancunier? Si nous voulons vérifier notre appartenance au Christ, regardons comment nous traitons ceux qui nous ont blessés. Le Seigneur nous demande de répondre, non pas selon notre instinct, ou comme tout le monde le fait, mais comme il le fait avec nous. Il nous demande de briser la chaîne du "je t'aime si tu m'aimes ; je suis ton ami si tu es mon ami ; je t'aide si tu m'aides". Non, compassion et miséricorde pour tous, car Dieu voit en chacun un fils. Il ne nous divise pas en bons et mauvais, en amis et ennemis. C'est nous qui faisons cela, en le faisant souffrir. Pour Lui, nous sommes tous des enfants bien-aimés, qu'Il veut embrasser et pardonner. Et il en est de même dans cette invitation au banquet des noces de son fils, ce seigneur envoie ses serviteurs à la croisée des chemins et dit : “Amenez-les tous, blancs, noirs, bons et méchants, tous, bien portants, malades, tous...” (cf. Mt 22, 9-10). L'amour de Jésus est pour tous, il n'y a pas de privilèges dans ce domaine. Tous. Le privilège de chacun d'entre nous est d'être aimé, d'être pardonné.
Père, pardonne-leur car ils ne savent pas ce qu'ils font. L'Évangile souligne que Jésus "disait" (v. 34) ceci : il ne l'a pas dit une fois pour toutes au moment de la crucifixion, mais il a passé les heures sur la croix avec ces mots sur les lèvres et dans le cœur. Dieu ne se lasse jamais de pardonner. Nous devons comprendre cela, pas seulement avec notre intelligence, mais le comprendre avec le cœur: Dieu ne se fatigue jamais de pardonner, c’est nous qui nous fatiguons de lui demander pardon, mais lui ne se lasse jamais de pardonner. Il ne supporte pas jusqu'à un certain point pour ensuite changer d'avis, comme nous sommes tentés de le faire. Jésus - enseigne l'Évangile de Luc - est venu dans le monde pour nous apporter le pardon de nos péchés (cf. Lc 1, 77), et il nous a donné à la fin une instruction précise : annoncer à tous le pardon des péchés en son nom (cf. Lc 24, 47). Frères et sœurs, ne nous lassons pas du pardon de Dieu : à nous prêtres de l'administrer, à chaque chrétien de le recevoir et d'en témoigner. Ne nous lassons pas du pardon de Dieu.
Père, pardonne-leur car ils ne savent pas ce qu'ils font. Notons encore une chose. Non seulement Jésus implore le pardon, mais il en donne aussi le motif : pardonne-leur car ils ne savent pas ce qu'ils font. Comment cela ? Ceux qui l’ont crucifié avaient prémédité sa mise à mort, organisé son arrestation, les procès, et ils sont maintenant sur le Calvaire pour assister à sa fin. Pourtant, le Christ justifie ces personnes violentes parce qu'elles ne savent pas. C'est ainsi que Jésus se comporte avec nous : il se fait notre avocat. Il ne va pas contre nous, mais pour nous contre notre péché. Et l'argument qu'il utilise est intéressant : parce qu'ils ne savent pas, c’est l’ignorance du cœur que nous avons tous, nous pécheurs. Quand on utilise la violence, on ne sait plus rien de Dieu, qui est Père, ni des autres, qui sont frères. On oublie pourquoi on est dans le monde, et on va jusqu'à commettre des cruautés absurdes. Nous le voyons dans la folie de la guerre, où le Christ est une fois de plus crucifié. Oui, le Christ est à nouveau cloué à la croix dans les mères qui pleurent la mort injuste de leurs maris et de leurs enfants. Il est crucifié dans les réfugiés qui fuient les bombes avec des enfants dans les bras. Il est crucifié dans les personnes âgées laissées seules pour mourir, dans les jeunes privés d'avenir, dans les soldats envoyés pour tuer leurs frères. Là, le Christ est crucifié, aujourd’hui.
Père, pardonne-leur car ils ne savent pas ce qu'ils font. Beaucoup écoutent cette phrase inouïe, mais un seul l’accueille. C'est un malfaiteur, crucifié aux côtés de Jésus. Nous pouvons imaginer que la miséricorde du Christ a suscité en lui une dernière espérance et l'a conduit à prononcer ces mots : « Jésus, souviens-toi de moi » (Lc 23, 42). Comme s’il disait : "Tout le monde m'a oublié, mais toi, tu penses aussi à ceux qui te crucifient. Avec toi, il y a donc de la place pour moi aussi". Le bon larron accueille Dieu au moment où sa vie s'achève et ainsi sa vie commence à nouveau ; dans l'enfer du monde, il voit s'ouvrir le paradis : «aujourd’hui, avec moi, tu seras dans le Paradis » (v. 43). Voici le miracle du pardon de Dieu, qui transforme la dernière requête d'un homme condamné à mort en la première canonisation de l'histoire.
Frères et sœurs, cette semaine nous accueillons la certitude que Dieu peut pardonner tout péché. Dieu pardonne à tous, il peut pardonner toute distance, changer tout pleur en danse (cf. Ps 30, 12) ; la certitude qu'avec le Christ il y a toujours de la place pour tout le monde ; qu'avec Jésus ce n'est jamais fini, il n'est jamais trop tard. Avec Dieu, nous pouvons toujours revenir à la vie. Courage, marchons vers Pâques avec son pardon. Parce que le Christ intercède continuellement auprès du Père pour nous (cf. He 7, 25) et, en regardant notre monde violent, notre monde blessé, il ne se lasse pas de répéter – et nous le faisons maintenant dans notre cœur, en silence – de répéter : Père, pardonne-leur, car ils ne savent pas ce qu'ils font.
[00539-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
On Calvary, two ways of thinking collided. In the Gospel, the words of the crucified Jesus are in sharp contrast with the words of those who crucified him. The latter keep saying: “Save yourself”. The leaders of the people said: “Let him save himself, if he is the Christ of God, his Chosen One” (Lk 23:35). The soldiers said the same thing: “If you are the King of the Jews, save yourself” (v. 37). Finally, one of the criminals, echoing their words, said to him: “Are you not the Christ? Save yourself” (v. 39). Save yourself. Take care of yourself. Think of yourself. Not of others, but only of your own well-being, your own success, your own interests: your possessions, your power, your image. Save yourself. This is the constant refrain of the world that crucified the Lord. Let us think about it.
Against this self-centred mindset is God’s way of thinking. The mantra “save yourself” collides with the words of the Saviour who offers his self. Like his adversaries, Jesus speaks three times in today’s Gospel (cf. vv. 34.43.46). Yet he did not claim anything for himself; indeed, he did not even defend or justify himself. He prayed to the Father and offered mercy to the good thief. One of his words, in particular, marked the difference with regard to the mantra “save yourself”. He said: “Father, forgive them” (v. 34).
Let us reflect on the Lord’s words. When did he say them? At a very specific moment: while he was being crucified, as he felt the nails piercing his wrists and feet. Let us try to imagine the excruciating pain he suffered. At that moment, amid the most searing physical pain of his Passion, Christ asked forgiveness for those who were piercing him. At times like that, we would scream out and give vent to all our anger and suffering. But Jesus said: Father, forgive them.
Unlike the other martyrs about whom the Bible speaks (cf. 2 Mac 7:18-19), Jesus did not rebuke his executioners or threaten punishments in the name of God; rather, he prayed for the evildoers. Fastened to the gibbet of humiliation, his attitude of giving became that of forgiving.
Brothers and sisters, God does the same thing with us. When we cause suffering by our actions, God suffers yet has only one desire: to forgive us. In order to appreciate this, let us gaze upon the crucified Lord. It is from his painful wounds, from the streams of blood caused by the nails of our sinfulness that forgiveness gushes forth. Let us look to Jesus on the cross and realize that greater words were never spoken: Father, forgive. Let us look to Jesus on the cross and realize that we have never been looked upon with a more gentle and compassionate gaze. Let us look to Jesus on the cross and understand that we have never received a more loving embrace. Let us look to the crucified Lord and say: “Thank you, Jesus: you love me and always forgive me, even at those times when I find it hard to love and forgive myself”.
