Incontro con i migranti presso il Centro Migranti “Giovanni XXIII Peace Lab” ad Hal Far
Discorso del Santo Padre
Preghiera
Questo pomeriggio, dopo essersi congedato dal personale e dai benefattori della Nunziatura Apostolica di Malta, il Santo Padre Francesco si è recato in auto al Centro per i Migranti “Giovanni XXIII Peace Lab” ad Hal Far.
Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto dal Direttore della Pastorale dei Migranti, dal Direttore e dal Fondatore francescano del Centro. Quindi insieme sono andati verso il teatro all’aperto dove lo attendevano circa 200 migranti.
Dopo il saluto di benvenuto del Fondatore del Centro, Padre Dionisio Mintoff, due ospiti hanno portato la loro testimonianza. Quindi il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, dopo l’accensione delle candele davanti all’immagine della Madonna insieme ad una famiglia di migranti, la recita della Preghiera Universale, lo scambio dei doni e la firma del Libro d’Onore, Papa Francesco ha salutato i migranti presenti soffermandosi a parlare con molti di loro.
Lasciato il Centro per Migranti “Giovanni XXIII Peace Lab”, il Papa si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale per la cerimonia di congedo da Malta.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato e la preghiera che ha recitato al termine dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Testo in lingua italiana
Cari fratelli e sorelle!
Vi saluto tutti con affetto; sono contento di concludere la mia visita a Malta stando un po’ con voi. Ringrazio Padre Dionisio per la sua accoglienza; e soprattutto sono grato a Daniel e a Siriman per le loro testimonianze: ci avete aperto il vostro cuore e la vostra vita, e nello stesso tempo vi siete fatti portavoce di tanti fratelli e sorelle, costretti a lasciare la patria per cercare un rifugio sicuro.
Come dicevo qualche mese fa a Lesbo, «sono qui per dirvi che vi sono vicino… Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi» (Discorso a Mytilene, 5 dicembre 2021). Dal giorno in cui andai a Lampedusa, non vi ho mai dimenticato. Vi porto sempre nel cuore e siete sempre presenti nelle mie preghiere.
In questo incontro con voi migranti emerge pienamente il significato del motto del mio viaggio a Malta. È una citazione degli Atti degli Apostoli che dice: «Ci trattarono con rara umanità» (28,2). Si riferisce al modo in cui i maltesi accolsero l’Apostolo Paolo e tutti quelli che insieme a lui erano naufragati nei pressi dell’Isola. Li trattarono “con rara umanità”. Non solo con umanità, ma con una umanità non comune, una premura speciale, che San Luca ha voluto immortalare nel libro degli Atti. Auguro a Malta di trattare sempre in questo modo quanti approdano alle sue coste, di essere davvero per loro un “porto sicuro”.
Quella del naufragio è un’esperienza che migliaia di uomini, donne e bambini hanno fatto in questi anni nel Mediterraneo. E purtroppo per molti di loro è stata tragica. Proprio ieri si è appresa la notizia di un salvataggio avvenuto al largo della Libia, di soli quattro migranti di un’imbarcazione che ne conteneva circa novanta. Preghiamo per questi nostri fratelli che hanno trovato la morte nel nostro Mare Mediterraneo. E preghiamo anche per essere salvati da un altro naufragio che si consuma mentre succedono questi fatti: è il naufragio della civiltà, che minaccia non solo i profughi, ma tutti noi. Come possiamo salvarci da questo naufragio che rischia di far affondare la nave della nostra civiltà? Comportandoci con umanità. Guardando le persone non come dei numeri, ma per quello che sono – come ci ha detto Siriman –, cioè dei volti, delle storie, semplicemente uomini e donne, fratelli e sorelle. E pensando che al posto di quella persona che vedo su un barcone o in mare alla televisione, o in una foto, al posto suo potrei esserci io, o mio figlio, o mia figlia… Forse anche in questo momento, mentre siamo qui, dei barconi stanno attraversando il mare da sud a nord… Preghiamo per questi fratelli e sorelle che rischiano la vita nel mare in cerca di speranza. Anche voi avete vissuto questo dramma, e siete arrivati qui.
Le vostre storie fanno pensare a quelle di migliaia e migliaia di persone che nei giorni scorsi sono state costrette a fuggire dall’Ucraina a causa di quella guerra ingiusta e selvaggia. Ma anche a quelle di tanti altri uomini e donne che, alla ricerca di un luogo sicuro, si sono visti obbligati a lasciare la propria casa e la propria terra in Asia, in Africa e nelle Americhe, penso ai Rohingya… A tutti loro vanno il mio pensiero e la mia preghiera in questo momento.
Qualche tempo fa avevo ricevuto da questo vostro Centro un’altra testimonianza: la storia di un giovane che raccontava il momento doloroso in cui aveva dovuto lasciare sua madre e la sua famiglia di origine. Questo mi aveva commosso e fatto riflettere. Ma anche tu Daniel, anche tu Siriman, e ognuno di voi ha vissuto questa esperienza di partire staccandosi dalle proprie radici. È uno strappo. Uno strappo che lascia il segno. Non solo un dolore momentaneo, emotivo. Lascia una ferita profonda nel cammino di crescita di un giovane, di una giovane. Ci vuole tempo per risanare questa ferita; ci vuole tempo e soprattutto ci vogliono esperienze ricche di umanità: incontrare persone accoglienti, che sanno ascoltare, comprendere, accompagnare; e anche stare insieme ad altri compagni di viaggio, per condividere, per portare insieme il peso… Questo aiuta a rimarginare le ferite.
Penso ai centri di accoglienza: quanto è importante che siano luoghi di umanità! Sappiamo che è difficile, ci sono tanti fattori che alimentano tensioni e rigidità. E tuttavia, in ogni continente, ci sono persone e comunità che accettano la sfida, consapevoli che la realtà delle migrazioni è un segno dei tempi dove è in gioco la civiltà. E per noi cristiani è in gioco anche la fedeltà al Vangelo di Gesù, che ha detto «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Questo non si crea in un giorno! Ci vuole tempo, ci vuole tanta pazienza, ci vuole soprattutto un amore fatto di vicinanza, di tenerezza e di compassione, come è l’amore di Dio per noi. Penso che dobbiamo dire un grande “grazie” a chi ha accettato tale sfida qui a Malta e ha dato vita a questo Centro. Lo facciamo con un applauso, tutti insieme!
Permettetemi, fratelli e sorelle, di esprimere un mio sogno. Che voi migranti, dopo aver sperimentato un’accoglienza ricca di umanità e di fraternità, possiate diventare in prima persona testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità. Qui e dove Dio vorrà, dove la Provvidenza guiderà i vostri passi. Questo è il sogno che desidero condividere con voi e che metto nelle mani di Dio. Perché ciò che è impossibile a noi non è impossibile a Lui. Ritengo molto importante che nel mondo di oggi i migranti diventino testimoni dei valori umani essenziali per una vita dignitosa e fraterna. Sono valori che voi portate dentro, che appartengono alle vostre radici. Una volta rimarginata la ferita dello strappo, dello sradicamento, voi potete far emergere questa ricchezza che portate dentro, un patrimonio di umanità preziosissimo, e metterla in comune con le comunità nelle quali siete accolti e negli ambienti dove vi inserite. Questa è la strada! La strada della fraternità e dell’amicizia sociale. Qui c’è il futuro della famiglia umana in un mondo globalizzato. Sono contento di poter condividere oggi questo sogno con voi, così come voi, nelle vostre testimonianze, condividete i vostri sogni con me!
Mi pare che qui ci sia anche la risposta alla questione che sta al centro della tua testimonianza, Siriman. Tu ci hai ricordato che chi deve lasciare il proprio Paese parte con un sogno nel cuore: il sogno della libertà e della democrazia. Questo sogno si scontra con una realtà dura, spesso pericolosa, a volte terribile, disumana. Tu hai dato voce all’appello soffocato di milioni di migranti i cui diritti fondamentali sono violati, purtroppo a volte con la complicità delle autorità competenti. E questo è così, e questo voglio dirlo così: purtroppo a volte con la complicità delle autorità competenti. E hai richiamato l’attenzione sul punto-chiave: la dignità della persona. Lo ribadisco con le tue parole: voi non siete numeri, ma persone in carne e ossa, volti, sogni a volte infranti.
Da questo si può e si deve ripartire: dalle persone e dalla loro dignità. Non lasciamoci ingannare da chi dice: “Non c’è niente da fare”, “sono problemi più grandi di noi”, “io faccio gli affari miei, e gli altri che si arrangino”. No. Non cadiamo in questa trappola. Rispondiamo alla sfida dei migranti e dei rifugiati con lo stile dell’umanità, accendiamo fuochi di fraternità, intorno ai quali le persone possano riscaldarsi, risollevarsi, riaccendere la speranza. Rafforziamo il tessuto dell’amicizia sociale e la cultura dell’incontro, partendo da luoghi come questo, che certamente non saranno perfetti, ma sono “laboratori di pace”.
E poiché questo Centro porta il nome del Papa San Giovanni XXIII, mi piace ricordare quello che egli scrisse alla fine della sua memorabile Enciclica sulla pace: «Allontani [il Signore] dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo – la pace –; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace» (Pacem in terris, 91).
Cari fratelli e sorelle, fra poco, assieme ad alcuni di voi, accenderò una candela davanti all’immagine della Madonna. Un gesto semplice, ma con un grande significato. Nella tradizione cristiana, quella piccola fiammella è simbolo della fede in Dio. Ed è anche simbolo della speranza, una speranza che Maria, nostra Madre, sostiene nei momenti più difficili. È la speranza che ho visto oggi nei vostri occhi, che ha dato senso al vostro viaggio e vi fa andare avanti. La Madonna vi aiuti a non perdere mai questa speranza! A Lei affido ciascuno di voi e le vostre famiglie, e vi porto con me nel mio cuore e nella mia preghiera. E anche voi, mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
[00489-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs,
Je vous salue tous avec affection et je suis heureux de conclure ma visite à Malte en passant un peu de temps avec vous. Je remercie le Père Dionisio pour son accueil ; et surtout je suis reconnaissant à Daniel et à Siriman pour leurs témoignages : vous nous avez ouvert votre cœur et votre vie, et en même temps vous êtes devenus les porte-parole de beaucoup de frères et sœurs qui ont été contraints de quitter leur patrie pour chercher un refuge sûr.
Comme je l'ai dit il y a quelques mois à Lesbos, « je suis ici pour vous dire que je suis proche de vous... je suis ici pour voir vos visages, pour vous regarder dans les yeux » (Discours à Mytilène, 5 décembre 2021). Depuis le jour où je suis allé à Lampedusa, je ne vous ai jamais oubliés. Je vous porte toujours dans mon cœur et vous êtes toujours présents dans mes prières.
Dans cette rencontre avec vous, qui êtes migrants, le sens de la devise de mon voyage à Malte apparaît pleinement. Il s'agit d'une citation des Actes des Apôtres qui dit : « Ils nous ont traités avec une rare humanité » (28,2). Cela fait référence à la façon dont les Maltais ont accueilli l'Apôtre Paul et tous ceux qui ont fait naufrage au large de l'île avec lui. Ils les ont traités "avec une rare humanité". Non seulement avec humanité, mais avec une humanité hors du commun, une attention particulière, que saint Luc a voulu immortaliser dans le livre des Actes. Je souhaite à Malte de traiter toujours de cette façon ceux qui débarquent sur ses côtes, d’être vraiment pour eux un “port sûr”.
