Messaggio del Santo Padre
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Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per la 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si celebra, in molti Paesi, il 29 maggio 2022 sul tema “Ascoltare con l’orecchio del cuore”:
Messaggio del Santo Padre
Ascoltare con l’orecchio del cuore
Cari fratelli e sorelle!
Lo scorso anno abbiamo riflettuto sulla necessità di “andare e vedere” per scoprire la realtà e poterla raccontare a partire dall’esperienza degli eventi e dall’incontro con le persone. Proseguendo in questa linea, desidero ora porre l’attenzione su un altro verbo, “ascoltare”, decisivo nella grammatica della comunicazione e condizione di un autentico dialogo.
In effetti, stiamo perdendo la capacità di ascoltare chi abbiamo di fronte, sia nella trama normale dei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile. Allo stesso tempo, l’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e informativo, attraverso le diverse offerte di podcast e chat audio, a conferma che l’ascoltare rimane essenziale per la comunicazione umana.
A un illustre medico, abituato a curare le ferite dell’anima, è stato chiesto quale sia il bisogno più grande degli esseri umani. Ha risposto: “Il desiderio sconfinato di essere ascoltati”. Un desiderio che spesso rimane nascosto, ma che interpella chiunque sia chiamato ad essere educatore o formatore, o svolga comunque un ruolo di comunicatore: i genitori e gli insegnanti, i pastori e gli operatori pastorali, i lavoratori dell’informazione e quanti prestano un servizio sociale o politico.
Ascoltare con l’orecchio del cuore
Dalle pagine bibliche impariamo che l’ascolto non ha solo il significato di una percezione acustica, ma è essenzialmente legato al rapporto dialogico tra Dio e l’umanità. «Shema’ Israel - Ascolta, Israele» (Dt 6,4), l’incipit del primo comandamento della Torah, è continuamente riproposto nella Bibbia, al punto che San Paolo affermerà che «la fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17). L’iniziativa, infatti, è di Dio che ci parla, al quale noi rispondiamo ascoltandolo; e anche questo ascoltare, in fondo, viene dalla sua grazia, come accade al neonato che risponde allo sguardo e alla voce della mamma e del papà. Tra i cinque sensi, quello privilegiato da Dio sembra essere proprio l’udito, forse perché è meno invasivo, più discreto della vista, e dunque lascia l’essere umano più libero.
L’ascolto corrisponde allo stile umile di Dio. È quell’azione che permette a Dio di rivelarsi come Colui che, parlando, crea l’uomo a sua immagine, e ascoltando lo riconosce come proprio interlocutore. Dio ama l’uomo: per questo gli rivolge la Parola, per questo “tende l’orecchio” per ascoltarlo.
L’uomo, al contrario, tende a fuggire la relazione, a voltare le spalle e “chiudere le orecchie” per non dover ascoltare. Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro, come avvenne agli ascoltatori del diacono Stefano i quali, turandosi gli orecchi, si scagliarono tutti insieme contro di lui (cfr At 7,57).
Da una parte, quindi, c’è Dio che sempre si rivela comunicandosi gratuitamente, dall’altra l’uomo al quale è richiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto. Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro. L’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore.
Per questo Gesù chiama i suoi discepoli a verificare la qualità del loro ascolto. «Fate attenzione dunque a come ascoltate» (Lc 8,18): così li esorta dopo aver raccontato la parabola del seminatore, lasciando intendere che non basta ascoltare, bisogna farlo bene. Solo chi accoglie la Parola con il cuore “bello e buono” e la custodisce fedelmente porta frutti di vita e di salvezza (cfr Lc 8,15). Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare, il cui centro non è una teoria o una tecnica, ma la «capacità del cuore che rende possibile la prossimità» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 171).
Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore. Il re Salomone, pur giovanissimo, si dimostrò saggio perché domandò al Signore di concedergli «un cuore che ascolta» (1 Re 3,9). E Sant’Agostino invitava ad ascoltare con il cuore (corde audire), ad accogliere le parole non esteriormente nelle orecchie, ma spiritualmente nei cuori: «Non abbiate il cuore nelle orecchie, ma le orecchie nel cuore».[1] E San Francesco d’Assisi esortava i propri fratelli a «inclinare l’orecchio del cuore».[2]
Perciò, il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro. Non siamo fatti per vivere come atomi, ma insieme.
L’ascolto come condizione della buona comunicazione
C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta.
La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso “ci si parla addosso”. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience. La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà. È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni.
In realtà, in molti dialoghi noi non comunichiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista. In queste situazioni, come nota il filosofo Abraham Kaplan,[3] il dialogo è un duologo, un monologo a due voci. Nella vera comunicazione, invece, l’io e il tu sono entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro.
L’ascoltare è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza.
Solo se si esce dal monologo, infatti, si può giungere a quella concordanza di voci che è garanzia di una vera comunicazione. Ascoltare più fonti, “non fermarsi alla prima osteria” – come insegnano gli esperti del mestiere – assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo. Ascoltare più voci, ascoltarsi, anche nella Chiesa, tra fratelli e sorelle, ci permette di esercitare l’arte del discernimento, che appare sempre come la capacità di orientarsi in una sinfonia di voci.
Ma perché affrontare la fatica dell’ascolto? Un grande diplomatico della Santa Sede, il Cardinale Agostino Casaroli, parlava di “martirio della pazienza”, necessario per ascoltare e farsi ascoltare nelle trattative con gli interlocutori più difficili, al fine di ottenere il maggior bene possibile in condizioni di limitazione della libertà. Ma anche in situazioni meno difficili, l’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, fosse pure solo un frammento di verità, nella persona che stiamo ascoltando. Solo lo stupore permette la conoscenza. Penso alla curiosità infinita del bambino che guarda al mondo circostante con gli occhi sgranati. Ascoltare con questa disposizione d’animo – lo stupore del bambino nella consapevolezza di un adulto – è sempre un arricchimento, perché ci sarà sempre una cosa, pur minima, che potrò apprendere dall’altro e mettere a frutto nella mia vita.
La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche.
Anche la realtà delle migrazioni forzate è una problematica complessa e nessuno ha la ricetta pronta per risolverla. Ripeto che, per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare.
Ascoltarsi nella Chiesa
Anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci. È il dono più prezioso e generativo che possiamo offrire gli uni agli altri. Noi cristiani dimentichiamo che il servizio dell’ascolto ci è stato affidato da Colui che è l’uditore per eccellenza, alla cui opera siamo chiamati a partecipare. «Noi dobbiamo ascoltare attraverso l’orecchio di Dio, se vogliamo poter parlare attraverso la sua Parola».[4] Così il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer ci ricorda che il primo servizio che si deve agli altri nella comunione consiste nel prestare loro ascolto. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non sarà più capace di ascoltare nemmeno Dio.[5]
Nell’azione pastorale, l’opera più importante è “l’apostolato dell’orecchio”. Ascoltare, prima di parlare, come esorta l’apostolo Giacomo: «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare» (1,19). Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità.
È stato da poco avviato un processo sinodale. Preghiamo perché sia una grande occasione di ascolto reciproco. La comunione, infatti, non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia. Allo stesso tempo, ogni voce del coro canta ascoltando le altre voci e in relazione all’armonia dell’insieme. Questa armonia è ideata dal compositore, ma la sua realizzazione dipende dalla sinfonia di tutte e singole le voci.
Nella consapevolezza di partecipare a una comunione che ci precede e ci include, possiamo riscoprire una Chiesa sinfonica, nella quale ognuno è in grado di cantare con la propria voce, accogliendo come dono quelle degli altri, per manifestare l’armonia dell’insieme che lo Spirito Santo compone.
Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2022, Memoria di San Francesco di Sales.
FRANCESCO
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[1] «Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde» (Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana 34, 568).
[2] Lettera a tutto l’Ordine: Fonti Francescane, 216.
[3] Cfr The life of dialogue, in J. D. Roslansky ed., Communication. A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company – Amsterdam 1969, 89-108.
[4] D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia 2017, 76.
[5] Cfr ibid., 75.
[00106-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Écouter avec l’oreille du cœur
Chers frères et sœurs!
L'année dernière, nous avons réfléchi à la nécessité de “venir et voir” pour découvrir la réalité et pouvoir la raconter à partir de l'expérience des événements et de la rencontre avec les personnes. En poursuivant dans cette ligne, je voudrais maintenant porter l'attention sur un autre verbe, "écouter", qui est décisif dans la grammaire de la communication et condition pour un dialogue authentique.
En effet, nous perdons la capacité d'écouter ceux qui sont en face de nous, tant dans le cours normal des relations quotidiennes que dans les débats sur des questions plus importantes de la vie civile. Parallèlement, l'écoute connaît un nouveau développement important dans le domaine de la communication et de l'information, à travers les différentes offres de podcast et de chat audio, confirmant qu’elle reste essentielle pour la communication humaine.
On a demandé à un illustre médecin, habitué à soigner les blessures de l'âme, quel était le plus grand besoin des êtres humains. Il a répondu : "Le désir illimité d'être écouté". Un désir qui reste souvent caché, mais qui interpelle tous ceux qui sont appelés à être éducateurs ou formateurs, ou qui de toute façon jouent le rôle de communicateurs : parents et enseignants, pasteurs et agents pastoraux, professionnels de l'information et ceux qui exercent un service social ou politique.
Écouter avec l'oreille du cœur
Des pages de la Bible nous apprenons que l'écoute n’a pas seulement le sens d’une perception acoustique, mais qu'elle est essentiellement liée à la relation de dialogue entre Dieu et l'humanité. "Shema' Israël - Écoute, Israël" (Dt 6, 4), l'incipit du premier commandement de la Torah, est sans cesse répété dans la Bible, au point que saint Paul affirmera que "la foi vient de l'écoute" (Rm 10, 17).
L'initiative, en effet, revient à Dieu qui nous parle, à qui nous répondons en l'écoutant ; et même cette écoute, au fond, vient de sa grâce, comme cela arrive au nouveau-né qui répond au regard et à la voix de sa mère et de son père. Parmi les cinq sens, celui que Dieu privilégie semble être l'ouïe, peut-être parce qu'elle est moins envahissante, plus discrète que la vue, et laisse donc l'être humain plus libre.
L'écoute correspond au style humble de Dieu. C'est cette action qui permet à Dieu de se révéler comme Celui qui, en parlant, crée l'homme à son image, et en l'écoutant le reconnaît comme son interlocuteur. Dieu aime l'homme : c'est pourquoi il lui adresse la Parole, c'est pourquoi il "tend l'oreille" pour l'écouter.
L'homme, au contraire, a tendance à fuir la relation, à tourner le dos et à "se boucher les oreilles" pour ne pas avoir à écouter. Le refus d'écouter finit souvent par devenir une agression envers l'autre, comme cela arriva aux auditeurs du diacre Étienne qui, se bouchant les oreilles, se précipitèrent tous ensemble sur lui (cf. Ac 7, 57).
D'un côté, il y a donc Dieu, qui se révèle toujours en se communiquant gratuitement, et de l'autre il y a l'homme, à qui il est demandé de se mettre à l’unisson, d'écouter. Le Seigneur appelle explicitement l'homme à une alliance d'amour, afin qu'il puisse devenir pleinement ce qu'il est : l'image et la ressemblance de Dieu dans sa capacité d’écouter, d’accueillir, de faire de la place à l’autre. L'écoute, au fond, est une dimension de l'amour.
C'est pourquoi Jésus appelle ses disciples à vérifier la qualité de leur écoute. « Faites donc attention à comment vous écoutez » (Lc 8, 18) : c'est ce à quoi il les exhorte après avoir raconté la parabole du semeur, suggérant qu'il ne suffit pas d'écouter, encore faut-il le faire bien. Seul celui qui accueille la Parole avec un cœur " beau et bon " et la garde fidèlement porte des fruits de vie et de salut (cf. Lc 8, 15). Ce n'est qu'en faisant attention à qui nous écoutons, à ce que nous écoutons et à comment nous écoutons, que nous pouvons grandir dans l'art de communiquer, dont le centre n'est pas une théorie ou une technique, mais la « capacité du cœur qui rend possible la proximité » (Exhortation apostolique Evangelii Gaudium, n. 171).
