Incontro di preghiera presso il Santuario Nazionale di “Ta’ Pinu” a Gozo
Omelia del Santo Padre
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Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Nel pomeriggio il Santo Padre Francesco ha lasciato la Nunziatura Apostolica di Malta e si è trasferito in auto al Porto Grande de La Valletta dove si è imbarcato su un catamarano per raggiungere il Porto di Mgarr, Gozo.
Al Suo arrivo si è recato in auto al Santuario Nazionale di Ta’ Pinu per l’incontro di preghiera. Prima di arrivare al Santuario, il Papa è sceso dall’auto e ha proseguito a bordo della papamobile.
Alle ore 17.30 Papa Francesco è arrivato al Santuario nel cui piazzale erano riuniti circa 3.000 fedeli. Prima di recarsi nella Cappella del Santuario insieme al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Em.mo Card. Mario Grech, all’Arcivescovo Metropolita di Malta, S.E. Mons. Charles J. Scicluna, e al Vescovo di Gozo, S.E. Mons. Anthony Teuma, il Santo Padre è stato accolto dal Rettore del Santuario che gli ha porto la croce.
Dopo aver deposto una rosa d’oro davanti al quadro della Vergine e dopo la recita delle tre Ave Maria, il Papa si è diretto all’altare centrale e ha salutato e benedetto gli ammalati presenti all’interno del Santuario. Quindi ha raggiunto il Sagrato. Dopo il canto d’inizio e il saluto introduttivo del Vescovo di Gozo, S.E. Mons. Anthony Teuma, hanno avuto luogo quattro testimonianze. Dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’Omelia.
Al termine, dopo la benedizione finale e la consegna del dono al Santo Padre, Papa Francesco si è trasferito in auto al Porto di Mgarr, Gozo da dove – a bordo di traghetto – si è imbarcato diretto al Porto di Cirkewwa da cui ha fatto rientro successivamente in auto alla Nunziatura Apostolica di Malta.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro di preghiera al Santuario Nazionale di Ta’ Pinu:
Omelia del Santo Padre
Presso la croce di Gesù ci sono Maria e Giovanni. La Madre che ha dato alla luce il Figlio di Dio è addolorata per la sua morte mentre le tenebre avvolgono il mondo; il discepolo amato, che aveva lasciato tutto per seguirlo, ora è fermo ai piedi del Maestro crocifisso. Tutto sembra perduto, tutto sembra finito per sempre. E mentre prende su di sé le piaghe dell’umanità, Gesù prega: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46; Mc 15,34). Questa è anche la nostra preghiera nei momenti della vita segnati dalla sofferenza; è la preghiera che ogni giorno sale a Dio dal vostro cuore, Sandi e Domenico: grazie per la perseveranza del vostro amore, grazie per la vostra testimonianza di fede!
Eppure, l’ora di Gesù – che nel Vangelo di Giovanni è l’ora della morte sulla croce – non rappresenta la conclusione della storia, ma segna l’inizio di una vita nuova. Presso la croce, infatti, contempliamo l’amore misericordioso di Cristo, che spalanca le braccia verso di noi e, attraverso la sua morte, ci apre alla gioia della vita eterna. Dall’ora della fine si dischiude una vita che comincia; da quell’ora della morte inizia un’altra ora piena di vita: è il tempo della Chiesa che nasce. Da quella cellula originaria il Signore radunerà un popolo, che continuerà ad attraversare le strade impervie della storia, portando nel cuore la consolazione dello Spirito, con la quale asciugare le lacrime dell’umanità.
Fratelli e sorelle, da questo Santuario di Ta’ Pinu possiamo meditare insieme sul nuovo inizio che sgorga dall’ora di Gesù. Anche in questo luogo, prima dello splendido edificio che vediamo oggi, c’era solo una piccola cappella in stato di abbandono. Ne era stata disposta la demolizione: sembrava la fine. Ma una serie di eventi cambiarono il corso delle cose, come se il Signore volesse dire a questa popolazione: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata» (Is 62,4). Quella chiesetta è diventata il Santuario nazionale, meta di pellegrini e sorgente di vita nuova. Ce lo hai ricordato tu, Jennifer: qui molti affidano alla Madonna le loro sofferenze e le loro gioie, e tutti si sentono accolti. Qui venne pellegrino anche San Giovanni Paolo II, del quale oggi ricorre l’anniversario della morte. Un posto che sembrava perduto, ora rigenera fede e speranza nel Popolo di Dio.
Alla luce di questo, proviamo a cogliere anche per noi l’invito dell’ora di Gesù, di quell’ora della salvezza. Ci dice che, per rinnovare la nostra fede e la missione della comunità, siamo chiamati a ritornare a quell’inizio, alla Chiesa nascente che vediamo presso la croce in Maria e Giovanni. Ma che cosa significa ritornare a quell’inizio? Che cosa significa tornare alle origini?
Anzitutto, si tratta di riscoprire l’essenziale della fede. Tornare alla Chiesa delle origini non significa guardare all’indietro per copiare il modello ecclesiale della prima comunità cristiana. Non possiamo “saltare la storia”, come se il Signore non avesse parlato e operato grandi cose anche nella vita della Chiesa dei secoli successivi. Non significa nemmeno essere troppo idealisti, immaginando che in quella comunità non ci fossero difficoltà; al contrario, leggiamo che i discepoli discutono e arrivano persino a litigare tra di loro, e che non sempre comprendono gli insegnamenti del Signore. Piuttosto, tornare alle origini significa recuperare lo spirito della prima comunità cristiana, cioè ritornare al cuore e riscoprire il centro della fede: la relazione con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo al mondo intero. E questo è l’essenziale! Questa è la gioia della Chiesa: evangelizzare.
Vediamo infatti che, dopo l’ora della morte di Gesù, i primi discepoli, come Maria Maddalena e Giovanni, avendo visto la tomba vuota, senza perdere tempo, con il cuore trepidante, corrono per andare ad annunciare la buona notizia della Risurrezione. Il pianto di dolore presso la croce si trasforma nella gioia dell’annuncio. E penso anche agli Apostoli, di cui è scritto: «Ogni giorno, nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo» (At 5,42). La principale preoccupazione dei discepoli di Gesù non era il prestigio della comunità e dei suoi ministri, non era l’influenza sociale, non era la ricercatezza del culto. No. L’inquietudine che li muoveva era l’annuncio e la testimonianza del Vangelo di Cristo (cfr Rm 1,1), perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.
Fratelli e sorelle, la Chiesa maltese vanta una storia preziosa da cui attingere tante ricchezze spirituali e pastorali. Tuttavia, la vita della Chiesa – ricordiamocelo sempre – non è mai solo “una storia passata da ricordare”, ma un “grande futuro da costruire”, docile ai progetti di Dio. Non può bastarci una fede fatta di usanze tramandate, di solenni celebrazioni, belle occasioni popolari, momenti forti ed emozionanti; abbiamo bisogno di una fede che si fonda e si rinnova nell’incontro personale con Cristo, nell’ascolto quotidiano della sua Parola, nella partecipazione attiva alla vita della Chiesa, nell’anima della pietà popolare.
La crisi della fede, l’apatia della pratica credente soprattutto nel dopo-pandemia e l’indifferenza di tanti giovani rispetto alla presenza di Dio non sono questioni che dobbiamo “addolcire”, pensando che tutto sommato un certo spirito religioso resista ancora, no. A volte, infatti, l’impalcatura può essere religiosa, ma dietro a quel vestito la fede invecchia. L’elegante guardaroba degli abiti religiosi, infatti, non sempre corrisponde a una fede vivace animata dal dinamismo dell’evangelizzazione. Occorre vigilare perché le pratiche religiose non si riducano alla ripetizione di un repertorio del passato, ma esprimano una fede viva, aperta, che diffonda la gioia del Vangelo, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.
So che avete iniziato, attraverso il Sinodo, un processo di rinnovamento: vi ringrazio per questo cammino. Fratelli, sorelle, questa è l’ora in cui tornare a quell’inizio, sotto la croce, guardando alla prima comunità cristiana. Per essere una Chiesa a cui stanno a cuore l’amicizia con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo, non la ricerca di spazi e attenzioni; una Chiesa che ha al centro la testimonianza e non qualche usanza religiosa; una Chiesa che desidera andare incontro a tutti con la lampada accesa del Vangelo e non essere un circolo chiuso. Non abbiate paura di intraprendere, come già fate, percorsi nuovi, magari anche rischiosi, di evangelizzazione e di annuncio, che toccano la vita, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.
Guardiamo ancora alle origini, a Maria e Giovanni sotto la croce. Alle sorgenti della Chiesa c’è il loro reciproco gesto di affidamento. Il Signore, infatti, affida ciascuno alle cure dell’altro: Giovanni a Maria e Maria a Giovanni, così che «da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,27). Ritornare all’inizio significa anche sviluppare l’arte dell’accoglienza. Tra le ultime parole di Gesù dalla croce, quelle rivolte alla Madre e a Giovanni esortano a fare dell’accoglienza lo stile perenne del discepolato. Non si trattò, infatti, di un semplice gesto di pietà, per cui Gesù affidò la mamma a Giovanni perché non rimanesse da sola dopo la sua morte, ma di un’indicazione concreta su come vivere il comandamento sommo, quello dell’amore. Il culto a Dio passa per la vicinanza al fratello.
E quanto è importante nella Chiesa l’amore tra i fratelli e l’accoglienza del prossimo! Il Signore ce lo ricorda nell’ora della croce, nella reciproca accoglienza di Maria e Giovanni, esortando la comunità cristiana di ogni tempo a non smarrire questa priorità. «Ecco tuo figlio», «ecco tua madre» (vv. 26.27); è come dire: siete salvati dallo stesso sangue, siete un’unica famiglia, dunque accoglietevi a vicenda, amatevi gli uni gli altri, curate le ferite gli uni degli altri. Senza sospetti, senza divisioni, dicerie, chiacchiere e diffidenze. Fratelli e sorelle, fate “sinodo”, cioè “camminate insieme”. Perché Dio è presente dove regna l’amore!
Carissimi, l’accoglienza reciproca, non per pura formalità ma in nome di Cristo, è una sfida permanente. Lo è anzitutto per le nostre relazioni ecclesiali, perché la nostra missione porta frutto se lavoriamo nell’amicizia e nella comunione fraterna. Siete due belle comunità, Malta e Gozo, Gozo e Malta – non so quale sia la più importante o quale la prima! –, proprio come due erano Maria e Giovanni! Le parole di Gesù sulla croce siano allora la vostra stella polare, per accogliervi a vicenda, creare familiarità, lavorare in comunione! E sempre andando avanti nell’evangelizzazione, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.
Ma l’accoglienza è anche la cartina di tornasole per verificare quanto effettivamente la Chiesa è permeata dallo spirito del Vangelo. Maria e Giovanni si accolgono non nel caldo rifugio del cenacolo, ma presso la croce, in quel luogo oscuro in cui si veniva condannati e crocifissi come malfattori. E anche noi, non possiamo accoglierci solo tra di noi, all’ombra delle nostre belle Chiese, mentre fuori tanti fratelli e sorelle soffrono e sono crocifissi dal dolore, dalla miseria, dalla povertà, e dalla violenza. Vi trovate in una posizione geografica cruciale, che si affaccia sul Mediterraneo come polo di attrazione e approdo di salvezza per tante persone sballottate dalle tempeste della vita che, per motivi diversi, arrivano sulle vostre sponde. Nel volto di questi poveri è Cristo stesso che si presenta a voi. Questa è stata l’esperienza dell’Apostolo Paolo che, dopo un terribile naufragio, fu calorosamente accolto dai vostri antenati. Gli Atti degli Apostoli affermano: «Gli abitanti ci accolsero tutti attorno a un fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e faceva freddo» (At 28,2).
Ecco il Vangelo che siamo chiamati a vivere: accogliere, essere esperti di umanità, accendere fuochi di tenerezza quando il freddo della vita incombe su coloro che soffrono. E anche in questo caso da un’esperienza drammatica nacque qualcosa di importante, perché Paolo annunciò e diffuse il Vangelo e, in seguito, tanti annunciatori, predicatori, sacerdoti e missionari seguirono le sue orme, spinti dallo Spirito Santo, per evangelizzare, per portare avanti la gioia della Chiesa che è evangelizzare. Vorrei dire un grazie speciale a loro, a questi evangelizzatori, ai numerosi missionari maltesi che diffondono nel mondo intero la gioia del Vangelo, ai tanti sacerdoti, alle religiose e ai religiosi e a tutti voi. Come ha detto il vostro vescovo, Mons. Teuma, siete un’isola piccola, ma dal cuore grande. Siete un tesoro nella Chiesa e per la Chiesa. Lo dico un’altra volta: siete un tesoro nella Chiesa e per la Chiesa. Per custodirlo, bisogna tornare all’essenza del cristianesimo: all’amore di Dio, motore della nostra gioia, che ci fa uscire e percorrere le strade del mondo; e all’accoglienza del prossimo, che è la nostra testimonianza più semplice e bella nel mondo, e così andare avanti percorrendo le strade del mondo, perché la gioia della Chiesa è evangelizzare.