Cette expérience de naufrage est une expérience que des milliers d'hommes, de femmes et d'enfants ont vécue au fil des ans en Méditerranée. Et malheureusement, pour beaucoup d'entre eux, elle a été tragique. On a appris justement hier la nouvelle du sauvetage au large de la Lybie de seulement quatre migrants d’une embarcation qui en contenait environ quatre-vingt-dix. Prions pour nos frères qui ont trouvé la mort dans notre Mer Méditerranée. Et prions aussi pour être sauvés d’un autre naufrage qui a lieu pendant que ces événements se déroulent : c'est le naufrage de la civilisation qui menace non seulement les réfugiés, mais nous tous. Comment pouvons-nous nous sauver de ce naufrage qui risque d’emporter le navire de notre civilisation ? En se comportant avec humanité. En regardant les gens non pas comme des numéros, mais pour ce qu'ils sont - comme nous l'a dit Siriman - c'est-à-dire des visages, des histoires, simplement des hommes et des femmes, des frères et des sœurs. Et en pensant qu'au lieu de cette personne que je vois sur une embarcation ou en mer, à la télévision ou sur une photo, ce pourrait être moi, mon fils, ou ma fille... Peut-être qu’en ce moment même, alors que nous sommes ici, des embarcations traversent la mer du Sud au Nord... Prions pour ces frères et sœurs qui risquent leur vie en mer en quête d’espérance. Vous aussi avez vécu ce drame, et vous êtes arrivés ici.
Vos histoires rappellent celles de nombreuses personnes qui, ces derniers jours, ont été contraintes de fuir l'Ukraine à cause de cette guerre injuste et sauvage. Mais aussi celle de nombreux autres hommes et femmes qui ont été contraints de quitter leur maison et leur terre, en Asie, en Afrique et en Amérique, en recherche d'un lieu sûr. Je pense aux Rohingyas… Mes pensées et mes prières vont à eux tous en ce moment.
Récemment j’ai reçu de votre Centre un autre témoignage : l’histoire d’un jeune qui raconte le moment douloureux où il a dû quitter sa mère et sa famille d’origine. Cela m’a touché et fait réfléchir. Mais toi aussi Daniel, toi aussi Siriman, et chacun de vous, avez vécu cette expérience de partir en se détachant de ses racines. C’est un déchirement. Un déchirement qui laisse sa marque. Pas seulement une douleur passagère, émotive. Il laisse une blessure profonde sur le chemin de croissance d’un jeune, d’une jeune. Il faut du temps pour guérir cette blessure ; il faut du temps et surtout il faut des expériences riches d’humanité : rencontrer des personnes accueillantes qui savent écouter, comprendre, accompagner ; et aussi rester avec les autres compagnons de voyage pour partager, pour porter ensemble le poids… Cela aide à la cicatrisation des blessures.
Je pense aux centres d’accueil : combien il est important qu’ils soient des lieux d’humanité ! Nous savons que c’est difficile, il y a tellement de facteurs qui alimentent les tensions et les rigidités. Et pourtant, sur tous les continents, il y a des personnes et des communautés qui relèvent le défi, conscientes que la réalité des migrations est un signe des temps où la civilisation est en jeu. Et pour nous chrétiens, il en va aussi de la fidélité à l’Évangile de Jésus qui a dit « j’étais un étranger, et vous m’avez accueilli » (Mt 25, 35). Cela ne se fait pas en un jour ! Il faut du temps, il faut beaucoup de patience, il faut surtout un amour fait de proximité, de tendresse et de compassion, comme l'est l'amour de Dieu pour nous. Je pense que nous devons dire un grand "merci" à ceux qui ont tant travaillé pour cela. Faisons-le avec des applaudissements, tous ensemble !
Permettez-moi, frères et sœurs, d’exprimer un rêve. Puissiez-vous, migrants, après avoir vécu un accueil riche d’humanité et de fraternité, devenir personnellement témoins et animateurs d’accueil et de fraternité. Ici et là où Dieu le voudra, là où la Providence guidera vos pas. C’est le rêve que je souhaite partager avec vous et que je remets entre les mains de Dieu. Car ce qui nous est impossible ne l’est pas pour lui. Je crois qu’il est très important que dans le monde d’aujourd’hui les migrants deviennent des témoins des valeurs humaines essentielles pour une vie digne et fraternelle. Ce sont des valeurs que vous portez en vous, qui appartiennent à vos racines. Une fois la blessure du déchirement, du déracinement, cicatrisée, vous pouvez faire ressortir cette richesse que vous portez en vous, patrimoine très précieux de l’humanité, et la mettre en commun avec les communautés dans lesquelles vous êtes accueillis et dans les milieux où vous vous insérez. Voilà le chemin ! Le chemin de la fraternité et de l’amitié sociale. Voilà l’avenir de la famille humaine dans un monde globalisé. Je suis heureux de pouvoir partager ce rêve avec vous aujourd’hui, tout comme vous, dans vos témoignages, partagez vos rêves avec moi !
Il me semble qu'il y a là aussi la réponse à une question qui est au cœur de ton témoignage, Siriman. Tu nous as rappelé que ceux qui doivent quitter leur pays partent avec un rêve dans le cœur : le rêve de la liberté et de la démocratie. Ce rêve se heurte à une dure réalité, souvent dangereuse, parfois terrible, inhumaine. Tu as donné une voix à l’appel étouffé de millions de migrants dont les droits fondamentaux sont violés, parfois malheureusement avec la complicité des autorités compétentes. Et cela est ainsi, et je veux le dire ainsi : parfois malheureusement avec la complicité des autorités compétentes. Et tu as attiré l'attention sur le point essentiel : la dignité de la personne. Je répète tes paroles : vous n'êtes pas des numéros, mais des personnes en chair et en os, des visages, des rêves parfois brisés.
C'est de là que nous pouvons et devons recommencer : à partir des personnes et de leur dignité. Ne nous laissons pas tromper par ceux qui disent : "il n’y a rien à faire", "ces problèmes nous dépassent", "je m'occupe de mes affaires et que les autres s’arrangent". Non. Ne tombons pas dans ce piège. Répondons au défi des migrants et des réfugiés avec le style de l'humanité, allumons des feux de fraternité, autour desquels les gens pourront se réchauffer, se relever, reprendre espérance. Renforçons le tissu de l'amitié sociale et la culture de la rencontre, en partant de lieux comme celui-ci, qui ne sont peut-être pas parfaits, mais qui sont des "laboratoires de paix".
Et puisque ce Centre porte le nom du Pape saint Jean XXIII, j'aime rappeler ce qu'il a écrit à la fin de sa mémorable encyclique sur la paix : « Que [le Seigneur] bannisse des âmes ce qui peut mettre la paix en danger, et qu'il transforme tous les hommes en témoins de vérité, de justice et d'amour fraternel. Qu'il éclaire ceux qui président aux destinées des peuples, afin que, tout en se préoccupant du légitime bien-être de leurs compatriotes, ils assurent le maintien de l'inestimable bienfait de la paix. Que le Christ, enfin, enflamme le cœur de tous les hommes et leur fasse renverser les barrières qui divisent, resserrer les liens de l'amour mutuel, user de compréhension à l'égard d'autrui et pardonner à ceux qui leur ont fait du tort. Et qu'ainsi, grâce à lui, tous les peuples de la terre forment entre eux une véritable communauté fraternelle, et que parmi eux ne cesse de fleurir et de régner la paix tant désirée » (Pacem in Terris, n. 91).
Chers frères et sœurs, dans quelques instants, avec certains d'entre vous, j'allumerai un cierge devant l'image de la Vierge. Un geste simple, mais d'une grande signification. Dans la tradition chrétienne, cette petite flamme est un symbole de la foi en Dieu. Et c'est aussi un symbole de l’espérance, une espérance que Marie, notre Mère, soutient dans les moments les plus difficiles. C'est l’espérance que j'ai vue dans vos yeux aujourd'hui, qui a donné un sens à votre voyage et vous permet de continuer. Que la Vierge vous aide à ne jamais perdre cette espérance ! C'est à elle que je confie chacun de vous et vos familles, et je vous emmène avec moi dans mon cœur et dans mes prières. Et vous aussi, s’il vous plait, n'oubliez pas de prier pour moi. Merci !
[00489-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear Brothers and Sisters,
I greet all of you with great affection, and I am very happy to end my visit to Malta by spending some time here with you. I thank Father Dionisio for his welcome. I am also very grateful to Daniel and to Siriman for their testimonies: you opened your hearts and shared your lives, and at the same time gave a voice to so many of our brothers and sisters who were constrained to leave their homelands in search of a secure refuge.
Let me repeat what I said some months ago in Lesvos: “I am here… to assure you of my closeness… I am here to see your faces and look into your eyes” (Address in Mytilene, 5 December 2021). Since the day I visited Lampedusa, I have not forgotten you. You are always in my heart and in my prayers.
This meeting with you, dear migrants, makes us think of the significance of the logo chosen for my Journey to Malta. That logo is taken from the Acts of the Apostles, which relates how the people of Malta welcomed the Apostle Paul and his companions, shipwrecked nearby. We are told that they were treated with “unusual kindness” (Acts 28:2). Not merely with kindness, but with rare humanity, a special care and concern that Saint Luke wished to immortalize in the Book of Acts. It is my hope that that is how Malta will always treat those who land on its shores, offering them a genuinely “safe harbour”.
Shipwreck is something that thousands of men, women and children have experienced in the Mediterranean in recent years. Sadly, for many of them, it ended in tragedy. Just yesterday we received news of a rescue off the coast of Libya, of only four migrants from a boat that was carrying about ninety people. Let us pray for these our brothers and sisters who died in the Mediterranean Sea. Let us also pray that we may be saved from another kind of shipwreck taking place: the shipwreck of civilization, which threatens not only migrants but us all. How can we save ourselves from this shipwreck which risks sinking the ship of our civilization? By conducting ourselves with kindness and humanity. By regarding people not merely as statistics, but, as Siriman told us, for what they really are: people, men and women, brothers and sisters, each with his or her own life story. By imagining that those same people we see on crowded boats or adrift in the sea, on our televisions or in the newspapers, could be any one of us, or our sons or daughters... Perhaps at this very moment, while we are here, there are boats heading northwards across the sea… Let us pray for these brothers and sisters of ours who risk their lives at sea in search of hope. You too experienced this ordeal and you arrived here.
Your experiences make us think too of the experiences of all those thousands and thousands of people who in these very days have been forced to flee Ukraine because of the unjust and savage war. But also the experiences of so many others in Asia, Africa and the Americas; I also think of Rohingya…. All of them are in my thoughts and prayers at this time.
Some time ago, I received from your Centre another testimony: the story of a young man who told me about the sad moment when he had to take leave of his mother and his family of origin. His story moved me and made me think. But you, Daniel, and you, Siriman, each had that same experience of having to leave by being separated from your own roots, of being uprooted. And that experience of being uprooted leaves its mark. Not just the pain and emotion of that moment, but a deep wound affecting your journey of growth as a young man or woman. It takes time to heal that wound; it takes time and most of all it takes experiences of human kindness: meeting persons who accept you and are able to listen, understand and accompany you. But also the experience of living alongside other traveling companions, sharing things with them and bearing your burdens together… This helps heal the wounds.