Nous avons tous des oreilles, mais bien souvent, même celui qui a une ouïe parfaite n’arrive pas à écouter l'autre. Il existe en fait une surdité intérieure, pire que la surdité physique. L'écoute, en effet, ne concerne pas seulement le sens de l'ouïe, mais l'ensemble de la personne. Le véritable siège de l'écoute est le cœur. Le roi Salomon, bien que très jeune, se révéla sage car il demanda au Seigneur de lui accorder « un cœur qui écoute » (1 Rois 3, 9). Et saint Augustin nous invite à écouter avec le cœur (corde audire), à recevoir les paroles non pas extérieurement dans nos oreilles, mais spirituellement dans nos cœurs : « N'ayez pas le cœur dans les oreilles, mais les oreilles dans le cœur ».[1] Et saint François d'Assise exhortait ses frères à « incliner l'oreille du cœur ».[2]
Ainsi, la première écoute à redécouvrir lorsqu'on recherche une communication réelle est l'écoute de soi, de nos besoins les plus réels, ceux inscrits au plus profond de chaque personne. Et nous ne pouvons que repartir de l’écoute de ce qui nous rend uniques dans la création : le désir d'être en relation avec les autres et avec l'Autre. Nous ne sommes pas faits pour vivre comme des atomes, mais pour vivre ensemble.
L'écoute comme condition de la bonne communication
Il existe un usage de l'ouïe qui n'est pas une véritable écoute, mais son contraire : écouter en secret. De fait, une tentation omniprésente qui, à l'ère du web social, semble s'être accentuée, est celle d'écouter et d'espionner, instrumentalisant les autres à notre profit. Au contraire, ce qui rend la communication bonne et pleinement humaine, c'est précisément l'écoute de la personne en face de nous, face à face, l'écoute de l'autre duquel nous nous approchons avec une ouverture loyale, confiante et honnête.
Le manque d'écoute, dont nous faisons si souvent l'expérience dans la vie quotidienne, est malheureusement avéré aussi dans la vie publique, où, au lieu de nous écouter les uns les autres, nous "parlons dans le dos des autres". C'est révélateur du fait que, plutôt que de chercher la vérité et le bien, nous recherchons le consensus ; plutôt que d'écouter, nous prêtons attention à l'audience. La bonne communication, en revanche, ne cherche pas à impressionner le public avec une réplique choc, dans le but de ridiculiser l'interlocuteur, mais elle prête attention aux raisons de l'autre et cherche à saisir la complexité de la réalité. Il est triste quand, même dans l'Église, des alignements idéologiques se forment, l'écoute disparaît et cède la place aux oppositions stériles.
En réalité, dans de nombreux dialogues, nous ne communiquons en fait pas du tout. Nous attendons simplement que l'autre personne finisse de parler pour imposer notre point de vue. Dans ces situations, comme le note le philosophe Abraham Kaplan[3], le dialogue est un duo-logue, un monologue à deux voix. Dans la vraie communication, en revanche, le "je" et le "tu" sont tous deux "en sortie", tendus l'un vers l'autre.
L'écoute est donc le premier ingrédient indispensable du dialogue et de la bonne communication. On ne communique pas si on n’est pas avant tout écouté, et on ne fait pas de bon journalisme sans la capacité d'écouter. Pour offrir une information solide, équilibrée et complète, il est nécessaire d'avoir écouté pendant longtemps. Pour raconter un événement ou décrire une réalité dans un reportage, il est essentiel d'avoir su écouter, disposé même à changer d'avis, à modifier ses propres hypothèses initiales.
En effet, ce n'est qu’en sortant du monologue que l'on peut parvenir à la concordance des voix qui est la garantie d'une véritable communication. Écouter plusieurs sources, "ne pas s'arrêter à la première taverne" - comme nous l'enseignent les experts en la matière - garantit la fiabilité et le sérieux des informations que nous transmettons. Écouter plusieurs voix, s'écouter les uns les autres, même dans l'Église, entre frères et sœurs, nous permet d'exercer l'art du discernement, qui apparaît toujours comme la capacité de s'orienter dans une symphonie de voix.
Mais pourquoi affronter la difficulté de l'écoute ? Un grand diplomate du Saint-Siège, le Cardinal Agostino Casaroli, parlait du "martyre de la patience", nécessaire pour écouter et se faire entendre dans les négociations avec les interlocuteurs les plus difficiles, afin d'obtenir le plus grand bien possible dans des conditions de limitation de la liberté. Mais aussi dans des situations moins difficiles, l'écoute requiert toujours la vertu de la patience, ainsi que la capacité de se laisser surprendre par la vérité, même si ce n'est qu'un fragment de vérité, chez la personne que nous sommes en train d’écouter. Seul l'étonnement permet la connaissance. Je pense à la curiosité infinie de l'enfant qui regarde le monde qui l'entoure avec des yeux grands ouverts. Écouter dans cet état d'esprit - l'émerveillement de l'enfant dans la conscience d'un adulte - est toujours enrichissant, car il y aura toujours quelque chose, aussi petit soit-il, que je pourrai apprendre de l'autre personne et mettre à profit dans ma propre vie.
La capacité d'écouter la société est plus précieuse que jamais en cette époque meurtrie par la longue pandémie. Tant de méfiance accumulée auparavant concernant l'"information officielle" a également provoqué une "infodémie", dans laquelle on a toujours plus de peine à rendre plus crédible et plus transparent le monde de l’information. Nous devons prêter l'oreille et écouter profondément, notamment le malaise social accentué par le ralentissement ou l'arrêt de nombreuses activités économiques.
La réalité de la migration forcée est également une question complexe et personne n'a de recette toute faite pour la résoudre. Je répète que pour surmonter les préjugés sur les migrants et dénouer la dureté de nos cœurs, il faudrait essayer d'écouter leurs histoires ; donner un nom et une histoire à chacun d'eux. Beaucoup de bons journalistes le font déjà. Et beaucoup d'autres voudraient le faire, si seulement ils le pouvaient. Encourageons-les ! Écoutons ces histoires ! Chacun sera alors libre de soutenir les politiques migratoires qu'il juge les plus appropriées pour son pays. Mais nous aurons de toute façon devant les yeux, non pas des chiffres, non pas de dangereux envahisseurs, mais des visages et des histoires de personnes concrètes, des regards, des attentes, des souffrances d'hommes et de femmes à écouter.
S'écouter dans l'Église
Même dans l'Église, il y a un grand besoin d'écouter et de s'écouter. C'est le don le plus précieux et le plus généreux que nous pouvons offrir les uns les autres. Nous, chrétiens, nous oublions que le service de l'écoute nous a été confié par celui qui est l'auditeur par excellence, à l’œuvre duquel nous sommes appelés à participer. « Nous devons écouter à travers l'oreille de Dieu, si nous voulons être capables de parler à travers sa Parole »[4]. C’est ainsi que le théologien protestant Dietrich Bonhoeffer nous rappelle que le premier service que nous devons aux autres dans la communion est de les écouter. Celui qui ne sait pas écouter son frère ne sera bientôt plus capable d'écouter Dieu non plus[5].
Dans l'action pastorale, le travail le plus important est "l'apostolat de l'oreille". Écouter, avant de parler, comme l'exhorte l'apôtre Jacques : « Que chacun soit prompt à écouter, lent à parler » (1, 19). Donner gratuitement un peu de son temps pour écouter les gens est le premier geste de charité.
Un processus synodal vient d'être récemment lancé. Prions pour qu’il soit une grande occasion d’écoute réciproque. La communion, en effet, n'est pas le résultat de stratégies ni de programmes, mais elle se construit dans l'écoute réciproque entre frères et sœurs. Comme dans une chorale, l'unité ne requiert pas l'uniformité, la monotonie, mais la pluralité et la variété des voix, la polyphonie. Au même moment, chaque voix de la chorale chante en écoutant les autres voix et en relation avec l'harmonie de l'ensemble. Cette harmonie est conçue par le compositeur, mais sa réalisation dépend de la symphonie de toutes les voix et de chacune d’elles.
En prenant conscience que nous participons à une communion qui nous précède et nous inclut, nous pouvons redécouvrir une Église symphonique dans laquelle chacun est en mesure de chanter avec sa propre voix, en accueillant celles des autres comme un don, pour manifester l'harmonie de l’ensemble que l'Esprit Saint compose.
Rome, Saint Jean de Latran, 24 janvier 2022, Mémoire de saint François de Sales.
FRANÇOIS
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[1] «Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde» (Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana 34, 568).
[2] Lettera a tutto l’Ordine: Fonti Francescane, p. 216.
[3] Cf. The life of dialogue, in J. D. Roslansky ed., Communication. A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company – Amsterdam 1969, pp. 89-108.
[4] D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia 2017, p. 76.
[5] Cf. Ibid., p. 75.
[00106-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Listening with the ear of the heart
Dear brothers and sisters,
Last year we reflected on the need to “Come and See” in order to discover reality and be able to recount it beginning with experiencing events and meeting people. Continuing in this vein, I would now like to draw attention to another word, “listen”, which is decisive in the grammar of communication and a condition for genuine dialogue.
In fact, we are losing the ability to listen to those in front of us, both in the normal course of everyday relationships and when debating the most important issues of civil life. At the same time, listening is undergoing an important new development in the field of communication and information through the various podcasts and audio messages available that serve to confirm that listening is still essential in human communication.
A respected doctor, accustomed to treating the wounds of the soul, was once asked what the greatest need of human beings is. He replied: “The boundless desire to be heard”. A desire that often remains hidden, but that challenges anyone who is called upon to be an educator or formator, or who otherwise performs a communicative role: parents and teachers, pastors and pastoral workers, communication professionals and others who carry out social or political service.
Listening with the ear of the heart
From the pages of Scripture we learn that listening means not only the perception of sound, but is essentially linked to the dialogical relationship between God and humanity. “Shema’ Israel - Hear, O Israel” (Dt 6:4), the opening words of the first commandment of the Torah, is continually reiterated in the Bible, to the point that Saint Paul would affirm that “faith comes through listening” (cf. Rom 10:17). The initiative, in fact, is God’s, who speaks to us, and to whom we respond by listening to him. In the end, even this listening comes from his grace, as is the case with the newborn child who responds to the gaze and the voice of his or her mother and father. Among the five senses, the one favoured by God seems to be hearing, perhaps because it is less invasive, more discreet than sight, and therefore leaves the human being more free.
Listening corresponds to the humble style of God. It is the action that allows God to reveal himself as the One who, by speaking, creates man and woman in his image, and by listening recognizes them as his partners in dialogue. God loves humanity: that is why he addresses his word to them, and why he “inclines his ear” to listen to them.
On the contrary, human beings tend to flee the relationship, to turn their back and “close their ears” so they do not have to listen. The refusal to listen often ends up turning into aggression towards the other, as happened to those listening to the deacon Stephen who, covering their ears, all turned on him at once (cf. Acts 7:57).
On the one hand, then, God always reveals himself by communicating freely; and on the other hand, man and woman are asked to tune in, to be willing to listen. The Lord explicitly calls the human person to a covenant of love, so that they can fully become what they are: the image and likeness of God in his capacity to listen, to welcome, to give space to others. Fundamentally, listening is a dimension of love.
This is why Jesus calls his disciples to evaluate the quality of their listening. “Take heed then how you hear” (Lk 8:18): this is what he exhorts them to do after recounting the parable of the sower, making it understood that it is not enough simply to listen, but that it is necessary to listen well. Only those who receive the word with an “honest and good” heart and keep it faithfully bear the fruit of life and salvation (cf. Lk 8:15). It is only by paying attention to whom we listen, to what we listen, and to how we listen that we can grow in the art of communicating, the heart of which is not a theory or a technique, but the “openness of heart that makes closeness possible” (cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 171).
We all have ears, but many times even those with perfect hearing are unable to hear another person. In fact, there is an interior deafness worse than the physical one. Indeed, listening concerns the whole person, not just the sense of hearing. The true seat of listening is the heart. Though he was very young, King Solomon proved himself wise because he asked the Lord to grant him a “listening heart” (cf. 1 Kings 3:9). Saint Augustine used to encourage listening with the heart (corde audire), to receive words not outwardly through the ears, but spiritually in our hearts: “Do not have your heart in your ears, but your ears in your heart”.[1] Saint Francis of Assisi exhorted his brothers to “incline the ear of the heart”.[2]
Therefore, when seeking true communication, the first type of listening to be rediscovered is listening to oneself, to one’s truest needs, those inscribed in each person’s inmost being. And we can only start by listening to what makes us unique in creation: the desire to be in relationship with others and with the Other. We are not made to live like atoms, but together.
Listening as a condition of good communication
There is a kind of hearing that is not really listening, but its opposite: eavesdropping. In fact, eavesdropping and spying, exploiting others for our own interests, is an ever-present temptation that nowadays seems to have become more acute in the age of social networks. Rather, what specifically makes communication good and fully human is listening to the person in front of us, face to face, listening to the other person whom we approach with fair, confident, and honest openness.
The lack of listening, which we experience so often in daily life, is unfortunately also evident in public life, where, instead of listening to each other, we often “talk past one another”. This is a symptom of the fact that, rather than seeking the true and the good, consensus is sought; rather than listening, one pays attention to the audience. Good communication, instead, does not try to impress the public with a soundbite, with the aim of ridiculing the other person, but pays attention to the reasons of the other person and tries to grasp the complexity of reality. It is sad when, even in the Church, ideological alignments are formed and listening disappears, leaving sterile opposition in its wake.