Il Signore vi accompagni su questa via e la Vergine Santa vi guidi. Lei, che chiese di pregare tre “Ave Maria” per ricordarci del suo cuore materno, riaccenda in noi suoi figli il fuoco della missione e il desiderio di prenderci cura gli uni degli altri. La Madonna vi custodisca e vi accompagni nell’evangelizzazione.
[00485-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Près de la croix de Jésus se trouvent Marie et Jean. La Mère qui donné le jour le Fils de Dieu pleure sa mort alors que les ténèbres enveloppent le monde. Le disciple bien-aimé, qui avait tout quitté pour le suivre, est maintenant aux pieds du Maître crucifié. Tout semble perdu, tout semble fini pour toujours. Et alors qu'il prend sur lui les plaies de l'humanité, Jésus prie : «Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m'as-tu abandonné ?» (Mt 27, 46 ; Mc 15, 34). Cette prière est aussi la nôtre dans les moments de la vie marqués par la souffrance. C'est la prière qui, chaque jour, monte de vos cœurs vers Dieu, Sandi et Domenico : merci pour la persévérance de votre amour et merci pour votre témoignage de foi !
Et pourtant, l'heure de Jésus - qui, dans l'Évangile de Jean, est l'heure de sa mort sur la Croix - n'est pas la fin de l'histoire, mais elle marque le début d'une vie nouvelle. Car sur la croix, nous contemplons l'amour miséricordieux du Christ qui nous ouvre grand les bras et, par sa mort, nous ouvre à la joie de la vie éternelle. À l’heure dernière, une vie s’entrouvre. En cette heure de la mort, une autre heure apparait, pleine de vie : c'est le temps de l'Église qui naît. À partir de cette cellule originelle, le Seigneur rassemblera un peuple qui continuera à parcourir les chemins accidentés de l'histoire, portant dans son cœur la consolation de l'Esprit avec laquelle il essuiera les larmes de l'humanité.
Frères et sœurs, en ce sanctuaire de Ta' Pinu, nous pouvons méditer sur le nouveau départ qui jaillit de l'heure de Jésus. Avant le splendide édifice que nous voyons aujourd'hui, il n'y avait en ce lieu qu'une petite chapelle abandonnée. La démolition en avait été ordonnée : tout semblait fini. Mais une série d'événements a changé le cours des choses, comme si le Seigneur voulait dire à cette population : «On ne te dira plus : “Délaissée !” À ton pays, nul ne dira : “Désolation !“ Toi, tu seras appelée “Ma Préférence“, cette terre se nommera “L’Épousée“.» (Is 62, 4). Cette petite église est devenue le sanctuaire national, une destination pour les pèlerins et une source de vie nouvelle. Tu nous l'as rappelé, Jennifer : beaucoup de gens confient ici leurs souffrances et leurs joies à la Vierge, et tous se sentent accueillis. Saint Jean-Paul II dont c’est aujourd’hui l’anniversaire de la mort, est venu ici en pèlerin. Un lieu qui semblait perdu et qui régénère aujourd'hui la foi et l'espérance du peuple de Dieu.
À cette lumière, essayons de saisir aussi pour nous l'invitation de l'heure de Jésus, de cette heure du salut. Il nous dit que, pour renouveler notre foi et la mission de la communauté, nous sommes appelés à retourner à ce commencement, à l'Église naissante que nous voyons près de la croix en Marie et Jean. Mais que signifie retourner à ce commencement ? Que signifie le retour aux origines ?
Tout d'abord, il s'agit de redécouvrir l'essentiel de la foi. Revenir à l'Église des origines ne signifie pas regarder en arrière pour copier le modèle ecclésial de la première communauté chrétienne. Nous ne pouvons pas "enjamber l'histoire", comme si le Seigneur n'avait pas également parlé et accompli de grandes choses dans la vie de l'Église au cours des siècles successifs. Il ne s'agit pas non plus d'être trop idéaliste, en imaginant qu'il n'y avait pas de difficultés dans cette communauté. Au contraire, nous lisons que les disciples discutaient et en arrivaient même à se quereller; et qu'ils ne comprenaient pas toujours les enseignements du Seigneur. Revenir aux origines signifie plutôt retrouver l'esprit de la première communauté chrétienne, c'est-à-dire revenir au cœur et redécouvrir le centre de la foi : la relation avec Jésus et l'annonce de son Évangile au monde entier. Voilà l'essentiel ! Voilà la joie de l’Eglise: évangéliser.
Nous voyons, en effet, qu'après l'heure de la mort de Jésus, les premiers disciples, comme Marie-Madeleine et Jean, à la vue du tombeau vide, courent, sans perdre de temps, le cœur inquiet, pour annoncer la bonne nouvelle de la Résurrection. Le cri de douleur de la croix se transforme en joie de l'annonce. Et je pense aussi aux Apôtres dont il est écrit : «Tous les jours, au Temple et dans leurs maisons, sans cesse, ils enseignaient et annonçaient la Bonne Nouvelle : le Christ, c’est Jésus» (Ac 5, 42). La principale préoccupation des disciples de Jésus n'était pas le prestige de la communauté et de ses ministres, ce n’était pas l'influence sociale, ce n’était pas le raffinement du culte. Non. La préoccupation qui les animait était la proclamation et le témoignage de l'Évangile du Christ (cf. Rm 1, 1), car la joie de l’Eglise c’est évangéliser.
Frères et sœurs, l'Église maltaise peut se prévaloir d’une histoire précieuse dans laquelle elle peut puiser de nombreuses richesses spirituelles et pastorales. Cependant, la vie de l'Église - rappelons-le toujours - n'est jamais seulement "une histoire passée à se rappeler", mais un "vaste avenir à construire", dociles aux projets de Dieu. Il ne suffit pas d'avoir une foi faite de coutumes transmises, de célébrations solennelles, de belles festivités populaires, de moments forts et émouvants ; nous avons besoin d'une foi qui se fonde et se renouvelle dans la rencontre personnelle avec le Christ, dans l'écoute quotidienne de sa Parole, dans la participation active à la vie de l'Église, dans l'âme de la piété populaire.
La crise de la foi, l'apathie de la pratique religieuse, surtout dans la période post-pandémique, et l'indifférence de tant de jeunes à la présence de Dieu, ne sont pas des questions que nous devons "édulcorer" en pensant que, somme toute, un certain esprit religieux résiste encore. Parfois, en effet, l'échafaudage peut être religieux, mais derrière ce vêtement, la foi vieillit. L'élégante garde-robe des ornements religieux, en effet, ne correspond pas toujours à une foi vivante animée par le dynamisme de l'évangélisation. Il faut veiller à ce que les pratiques religieuses ne se réduisent pas à la répétition d'un répertoire du passé, mais expriment une foi vivante, ouverte, répandant la joie de l'Évangile, car la joie de l’Eglise c’est évangéliser.
Je sais qu'à travers le Synode, vous avez entamé un processus de renouvellement, et je vous remercie pour ce cheminement. Frères et sœurs, l’heure est venue de revenir à ce commencement, sous la croix, en regardant vers la première communauté chrétienne. Être une Église qui a au cœur l'amitié avec Jésus et l'annonce de son Évangile, et non pas la recherche d'espaces et d'attentions; une Église qui met au centre le témoignage et non pas quelque tradition religieuse ; une Église qui veut aller à la rencontre de tous avec la lampe allumée de l'Évangile et non pas constituer un cercle fermé. N'ayez pas peur de vous engager, comme vous le faites déjà, sur des chemins nouveaux, voire risqués, d'évangélisation et d'annonce qui touchent à la vie, car la joie de l’Eglise c’est évangéliser.
Regardons à nouveau vers les origines, vers Marie et Jean au pied de la croix. Aux sources de l'Église, il y a leur acte mutuel de confiance. Le Seigneur, en effet, confie chacun aux soins de l'autre : Jean à Marie et Marie à Jean, de sorte que «à partir de cette heure-là, le disciple la prit chez lui» (Jn 19, 27). Revenir au commencement, c'est aussi développer l'art de l'accueil. Parmi les dernières paroles de Jésus sur la croix, celles adressées à sa Mère et à Jean nous exhortent à faire de l'accueil le style pérenne de la vie de disciple. Il ne s'agit pas, en effet, d'un simple geste de piété filiale, par lequel Jésus confierait sa mère à Jean pour qu'elle ne soit pas seule après sa mort, mais d'une indication concrète de la manière de vivre le commandement suprême, celui de l'amour. Le culte rendu à Dieu passe par la proximité au frère.
Et combien sont importants dans l'Église l’amour entre frères et l’accueil du prochain ! Le Seigneur nous le rappelle à l'heure de la croix, dans l'accueil mutuel de Marie et de Jean, exhortant la communauté chrétienne de tous les temps à ne pas perdre cette priorité : «Voici ton fils», «Voici ta mère» (vv. 26.27). C'est comme dire : vous êtes sauvés par le même sang, vous êtes une seule famille, alors accueillez-vous les uns les autres, aimez-vous les uns les autres, soignez les blessures les uns des autres. Sans soupçons, sans divisions, rumeurs, ragots ni méfiances. Frères et sœurs, faites "synode", c'est-à-dire "marchez ensemble". Car Dieu est présent là où règne l'amour !
Chers amis, l'accueil réciproque, non pas comme une simple formalité mais au nom du Christ, est un défi permanent. C'est avant tout un défi pour nos relations ecclésiales, car notre mission porte du fruit si nous travaillons dans l'amitié et la communion fraternelle. Vous êtes deux belles communautés, Malte et Gozo, Gozo et Malte – je ne sais pas laquelle est la plus importante ou laquelle est la première - , comme Marie et Jean étaient deux ! Que les paroles de Jésus sur la croix soient votre étoile polaire, pour vous accueillir les uns les autres, créer une familiarité, travailler en communion ! Et toujours en avant dans l’évangélisation, car la joie de l’Eglise c’est évangéliser.
Mais l'accueil est aussi le test décisif pour vérifier dans quelle mesure l'Église est effectivement imprégnée de l'esprit de l'Évangile. Marie et Jean s'accueillent non pas à l'abri chaleureux du Cénacle, mais près de la croix, en ce lieu obscur où étaient condamnés et crucifiés les malfaiteurs. Nous non plus, nous ne pouvons pas nous accueillir seulement entre nous, à l'ombre de nos belles églises alors qu'à l'extérieur tant de frères et sœurs souffrent et sont crucifiés par la douleur, la misère, la pauvreté et la violence. Vous êtes dans une position géographique cruciale, face à la Méditerranée, pôle d'attraction et port de salut pour tant de personnes ballottées par les tempêtes de la vie qui, pour des raisons diverses, arrivent sur vos côtes. Dans le visage de ces pauvres gens, c'est le Christ lui-même qui se présente à vous. C'est ce qu'a vécu l'apôtre Paul qui, après un terrible naufrage, a été chaleureusement accueilli par vos ancêtres. Les Actes des Apôtres disent : «Les indigènes nous ont traités avec une humanité peu ordinaire. Ils avaient allumé un grand feu, et ils nous ont tous pris avec eux car la pluie s’était mise à tomber et il faisait froid» (Ac 28, 2).
Voilà l'Évangile que nous sommes appelés à vivre : accueillir, être experts en humanité, allumer des feux de tendresse quand le froid de la vie pèse sur ceux qui souffrent. Et là encore, quelque chose d'important nait d'une expérience dramatique. Paul a proclamé et répandu l'Évangile, puis de nombreux hérauts, prédicateurs, prêtres et missionnaires ont suivi ses traces, poussés par l’Esprit Saint, pour évangéliser, pour porter la joie de l’Eglise qui est évangéliser. Je voudrais leur dire un merci particulier, à ces évangélisateurs, aux nombreux missionnaires maltais qui répandent la joie de l'Évangile dans le monde entier, aux nombreux prêtres, aux religieux et religieuses et à vous tous. Comme l'a dit votre évêque, Mgr Teuma, vous êtes une petite île, mais au grand cœur. Vous êtes un trésor dans l'Église et pour l'Église. Je le dis à voix haute: vous êtes un trésor dans l’Eglise et pour l’Eglise. Pour le préserver, il convient de revenir à l'essence du christianisme : l'amour de Dieu, moteur de notre joie, qui nous fait sortir et parcourir les routes du monde ; et l'accueil du prochain, qui est notre plus simple et plus beau témoignage dans le monde, et avancer ainsi, en parcourant les routes du monde, car la joie de l’Eglise c’est évangéliser.