There, as he was being crucified, at the height of his pain, Jesus himself obeyed the most demanding of his commandments: that we love our enemies. Let us think about someone who, in our own lives, injured, offended or disappointed us; someone who made us angry, who did not understand us or who set a bad example. How often we spend time looking back on those who have wronged us! How often we think back and lick the wounds that other people, life itself and history have inflicted on us. Today, Jesus teaches us not to remain there, but to react, to break the vicious circle of evil and sorrow. To react to the nails in our lives with love, to the buffets of hatred with the embrace of forgiveness. As disciples of Jesus, do we follow the Master or do we follow our own desire to strike back? This is a question we have to ask ourselves. Do we follow the Master or not?
If we want to test whether we truly belong to Christ, let us look at how we behave toward those who have hurt us. The Lord asks us to respond not as we feel, or as everyone else does, but in the way he acts toward us. He asks us to break out of the mindset that says: “I will love you if you love me; I will be your friend if you are my friend; I will help you if you help me”. Rather, we are to show compassion and mercy to everyone, for God sees a son or a daughter in each person. He does not separate us into good and bad, friends and enemies. We are the ones who do this, and we make God suffer. For him, all of us are his beloved children, children whom he desires to embrace and forgive. Just as in the parable of the wedding feast, where the father of the groom sends his servants into the streets and says: “Invite everybody: white, black, good and bad, everybody, the healthy, the sick, everybody…” (cf. Mt 22:9-10). The love of Jesus is for everyone; everyone has the same privilege: that of being loved and forgiven.
Father, forgive them for they know not what they do. According to the Gospel, Jesus “kept saying” this (cf. v. 34). He did not say it once for all as he was being nailed to the cross; instead, he spent all his time on the cross with these words on his lips and in his heart. God never tires of forgiving. We need to understand this, not just in our minds, but also in our hearts. God never tires of forgiving. We are the ones who get tired of asking forgiveness. But he never tires of forgiving. He does not put up with us for a while and then change his mind, as we are tempted to do. Jesus – so the Gospel of Luke teaches us – came into the world to bring us forgiveness for our sins (cf. Lk 1:77). In the end, he gave us a clear command: to proclaim forgiveness of sins to everyone in his name (cf. Lk 24:47). Let us never grow tired of proclaiming God’s forgiveness: we priests, of administering it; all Christians, of receiving it and bearing witness to it. Let us never grow tired when it comes to God’s forgiveness.
Father, forgive them for they know not what they do. Let us observe one more thing. Jesus not only asked that they be forgiven, but also mentioned the reason why: for they know not what they do. How could that be? Those who crucified him had premeditated his killing, organized his arrest and trials, and now they were standing on Calvary to witness his death. Yet Christ justifies those violent men by saying: they know not. That is how Jesus acts in our regard: he makes himself our advocate. He does not set himself against us, but for us and against our sins. His words make us think: for they know not. It is the ignorance of the heart, which all of us have as sinners.
When we resort to violence, we show that we no longer know anything about God, who is our Father, or even about others, who are our brothers and sisters. We lose sight of why we are in the world and even end up committing senseless acts of cruelty. We see this in the folly of war, where Christ is crucified yet another time. Christ is once more nailed to the Cross in mothers who mourn the unjust death of husbands and sons. He is crucified in refugees who flee from bombs with children in their arms. He is crucified in the elderly left alone to die; in young people deprived of a future; in soldiers sent to kill their brothers and sisters. Christ is being crucified there, today.
Father, forgive them for they know not what they do. Many people heard these extraordinary words, but only one person responded to them. He was a criminal, crucified next to Jesus. We can imagine that the mercy of Christ stirred up in him one last hope and led him to speak these words: “Jesus, remember me” (Lk 23:42). As if to say: “Everyone else has forgotten me, yet you keep thinking of those who crucify you. With you, then, there is also a place for me”. The good thief accepted God as his life was ending, and in this way, his life began anew. In the hell of this world, he saw heaven opening up: “Today you will be with me in Paradise” (v. 43). This is the marvel of God’s forgiveness, which turned the last request of a man condemned to death into the first canonization of history.
Brothers and sisters, in the course of this week, let us cling to the certainty that God can forgive every sin. He forgives everyone. He can bridge every distance, and turn all mourning into dancing (cf. Ps 30:12). The certainty that with Jesus there is always a place for everyone. That with Christ things are never over. That with him, it is never too late. With God, we can always come back to life. Take courage! Let us journey toward Easter with his forgiveness. For Christ constantly intercedes for us before the Father (cf. Heb 7:25). Gazing upon our violent and tormented world, he never tires of repeating: Father, forgive them for they know not what they do. Let us now do the same, in silence, in our hearts, and repeat: Father, forgive them for they know not what they do.
[00539-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Auf Golgatha prallen zwei Denkweisen aufeinander. So kontrastieren im Evangelium die Worte des gekreuzigten Jesus zu den Worten derer, die ihn kreuzigen. Letztere wiederholen einen Kehrreim: „Rette dich selbst“. Die führenden Männer sagen es: »Er soll sich selbst retten, wenn er der Christus Gottes ist, der Erwählte« (Lk 23,35). Die Soldaten bekräftigen es: »Wenn du der König der Juden bist, dann rette dich selbst!« (V. 37). Und schließlich wiederholt einer der Verbrecher, der es gehört hat, den Gedanken: »Bist du denn nicht der Christus? Dann rette dich selbst!« (V. 39). Sich selbst retten, sich um sich selbst kümmern, an sich selbst denken; nicht an andere, sondern nur an die eigene Gesundheit, den eigenen Erfolg, die eigenen Interessen denken; an das Haben, an die Macht, an das Erscheinen. Rette dich selbst: Das ist der Kehrreim der Menschheit, die den Herrn gekreuzigt hat. Denken wir daran.
Aber der Denkweise des Ichs stellt sich die Denkweise Gottes entgegen; das Rette-sich-selbst stößt sich mit dem Retter, der sich selbst opfert. Im heutigen Evangelium ergreift Jesus auf dem Kalvarienberg ebenso wie seine Gegner dreimal das Wort (vgl. V. 34.43.46). Aber er nimmt keineswegs etwas für sich in Anspruch, ja er verteidigt oder rechtfertigt sich nicht einmal. Er betet zum Vater und erweist dem guten Schächer gegenüber Erbarmen. Besonders eines seiner Worte markiert den Unterschied zum Rette-dich-selbst: »Vater, vergib ihnen« (V. 34).
Lasst uns bei diesen Worten verweilen. Wann spricht der Herr sie aus? In einem bestimmten Augenblick: während der Kreuzigung, als er spürt, wie die Nägel in seine Handgelenke und seine Füße eindringen. Versuchen wir uns vorzustellen, welche stechenden Schmerzen das verursacht hat. Da, im heftigsten körperlichen Schmerz der Passion, bittet Christus um Vergebung für diejenigen, die ihn durchbohren. In solchen Momenten wäre einem nur danach zumute, seine ganze Wut und sein Leid herauszuschreien; stattdessen sagt Jesus: Vater, vergib ihnen. Im Gegensatz zu anderen Märtyrern, von denen die Bibel spricht (vgl. 2 Makk 7,18-19), macht er den Schergen keine Vorwürfe und droht auch keine Strafe im Namen Gottes an, sondern betet für die Übeltäter. An den Galgen der Demütigung angeschlagen, steigert er die Intensität der Gabe, die zur Ver-Gebung wird.
Brüder und Schwestern, denken wir daran, dass Gott auch mit uns so umgeht: Wenn wir ihm mit unseren Taten Schmerz zufügen, leidet er und hat nur einen Wunsch: uns vergeben zu können. Blicken wir auf den Gekreuzigten, um uns dessen bewusst zu werden. Aus seinen Wunden, aus den Löchern des Schmerzes, die unsere Nägel gebohrt haben, entspringt die Vergebung. Schauen wir auf Jesus am Kreuz und denken wir daran, dass uns niemals gütigere Worte erreicht haben: Vater, vergib. Schauen wir auf Jesus am Kreuz und erkennen wir, dass wir nie einen zärtlicheren und mitfühlenderen Blick erhalten haben. Schauen wir auf Jesus am Kreuz und begreifen wir, dass wir nie eine liebevollere Umarmung erhalten haben. Schauen wir auf den Gekreuzigten und sagen wir: »Danke, Jesus: Du liebst mich immer und vergibst mir immer, auch dann, wenn ich mich schwertue, mich selbst zu lieben und mir zu vergeben«.