In reality, in many dialogues we do not communicate at all. We are simply waiting for the other person to finish speaking in order to impose our point of view. In these situations, as philosopher Abraham Kaplan notes,[3] dialogue is a duologue: a monologue in two voices. In true communication, however, the “I” and the “you” are both “moving out”, reaching out to each other.
Listening is therefore the first indispensable ingredient of dialogue and good communication. Communication does not take place if listening has not taken place, and there is no good journalism without the ability to listen. In order to provide solid, balanced, and complete information, it is necessary to listen for a long time. To recount an event or describe an experience in news reporting, it is essential to know how to listen, to be ready to change one’s mind, to modify one’s initial assumptions.
It is only by putting aside monologues that the harmony of voices that is the guarantee of true communication can be achieved. Listening to several sources, “not stopping at the first tavern” — as the experts in the field teach us — ensures the reliability and seriousness of the information we transmit. Listening to several voices, listening to each other, even in the Church, among brothers and sisters, allows us to exercise the art of discernment, which always appears as the ability to orient ourselves in a symphony of voices.
But why face the exertion of listening? A great diplomat of the Holy See, Cardinal Agostino Casaroli, used to speak of the “martyrdom of patience” needed to listen and be heard in negotiations with the most difficult parties, in order to obtain the greatest possible good in conditions of limited freedom. But even in less difficult situations, listening always requires the virtue of patience, together with the ability to allow oneself to be surprised by the truth, even if only a fragment of truth, in the person we are listening to. Only amazement enables knowledge. I think of the infinite curiosity of the child who looks at the world around them with wide-open eyes. Listening with this frame of mind — the wonder of the child in the awareness of an adult — is always enriching because there will always be something, however small, that I can learn from the other person and allow to bear fruit in my own life.
The ability to listen to society is more valuable than ever in this time wounded by the long pandemic. So much previously accumulated mistrust towards “official information” has also caused an “infodemic”, within which the world of information is increasingly struggling to be credible and transparent. We need to lend an ear and listen profoundly, especially to the social unease heightened by the downturn or cessation of many economic activities.
The reality of forced migration is also a complex issue, and no one has a ready-made prescription for solving it. I repeat that, in order to overcome prejudices about migrants and to melt the hardness of our hearts, we should try to listen to their stories. Give each of them a name and a story. Many good journalists already do this. And many others would like to do it, if only they could. Let us encourage them! Let us listen to these stories! Everyone would then be free to support the migration policies they deem most appropriate for their own country. But in any case, we would have before our eyes not numbers, not dangerous invaders, but the faces and stories, gazes, expectations and sufferings of real men and women to listen to.
Listening to one another in the Church
In the Church, too, there is a great need to listen to and to hear one another. It is the most precious and life-giving gift we can offer each other. “Christians have forgotten that the ministry of listening has been committed to them by him who is himself the great listener and whose work they should share. We should listen with the ears of God that we may speak the word of God” [4]. Thus, the Protestant theologian Dietrich Bonhoeffer reminds us that the first service we owe to others in communion consists in listening to them. Whoever does not know how to listen to his brother or sister will soon no longer be able to listen to God either.[5]
The most important task in pastoral activity is the “apostolate of the ear” – to listen before speaking, as the Apostle James exhorts: “Let every man be quick to hear, slow to speak” (1:19). Freely giving some of our own time to listen to people is the first act of charity.
A synodal process has just been launched. Let us pray that it will be a great opportunity to listen to one another. Communion, in fact, is not the result of strategies and programmes, but is built in mutual listening between brothers and sisters. As in a choir, unity does not require uniformity, monotony, but the plurality and variety of voices, polyphony. At the same time, each voice in the choir sings while listening to the other voices and in relation to the harmony of the whole. This harmony is conceived by the composer, but its realization depends on the symphony of each and every voice.
With the awareness that we participate in a communion that precedes and includes us, we can rediscover a symphonic Church, in which each person is able to sing with his or her own voice, welcoming the voices of others as a gift to manifest the harmony of the whole that the Holy Spirit composes.
Rome, Saint John Lateran, 24 January 2022, Memorial of Saint Francis de Sales.
FRANCIS
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[1] “Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde” (Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana 34, 568).
[2] “Lettera a tutto l’Ordine”: Fonti Francescane, 216.
[3] Cf. “The life of dialogue”, in J.D. Roslansky, ed., Communication. A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company, Amsterdam, 1969, pp. 89-198.
[4] D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia 2017, 76.
[5] Cf. ibid., 75.
[00106-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Mit dem Ohr des Herzens hören
Liebe Brüder und Schwestern!
Im vergangenen Jahr haben wir über die Notwendigkeit des „komm und sieh“, nachgedacht, um die Wirklichkeit zu entdecken und von ihr erzählen zu können, ausgehend von der persönlichen Erfahrung der Ereignisse und der Begegnung mit den Menschen. Dieser Linie folgend möchte ich nun die Aufmerksamkeit auf ein anderes Verb richten: „Hören“, das für die Grammatik der Kommunikation entscheidend sowie Bedingung für einen echten Dialog ist.
Denn wir sind tatsächlich dabei, die Fähigkeit zu verlieren, demjenigen zuzuhören, der vor uns steht, sowohl im normalen Verlauf der tagtäglichen Beziehungen als auch in den Debatten über die wichtigsten Themen des gemeinsamen Zusammenlebens. Gleichzeitig erfährt das Hören im Bereich von Kommunikation und Information eine neue wichtige Entwicklung durch die verschiedenen Podcast- und Audio-Chat-Angebote, eine Bestätigung dafür, dass das Hören für die menschliche Kommunikation weiterhin von grundlegender Bedeutung ist.
Einem berühmten Arzt, der gewohnt war, seelische Wunden zu heilen, wurde die Frage gestellt, was das größte Bedürfnis der Menschen sei. Er antwortete: „Der grenzenlose Wunsch, gehört zu werden“. Ein Wunsch, der häufig verborgen bleibt, der aber jeden herausfordert, der berufen ist, Erzieher oder Ausbilder zu sein, oder der irgendwie die Rolle eines Kommunikators hat: Eltern und Lehrer, Hirten und pastorale Mitarbeiter, Informationsfachleute und alle, die im sozialen oder politischen Bereich tätig sind.
Mit dem Ohr des Herzens hören
Aus der Bibel lernen wir, dass das Hören nicht nur die Bedeutung einer akustischen Wahrnehmung hat, sondern wesentlich verbunden ist mit der dialogischen Beziehung zwischen Gott und der Menschheit. »Schma Jisrael – Höre, Israel!« (Dt 6,4), das Incipit des ersten Gebots der Thora, wird in der Bibel immer wieder genannt, so dass der heilige Paulus sagen wird, dass der Glaube vom Hören kommt (vgl. Röm 10,17). Denn die Initiative geht von Gott aus, der zu uns spricht und dem wir antworten, indem wir ihm zuhören; und auch dieses Hören kommt letztlich aus seiner Gnade, wie es beim Neugeborenen der Fall ist, das auf den Blick und auf die Stimme von Mama und Papa antwortet. Unter den fünf Sinnen scheint der von Gott bevorzugte Sinn gerade das Hören zu sein, vielleicht weil es weniger invasiv, diskreter ist als das Sehen und dem Menschen daher mehr Freiheit lässt.
Das Hören entspricht dem demütigen Stil Gottes. Es ist jenes Handeln, das Gott erlaubt, sich als der zu offenbaren, der im Sprechen den Menschen nach seinem Bild schafft und ihn im Hören als Gesprächspartner anerkennt. Gott liebt den Menschen: Daher richtet er das Wort an ihn, daher „neigt er sein Ohr“, um ihn anzuhören.
Der Mensch dagegen neigt dazu, vor der Beziehung zu fliehen, sich abzuwenden, „die Ohren zu verschließen“, um nicht hören zu müssen. Die Weigerung zu hören verwandelt sich schließlich häufig zur Aggressivität gegenüber dem anderen, so wie bei den Zuhörern des Diakons Stephanus, die sich die Ohren zuhielten und auf ihn losstürmten (vgl. Apg 7,57).
Auf der einen Seite ist da also Gott, der sich immer offenbart, indem er sich frei mitteilt, und auf der anderen Seite der Mensch, von dem gefordert wird, dass er sich auf ihn einstimmt, dass er zuhört. Der Herr beruft den Menschen explizit zu einem Bund der Liebe, damit er wahrhaft das werden kann, was er ist: Bild Gottes, ihm ähnlich in seiner Fähigkeit zu hören, anzunehmen, dem anderen Raum zu geben. Das Hören ist letztlich eine Dimension der Liebe.
Daher ruft Jesus seine Jünger auf, die Qualität ihres Zuhörens zu prüfen. »Achtet darauf, genau hinzuhören« (Lk 8,18): Mit diesen Worten ermahnt er sie, nachdem er das Gleichnis vom Sämann erzählt hat, und gibt zu verstehen, dass es nicht ausreicht zuzuhören, sondern dass man „gut“ zuhören muss. Nur wer das Wort mit „gutem und aufrichtigem“ Herzen aufnimmt und es treu bewahrt, wird Früchte des Lebens und des Heils bringen (vgl. Lk 8,15). Nur wenn wir unsere Aufmerksamkeit darauf richten, auf wen wir hören, was wir hören, wie wir hören, können wir in der Kunst der Kommunikation wachsen, deren zentraler Punkt weder eine Theorie noch eine Technik ist, sondern »die Fähigkeit des Herzens, welche die Nähe möglich macht« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 171).
Wir alle haben Ohren, aber auch dem, der ein perfektes Gehör hat, gelingt es zuweilen nicht, den anderen zu hören. Denn es gibt eine innere Taubheit, die schlimmer ist als die des Sinnesorgans. Denn das Hören betrifft nicht nur den Gehörsinn, sondern die gesamte Person. Der wahre Sitz des Hörens ist das Herz. König Salomo erwies sich, obwohl er noch sehr jung war, als weise, weil er den Herrn bat, ihm ein »hörendes Herz« zu schenken (1 Kön 3,9). Und der heilige Augustinus fordert auf, mit dem Herzen zu hören (corde audire), die Worte nicht äußerlich mit den Ohren aufzunehmen, sondern geistig im Herzen: »Habt nicht das Herz in den Ohren, sondern die Ohren im Herzen«.[1] Und der heilige Franziskus ermahnte seine Mitbrüder: »Neigt das Ohr eures Herzens«.[2]
Deshalb ist das erste Hören, das neu zu entdecken ist, wenn man eine echte Kommunikation sucht, das Hören auf sich selbst, auf die eigenen wahren Bedürfnisse, jene, die in das Innere jedes Menschen eingeschrieben sind. Und dabei kann man selbstverständlich nur ausgehen von dem Hören auf das, was uns innerhalb der Schöpfung einzigartig macht: die Sehnsucht, mit den anderen und mit dem göttlichen Anderen in Beziehung zu stehen. Wir sind nicht dazu geschaffen, als Einzelatome zu leben, sondern um miteinander zu leben.
Das Hören als Bedingung für eine gute Kommunikation
Es gibt einen Gebrauch des Gehörs, der kein wahres Hören ist, sondern sein Gegenteil: andere belauschen. Tatsächlich ist das Belauschen und Ausspionieren eine stetige Versuchung, die sich heute in der Zeit des social web verstärkt zu haben scheint, wobei man die anderen für die eigenen Interessen instrumentalisiert. Im Gegensatz dazu ist das, was Kommunikation gut und wahrhaft menschlich macht, gerade das Hören auf den, der vor uns steht, von Angesicht zu Angesicht, das Hören auf den anderen, auf den wir mit echter, vertrauensvoller und ehrlicher Offenheit zugehen.
Fehlendes Zuhören, das wir in unserem Alltag oft erleben, zeigt sich leider auch im öffentlichen Leben deutlich, wo man oft aneinander vorbeiredet, statt aufeinander zu hören. Das ist ein Zeichen für die Tatsache, dass man mehr auf der Suche nach Zustimmung ist, als die Wahrheit und das Gute zu suchen; dass man mehr auf die Audience konzentriert ist als auf das Hören. Gute Kommunikation dagegen versucht nicht, das Publikum mit effektheischenden Sprüchen zu beeindrucken, mit dem Ziel den Gesprächspartner lächerlich zu machen, sondern schenkt den Beweggründen des anderen Beachtung und sucht die Realität in ihrer Komplexität wahrzunehmen. Es ist traurig, wenn sich auch in der Kirche ideologische Lager bilden, das Zuhören verschwindet und fruchtlose Opposition an seine Stelle tritt.