Que le Seigneur vous accompagne sur ce chemin et que la Sainte Vierge vous guide. Qu’elle ravive en nous, ses enfants, elle qui demanda de prier trois "Ave Maria" pour qu’on se rappelle de son cœur maternel, le feu de la mission et le désir de prendre soin les uns des autres.
Que la Vierge vous garde et vous accompagne dans l’évangélisation.
[00485-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Beneath the Cross of Jesus, stood Mary and John. The Mother who had given birth to the Son of God mourned his death, even as darkness enveloped the world. The beloved disciple, who had left everything to follow him, now stood silent at the feet of the crucified Master. Everything seemed lost, finished, forever. Taking upon himself the woundedness of our humanity, Jesus prayed: “My God, my God, why have you forsaken me?” (Mt 27:46; Mk 15:34). This is also our prayer at times of suffering. It is the heartfelt prayer, Sandi and Domenico, which you make to God every day. Thank you for your persevering love, thank you for your witness of faith!
Yet Jesus’ “hour”, which in John’s Gospel is the hour of his death on the cross, does not represent the end of the story. Rather, it signals the beginning of a new life. Standing before the cross, we contemplate the merciful love of Christ, who opens wide his arms to embrace us and, by his death, invites us to the joy of eternal life. At that last hour, new life opens before us; from that hour of death, another hour, full of life, is born. It is the time of the Church. Starting with those two people standing beneath the cross, the Lord was to gather a people that continues to tread the winding paths of history, bearing in their hearts the consolation of the Spirit, with which to dry the tears of humanity.
Brothers and sisters, from this sanctuary of Ta’ Pinu we can contemplate together the new beginning that took place in the “hour” of Jesus. Here, in place of the splendid edifice we see today, there stood only a tiny chapel in a state of disrepair. Its demolition was decreed: it seemed to be the end. Yet a series of events would turn things around, as if the Lord wanted to say to this people too: “You shall no more be termed Forsaken, and your land shall no more be termed Desolate; but you shall be called My Delight is in her, and your land Married” (Is 62:4). That little church became the national shrine, a destination for pilgrims and a source of new life. Jennifer, you reminded us of this: here, many people entrust their sufferings and their joys to Our Lady and all feel at home. Saint John Paul II – today is the anniversary of his death – also came here as a pilgrim. A place that once seemed forsaken now revitalizes faith and hope within the People of God.
In light of this, let us try to appreciate the meaning of Jesus’ “hour” for our own lives. That hour of salvation tells us that, in order to renew our faith and our common mission, we are called to return to the origins, to the nascent Church that we see beneath the cross in the persons of Mary and John. What does it mean to go back to those origins? What does it mean to go back to the beginning?
First, it means rediscovering the essentials of our faith. Going back to the early Church does not mean looking back and trying to replicate the ecclesial model of the first Christian community. We cannot “skip over history”, as if the Lord never said or accomplished great things in the life of the Church in later centuries. Nor does it mean being excessively idealistic, thinking that there were no difficulties in that community; on the contrary, we read that the disciples argued and even quarreled among themselves, and that they did not always understand the Lord’s teachings. Going back to the origins means, instead, recovering the spirit of the first Christian community, returning to the heart and rediscovering the core of the faith: our relationship with Jesus and the preaching of his Gospel to the whole world. Those are the essentials! This is the joy of the Church: to evangelize.
Indeed, after the “hour” of Jesus’ death, the first disciples, like Mary Magdalene and John, after seeing the empty tomb, with great excitement rushed back to proclaim the good news of the Resurrection. Their grief at the cross turned into joy as they proclaimed Christ risen. I think too of the Apostles, about whom it was written: “Every day in the temple and at home they did not cease teaching and preaching Jesus as the Christ” (Acts 5:42). The chief concern of Jesus’ disciples was not the prestige of the community or its ministers, its social standing or the fine points of its worship. No. They were impelled to preach and bear witness to the Gospel of Christ (cf. Rom 1:1), for the joy of the Church is to evangelize.
Brothers and sisters, the Maltese Church can vaunt a rich history from which great spiritual and pastoral treasures can be drawn. However, the life of the Church – let us always keep this in mind – is never merely “a past to remember”, but a “great future to build”, always in docility to God’s plans. A faith made up of received traditions, solemn celebrations, popular festivals and powerful and emotional moments cannot be enough; we need a faith built upon and constantly renewed in the personal encounter with Christ, in daily listening to his word, in active participation in the life of the Church and in authentic popular piety.
The crisis of faith, apathy in religious practice, especially in the aftermath of the pandemic, and indifference shown by many young people towards the presence of God: these are not issues that we should “sugarcoat”, thinking that, all things considered, a certain religious spirit still endures, no. At times, structures can be religious, yet beneath outward appearances, faith is fading. An elegant repertoire of religious traditions does not always correspond to a vibrant faith marked by zeal for evangelization. We need to ensure that religious practices do not get reduced to relics from the past, but remain the expression of a living, open faith that spreads the joy of the Gospel, for the joy of the Church is to evangelize.
I know that, with the Synod, you have undertaken a process of renewal and I thank you for this. Brothers and sisters, now is the time to go back to the beginning, to stand beneath the cross and to look to the early Christian community. The time to be a Church concerned about friendship with Jesus and the preaching of his Gospel, not about importance and image. To be a Church centred on witness, and not certain religious customs. To be a Church that seeks to go out to meet everyone with the burning lamp of the Gospel, not to be a closed circle. Do not be afraid to set out, as you have already done, on new paths, perhaps even risky paths, of evangelization and proclamation that change lives, for the joy of the Church is to evangelize.
So let us look once more to the origins, to Mary and John at the foot of the cross. At the very source of the Church is the act of their entrustment to one another. The Lord entrusts each of them to the care of the other: John to Mary and Mary to John, with the result that, “from that hour the disciple took her to his own home” (Jn 19:27). Going back to the beginning also means developing the art of welcoming. Jesus’ words from the cross, spoken to his Mother and to John, summon us to make welcome the hallmark of our discipleship. Indeed, this was no simple act of piety, whereby Jesus entrusted his Mother to John so that she would not remain alone after his death. Instead, John’s welcoming of Mary into his home was a concrete sign of how we should live the supreme commandment of love. The worship of God takes place through closeness to our brothers and sisters.
How important in the Church is fraternal love and the welcome we show to our neighbour! The Lord reminds us of this at the “hour” of the cross, in entrusting Mary and John to each other’s care. He urges the Christian community of every age not to lose sight of this priority: “Behold, your son”, “Behold, your Mother” (vv. 26.27). It is as if he said, “You have been saved by the same blood, you are one family, so welcome each other, love one another, heal each other’s wounds”. Leaving behind suspicions, divisions, rumours, gossip and mistrust. Brothers and sisters, be a “synod”, in other words, “journey together”. For God is present wherever love reigns!
Dear brothers and sisters, mutual welcome, not out of pure formality but in the name of Christ, remains a perpetual challenge. A challenge, first for our ecclesial relationships, since our mission will bear fruit if we work together in friendship and fraternal communion. You are two beautiful communities, Malta and Gozo – I don’t know which is the most important or the first – just as Mary and John were two! May the words of Jesus on the cross, then, be the polar star guiding you to welcome one another, to foster familiarity and to work in communion! Go forward, always together! Go forward, always evangelizing, for the joy of the Church is to evangelize.
Welcome is also the litmus test for assessing to what extend the Church is truly evangelical. Mary and John accept one another not in the comfortable shelter of the Upper Room, but at the foot of the cross, in that grim place where people were condemned and crucified as criminals. Nor can we accept each other only in the shelter of our beautiful churches, while outside so many of our brothers and sisters suffer, crucified by pain, poverty and violence. Yours is a crucial geographical position, overlooking the Mediterranean; you are like a magnet and port of salvation for people buffeted by the tempests of life who, for various reasons, land on your shores. It is Christ himself, who appears to you in the faces of these poor men and women. That was the experience of the Apostle Paul who, after a terrible shipwreck, was kindly welcomed by your ancestors. As we read in the Acts of the Apostles, “the natives… kindled a fire and welcomed us all, because it had begun to rain and was cold” (Acts 28:2).
This is the Gospel we are called to put into practice: welcoming others, being “experts in humanity” and kindling fires of tender love for those who know the pain and harshness of life. In Paul’s case too, something important was born of that dramatic experience, for here Paul preached the Gospel and thereafter many preachers, priests, missionaries and witnesses followed in his footsteps. They were moved by the Holy Spirit to evangelize and to promote the joy of the Church, which is to evangelize. I want to add a special word of gratitude to them: to the many Maltese missionaries who spread the joy of the Gospel throughout the world, to the many priests, women and men religious, and to all of you. As Bishop Teuma said, you are a small island, but one with a great heart. You are a treasure in the Church and for the Church. I repeat: You are a treasure in the Church and for the Church. To preserve that treasure, you must return to the essence of Christianity: the love of God, the driving force of our joy, which sends us forth to the world; and the love of our neighbour, which is the simplest and most attractive witness we can give before the world. In this way, you keep going forward in the journey of life, for the joy of the Church is to evangelize.
May the Lord accompany you on this path and the Holy Virgin guide your steps. May Our Lady, who asked us to pray three “Hail Marys” to remind ourselves of her maternal heart, rekindle in us, her children, the fire of mission and the desire to care for one another. May Our Lady protect and support you in the work of evangelization.
[00485-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Bei dem Kreuz Jesus stehen Maria und Johannes. Die Mutter, die den Sohn Gottes zur Welt gebracht hat, trauert über seinen Tod, und Dunkelheit umgibt die Welt; der geliebte Jünger, der alles verlassen hatte, um Jesus nachzufolgen, steht nun zu Füßen seines gekreuzigten Meisters. Alles scheint verloren, alles scheint für immer vorbei. Und während Jesus die Plagen der Menschheit auf sich nimmt, betet er: »Mein Gott, mein Gott, warum hast du mich verlassen?« (Mt 27,46; Mk 15,34). Das ist auch unser Gebet in den Momenten des Lebens, die von Leid geprägt sind; es ist das Gebet, das täglich aus euren Herzen zu Gott aufsteigt. Sandi und Domenico, ich danke euch für die Ausdauer in eurer Liebe, danke für euer Glaubenszeugnis!
Doch die Stunde Jesu – das Johannesevangelium meint damit die Stunde seines Todes am Kreuz – ist nicht das Ende der Geschichte, sondern sie markiert den Beginn eines neuen Lebens. Wenn wir auf das Kreuz blicken, betrachten wir die barmherzige Liebe Christi, der seine Arme weit für uns öffnet und uns durch seinen Tod die Freude des ewigen Lebens ermöglicht. Von seiner letzten Stunde her tut sich neues Leben auf; mit dieser Stunde des Todes beginnt eine neue Zeit voller Leben, die Zeit der Geburt der Kirche. Aus dieser Urzelle wird sich der Herr ein Volk versammeln, das die steinigen Wege der Geschichte weitergehen und den Trost des Geistes in seinem Herzen tragen wird, mit dem es die Tränen der Menschheit abwischen kann.
Brüder und Schwestern, hier an diesem Heiligtum von Ta’ Pinu wollen wir gemeinsam über den neuen Anfang nachdenken, der aus dieser Stunde Jesu hervorgeht. Auch an diesem Ort stand, bevor das prächtige Gebäude errichtet wurde, das wir heute sehen, nur eine kleine, verlassene Kapelle. Ihr Abriss war beschlossene Sache, ihr Ende schien gekommen. Doch eine Reihe von Ereignissen änderte den Lauf der Dinge, als wollte der Herr den Menschen hier sagen: »Nicht länger nennt man dich die Verlassene und dein Land nicht mehr Verwüstung, sondern du wirst heißen: Ich habe Gefallen an dir und dein Land wird Vermählte genannt« (Jes 62,4). Diese kleine Kirche ist zum Nationalheiligtum, zu einem Pilgerziel und einer Quelle neuen Lebens geworden. Daran hast du uns erinnert, Jennifer: Hier vertrauen viele Menschen ihr Leid und ihre Freuden der Gottesmutter an, und jeder fühlt sich willkommen. Auch der heilige Johannes Paul II., dessen Todestag wir heute begehen, ist als Pilger hierhergekommen. Ein Ort, der verloren schien, lässt nun den Glauben und die Hoffnung im Volk Gottes wiederaufleben.
Versuchen wir also in diesem Sinne die Einladung, die mit dieser Stunde Jesu, der Stunde des Heils, einhergeht, auch für uns zu begreifen. Sie besagt, dass wir, um unseren Glauben und die Sendung der Gemeinschaft zu erneuern, zu diesem Anfang zurückzukehren sollen, zur werdenden Kirche, die wir dort am Kreuz in der Gestalt von Maria und Johannes sehen. Aber was bedeutet es, zu diesem Anfang zurückzukehren? Was bedeutet es, zu den Ursprüngen zurückzukehren?