Dort, während seiner Kreuzigung, im schwierigsten Moment, lebt Jesus sein schwierigstes Gebot: die Feindesliebe. Denken wir an jemanden, der uns verletzt, beleidigt oder enttäuscht hat; an jemanden, der uns verärgert hat, uns nicht verstanden hat oder uns kein gutes Beispiel war. Wie lange halten wir uns damit auf, über diejenigen nachzugrübeln, die uns Schlechtes getan haben, und genauso, um in unser Inneres zu schauen und die Wunden zu lecken, die uns von anderen, vom Leben oder von der Geschichte zugefügt wurden. Jesus lehrt uns heute, nicht dort stehen zu bleiben, sondern zu reagieren; den Teufelskreis des Bösen und des Bedauerns zu durchbrechen; auf die Nägel des Lebens mit Liebe zu antworten, auf die Schläge des Hasses mit der Zärtlichkeit der Vergebung. Aber folgen wir, die Jünger Jesu, dem Meister oder unseren eigenen nachtragenden Instinkten? Das ist eine Frage, die wir uns stellen müssen: Folgen wir dem Meister oder folgen wir unserem nachtragenden Instinkt? Wenn wir unsere Zugehörigkeit zu Christus prüfen wollen, achten wir darauf, wie wir mit denen umgehen, die uns verletzt haben. Der Herr verlangt von uns, nicht so zu reagieren, wie wir uns gerade fühlen oder wie es alle anderen tun, sondern so, wie er es mit uns tut. Er fordert uns auf, die Kette des „ich mag dich, wenn du mich magst; ich bin dein Freund, wenn du mein Freund bist; ich helfe dir, wenn du mir hilfst“ zu durchbrechen. Nein, Erbarmen und Barmherzigkeit für alle, denn Gott sieht jeden als sein Kind. Er teilt uns nicht in Gut und Böse, in Freunde und Feinde ein. Wir sind es, die das tun, und ihn leiden lassen. Für ihn sind wir alle geliebte Kinder, die er umarmen und denen er vergeben möchte. Und so ist es auch bei der Einladung zum Hochzeitsmahl des Sohnes: Jener Herr sendet seine Diener auf die Kreuzungen der Straßen und sagt: „Bringt alle, Weiße, Schwarze, Gute und Böse, alle, Gesunde, Kranke, alle… (vgl. Mt 22,9-10). Die Liebe Jesu ist für alle, da gibt es keine Privilegien. Alle. Das Privileg eines jeden von uns ist es, geliebt zu sein und Vergebung zu erlangen.
Vater, vergib ihnen, denn sie wissen nicht, was sie tun. Das Evangelium weist darauf hin, dass Jesus dies „sagte“ (V. 34): Er sagte es nicht nur einmal im Augenblick der Kreuzigung, sondern er verbrachte die Stunden am Kreuz mit diesen Worten auf seinen Lippen und in seinem Herzen. Gott wird nicht müde zu vergeben. Das müssen wir verstehen, aber nicht nur mit dem Geist, sondern auch mit dem Herzen: Gott wird nicht müde zu vergeben, wir sind es, die müde werden, ihn um Verzeihung zu bitten, aber er wird nie müde zu vergeben. Er hält nicht bis zu einem bestimmten Punkt durch und ändert dann seine Meinung, wie wir versucht sind zu tun. Jesus - so lehrt das Lukasevangelium - ist in die Welt gekommen, um uns die Vergebung unserer Sünden zu bringen (vgl. Lk 1,77), und hat uns schließlich eine klare Anweisung erteilt: in seinem Namen die Vergebung der Sünden allen zu predigen (vgl. Lk 24,47). Brüder und Schwestern, ermüden wir nicht in der Vergebung Gottes: wir Priester, um sie auszuspenden, jeder Christ, um sie zu empfangen und zu bezeugen. Ermüden wir nicht in der Vergebung Gottes.
Vater, vergib ihnen, denn sie wissen nicht, was sie tun. Beachten wir noch etwas. Jesus bittet nicht nur um Vergebung, sondern nennt auch den Grund: Vergib ihnen, denn sie wissen nicht, was sie tun. Wie das? Seine Peiniger hatten seine Ermordung geplant, seine Gefangennahme und die Gerichtsverhandlungen organisiert, und nun sind sie auf dem Kalvarienberg, um seinem Tod beizuwohnen. Und doch entschuldigt Christus diese Gewalttäter, weil sie nicht wissen. So verhält sich Jesus uns gegenüber: Er macht sich zu unserem Anwalt. Er setzt sich nicht gegen uns ein, sondern für uns und gegen unsere Sünde. Und das Argument, das er anführt, ist interessant: weil sie nicht wissen, also diese Unkenntnis des Herzens, die uns allen als Sünder zu eigen ist. Wenn man Gewalt anwendet, weiß man nichts mehr von Gott, der der Vater ist, noch von den anderen, die Geschwister sind. Man vergisst, warum man auf der Welt ist, und gelangt dazu, absurde Grausamkeiten zu begehen. Das sehen wir in der Torheit des Krieges, in dem Christus erneut gekreuzigt wird. Ja, Christus wird in den Müttern, die über den ungerechten Tod ihrer Männer und Kinder weinen, nochmals ans Kreuz genagelt. Er wird gekreuzigt in den Flüchtlingen, die mit den Kindern im Arm vor den Bomben fliehen. Er wird gekreuzigt in den alten Menschen, die zurückgelassen werden und einsam sterben müssen, in den jungen Menschen, die ihrer Zukunft beraubt werden, in den Soldaten, die ausgesandt werden, um ihre Brüder zu töten. Christus wird dort gekreuzigt, heute.
Vater, vergib ihnen, denn sie wissen nicht, was sie tun. Viele hören diesen unerhörten Satz; aber nur einer nimmt ihn auf. Es ist ein Verbrecher, der neben Jesus gekreuzigt wurde. Wir können uns vorstellen, dass die Barmherzigkeit Christi in ihm eine letzte Hoffnung geweckt hat und ihn dazu gebracht hat, diese Worte auszusprechen: »Jesus, denk an mich« (Lk 23,42). Als wollte er sagen: „Alle haben mich vergessen, aber du denkst auch an die, die dich kreuzigen. Bei dir gibt es also auch Platz für mich“. Der gute Schächer nimmt Gott in sein Leben auf, als es kurz vor dem Ende steht, und gerade so beginnt sein Leben neu; in der Hölle der Welt sieht er, wie das Paradies sich öffnet: »Heute noch wirst du mit mir im Paradies sein« (V. 43). Dies ist das Wunder der Vergebung Gottes, die die letzte Bitte eines zum Tode Verurteilten in die erste Heiligsprechung der Geschichte verwandelt.
Brüder und Schwestern, in dieser Woche erhalten wir die Gewissheit, dass Gott jede Sünde vergeben kann. Gott vergibt allen, er kann jede Abwendung vergeben und jedes Klagen in Tanzen verwandeln (vgl. Ps 30,12); die Gewissheit, dass bei Christus immer Platz für alle ist; dass es bei Jesus nie vorbei ist, nie zu spät ist. Mit Gott können wir immer zum Leben zurückkehren. Habt Mut, lasst uns mit seiner Vergebung auf Ostern zugehen. Denn Christus legt unablässig beim Vater für uns Fürsprache ein (vgl. Hebr 7,25), und angesichts unserer gewalttätigen Welt, unserer verletzten Welt wird er nicht müde - und wir tun es jetzt mit unserem Herzen, in Stille -, zu wiederholen: Vater, vergib ihnen, denn sie wissen nicht, was sie tun.
[00539-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
En el Calvario se enfrentan dos mentalidades. Las palabras de Jesús crucificado en el Evangelio se contraponen, en efecto, a las de los que lo crucifican. Estos repiten un estribillo: “Sálvate a ti mismo”. Lo dicen los jefes: «¡Que se salve a sí mismo si este es el Mesías de Dios, el elegido!» (Lc 23,35). Lo reafirman los soldados: «¡Si tú eres el rey de los judíos, sálvate a ti mismo!» (v. 37). Y finalmente, también uno de los malhechores, que escuchó, repite la idea: «¿Acaso no eres el Mesías? ¡Sálvate a ti mismo!» (v. 39). Salvarse a sí mismo, cuidarse a sí mismo, pensar en sí mismo; no en los demás, sino solamente en la propia salud, en el propio éxito, en los propios intereses; en el tener, en el poder, en la apariencia. Sálvate a ti mismo: es el estribillo de la humanidad que ha crucificado al Señor. Reflexionemos sobre esto.