Tatsächlich kommunizieren wir in vielen Dialogen überhaupt nicht. Wir warten bloß darauf, dass der andere aufhört zu reden, um unseren Standpunkt durchzusetzen. In derartigen Situationen ist der Dialog ein Duolog, wie der Philosoph Abraham Kaplan[3] es nennt: ein zweistimmiger Monolog. In der echten Kommunikation dagegen sind das Ich und das Du beide „im Aufbruch“, ausgestreckt vom einen zum anderen.
Das Hören ist also der erste unerlässliche Bestandteil des Dialogs und guter Kommunikation. Man kommuniziert nicht, wenn man nicht zuerst zugehört hat, und man macht keinen guten Journalismus ohne die Fähigkeit des Zuhörens. Um eine solide, ausgeglichene und vollständige Information zu liefern, ist eine lange Zeit des Zuhörens notwendig. Um von einem Ereignis zu berichten oder in einer Reportage eine Realität zu beschreiben, ist es unerlässlich, dass man in der Lage war zuzuhören, auch bereit, seine Meinung zu ändern, die eigenen Ausgangshypothesen zu modifizieren.
Denn nur wenn man den Monolog hinter sich lässt, kann man jenen Zusammenklang der Stimmen erreichen, der Garantie für eine echte Kommunikation ist. Mehrere Quellen zu hören, sich nicht mit der erstbesten Lösung zufriedenzugeben – so lehren uns die Fachleute –, das gewährleistet Verlässlichkeit und Seriosität der Informationen, die wir weitergeben. Mehrere Stimmen zu hören, aufeinander zu hören, auch in der Kirche unter Schwestern und Brüdern, das erlaubt uns, die Kunst der Unterscheidung zu üben, die sich immer als die Fähigkeit erweist, sich innerhalb einer Symphonie von Stimmen zu orientieren.
Aber warum die Mühe des Zuhörens auf sich nehmen? Ein großer Diplomat des Heiligen Stuhls, Kardinal Agostino Casaroli, sprach vom „Martyrium der Geduld“, das notwendig ist, um in Verhandlungen mit den schwierigsten Gesprächspartnern zuzuhören und gehört zu werden, mit dem Ziel, unter den Bedingungen begrenzter Freiheit so viel Gutes wie möglich zu erzielen. Aber auch in weniger schwierigen Situationen erfordert das Zuhören immer die Tugend der Geduld und die Fähigkeit, sich überraschen zu lassen von der Wahrheit in dem Menschen, dem man zuhört – und mag es auch nur ein Bruchstück der Wahrheit sein. Nur Staunen ermöglicht Erkenntnis. Ich denke da an die unendliche Neugier des Kindes, das die Welt um sich herum mit großen Augen ansieht. Mit dieser Geisteshaltung – dem Staunen des Kindes im Bewusstsein eines Erwachsenen – zuzuhören, ist immer bereichernd, denn es gibt immer etwas, wie klein es auch sein mag, was ich von der anderen Person lernen und in meinem eigenen Leben nutzen kann.
Die Fähigkeit, auf die Gesellschaft zu hören, ist in diesen von der langen Pandemie verwundeten Zeiten wertvoller denn je. So viel im Vorhinein aufgestautes Misstrauen gegenüber „offizieller Information“ hat auch zu einer „Infodemie“ geführt, in der die Welt der Information zunehmend um Glaubwürdigkeit und Transparenz ringt. Es ist notwendig, ein offenes Ohr zu haben und genau hinzuhören, vor allem auf die soziale Not, die durch den Rückgang oder die Einstellung zahlreicher wirtschaftlicher Aktivitäten verstärkt wird.
Ebenso ist die Realität der Zwangsmigration ein komplexes Problem, und niemand hat ein fertiges Rezept für eine Lösung. Ich wiederhole, dass man versuchen müsste, ihre Geschichten anzuhören, um die Vorurteile über Migranten zu überwinden und unsere harten Herzen zu erweichen. Jedem von ihnen einen Namen und ein Gesicht geben. Viele tüchtige Journalisten tun dies bereits.
Und viele andere würden es tun, wenn sie nur könnten. Ermutigen wir sie! Hören wir diese Geschichten an! Anschließend wird jeder frei sein, die Migrationspolitik zu unterstützen, die er für sein Land für die geeignetste hält. Aber in jedem Fall werden wir keine Zahlen, keine gefährlichen Eindringlinge vor Augen haben, sondern Gesichter und Geschichten konkreter Personen, Blicke, Hoffnungen und Leiden von Männern und Frauen, denen wir zuhören müssen.
In der Kirche aufeinander hören
Auch in der Kirche ist es dringend notwendig, zuzuhören und aufeinander zu hören. Es ist das wertvollste und fruchtbarste Geschenk, das wir einander machen können. Wir Christen vergessen, dass der Dienst des Zuhörens uns von dem anvertraut wurde, der der Zuhörende par excellence ist, an dessen Werk teilzunehmen wir berufen sind. »Mit den Ohren Gottes sollen wir hören, damit wir mit dem Worte Gottes reden können.«[4] So erinnert uns der protestantische Theologe Dietrich Bonhoeffer daran, dass der erste Dienst, den wir den anderen in der Gemeinschaft schulden, darin besteht, ihnen zuzuhören. Wer seinem Bruder nicht zuhören kann, der wird auch bald Gott nicht mehr zuhören können.[5]
Das wichtigste Werk der Pastoral ist das „Apostolat des Ohres“. Hören, bevor man spricht, wie der Apostel Jakobus mahnt: »Jeder Mensch sei schnell zum Hören, langsam zum Reden« (1,19). Unentgeltlich ein wenig von seiner Zeit zu verschenken, um den Menschen zuzuhören, ist die erste Geste der Nächstenliebe.
Vor Kurzem haben wir einen synodalen Prozess begonnen. Beten wir dafür, dass es eine großartige Gelegenheit sein möge, aufeinander zu hören. Denn die Gemeinschaft ist nicht das Resultat von Strategien und Programmen, sondern sie ist aufgebaut auf das gegenseitige Zuhören unter Brüdern und Schwestern. Wie in einem Chor erfordert die Einheit nicht Uniformität, Monotonie, sondern Pluralität und Verschiedenheit der Stimmen, Polyphonie. Zugleich singt jede Stimme des Chores, indem sie auf die anderen Stimmen hört und Bezug nimmt auf die Harmonie des Ganzen. Diese Harmonie wurde vom Komponisten erdacht, aber ihre Verwirklichung hängt vom Zusammenklang aller und jeder einzelnen Stimme ab.
Mit dem Bewusstsein, an einer Gemeinschaft teilzuhaben, die uns vorausgeht und uns einbezieht, können wir eine symphonische Kirche wiederentdecken, in der jeder fähig ist, mit der eigenen Stimme zu singen und dabei die der anderen als Geschenk anzunehmen, um die Harmonie des Ganzen zum Ausdruck zu bringen, die der Heilige Geist komponiert.
Rom, St. Johannes im Lateran, 24. Januar 2022, Gedenktag des heiligen Franz von Sales.
FRANZISKUS
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[1] »Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde« (Sermo 380 In nativitate Ioannis Baptistae, 1).
[2] Brief an den gesamten Orden, in Fonti Francescane, 216 (Dt.: Hardick/Grau, Die Schriften des heiligen Franziskus von Assisi, Kevelaer 2001, S. 89-90).
[3] Vgl. The life of dialogue, in J. D. Roslansky (Hg.), Communication. A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company – Amsterdam 1969, S. 89-108.
[4] D. Bonhoeffer, Gemeinsames Leben (1938), 7. unveränderte Auflage, München 1953, S. 51.
[5] Vgl. ebd., S. 50.
[00106-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Escuchar con los oídos del corazón
Queridos hermanos y hermanas:
El año pasado reflexionamos sobre la necesidad de “ir y ver” para descubrir la realidad y poder contarla a partir de la experiencia de los acontecimientos y del encuentro con las personas. Siguiendo en esta línea, deseo ahora centrar la atención sobre otro verbo, “escuchar”, decisivo en la gramática de la comunicación y condición para un diálogo auténtico.
En efecto, estamos perdiendo la capacidad de escuchar a quien tenemos delante, sea en la trama normal de las relaciones cotidianas, sea en los debates sobre los temas más importantes de la vida civil. Al mismo tiempo, la escucha está experimentando un nuevo e importante desarrollo en el campo comunicativo e informativo, a través de las diversas ofertas de podcast y chat audio, lo que confirma que escuchar sigue siendo esencial para la comunicación humana.
A un ilustre médico, acostumbrado a curar las heridas del alma, le preguntaron cuál era la mayor necesidad de los seres humanos. Respondió: “El deseo ilimitado de ser escuchados”. Es un deseo que a menudo permanece escondido, pero que interpela a todos los que están llamados a ser educadores o formadores, o que desempeñen un papel de comunicador: los padres y los profesores, los pastores y los agentes de pastoral, los trabajadores de la información y cuantos prestan un servicio social o político.
Escuchar con los oídos del corazón
En las páginas bíblicas aprendemos que la escucha no sólo posee el significado de una percepción acústica, sino que está esencialmente ligada a la relación dialógica entre Dios y la humanidad. «Shema’ Israel - Escucha, Israel» (Dt 6,4), el íncipit del primer mandamiento de la Torah se propone continuamente en la Biblia, hasta tal punto que san Pablo afirma que «la fe proviene de la escucha» (Rm 10,17). Efectivamente, la iniciativa es de Dios que nos habla, y nosotros respondemos escuchándolo; pero también esta escucha, en el fondo, proviene de su gracia, como sucede al recién nacido que responde a la mirada y a la voz de la mamá y del papá. De los cinco sentidos, parece que el privilegiado por Dios es precisamente el oído, quizá porque es menos invasivo, más discreto que la vista, y por tanto deja al ser humano más libre.
La escucha corresponde al estilo humilde de Dios. Es aquella acción que permite a Dios revelarse como Aquel que, hablando, crea al hombre a su imagen, y, escuchando, lo reconoce como su interlocutor. Dios ama al hombre: por eso le dirige la Palabra, por eso “inclina el oído” para escucharlo.
El hombre, por el contrario, tiende a huir de la relación, a volver la espalda y “cerrar los oídos” para no tener que escuchar. El negarse a escuchar termina a menudo por convertirse en agresividad hacia el otro, como les sucedió a los oyentes del diácono Esteban, quienes, tapándose los oídos, se lanzaron todos juntos contra él (cf. Hch 7,57).
Así, por una parte está Dios, que siempre se revela comunicándose gratuitamente; y por la otra, el hombre, a quien se le pide que se ponga a la escucha. El Señor llama explícitamente al hombre a una alianza de amor, para que pueda llegar a ser plenamente lo que es: imagen y semejanza de Dios en su capacidad de escuchar, de acoger, de dar espacio al otro. La escucha, en el fondo, es una dimensión del amor.
Por eso Jesús pide a sus discípulos que verifiquen la calidad de su escucha: «Presten atención a la forma en que escuchan» (Lc 8,18); los exhorta de ese modo después de haberles contado la parábola del sembrador, dejando entender que no basta escuchar, sino que hay que hacerlo bien. Sólo da frutos de vida y de salvación quien acoge la Palabra con el corazón “bien dispuesto y bueno” y la custodia fielmente (cf. Lc 8,15). Sólo prestando atención a quién escuchamos, qué escuchamos y cómo escuchamos podemos crecer en el arte de comunicar, cuyo centro no es una teoría o una técnica, sino la «capacidad del corazón que hace posible la proximidad» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 171).
Todos tenemos oídos, pero muchas veces incluso quien tiene un oído perfecto no consigue escuchar a los demás. Existe realmente una sordera interior peor que la sordera física. La escucha, en efecto, no tiene que ver solamente con el sentido del oído, sino con toda la persona. La verdadera sede de la escucha es el corazón. El rey Salomón, a pesar de ser muy joven, demostró sabiduría porque pidió al Señor que le concediera «un corazón capaz de escuchar» (1 Re 3,9). Y san Agustín invitaba a escuchar con el corazón (corde audire), a acoger las palabras no exteriormente en los oídos, sino espiritualmente en el corazón: «No tengan el corazón en los oídos, sino los oídos en el corazón».[1] Y san Francisco de Asís exhortaba a sus hermanos a «inclinar el oído del corazón».[2]
La primera escucha que hay que redescubrir cuando se busca una comunicación verdadera es la escucha de sí mismo, de las propias exigencias más verdaderas, aquellas que están inscritas en lo íntimo de toda persona. Y no podemos sino escuchar lo que nos hace únicos en la creación: el deseo de estar en relación con los otros y con el Otro. No estamos hechos para vivir como átomos, sino juntos.
