Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza le Delegazioni dei Popoli Indigeni del Canada e ha rivolto loro il discorso che pubblichiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio Mons. Poisson per le sue parole e ciascuno di voi per la presenza e per le preghiere che sono state elevate al Cielo. Vi sono grato per essere venuti a Roma, nonostante i disagi dovuti alla pandemia. Nei giorni scorsi ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze. Le ho portate con me nella riflessione e nella preghiera, immaginando le vostre storie e le vostre situazioni. Vi sono riconoscente per avere aperto il cuore e perché con questa visita avete espresso il desiderio di camminare insieme.
Vorrei riprendere alcuni dei tanti aspetti che mi hanno colpito. Comincio da un’espressione che appartiene alla vostra saggezza e che non è solo un modo di dire, ma un modo di vedere la vita: “Bisogna pensare sette generazioni avanti quando si prende una decisione oggi”. È saggia questa frase, è lungimirante, ed è il contrario di quello che succede spesso ai nostri giorni, dove si inseguono traguardi utili e immediati senza considerare il futuro delle prossime generazioni. Invece, il legame tra gli anziani e i giovani è indispensabile. Va coltivato e custodito, perché permette di non vanificare la memoria e di non smarrire l’identità. E quando si salvaguardano la memoria e l’identità, migliora l’umanità.
Ancora, è emersa nei giorni passati una bella immagine. Vi siete paragonati ai rami di un albero. Come loro, siete cresciuti in varie direzioni, avete attraversato diverse stagioni e siete stati anche sbattuti da forti venti. Ma vi siete ancorati con forza alle radici, che avete mantenuto salde. E così continuate a portare frutto, perché i rami si stendono in alto solo se le radici sono profonde. Vorrei menzionare alcuni frutti, che meritano di essere conosciuti e valorizzati. Anzitutto la vostra cura per il territorio, che non intendete come un bene da sfruttare, ma come un dono del Cielo; esso per voi custodisce la memoria degli antenati che vi riposano ed è uno spazio vitale, nel quale cogliere la propria esistenza all’interno di un tessuto di relazioni con il Creatore, con la comunità umana, con le specie viventi e con la casa comune che abitiamo. Tutto ciò vi porta a ricercare un’armonia interiore ed esteriore, a nutrire grande amore per la famiglia e ad avere un senso vivo della comunità. A ciò si aggiungono le ricchezze specifiche delle vostre lingue, delle vostre culture, delle vostre tradizioni e forme artistiche, patrimoni che non appartengono solo a voi, ma all’intera umanità, in quanto esprimono umanità.
Ma il vostro albero che porta frutto ha subito una tragedia, che mi avete raccontato in questi giorni: quella dello sradicamento. La catena che ha tramandato conoscenze e stili di vita, in unione con il territorio, è stata spezzata dalla colonizzazione, che senza rispetto ha strappato molti di voi dall’ambiente vitale e ha provato ad uniformarvi a un’altra mentalità. Così la vostra identità e la vostra cultura sono state ferite, molte famiglie separate, tanti ragazzi sono diventati vittime di questa azione omologatrice, sostenuta dall’idea che il progresso avvenga per colonizzazione ideologica, secondo programmi studiati a tavolino anziché rispettando la vita dei popoli. È qualcosa che, purtroppo, avviene anche oggi, a vari livelli: le colonizzazioni ideologiche. Quante colonizzazioni politiche, ideologiche ed economiche ci sono ancora nel mondo, sospinte dall’avidità, dalla sete di profitto, incuranti delle popolazioni, delle loro storie e delle loro tradizioni, e della casa comune del creato. È purtroppo ancora molto diffusa questa mentalità coloniale. Aiutiamoci insieme a superarla.
Attraverso le vostre voci ho potuto toccare con mano e portare dentro di me, con grande tristezza nel cuore, i racconti di sofferenze, privazioni, trattamenti discriminatori e varie forme di abuso subiti da diversi di voi, in particolare nelle scuole residenziali. È agghiacciante pensare alla volontà di istillare un senso di inferiorità, di far perdere a qualcuno la propria identità culturale, di troncare le radici, con tutte le conseguenze personali e sociali che ciò ha comportato e continua a comportare: traumi irrisolti, che sono diventati traumi intergenerazionali.