Pero a la mentalidad del yo se opone la de Dios; el sálvate a ti mismo discuerda con el Salvador que se ofrece a sí mismo. En el Evangelio de hoy también Jesús, como sus opositores, toma la palabra tres veces en el Calvario (cf. vv. 34.43.46). Pero en ningún caso reivindica algo para sí; es más, ni siquiera se defiende o se justifica a sí mismo. Reza al Padre y ofrece misericordia al buen ladrón. Una expresión suya, en particular, marca la diferencia respecto al sálvate a ti mismo: «Padre, perdónalos» (v. 34).
Detengámonos en estas palabras. ¿Cuándo las dice el Señor? En un momento específico, durante la crucifixión, cuando siente que los clavos le perforan las muñecas y los pies. Intentemos imaginar el dolor lacerante que eso provocaba. Allí, en el dolor físico más agudo de la pasión, Cristo pide perdón por quienes lo están traspasando. En esos momentos, uno sólo quisiera gritar toda su rabia y sufrimiento; en cambio, Jesús dice: Padre, perdónalos. A diferencia de otros mártires, que son mencionados en la Biblia (cf. 2 Mac 7,18-19), no reprocha a sus verdugos ni amenaza con castigos en nombre de Dios, sino que reza por los malvados. Clavado en el patíbulo de la humillación, aumenta la intensidad del don, que se convierte en per-dón.
Hermanos, hermanas, pensemos que Dios hace lo mismo con nosotros. Cuando le causamos dolor con nuestras acciones, Él sufre y tiene un solo deseo: poder perdonarnos. Para darnos cuenta de esto, contemplemos al Crucificado. El perdón brota de sus llagas, de esas heridas dolorosas que le provocan nuestros clavos. Contemplemos a Jesús en la cruz y pensemos que nunca hemos recibido palabras más bondadosas: Padre, perdónalos. Contemplemos a Jesús en la cruz y veamos que nunca hemos recibido una mirada más tierna y compasiva. Contemplemos a Jesús en la cruz y comprendamos que nunca hemos recibido un abrazo más amoroso. Contemplemos al Crucificado y digamos: “Gracias, Jesús, me amas y me perdonas siempre, aun cuando a mí me cuesta amarme y perdonarme”.
Allí, mientras es crucificado, en el momento más duro, Jesús vive su mandamiento más difícil: el amor por los enemigos. Pensemos en alguien que nos haya herido, ofendido, desilusionado; en alguien que nos haya hecho enojar, que no nos haya comprendido o no haya sido un buen ejemplo. ¡Cuánto tiempo perdemos pensando en quienes nos han hecho daño! Y también mirándonos dentro de nosotros mismos y lamiéndonos las heridas que nos han causado los otros, la vida o la historia. Hoy Jesús nos enseña a no quedarnos ahí, sino a reaccionar, a romper el círculo vicioso del mal y de las quejas, a responder a los clavos de la vida con el amor y a los golpes del odio con la caricia del perdón. Pero nosotros, discípulos de Jesús, ¿seguimos al Maestro o a nuestro instinto rencoroso? Es una pregunta que debemos hacernos: ¿seguimos al Maestro o seguimos a nuestro instinto rencoroso? Si queremos verificar nuestra pertenencia a Cristo, veamos cómo nos comportamos con quienes nos han herido. El Señor nos pide que no respondamos según nuestros impulsos o como lo hacen los demás, sino como Él lo hace con nosotros. Nos pide que rompamos la cadena del “te quiero si tú me quieres; soy tu amigo si eres mi amigo; te ayudo si me ayudas”. No, compasión y misericordia para todos, porque Dios ve en cada uno a un hijo. No nos separa en buenos y malos, en amigos y enemigos. Somos nosotros los que lo hacemos, haciéndolo sufrir. Para Él todos somos hijos amados, que desea abrazar y perdonar. Y también vemos que sucede lo mismo en la invitación al banquete de bodas de su hijo. Aquel señor manda a sus criados a los cruces de los caminos y les dice: “Traigan a todos, blancos, negros, buenos y malos; a todos, sanos, enfermos; a todos…” (cf Mt 22,9-10). El amor de Jesús es para todos, en esto no hay privilegios. Es para todos. El privilegio de cada uno de nosotros es ser amado, perdonado
Padre, perdónalos, porque no saben lo que hacen. El Evangelio destaca que Jesús «decía» (v. 34) esto. No lo dijo una sola vez en el momento de la crucifixión, sino que pasó las horas que estuvo en la cruz con estas palabras en los labios y en el corazón. Dios no se cansa de perdonar. Debemos entender esto, pero entenderlo no sólo con la mente, sino entenderlo también con el corazón. Dios nunca se cansa de perdonar, somos nosotros los que nos cansamos de pedirle perdón, pero Él nunca se cansa de perdonar. Él no es que aguante hasta un cierto punto para luego cambiar de idea, como estamos tentados de hacer nosotros. Jesús —enseña el Evangelio de Lucas— vino al mundo a traernos el perdón de nuestros pecados (cf. Lc 1,77) y al final nos dio una instrucción precisa: predicar a todos, en su nombre, el perdón de los pecados (cf. Lc 24,47). Hermanos y hermanas, no nos cansemos del perdón de Dios, ni nosotros sacerdotes de administrarlo, ni cada cristiano de recibirlo y testimoniarlo. No nos cansemos del perdón de Dios.
Padre, perdónalos, porque no saben lo que hacen. Observemos algo más. Jesús no sólo implora el perdón, sino que dice también el motivo: perdónalos porque no saben lo que hacen. Pero, ¿cómo? Los que lo crucificaron habían premeditado su muerte, organizado su captura, los procesos, y ahora están en el Calvario para asistir a su final. Y, sin embargo, Cristo justifica a esos violentos porque no saben. Así es como Jesús se comporta con nosotros: se hace nuestro abogado. No se pone en contra de nosotros, sino de nuestra parte contra nuestro pecado. Y es interesante el argumento que utiliza: porque no saben, es aquella ignorancia del corazón que tenemos todos nosotros pecadores. Cuando se usa la violencia ya no se sabe nada de Dios, que es Padre, ni tampoco de los demás, que son hermanos. Se nos olvida porqué estamos en el mundo y llegamos a cometer crueldades absurdas. Lo vemos en la locura de la guerra, donde se vuelve a crucificar a Cristo. Sí, Cristo es clavado en la cruz una vez más en las madres que lloran la muerte injusta de los maridos y de los hijos. Es crucificado en los refugiados que huyen de las bombas con los niños en brazos. Es crucificado en los ancianos que son abandonados a la muerte, en los jóvenes privados de futuro, en los soldados enviados a matar a sus hermanos. Cristo es crucificado allí, hoy.
Padre, perdónalos, porque no saben lo que hacen. Muchos escuchan esta frase inaudita; pero sólo uno la acoge. Es un malhechor, crucificado junto a Jesús. Podemos pensar que la misericordia de Cristo suscitó en él una última esperanza que lo llevó a pronunciar estas palabras: «Jesús, acuérdate de mí» (Lc 23,42). Como diciendo: “Todos se olvidaron de mí, pero tú piensas incluso en quienes te crucifican. Contigo, entonces, también hay lugar para mí”. El buen ladrón acoge a Dios mientras su vida está por terminar, y así su vida empieza de nuevo; en el infierno del mundo ve abrirse el paraíso: «Hoy estarás conmigo en el paraíso» (v. 43). Este es el prodigio del perdón de Dios, que transforma la última petición de un condenado a muerte en la primera canonización de la historia.