La escucha como condición de la buena comunicación
Existe un uso del oído que no es verdadera escucha, sino lo contrario: el escuchar a escondidas. De hecho, una tentación siempre presente y que hoy, en el tiempo de las redes sociales, parece haberse agudizado, es la de escuchar a escondidas y espiar, instrumentalizando a los demás para nuestro interés. Por el contrario, lo que hace la comunicación buena y plenamente humana es precisamente la escucha de quien tenemos delante, cara a cara, la escucha del otro a quien nos acercamos con apertura leal, confiada y honesta.
Lamentablemente, la falta de escucha, que experimentamos muchas veces en la vida cotidiana, es evidente también en la vida pública, en la que, a menudo, en lugar de oír al otro, lo que nos gusta es escucharnos a nosotros mismos. Esto es síntoma de que, más que la verdad y el bien, se busca el consenso; más que a la escucha, se está atento a la audiencia. La buena comunicación, en cambio, no trata de impresionar al público con un comentario ingenioso dirigido a ridiculizar al interlocutor, sino que presta atención a las razones del otro y trata de hacer que se comprenda la complejidad de la realidad. Es triste cuando, también en la Iglesia, se forman bandos ideológicos, la escucha desaparece y su lugar lo ocupan contraposiciones estériles.
En realidad, en muchos de nuestros diálogos no nos comunicamos en absoluto. Estamos simplemente esperando que el otro termine de hablar para imponer nuestro punto de vista. En estas situaciones, como señala el filósofo Abraham Kaplan,[3] el diálogo es un “duálogo”, un monólogo a dos voces. En la verdadera comunicación, en cambio, tanto el tú como el yo están “en salida”, tienden el uno hacia el otro.
Escuchar es, por tanto, el primer e indispensable ingrediente del diálogo y de la buena comunicación. No se comunica si antes no se ha escuchado, y no se hace buen periodismo sin la capacidad de escuchar. Para ofrecer una información sólida, equilibrada y completa es necesario haber escuchado durante largo tiempo. Para contar un evento o describir una realidad en un reportaje es esencial haber sabido escuchar, dispuestos también a cambiar de idea, a modificar las propias hipótesis de partida.
En efecto, solamente si se sale del monólogo se puede llegar a esa concordancia de voces que es garantía de una verdadera comunicación. Escuchar diversas fuentes, “no conformarnos con lo primero que encontramos” —como enseñan los profesionales expertos— asegura fiabilidad y seriedad a las informaciones que transmitimos. Escuchar más voces, escucharse mutuamente, también en la Iglesia, entre hermanos y hermanas, nos permite ejercitar el arte del discernimiento, que aparece siempre como la capacidad de orientarse en medio de una sinfonía de voces.
Pero, ¿por qué afrontar el esfuerzo que requiere la escucha? Un gran diplomático de la Santa Sede, el cardenal Agostino Casaroli, hablaba del “martirio de la paciencia”, necesario para escuchar y hacerse escuchar en las negociaciones con los interlocutores más difíciles, con el fin de obtener el mayor bien posible en condiciones de limitación de la libertad. Pero también en situaciones menos difíciles, la escucha requiere siempre la virtud de la paciencia, junto con la capacidad de dejarse sorprender por la verdad — aunque sea tan sólo un fragmento de la verdad— de la persona que estamos escuchando. Sólo el asombro permite el conocimiento. Me refiero a la curiosidad infinita del niño que mira el mundo que lo rodea con los ojos muy abiertos. Escuchar con esta disposición de ánimo —el asombro del niño con la consciencia de un adulto— es un enriquecimiento, porque siempre habrá alguna cosa, aunque sea mínima, que puedo aprender del otro y aplicar a mi vida.
La capacidad de escuchar a la sociedad es sumamente preciosa en este tiempo herido por la larga pandemia. Mucha desconfianza acumulada precedentemente hacia la “información oficial” ha causado una “infodemia”, dentro de la cual es cada vez más difícil hacer creíble y transparente el mundo de la información. Es preciso disponer el oído y escuchar en profundidad, especialmente el malestar social acrecentado por la disminución o el cese de muchas actividades económicas.
También la realidad de las migraciones forzadas es un problema complejo, y nadie tiene la receta lista para resolverlo. Repito que, para vencer los prejuicios sobre los migrantes y ablandar la dureza de nuestros corazones, sería necesario tratar de escuchar sus historias, dar un nombre y una historia a cada uno de ellos. Muchos buenos periodistas ya lo hacen. Y muchos otros lo harían si pudieran. ¡Alentémoslos! ¡Escuchemos estas historias! Después, cada uno será libre de sostener las políticas migratorias que considere más adecuadas para su país. Pero, en cualquier caso, ante nuestros ojos ya no tendremos números o invasores peligrosos, sino rostros e historias de personas concretas, miradas, esperanzas, sufrimientos de hombres y mujeres que hay que escuchar.
Escucharse en la Iglesia
También en la Iglesia hay mucha necesidad de escuchar y de escucharnos. Es el don más precioso y generativo que podemos ofrecernos los unos a los otros. Nosotros los cristianos olvidamos que el servicio de la escucha nos ha sido confiado por Aquel que es el oyente por excelencia, a cuya obra estamos llamados a participar. «Debemos escuchar con los oídos de Dios para poder hablar con la palabra de Dios».[4] El teólogo protestante Dietrich Bonhoeffer nos recuerda de este modo que el primer servicio que se debe prestar a los demás en la comunión consiste en escucharlos. Quien no sabe escuchar al hermano, pronto será incapaz de escuchar a Dios.[5]
En la acción pastoral, la obra más importante es “el apostolado del oído”. Escuchar antes de hablar, como exhorta el apóstol Santiago: «Cada uno debe estar pronto a escuchar, pero ser lento para hablar» (1,19). Dar gratuitamente un poco del propio tiempo para escuchar a las personas es el primer gesto de caridad.
Hace poco ha comenzado un proceso sinodal. Oremos para que sea una gran ocasión de escucha recíproca. La comunión no es el resultado de estrategias y programas, sino que se edifica en la escucha recíproca entre hermanos y hermanas. Como en un coro, la unidad no requiere uniformidad, monotonía, sino pluralidad y variedad de voces, polifonía. Al mismo tiempo, cada voz del coro canta escuchando las otras voces y en relación a la armonía del conjunto. Esta armonía ha sido ideada por el compositor, pero su realización depende de la sinfonía de todas y cada una de las voces.
Conscientes de participar en una comunión que nos precede y nos incluye, podemos redescubrir una Iglesia sinfónica, en la que cada uno puede cantar con su propia voz acogiendo las de los demás como un don, para manifestar la armonía del conjunto que el Espíritu Santo compone.
Roma, San Juan de Letrán, 24 de enero de 2022, Memoria de san Francisco de Sales.
FRANCISCO
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[1] «Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde» (Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana 34, 568).
[2] Carta a toda la Orden: Fuentes Franciscanas, 216.
[3] Cf. The life of dialogue, en J. D. Roslansky ed., Communication. A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company – Amsterdam 1969, 89-108.
[4] D. Bonhoeffer, Vida en comunidad, Sígueme, Salamanca 2003, 92.
[5] Cf. ibíd., 90-91.
[00106-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Escutar com o ouvido do coração
Queridos irmãos e irmãs!
No ano passado, refletimos sobre a necessidade de «ir e ver» para descobrir a realidade e poder narrá-la a partir da experiência dos acontecimentos e do encontro com as pessoas. Continuando nesta linha, quero agora fixar a atenção noutro verbo, «escutar», que é decisivo na gramática da comunicação e condição para um autêntico diálogo.
Com efeito, estamos a perder a capacidade de ouvir a pessoa que temos à nossa frente, tanto na teia normal das relações quotidianas como nos debates sobre os assuntos mais importantes da convivência civil. Ao mesmo tempo, a escuta está a experimentar um novo e importante desenvolvimento em campo comunicativo e informativo, através das várias ofertas de podcast e chat audio, confirmando que a escuta continua essencial para a comunicação humana.
A um médico ilustre, habituado a cuidar das feridas da alma, foi-lhe perguntada qual era a maior necessidade dos seres humanos. Respondeu: «O desejo ilimitado de ser ouvidos». Apesar de frequentemente oculto, é um desejo que interpela toda a pessoa chamada a ser educadora, formadora, ou que desempenhe de algum modo o papel de comunicador: os pais e os professores, os pastores e os agentes pastorais, os operadores da informação e quantos prestam um serviço social ou político.
Escutar com o ouvido do coração
A partir das páginas bíblicas aprendemos que a escuta não significa apenas uma perceção acústica, mas está essencialmente ligada à relação dialogal entre Deus e a humanidade. O «shema’ Israel – escuta, Israel» (Dt 6, 4) – as palavras iniciais do primeiro mandamento do Decálogo – é continuamente lembrado na Bíblia, a ponto de São Paulo afirmar que «a fé vem da escuta» (Rm 10, 17). De facto, a iniciativa é de Deus, que nos fala, e a ela correspondemos escutando-O; e mesmo este escutar fundamentalmente provém da sua graça, como acontece com o recém-nascido que responde ao olhar e à voz da mãe e do pai. Entre os cinco sentidos, parece que Deus privilegie precisamente o ouvido, talvez por ser menos invasivo, mais discreto do que a vista, deixando consequentemente mais livre o ser humano.
A escuta corresponde ao estilo humilde de Deus. Ela permite a Deus revelar-Se como Aquele que, falando, cria o homem à sua imagem e, ouvindo-o, reconhece-o como seu interlocutor. Deus ama o homem: por isso lhe dirige a Palavra, por isso «inclina o ouvido» para o escutar.
O homem, ao contrário, tende a fugir da relação, a virar as costas e «fechar os ouvidos» para não ter de escutar. Esta recusa de ouvir acaba muitas vezes por se transformar em agressividade sobre o outro, como aconteceu com os ouvintes do diácono Estêvão que, tapando os ouvidos, atiraram-se todos juntos contra ele (cf. At 7, 57).
Assim temos, por um lado, Deus que sempre Se revela comunicando-Se livremente, e, por outro, o homem, a quem é pedido para sintonizar-se, colocar-se à escuta. O Senhor chama explicitamente o homem a uma aliança de amor, para que possa tornar-se plenamente aquilo que é: imagem e semelhança de Deus na sua capacidade de ouvir, acolher, dar espaço ao outro. No fundo, a escuta é uma dimensão do amor.
Por isso Jesus convida os seus discípulos a verificar a qualidade da sua escuta. «Vede, pois, como ouvis» (Lc 8, 18): faz-lhes esta exortação depois de ter contado a parábola do semeador, sugerindo assim que não basta ouvir, é preciso fazê-lo bem. Só quem acolhe a Palavra com o coração «bom e virtuoso» e A guarda fielmente é que produz frutos de vida e salvação (cf. Lc 8, 15). Só prestando atenção a quem ouvimos, àquilo que ouvimos e ao modo como ouvimos é que podemos crescer na arte de comunicar, cujo cerne não é uma teoria nem uma técnica, mas a «capacidade do coração que torna possível a proximidade» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 171).
Ouvidos, temo-los todos; mas muitas vezes mesmo quem possui um ouvido perfeito, não consegue escutar o outro. Pois existe uma surdez interior, pior do que a física. De facto, a escuta não tem a ver apenas com o sentido do ouvido, mas com a pessoa toda. A verdadeira sede da escuta é o coração. O rei Salomão, apesar de ainda muito jovem, demonstrou-se sábio ao pedir ao Senhor que lhe concedesse «um coração que escuta» (1 Rs 3, 9). E Santo Agostinho convidava a escutar com o coração (corde audire), a acolher as palavras, não exteriormente nos ouvidos, mas espiritualmente nos corações: «Não tenhais o coração nos ouvidos, mas os ouvidos no coração».[1] E São Francisco de Assis exortava os seus irmãos a «inclinar o ouvido do coração».[2]
Por isso, a primeira escuta a reaver quando se procura uma comunicação verdadeira é a escuta de si mesmo, das próprias exigências mais autênticas, inscritas no íntimo de cada pessoa. E não se pode recomeçar senão escutando aquilo que nos torna únicos na criação: o desejo de estar em relação com os outros e com o Outro. Não fomos feitos para viver como átomos, mas juntos.
A escuta como condição da boa comunicação
Há um uso do ouvido que não é verdadeira escuta, mas o contrário: o espionar. De facto, uma tentação sempre presente, mas que neste tempo da social web parece mais assanhada, é a de procurar saber e espiar, instrumentalizando os outros para os nossos interesses. Ao contrário, aquilo que torna boa e plenamente humana a comunicação é precisamente a escuta de quem está à nossa frente, face a face, a escuta do outro abeirando-nos dele com abertura leal, confiante e honesta.