Tutto ciò ha suscitato in me due sentimenti: indignazione e vergogna. Indignazione, perché è ingiusto accettare il male, ed è ancora peggio abituarsi al male, come se fosse una dinamica ineludibile provocata dalle vicende della storia. No, senza una ferma indignazione, senza memoria e senza impegno a imparare dagli errori i problemi non si risolvono e ritornano. Lo vediamo in questi giorni a proposito della guerra. Non si deve mai sacrificare la memoria del passato sull’altare di un presunto progresso.
E provo anche vergogna, ve l’ho detto e lo ripeto: provo vergogna, dolore e vergogna per il ruolo che diversi cattolici, in particolare con responsabilità educative, hanno avuto in tutto quello che vi ha ferito, negli abusi e nella mancanza di rispetto verso la vostra identità, la vostra cultura e persino i vostri valori spirituali. Tutto ciò è contrario al Vangelo di Gesù. Per la deplorevole condotta di quei membri della Chiesa cattolica chiedo perdono a Dio e vorrei dirvi, di tutto cuore: sono molto addolorato. E mi unisco ai Fratelli Vescovi canadesi nel chiedervi scusa. È evidente che non si possono trasmettere i contenuti della fede in una modalità estranea alla fede stessa: Gesù ci ha insegnato ad accogliere, amare, servire e non giudicare; è terribile quando, proprio in nome della fede, si rende una contro-testimonianza al Vangelo.
La vostra vicenda amplifica in me quelle domande, molto attuali, che il Creatore rivolge all’umanità all’inizio della Bibbia. Dapprima, dopo la colpa commessa, chiede all’uomo: «Dove sei?» (Gen 3,9). Poco dopo, gli pone un altro interrogativo, che non si può scollegare al precedente: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Dove sei, dov’è tuo fratello? Sono domande da ripeterci sempre, sono gli interrogativi essenziali della coscienza perché non ci scordiamo di essere su questa Terra come custodi della sacralità della vita e dunque custodi dei fratelli, di ogni popolo fratello.
Al contempo, penso con gratitudine a tanti bravi credenti che, in nome della fede, con rispetto, amore e gentilezza, hanno arricchito la vostra storia con il Vangelo. Mi dà gioia, ad esempio, pensare alla venerazione che si è diffusa tra molti di voi nei confronti di sant’Anna, la nonna di Gesù. Quest’anno io vorrei essere con voi, in quei giorni. Oggi abbiamo bisogno di ricostituire un’alleanza tra i nonni e i nipoti, tra gli anziani e i giovani, premessa fondamentale per una maggiore unità della comunità umana.
Cari fratelli e sorelle, auspico che gli incontri di questi giorni possano aprire strade ulteriori da percorrere insieme, infondere coraggio e accrescere l’impegno a livello locale. Un efficace processo di risanamento richiede azioni concrete. In spirito di fraternità, incoraggio i Vescovi e i Cattolici a continuare a intraprendere passi per la ricerca trasparente della verità e per promuovere la guarigione delle ferite e la riconciliazione; passi di un cammino che permetta di riscoprire e rivitalizzare la vostra cultura, accrescendo nella Chiesa l’amore, il rispetto e l’attenzione specifica nei riguardi delle vostre tradizioni genuine. Vorrei dirvi che la Chiesa sta dalla vostra parte e vuole continuare a camminare con voi. Il dialogo è la chiave per conoscere e condividere e i Vescovi del Canada hanno chiaramente espresso il loro impegno a continuare a camminare insieme con voi in una via rinnovata, costruttiva, feconda, dove incontri e progetti condivisi potranno aiutare.