Hermanos, hermanas, en esta semana acojamos la certeza de que Dios puede perdonar todo pecado. Dios perdona a todos, puede perdonar toda distancia, y puede cambiar todo lamento en danza (cf. Sal 30,12); la certeza de que con Cristo siempre hay un lugar para cada uno; de que con Jesús nunca es el fin, nunca es demasiado tarde. Con Dios siempre se puede volver a vivir. Ánimo, caminemos hacia la Pascua con su perdón. Porque Cristo intercede continuamente ante el Padre por nosotros (cf. Hb 7,25) y, mirando nuestro mundo violento, nuestro mundo herido, no se cansa nunca de repetir ―y nosotros lo hacemos ahora con el corazón, en silencio― de repetir: Padre, perdónalos, porque no saben lo que hacen.
[00539-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
No calvário, confrontam-se duas mentalidades; vemos, no Evangelho, como as palavras de Jesus crucificado se contrapõem às dos seus adversários. Estes vão repetindo, como se fosse um refrão, «salva-te a ti mesmo». Dizem-no os chefes: «Salve-se a si mesmo, se é o Messias de Deus, o Eleito» (Lc 23, 35). Proferem-no os soldados: «Se és o rei dos judeus, salva-te a ti mesmo» (23, 37). E também um dos malfeitores, tendo ouvido tais palavras, repete-as: «Não és tu o Messias? Salva-te a ti mesmo» (23, 39). Salvar-se a si mesmo, olhar por si mesmo, pensar em si mesmo; não nos outros, mas apenas na própria saúde, no próprio sucesso, nos próprios interesses; ter, poder e aparecer. Salva-te a ti mesmo: é o refrão da humanidade, que crucificou o Senhor. Reflitamos nisto.
Mas, à mentalidade do «eu», opõe-se a de Deus; o salva-te a ti mesmo confronta-se com o Salvador que Se oferece a Si mesmo. No Calvário, segundo o Evangelho de hoje, também Jesus toma a palavra três vezes como os seus adversários (cf. 23, 34.43.46). Em nenhum dos casos, porém, reivindica qualquer coisa para Si mesmo; na verdade, nem sequer Se defende ou justifica a Si mesmo. Reza ao Pai e oferece misericórdia ao bom ladrão. Particularmente uma das suas expressões marca a diferença do salva-te a ti mesmo: «Perdoa-lhes, Pai» (23, 34).
Detenhamo-nos nestas palavras. Quando são pronunciadas pelo Senhor? Num momento específico: durante a crucifixão, quando sente os cravos perfurar-Lhe os pulsos e os pés. Tentemos imaginar a dor lancinante que isso provocava. Lá, na dor física mais aguda da Paixão, Cristo pede perdão para quem O está perfurando. Naqueles momentos, apetecer-nos-ia apenas gritar toda a nossa raiva e sofrimento; Jesus, ao contrário, diz: Perdoa-lhes, Pai. Diversamente doutros mártires referidos na Bíblia (cf. 2 Mac 7, 18-19), não repreende os algozes nem ameaça castigos em nome de Deus, mas reza pelos ímpios. Cravado no patíbulo da humilhação, aumenta a intensidade do dom, que se torna “per-dão”.
Irmãos, irmãs! Pensemos que Deus procede assim também connosco: quando Lhe provocamos dor com as nossas ações, Ele sofre e o único desejo que tem é poder perdoar-nos. Para nos darmos conta disto, contemplemos o Crucificado. É das suas chagas, daqueles orifícios de dor causados pelos nossos cravos que brota o perdão. Fixemos Jesus na cruz e pensemos que nunca recebemos palavras melhores: Perdoa-lhes, Pai. Fixemos Jesus na cruz e vejamos que nunca recebemos um olhar mais terno e compassivo. Fixemos Jesus na cruz e convençamo-nos de que nunca recebemos um abraço mais amoroso. Fixemos o Crucificado e digamos: «Obrigado, Jesus! Amas-me e perdoas-me sempre, mesmo quando me custa amar e perdoar a mim mesmo».
Lá, enquanto é crucificado, no momento mais difícil, Jesus vive o seu mandamento mais difícil: o amor aos inimigos. Pensemos em alguém que nos feriu, ofendeu, dececionou; em alguém que nos irritou, não nos compreendeu ou não foi um bom exemplo. Quanto tempo nos demoramos a pensar em quem nos fez mal! Como também a olhar para nós mesmos e a lamuriar-nos pelas feridas que nos infligiram os outros, a vida ou a história. Hoje Jesus ensina-nos a não perdermos nisso, mas a reagir, a romper o círculo vicioso do mal e dos queixumes, a reagir aos cravos da vida com o amor, aos golpes do ódio com a carícia do perdão. Mas nós, discípulos de Jesus, seguimos o Mestre ou o nosso instinto rancoroso? É uma pergunta que devemos colocar a nós mesmos: seguimos o Mestre ou o nosso instinto rancoroso? Se queremos verificar a nossa pertença a Cristo, vejamos como nos comportamos com quem nos feriu. O Senhor pede-nos para responder, não como nos apetece a nós nem como fazem todos, mas como Ele procede connosco. Pede-nos para quebrar a corrente do «amo-te se me amares; sou teu amigo, se fores meu amigo; ajudo-te se me ajudares». Assim não! Em vez disso, compaixão e misericórdia para com todos, porque Deus vê um filho em cada um. Não nos divide em bons e maus, em amigos e inimigos. Somos nós que o fazemos, fazendo-O sofrer. Para Ele, todos somos filhos amados, que deseja abraçar e perdoar. Vemos isto também naquele convite para o banquete de núpcias do filho: aquele senhor envia os seus servos à encruzilhada dos caminhos, dizendo-lhes «tragam todos, brancos, pretos, bons e maus, todos, sãos e doentes, todos...» ( cf. Mt 22, 9-10). O amor de Jesus é para todos; nisto, não há privilégios. Todos. O privilégio de cada um de nós é ser amado, perdoado.
Perdoa-lhes, Pai, porque não sabem o que fazem. O Evangelho sublinha que Jesus «dizia» (23, 34) isso, isto é, não o dissera uma vez por todas no momento da crucifixão, mas passou as horas na cruz com estas palavras nos lábios e no coração. Deus não Se cansa de perdoar. Devemos compreender isto… e não só com a mente, mas compreendê-lo com o coração: Deus não Se cansa de perdoar, somos nós que nos cansamos de Lhe pedir perdão, mas Ele nunca Se cansa de perdoar. Ele não suporta até certo ponto para depois mudar de ideias, como nós somos tentados a fazer. Jesus – ensina o Evangelho de Lucas – veio ao mundo para nos trazer o perdão dos nossos pecados (cf. Lc 1, 77) e, no fim, deixou-nos esta ordem concreta: pregar a todos, no seu nome, o perdão dos pecados (cf. Lc 24, 47). Irmãos e irmãs, não nos cansemos do perdão de Deus: nós, sacerdotes, de o ministrar; e, cada cristão, de o receber e testemunhar. Não nos cansemos do perdão de Deus.
Perdoa-lhes, Pai, porque não sabem o que fazem. Notemos mais uma coisa. Jesus não só implora o perdão, mas diz também o motivo: perdoa-lhes, porque não sabem o que fazem. Como é possível? Os seus opositores tinham premeditado a morte d’Ele, organizado a sua captura, os julgamentos e agora estão lá, no Calvário, para assistir ao seu fim... e, todavia, Cristo justifica aqueles violentos, porque não sabem. É assim que Jesus Se comporta connosco: faz-Se nosso advogado. Não Se coloca contra nós, mas por nós contra o nosso pecado. E é interessante o argumento que usa: porque não sabem, ou seja, aquela ignorância do coração que temos todos nós pecadores. Quando se usa violência, nada mais se sabe sobre Deus, que é Pai, nem sobre os outros, que são irmãos. Esquece-se a razão por que se está no mundo e chega-se a realizar absurdas crueldades. Vemo-lo na loucura da guerra, onde se torna a crucificar Cristo. Sim, Cristo é pregado na cruz mais uma vez nas mães que choram a morte injusta de maridos e filhos. É crucificado nos refugiados que fogem das bombas com os meninos no braço. É crucificado nos idosos deixados sozinhos a morrer, nos jovens privados de futuro, nos soldados mandados a matar os seus irmãos. Hoje, Cristo está crucificado aí.