In erster Linie geht es darum, das Wesentliche des Glaubens wiederzuentdecken. Zurückzugehen zu den Ursprüngen der Kirche bedeutet nicht, das Kirchenmodell der ersten christlichen Gemeinschaft zu kopieren. Wir können nicht „die Geschichte überspringen“, als ob der Herr nicht auch in späteren Jahrhunderten große Dinge im Leben der Kirche kundgetan und gewirkt hätte. Es bedeutet auch nicht, zu idealistisch zu sein und sich einzubilden, dass es in dieser Gemeinschaft keine Schwierigkeiten gab. Im Gegenteil: wir lesen, dass die Jünger diskutierten und auch miteinander in Streit gerieten und dass sie die Lehren des Herrn nicht immer verstanden. Zu den Ursprüngen zurückzukehren bedeutet vor allem, den Geist der ersten christlichen Gemeinschaft wieder zu wecken, d.h. zum Wesentlichen zurückzukehren und die Mitte des Glaubens wiederzuentdecken: die Beziehung zu Jesus und die Verkündigung seines Evangeliums an die ganze Welt. Und das ist das Wesentliche! Das ist die Freude der Kirche: die Verkündigung des Evangeliums!
In der Tat sehen wir nach der Todesstunde Jesu, dass die ersten Jünger wie Maria Magdalena und Johannes, nachdem sie das leere Grab gesehen hatten, ohne Zeit zu verlieren, mit klopfendem Herzen losliefen, um die frohe Botschaft von der Auferstehung zu verkünden. Die Trauer unter dem Kreuz verwandelt sich in die Freude der Verkündigung. Und ich denke auch an die Apostel, von denen es heißt: »Und sie ließen nicht ab, Tag für Tag im Tempel und in den Häusern zu lehren, und verkündeten das Evangelium von Jesus, dem Christus.« (Apg 5,42). Das Hauptanliegen der Jünger Jesu war nicht das Ansehen der Gemeinde und ihrer Amtsträger, es war nicht der gesellschaftliche Einfluss, es war nicht die Erlesenheit des Kultes. Nein. Das Anliegen, das sie bewegte, war die Verkündigung und die Bezeugung des Evangeliums Christi (vgl. Röm 1,1), denn die Freude der Kirche ist die Verkündigung des Evangeliums.
Brüder und Schwestern, die Kirche in Malta hat eine wertvolle Geschichte, aus der sie viele geistliche und pastorale Reichtümer schöpfen kann. Das Leben der Kirche – das sollten wir uns immer vor Augen halten – ist jedoch niemals nur „eine vergangene Geschichte, die nur der Erinnerung dient“, sondern auch eine „große Zukunft, die nach Gottes Plänen gestaltet werden will“. Ein Glaube, der nur aus überlieferten Bräuchen, großen Feiern, schönen volkstümlichen Anlässen, starken und emotionalen Momenten besteht, kann uns nicht genügen; wir brauchen einen Glauben, der in der persönlichen Begegnung mit Christus, im täglichen Hören auf sein Wort, in der aktiven Teilnahme am Leben der Kirche, in der Seele der Volksfrömmigkeit gründet und erneuert.
Die Krise des Glaubens, die insbesondere seit der Pandemie nachlassende Glaubenspraxis und die Gleichgültigkeit so vieler junger Menschen gegenüber der Gegenwart Gottes sind keine Themen, die wir verniedlichen sollten, indem wir denken, dass alles in allem ein gewisser religiöser Geist noch weiterbestünde, nein. Manchmal kann die äußere Struktur religiös bleiben, aber unter diesem Kleid wird der Glaube alt. Eine elegante religiöse Garderobe entspricht nämlich nicht immer einem lebendigen Glauben, der von der Dynamik der Evangelisierung beseelt ist. Wir müssen darauf achten, dass die religiösen Praktiken nicht einfach zu einer Wiederholung eines Repertoires aus der Vergangenheit verkommen, sondern Ausdruck eines lebendigen, offenen Glaubens sind, der die Freude des Evangeliums ausstrahlt, denn die Freude der Kirche ist die Verkündigung des Evangeliums.
Ich weiß, dass ihr durch die Synode einen Prozess der Erneuerung begonnen habt, und ich danke euch für diesen Weg. Brüder und Schwestern, es ist an der Zeit, zu diesem Anfang zurückzukehren, der sich dort unter dem Kreuz ereignete, und auf die erste christliche Gemeinschaft zu schauen. Dies ist nötig, damit wir eine Kirche sind, der die Freundschaft mit Jesus und die Verkündigung seines Evangeliums ein Herzensanliegen ist und nicht die Suche nach Räumen und Aufmerksamkeit; eine Kirche, für die das Zeugnis im Mittelpunkt steht und nicht die ein oder andere religiöse Gewohnheit; eine Kirche, die mit dem Licht des Evangeliums auf alle zugehen und kein geschlossener Kreis sein will. Scheut euch nicht, neue, vielleicht sogar riskante Wege der Evangelisierung und Verkündigung zu beschreiten, die das Leben berühren – wie ihr das ja bereits tut.
Schauen wir wieder auf die Ursprünge, auf Maria und Johannes unter dem Kreuz. Am Ursprung der Kirche werden sie einander anvertraut. Der Herr vertraut einen der Obhut des anderen an – Johannes der Maria und Maria dem Johannes – so dass der Jünger sie in jener Stunde zu sich nahm (vgl. Joh 19,27). An den Anfang zurückzukehren bedeutet auch, eine Kultur der Annahme zu entwickeln. Zu den letzten Worten Jesu am Kreuz gehören auch die an seine Mutter und an Johannes gerichteten Sätze, die uns dazu auffordern, die Annahme zum beständigen Stil der Jüngerschaft zu machen. Es war nämlich nicht einfach nur eine Geste der Fürsorge, als Jesus seine Mutter dem Johannes anvertraute, damit sie nach seinem Tod nicht allein war, sondern es war ein konkreter Hinweis darauf, wie das erste Gebot, das der Liebe, zu leben ist. Die Anbetung Gottes vollzieht sich in der Nähe zu den Brüdern und Schwestern.
Und wie wichtig ist in der Kirche die gegenseitige Liebe und die Annahme des Nächsten! Daran erinnert uns der Herr in der Stunde des Kreuzes durch diesen gegenseitigen Akt der Annahme bei Maria und Johannes, und er mahnt die christliche Gemeinschaft aller Zeiten, diese Priorität nicht zu verlieren. »Siehe, dein Sohn«, »siehe, deine Mutter« (V. 26.27); das ist, als würde man sagen: Ihr seid durch dasselbe Blut gerettet, ihr seid eine Familie, also nehmt euch gegenseitig an, liebt einander, versorgt einander die Wunden. Ohne Verdächtigungen, ohne Spaltungen, Gerüchte, Klatsch und Misstrauen. Brüder und Schwestern, macht eine „Synode“, d.h. „geht gemeinsam“. Denn Gott ist da, wo die Liebe herrscht!
Liebe Freunde, sich einander anzunehmen, nicht nur im Sinne einer reinen Formalität, sondern im Namen Christi, ist eine ständige Herausforderung. Die gilt in erster Linie für unsere Beziehungen in der Kirche, denn unsere Mission trägt nur Früchte, wenn wir in Freundschaft und geschwisterlicher Gemeinschaft zusammenarbeiten. Ihr seid zwei wunderbare Gemeinschaften, Malta und Gozo, Gozo und Malta – ich weiß nicht, welche die wichtigere oder die erste ist! – so wie Maria und Johannes auch zu zweit waren! Mögen die Worte Jesu am Kreuz euer Leitstern sein: nehmt einander an, entwickelt eine Vertrautheit miteinander und arbeitet zusammen! Und schreitet immer voran in der Verkündigung des Evangeliums, denn die Freude der Kirche ist die Verkündigung des Evangeliums.
Aber dieses Annehmen ist auch der Lackmustest dafür, wie sehr die Kirche tatsächlich vom Geist des Evangeliums durchdrungen ist. Maria und Johannes werden einander nicht im heimeligen Zufluchtsort des Abendmahlssaals anvertraut, sondern unter dem Kreuz, an jenem düsteren Ort, wo Übeltäter verurteilt und gekreuzigt wurden. Und auch wir können uns nicht damit begnügen, im Schatten unserer schönen Kirchen für einander da zu sein, während draußen so viele Brüder und Schwestern unter dem Kreuz von Schmerz, Elend, Armut und Gewalt leiden. Ihr befindet euch in einer bedeutenden geografischen Lage zum Mittelmeer hin, euer Land ist Anziehungspunkt und rettender Landungsplatz für viele Menschen, die von den Stürmen des Lebens hin und her geworfen werden und aus unterschiedlichen Gründen an euren Küsten ankommen. In diesen armen Menschen kommt Christus selbst zu euch. Das war die Erfahrung des Apostels Paulus, der nach einem schrecklichen Schiffbruch von euren Vorfahren herzlich aufgenommen wurde. In der Apostelgeschichte heißt es: Die Einheimischen »zündeten ein Feuer an und holten uns alle zu sich, weil es zu regnen begann und kalt war« (Apg 28,2).
Das ist das Evangelium, das wir leben sollen: aufnehmen, menschlich sein, Feuer der Liebe entzünden, wenn die Kälte des Lebens über den Leidenden hängt. Und auch in diesem Fall führte ein dramatisches Ereignis zu etwas Wichtigem, denn Paulus verkündete und verbreitete das Evangelium, und später folgten viele Verkünder, Prediger, Priester und Missionare bewegt vom Heiligen Geist seinen Spuren, um das Evangelium zu verkünden und der Freude der Kirche Raum zu geben, der Verkündigung des Evangeliums. Ihnen möchte ich ein besonderes Dankeschön sagen, diesen Verkündigern des Evangeliums, den vielen maltesischen Missionaren, die die Freude des Evangeliums in der ganzen Welt verbreiten, den vielen Priestern, den Ordensleuten und euch allen. Wie euer Bischof Teuma sagte, ihr seid eine kleine Insel, aber mit einem großen Herzen. Ihr seid ein Schatz in der Kirche und für die Kirche. Ich sage es noch einmal: Ihr seid ein Schatz in der Kirche und für die Kirche. Um ihn zu bewahren, müssen wir zum Wesen des Christentums zurückkehren: zur Liebe zu Gott, dem Antrieb unserer Freude, der uns dazu bringt, auf die Straßen der Welt zu gehen und unsere Mitmenschen anzunehmen, darin besteht unser einfachstes und schönstes Zeugnis vor der Welt. Macht also weiter so und geht durch die Straßen dieser Welt, denn die Freude der Kirche ist die Verkündigung des Evangeliums.
Der Herr geleite euch auf diesem Weg und die heilige Jungfrau möge euch führen. Sie, die uns bat, drei „Ave Maria“ zu sprechen, um uns an ihr mütterliches Herz zu erinnern, entfache in uns, ihren Kindern, wieder neu das Feuer der Mission und den Wunsch, füreinander da zu sein. Die Gottesmutter behüte und begleite euch bei der Verkündigung des Evangeliums.
[00485-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Junto a la cruz de Jesús están María y Juan. La Madre que ha dado a luz al Hijo de Dios está afligida por su muerte, mientras las tinieblas cubren el mundo. El discípulo amado, que había dejado todo para seguirlo, ahora está inmóvil a los pies del Maestro crucificado. Parece que todo está perdido, que todo acabó para siempre. Y Jesús, mientras carga sobre sí las llagas de la humanidad, reza: «¡Dios mío, Dios mío!, ¿por qué me has abandonado?» (Mt 27,46; Mc 15,34). Esta es también nuestra oración en los momentos de la vida marcados por el sufrimiento; es la oración que cada día sube a Dios desde vuestro corazón, Sandi y Domenico. ¡Gracias por la perseverancia de vuestro amor por vuestro testimonio de fe!
Sin embargo, la hora de Jesús —que en el Evangelio de Juan es la hora de la muerte en la cruz— no representa la conclusión de la historia, sino que señala el comienzo de una vida nueva. Junto a la cruz, en efecto, contemplamos el amor misericordioso de Cristo, que extiende hacia nosotros sus brazos abiertos de par en par y, a través de su muerte, nos abre a la alegría de la vida eterna. En la hora del final se desvela una vida que comienza; en esa hora de la muerte comienza otra hora llena de vida: es el tiempo de la Iglesia que nace. De esa célula originaria el Señor reunirá un pueblo, que seguirá recorriendo los arduos caminos de la historia, llevando en el corazón el consuelo del Espíritu, para enjugar las lágrimas de la humanidad.