I think of these reception centres, and how important it is for them to be places marked by human kindness! We know how difficult that can be, since there are always things that create tensions and difficulties. Yet, on every continent, there are individuals and communities who take up the challenge, realizing that migrations are a sign of the times, where civility itself is in play. For us Christians too, in play is our fidelity to the Gospel of Jesus, who said: “I was a stranger and you welcomed me” (Mt 25:35). None of this can be accomplished in a day! It takes time, immense patience, and above all a love made up of closeness, tenderness and compassion, like God’s love for us. I think we should say a big word of thanks to all those who took up this challenge here in Malta and established this Centre. Let us do that with a round of applause, all of us together!
Allow me, brothers and sisters, to express a dream of my own: that you, who are migrants, after having received a welcome rich in human kindness and fraternity, will become in turn witnesses and agents of welcome and fraternity. Here, and wherever God wants, wherever his providence will lead you. That is the dream I want to share with you and which I place in God’s hands. For what is impossible for us is not impossible for him. I believe it is most important that in today’s world migrants become witnesses of those human values essential for a dignified and fraternal life. They are values that you hold in your hearts, values that are part of your roots. Once the pain of being uprooting has subsided, you can bring forth this interior richness, this precious patrimony of humanity, and share it with the communities that will welcome you and the environments of which you will be a part. This is the way! The way of fraternity and social friendship. Here is the future of the human family in a globalized world. I am happy to be able to share this dream with you today, just as you, in your testimonies, have shared your dreams with me!
Here, I think, is also the answer to a question at the heart of your own testimony, Siriman. You reminded us that those forced to leave their country leave with a dream in their hearts: the dream of freedom and democracy. This dream collides with a harsh reality, often dangerous, sometimes terrible and inhuman. You gave voice to the stifled plea of those millions of migrants whose fundamental rights are violated, sadly at times with the complicity of the competent authorities. That is the way it is, and I want to say it the way it is: Sadly, at times with the complicity of the competent authorities. And you drew our attention to the most important thing: the dignity of the person. I would reaffirm this in your own words: you are not statistics but flesh and blood people with faces and dreams, dreams that are sometimes dashed.
From there, from the dignity of persons, we can and must start anew. Let us not be deceived by all those who tell us that “nothing can be done”; “these problems are too big for us”; “let others fend for themselves while I go about my own business”. No. Let us never fall into this trap. Let us respond to the challenge of migrants and refugees with kindness and humanity. Let us light fires of fraternity around which people can warm themselves, rise again and rediscover hope. Let us strengthen the fabric of social friendship and the culture of encounter, starting from places such as this. They may not be perfect, but they are, truly, “laboratories of peace”.
Since this Centre bears the name of Saint John XXIII, I would like to recall the hope that Pope John expressed at the end of his famous encyclical on peace: “May [the Lord] banish from the souls of men and women whatever might endanger peace. May he transform all of us into witnesses of truth, justice and brotherly love. May he illumine with his light the minds of rulers, so that, in addition to caring for the material welfare of their peoples, they may also guarantee them the fairest gift of peace. Finally, may Christ inflame the desires of all men and women to break through the barriers which divide them, to strengthen the bonds of mutual love, to learn to understand one another, and to pardon those who have done them wrong. Through his power and inspiration may all peoples see one another as brothers and sisters, and may the peace for which they long always flourish and reign among them” (Pacem in Terris, 171).
Dear brothers and sisters, soon I will join some of you in lighting a candle before the image of Our Lady. It is a very simple yet meaningful gesture. In the Christian tradition, that little flame is a symbol of our faith in God. It is also a symbol of hope, a hope that Mary, our Mother, keeps alive even at most difficult moments. It is the hope that I have seen in your eyes today: the hope that has made your journey meaningful and the hope that keeps you pressing forward. May Our Lady help you never to lose this hope! To her, I entrust each of you and your families. I will carry you with me in my heart and in my prayers. And I ask you, please, not to forget to pray for me. Thank you!
[00489-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern!
Ich grüße euch alle sehr herzlich und freue mich, zum Abschluss meines Besuchs in Malta einige Zeit mit euch verbringen zu können. Ich danke Pater Dionisio für den Empfang; und vor allem danke ich Daniel und Siriman für ihre Zeugnisse: Ihr habt uns eure Herzen und euer Leben geöffnet und seid gleichzeitig zu Sprechern für so viele Brüder und Schwestern geworden, die gezwungen sind, ihre Heimat auf der Suche nach einem sicheren Hafen zu verlassen.
Wie ich vor einigen Monaten auf Lesbos sagte: »Ich bin hier, um euch zu sagen, dass ich euch nahe bin, […] Ich bin hier, um eure Gesichter zu sehen und euch in die Augen zu schauen« (Ansprache in Mytilene, 5. Dezember 2021). Seit dem Tag, an dem ich nach Lampedusa kam, habe ich euch nie vergessen. Ich trage euch immer in meinem Herzen und ihr seid immer in meinen Gebeten präsent.
In der Begegnung mit euch Migranten wird die Bedeutung des Mottos meiner Reise nach Malta deutlich. Es ist ein Zitat aus der Apostelgeschichte, in der es heißt: Sie »erwiesen uns ungewöhnliche Menschenfreundlichkeit« (28,2). Das bezieht sich auf die Art und Weise, wie die Malteser den Apostel Paulus und all jene, die mit ihm in der Nähe der Insel Schiffbruch erlitten hatten, willkommen hießen. Sie behandelten sie „mit ungewöhnlicher Menschenfreundlichkeit“. Nicht nur mit Menschlichkeit, sondern mit einer ungewöhnlichen Menschenfreundlichkeit, einer besonderen Fürsorge, die der heilige Lukas in der Apostelgeschichte verewigen wollte. Ich hoffe, dass Malta diejenigen, die an seinen Küsten landen, immer so behandeln wird, dass sie für sie wirklich ein „sicherer Hafen“ sind.
Tausende von Männern, Frauen und Kindern haben in den letzten Jahren im Mittelmeer Schiffbruch erlitten. Und leider war es für viele von ihnen eine tragische Erfahrung. Erst gestern wurde bekannt, dass vor der libyschen Küste nur vier Migranten von einem Boot mit etwa neunzig Personen gerettet werden konnten. Beten wir für unsere Mitmenschen, die in unserem Mittelmeer den Tod gefunden haben. Beten wir auch darum, aus einem anderen Schiffbruch gerettet zu werden, der sich gleichzeitig ereignet: Ich spreche vom Schiffbruch der Zivilisation, der nicht nur die Flüchtlinge, sondern uns alle bedroht. Wie können wir uns vor diesem Schiffbruch retten, der das Schiff unserer Zivilisation zu versenken droht? Indem wir uns menschenfreundlich verhalten. Indem wir die Menschen nicht als Zahlen betrachten, sondern als das, was sie sind – wie Siriman uns sagte -, nämlich Gesichter, Geschichten, einfach Männer und Frauen, Brüder und Schwestern. Und daran zu denken, dass an der Stelle der Person, die ich im Fernsehen oder auf einem Foto auf einem Boot oder im Meer sehe, ich sein könnte, oder mein Sohn oder meine Tochter... Vielleicht überqueren sogar in diesem Moment, während wir hier sind, Boote das Meer von Süden nach Norden... Beten wir für diese Brüder und Schwestern, die auf der Suche nach Hoffnung ihr Leben im Meer riskieren. Auch ihr habt dieses Drama erlebt, und ihr sind hierher gelangt.
Eure Geschichten erinnern an die Abertausenden von Menschen, die in den letzten Tagen gezwungen waren, wegen dieses ungerechten und barbarischen Krieges aus der Ukraine zu fliehen. Aber auch die von so vielen anderen Männern und Frauen, die auf der Suche nach einem sicheren Ort sich gezwungen sahen, ihre Heimat und ihr Land in Asien, Afrika und Amerika – ich denke auch an die Rohingya – zu verlassen. Meine Gedanken und Gebete sind in dieser Zeit bei ihnen allen.
Vor einiger Zeit erhielt ich ein weiteres Zeugnis aus eurem Zentrum: die Geschichte eines jungen Mannes, der den schmerzlichen Moment schilderte, als er seine Mutter und seine Familie verlassen musste. Das hat mich bewegt und nachdenklich gemacht. Aber auch du, Daniel, auch du, Siriman, und jeder von euch hat diese Erfahrung gemacht, aufbrechen und sich von seinen Wurzeln trennen zu müssen. Es ist ein Riss. Ein Riss, der seine Spuren hinterlässt. Nicht nur ein momentaner, emotionaler Schmerz. Er verursacht eine tiefe Wunde im Entwicklungsweg eines jungen Mannes, einer jungen Frau. Es braucht Zeit, um diese Wunde zu heilen; es braucht Zeit und vor allem braucht es Erfahrungen, die reich an Menschenfreundlichkeit sind: die Begegnung mit zur Aufnahme bereiten Menschen, die zuhören, verstehen und begleiten können; und auch das Zusammensein mit anderen Mitreisenden, um die Last zu teilen und gemeinsam zu tragen... Das hilft, die Wunden verheilen zu lassen.
Ich denke an die Aufnahmezentren: Wie wichtig ist es, dass sie Orte der Menschenfreundlichkeit sind! Wir wissen, dass es schwierig ist, denn es gibt so viele Faktoren, die zu Spannungen und Verhärtung führen. Und doch gibt es auf allen Kontinenten Menschen und Gemeinschaften, die die Herausforderung annehmen, weil sie sich bewusst sind, dass die Realität der Migration ein Zeichen der Zeit ist, in der die Zivilisation auf dem Spiel steht. Und für uns Christen steht auch unsere Treue zum Evangelium Jesu auf dem Spiel, der sagte: »Ich war fremd und ihr habt mich aufgenommen« (Mt 25,35). Das kann man nicht an einem Tag schaffen! Es braucht Zeit, es braucht viel Geduld, es braucht vor allem eine Liebe, die aus Nähe, Zärtlichkeit und Mitgefühl besteht, so wie Gottes Liebe zu uns ist. Ich denke, wir müssen denjenigen, die diese Herausforderung hier in Malta angenommen und dieses Zentrum mit Leben erfüllt haben, ein großes Dankeschön sagen. Wir tun dies mit einem Beifall, alle gemeinsam!
Erlaubt mir, Brüder und Schwestern, einen Traum von mir zu äußern. Dass ihr Migranten nach der Erfahrung einer Aufnahme, die reich an Menschenfreundlichkeit und Geschwisterlichkeit ist, selbst zu Zeugen und Förderern der Aufnahme und der Geschwisterlichkeit werden könnt. Hier und dort, wo Gott es will, wohin die Vorsehung eure Schritte lenken wird. Das ist der Traum, den ich mit euch teilen möchte und den ich in Gottes Hände lege. Denn was für uns unmöglich ist, ist für ihn nicht unmöglich. Ich halte es für sehr wichtig, dass die Migranten in der heutigen Welt zu Zeugen der menschlichen Werte werden, die für ein würdiges und geschwisterliches Leben unerlässlich sind. Es sind Werte, die ihr in euch tragt, die zu euren Wurzeln gehören. Wenn einmal die Wunde des Risses, der Entwurzelung verheilt ist, könnt ihr diesen Reichtum, den ihr in euch tragt, als kostbares Erbe der Menschlichkeit hervorholen und mit den Gemeinschaften, in denen ihr aufgenommen werdet, und den Bereichen, in die ihr euch eingliedert, teilen. Das ist der richtige Weg! Der Weg der Geschwisterlichkeit und der sozialen Freundschaft. Hier findet sich die Zukunft der menschlichen Familie in einer globalisierten Welt. Ich freue mich, dass ich diesen Traum heute mit euch teilen kann, so wie ihr in euren Zeugnissen eure Träume mit mir teilt!