Perdoa-lhes, Pai, porque não sabem o que fazem. Muitos ouvem esta frase incrível; mas apenas um a acolhe. É um malfeitor, crucificado ao lado de Jesus. Podemos pensar que a misericórdia de Cristo suscitou nele uma última esperança e o levou a pronunciar estas palavras: «Jesus, lembra-te de mim» (Lc 23, 42), como se dissesse: «Todos se esqueceram de mim, mas Tu pensas até naqueles que Te crucificam. Então poderia haver também para mim um lugar contigo?» O bom ladrão acolhe Deus, quando a vida dele está prestes a terminar e, assim, a sua vida recomeça; no inferno do mundo, vê abrir-se o Paraíso: «Hoje estarás comigo no Paraíso» (23, 43). Eis o prodígio do perdão de Deus, que transforma o último pedido dum condenado à morte na primeira canonização da história.
Irmãos, irmãs! Nesta semana, abramo-nos à certeza de que Deus pode perdoar todo o pecado. Deus tudo perdoa; pode perdoar todo o afastamento, mudar em dança todo o lamento (cf. Sal 30,12); a certeza de que, com Cristo, há sempre lugar para cada um; a certeza de que, com Jesus, a vida nunca acaba. Nunca é tarde demais; com Deus, sempre se pode voltar a viver. Coragem! Caminhemos para a Páscoa com o seu perdão. Porque Cristo intercede continuamente por nós junto do Pai (cf. Heb 7, 25) e, olhando para o nosso mundo violento, o nosso mundo ferido, não Se cansa de repetir (e em silêncio, no coração, repitamos com Ele): Perdoa-lhes, Pai, porque não sabem o que fazem.
[00539-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Na Kalwarii zderzają się dwie mentalności. W Ewangelii w istocie słowa ukrzyżowanego Jezusa są sprzeczne ze słowami Jego oprawców. Ci ostatni powtarzają jak refren: „wybaw sam siebie”. Mówią to przywódcy: „Niechże teraz siebie wybawi, jeśli jest Mesjaszem, Bożym Wybrańcem” (Łk 23, 35). Powtarzają to żołnierze: „Jeśli Ty jesteś Królem żydowskim, wybaw sam siebie” (w. 37). I wreszcie jeden ze złoczyńców, który słuchał, powtarza tę myśl: „Czyż ty nie jesteś Mesjaszem? Wybaw więc siebie” (w. 39). Wybawić samych siebie, dbać o siebie, myśleć o sobie; nie o innych, ale tylko o własnym zdrowiu, własnym sukcesie, własnych interesach; o posiadaniu, o władzy, o zaistnieniu. Wybaw sam siebie – oto refren ludzkości, która ukrzyżowała Pana. Zastanówmy się nad tym.
Ale mentalności „ja” przeciwstawia się mentalność Boga. Wybaw sam siebie zderza się ze Zbawicielem, który ofiarowuje samego siebie. W dzisiejszej Ewangelii również Jezus na Kalwarii trzykrotnie zabiera głos, podobnie jak Jego przeciwnicy (por. w. 34.43.46). Ale w żadnym wypadku nie domaga się czegoś dla siebie. Co więcej, nawet się nie broni ani nie usprawiedliwia. Modli się do Ojca i ofiarowuje miłosierdzie dobremu łotrowi. Zwłaszcza jedna z Jego wypowiedzi uwydatnia różnicę w stosunku do wybaw sam siebie: „Ojcze, przebacz im” (w. 34).
Zastanówmy się nad tymi słowami. Kiedy Pan je wypowiada? W szczególnym momencie – podczas ukrzyżowania, kiedy czuje, jak gwoździe przebijają Jego nadgarstki i stopy. Spróbujmy sobie wyobrazić rozdzierający ból, jaki to powodowało. Tam, w najbardziej dotkliwym fizycznym cierpieniu męki, Chrystus prosi o przebaczenie dla tych, którzy Go przebijają. W takich chwilach chciałoby się tylko wykrzyczeć całą swoją złość i cierpienie, tymczasem Jezus mówi: Ojcze, przebacz im. W odróżnieniu od innych męczenników, o których mówi Biblia (por. 2 Mch 7, 18-19), nie czyni On wyrzutów oprawcom ani nie grozi karą w imieniu Boga, lecz modli się za złoczyńców. Przybity do upokarzającego narzędzia stracenia, wzmaga intensywność daru, który staje się darowaniem winy.
Bracia, siostry, pomyślmy, że Bóg postępuje tak samo z nami – kiedy sprawiamy Mu ból naszymi czynami, On cierpi i ma tylko jedno pragnienie: by mógł nam przebaczyć. Aby to sobie uświadomić, spójrzmy na Ukrzyżowanego. Właśnie z Jego ran, z tych otchłani bólu, spowodowanego naszymi gwoździami, wypływa przebaczenie. Spójrzmy na Jezusa na krzyżu i pomyślmy, że nigdy nie usłyszeliśmy lepszych słów: Ojcze, przebacz. Patrzymy na Jezusa na krzyżu i widzimy, że nigdy nie zostaliśmy obdarzeni bardziej czułym i współczującym spojrzeniem. Patrzymy na Jezusa na krzyżu i uświadamiamy sobie, że nigdy nie zaznaliśmy bardziej miłującego uścisku. Spójrzmy na Ukrzyżowanego i powiedzmy: „Dziękuję Ci, Jezu – Ty mnie kochasz i zawsze mi przebaczasz, nawet wtedy, gdy mnie jest trudno kochać siebie i sobie wybaczyć”.
Tam, gdy jest krzyżowany, w najtrudniejszym momencie Jezus realizuje swoje najtrudniejsze przykazanie: miłość nieprzyjaciół. Pomyślmy o kimś, kto nas zranił, obraził, rozczarował; o kimś, kto nas rozgniewał, nie zrozumiał lub nie był dobrym przykładem. Jak wiele czasu poświęcamy na rozmyślanie o tych, którzy nas skrzywdzili! A także na patrzenie w głąb siebie i lizanie ran zadanych nam przez innych, przez życie, lub historię. Jezus uczy nas dzisiaj, abyśmy na tym się nie zatrzymywali, ale reagowali. Aby przerwać błędne koło zła i ubolewań. Abyśmy na gwoździe życia odpowiadali miłością, na ataki nienawiści – czułością przebaczenia. Ale czy my, uczniowie Jezusa, idziemy za Mistrzem, czy też za naszym nieprzejednanym instynktem? Jest to pytanie, które musimy sobie postawić: czy idziemy za Mistrzem, czy też za naszym nieprzejednanym instynktem? Jeśli chcemy sprawdzić, czy należymy do Chrystusa, przyjrzyjmy się temu, jak postępujemy wobec tych, którzy nas skrzywdzili. Pan nas prosi, abyśmy nie reagowali tak, jak by się chciało lub jak czynią wszyscy, ale tak, jak On to czyni w stosunku do nas. Prosi nas o przerwanie łańcucha: „Kocham cię, jeśli ty mnie kochasz; jestem twoim przyjacielem, jeśli ty jesteś moim przyjacielem; pomogę ci, jeśli ty mi pomożesz”. Nie – okazywanie współczucia i miłosierdzia wszystkim, ponieważ Bóg widzi w każdym swoje dziecko. Nie dzieli nas na dobrych i złych, na przyjaciół i wrogów. To my tak robimy, zadając Mu cierpienie. Dla Niego wszyscy jesteśmy umiłowanymi dziećmi, które pragnie wziąć w ramiona i którym pragnie przebaczyć. I tak jest również w tym zaproszeniu na ucztę weselną syna, kiedy Pan wysyła swoje sługi na rozstaje dróg i mówi: „Przyprowadźcie wszystkich, białych, czarnych, dobrych i złych, wszystkich, zdrowych, chorych, wszystkich...” (por. Mt 22, 9-10). Miłość Jezusa jest dla wszystkich, nie ma w tym przywilejów. Wszyscy. Przywilejem każdego z nas jest być miłowanym, jest uzyskać przebaczenie.