Esta falta de escuta, que tantas vezes experimentamos na vida quotidiana, é real também, infelizmente, na vida pública, onde com frequência, em vez de escutar, «se fala pelos cotovelos». Isto é sintoma de que se procura mais o consenso do que a verdade e o bem; presta-se mais atenção à audience do que à escuta. Ao invés, a boa comunicação não procura prender a atenção do público com a piada foleira visando ridicularizar o interlocutor, mas presta atenção às razões do outro e procura fazer compreender a complexidade da realidade. É triste quando surgem, mesmo na Igreja, partidos ideológicos, desaparecendo a escuta para dar lugar a estéreis contraposições.
Na realidade, em muitos diálogos, efetivamente não comunicamos; estamos simplesmente à espera que o outro acabe de falar para impor o nosso ponto de vista. Nestas situações, como observa o filósofo Abraham Kaplan,[3] o diálogo não passa de duólogo, ou seja um monólogo a duas vozes. Ao contrário, na verdadeira comunicação, o eu e o tu encontram-se ambos «em saída», tendendo um para o outro.
Portanto, a escuta é o primeiro e indispensável ingrediente do diálogo e da boa comunicação. Não se comunica se primeiro não se escutou, nem se faz bom jornalismo sem a capacidade de escutar. Para fornecer uma informação sólida, equilibrada e completa, é necessário ter escutado prolongadamente. Para narrar um acontecimento ou descrever uma realidade numa reportagem, é essencial ter sabido escutar, prontos mesmo a mudar de ideia, a modificar as próprias hipóteses iniciais.
Com efeito, só se sairmos do monólogo é que se pode chegar àquela concordância de vozes que é garantia duma verdadeira comunicação. Ouvir várias fontes, «não parar na primeira locanda» – como ensinam os especialistas do oficio – garante credibilidade e seriedade à informação que transmitimos. Escutar várias vozes, ouvir-se – inclusive na Igreja – entre irmãos e irmãs, permite-nos exercitar a arte do discernimento, que se apresenta sempre como a capacidade de se orientar numa sinfonia de vozes.
Entretanto para quê enfrentar este esforço da escuta? Um grande diplomata da Santa Sé, o cardeal Agostinho Casaroli, falava de «martírio da paciência», necessário para escutar e fazer-se escutar nas negociações com os interlocutores mais difíceis a fim de se obter o maior bem possível em condições de liberdade limitada. Mas, mesmo em situações menos difíceis, a escuta requer sempre a virtude da paciência, juntamente com a capacidade de se deixar surpreender pela verdade – mesmo que fosse apenas um fragmento de verdade – na pessoa que estamos a escutar. Só o espanto permite o conhecimento. Penso na curiosidade infinita da criança que olha para o mundo em redor com os olhos arregalados. Escutar com este estado de espírito – o espanto da criança na consciência dum adulto – é sempre um enriquecimento, pois haverá sempre qualquer coisa, por mínima que seja, que poderei aprender do outro e fazer frutificar na minha vida.
A capacidade de escutar a sociedade é ainda mais preciosa neste tempo ferido pela longa pandemia. A grande desconfiança que anteriormente se foi acumulando relativamente à «informação oficial», causou também uma espécie de «info-demia» dentro da qual é cada vez mais difícil tornar credível e transparente o mundo da informação. É preciso inclinar o ouvido e escutar em profundidade, sobretudo o mal-estar social agravado pelo abrandamento ou cessação de muitas atividades económicas.
A própria realidade das migrações forçadas é uma problemática complexa, e ninguém tem pronta a receita para a resolver. Repito que, para superar os preconceitos acerca dos migrantes e amolecer a dureza dos nossos corações, seria preciso tentar ouvir as suas histórias. Dar um nome e uma história a cada um deles. Há muitos bons jornalistas que já o fazem; e muitos outros gostariam de o fazer, se pudessem. Encorajemo-los! Escutemos estas histórias! Depois cada qual será livre para sustentar as políticas de migração que considerar mais apropriadas para o próprio país. Mas então teremos diante dos olhos, não números nem invasores perigosos, mas rostos e histórias de pessoas concretas, olhares, expetativas, sofrimentos de homens e mulheres para ouvir.
Escutar-se na Igreja
Também na Igreja há grande necessidade de escutar e de nos escutarmos. É o dom mais precioso e profícuo que podemos oferecer uns aos outros. Nós, cristãos, esquecemo-nos de que o serviço da escuta nos foi confiado por Aquele que é o ouvinte por excelência e em cuja obra somos chamados a participar. «Devemos escutar através do ouvido de Deus, se queremos poder falar através da sua Palavra».[4] Assim nos lembra o teólogo protestante Dietrich Bonhöffer que o primeiro serviço na comunhão que devemos aos outros é prestar-lhes ouvidos. Quem não sabe escutar o irmão, bem depressa deixará de ser capaz de escutar o próprio Deus.[5]
Na ação pastoral, a obra mais importante é o «apostolado do ouvido». Devemos escutar, antes de falar, como exorta o apóstolo Tiago: «cada um seja pronto para ouvir, lento para falar» (1, 19). Oferecer gratuitamente um pouco do próprio tempo para escutar as pessoas é o primeiro gesto de caridade.
Recentemente deu-se início a um processo sinodal. Rezemos para que seja uma grande ocasião de escuta recíproca. Com efeito, a comunhão não é o resultado de estratégias e programas, mas edifica-se na escuta mútua entre irmãos e irmãs. Como num coro, a unidade requer, não a uniformidade, a monotonia, mas a pluralidade e variedade das vozes, a polifonia. Ao mesmo tempo, cada voz do coro canta escutando as outras vozes na sua relação com a harmonia do conjunto. Esta harmonia é concebida pelo compositor, mas a sua realização depende da sinfonia de todas e cada uma das vozes.
Cientes de participar numa comunhão que nos precede e inclui, possamos descobrir uma Igreja sinfónica, na qual cada um é capaz de cantar com a própria voz, acolhendo como dom as dos outros, para manifestar a harmonia do conjunto que o Espírito Santo compõe.
Roma, São João de Latrão, na Memória de São Francisco de Sales, 24 de janeiro de 2022.
FRANCISCO
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[1] «Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde» (Sermo 380, 1: Nova Biblioteca Agostiniana 34, 568).
[2] Carta à Ordem inteira: Fontes Franciscanas, 216.
[3] Cf. «The life of dialogue», in J. D. Roslansky (ed.), Communication. A discussion at the Nobel Conference (North-Holland Publishing Company – Amesterdão 1969), 89-108.
[4] D. Bonhöfffer, La vita comune (Queriniana – Bréscia 2017), 76.
[5] Cf. ibid., 75.
[00106-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Słuchanie uchem serca
Drodzy bracia i siostry!
W ubiegłym roku podjęliśmy refleksję nad potrzebą „pójścia i zobaczenia”, aby odkryć rzeczywistość i móc ją opowiedzieć, wychodząc od doświadczenia wydarzeń i spotkań z ludźmi. Podążając po tej linii, chciałbym teraz zwrócić uwagę na inny czasownik, „słuchać”, który ma decydujące znaczenie w gramatyce komunikacji i jest warunkiem prawdziwego dialogu.
W rzeczywistości, tracimy zdolność słuchania tych, którzy stają przed nami, zarówno w normalnych codziennych relacjach, jak i w debatach na temat najważniejszych kwestii życia obywatelskiego. Jednocześnie słuchanie zyskuje na znaczeniu poprzez nowy, ważny rozwój na polu komunikacyjnym i informacyjnym, dzięki różnym ofertom podcastów i czatów audio, potwierdzając, że pozostaje ono niezbędne w komunikacji międzyludzkiej.
Pewien wybitny lekarz, przyzwyczajony do leczenia ran duszy, został zapytany, co jest największą potrzebą człowieka. Odpowiedział: „Bezgraniczne pragnienie bycia wysłuchanym”. Pragnienie, które często pozostaje ukryte, ale stanowi wyzwanie dla każdego, kto jest powołany do bycia wychowawcą lub formatorem, albo spełnia jakąkolwiek rolę przekaziciela: rodzice i nauczyciele, pasterze i osoby zaangażowane w duszpasterstwo, pracownicy informacji i ci, którzy pełnią służbę społeczną lub polityczną.
Słuchanie uchem serca
Z kart Biblii dowiadujemy się, że słuchanie nie oznacza jedynie percepcji akustycznej, ale jest zasadniczo związane z relacją dialogu między Bogiem a ludzkością. „Shema’ Israel - Słuchaj, Izraelu” (Pwt6, 4), wstęp do pierwszego przykazania Tory jest nieustannie powtarzany w Biblii do tego stopnia, że św. Paweł stwierdzi, iż „wiara rodzi się ze słuchania” (Rz10, 17). Inicjatywa należy bowiem do Boga, który mówi do nas, a my odpowiadamy słuchając Go; a nawet to słuchanie pochodzi przecież z Jego łaski, jak to się dzieje w przypadku noworodka, który reaguje na spojrzenie i głos mamy oraz taty. Wśród pięciu zmysłów tym uprzywilejowanym przez Boga wydaje się być słuch, może dlatego, że jest on mniej inwazyjny, bardziej dyskretny niż wzrok, a zatem pozostawia człowiekowi większą wolność.
Słuchanie odpowiada pokornemu stylowi Boga. To właśnie to działanie pozwala Bogu objawić się jako Temu, który mówiąc stwarza człowieka na swój obraz, a słuchając rozpoznaje go jako swego rozmówcę. Bóg kocha człowieka: dlatego kieruje do niego Słowo, dlatego „nadstawia ucha”, aby go słuchać.
Człowiek, przeciwnie, ma tendencję do uciekania od relacji, do odwracania się plecami i „zamykania uszu”, aby nie musieć słuchać. Odmowa słuchania często przeradza się w agresję wobec drugiego, jak to miało miejsce w przypadku słuchaczy diakona Szczepana, którzy zatykając sobie uszy, wszyscy naraz zwrócili się przeciwko niemu (por.Dz7, 57).
Z jednej więc strony jest Bóg, który zawsze się objawia, komunikując się bezinteresownie, a z drugiej strony człowiek, który jest wezwany, aby dostrajać się, wsłuchiwać się. Pan wyraźnie wzywa człowieka do przymierza miłości, aby mógł on stać się w pełni tym, kim jest: obrazem i podobieństwem Boga w swojej zdolności słuchania, przyjmowania, dawania przestrzeni innym. Słuchanie w gruncie rzeczy jest wymiarem miłości.
Dlatego Jezus wzywa swoich uczniów do weryfikowania jakości ich słuchania. „Uważajcie więc,jaksłuchacie” (Łk8, 18): tak upomina ich po opowiedzeniu przypowieści o siewcy, sugerując, że nie wystarczy słuchać, trzeba robić to dobrze. Tylko ci, którzy przyjmują Słowo sercem „szlachetnym i dobrym” i wiernie je zachowują, przynoszą owoce życia i zbawienia (por.Łk8, 15). Jedynie zwracając uwagę na to,kogosłuchamy,czegoijaksłuchamy, możemy wzrastać w sztuce komunikacji, której centrum nie jest teoria czy technika, ale „zdolność serca, która umożliwia bliskość” (Adhort. apost.Evangelii gaudium, 171).
Wszyscy mamy uszy, ale często nawet ci, którzy mają doskonały słuch, nie są w stanie usłyszeć drugiego człowieka. W rzeczywistości istnieje wewnętrzna głuchota, gorsza od fizycznej. Słuchanie – w istocie – nie dotyczy tylko zmysłu słuchu, ale całej osoby. Prawdziwym miejscem słuchania jest serce. Król Salomon, choć bardzo młody, okazał się mądry, bo poprosił Pana, aby dał mu „serce, które słucha” (1 Krl3, 9). Św. Augustyn zapraszał do słuchania sercem(corde audire), aby przyjmować słowa nie zewnętrznie uszami, ale duchowo w sercach: „Nie miejcie serca w uszach, ale uszy w sercu”[1]. Franciszek z Asyżu napominał swoich braci, aby „nachylić ucho serca”[2].
Dlatego pierwszym słuchaniem, które należy odkryć na nowo w poszukiwaniu prawdziwej komunikacji, jest słuchanie samego siebie, swoich najprawdziwszych potrzeb, tych, które są wpisane w najgłębsze wnętrze każdej osoby. A możemy zacząć jedynie od wsłuchania się w to, co czyni nas wyjątkowymi pośród stworzeń: pragnienie bycia w relacji z innymi i z Innym. Nie jesteśmy stworzeni do życia jako atomy, ale razem.