Hermanos y hermanas, desde este Santuario de Ta’ Pinu podemos meditar juntos sobre el nuevo inicio que brota de la hora de Jesús. También en este lugar, antes del espléndido edificio que vemos hoy, había sólo una pequeña capilla en estado de abandono. Se había dispuesto que fuera demolida; parecía el final. Pero una serie de acontecimientos cambiaron el curso de la historia, como si el Señor quisiera decir a este pueblo: «Ya no te llamarán “Abandonada”, ni a tu tierra, “Devastada”; a ti te llamarán “Mi delicia está en ella”, y a tu tierra, “Desposada”» (Is 62,4). Esa capillita se convirtió en el Santuario nacional, meta de peregrinos y fuente de vida nueva. Nos lo has recordado tú, Jennifer; aquí muchos confían a la Virgen sus sufrimientos y sus alegrías, y todos se sienten acogidos. Aquí también llegó como peregrino san Juan Pablo II, del que hoy recordamos el aniversario de su muerte. Un lugar que parecía perdido, ahora renueva, en el Pueblo de Dios, la fe y la esperanza.
Teniendo en cuenta esto, intentemos comprender también la invitación de la hora de Jesús, de esa hora de la salvación, para nosotros. Nos dice que, para renovar nuestra fe y la misión de la comunidad, estamos llamados a volver a ese inicio, a la Iglesia naciente que vemos en María y Juan al pie de la cruz. ¿Pero qué significa volver a ese comienzo? ¿Qué significa volver a los orígenes?
En primer lugar, se trata de redescubrir lo esencial de la fe. Volver a la Iglesia de los orígenes no significa mirar hacia atrás para copiar el modelo eclesial de la primera comunidad cristiana. No podemos “omitir la historia”, como si el Señor no hubiera hablado y obrado grandes cosas también en la vida de la Iglesia de los siglos sucesivos. Tampoco significa ser demasiado idealistas, imaginando que en esa comunidad no hayan existido dificultades; al contrario, leemos que los discípulos discutían, que llegaron incluso a pelearse entre ellos, y que no siempre comprendían las enseñanzas del Señor. Volver a los orígenes significa más bien recuperar el espíritu de la primera comunidad cristiana, es decir, volver al corazón y redescubrir el centro de la fe: la relación con Jesús y el anuncio de su Evangelio al mundo entero. ¡Y esto es lo esencial! Esta es la alegría de la Iglesia: evangelizar.
Vemos, en efecto, que los primeros discípulos, como María Magdalena y Juan, después de la hora de la muerte de Jesús, viendo la tumba vacía corrieron con el corazón estremecido, sin perder tiempo, para ir a anunciar la buena noticia de la Resurrección. El llanto de dolor junto a la cruz se transforma en la alegría del anuncio. Y pienso también en los apóstoles, de los que se escribió que «todos los días, en el Templo y en las casas, no cesaban de enseñar y anunciar la Buena Noticia de Cristo Jesús» (Hch 5,42). La principal preocupación de los discípulos de Jesús no era el prestigio de la comunidad y de sus ministros, no era la influencia social, no era el refinamiento del culto. No. La inquietud que los movía era el anuncio y el testimonio del Evangelio de Cristo (cf. Rm 1,1), porque la alegría de la Iglesia es evangelizar.
Hermanos y hermanas, la Iglesia maltesa cuenta con una historia inestimable que ofrece numerosas riquezas espirituales y pastorales. Sin embargo, la vida de la Iglesia —recordémoslo siempre— no es solamente “una historia pasada que hay que recordar”, sino “un gran futuro que hay que construir”, dóciles a los proyectos de Dios. No nos puede bastar una fe hecha de costumbres transmitidas, de celebraciones solemnes, de hermosas reuniones populares y de momentos fuertes y emocionantes; necesitamos una fe que se funda y se renueva en el encuentro personal con Cristo, en la escucha cotidiana de su Palabra, en la participación activa en la vida de la Iglesia, en el espíritu de la piedad popular.
La crisis de la fe, la apatía de la práctica creyente sobre todo en la pospandemia y la indiferencia de tantos jóvenes respecto a la presencia de Dios no son cuestiones que debemos “endulzar”, pensando que al fin y al cabo un cierto espíritu religioso todavía resiste, no. A veces, en efecto, el andamiaje puede ser religioso, pero detrás de ese revestimiento la fe envejece. De hecho, el elegante guardarropa de los hábitos religiosos no siempre corresponde a una fe entusiasta animada por el dinamismo de la evangelización. Es necesario vigilar para que las prácticas religiosas no se reduzcan a la repetición de un repertorio del pasado, sino que expresen una fe viva, abierta, que difunda la alegría del Evangelio, porque la alegría de la Iglesia es evangelizar.
Sé que a través del Sínodo habéis iniciado un proceso de renovación, os doy las gracias por este camino. Hermanos, hermanas, esta es la hora para volver a ese comienzo, al pie de la cruz, mirando a la primera comunidad cristiana. Para ser una Iglesia a la que le importa la amistad con Jesús y el anuncio de su Evangelio, no la búsqueda de espacios y atenciones; una Iglesia que pone en el centro el testimonio, y no ciertas prácticas religiosas; una Iglesia que desea ir al encuentro de todos con la lámpara encendida del Evangelio y no ser un círculo cerrado. No tengáis miedo de recorrer, como ya estáis haciendo, itinerarios nuevos, quizá incluso arriesgados, de evangelización y de anuncio, que transforman la vida, porque la alegría de la Iglesia es evangelizar.
Sigamos contemplando los orígenes, a María y Juan al pie de la cruz. En los inicios de la Iglesia está su gesto de acogerse mutuamente. El Señor, en efecto, confió a cada uno al cuidado del otro: Juan a María y María a Juan, de modo que «desde aquella hora el discípulo la recibió en su casa» (Gv 19,27). Volver al inicio también significa desarrollar el arte de la acogida. Entre las últimas palabras que Jesús pronunció desde la cruz, las dirigidas a su Madre y a Juan exhortan a hacer de la acogida el estilo permanente del discipulado. No se trató, en efecto, de un simple gesto de piedad, por medio del cual Jesús confió su mamá a Juan para que no se quedara sola después de su muerte, sino de una indicación concreta sobre el modo de vivir el mandamiento más alto, el del amor. El culto a Dios pasa por la cercanía al hermano.
¡Y qué importante es en la Iglesia el amor entre los hermanos y la acogida del prójimo! El Señor nos lo recuerda en la hora de la cruz, en la acogida recíproca de María y Juan, exhortando a la comunidad cristiana de cada tiempo a no perder de vista esta prioridad: «Ahí tienes a tu hijo», «ahí tienes a tu madre» (vv. 26.27). Es como decir: han sido salvados por la misma sangre, son una única familia, por tanto, acójanse mutuamente, ámense unos a otros, cúrense las heridas recíprocamente. Sin sospechas, sin divisiones, sin habladurías, rumores o recelos. Hermanos y hermanas, hagan “sínodo”, es decir, “caminen juntos”. Porque Dios está presente donde reina el amor.
Queridos amigos, la acogida recíproca, no por mera formalidad sino en el nombre de Cristo, es un desafío permanente. Lo es sobre todo para nuestras relaciones eclesiales, porque nuestra misión da fruto si trabajamos en la amistad y la comunión fraterna. Malta y Gozo: sois dos hermosas comunidades, Gozo y Malta —no sé cuál es la más importante o cuál va antes—, precisamente como dos eran María y Juan. Que las palabras de Jesús en la cruz sean entonces vuestra estrella polar, para acogerse mutuamente, crear familiaridad y trabajar en comunión. Y siempre avanzando en la evangelización, porque la alegría de la Iglesia es evangelizar.
Pero la acogida también es la prueba de fuego para verificar cuán efectivamente la Iglesia está impregnada del espíritu del Evangelio. María y Juan se acogen no en el cálido refugio del cenáculo, sino al pie a la cruz, en aquel lugar oscuro donde eran condenados y crucificados como malhechores. Y también nosotros, no podemos acogernos sólo entre nosotros, a la sombra de nuestras hermosas iglesias, mientras fuera tantos hermanos y hermanas sufren y son crucificados por el dolor, la miseria, la pobreza, la violencia. Ustedes se encuentran en una posición geográfica crucial, frente al Mediterráneo como polo de atracción y puerto de salvación para tantas personas sacudidas por las tormentas de la vida que, por diversos motivos, llegan a vuestras costas. En el rostro de estos pobres es Cristo mismo el que se presenta a ustedes. Esta ha sido la experiencia del apóstol Pablo que, después de un terrible naufragio, fue acogido calurosamente por vuestros antepasados. Los Hechos de los Apóstoles afirman: «Como llovía intensamente y hacía mucho frío, [los nativos] encendieron una hoguera y nos recibieron a todos» (Hch 28,2).
Este es el Evangelio que estamos llamados a vivir: acoger, ser expertos en humanidad y encender hogueras de ternura cuando el frío de la vida se cierne sobre aquellos que sufren. Y también en este caso, de una experiencia dramática nació algo importante, porque Pablo anunció y difundió el Evangelio y, a continuación, muchos anunciadores, predicadores, sacerdotes y misioneros siguieron sus huellas, impulsados por el Espíritu Santo, por evangelizar, por hacer patente la alegría de la Iglesia que es evangelizar. Quisiera agradecerles especialmente a ellos, a estos evangelizadores, a los numerosos misioneros malteses que difunden la alegría del Evangelio en el mundo entero, a tantos sacerdotes, religiosas y religiosos, y a todos ustedes. Como ha dicho vuestro obispo, Mons. Teuma, sois una isla pequeña, pero de corazón grande. Sois un tesoro en la Iglesia y para la Iglesia. Lo digo otra vez: son un tesoro en la Iglesia y para la Iglesia. Para cuidarlo, es necesario volver a la esencia del cristianismo: al amor de Dios, motor de nuestra alegría, que nos hace salir y recorrer los caminos del mundo; y a la acogida del prójimo, que es nuestro testimonio más sencillo y hermoso en la tierra, y así seguir avanzando, recorriendo los caminos del mundo, porque la alegría de la Iglesia es evangelizar.
Que el Señor los acompañe en esta senda y la Virgen Santa los guíe. Que Ella, que pidió que recemos tres “Ave María” para acordarnos de su corazón materno, reavive en nosotros sus hijos el fuego de la misión y el deseo de cuidarnos unos a otros. ¡Que la Virgen los cuide y los acompañe en la evangelización!
[00485-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Junto da cruz de Jesus, estão Maria e João: a Mãe, que deu à luz o Filho de Deus, encontra-Se trespassada de dor com a morte d’Ele, enquanto as trevas envolvem o mundo; e o discípulo amado, que deixara tudo para O seguir, vemo-lo agora imóvel aos pés do Mestre crucificado. Parece estar tudo perdido, parece ter acabado tudo para sempre. Entretanto Jesus, tomando sobre Si as chagas da humanidade, reza: «Meu Deus, meu Deus, por que Me abandonaste?» (Mt 27, 46; Mc 15, 34). Esta é também a nossa oração nos momentos da vida marcados pelo sofrimento; é a oração que se eleva cada dia a Deus do vosso coração, Sandi e Domenico: obrigado pela perseverança do vosso amor; obrigado pelo vosso testemunho de fé!
Contudo a hora de Jesus, que no Evangelho de João é a hora da morte na cruz, não constitui a conclusão da história, mas marca o início duma vida nova. Com efeito, na cruz, contemplamos o amor misericordioso de Cristo, que estende os braços para nós e, através da sua morte, abre-nos à alegria da vida eterna. A partir da hora do fim, abre-se uma vida que começa; daquela hora da morte, começa outra hora cheia de vida: é o tempo da Igreja que nasce. Daquela célula primordial, o Senhor reunirá um povo, que continuará a atravessar os caminhos impérvios da história, levando no coração a consolação do Espírito, com a qual enxugará as lágrimas da humanidade.
Irmãos e irmãs, a partir deste Santuário de Ta' Pinu, podemos meditar juntos sobre o novo início que brota da hora de Jesus. Também neste lugar, antes do edifício esplêndido que vemos hoje, havia só uma capelinha em estado de abandono. Já estava aliás decidida a sua demolição: parecia o fim. Mas uma série de acontecimentos mudou o rumo das coisas, como se o Senhor quisesse dizer a esta população: «Não serás mais chamada a “Desamparada”, nem a tua terra a “Deserta”; antes, serás chamada: “Minha Dileta”, e a tua terra a “Desposada”» (Is 62, 4). Aquela capelinha tornou-se o Santuário nacional, meta de peregrinos e fonte de vida nova. No-lo recordaste tu, Jennifer: aqui muitos confiam a Nossa Senhora os seus sofrimentos e alegrias, e todos se sentem acolhidos. Aqui veio, peregrino, também São João Paulo II, cujo aniversário da morte ocorre hoje. Um lugar que parecia perdido, hoje regenera fé e esperança no Povo de Deus.