Ojcze, przebacz im, bo nie wiedzą, co czynią. Ewangelia podkreśla, że Jezus to „mówił” (w. 34) – nie powiedział tego raz na zawsze w chwili krzyżowania, ale spędził godziny na krzyżu z tymi słowami na ustach i w sercu. Bóg nie męczy się przebaczaniem. Musimy to zrozumieć, ale zrozumieć nie tylko umysłem, lecz i sercem: Bóg nie męczy się przebaczaniem, to my się męczymy prosząc Go o przebaczenie, ale On nigdy się nie męczy przebaczaniem. On nie wytrzymuje do pewnego momentu i potem zmienia zdanie, jak to my mamy pokusę czynić. Jezus - jak uczy Ewangelia św. Łukasza - przyszedł na świat, aby przynieść nam odpuszczenie grzechów (por. Łk 1, 77), a na koniec dał nam dokładne polecenie – abyśmy w Jego imię głosili wszystkim odpuszczenie grzechów (por. Łk 24, 47). Bracia i siostry, niech nas nie nuży Boże przebaczenie – nas, kapłanów, jego udzielanie, każdego chrześcijanina przyjmowanie go i dawanie o nim świadectwa. Niech nas nie nuży przebaczenie Boga.
Ojcze, przebacz im, bo nie wiedzą, co czynią. Zwróćmy uwagę na jeszcze jedną rzecz. Jezus nie tylko prosi o przebaczenie, lecz także podaje powód: przebacz im, bo nie wiedzą, co czynią. Ale jak to? Ci, którzy Go krzyżowali, z premedytacją zaplanowali zabicie Go, zorganizowali pojmanie Go, procesy, a teraz są na Kalwarii, aby być świadkami Jego końca. A jednak Chrystus usprawiedliwia tych brutalnych ludzi, bo nie wiedzą. Tak właśnie Jezus postępuje wobec nas - staje się naszym obrońcą. Nie staje przeciwko nam, lecz za nami, przeciwko naszemu grzechowi. Ciekawy jest argument, którego używa: bo nie wiedzą, ta ignorancja serca, jaką mamy my wszyscy grzesznicy. Kiedy człowiek stosuje przemoc, nic już nie wie o Bogu, który jest Ojcem, ani o innych ludziach, którzy są braćmi. Zapomina, po co jest na świecie, i posuwa się do popełniania absurdalnych okrucieństw. Widzimy to w szaleństwie wojny, gdzie znów krzyżuje się Chrystusa. Tak, Chrystus po raz kolejny jest przybijany do krzyża w matkach, które opłakują niesprawiedliwą śmierć swoich mężów i dzieci. Jest krzyżowany w uciekających przed bombami uchodźcach z dziećmi na rękach. Jest krzyżowany w starcach, pozostawionych samym sobie na śmierć, w ludziach młodych, pozbawionych przyszłości, w żołnierzach, posyłanych, by zabijali swoich braci. Chrystus jest w nich krzyżowany dzisiaj.
Ojcze, przebacz im, bo nie wiedzą, co czynią. Wielu słucha tych niesłychanych słów, ale tylko jeden je przyjmuje. Jest to złoczyńca, ukrzyżowany obok Jezusa. Możemy sądzić, że miłosierdzie Chrystusa wzbudziło w nim ostatnią nadzieję i skłoniło go do wypowiedzenia tych słów: „Jezu, wspomnij na mnie” (Łk 23, 42). Jakby chciał powiedzieć: „Wszyscy o mnie zapomnieli, a Ty myślisz także o tych, którzy Cię krzyżują. U Ciebie jest więc miejsce także dla mnie”. Dobry łotr przyjmuje Boga, gdy jego życie dobiega końca, i w ten sposób jego życie zaczyna się na nowo. W piekle świata widzi otwierający się raj: „Dziś będziesz ze Mną w raju” (w. 43). Oto cud przebaczenia Boga, który przemienia ostatnią prośbę człowieka skazanego na śmierć w pierwszą kanonizację w dziejach.
Bracia, siostry, w tym tygodniu przyjmijmy jako pewność, że Bóg może przebaczyć każdy grzech. Bóg przebacza wszystkie, może przebaczyć każde oddalenie, zamienić wszelki płacz w taniec (por. Ps 30, 12); pewność, że z Chrystusem zawsze jest miejsce dla każdego; że z Jezusem nigdy nie jest po wszystkim, nigdy nie jest za późno. Z Bogiem zawsze możemy powrócić do życia. Odwagi, podążajmy ku Wielkanocy z Jego przebaczeniem. Ponieważ Chrystus nieustannie wstawia się za nami u Ojca (por. Hbr 7, 25), a patrząc na nasz pełen przemocy i nasz zraniony świat, nie przestaje powtarzać – a my zrźbmy to teraz w naszym sercu, w milczeniu – powtórzmy: Ojcze, przebacz im, bo nie wiedzą, co czynią.
[00539-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
.... عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهيّ
في أحد الشعانين
الأحد 10 نيسان/أبريل 2022
ساحة القدّيس بطرس
اصطدمت عقليتان على الجلجلة. في الواقع، تعارض كلام يسوع المصلوب مع كلام صالبيه في الإنجيل. هؤلاء رددوا: ”خلّص نفسك“. وقال الرُّؤساء: "فَلْيُخَلِّصْ نَفْسَه، إِن كانَ مَسيحَ اللهِ المُختار!" (لوقا 23، 35). وكرّر الجنود وقالوا: "إِن كُنتَ مَلِكَ اليَهود فخَلِّصْ نَفْسَكَ!" (الآية 37). وأخيرًا، أَحَدُ المُجرمَينِ، الذي كان يسمعهم، كرّر أيضًا العبارة نفسها وقال: "أَلستَ المَسيح؟ فخَلِّصْ نَفْسَكَ!" (الآية 39). خلّص نفسك، واهتمّ بنفسك، وفكّر في نفسك، وليس في الآخرين. فكّر فقط في سلامتك ونجاحك ومصالحك، وفي التملك والسلطان والظهور. خلّص نفسك: إنّها لازمة البشريّة التي صلبت الرّبّ يسوع. لنفكّر في ذلك.
لكنْ، عقلية الأنا تتعارض مع عقلية الله. عبارة خلّص نفسك تعارض موقف المخلّص الذي قدّم ذاته. في إنجيل اليوم على الجلجلة، تكلّم يسوع أيضًا ثلاث مرات، مثلَ خصومه (راجع الآيات 34. 43. 46). لكنّه لم يطالِب بشيء لنفسه، في أي حال من الأحوال؛ ولا حتى دافع عن نفسه أو حاول أن يبرّر نفسه. بل صلّى إلى الآب ورحم اللص الصالح. وإحدى كلماته، على وجه الخصوص، تبيّن الاختلاف أمام عبارة خلّص نفسك، وهي: "يا أَبَتِ اغفِرْ لَهم" (الآية 34).
لنتوقّف عند هذه الكلمات. متى قالها الرّبّ يسوع؟ قالها في لحظة معينة: أثناء الصّلب، عندما كان يشعر بالمسامير تخترق معصمَيه وقدمَيه. لنحاول أن نتخيّل الألم الرهيب الذي كان يشعر به. إذاك، في حدة الألم الجسدي وفي شدة العذاب، طلب المسيح المغفرة للذين كانوا يعذبونه. في مثل هذه اللحظات نريد فقط أن نصرخ بغضب وألم. أمّا يسوع فقال: يا أبتِ اغفِرْ لَهم. على عكس الشهداء الآخرين الذين روى عنهم الكتاب المقدس (راجع 2 مكابيين 7، 18-19)، يسوع لا يوبّخ الجلادين ولا يهدّد بالعقوبات باسم الله، بل يصلّي من أجل الأشرار. عُلِّقَ على مشنقة الإذلال، فازدادَ العطاء فيه وسما، حتى صار مغفرة.
أيّها الإخوة والأخوات، لنتأمّل أنّ الله يفعل الشيء نفسه معنا أيضًا: عندما نسبِّب له الألم بأعمالنا، فإنّه يتألّم وله رغبة واحدة فقط: أن يكون قادرًا على أن يغفر لنا. لكي ندرك ذلك، لننظر إلى المصلوب. من جروحه ومن منابع الألم التي سبّبتها مساميرنا تتدفّق المغفرة. لننظر إلى يسوع على الصّليب ولنتأمّل: إنّنا لم نسمع قط كلامًا ألطف من هذا: يا أبتِ، اغفر لهم. لننظر إلى يسوع على الصّليب وسنرى أنّنا لم ننل قط نظرة أكثر حنانًا وشفقة. لننظر إلى يسوع على الصّليب وسنفهم أنّنا لم ننل قط مثل هذا الحبّ. لننظر إلى المصلوب ولنقل: ”شكرًا لك يا يسوع: أنت تحبّني وتغفر لي دائمًا، حتى عندما أجد أنا صعوبة في حبّ نفسي وفي المغفرة لنفسي“.