Hier scheint mir auch die Antwort auf die Frage zu liegen, die im Mittelpunkt deiner Aussage steht, Siriman. Du hast uns daran erinnert, dass diejenigen, die ihr Land verlassen müssen, mit einem Traum im Herzen gehen: dem Traum von Freiheit und Demokratie. Dieser Traum prallt auf eine Wirklichkeit, die hart ist, oft gefährlich, zuweilen schrecklich und unmenschlich. Du hast dem unterdrückten Aufschrei von Millionen von Migranten eine Stimme gegeben, deren Grundrechte verletzt werden, leider manchmal mit der Komplizenschaft der zuständigen Behörden. Und das ist so, und das möchte ich auch so sagen: leider manchmal mit der Komplizenschaft der zuständigen Behörden. Und du hast die Aufmerksamkeit auf den Kernpunkt gelenkt: die Würde der Person. Ich wiederhole deine Worte: Ihr seid keine Zahlen, ihr seid Menschen aus Fleisch und Blut, Gesichter, Träume, die manchmal zerbrechen.
Hier können und müssen wir wieder ansetzen: bei den Menschen und ihrer Würde. Lassen wir uns nicht von denen täuschen, die sagen: „Da kann man nichts machen“, „Diese Probleme sind zu groß für uns“, „Ich kümmere mich nur um meine eigenen Angelegenheiten, und die anderen sollen selbst zusehen“. Nein. Wir dürfen nicht in diese Falle tappen. Lasst uns auf die Herausforderung der Migranten und Flüchtlinge im Stil der Menschenfreundlichkeit antworten, lasst uns Feuer der Geschwisterlichkeit entzünden, an denen sich die Menschen wärmen, aufrichten und neue Hoffnung schöpfen können. Lasst uns die Netze der sozialen Freundschaft und die Kultur der Begegnung stärken, ausgehend von Orten wie diesem, die zwar nicht perfekt sind, aber „Laboratorien des Friedens“ darstellen.
Und da dieses Zentrum den Namen des heiligen Papstes Johannes XXIII. trägt, möchte ich daran erinnern, was er am Ende seiner denkwürdigen Enzyklika über den Frieden schrieb: »Christus möge von den menschlichen Herzen entfernen, was immer den Frieden gefährden kann; er möge alle zu Zeugen der Wahrheit, der Gerechtigkeit und der brüderlichen Liebe machen. Er möge auch den Geist der Regierenden erleuchten, dass sie mit angemessenem Wohlstand ihren Bürgern auch das schöne Geschenk des Friedens sichern. Endlich möge Christus selbst den Willen aller Menschen entzünden, dass sie die Schranken zerbrechen, die die einen von den andern trennen; dass sie die Bande gegenseitiger Liebe festigen, einander besser verstehen; dass sie schließlich allen verzeihen, die ihnen Unrecht getan haben. So werden unter Gottes Führung und Schutz alle Völker sich brüderlich umarmen, und so wird stets in ihnen der ersehnte Friede herrschen« (Pacem in terris, 91).
Liebe Brüder und Schwestern, in wenigen Augenblicken werde ich zusammen mit einigen von euch eine Kerze vor dem Bild der Muttergottes anzünden. Eine einfache, aber bedeutungsvolle Geste. In der christlichen Tradition ist diese kleine Flamme ein Symbol für den Glauben an Gott. Und sie ist auch ein Symbol der Hoffnung, einer Hoffnung, die Maria, unsere Mutter, in den schwierigsten Momenten aufrechterhält. Es ist die Hoffnung, die ich heute in euren Augen gesehen habe, die eurer Reise einen Sinn gegeben hat und euch voranschreiten lässt. Möge die Gottesmutter euch helfen, diese Hoffnung nie zu verlieren! Ich vertraue ihr jeden von euch und eure Familien an, ich trage euch im Herzen und schließe euch in meine Gebete mit ein. Bitte vergesst auch ihr nicht, für mich zu beten. Danke!
[00489-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
Los saludo a todos con afecto. Estoy contento de concluir mi visita a Malta compartiendo un poco con ustedes. Agradezco al Padre Dionisio su acogida; y sobre todo agradezco a Daniel y a Siriman sus testimonios. Nos habéis abierto vuestros corazones y vuestras vidas, y al mismo tiempo os habéis hecho portavoces de tantos hermanos y hermanas obligados a dejar la patria para buscar un refugio seguro.
Como dije hace algunos meses en Lesbos, «estoy aquí para decirles que estoy cerca de ustedes… Estoy aquí para ver sus rostros, para mirarlos a los ojos» (Discurso en Mitilene, 5 de diciembre de 2021). Desde el día que fui a Lampedusa, nunca los he olvidado. Los llevo siempre en el corazón y están siempre presentes en mis oraciones.
En este encuentro con ustedes migrantes se manifiesta plenamente el significado del lema de mi viaje a Malta. Es una cita de los Hechos de los Apóstoles que dice: «Nos mostraron una cordialidad fuera de lo común» (28,2). Se refiere al modo como los malteses acogieron al apóstol Pablo y a todos los que habían naufragado junto con él cerca de la isla. Los trataron “con una cordialidad fuera de lo común”. No sólo con cordialidad, sino con una humanidad excepcional, con una especial atención, que san Lucas quiso inmortalizar en el libro de los Hechos. Deseo que Malta siempre trate de este modo a cuantos llegan a sus costas, que realmente sea para ellos un “puerto seguro”.
El naufragio es una experiencia que gran cantidad de hombres, mujeres y niños han vivido durante estos años en el Mediterráneo. Y lamentablemente para muchos de ellos ha sido trágica. Precisamente ayer se recibió la noticia de un rescate realizado junto a la costa de Libia, se salvaron apenas cuatro migrantes de una embarcación que transportaba alrededor de noventa. Recemos por estos hermanos nuestros que han encontrado la muerte en nuestro mar Mediterráneo. Y recemos también para ser salvados de otro naufragio que tiene lugar mientras ocurren estos hechos: es el naufragio de la civilización, que amenaza no sólo a los refugiados, sino a todos nosotros. ¿Cómo podemos salvarnos de este naufragio que amenaza con hundir la nave de nuestra civilización? Comportándonos con humanidad. Mirando a las personas no como números, sino como lo que son —como nos ha dicho Siriman—, es decir, rostros, historias, sencillamente hombres y mujeres, hermanos y hermanas. Y pensando que en el lugar de esa persona que veo en una embarcación o en el mar, a través de la televisión o de una foto, podría estar yo, o mi hijo, o mi hija. Quizá en este momento, mientras estamos aquí, algunas barcas estén atravesando el mar desde el sur hacia el norte. Recemos por estos hermanos y hermanas que arriesgan la vida en el mar, en busca de esperanza. También ustedes vivieron este drama, y llegaron aquí.
Vuestras historias evocan las de miles y miles de personas que en estos últimos días se han visto forzadas a huir de Ucrania a causa de esa guerra injusta y salvaje. Pero también las de muchos otros hombres y mujeres que, buscando un lugar seguro, se han visto obligados a dejar la propia casa y la propia tierra en Asia, en África y en las Américas, pienso a los rohinyás… A todos ellos se dirige mi pensamiento y mi oración en este momento.
Hace un tiempo recibí otro testimonio de vuestro Centro: la historia de un joven que contaba el doloroso momento en que tuvo que dejar a su madre y a su familia de origen. Esto me conmovió y me hizo reflexionar. Pero también tú, Daniel, y también tú, Siriman, y cada uno de ustedes, vivió esta experiencia de partir separándose de las propias raíces. Es un desgarro. Un desgarro que deja la marca. No sólo un dolor momentáneo, emotivo. Deja una herida profunda en el camino de crecimiento de un joven, de una joven. Se necesita tiempo para que sane esa herida; se necesita tiempo y sobre todo experiencias ricas de humanidad: encontrar personas acogedoras, que saben escuchar, comprender, acompañar; y también estar junto con otros compañeros de viaje para compartir, para llevar juntos el peso. Esto ayuda a cicatrizar las heridas.
Pienso en los centros de acogida, ¡qué importante es que sean lugares de humanidad! Sabemos que es difícil, hay muchos factores que fomentan las tensiones y la rigidez. Y, sin embargo, en cada continente hay personas y comunidades que aceptan el desafío, conscientes de que la realidad de las migraciones es un signo de los tiempos donde está en juego la civilización. Y para nosotros cristianos también está en juego la fidelidad al Evangelio de Jesús, que dijo: «Fui forastero y me recibieron» (Mt 25,35). Esto no se hace en un día. Hace falta tiempo, se requiere mucha paciencia, se necesita sobre todo un amor hecho de cercanía, ternura y compasión, como es el amor de Dios por nosotros. Pienso que debemos decir un sentido “gracias” a quienes han aceptado este reto aquí en Malta y han dado vida a este Centro. ¡Hagámoslo con un aplauso, todos juntos!
Permítanme, hermanos y hermanas, que exprese uno de mis sueños. Que ustedes migrantes, después de haber experimentado una acogida rica de humanidad y fraternidad, puedan llegar a ser en primera persona testigos y animadores de acogida y de fraternidad. Aquí y donde Dios quiera, donde la Providencia guíe vuestros pasos. Este es el sueño que deseo compartir con ustedes y que pongo en las manos de Dios. Porque lo que es imposible para nosotros no es imposible para Él. Considero muy importante que en el mundo de hoy los migrantes se conviertan en testigos de los valores humanos esenciales para una vida digna y fraterna. Son valores que ustedes llevan dentro, que pertenecen a sus raíces. Una vez que la herida del desgarro, del desarraigo, haya cicatrizado, ustedes pueden hacer emerger esta riqueza que llevan dentro, un patrimonio de humanidad muy valioso, y ponerla a disposición de la comunidad en la que han sido acogidos y en los ambientes donde se integran. ¡Este es el camino! El camino de la fraternidad y de la amistad social. Aquí está el futuro de la familia humana en un mundo globalizado. Estoy contento de poder compartir hoy este sueño con ustedes, así como ustedes, con vuestros testimonios, han compartido vuestros sueños conmigo.
Creo que aquí también está la respuesta a la cuestión central de tu testimonio, Siriman. Tú nos has recordado que los que tienen que dejar el propio país parten con un sueño en el corazón: el sueño de la libertad y de la democracia. Este sueño choca con una realidad dura, a menudo peligrosa, en ocasiones terrible, deshumana. Tú has dado voz a la súplica sofocada de millones de migrantes cuyos derechos fundamentales son violados, a veces lamentablemente con la complicidad de las autoridades competentes. Y esto es así, y quiero decirlo así: “a veces lamentablemente con la complicidad de las autoridades competentes”. Y has llamado la atención sobre el punto clave: la dignidad de la persona. Lo repito con tus propias palabras: ustedes no son números, sino personas de carne y hueso, rostros, sueños a veces rotos.