Słuchanie jako warunek dobrej komunikacji
Jest pewien sposób wykorzystania słuchu, który nie jest prawdziwym słuchaniem, ale jego przeciwieństwem: podsłuchiwanie. W rzeczywistości wszechobecną pokusą, która dziś, w dobie sieci społecznościowych, wydaje się być jeszcze bardziej narzucająca, jest pokusa podsłuchiwania i śledzenia, wykorzystywania innych dla własnych korzyści. Przeciwnie, tym, co czyni komunikację dobrą i w pełni ludzką, jest właśnie słuchanie osoby, która stoi przed nami, twarzą w twarz, słuchanie drugiego, do którego zbliżamy się z lojalną, ufną i szczerą otwartością.
Brak umiejętności słuchania, którego tak często doświadczamy w życiu codziennym, jest niestety widoczny również w życiu publicznym, gdzie zamiast słuchać siebie nawzajem, często mówi się do siebie. Jest to przejaw tego, że zamiast szukać prawdy i dobra, szukamy konsensusu; zamiast słuchać, zwracamy uwagę nasłuchalność. Z kolei dobra komunikacja nie stara się zaimponować publiczności ciętą odpowiedzią lub wrażeniem, które dążą do ośmieszenia rozmówcy, ale zwraca uwagę na racje drugiej strony i stara się uchwycić złożoność rzeczywistości. To smutne, gdy nawet w Kościele tworzą się ideologiczne sojusze, a słuchanie zanika i ustępuje miejsca jałowym sporom.
W rzeczywistości, w wielu dialogach w ogóle się nie porozumiewamy. Po prostu czekamy, aż drugi skończy mówić, aby narzucić swój punkt widzenia. W takich sytuacjach, jak zauważa filozof Abraham Kaplan[3], dialog staje sięduologiem, monologiem w dwóch głosach. W prawdziwej komunikacji, z drugiej strony, zarówno „ja” jak i „ty” są „wychodzące”, skierowane do siebie nawzajem.
Słuchanie jest więc pierwszym nieodzownym składnikiem dialogu i dobrej komunikacji. Nie można komunikować się, jeśli najpierw się nie słucha, a bez umiejętności słuchania nie ma dobrego dziennikarstwa. Aby dostarczać rzetelnych, wyważonych i kompletnych informacji, trzeba słuchać przez długi czas. Aby zrelacjonować wydarzenie lub opisać rzeczywistość wreportażu, trzeba umieć słuchać, być gotowym także do zmiany zdania i modyfikacji własnych początkowych założeń.
Tylko wtedy, gdy wyjdzie się z monologu, można osiągnąć zbieżność głosów, która jest gwarancją prawdziwej komunikacji. Słuchanie kilku źródeł, „niezatrzymywanie się w pierwszej gospodzie” - jak uczą nas eksperci w tej dziedzinie - zapewnia wiarygodność i powagę przekazywanych przez nas informacji. Słuchanie większej ilości głosów, słuchanie siebie nawzajem, także w Kościele, wśród braci i sióstr, pozwala nam ćwiczyć się w sztuce rozeznawania, która zawsze jawi się jako zdolność orientowania się w symfonii głosów.
Ale po co męczyć się słuchaniem? Wielki dyplomata Stolicy Apostolskiej, kard. Agostino Casaroli, mówił o „męczeństwie cierpliwości”, koniecznym, aby słuchać i być słuchanym w negocjacjach z najtrudniejszymi rozmówcami w celu uzyskania jak największego dobra w warunkach ograniczonej wolności. Ale nawet w mniej trudnych sytuacjach słuchanie wymaga zawsze cnoty cierpliwości, a także umiejętności pozwalania sobie na bycie zaskoczonym prawdą, nawet jeśli jest to tylko fragment prawdy, w osobie, której słuchamy. Tylko zdumienie umożliwia poznanie. Myślę o nieskończonej ciekawości dziecka, które patrzy na otaczający je świat z szeroko otwartymi oczami. Słuchanie z takim nastawieniem - z zachwytem dziecka w świadomości dorosłego - jest zawsze wzbogacające, ponieważ zawsze znajdzie się coś, choćby najmniejszego, czego mogę się nauczyć od drugiego i wykorzystać w swoim własnym życiu.
Umiejętność słuchania społeczeństwa w czasach zranionych przez długą pandemię jest cenniejsza niż kiedykolwiek. Tak ogromna nieufność, która nagromadziła się wcześniej wobec „informacji oficjalnych”, spowodowała również „infodemię”, w ramach której świat informacji coraz bardziej stara się być wiarygodny i przejrzysty. Musimy nadstawiać ucha i głęboko wsłuchiwać się, zwłaszcza w niepokoje społeczne spotęgowane spowolnieniem lub wstrzymaniem wielu działań gospodarczych.
Również rzeczywistość przymusowej migracji jest złożonym problemem i nikt nie ma gotowej recepty na jego rozwiązanie. Powtarzam, że aby przezwyciężyć uprzedzenia wobec migrantów i stopić twardość naszych serc, powinniśmy spróbować wysłuchać ich historii. Dać imię i historię każdemu z nich. Wielu dobrych dziennikarzy już to robi. I wielu innych chciałoby to zrobić, gdyby tylko mogli. Zachęcajmy ich! Posłuchajmy tych historii! Każdy będzie mógł wtedy swobodnie wspierać politykę migracyjną, którą uzna za najwłaściwszą dla swojego kraju. Ale tak czy inaczej będziemy mieli przed oczami nie liczby, nie groźnych najeźdźców, ale twarze i historie konkretnych ludzi, spojrzenia, oczekiwania, cierpienia mężczyzn i kobiet, których będziemy mogli wysłuchać.
Słuchać się w Kościele
Również w Kościele istnieje wielka potrzeba słuchania i wsłuchiwania się. Jest to najcenniejszy i najbardziej odradzający dar, jaki możemy sobie nawzajem ofiarować. My, chrześcijanie, zapominamy, że posługa słuchania została nam powierzona przez Tego, który jest słuchaczem par excellence i że jesteśmy powołanie do uczestnictwa w Jego dziele. „Powinniśmy słuchać poprzez ucho Boga, jeśli chcemy móc przemówić poprzez Jego Słowo”[4]. Tak protestancki teolog Dietrich Bonhoeffer przypomina nam, że pierwsza służba, jaką jesteśmy winni innym w komunii, polega na słuchaniu ich. Kto nie umie słuchać swojego brata, wkrótce nie będzie już zdolny słuchać także Boga[5].
W działalności duszpasterskiej najważniejszym dziełem jest „apostolat ucha”. Słuchanie przed mówieniem, jak napomina apostoł Jakub: „Niech każdy będzie chętny do słuchania, nieskory do mówienia” (1, 19). Udzielić bezinteresownie trochę swojego czasu, aby słuchać ludzi, jest pierwszym aktem miłości.
Właśnie rozpoczął się proces synodalny. Módlmy się, aby była to wielka okazja do słuchania siebie nawzajem. Komunia bowiem nie jest wynikiem strategii i programów, ale buduje się we wzajemnym słuchaniu się braci i sióstr. Tak jak w chórze, jedność nie wymaga jednolitości, monotonii, ale wielości i różnorodności głosów, polifonii. Jednocześnie każdy głos w chórze śpiewa wsłuchując się w inne głosy i w odniesieniu do harmonii całości. Ta harmonia jest pomyślana przez kompozytora, ale jej realizacja zależy od symfonii wszystkich pojedynczych głosów.
Ze świadomością, że uczestniczymy w komunii, która nas poprzedza i obejmuje, możemy na nowo odkryć Kościół symfoniczny, w którym każda osoba może śpiewać swoim własnym głosem, przyjmując jako dar głos innych, aby ukazać harmonię całości, którą tworzy Duch Święty.
Rzym, u św. Jan na Lateranie, 24 stycznia 2022 r., we wspomnienie św. Franciszka Salezego.
FRANCISZEK
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[1] «Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde» (Sermo380, 1:Nuova Biblioteca Agostiniana34, 568).
[2] List do całego Zakonu: Źródła Franciszkańskie, 216.
[3]Por.The life of dialogue,w:J. D. ROSLANSKY,A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company, Amsterdam 1969, 89-108.
[4]D.Bonhoeffer,La vita comune,Queriniana, Brescia 2017, 76.
[5]Por.tamże.,75.
[00106-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
رسالة قداسة البابا فرنسيس
في مناسبة اليوم العالمي السادس والخمسين لوسائل التواصل الاجتماعية
29 آيار/مايو 2022
الإصغاء بأذُن القلب
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء!
تأمَّلنا في العام الماضي في حاجتنا إلى أن ”نذهب وننظر“ لكي نكتشف الواقع ونتمكّن من أن نرويه انطلاقًا من خبرة الأحداث واللقاء مع الأشخاص. وبالاستمرار في هذا الخط، أرغب الآن في أن أركّز الانتباه على فعل آخر، هو ”الإصغاء“، وهو عمل حاسم في قواعد التواصل، وشرط لحوار حقيقي.
في الواقع، بدأنا نفقد القدرة على الإصغاء إلى الشخص الذي أمامنا، سواء في النسيج الطبيعي للعلاقات اليومية أو في المناقشات حول أهم قضايا الحياة المدنيّة. في الوقت عينه، يشهد الاصغاء تطورًا جديدًا مهمًا في مجال الاتصالات والمعلومات، من خلال العروض المختلفة للبودكاست والمحادثات الصوتية، مما يؤكّد أنّ الإصغاء لا يزال ضروريًا للتواصل البشري.
سُئل طبيب مشهور، اعتاد مداواةَ جراح الرّوح، عن أعظم حاجة للإنسان. فأجاب: ”الرغبة اللامحدودة في أن يتمَّ الإصغاء إليه“. رغبة غالبًا ما تبقى خفية، لكنّها تُسائل أي شخص يُدعى ليكون مربيًا أو مُنشِّئًا، أو ليلعب دورًا في التواصل: الوالدون والمعلمون والرعاة والعاملون الرعويون، والعاملون في مجال الإعلام، وكلّ الذين يقدمون خدمة اجتماعية أو سياسية.
الإصغاء بأذُن القلب
نتعلّم من صفحات الكتاب المقدّس أنّ الإصغاء لا يملك فقط معنى الإدراك الصوتي، ولكنه يرتبط بشكل أساسي بعلاقة الحوار بين الله والبشرية. " Shema’ Israel – اسمع يا إسرائيل" (تثنية الاشتراع 6، 4)، إنّ أوّل وصية في التوراة، تتكرّر باستمرار في الكتاب المقدّس، لدرجة أنّ القدّيس بولس سيؤكّد أنّ "الإيمان يأتي من السماع" (روما 10، 17). إنَّ المبادرة في الحقيقة هي من الله الذي يخاطبنا، فنجيب عليه بإصغائنا إليه، وهذا الإصغاء أيضًا يأتي أوّلًا وآخرًا من نعمته، كما يحدث للمولود الجديد الذي يستجيب لنظرة وصوت أمه وأبيه. من بين الحواس الخمس، يبدو أنّ الحاسّة التي يفضِّلها الله هي السمع، ربما لأنَّ وقعه أخف وهو أكثر تحفظًا من البصر، وبالتالي يترك الإنسان حُرًّا أكثر.
يتفق الاصغاء مع أسلوب الله المتواضع. إنّه العمل الذي يسمح لله بأن يُظهر نفسه أنّه بكلمته يخلق الإنسان على صورته، ثم يصغي إليه فيعترف به محاورًا له. إنّ الله يحبّ الإنسان: لهذا يخاطبه بالكلمة، ولهذا ”يُمِيل أُذنه“ ليصغي إليه.
أمّا الإنسان فيميل إلى الهرب من العلاقة، فيدير ظهره و”يسُدُّ أذنيه“ لكي لا يُضطر إلى الإصغاء. وينتهي رفض الإصغاء غالبًا بأن يصبح عدوانًا تجاه الآخر، كما حدث مع الذين كانوا يصغون إلى الشماس إسطفانس: سَدُّوا آذانَهم وهَجَموا علَيه هَجمَةَ رَجُلٍ واحِد (راجع أعمال الرسل 7، 57).
إذن، الله، من جهته، يُظهر نفسه للإنسان ويتصل به مجَّانَا، ومن جهة أخرى، يُطلب من الإنسان أن يكيِّف نفسه ويضع نفسه في حالة إصغاء. الله يدعو الإنسان بصراحة إلى عهد حبٍّ، لكي يتمكّن من أن يصير ما هو بصورة كاملة: صورةَ الله ومثالَه في قدرته على الإصغاء إلى الآخر وقبوله وإعطائه مكانًا. إنَّ الإصغاء هو في حقيقته بُعدٌ من أبعاد الحبّ.