هناك، بينما كان يسوع مصلوبًا، في أصعب اللحظات، عاش أصعب وصاياه وهي: محبة الأعداء. لنفكّر في شخصٍ جرحنا، أو أساء إلينا، أو خيّب أملنا، وفي شخص أغضبنا أو لم يفهمنا أو لم يكن لنا مثالًا صالحًا. كم من الوقت سنتوقّف للتفكير في الذي أساء إلينا! بدل أن ننظر إلى داخل أنفسنا ونلعق جراحنا التي ألحقها بنا الآخرون والحياة والتاريخ. يسوع يعلّمنا اليوم ألّا نبقى هناك، بل أن نقاوم من جديد. أن نكسر حلقة الشر والتحسر المغلقة. وأن نقاوم مسامير الحياة بالحبّ، وآثام الكراهية بلطف المغفرة. لكن، نحن، تلاميذ يسوع، هل نتبع المعلّم أم غريزتنا المليئة بالبغض؟ إنّه سؤال يجب أن نسأله لأنفسنا: هل نتبع المعلّم أم نتبع غريزتنا المليئة بالبغض؟ إن أردنا التحقق من انتمائنا إلى المسيح، لننظر كيف نتصرّف مع الذين أساؤوا إلينا. الرّبّ يسوع يطلب منا أن نجيب ليس كما يحلو لنا أو كما يفعل الجميع، بل كما يفعل هو معنا. إنّه يطلب منا أن نكسر هذه السلسلة: ”أحبّك إن كنت تحبّني؛ أنا صديقك إن كنت صديقي؛ سأساعدك إن ساعدتني“. لا، يطلب منا الرأفة والرحمة للجميع، لأنّ الله يرى في كلّ واحد ابنًا. إنّه لا يقسّمنا إلى صالحين وطالحين، وإلى أصدقاء وأعداء. نحن الذين نفعل ذلك، ونجعله يتألّم لذلك. بالنسبة له، نحن جميعًا أبناء وهو يحبّنا، ويرغب في أن يعانقنا ويغفر لنا. وهذا هو الحال أيضًا في تلك الدعوة إلى وليمة عرس الابن، حيث أرسل ذلك السيّد عبيده إلى مفترق الطرق وقال لهم: ”أحضروا الجميع، البيض والسود، الصاحين والطالحين، الجميع، المعافى والمريض، الجميع...“ (راجع متى 22، 9-10). محبّة يسوع للجميع، ولا توجد امتيازات في هذا. للجميع. امتيازُ كلّ واحدٍ منا هو أن يُحَب ويُغفر له.
يا أَبَتِ اغفِرْ لَهم، لِأَنَّهُم لا يَعلَمونَ ما يَفعَلون. يشير الإنجيل إلى أنّ يسوع "كان يقول" (آية 34) هذا: لم يقل ذلك مرة واحدة فقط في لحظة الصّلب، بل أمضى الساعات على الصّليب مع هذه الكلمات على شفتيه وفي قلبه. الله لا يتعب من أن يغفر. علينا أن نفهم ذلك، ويجب أن نفهم ذلك ليس فقط بالعقل، بل أن نفهم ذلك بالقلب: الله لا يمَلّ من أن يغفر، نحن الذين نمَلّ من طلب المغفرة منه، لكنّه هو لا يمَلّ أبدًا من أن يغفر لنا. وصبره لا حد له، فلا يتعب ويغيّر رأيه، كما نميل نحن إلى أن نعمل. إنجيل لوقا يعلّمنا أنّ يسوع جاء إلى العالم ليغفر لنا خطايانا (راجع لوقا 1، 77) وفي النهاية أعطانا تعليمًا دقيقًا وهو: أن نعلن للجميع، باسمه، غفران الخطايا (راجع لوقا 24، 47). أيّها الإخوة والأخوات، لا نملّ من طلب مغفرة الله: نحن الكهنة، لا نمَلَّ من أن نمنح مغفرة الله، وكلّ مسيحي لا يمَلَّ من قبول المغفرة والشهادة لها.
يا أَبَتِ اغفِرْ لَهم، لِأَنَّهُم لا يَعلَمونَ ما يَفعَلون. نلاحظ أمرًا آخر. لم يطلب يسوع المغفرة فحسب، بل قال أيضًا السبب: اغفِرْ لَهم، لِأَنَّهُم لا يَعلَمونَ ما يَفعَلون. لكن كيف؟ كان صالبوه قد تعمّدوا قتله، ونظموا القبض عليه، ومحاكمته، وهم الآن على الجلجلة ليشاهدوا نهايته. ومع ذلك، برّر المسيح هؤلاء القساة لأنّهم لا يَعلَمون. هكذا يتصرّف يسوع معنا: إنّه محامينا. إنّه لا يقف ضدنا، بل يقف معنا ضد خطايانا. والحجة التي استخدمها مثيرة للاهتمام: لأنّهم لا يَعلَمون جهل القلب الذي لدينا كلّنا شيئًا منه نحن الخطأة. عندما نستخدم العنف، لا نعود نعرف أي شيء عن الله، الذي هو الآب، ولا نعود نعرف أي شيء عن الآخرين الذين هم إخوة لنا. ننسى سبب وجودنا في العالم ونرتكب أعمالًا قاسية لا يقبلها العقل. نرى ذلك في جنون الحرب حيث نعود لصلب المسيح. نعم، المسيح يُسمّر مرة أخرى على الصّليب في الأمهات اللواتي يبكين الموت الظالم لأزواجهن وأبنائهن. إنّه مصلوب في اللاجئين الفارين من القنابل والأطفال بين أذرعهم. إنّه مصلوب في المتقدّمين بالسّن الذين تُركوا وحدهم ليموتوا، وفي الشباب المحرومين من المستقبل، وفي الجنود الذين أُرسلوا لقتل إخوتهم. المسيح مصلوب اليوم هناك.
يا أَبَتِ اغفِرْ لَهم، لِأَنَّهُم لا يَعلَمونَ ما يَفعَلون. سمع الكثيرون هذه العبارة التي لم يُسمع بها من قبل. لكنَّ واحدًا فقط استقبلها. إنّه المجرم المصلوب بجانب يسوع. يمكننا أن نظن أنّ رحمة المسيح أثارت فيه الأمل الأخير ودفعته إلى أن يلفظ هذه الكلمات: "أُذكُرْني يا يسوع" (لوقا 23، 42). وكأنّه يقول: ”نسيني الجميع، لكنّك تفكر أيضًا في الذين صلبوك. معك إذن يوجد مكان لي أيضًا“. استقبل اللص الصالح الله بينما كانت حياته على وشك النهاية. وهكذا بدأت حياته من جديد. فقد رأى في جحيم العالم الفردوس يُفتَحُ له لما قال له يسوع: "سَتكونُ اليَومَ مَعي في الفِردَوس" (الآية 43). هذه هي معجزة مغفرة الله، التي تحوّل الطلب الأخير لشخص محكوم عليه بالموت إلى أوّل إعلان قداسة في التاريخ.
أيّها الإخوة والأخوات، لنستقبل في هذا الأسبوع التأكيد بأنّ الله يستطيع أن يغفر كلّ خطيئة. الله يغفر للجميع ويستطيع أن يغفر كلّ بُعد، وأن يحوّل كلّ بكاء إلى رقص (راجع مزمور 30، 12)، والتأكيد بأنّه يوجد دائمًا مكان لكلّ واحدٍ مع يسوع؛ ومع يسوع لا تنتهي ”القصة“ أبدًا، ولا يفوت الأوان أبدًا. مع الله يمكننا دائمًا العودة إلى الحياة. تشجّعوا، لنَسِرْ نحو الفصح ومغفرة الفصح. لأنّ المسيح يشفع بنا باستمرار لدى الآب (راجع عبرانيين 7، 25)، وهو ينظر إلى عالمنا العنيف وإلى عالمنا الجريح، ولا يتعب من أن يكرّر ويقول: يا أَبَتِ اغفِرْ لَهم، لِأَنَّهُم لا يَعلَمونَ ما يَفعَلون.
[00539-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0256-XX.02]