Desde aquí se puede y se debe volver a empezar: desde las personas y desde su dignidad. No nos dejemos engañar por quien dice: “No hay nada que hacer”, “son problemas más grandes que nosotros”, “yo me dedico a mis asuntos y los otros que se arreglen”. No. No caigamos en esta trampa. Respondamos al desafío de los migrantes y de los refugiados con el estilo de la humanidad, encendamos hogueras de fraternidad, en torno a las cuales las personas puedan calentarse, recuperarse y reavivar la esperanza. Reforcemos el tejido de la amistad social y la cultura del encuentro, partiendo de lugares como este, que ciertamente no serán perfectos, pero son “laboratorios de paz”.
Y dado que este Centro lleva el nombre del Papa san Juan XXIII, quiero recordar lo que él escribió al final de su memorable Encíclica sobre la paz: «Que [el Señor] borre de los hombres cuanto pueda poner en peligro esta paz y convierta a todos en testigos de la verdad, de la justicia y del amor fraterno. Que Él ilumine también con su luz la mente de los que gobiernan las naciones, para que, al mismo tiempo que les procuran una digna prosperidad, aseguren a sus compatriotas el don hermosísimo de la paz. Que, finalmente, Cristo encienda las voluntades de todos los hombres para echar por tierra las barreras que dividen a los unos de los otros, para estrechar los vínculos de la mutua caridad, para fomentar la recíproca comprensión, para perdonar, en fin, a cuantos nos hayan injuriado. De esta manera, bajo su auspicio y amparo, todos los pueblos se abracen como hermanos y florezca y reine siempre entre ellos la tan anhelada paz» (Pacem in terris, 171).
Queridos hermanos y hermanas, dentro de unos momentos, junto con algunos de ustedes, encenderé una vela ante la imagen de la Virgen. Es un gesto sencillo, pero con un gran significado. En la tradición cristiana, esa pequeña llama es símbolo de la fe en Dios. Y es también símbolo de la esperanza, una esperanza que María, nuestra Madre, sostiene en los momentos más difíciles. Es la esperanza que he visto hoy en vuestros ojos, que ha dado sentido a vuestro viaje y los hace seguir adelante. Que la Virgen los ayude a no perder nunca esta esperanza. A Ella le confío a cada uno de ustedes y a sus familias, y los llevo conmigo en mi corazón y en mi oración. Y también ustedes, por favor, no se olviden de rezar por mí. ¡Gracias!
[00489-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs!
Saúdo-vos a todos com grande estima; estou contente por concluir a minha visita a Malta demorando-me um pouco convosco. Agradeço ao Padre Dionísio o seu acolhimento; e sobretudo sinto-me grato a Daniel e a Siriman pelos seus testemunhos: abristes-nos o vosso coração e a vossa vida e, ao mesmo tempo, fizestes-vos porta-vozes de tantos irmãos e irmãs, obrigados a deixar a pátria para procurar um refúgio seguro.
Como dizia há alguns meses em Lesbos, «estou aqui para vos certificar da minha proximidade (…), para contemplar os vossos rostos, para ver-vos olhos nos olhos» (Discurso em Mytilene, 05/XII/2021). Desde o dia em que fui a Lampedusa, nunca mais vos esqueci. Sempre vos trago no coração e sempre estais presente nas minhas orações.
Neste encontro convosco, migrantes, manifesta-se plenamente o significado do lema desta minha viagem a Malta. É uma citação dos Atos dos Apóstolos, que diz: «Trataram-nos com invulgar humanidade» (28, 2). Refere-se à forma como os malteses acolheram o Apóstolo Paulo e todos aqueles que, juntamente come ele, naufragaram perto da Ilha. Trataram-nos «com invulgar humanidade». Não só com humanidade, mas com uma humanidade não comum, uma solicitude especial que São Lucas quis imortalizar no livro dos Atos. Almejo que Malta trate sempre assim aqueles que desembarcam nas suas costas, sendo verdadeiramente para eles um «porto seguro».
Nestes anos, a experiência do naufrágio foi vivida por milhares de homens, mulheres e crianças no Mediterrâneo. E, infelizmente, revelou-se trágica para muitos deles. Ainda ontem circulava a notícia do salvamento, que ocorreu na costa da Líbia, de apenas quatro migrantes dum barco que trazia cerca de noventa. Rezemos por esses nossos irmãos que encontraram a morte no nosso Mar Mediterrâneo. E rezemos também para ser salvos de outro naufrágio que se consuma ao mesmo tempo que acontecem estes factos: é o naufrágio da civilização, que ameaça não só os deslocados, mas a todos nós. Como podemos salvar-nos deste naufrágio que ameaça afundar o navio da nossa civilização? Comportando-nos com humanidade: olhar as pessoas, não como números, mas pelo que são (como nos disse Siriman), isto é, rostos, histórias, simplesmente homens e mulheres, irmãos e irmãs. E pensando que, no lugar daquela pessoa numa barcaça ou no mar que vejo na televisão ou numa fotografia, no lugar dela poderia estar eu, o meu filho ou a minha filha… Talvez mesmo neste momento, enquanto aqui nos encontramos, haja barcaças que estão a atravessar o mar de sul a norte! Rezemos por estes irmãos e irmãs que arriscam a vida no mar à procura de esperança. Também vós vivestes este drama, e chegastes aqui.
As vossas histórias fazem pensar noutras de milhares e milhares de pessoas que, nos dias passados, foram obrigadas a fugir da Ucrânia por causa daquela guerra injusta e selvagem; mas também nas histórias de muitos outros homens e mulheres que, à procura dum lugar seguro, tiveram de deixar a própria casa e nação na Ásia, na África e nas Américas... penso nos rohingas. Penso em todos eles e, por eles, ofereço neste momento a minha oração.
Há algum tempo recebi, deste vosso Centro, outro testemunho: a história dum jovem que contava o doloroso momento em que tivera de deixar a sua mãe e a sua família de origem. Aquilo comoveu-me e fez-me pensar. Mas também tu, Daniel, também tu, Siriman, e cada um de vós viveu esta experiência de partir desprendendo-se das suas raízes. É uma separação. Uma separação que deixa marcas. E não se trata dum sofrimento momentâneo, emotivo; deixa uma ferida profunda no caminho de crescimento dum jovem, duma jovem. Será preciso tempo para curar esta ferida; é preciso tempo e sobretudo são precisas experiências ricas em humanidade: encontrar pessoas acolhedoras que saibam ouvir, compreender, acompanhar; e também estar junto com outros companheiros de viagem para compartilhar, carregar o peso juntos... Isto ajuda a curar as feridas.
Penso nos centros de acolhimento… Como é importante que sejam lugares de humanidade! Sabemos que é difícil, há tantos fatores que alimentam tensões e rigidez. E todavia, em cada continente, há pessoas e comunidades que aceitam o desafio, cientes de que a realidade das migrações é um sinal dos tempos no qual está em jogo a civilização. E para nós, cristãos, está em jogo também a fidelidade ao Evangelho de Jesus, que disse: «Era forasteiro e Me recolhestes» (Mt 25, 35). Isto não se cria num dia! É preciso tempo; é precisa muita paciência e sobretudo um amor feito de proximidade, de ternura e de compaixão, como é o amor de Deus por nós. Penso que devemos dizer um grande «obrigado» a quem aceitou tal desafio aqui em Malta e deu vida a este Centro. Façamo-lo, todos juntos, com um aplauso!
Permiti-me, irmãos e irmãs, de expressar um sonho meu: que vós, migrantes, depois de ter experimentado um acolhimento rico em humanidade e fraternidade, possais tornar-vos pessoalmente testemunhas e animadores de acolhimento e fraternidade. Aqui e onde Deus quiser, onde a Providência guiar os vossos passos. Este é o sonho que desejo partilhar convosco e coloco nas mãos de Deus, porque o que é impossível para nós, não o é para Ele. Considero muito importante que, no mundo atual, os migrantes se tornem testemunhas dos valores humanos essenciais para uma vida digna e fraterna. São valores que trazeis dentro de vós mesmos, que pertencem às vossas raízes. Uma vez curada a ferida da separação, do desenraizamento, podeis fazer emergir esta riqueza que trazeis dentro de vós, um património de humanidade preciosíssimo, e colocá-la em comum com as comunidades onde sois acolhidos e nos ambientes onde vos inseris. Este é o caminho! O caminho da fraternidade e da amizade social. Aqui está o futuro da família humana, num mundo globalizado. Fico feliz em ter podido hoje partilhar este sonho convosco, assim como vós, nos vossos testemunhos, partilhastes os vossos sonhos comigo!
Parece-me estar aqui também a resposta à questão que está no centro do teu testemunho, Siriman. Lembraste-nos que, quem tem de deixar o próprio país, parte com um sonho no coração: o sonho da liberdade e da democracia. Este sonho colide com uma realidade dura, frequentemente perigosa, por vezes terrível, desumana. Tu deste voz ao apelo sufocado de milhões de migrantes cujos direitos fundamentais são violados, até às vezes, infelizmente, com a cumplicidade das autoridades competentes. Isso acontece e – quero repeti-lo – às vezes, infelizmente, com a cumplicidade das autoridades competentes. E chamaste a atenção para o ponto-chave: a dignidade da pessoa. Repito-o agora valendo-me das tuas palavras: vós não sois números, mas pessoas de carne e osso, rostos, sonhos por vezes destroçados.
Pode-se e deve-se recomeçar daqui: das pessoas e da sua dignidade. Não nos deixemos enganar por aqueles que dizem: «Não há nada a fazer», «são problemas maiores do que nós», «eu meto-me na minha vida e os outros que se arranjem». Não; não caiamos nesta armadilha. Respondamos ao desafio dos migrantes e refugiados com o estilo da humanidade, acendamos fogueiras de fraternidade à volta das quais as pessoas se possam aquecer, reanimar, reacender a esperança. Reforcemos o tecido da amizade social e a cultura do encontro, começando por lugares como este, que talvez não sejam perfeitos, mas são «laboratórios de paz».
E já que este Centro é intitulado ao Papa São João XXIII, gostaria de recordar o que ele escreveu no final da sua memorável Encíclica sobre a Paz: «Afaste [o Senhor] dos corações dos homens quanto pode pôr em perigo a paz e os transforme a todos em testemunhos da verdade, da justiça e do amor fraterno. Ilumine com a sua luz a mente dos responsáveis dos povos, para que, junto com o justo bem-estar dos próprios concidadãos, lhes garantam o belíssimo dom da paz. Inflame Cristo a vontade de todos os seres humanos para abaterem barreiras que dividem, para corroborarem os vínculos da caridade mútua, para compreenderem os outros, para perdoarem aos que lhes tiverem feito injúrias. Sob a inspiração da sua graça, tornem-se todos os povos irmãos e floresça neles e reine para sempre essa tão suspirada paz» (Pacem in terris, 171).
Queridos irmãos e irmãs, daqui a pouco juntamente com alguns de vós, acenderei uma vela diante da imagem de Nossa Senhora. Um gesto simples, mas com um grande significado. Na tradição cristã, aquela pequena chama é símbolo da fé em Deus e é também símbolo da esperança, uma esperança que Maria, nossa Mãe, sustenta nos momentos mais difíceis. É a esperança que hoje vi nos vossos olhos, que deu sentido à vossa viagem e vos fará continuar para diante. Que Nossa Senhora vos ajude a não perder jamais esta esperança! A Ela confio cada um de vós e as vossas famílias, levo-vos comigo no coração e ter-vos-ei presente na minha oração. E também vós – vo-lo recomendo – não vos esqueçais de rezar por mim. Obrigado!