Carissimi, sono stato arricchito dalle vostre parole e ancora di più dalla vostra testimonianza. Avete portato qua a Roma il senso vivo delle vostre comunità. Sarò felice di beneficiare ancora dell’incontro con voi, visitando i vostri territori natii, dove vivono le vostre famiglie. Non verrò in inverno, da voi! Vi do allora l’arrivederci in Canada, dove potrò meglio esprimervi la mia vicinanza. Vi assicuro intanto la preghiera, invocando la benedizione del Creatore su di voi, sulle vostre famiglie, sulle vostre comunità.
E non voglio finire senza dire una parola a voi, fratelli Vescovi: grazie! Grazie per il coraggio, grazie. Nell’umiltà: nell’umiltà si rivela lo Spirito del Signore. Davanti a storie come questa che abbiamo sentito, l’umiliazione della Chiesa è fecondità. Grazie per il vostro coraggio.
E grazie a tutti voi!
Alla fine dell'Udienza, il Santo Padre ha impartito la benedizione e salutato le Delegazioni di Indigeni del Canada in inglese con queste parole:
Benedizione del Santo Padre
God bless you all – the Father, the Son and the Holy Spirit.
Pray for me, don’t forget! I’ll pray for you. Thank you very much for your visit. Bye bye!
[00500-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters,
Good morning and welcome!
I thank Bishop Poisson for his kind words and each of you for your presence here and for the prayers that you have offered. I am grateful that you have come to Rome despite the difficulties caused by the pandemic. Over the past few days, I have listened attentively to your testimonies. I have brought them to my thoughts and prayers, and reflected on the stories you told and the situations you described. I thank you for having opened your hearts to me, and for expressing, by means of this visit, your desire for us to journey together.
I would like to take up a few of the many things that have struck me. Let me start from a saying that is part of your traditional wisdom. It is not only a turn of phrase but also a way of viewing life: “In every deliberation, we must consider the impact on the seventh generation”. These are wise words, farsighted and the exact opposite of what often happens in our own day, when we run after practical and immediate goals without thinking of the future and generations yet to come. For the ties that connect the elderly and the young are essential. They must be cherished and protected, lest we lose our historical memory and our very identity. Whenever memory and identity are cherished and protected, we become more human.
In these days, a beautiful image kept coming up. You compared yourselves to the branches of a tree. Like those branches, you have spread in different directions, you have experienced various times and seasons, and you have been buffeted by powerful winds. Yet you have remained solidly anchored to your roots, which you kept strong. In this way, you have continued to bear fruit, for the branches of a tree grow high only if its roots are deep. I would like to speak of some of those fruits, which deserve to be better known and appreciated.
First, your care for the land, which you see not as a resource to be exploited, but as a gift of heaven. For you, the land preserves the memory of your ancestors who rest there; it is a vital setting making it possible to see each individual’s life as part of a greater web of relationships, with the Creator, with the human community, with all living species and with the earth, our common home. All this leads you to seek interior and exterior harmony, to show great love for the family and to possess a lively sense of community. Then too, there are the particular riches of your languages, your cultures, your traditions and your forms of art. These represent a patrimony that belongs not only to you, but to all humanity, for they are expressions of our common humanity.
Yet that tree, rich in fruit, has experienced a tragedy that you described to me in these past days: the tragedy of being uprooted. The chain that passed on knowledge and ways of life in union with the land was broken by a colonization that lacked respect for you, tore many of you from your vital milieu and tried to conform you to another mentality. In this way, great harm was done to your identity and your culture, many families were separated, and great numbers of children fell victim to these attempts to impose a uniformity based on the notion that progress occurs through ideological colonization, following programmes devised in offices rather than the desire to respect the life of peoples. This is something that, unfortunately, and at various levels, still happens today: ideological colonization. How many forms of political, ideological and economic colonization still exist in the world, driven by greed and thirst for profit, with little concern for peoples, their histories and traditions, and the common home of creation! Sadly, this colonial mentality remains widespread. Let us help each other, together, to overcome it.