لهذا السبب، يقول يسوع لتلاميذه أن يتنبّهوا لنوعيّة إصغائهم وحثّهم قائلاً: "فتَنَبَّهوا كَيفَ تَسمَعون!" (لوقا 8، 18). بعد أن ضرب لهم مثل الزارع، أراد أن يفهموا أنّه لا يكفي أن يصغوا وإنما عليهم أن يقوموا بذلك بشكل جيّد. لأنّ الذين يقبلون كلمة الله بقلب ”طيب كريم“ ويحفظونها بأمانة هم وحدهم يحملون ثمار الحياة والخلاص (راجع لوقا 8، 15). فإذا انتبهنا إلى من نصغي إليه، وإلى ما نُصغي إليه، وكيف نُصغي إليه، يمكننا أن نتقدّم في فن الاتصال، وهو في جوهره ليس نظرية ولا طريقة تقنية، بل هو "قدرة القلب التي تجعل القرب بين الناس ممكنًا" (الإرشاد الرسولي، فرح الإنجيل، عدد 171).
كلّنا لنا آذان، لكن في كثير من الأحيان حتى أصحاب السمع القوي لا يمكنهم أن يُصغوا إلى الآخرين. هناك في الواقع صمم داخلي، أسوأ من الصمم الجسدي. فالإصغاء، في الواقع، لا يتعلّق فقط بحاسة السمع، وإنّما بالشخص بأكمله. إنّ مركز الإصغاء الحقيقي هو القلب. وقد أثبت الملك سليمان، رغم صغر سنه، أنّه حكيم لأنّه طلب من الله أن يمنحه "قلبًا فهيمًا" (الملوك الأوّل 3، 9). وكان القديس أغسطينوس يدعو إلى الإصغاء بواسطة القلب (corde audire)، وإلى قبول الكلمات لا في الأذنين بشكل خارجي، وإنّما في القلب بشكل روحي: "لا تكُن قلوبكم في آذانكم بل لتكُن آذانكم في قلوبكم"[1]. وكان القديس فرنسيس الأسيزي يحثُّ إخوته لكي "يُصغُوا بآذان القلب"[2].
لذلك، فإنّ الإصغاء الأوّل الذي يجب علينا اكتشافه عندما نبحث عن اتصال حقيقي هو الإصغاء إلى الذات، وإلى احتياجاتنا الحقيقية، المطبوعة في أعماق كلّ شخص. ولا يمكننا أن ننطلق مجدّدًا إلّا من خلال الإصغاء إلى ما يجعلنا فريدين في الخليقة: الرغبة في أن نكون في علاقة مع الآخرين ومع الله. نحن لم نُخلق لكي نعيش مثل ذرّات متباعدة، وإنّما معًا.
الإصغاء شرط للتواصل الجيّد
هناك سَمَعٌ ليس سمعًا ولا إصغاءً حقيقيًّا، بل نقيضه وهو استراق السمع. في الواقع، هناك تجربة حاضرة على الدوام ويبدو أنّها قد تفاقمت اليوم في زمن الشبكة الاجتماعية، وهي التنصت والتجسس، واستغلال الآخرين لمصلحتنا الخاصة. أمّا ما يجعل التواصل جيّدًا وإنسانيًّا بشكل كامل فهو أن نُصغي إلى من هو أمامنا، وجهًا لوجه، وأن نُصغي إلى الآخر الذي نقترب منه بانفتاح أمين وواثق وصادق.
إنّ غياب الإصغاء، الذي نختبره مرارًا في الحياة اليومية، يظهر للأسف واضحًا أيضًا في الحياة العامة، حيث، بدلًا من أن نُصغي بعضنا إلى بعض، غالبًا ما ”نتحدث عن بعضنا البعض“. وهذا دليل على واقع فينا وهو أنّنا نبحث عن موافقة الناس أكثر من بحثنا عن الحقيقة والخير، وبدلًا من الإصغاء نهتم بالمستمعين. فيما أنّ التواصل الجيّد لا يحاول أن يؤثِّر على الجمهور بالكلمة التي تفحم، أو بالنكتة بهدف السخرية من المخاطَب، ولكنّه يتنبّه إلى آراء الآخر ويحاول أن يفهم الواقع في كلّ تعقيداته. إنّه لأمر محزن أن نرى تجمعات أيديولوجية تنشأ، حتى في الكنيسة أيضًا، حيث يختفي الإصغاء ويفسح المجال لمواقف معارضة عقيمة.
في الواقع، في العديد من الحوارات لا يوجد بيننا تواصل. إنّنا ننتظر أن ينتهي الآخر من الكلام كي نفرض وجهة نظرنا. في هذه الأوضاع، كما يقول الفيلسوف أبراهام كابلان[3]، يصبح الحوار خطابَين منفردَين، أو مناجاة أو حديث منفرد بصوتَين. في التواصل الحقيقي، يكون ال”أنا“ والـ”أنت“ منفتحَين نحو الآخر.
الإصغاء إذًا هو المكوّن الأوّل الأساسي للحوار وللتواصل الجيّد. لا يمكن أن نتواصل مع الآخرين إن لم نصغ أوّلًا، ولا يمكن أن يُمارس العمل الصحفي الجيّد بدون القدرة على الإصغاء. وبغية تقديم معلومات أكيدة، متّزنة وكاملة، من الأهمية بمكان أن نصغي إلى الآخرين مطولًا. وكي ننقل حدثًا ما أو نَصف واقعًا في تقرير ما، ينبغي أن نعرف كيف نصغي وأن نكون مستعدين لتغيير فكرنا ولتعديل الفرضيات المكونة مُسَبقًا فينا.
إن خرجنا من الحديث المنفرد (المونولوج) فقط يمكن أن نصل إلى التناغم في الأصوات الذي هو ضمانة التواصل الحقيقي. الإصغاء إلى مصادر عدة، ”عدم التوقف عند المحطّة الأولى“ – كما يقول المتمرسون في المهنة –، هذا ما يضمن المصداقيّة والجديّة في المعلومات التي ننقلها. إنّ الإصغاء إلى أصوات عدة، والإصغاء المتبادل، حتى داخل الكنيسة، بين الإخوة والأخوات، هذا ما يسمح لنا بممارسة فن التمييز، الذي هو دائمًا بمثابة القدرة على توجيه خطواتنا وسط سيمفونية الأصوات.
لكن لماذا نكلّف أنفسنا عناء الإصغاء؟ كان الدبلوماسي الكبير في الكرسي الرسولي، الكاردينال أغوستينو كازارولي يتكلّم على ”استشهاد الصّبر“، وهو أمرٌ ضروري كي نصغي ونجعل الطرف الآخر يصغي إلينا خلال المفاوضات الصعبة، من أجل الحصول على أكبر قدر ممكن من الخير، في ظروف تكون الحرّيّة فيها مقيّدة. لكن يتطلب الإصغاء فضيلة الصّبر، أيضًا في الأوضاع الأقل صعوبة، بالإضافة إلى القدرة على ترك الحقيقة تفاجئنا، ولو جزء منها فقط، في الشخص الذي نصغي إليه. الدهشة وحدها تسمح بالمعرفة. أفكرُ بالفضولية اللامتناهية لدى الطفل الذي ينظر إلى العالم المحيط به بعينين واسعتين. إنّ الإصغاء بهذا الموقف النفسي – بدهشة الطفل المرفقة بوعي الشخص البالغ – هو دائمًا غنى، لأنّ هناك دائمًا شيئًا، ولو كان صغيرًا، يمكن أن أتعلّمه من الآخر وأستثمره في حياتي.
القدرة على الإصغاء إلى المجتمع ثمينة جدًا في هذا الزمن الذي يعاني من استمرار الجائحة. فَقَدْ تراكَم في السابق انعدام الثقة بـ ”الإعلام الرسمي“ سبّب أيضًا ”وباءً إعلاميًا“، حيث أصبح من الصّعب جعل عالم الإعلام مصدَّقًا وشفافًا. يجب فتح الأذنَين، والإصغاء العميق إلى الاستياء الاجتماعي المتنامي بسبب تباطؤ أو توقف العديد من النشاطات الاقتصاديّة.
إنّ واقع الهجرة القسرية هو أيضًا مشكلة معقدة ولا أحد يملك حلًا لها. وأكرّر أنّه بغية التغلّب على الأحكام المسبقة حيال المهاجرين وتخطي قساوة قلوبنا، لا بد من أن نسعى للإصغاء إلى قصصهم. وأن نعطي اسمًا وقصة لكلّ واحد منهم. العديد من الصحفيين الجيّدين يفعلون ذلك، وكثيرون آخرون يريدون أن يفعلوا الشيء نفسه لو استطاعوا ذلك. يجب أن نشجعهم! لنصغِ إلى هذه القصص! وكلّ واحد سيكون حرًا في دعم سياسات الهجرة التي يراها ملائمة لبلده. لكن سنرى أمامنا أعين هؤلاء الأشخاص، لن نتعامل مع أرقام أو مع غزاةٍ خطرين، لكن مع وجوه وقصص أشخاص حقيقيين، مع نظرات وتطلعات ومعاناة رجال ونساء ينبغي الإصغاء إليهم.
الإصغاء بعضنا إلى بعض داخل الكنيسة
حتى داخل الكنيسة ثمة حاجة كبيرة للإصغاء إلى الآخرين وبعضنا إلى بعض. إنّها أثمن هبة وأكثرها فعالية يمكن أن نقدمها بعضنا لبعض. إنّنا كمسيحيين ننسى أن خدمة الإصغاء أُوكلت إلينا ممن هو المُصغي بامتياز، ونحن مدعوون إلى المشاركة في عمله. "يجب أن نصغي بأُذُن الله، إن أردنا أن نتكلّم بكلمته"[4]. هكذا يذكرنا اللاهوتي البروتستنتي Dietrich Bonhoeffer بأنّ الخدمة الأولى التي ينبغي أن نقدمها للآخرين في إطار الشركة هي الإصغاء إليهم. من لا يعرف أن يصغي إلى أخيه، سيفقد سريعًا المقدرة على الإصغاء إلى الله[5].
في العمل الرعوي، الفعل الأهم هو ”رسالة الأُذُن“. الإصغاء قبل التكلّم، كما يقول يعقوب الرسول: "على كُلِّ إِنسانٍ أَن يكونَ سَريعًا إِلى الاِستِماعِ بَطيئًا عَنِ الكَلام" (يعقوب 1، 19). إنّ تخصيص قسط من وقتنا مجانًا للإصغاء إلى الآخرين هو أوّل عمل محبّة.
بدأت منذ قليل مسيرة سينودية. لنصلِّ كي تكون فرصة كبيرة للإصغاء المتبادل. إنّ الشركة في الواقع ليست نتيجة استراتيجيات وبرامج، إنّها تُبنى على الإصغاء المتبادل بين الإخوة والأخوات. الوَحدة في الجوقة لا تقتضي التسوية بين الجميع والصوت الواحد، بل التعددية وتنوع الأصوات، وتعدد النغمات. وفي الوقت نفسه إنّ كلّ صوت في الجوقة يغني مستمعًا إلى الأصوات الأخرى، وفي إطار تناغم الكلّ. هذا التناغم صاغه المؤلّف الموسيقي، لكن تحقيقه يعتمد على سيمفونية جميع الأصوات المنفردة.
إن وعينا أنّنا مساهمون في شركة ووَحدة تسبقنا وتشملنا، أمكننا أن نعيد اكتشاف كنيسة سمفونية، يكون فيها كلّ واحد قادرًا على الغناء بصوته، متقبلًا أصوات الآخرين ومعتبّرًا إياها هبة له، حتى يتمّ التعبير عن تناغم الكلّ الذي يؤلّفه الرّوح القدس.
أُعطيَ في روما، في بازيليكا القديس يوحنا في اللاتران، يوم 24 كانون الثاني/يناير من العام 2022، في تذكار القديس فرانسيس دي سالِس.
فرنسيس
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[1]"Nolite habere cor in auribus, sed aures in corde" (العظة 380، 1: المكتبة الأوغسطينية الجديدة 34، 568).
[2]رسالة إلى الرهبانية بأسرها: مصادر فرنسيسكانيّة، 216.
[3]راجع حياة الحوار، فيج. د. روسلانسكي،وسائل التواصل. مناقشة في مؤتمر نوبل، شركة شمال هولندا للنشر، أمستردام 1969، 89-108.
CfrThe life of dialogue,in J. D.Roslanskyed.,Communication.A discussion at the Nobel Conference, North-Holland Publishing Company – Amsterdam 1969, 89-108.
[4]ديتريش بونهوفر،الحياة المشتركة، دار النشر كويرينيانا، بريشا 2017، 76.
D.Bonhoeffer,La vita comune, Queriniana, Brescia 2017, 76.
[5] راجعالمرجع نفسه، 75.
[00106-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0052-XX.02]