À luz disto, tentemos recolher também para nós o convite da hora de Jesus, daquela hora da salvação. Diz-nos que, para renovar a nossa fé e a missão da comunidade, somos chamados a voltar àquele início, à Igreja nascente que vemos, junto da cruz, em Maria e João. Mas que significa voltar àquele início? Que significa tornar às origens?
Antes de mais nada, trata-se de voltar a descobrir o essencial da fé. Tornar à Igreja das origens não significa olhar para trás para copiar o modelo eclesial da primeira comunidade cristã. Não podemos «saltar a história», como se o Senhor não tivesse falado e feito grandes coisas também na vida da Igreja dos séculos seguintes. Nem significa sermos demasiado idealistas, imaginando que naquela comunidade não haveria dificuldades quando, pelo contrário, lemos que os discípulos discutem e chegam mesmo a litigar entre eles, e nem sempre entendem os ensinamentos do Senhor. Voltar às origens significa, antes, recuperar o espírito da primeira comunidade Cristã, isto é, voltar ao coração e redescobrir o centro da fé: a relação com Jesus e o anúncio do seu Evangelho ao mundo inteiro. E isto é o essencial! Esta é alegria da Igreja: evangelizar.
Na verdade, depois da hora da morte de Jesus, os primeiros discípulos – nomeadamente Maria Madalena e João – tendo visto o sepulcro vazio, sem perder tempo, de coração vibrante, correm a anunciar a Boa Nova da Ressurreição. O pranto de tristeza junto da cruz transforma-se na alegria do anúncio. E penso também nos Apóstolos, que «todos os dias, no templo e nas casas, não cessavam de ensinar e de anunciar a Boa Nova de Jesus, o Messias» (At 5, 42). A preocupação principal dos discípulos de Jesus não era o prestígio da comunidade e dos seus ministros, não era a influência social, não era a perfeição do culto. Não. A inquietação que os movia era o anúncio e o testemunho do Evangelho de Cristo (cf. Rm 1, 1), porque a alegria da Igreja é evangelizar.
Irmãos e irmãs, a Igreja maltesa gloria-se duma história preciosa da qual extrair tantas riquezas espirituais e pastorais. Todavia, a vida da Igreja – tenhamo-lo sempre presente – nunca é só «uma história passada a recordar», mas um «grande futuro a construir», dócil aos desígnios de Deus. Não nos pode bastar uma fé feita de usos e costumes recebidos por tradição, de celebrações solenes, belas iniciativas populares, momentos fortes e emocionantes; precisamos duma fé fundada e renovada no encontro pessoal com Cristo, na escuta diária da sua Palavra, na ativa colaboração na vida da Igreja, na alma da piedade popular.
A crise da fé, a apatia da prática religiosa sobretudo no pós-pandemia e a indiferença de muitos jovens relativamente à presença de Deus não são questões que devemos «adocicar» pensando que, apesar de tudo, ainda subsiste um certo espírito religioso. Na realidade, às vezes o suporte exterior pode ser religioso, mas por trás desses andaimes a fé vai envelhecendo. Nem sempre a elegante amostra de vestes religiosas corresponde a uma fé viva animada pelo dinamismo da evangelização. É preciso vigiar para que as práticas religiosas não se reduzam à repetição dum repertório do passado, mas expressem uma fé viva, aberta, que difunda a alegria do Evangelho, porque a alegria da Igreja é evangelizar.
Sei que iniciastes, através do Sínodo, um processo de renovação: agradeço-vos por este caminho. Irmãos, irmãs, este é o momento de voltar àquele começo, ao pé da cruz, olhando para a primeira comunidade Cristã, para ser uma Igreja que tem a peito a amizade com Jesus e o anúncio do seu Evangelho, e não a busca de espaço e atenções; uma Igreja que tem, no centro, o testemunho, e não qualquer costume religioso; uma Igreja que deseja ir ao encontro de todos com a lâmpada do Evangelho acesa, e não formar um círculo fechado. Não tenhais medo de empreender – como já fazeis – percursos novos de evangelização e anúncio, talvez até arriscados mas que tocam a vida, porque a alegria da Igreja é evangelizar.
Voltemos o olhar mais uma vez para as origens, para Maria e João junto da cruz. Nos primórdios da Igreja, temos o seu gesto de mútua entrega. Com efeito, o Senhor confia cada um deles aos cuidados do outro: João a Maria e Maria a João, de tal modo que, «desde aquela hora, o discípulo acolheu-A como sua» (Jo 19, 27). Voltar ao início significa também desenvolver a arte do acolhimento. Dentre as últimas palavras de Jesus na cruz, as palavras dirigidas à Mãe e a João incitam a fazer do acolhimento o estilo perene do discipulado. Realmente não se tratou dum simples gesto de compaixão – Jesus teria confiado a sua Mãe a João, para que Ela não ficasse sozinha depois da morte d’Ele – mas duma indicação concreta do modo como viver o mandamento supremo: o do amor. O culto a Deus passa pela proximidade ao irmão.
Quão importante é na Igreja o amor entre os irmãos e o acolhimento do próximo! No-lo recorda o Senhor na hora da cruz, na mútua aceitação de Maria e João, exortando a comunidade cristã de todos os tempos a não perder esta prioridade. «Eis o teu filho (…) eis a tua mãe» (Jo 19, 26.27) é como se dissesse: fostes salvos pelo mesmo sangue, sois uma única família; então acolhei-vos mutuamente, amai-vos uns aos outros, curai as feridas uns dos outros. Sem suspeitas, sem divisões, calúnias, murmurações nem desconfianças. Irmãos e irmãs, fazei «sínodo», isto é, «caminhai juntos». Porque Deus está presente onde reina o amor!
Caríssimos, o mútuo acolhimento, não como pura formalidade, mas em nome de Cristo, é um desafio permanente. É-o antes de mais nada para as nossas relações eclesiais, porque a nossa missão produz fruto se trabalharmos na amizade e na comunhão fraterna. Sois duas lindas comunidades – Malta e Gozo, ou Gozo e Malta? Não sei qual das duas seja a mais importante, seja a primeira! –, tal como dois eram Maria e João! Então que as palavras de Jesus na cruz sejam a vossa estrela polar, para vos acolherdes mutuamente, criardes familiaridade, trabalhardes em comunhão! E continuando sempre na evangelização, porque a alegria da Igreja é evangelizar.
Mas o acolhimento é também o teste decisivo para verificar quão efetivamente esteja permeada a Igreja pelo espírito do Evangelho. Maria e João acolhem-se não no refúgio ameno do Cenáculo, mas junto da cruz, naquele lugar tenebroso onde se era condenado e crucificado como criminoso. Também nós não podemos acolher-nos apenas entre nós à sombra das nossas belas igrejas, enquanto fora muitos irmãos e irmãs sofrem e são crucificados pelo sofrimento, a miséria, a pobreza e a violência. Encontrais-vos numa posição geográfica crucial, que abre para o Mediterrâneo como polo de atração e cais de salvação para muitas pessoas em balia das tempestades da vida, que, por diferentes motivos, chegam às vossas costas. No rosto destes pobres, é o próprio Cristo que Se apresenta a vós. Esta foi a experiência do Apóstolo Paulo que, depois dum terrível naufrágio, foi calorosamente acolhido pelos vossos antepassados. Afirmam os Atos dos Apóstolos: «Os nativos (…) acenderam uma grande fogueira, junto à qual nos recolheram a todos, por causa da chuva que estava a cair e por causa do frio» (28, 2).
Eis o Evangelho que somos chamados a viver: acolher, ser peritos em humanidade, acender fogueiras de ternura quando o frio da vida paira sobre aqueles que sofrem. Então, duma experiência dramática, nasceu algo importante, porque Paulo anunciou e difundiu o Evangelho e, em seguida, muitos arautos, pregadores, sacerdotes e missionários seguiram os seus passos, impelidos pelo Espírito Santo, para evangelizar, para fazer continuar a alegria da Igreja que é evangelizar. Quero dizer um obrigado especial a estes evangelizadores: aos numerosos missionários malteses que espalham a alegria do Evangelho por todo o mundo, aos inúmeros sacerdotes, às religiosas e aos religiosos e a todos vós. Como disse o vosso bispo D. Teuma, sois uma ilha pequena mas de coração grande. Sois um tesouro na Igreja e para a Igreja. Repito: sois um tesouro na Igreja e para a Igreja. Para o guardar, é preciso voltar à essência do cristianismo: ao amor de Deus, motor da nossa alegria, que nos faz sair e percorrer as estradas do mundo; e ao acolhimento do próximo, que é o nosso mais simples e belo testemunho no mundo, e assim continuar a percorrer as estradas do mundo, porque a alegria da Igreja é evangelizar.
Que o Senhor vos acompanhe neste caminho e a Santíssima Virgem vos guie. Ela, que pediu para rezar três «Ave Marias» a fim de nos recordarmos do seu coração materno, reacenda em nós seus filhos o fogo da missão e o desejo de cuidarmos uns dos outros. Nossa Senhora vos guarde e acompanhe na evangelização.
[00485-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Pod krzyżem Jezusa stoją Maryja i Jan. Matka, która urodziła Syna Bożego, boleje nad Jego śmiercią, podczas gdy świat ogarniają ciemności; umiłowany uczeń, który opuścił wszystko, aby pójść za Nim, stoi teraz u stóp ukrzyżowanego Mistrza. Wszystko wydaje się stracone, wszystko zdaje się skończone na zawsze. A Jezus, biorąc na siebie rany człowieczeństwa, modli się: „Boże mój, Boże mój, czemuś Mnie opuścił?” (Mt 27, 46; Mk 15, 34). Jest to także nasza modlitwa w chwilach życia naznaczonych cierpieniem: jest to modlitwa, która codziennie wznosi się do Boga z waszych serc, Sandi i Domenico: dziękuję wam za wytrwałość waszej miłości, dziękuję za wasze świadectwo wiary!
Jednak godzina Jezusa – która w Ewangelii św. Jana jest godziną śmierci na krzyżu – nie jest końcem historii, ale początkiem nowego życia. Pod krzyżem bowiem kontemplujemy miłosierną miłość Boga, który szeroko otwiera przed nami ramiona i przez śmierć Zbawiciela otwiera nas na radość życia wiecznego. Z ostatnią godziną otwiera się życie, które właśnie się rozpoczyna. Od tej godziny śmierci bierze swój początek inna godzina, pełna życia: jest to czas rodzącego się Kościoła. Z tej pierwotnej komórki Pan zgromadzi lud, który nadal będzie przemierzał trudne do przebycia drogi historii, niosąc w sercu pocieszenie Ducha Świętego dla ocierania łez ludzkości.
Bracia i siostry, w tym sanktuarium Ta' Pinu możemy wspólnie rozważać nowy początek, który wypływa z godziny Jezusa. Również tutaj, zanim powstała wspaniała budowla, którą widzimy dzisiaj, znajdowała się tylko mała opuszczona kaplica. Została przeznaczona do zburzenia – wydawało się, że to koniec. Ale seria wydarzeń zmieniła bieg rzeczy, tak jakby Pan chciał powiedzieć do tej ludności: „Nie będą więcej mówić o tobie «Porzucona», o krainie twej już nie powiedzą «Spustoszona». Raczej cię nazwą «Moje w niej upodobanie», a krainę twoją – «Poślubiona»” (Iz 62, 4). Ten kościółek stał się sanktuarium, celem pielgrzymów i źródłem nowego życia. Przypomniałaś nam o tym, Jennifer: tutaj wielu ludzi powierza Matce Bożej swoje cierpienia i radości, i wszyscy czują się przyjęci. Tutaj przybywali pielgrzymi, także św. Jan Paweł II, którego rocznica śmierci przypada dzisiaj. Miejsce, które wydawało się zagubione, dziś odnawia wiarę i nadzieję w Ludzie Bożym.
W tym świetle, spróbujmy także my podjąć zaproszenie godziny Jezusa, tej godziny zbawienia. Mówi nam, że aby odnowić naszą wiarę oraz misję Wspólnoty, jesteśmy wezwani do powrotu do tamtego początku, do rodzącego się Kościoła, który widzimy pod krzyżem w Maryi i Janie. Ale co to znaczy powrócić do tamtego początku? Co znaczy powrócić do źródeł?