[00489-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry!
Serdecznie was pozdrawiam. Cieszę się, że mogę zakończyć moją wizytę na Malcie, przebywając nieco z Wami. Dziękuję ojcu Dionizemu za przyjęcie, a przede wszystkim jestem wdzięczny Danielowi i Siriman za ich świadectwa: otworzyliście przed nami swoje serce i życie, a jednocześnie staliście się rzecznikami wielu braci i sióstr, zmuszonych do opuszczenia ojczyzny w poszukiwaniu bezpiecznego schronienia.
Jak powiedziałem kilka miesięcy temu na Lesbos: „Jestem tu po to, aby powiedzieć, że jestem blisko was... Jestem tu, aby zobaczyć wasze twarze, aby spojrzeć w wasze oczy” (Przemówienie w Mytilene, 5 grudnia 2021 r.). Od dnia, w którym udałem się na Lampedusę, nigdy o Was nie zapomniałem. Zawsze noszę was w sercu i jesteście zawsze obecni w moich modlitwach.
W tym spotkaniu z wami, migrantami w pełni ukazuje się znaczenie motta mojej podróży na Maltę. Jest to cytat z Dziejów Apostolskich, który mówi: „okazywali nam niespotykaną życzliwość” (28, 2). Nawiązuje on do sposobu, w jaki Maltańczycy przyjęli apostoła Pawła i tych wszystkich, którzy wraz z nim byli rozbitkami w pobliżu wyspy. Traktowali ich z „niespotykaną życzliwością”. Nie tylko po ludzku, ale z niezwykłym humanitaryzmem, szczególną troską, którą św. Łukasz zechciał uwiecznić w księdze Dziejów Apostolskich. Życzę Malcie, aby zawsze w ten sposób traktowała docierających do jej wybrzeży, aby była dla nich naprawdę „bezpieczną przystanią”.
Tysiące mężczyzn, kobiet i dzieci na przestrzeni minionych lat doświadczyło rozbicia statku na Morzu Śródziemnym. I niestety, dla wielu z nich było to tragedią. Właśnie wczoraj pojawiła się informacja o uratowaniu u wybrzeży Libii zaledwie czterech migrantów z łodzi, na której znajdowało się około dziewięćdziesięciu osób. Módlmy się za tych naszych braci, którzy znaleźli śmierć w naszym Morzu Śródziemnym. Módlmy się też o ocalenie z innego rodzaju katastrofy, która dokonuje się, podczas gdy zdarzają się te fakty: jest to katastrofa cywilizacji, która zagraża nie tylko uchodźcom, lecz nam wszystkim. Jak możemy się uchronić przed tą katastrofą, która grozi zatopieniem okrętu naszej cywilizacji? Postępując po ludzku. Patrząc na osoby nie jak na liczby, ale ze względu na to, czym są – jak powiedział nam Siriman – czyli twarzami, historiami, zwyczajnie mężczyznami i kobietami, braćmi i siostrami. Myśląc, że zamiast tej osoby, którą widzę na łodzi lub na morzu, w telewizji albo na zdjęciu, mógłbym być ja, mój syn lub moja córka... Być może nawet w tej chwili, gdy tu jesteśmy, przez morze z południa na północ przeprawiają się łodzie... Módlmy się za tych braci i siostry, którzy narażają swoje życie na morzu, szukając nadziei. Wy również doświadczyliście tego dramatu i przybyliście tutaj.
Wasze historie przywodzą na myśl dzieje tysięcy osób, które w minionych dniach zostały zmuszone do ucieczki z Ukrainy z powodu tej niesprawiedliwej i brutalnej wojny. Ale także wielu innych mężczyzn i kobiet, którzy w poszukiwaniu bezpiecznego miejsca zostali zmuszeni do opuszczenia swoich domów i ziemi w Azji, Afryce i obu Amerykach, myślę o grupie etnicznej Rohingja… Do nich wszystkich kieruję w tej chwili moje myśli i moją modlitwę.
Jakiś czas temu otrzymałem z waszego Centrum inne świadectwo: historię młodego człowieka, który opowiadał o bolesnym momencie, kiedy musiał opuścić swoją matkę i rodzinę, z której się wywodzi. To mnie poruszyło i skłoniło do refleksji. Ale ty też, Danielu, ty też, Siriman, i każdy z was przeżył to doświadczenie wyruszenia, odrywając się od swoich korzeni. Jest to rozdarcie. Rozdarcie, które pozostawia swój znak. Nie jest to tylko chwilowy, emocjonalny ból. Pozostawia głęboką ranę na drodze wzrostu młodego mężczyzny, młodej kobiety. Potrzeba czasu, aby uleczyć tę ranę; potrzeba czasu, a przede wszystkim doświadczeń bogatych człowieczeństwem: spotkań z gościnnymi ludźmi, którzy umieją słuchać, rozumieć, towarzyszyć. A także bycia razem z innymi współtowarzyszami podróży, dzielenia się, wspólnego dźwigania ciężaru... To pomaga zabliźnić rany.
Myślę o ośrodkach recepcyjnych: jakże to ważne, aby były miejscami człowieczeństwa! Wiemy, że jest to trudne, że jest tak wiele czynników, które podsycają napięcia i rygoryzm. A jednak na każdym kontynencie są ludzie i społeczności, które podejmują wyzwanie, świadome, że rzeczywistość migracyjna jest znakiem czasów, w których stawką jest cywilizacja. A dla nas, chrześcijan, stawką jest także wierność Ewangelii Jezusa, który powiedział: „Byłem przybyszem, a przyjęliście mnie” (Mt 25, 35). Tego nie da się stworzyć w jeden dzień! Potrzeba czasu, dużo cierpliwości, a przede wszystkim miłości, wyrażającej się w bliskości, czułości i współczucia, tak jak miłość Boga wobec nas. Myślę, że musimy powiedzieć wielkie „dziękuję” tym, którzy podjęli to wyzwanie tu, na Malcie, i stworzyli to Centrum. Uczyńmy to brawami, wszyscy razem!
Pozwólcie mi, bracia i siostry, wyrazić moje marzenie. Abyście wy, migranci, doświadczywszy przyjęcia bogatego w człowieczeństwo i braterstwo, mogli osobiście stać się świadkami i animatorami przyjęcia i braterstwa. Tutaj, i tam, gdzie Bóg zechce, gdzie Opatrzność pokieruje waszymi krokami. To jest marzenie, którym chcę się z wami podzielić i które składam w ręce Boga. Ponieważ to, co jest niemożliwe dla nas, nie jest niemożliwe dla Niego. Myślę, że to bardzo ważne, aby w dzisiejszym świecie migranci stali się świadkami wartości ludzkich niezbędnych do godnego i braterskiego życia. Są to wartości, które nosicie w sobie, które należą do waszych korzeni. Kiedyś po zabliźnieniu się rany rozdarcia, wykorzenienia, będziecie mogli wydobyć to bogactwo, które nosicie w sobie, niezwykle cenne bogactwo ludzkości, i podzielić się nim ze wspólnotami, w których jesteście przyjęci, i ze środowiskami, w które włączacie się. To jest droga! Droga braterstwa i przyjaźni społecznej. W tym tkwi przyszłość rodziny ludzkiej w zglobalizowanym świecie. Jestem zadowolony, że mogę dziś podzielić się z wami tym marzeniem, tak jak wy, w swoich świadectwach, dzielicie się swoimi marzeniami ze mną!
Wydaje mi się, że tutaj znajduje się również odpowiedź na pytanie, które leży u podstaw twojego świadectwa, Siriman. Przypomniałeś nam, że ci, którzy muszą opuścić swój kraj, wyjeżdżają z marzeniem w sercu: marzeniem o wolności i demokracji. To marzenie zderza się z twardą, często niebezpieczną, czasem straszną, nieludzką rzeczywistością. Wyraziłeś stłumione wołanie milionów migrantów, których podstawowe prawa są pogwałcane, niestety czasem przy współudziale kompetentnych władz. I tak właśnie jest, i chcę to powiedzieć tak: niestety czasami przy współudziale kompetentnych władz. I zwróciłeś uwagę na kwestię kluczową: godność osoby. Powiem to twoimi słowami: nie jesteście liczbami, lecz ludźmi z krwi i kości, twarzami, marzeniami, czasem zawiedzionymi.
Od tego właśnie możemy i musimy zacząć na nowo: od osób i ich godności. Nie dajmy się zwieść tym, którzy mówią: „Nic nie możemy zrobić”, „te problemy nas przekraczają”, „ja będę zajmował się swoimi sprawami, a inni niech sobie radzą”. Nie. Nie wpadajmy w tę pułapkę. Odpowiedzmy na wyzwanie migrantów i uchodźców stylem życzliwości, rozpalmy ogniska braterstwa, wokół których ludzie będą mogli się ogrzać, podnieść, rozpalić nadzieję. Umacniajmy tkankę przyjaźni społecznej i kulturę spotkania, zaczynając od miejsc takich jak to, które na pewno może nie są doskonałe, ale są „laboratoriami pokoju”.
A ponieważ to Centrum nosi imię papieża św. Jana XXIII, chciałbym przypomnieć to, co napisał na zakończenie swojej pamiętnej encykliki o pokoju: „Niech On sam [Bóg] usunie z serc ludzkich wszystko, co może ten pokój naruszyć, i niech uczyni wszystkich świadkami prawdy, sprawiedliwości i miłości braterskiej. Niech ponadto oświeci Swym światłem umysły przywódców narodów, aby zapewniali obywatelom – wraz z należnym im dobrobytem – także i wspanialszy dar bezpiecznego pokoju. A wreszcie niech Chrystus nakłoni wolę wszystkich ludzi do zburzenia dzielącej ich zapory, do umocnienia więzi wzajemnej miłości, do zrozumienia innych, do przebaczenia wreszcie tym, którzy wyrządzili im krzywdę. Niech pod Jego działaniem i przewodnictwem wszystkie narody połączy więź braterstwa i niech wśród nich rozkwita i panuje bezustannie tak bardzo upragniony pokój” (Enc. Pacem in terris, 171).
Drodzy bracia i siostry, za kilka chwil, wraz z niektórymi z was, zapalę świecę przed obrazem Matki Bożej. Jest to prosty gest, ale o wielkim znaczeniu. W tradycji chrześcijańskiej ten mały płomyk jest symbolem wiary w Boga. Jest on również symbolem nadziei, nadziei, którą Maryja, nasza Matka, podtrzymuje w najtrudniejszych chwilach. To właśnie nadzieja, którą dziś zobaczyłem w waszych oczach, która nadała sens waszej podróży i sprawia, że idziecie naprzód. Niech Matka Boża pomoże wam, byście nigdy nie utracili tej nadziei! Jej powierzam każdego z was i wasze rodziny, i zabieram was ze sobą w moim sercu i w mojej modlitwie. I wy również, proszę, nie zapominajcie modlić się za mnie. Dziękuję!
[00489-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى مالطا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع المهاجرين
في مركز المهاجرين يوحنا الثالث والعشرين للسّلام في هال فار (Hal Far).