Listening to your voices, I was able to enter into and be deeply grieved by the stories of the suffering, hardship, discrimination and various forms of abuse that some of you experienced, particularly in the residential schools. It is chilling to think of determined efforts to instil a sense of inferiority, to rob people of their cultural identity, to sever their roots, and to consider all the personal and social effects that this continues to entail: unresolved traumas that have become intergenerational traumas.
All this has made me feel two things very strongly: indignation and shame. Indignation, because it is not right to accept evil and, even worse, to grow accustomed to evil, as if it were an inevitable part of the historical process. No! Without real indignation, without historical memory and without a commitment to learning from past mistakes, problems remain unresolved and keep coming back. We can see this these days in the case of war. The memory of the past must never be sacrificed at the altar of alleged progress.
I also feel shame. I have said this to you and now I say it again. I feel shame – sorrow and shame – for the role that a number of Catholics, particularly those with educational responsibilities, have had in all these things that wounded you, in the abuses you suffered and in the lack of respect shown for your identity, your culture and even your spiritual values. All these things are contrary to the Gospel of Jesus Christ. For the deplorable conduct of those members of the Catholic Church, I ask for God's forgiveness and I want to say to you with all my heart: I am very sorry. And I join my brothers, the Canadian bishops, in asking your pardon. Clearly, the content of the faith cannot be transmitted in a way contrary to the faith itself: Jesus taught us to welcome, love, serve and not judge; it is a frightening thing when, precisely in the name of the faith, counter-witness is rendered to the Gospel.
Your experiences have made me ponder anew those ever timely questions that the Creator addresses to mankind in the first pages of the Bible. After the first sin, he asks: “Where are you?” (Gen 3:9). Then, a few pages later, he asks another question, inseparable from the first: “Where is your brother?” (Gen 4:9). Where are you? Where is your brother? These are questions we should never stop asking. They are the essential questions raised by our conscience, lest we ever forget that we are here on this earth as guardians of the sacredness of life, and thus guardians of our brothers and sisters, and of all brother peoples.
At the same time, I think with gratitude of all those good and decent believers who, in the name of the faith, and with respect, love and kindness, have enriched your history with the Gospel. I think with joy, for example, of the great veneration that many of you have for Saint Anne, the grandmother of Jesus. This year I would like to be with you on those days. Today we need to reestablish the covenant between grandparents and grandchildren, between the elderly and the young, for this is a fundamental prerequisite for the growth of unity in our human family.
Dear brothers and sisters, it is my hope that our meetings in these days will point out new paths to be pursued together, instil courage and strength, and lead to greater commitment on the local level. Any truly effective process of healing requires concrete actions. In a fraternal spirit, I encourage the Bishops and the Catholic community to continue taking steps towards the transparent search for truth and to foster healing and reconciliation. These steps are part of a journey that can favour the rediscovery and revitalization of your culture, while helping the Church to grow in love, respect and specific attention to your authentic traditions. I wish to tell you that the Church stands beside you and wants to continue journeying with you. Dialogue is the key to knowledge and sharing, and the Bishops of Canada have clearly stated their commitment to continue advancing together with you on a renewed, constructive, fruitful path, where encounters and shared projects will be of great help.
Dear friends, I have been enriched by your words and even more by your testimonies. You have brought here, to Rome, a living sense of your communities. I will be happy to benefit again from meeting you when I visit your native lands, where your families live. I won’t come in the winter! So I will close by saying “Until we meet again” in Canada, where I will be able better to express to you my closeness. In the meantime, I assure you of my prayers, and upon you, your families and your communities I invoke the blessing of the Creator.
I don’t want to end without saying a word to you, my brother Bishops: Thank you! Thank you for your courage. The Spirit of the Lord is revealed in humility. Before stories like the one we heard, the humiliation of the Church is fruitfulness. Thank you for your courage.
I thank all of you!
Blessing of the Holy Father
God bless you all – the Father, the Son and the Holy Spirit.
Pray for me, don’t forget! I’ll pray for you. Thank you very much for your visit. Bye bye!
[00500-EN.01] [Original text: Italian]
[B0232-XX.02]