Przede wszystkim chodzi o ponowne odkrycie podstaw wiary. Powrót do Kościoła pierwotnego nie oznacza spojrzenia wstecz w celu powielenia modelu eklezjalnego pierwszej Wspólnoty chrześcijańskiej. Nie możemy „przeskoczyć historii”, jak gdyby Pan nie mówił i nie działał wielkich rzeczy w życiu Kościoła także w kolejnych wiekach. Nie oznacza to również bycia nadmiernymi idealistami wyobrażającymi sobie, że w tamtej wspólnocie nie było trudności; przeciwnie, czytamy, że uczniowie spierali się, a nawet dochodzą do kłótni między sobą, i nie zawsze rozumieją nauczanie Pana. Powrót do źródeł oznacza raczej odzyskanie ducha pierwszej Wspólnoty chrześcijańskiej, to znaczy powrót do serca i ponowne odkrycie istoty wiary: relacji z Jezusem i głoszenia Jego Ewangelii całemu światu. I to jest najważniejsze! To jest radością Kościoła: głoszenie Ewangelii.
Widzimy bowiem, że po godzinie śmierci Jezusa, pierwsi uczniowie, jak Maria Magdalena i Jan, widząc pusty grób, nie tracąc czasu, z drżącym sercem biegną, aby pójść głosić dobrą nowinę o Zmartwychwstaniu. Płacz bólu pod krzyżem zostaje przemieniony w radość głoszenia. Myślę też o Apostołach, o których napisano: „Nie przestawali też co dzień nauczać w świątyni i po domach i głosić Dobrą Nowinę o Jezusie Chrystusie” (Dz 5, 42). Główną troską uczniów Jezusa nie był prestiż wspólnoty i jej szafarzy, nie było wywieranie wpływu społecznego, nie była okazałość kultu. Nie. Niepokojem, który ich poruszał, było głoszenie Ewangelii Chrystusowej i dawanie o niej świadectwa (por. Rz 1, 1), ponieważ radością Kościoła jest głoszenie Ewangelii.
Bracia i siostry, Kościół maltański szczyci się cenną historią, z której może czerpać wiele bogactw duszpasterskich i duchowych. Jednak życie Kościoła – pamiętajmy o tym zawsze – nie jest nigdy tylko „przeszłą historią do wspominania”, lecz „wielką przyszłością, którą należy budować” z uległością planom Bożym. Nie wystarczy wiara, na którą składają się przekazywane zwyczaje, uroczyste celebracje, piękne okazje ludowe, silne i emocjonujące przeżycia. Potrzebujemy wiary, która opiera się i odnawia w osobistym spotkaniu z Chrystusem, w codziennym słuchaniu Jego Słowa, w aktywnym uczestnictwie w życiu Kościoła, w duchu pobożności ludowej.
Kryzys wiary, bierność w jej praktykowaniu, zwłaszcza po pandemii, i obojętność tak wielu ludzi młodych na obecność Boga nie są kwestiami, które powinniśmy „osładzać” poczuciem, że w sumie pewien duch religijny jeszcze nadal istnieje, nie. Czasem rzeczywiście zewnętrzna struktura może być religijna, ale w środku szata wiary się starzeje. Elegancka garderoba ubrań religijnych nie zawsze bowiem odpowiada żywej wierze wzmacnianej dynamizmem ewangelizacji. Trzeba czuwać, aby praktyki religijne nie sprowadzały się do powtarzania repertuaru z przeszłości, ale wyrażały żywą wiarę, otwartą, głoszącą radość Ewangelii, ponieważ radością Kościoła jest głoszenie Ewangelii.
Wiem, że rozpoczęliście proces odnowy poprzez Synod, i dziękuję wam za tę drogę. Bracia, siostry, to jest godzina powrotu do tamtego początku, pod krzyż, patrząc na pierwszą Wspólnotę chrześcijańską. Żeby być Kościołem, któremu leży na sercu przyjaźń z Jezusem i głoszenie Jego Ewangelii, a nie zabieganie o przestrzeń i popularność; Kościołem, w którego centrum jest świadectwo, a nie zwyczaje religijne; Kościołem, który chce wyjść na spotkanie wszystkich z zapaloną lampą Ewangelii, a nie być zamkniętym kręgiem. Nie bójcie się wchodzić, jak to już czynicie, na nowe, może nawet ryzykowne drogi ewangelizacji i głoszenia, które dotykają życia, ponieważ radością Kościoła jest głoszenie Ewangelii.
Spójrzmy jeszcze raz na początki, na Maryję i Jana pod krzyżem. U źródeł Kościoła jest ich wzajemny akt zawierzenia. Pan powierza bowiem każdego z nich opiece drugiego: Jana Maryi, a Maryję Janowi, tak że „od tej godziny uczeń wziął Ją do siebie” (J 19, 27). Powrót do początku oznacza także rozwijanie sztuki przyjmowania. Ostatnie słowa Jezusa z krzyża, te skierowane do Matki i do Jana, zachęcają, aby uczynić z przyjęcia stały styl bycia uczniem. Nie był to bowiem zwykły gest miłosierdzia, w którym Jezus powierzył swoją matkę Janowi, aby nie została sama po Jego śmierci, ale konkretne wskazanie, jak żyć największym przykazaniem – przykazaniem miłości. Cześć oddawana Bogu przechodzi przez bliskość z bratem.
Jakże ważna jest w Kościele miłość między braćmi i przyjęcie bliźniego! Pan przypomina nam o tym w godzinie krzyża, we wzajemnym przyjęciu Maryi i Jana, zachęcając wspólnotę chrześcijańską wszystkich czasów, aby nie zagubiła tego priorytetu: „oto syn Twój”, „oto Matka twoja” (w. 26.27). To tak, jakby powiedzieć: jesteście zbawieni tą samą Krwią, jesteście jedną rodziną, więc przyjmijcie się nawzajem, miłujcie się wzajemnie, leczcie rany jedni drugich. Bez podejrzeń, bez podziałów, obmów, plotek i nieufności. Bracia, siostry, zróbcie „synod”, to znaczy „podążajcie razem”. Bo Bóg jest obecny tam, gdzie króluje miłość!
Najmilsi, przyjmowanie siebie nawzajem, nie dla zwykłej formalności, lecz w imię Chrystusa, jest stałym wyzwaniem. Jest to przede wszystkim wyzwanie dla naszych relacji eklezjalnych, ponieważ nasza misja przynosi owoce, jeśli pracujemy w przyjaźni i braterskiej komunii. Jesteście dwiema pięknymi wspólnotami, Malta i Gozo, Gozo i Malta – nie wiem, która byłaby ważniejsza lub która pierwsza! – tak jak byli nią dwoje: Maryja i Jan! Niech słowa Jezusa na krzyżu będą waszą gwiazdą polarną, abyście przyjmowali się wzajemnie, tworzyli więzi, pracowali w komunii! I zawsze szli naprzód w ewangelizacji, ponieważ radością Kościoła jest głoszenie Ewangelii
Ale przyjmowanie jest także papierkiem lakmusowym, aby sprawdzić w jakim stopniu Kościół jest rzeczywiście przeniknięty duchem Ewangelii. Maryja i Jan biorą siebie w ramiona i przyjmują siebie nie w ciepłym schronieniu Wieczernika, lecz pod krzyżem, w tym mrocznym miejscu, gdzie ludzi skazywano i krzyżowano jako złoczyńców. I my także nie możemy obejmować tylko siebie nawzajem, w cieniu naszych pięknych kościołów, podczas gdy na zewnątrz wielu braci i sióstr cierpi i jest krzyżowanych przez ból, nędzę, ubóstwo i przemoc. Znajdujecie się w kluczowym położeniu geograficznym, z widokiem na Morze Śródziemne, jesteście biegunem przyciągającym i kotwicą zbawienia dla wielu ludzi miotanych przez burze życiowe, którzy z różnych powodów dobijają do waszych brzegów. W twarzach tych ubogich ludzi ukazuje się wam sam Chrystus. Tak doświadczył tego apostoł Paweł, który po straszliwej katastrofie statku został serdecznie przyjęty przez waszych przodków. Dzieje Apostolskie mówią: „mieszkańcy rozpalili ognisko i zgromadzili nas wszystkich przy nim, bo zaczął padać deszcz i zrobiło się zimno” (Dz 28, 2).
Oto Ewangelia, do której przeżywania jesteśmy wezwani: przyjmować, być ekspertami od człowieczeństwa, rozpalać ognie czułości, gdy chłód życia ciąży nad cierpiącymi. Również w tym przypadku, z dramatycznego doświadczenia zrodziło się coś ważnego, ponieważ Paweł głosił i szerzył Ewangelię, a później jego śladami poszło wielu głosicieli, kaznodziejów, kapłanów i misjonarzy, pobudzanych przez Ducha Świętego, aby ewangelizować, aby nieść dalej radość Kościoła, jaką jest głoszenie Ewangelii. Chciałbym im szczególnie podziękować, tym ewangelizatorom: licznym maltańskim misjonarzom, którzy szerzą radość Ewangelii na całym świecie, licznym kapłanom, zakonnikom i zakonnicom oraz wam wszystkim. Jak powiedział biskup Teuma, wasz biskup, jesteście małą wyspą, ale o wielkim sercu. Jesteście skarbem w Kościele i dla Kościoła. Powiem to raz jeszcze: jesteście skarbem w Kościele i dla Kościoła Aby go strzec, powinniśmy powrócić do istoty chrześcijaństwa: do miłości Boga, która jest siłą napędową naszej radości i która każe nam wyjść i przemierzać drogi świata; i do przyjmowania bliźniego, co jest naszym najprostszym i najpiękniejszym świadectwem w świecie, i tak iść naprzód drogami świata, ponieważ radością Kościoła jest głoszenie Ewangelii.
Niech Pan towarzyszy wam na tej drodze, a Najświętsza Dziewica niech was prowadzi. Niech Ona, która prosiła nas o odmówienie trzech „Zdrowaś Maryjo”, aby przypomnieć nam o swoim macierzyńskim sercu, rozpali w nas, swoich dzieciach, ogień misji i pragnienie troski o siebie nawzajem. Niech Matka Boża was strzeże i towarzyszy wam w ewangelizacji.
[00485-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى مالطا
عظة قداسة البابا فرنسيس
في لقاء الصّلاة في مزار ”تا بينو“ (Ta’ Pinu) الوطني في جوزو (Gozo)
السبت 2 نيسان/أبريل 2022
عند صليب يسوع كانت مريم ويوحنا. الأم التي ولدت ابن الله متألّمة لموته، والظلام يغشى العالم. والتلميذ الحبيب، الذي ترك كلّ شيء ليتبعه، وقف الآن عند أقدام المعلّم المصلوب. يبدو أنّ كلّ شيء قد فُقِدَ، ويبدو أنّ كلّ شيء قد انتهى إلى الأبد. لما أخذ يسوع على نفسه جراح البشريّة، صلّى وقال: "إِلهي، إِلهي، لِماذا تَرَكْتني؟" (متى 27، 46؛ مرقس 15، 34). هذه هي صلاتنا أيضًا في لحظات الحياة التي يميّزها الألم. وهي الصّلاة التي ترتفع إلى الله كلّ يوم من قلبكما، ساندي ودومينيكو: شكرًا على ثباتكما في حبّكما وشكرًا على شهادتكما للإيمان!
ومع ذلك، ليست ساعة يسوع - التي هي، في إنجيل يوحنا، ساعة الموت على الصّليب – ليست نهاية التاريخ، بل هي بداية حياة جديدة. في الحقيقة، عند الصليب، نتأمّل في محبّة المسيح الرحيمة، الذي يفتح لنا ذراعيه، وبموته، فتح أنفسنا على فرح الحياة الأبديّة. من ساعة النهاية تبدأ حياة جديدة، ومن ساعة الموت تلك تبدأ ساعة أخرى مليئة بالحياة: إنّها زمن الكنيسة التي وُلِدَت. من تلك الخليّة الأصليّة، سيجمع الرّبّ يسوع شعبًا، وسيستمر في عبور طرق التاريخ الوعرة، وسيفيض عزاء الرّوح في القلوب، لتجفيف دموع البشريّة.
أيّها الإخوة والأخوات، من مزار ”تا بينو“ (Ta’ Pinu) هذا يمكنُنا أن نتأمّل معًا في البداية الجديدة التي تندفق من ساعة يسوع. في هذا المكان أيضًا، قبل المبنى الرائع الذي نراه اليوم، كان هنا فقط مصلًّى مهجور. وتقرّر هدمه. فبدا الأمر وكأنّه النهاية. لكن سلسلة من الأحداث غيّرت مجرى الأمور، وكأنّ الله أراد أن يقول لهؤلاء السكان: "لا يُقالُ لَكِ مِن بَعدُ: المَهْجورة ولِأَرضِكِ لا يُقالُ مِن بَعدُ: الدَّمار بل تُدْعَينَ: رِضايَ فيها وأَرضُكِ تُدْعى المُتَزوِّجة" (أشعيا 62، 4). أصبحت تلك الكنيسة الصغيرة المزار الوطني، ووجهةَ الحجاج وينبوعَ حياة جديدة. لقد ذكّرتنا أنت، يا جينيفر بأنّ الكثيرين هنا يوكلون آلامهم وأفراحهم لسيّدتنا مريم العذراء، ويشعر الجميع أنّهم مرحَّبٌ بهم. جاء القديس يوحنا بولس الثاني إلى هنا أيضًا كحاج الذي تحل ذكرى وفاته اليوم. المكان الذي بدا مفقودًا، يجدّد الآن الإيمان والرجاء في شعب الله.