الأحد 3 نيسان/أبريل 2022
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء!
أحيّيكم جميعًا تحية المحبّة. أنا سعيد أن أُنهي زيارتي إلى مالطا بتوقُّفِي معكم قليلًا. أشكّر الأب ديونيزيو (Dionisio) على استقباله. وقبل كلّ شيء، أنا شاكرٌ لدانيال وسيريمان على شهادتَيهِمَا: لقد فتحتما لنا قلبكما وحياتكما، وفي الوقت نفسه تكلّمتما باسم الإخوة والأخوات الكثيرين، الذين أُجبروا على مغادرة وطنهم بحثًا عن ملاذٍ آمن.
كما قلت قبل بضعة أشهر في لسبوس، "أنا هنا لأقول لكم إنّي قريب منكم... أنا هنا لأرى وجوهكم، ولأنظر إلى عيونكم" (كلمة في ميتيليني، 5 كانون الأوّل/ديسمبر 2021). منذ اليوم الذي ذهبت فيه إلى لامبيدوزا (Lampedusa)، لم أَنسَكم قط. بل أحملكم دائمًا في قلبي، وأنتم دائمًا حاضرون في صلاتي.
في لقائي معكم هذا أيّها المهاجرون، اتضح معنى شعار زيارتي إلى مالطا وضوحًا كاملًا. إنّه اقتباس من سفر أعمال الرّسل القائل: "وقابَلَنا الأَهلونَ بِعَطفٍ إِنْسانِيٍّ قَلَّ نَظيرُه" (28، 2). إنّه يُشير إلى الطّريقة التي استقبل بها أهل مالطا الرّسول بولس وكلّ الذين كانوا قد غرقوا معه بالقرب من الجزيرة. لقد عاملوهم "بِعَطفٍ إِنْسانِيٍّ قَلَّ نَظيرُه". ليس فقط بإنسانيّة، بل بإنسانيّة غير مألوفة، واهتمام خاصّ، أراد القدّيس لوقا أن يخلّد ذلك في سفر أعمال الرّسل. أتمنّى أن تعامل مالطا دائمًا بهذا الأسلوب الذين يَرسون على شواطئها، وأن تكون لهم حقًّا ”ملاذًا آمنًا“.
إنّ حادثة الغرق هي خبرة عاشها آلاف الرّجال والنّساء والأطفال في هذه السّنوات الأخيرة في البحر الأبيض المتوسّط. وللأسف، كانت بالنّسبة للكثيرين منهم مأساويًّة. بالأمس فقط وصلنا خبرًا عن عملية إنقاذ حدثت قبالة السواحل الليبيّة، لأربعة مهاجرين فقط من قارب كان يقل حوالي تسعين شخصًا. لنصلّ من أجل إخوتنا هؤلاء الذين ماتوا في بحرنا الأبيض المتوسط. ولنصلّ أيضًا حتى يتمّ إنقاذنا من غرق آخر يحدث أثناء وقوع هذه الأحداث وهو: غرق الحضارة الذي يهدّد لا اللاجئين فحسب، بل يهدّدنا كلّنا. كيف يمكننا أن ننقذ أنفسنا من هذا الغرق الذي يهدّد بإغراق سفينة حضارتنا؟ أن نتعامل بإنسانيّة. أن ننظر إلى الأشخاص لا على أنّهم أرقام، بل لِمَا هُم، بشر - كما قال لنا سيريمان -، أي إلى وجوههم وقصصهم، وأنّهم بكلّ بساطة رجال ونساء، وإخوة وأخوات. وأن نفكّر فنقول: ذلك الشّخص الذي رأيته على متن قارب أو في البحر على التّلفاز، أو رأيته في صورة، يمكن أن أكون أنا مكانه، أو ابني أو ابنتي... ربّما حتّى في هذه اللحظة، ونحن هنا، هناك قوارب تعبر البحر من الجنوب إلى الشّمال... لنصلِّ من أجل هؤلاء الإخوة والأخوات الذين يخاطرون بحياتهم في عرض البحر بحثًا عن الأمل. عشتم أنتم أيضًا هذه المأساة، ووصلتم إلى هنا.
تعيد قصصكم إلى الأذهان قصص الآلاف والآلاف من الأشخاص، أُجبروا في الأيام الأخيرة على الهرب من أوكرانيا بسبب تلك الحرب الظالمة والوحشيّة. وأيضًا بقصَص رجالٍ ونساءٍ كثيرين، أُجبروا على أن يتركوا بيوتهم وأرضهم في آسيا وأفريقيا والأمريكتَين، بحثًا عن مكان آمن. أفكاري وصلواتي معهم جميعًا في هذه اللحظة.
تلقيت منذ فترة شهادة أخرى من مركزكم: قصة شاب روى اللحظة المؤلمة التي اضطر فيها إلى ترك والدته وعائلته الأصليّة. أثَّر فيَّ كلامه وجعلني أفكّر. لكنّك أنتَ أيضًا دانيال، وأنتَ أيضًا سيريمان، وكلّ واحد منكم عشتم هذه الخبرة بدءًا بالانفصال عن جذوركم. إنّه ألم. ألم يترك بصمته. ليس مجرد ألم عاطفي مؤقت. إنّه يترك جرحًا عميقًا في مسيرة نمو شاب وشابة. شفاء هذا الجرح يستغرق بعض الوقت. إنّه يقتضي وقتًا طويلًا، وقبل كلّ شيء يتطلّب المرور بخبرات غنيّة بالإنسانيّة: اللقاء مع أشخاص يرحبّون بكم، يعرفون كيفية الاستماع والفهم والمرافقة؛ وأيضًا البقاء سويةً مع رفقاء السفر الآخرين، للمشاركة، وحمل الأثقال معًا... هذا يساعد على التئام الجروح.
أفكر في مراكز الاستقبال: كم هو مهم أنّ تكون هذه الأماكن مليئة بالإنسانيّة! نحن نعلَم أنّ الأمر صعب، فهناك عوامل عديدة تسبّب التّوتر والتّأزم. ومع ذلك، في كلّ قارة، هناك أشخاص وجماعات تقبل التحدي، وتدرك أنّ واقع الهجرة هو علامة على الأوقات التي تكون فيها الحضارة على المحك. وبالنسبة لنا نحن المسيحيّين، فإنّ الأمانة لإنجيل يسوع هي على المحك أيضًا، الذي قال لنا "كُنتُ غَريباً فآويتُموني" (متى 25، 35). لا يمكن عمل هذا في يومٍ واحد! بل يحتاج الأمر إلى وقت، ويحتاج إلى صبرٍ كثير، ويحتاج أوّلاً إلى محبّةٍ يصنعها القُرب والحنان والرّحمة، مثل محبّة الله لنا. أفكّر في أنّه علينا أن نقول ”شكرًا“ جزيلًا للذين قبلوا هذا التحدي هنا في مالطا وقدّموا حياتهم إلى هذا المركز. لنصفِّقْ لهم، كلّنا معًا!
اسمحوا لي، أيّها الإخوة والأخوات، أن أعبّر عن حلمي. أنتم أيّها المهاجرون، بعد أن اختبرتم هنا ترحيبًا غنيًا بالإنسانيّة والأخوّة، أحلم بأن تصبحوا شهودًا ونشطاء للترحيب والأخوّة. هنا وحيث يشاء الله، وحيث ستقود العناية الإلهيّة خطواتكم. هذا هو الحلم الذي أرغب في أن أشاركه معكم والذي أضعه بين يدي الله. لأن ما هو مستحيل بالنسبة لنا ليس مستحيلًا لدى الله. أعتقد أنّه من المهم جدًا في عالم اليوم أن يصبح المهاجرون شهودًا على القيَم الإنسانيّة الأساسيّة لحياة كريمة وأخويّة. إنّها قيَم تحملونها في داخلكم وتنتمي إلى جذوركم. بمجرد أن يلتئم جرح الألم والاقتلاع من جذوركم، يمكنكم أن تبيّنوا هذا الغنى الذي تحملونه في داخلكم، وهو تراث إنسانيّ ثمين للغاية، وتجعلوه تراثًا مشتركًا مع الجماعات التي رحَّبت بكم، وفي كلّ بيئة تعيشون فيها. هذا هو الطريق! طريق الأخوّة والصّداقة الاجتماعيّة. هنا يوجد مستقبل الأسرة البشريّة في عالم معولم. يسعدني أن أكون قادرًا على مشاركة هذا الحلم معكم اليوم، تمامًا كما شاركتموني أحلامكم من خلال شهاداتكم!
أعتقد أنّ هنا أيضًا جوابًا على مسألة تكمن في محور شهادتك، سيريمان. ذكّرتنا أنّ من يجب أن يترك بلده، ينطلق مع حلمٍ في قلبه، وهو: حلم الحريّة والديمقراطيّة. يصطدم هذا الحلم بواقع قاسٍ، وغالبًا يكون خطيرًا، وفي بعض الأحيان يكون مرعبًا، وغير إنسانيّ. أنت أعطيت صوتًا للنّداء المخنوق لملايّين المهجّرين الذين انتُهِكَت حقوقهم الأساسيّة، للأسف أحيانًا بتواطؤ من السّلطات المختصّة. وهذا هو الحال، وأريد أن أقول هذا على هذا النحو: للأسف أحيانًا بتواطؤ من السّلطات المختصّة. ولفتّ الانتباه إلى النّقطة-المفتاح، وهي: كرامة الشّخص. أؤكّده بكلماتك: أنتم لستم أرقامًا، بل أنتم أشخاص من لحمٍ ودمٍ، أنتم وجوه، وأحلام تكسّرت أحيانًا.
من هذا المنطلق يمكننا ويجب علينا أن ننطلق من جديد: أي من الأشخاص ومن كرامتهم. لا ننخدع بالذين يقولون: ”لا يمكن أن نعمل شيئًا“، ”إنّها مشاكل أكبر منّا“، ”أنا أهتمّ بأموري وليتدبّر الآخرون أمورهم“. لا. لا نقع في هذا الفخّ. لِنُجِب على تحدّي المهاجرين واللاجئين بأسلوب الإنسانيّة، ولنُشعِل نار الأخوّة، التي حولها يمكن للأشخاص أن يجدوا الدِّفْءَ وينهضوا من جديد ويشعلوا الرّجاء من جديد. لنقوِّ نسيج الصّداقة الاجتماعيّة وثقافة اللقاء، ولنبدأ من أماكن مثل هذه، وليست بالتّأكيد مثاليّة، لكنّها ”مختبرات سلام“.
وبما أنّ هذا المركز يحمل اسم البابا القدّيس يوحنّا الثّالث والعشرين، يَطيبُ لي أن أذكُرَ ما كتبه في نهاية رسالته العامّة التي لا تُنسى عن السّلام، قال: "ليقصِ [الرّبّ يسوع] من قلب البشر ما يمكن أن يضع السّلام في خطر، وليحوّلهم إلى شهود للحقيقة والعدالة والمحبّة الأخويّة. لِيُضئْ نوره على حكّام الشعوب حتّى يضمنوا، مع اهتمامهم لرفاه مواطنيهم العادل، ويدافعوا عن عطيّة السّلام الكبرى. ليُشعِل إرادة الجميع ليتغلّبوا على الحواجز التي تفرّق، ويُوطدوا روابط المحبّة المتبادلة، ويتفهّموا الآخرين، ويَصفحوا عمَّن أساؤا إليهم. وهكذا بفضل السّلام، ينشأ بين شعوب الأرض كلّها مجتمع أخوي، يسوده دومًا ويزهر فيه السّلام المُشتهى" (رسالة عـامّة، السّلام في الأرض Pacem in Terris، 91).