في ضوء ذلك، لنحاول أن نستقبل نحن أيضًا دعوة ساعة يسوع، ساعة الخلاص. إنّه يقول لنا: من أجل أن نحيي إيماننا ورسالة الجماعة، فإنّنا مدعوون إلى أن نعود إلى تلك البداية، إلى الكنيسة النائشة التي نراها عند الصليب في مريم ويوحنا. لكن ماذا يعني أن نعود إلى تلك البداية؟ ماذا يعني أن نعود إلى الأصول؟
يجب أوّلًا إعادة اكتشاف جوهر الإيمان. أن نعود إلى كنيسة الأصول لا يعني أن ننظر إلى الوراء لتقليد أسلوب الجماعة المسيحيّة الأولى الكنسي. لا يمكنُنا ”القفز على التاريخ“، وكأنّ الله لم يتكلّم ويعمل أمورًا عظيمة أيضًا في حياة الكنيسة في القرون المتوالية. كما أنّه لا يعني أن نكون مثاليين للغاية، وأن نتخيّل أنّه لم يكن صعوبات في تلك الجماعة؛ بل على العكس، نقرأ أنّ التلاميذ كانوا يتجادلون ووصلوا إلى حد المشاجرة فيما بينهم، وأنّهم لم يفهموا دائمًا تعاليم الرّبّ يسوع. بدلاً من ذلك، أن نعود إلى الأصول يعني أن نستعيد روح الجماعة المسيحيّة الأولى، أي أن نعود إلى القلب ونكتشف من جديد مركز الإيمان: العلاقة مع يسوع وإعلان إنجيله للعالم أجمع. وهذا هو الجوهر! هذا هو فرح الكنيسة: البشارة.
في الواقع، نرى أنّه بعد ساعة موت يسوع، التلاميذ الأوائل، مثل مريم المجدلية ويوحنا، بعد أن رأوا القبر الفارغ، لم يضيِّعوا الوقت، بل ركضوا بقلوب مرتجفة، وذهبوا يعلنون بُشرى القيامة السّارة. تحوّل بكاء الألم عند الصّليب إلى فرح البشارة. وأفكّر في الرسل الذين كُتبَ عنهم: "كانوا لا يَنفكُّونَ كُلَّ يَومٍ في الهَيكلِ وفي البُيوت يُعلِّمونَ ويُبَشِّرونَ بِأَنَّ يسوعَ هو المسيح" (أعمال الرسل 5، 42). لم يكن هَمُّ تلاميذ يسوع الأساسي هو شهرة الجماعة وشهرة خدامها، والتأثير في المجتمع، والاحتفالات الكبرى في العبادة. كلا. كان همَّهم ودافعَهم هو إعلانُ بشارة إنجيل المسيح والشهادةُ له (راجع رومة 1، 1)، لأن فرح الكنيسة هو البشارة.
أيّها الإخوة والأخوات، تفتخر الكنيسة في مالطا بتاريخ زاخر تستمد منه الكثير من الغنى الروحي والرعوي. ومع ذلك، فإنّ حياة الكنيسة – لنتذكّر ذلك دائمًا - ليست أبدًا مجرد ”تاريخٍ ماضٍ نتذكره“، بل هو ”مستقبل عظيم يجب بناؤه“، في الطاعة لمشاريع الله. لا يكفي إيمان يتكوّن من عادات متوارثة، واحتفالات كبرى، ومناسبات شعبيّة جميلة، ولحظات إيمان كثيفة ومليئة بالمشاعر، بل نحن بحاجة إلى إيمان يتأسّس ويتجدّد في اللقاء الشخصي مع المسيح، وفي الإصغاء اليومي إلى كلمته، وفي المشاركة الفعّالة في حياة الكنيسة، وفي روح التقوى الشعبيّة.
إنّ أزمة الإيمان، والفتور في ممارسة الإيمان، خاصّةً في فترة ما بعد الجائحة، واللامبالاة عند شبابٍ كثيرين بالنّسبة لحضور الله، ليست مسائل يجب أن ”نلطّفها“، ونفكّر أنّ روحًا متديّنة معيّنة، بصورة عامة، ما زالت تقاوِم، لا. أحيانًا، في الواقع، يمكن أن تكون الهيكليّات متديّنة، ولكن وراء هذا الثّوب، الإيمان يَهرَم. في الواقع، إنّ خزانة الملابس الأنيقة الخاصّة بالأثواب الدينيّة، لا تتطابق دائمًا مع إيمان حيويّ تحرّكه ديناميّة البشارة. يجب أن نحذر حتّى لا تقتصر الممارسات الدينيّة على تكرار مختارات من الماضي، بل يجب أن تعبّر عن إيمان حيّ ومنفتح ينشر فرح الإنجيل، لأن فرح الكنيسة هو البشارة.
أعلم أنّكم بدأتم، من خلال السّينودس، عمليّة تجديد، وأشكُرُكم على هذه المسيرة. أيّها الإخوة والأخوات، هذا هو الوقت المناسب لنعود إلى تلك البداية، تحت الصّليب، وننظر إلى الجماعة المسيحيّة الأولى. حتّى نكون كنيسة تهتمّ بالصّداقة مع يسوع وبشارة إنجيله، لا أن تبحث عن مساحات واهتمام للظهور، كنيسة تكون الشّهادة فيها هي المحور وليس بعض العادات الدينيّة، كنيسة ترغب في أن تلتقي مع الجميع مع مصباح الإنجيل المضاء، لا أن تكون دائرة مغلقة. لا تخافوا أن تسلكوا طرقًا جديدة، كما تفعلون الآن، وربّما تكون أيضًا مجازفة، طرقًا للبشارة والإعلان، فهي التي تمسّ الحياة، لأن فرح الكنيسة هو البشارة.
لننظر مرّة أخرى إلى الأصول، إلى مريم ويوحنّا تحت الصّليب. منذ بَدءِ الكنيسة، يوجد تبادل الثقة بينهما. في الواقع، أوكل الرّبّ يسوع إلى كلٍّ منهما أن يعتني بالآخر: أوكل يوحنّا إلى مريم ومريم إلى يوحنّا، و"مُنذُ تِلكَ السَّاعَةِ استَقبَلَها التِّلميذُ في بَيتِه" (يوحنّا 19، 27). أن نعود إلى البداية يعني أيضًا أن نطوّر فنّ الاستقبال. من بين الكلمات الأخيرة ليسوع على الصّليب، الموجّهة إلى أمّه وإلى يوحنّا، حثّهما على أن يجعلا الاستقبال أسلوب التّلمذة الدّائم. في الواقع، لم يكن الأمر علامة تقوى بسيطة، بها عهِدَ يسوع بأمِّه إلى يوحنّا حتّى لا تبقى بمفردها بعد موته، بل كانت مؤشّرًا عمليًّا إلى كيفيّة عيش الوصيّة الكبرى، وصيّة المحبّة. تَمُرُّ عبادتنا لله من خلال قربنا من أخينا.
وكم هي مهمّة المحبّة بين الإخوة واستقبال الآخرين في الكنيسة! ذكّرنا الرّبّ يسوع بهذا في ساعة صلبِه، في استقبال مريم ويوحنّا المتبادل، وحثّ الجماعة المسيحيّة في كلّ زمن على ألّا يضيّعوا هذه الأولويّة. "هذا ابنُكِ"، "هذه أُمُّكَ" (الآيات 26، 27)، كما لو قلنا: إنّكم خُلِّصتُم بالدّم نفسه، أنتم عائلة واحدة، لذا استقبلوا بعضُكم بعضًا، وأحبّوا بعضكم بعضًا، واشفوا جراح بعضكم البعض. من دون شكوك وانقسامات وإشاعات ونميمة وعدم ثقة. أيّها الإخوة والأخوات، اعملوا ”سينودسًا“، أي ”سيروا معًا“. لأنّ الله حاضر حيث تَملِكُ المحبّة!
أيّها الأعزّاء، لا تقوموا بالاستقبال المتبادل بدافع شكليّ محض، بل باسم المسيح، إنّه تحدٍّ دائم. إنّه تحدٍّ أوّلاً بالنّسبة لعلاقاتنا الكنسيّة، لأنّ رسالتنا ستؤتي ثمرها إن عملنا في صداقة وشركة أخويّة. إنّكما جماعتان اثنتان جميلتان، مالطا وجوزو، جوزو ومالطا - لا أعرف أيّهما الأكثر أهمية أو الأوّل! -، تمامًا مثلما كانا اثنين مريم ويوحنّا! لتكن كلمات يسوع على الصّليب نجمتكم المرشدة، حتّى تستقبلوا بعضكم بعضًا، وتخلقوا ألفة، وتعملوا في شركة ووَحدة! ولنسر دائمًا قُدُمًا في البشارة، لأن فرح الكنيسة هو البشارة.
الاستقبال هو أيضًا الاختبار الأخير حتّى نتحقّق كم هو حاضر فعلًا روح الإنجيل في الكنيسة. استقبل يوحنّا ومريم أحدهما الآخر لا في الملجأ الدّافئ في العليّة، بل عند الصّليب، في ذلك المكان المظلم حيث كانَ يُحكَم على المجرمين وحيث كانوا يُصلَبون. ونحن أيضًا، لا نستطيع أن نستقبل فقط في ما بيننا، في ظلّ كنائسنا الجميلة، بينما الكثير من الإخوة والأخوات في الخارج يعانون ويُصلَبون بسبب الألم والبؤس والفقر والعنف. أنتم موجودون في موقع جغرافي في غاية الأهمية، يطلّ على البحر الأبيض المتوسّطمثل محور جذب ومرسى نجاة لأشخاصٍ كثيرين تتقاذفهم عواصف الحياة، الذين وصلوا إلى شواطئكم، لأسباب مختلفة. في وجه هؤلاء المساكين، المسيح نفسه هو الذي يقدّم نفسه لكم. كانت هذه خبرة الرّسول بولس الذي استقبله أسلافكم بحرارة، بعد غرقٍ مروّع. قال سفر أعمال الرّسل ما يلي: "وقابَلَنا الأَهلونَ فأَوقَدوا نارًا وقَرَّبونا جَميعًا إِلَيهِم حَولَها لِنُزولِ المَطَرِ وشِدَّةِ البَرْد" (أعمال الرّسل 28، 2).
هذا هو الإنجيل الذي نحن مدعوّون إلى أن نعيشه: أن نستقبل، ونكون خبراء في الإنسانيّة، ونشعل نيران الحنان عندما يخيّم برد الحياة على الذين يتألّمون. في هذه الحالة أيضًا، وُلد أمرٌ مهمّ من خبرة مأساويّة، لأنّ بولس أعلن ونشر الإنجيل، وبالتّالي، تبعه مبشّرون ووعّاظ وكهنة ومرسلون كثيرون، مدفوعين من الرّوح القدس، للتبشير، ولحمل قُدُمًا فرح الكنيسة الذي هو البشارة. أودّ أن أقول شكرًا خاصًّا لهم، لهؤلاء المبشرين، والمرسلين المالطيّين الكثيرين الذين نشروا فرح الإنجيل في جميع أنحاء العالم، والكهنة والرّاهبات والرّهبان الكثيرين ولكم جميعًا. كما قال أسقفكم، المونسنيور تيوما (Teuma)، أنتم جزيرة صغيرة، ولكن قلبكم كبير. أنتم كنز في الكنيسة وللكنيسة. أقولها مرة أخرى: أنتم كنز في الكنيسة وللكنيسة. حتّى نحافظ عليه، يجب أن نعود إلى جوهر المسيحيّة: إلى محبّة الله، محرّك فرحنا، الذي يجعلنا نخرج ونسير في طرق العالم، ونستقبل الآخرين، وهذا أبسط وأجمل شهادة لنا في العالم، وبالتالي أن نمضي قُدُمًا في طرق العالم، لأن فرح الكنيسة هو البشارة.
ليرافقكم الرّبّ يسوع في هذا الطّريق ولتقُدْكم سيّدتنا مريم العذراء القدّيسة. هي، التي طلبت منّا أن نصلّي ثلاث مرّات ”السلام عليك يا مريم“ حتّى تذكّرنا بقلبها، قلب الأم، لتشعل فينا، نحن أبناءها، نار الرّسالة والرّغبة في أن نعتني بعضنا ببعض.
لتحرسكم سيّدتنا مريم العذراء ولترافقكم في البشارة.
[00485-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0237-XX.02]