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، بعد قليل، ومع بعضٍ منكم، سأضيء شمعةً أمام صورة سيّدتنا مريم العذراء. إنّها لفتة بسيطة، ولكن لها معنًى عظيم. في التّقليد المسيحيّ، هذه الشّعلة الصّغيرة هي رمز للإيمان بالله. وهي أيضًا رمز للرّجاء، الرّجاء الذي تسنده مريم، أمّنا، في أصعب اللحظات. الرّجاء الذي رأيته اليوم في عيونكم، والذي أعطى معنًى لرحلتكم وجعلكم تمضون قُدُمًا. لتساعدكم سيّدتنا مريم العذراء لكي لا تفقدوا هذا الرّجاء أبدًا! أوكل إليها كلّ واحدٍ منكم، وعائلاتكم، وأحملكم معي في قلبي وفي صلاتي. وأنتم أيضًا من فضلكم لا تنسَوا أن تصلّوا من أجلي. شكرًا!
[00489-AR.02] [Testo originale: Italiano]
Preghiera
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Testo in lingua italiana
Signore Dio, creatore dell’universo,
sorgente di libertà e di pace,
di amore e di fraternità,
Tu ci hai creato a tua immagine
e hai infuso in tutti noi il tuo soffio vitale,
per farci partecipi del tuo essere in comunione.
Anche quando abbiamo infranto la tua alleanza
Tu non ci hai abbandonato in potere della morte
ma nella tua infinita misericordia
sempre ci hai chiamato a ritornare a Te
e a vivere come tuoi figli.
Infondi in noi il tuo Santo Spirito
e donaci un cuore nuovo,
capace di ascoltare il grido, spesso silenzioso,
dei nostri fratelli e sorelle che hanno perduto
il calore della casa e della patria.
Fa’ che possiamo donare loro speranza
con sguardi e gesti di umanità.
Fa’ di noi strumenti di pace
e di concreto amore fraterno.
Liberaci dalle paure e dai pregiudizi,
per fare nostre le loro sofferenze
e lottare insieme contro l’ingiustizia;
perché cresca un mondo in cui ogni persona
sia rispettata nella sua inviolabile dignità,
quella che Tu, o Padre, hai posto in noi
e il tuo Figlio ha consacrato per sempre.
Amen.
[00496-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Seigneur Dieu, créateur de l'univers
source de liberté et de paix
d'amour et de fraternité,
Tu nous as créés à ton image
et tu as insufflé en chacun de nous ton souffle de vie,
pour nous faire participer à ton être, dans la communion.
Même lorsque nous avons rompu ton alliance
Tu ne nous as pas abandonnés au pouvoir de la mort.
mais dans ton infinie miséricorde
tu nous as toujours appelés à revenir vers Toi
et à vivre comme tes enfants.
Répands en nous ton Esprit Saint
et donne-nous un cœur nouveau
capable d'écouter le cri, souvent silencieux,
de nos frères et soeurs qui ont perdu la
la chaleur de leur maison et de leur patrie.
Fais que nous puissions leur donner de l’espérance
avec des regards et des gestes d'humanité.
Fais de nous des instruments de paix
et d'amour fraternel concret.
Libère-nous des peurs et des préjugés,
afin que nous puissions faire nôtres leurs souffrances
et lutter ensemble contre l'injustice,
pour que grandisse un monde où chaque personne soit respectée dans son inviolable dignité,
celle que Tu as mise en nous, ô Père,
et que ton Fils a consacré pour toujours.
Amen.
[00496-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Lord God, Creator of the universe,
source of all freedom and peace,
love and fraternity,
you created us in your own image,
breathed in us the breath of life
and made us sharers in your own life of communion.
Even when we broke your covenant
you did not abandon us to the power of death,
but continued, in your infinite mercy,
to call us back to you,
to live as your sons and daughters.
Pour out upon us your Holy Spirit
and grant us a new heart,
sensitive to the pleas, often silent,
of our brothers and sisters who have lost
the warmth of their homes and homeland.
Grant that we may give them hope
by our welcome and our show of humanity.
Make us instruments of peace
and practical, fraternal love.
Free us from fear and prejudice;
enable us to share in their sufferings
and to combat injustice together,
for the growth of a world in which each person
is respected in his or her inviolable dignity,
the dignity that you, O Father, have granted us
and your Son has consecrated forever.
Amen.
[00496-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Gott, Herr, Schöpfer des Weltalls,
Quellgrund der Freiheit und des Friedens,
der Liebe und der Geschwisterlichkeit,
Du hast uns nach deinem Bild geschaffen
und uns allen deinen Lebenshauch eingegeben,
um uns teilhaben zu lassen an deinem Sein in Gemeinschaft.
Auch als wir deinen Bund gebrochen haben,
hast Du uns nicht der Macht des Todes überlassen,
sondern in deinem unendlichen Erbarmen
immer wieder berufen, zu Dir zurückzukehren
und als deine Kinder zu leben.
Gieße in uns den Heiligen Geist ein
und gib uns ein neues Herz,
das fähig ist, den oft leisen Schrei
unserer Brüder und Schwestern zu hören,
welche die Wärme von Haus und Heimat verloren haben.
Befähige uns, ihnen Hoffnung zu geben
mit Blicken und Gesten der Menschlichkeit.
Mache uns zu Werkzeugen des Friedens
und der konkreten Liebe unter Geschwistern.
Befreie uns von Ängsten und Vorbehalten,
um ihre Leiden zu den unseren zu machen
und gemeinsam gegen die Ungerechtigkeit zu kämpfen;
auf dass eine Welt wachse, in der jeder Mensch
in seiner unverletzlichen Würde geachtet wird;
jene Würde, die Du, Vater, in uns eingepflanzt hast
und dein Sohn auf ewig heiligt.
Amen.
[00496-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Señor Dios, creador del universo,
fuente de libertad y de paz,
de amor y de fraternidad,
Tú nos has creado a tu imagen
y has infundido en todos nosotros tu soplo vital,
para hacernos partícipes de tu ser en comunión.
Aun cuando hemos quebrantado tu alianza
Tú no nos has abandonado en poder de la muerte
sino que en tu infinita misericordia
siempre nos has llamado a volver a Ti
y a vivir como tus hijos.
Infunde en nosotros tu Santo Espíritu
y danos un corazón nuevo,
capaz de escuchar el grito, a menudo silencioso,
de nuestros hermanos y hermanas que han perdido
el calor del hogar y de la patria.
Haz que podamos infundirles esperanza
con miradas y gestos de humanidad.
Haz de nosotros instrumentos de paz
y de amor fraterno concreto.
Líbranos de los miedos y de los prejuicios,
para hacer nuestros sus sufrimientos
y luchar juntos contra la injusticia;
para que crezca un mundo en el que cada persona
sea respetada en su inviolable dignidad,
esa que Tú, oh Padre, has puesto en nosotros
y tu Hijo ha consagrado para siempre.
Amén.
[00496-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Senhor Deus, criador do universo,
fonte de liberdade e paz,
de amor e fraternidade,
Vós criastes-nos à vossa imagem
e infundistes em todos nós o vosso sopro vital,
para nos fazer participantes do vosso ser em comunhão.
Mesmo quando quebramos a vossa aliança
Vós não nos abandonastes ao poder da morte
mas, na vossa misericórdia infinita,
sempre nos chamastes para regressar a Vós
e viver como vossos filhos.
Infundi em nós o vosso Santo Espírito
e dai-nos um coração novo,
capaz de escutar o clamor, muitas vezes silencioso,
dos nossos irmãos e irmãs que perderam
o calor do lar e da pátria.
Fazei que possamos dar-lhes esperança
com olhares e gestos de humanidade.
Fazei de nós instrumentos de paz
e de amor fraterno concreto.
Livrai-nos dos medos e preconceitos,
para assumirmos como nossos os seus sofrimentos
e lutar juntos contra a injustiça;
para que cresça um mundo onde cada pessoa
seja respeitada na sua dignidade inviolável
aquela que Vós, Pai, colocastes em nós
e o vosso Filho consagrou para sempre.
Amen.
[00489-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Panie Boże, Stwórco wszechświata,
źródło wolności i pokoju,
miłości i braterstwa,
Ty stworzyłeś nas na Twój obraz
i napełniłeś nas wszystkich Twym życiodajnym tchnieniem abyśmy się stali uczestnikami Twej boskiej komunii.
Nawet, gdy złamaliśmy Twoje przymierze,
Ty, nie pozostawiłeś nas w mocy śmierci,
lecz w Twoim nieskończonym miłosierdziu
zawsze wzywałeś nas, byśmy wrócili do Ciebie
i żyli jako Twoje dzieci.
Wlej w nas Twego Ducha Świętego
i daj nam nowe serce,
zdolne do wysłuchania, często milczącego krzyku
naszych braci i sióstr, którzy utracili
ciepło domu i ojczyzny.
Spraw, abyśmy mogli dawać im nadzieję
poprzez ludzkie spojrzenia i gesty.
Uczyń nas narzędziami pokoju
i konkretnej miłości braterskiej.
Uwolnij nas od lęków i uprzedzeń,
aby ich cierpienia uczynić naszymi
i wspólnie walczyć z niesprawiedliwością;
aby rozwijał się świat, w którym każda osoba
jest szanowana w swojej nienaruszalnej godności,
tej, którą Ty, Ojcze, w nas złożyłeś,
a Twój Syn uświęcił na zawsze.
Amen.
[00496-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى مالطا
صلاة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع المهاجرين
في مركز المهاجرين يوحنا الثالث والعشرين للسّلام في هال فار (Hal Far)
يوم الأحد 3 نيسان/أبريل 2022
يا ربّ، يا خالق الكون،
وينبوع الحرّيّة والسّلام،
والمحبّة والأخوّة،
أنت خلقتنا على صورتك
وأفضت فينا جميعًا روحك المحيي،
لتجعلنا مشاركين في وجودك في الشّركة والوَحدة.
وعندما نقضنا عهدك
لم تتركنا في قبضة الموت
بل دعوتنا دائمًا
برحمتك اللامتناهية لنعود إليك
ونعيش مثل أبنائك.
أفِض فينا روحك القدوس
وأعطنا قلبًا جديدًا،
قادرًا على أن يسمع الصراخ الصامت غالبًا،
صراخ إخوتنا وأخواتنا الذين فقدوا
دفء البيت والوطن.
اجعلنا قادرين على أن نمنحهم الأمل
بنظرات إنسانيّة وأعمال إنسانيّة.
اجعلنا أدوات سلام
ومحبة أخويّة عمليّة.
حرّرنا من المخاوف والأحكام المسبقة،
لنجعل آلامهم آلامنا
ونصارع الظلم معًا،
حتى ينشأ عالمٌ يُحترَم فيه كلّ إنسان
في كرامته التي لا يجوز الاعتداء عليها،
الكرامة التي منحتنا إياها أنت، أيّها الآب،
وقدّسها ابنك إلى الأبد.
آمين.
[00496-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0240-XX.02]