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Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 10.01.2022


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, nell’Aula della Benedizione, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

Eccellenze, Signore e Signori!

Ieri si è concluso il tempo liturgico del Natale, periodo privilegiato per coltivare i rapporti familiari, che a volte ci trovano distratti e lontani, affaccendati – come spesso siamo nel corso dell’anno – in molti altri impegni. Oggi, ne vogliamo continuare lo spirito, ritrovandoci insieme come una grande famiglia, che si incontra e dialoga. In fondo, questo è lo scopo della diplomazia: aiutare a mettere da parte i dissapori della convivenza umana, favorire la concordia e sperimentare come, quando superiamo le sabbie mobili della conflittualità, possiamo riscoprire il senso dell’unità profonda della realtà.[1]

Vi sono dunque particolarmente grato per aver voluto prendere parte quest’oggi al nostro annuale “incontro di famiglia”, occasione propizia per formularci reciprocamente i voti augurali per il nuovo anno e per guardare insieme alle luci e alle ombre del nostro tempo. Un particolare ringraziamento rivolgo al Decano, Sua Eccellenza il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro, per l’amabilità delle parole che mi ha indirizzato a nome dell’intero Corpo diplomatico. Attraverso di voi, desidero far giungere il mio saluto e il mio affetto anche ai popoli che rappresentate.

La vostra presenza è sempre un segno tangibile dell’attenzione che i vostri Paesi hanno per la Santa Sede e per il suo ruolo nella comunità internazionale. Molti di voi sono giunti da altre capitali per l’evento odierno, unendosi così alla nutrita schiera degli Ambasciatori residenti a Roma, che a breve vedrà aggiungersi pure quello della Confederazione Elvetica.

Cari Ambasciatori,

In questi giorni vediamo come la lotta alla pandemia richieda ancora un notevole sforzo da parte di tutti e come anche il nuovo anno si prospetti impegnativo. Il coronavirus continua a creare isolamento sociale e a mietere vittime e, tra quanti hanno perso la vita, vorrei qui ricordare il compianto Mons. Aldo Giordano, Nunzio Apostolico ben conosciuto e stimato in seno alla comunità diplomatica. Allo stesso tempo, abbiamo potuto constatare che laddove si è svolta un’efficace campagna vaccinale il rischio di un decorso grave della malattia è diminuito.

È dunque importante che possa proseguire lo sforzo per immunizzare quanto più possibile la popolazione. Ciò richiede un molteplice impegno a livello personale, politico e dell’intera comunità internazionale. Anzitutto a livello personale. Tutti abbiamo la responsabilità di aver cura di noi stessi e della nostra salute, il che si traduce anche nel rispetto per la salute di chi ci è vicino. La cura della salute rappresenta un obbligo morale. Purtroppo, constatiamo sempre più come viviamo in un mondo dai forti contrasti ideologici. Tante volte ci si lascia determinare dall’ideologia del momento, spesso costruita su notizie infondate o fatti scarsamente documentati. Ogni affermazione ideologica recide i legami della ragione umana con la realtà oggettiva delle cose. Proprio la pandemia ci impone, invece, una sorta di “cura di realtà”, che richiede di guardare in faccia al problema e di adottare i rimedi adatti per risolverlo. I vaccini non sono strumenti magici di guarigione, ma rappresentano certamente, in aggiunta alle cure che vanno sviluppate, la soluzione più ragionevole per la prevenzione della malattia.

Vi deve essere poi l’impegno della politica a perseguire il bene della popolazione attraverso decisioni di prevenzione e immunizzazione, che chiamino in causa anche i cittadini affinché possano sentirsi partecipi e responsabili, attraverso una comunicazione trasparente delle problematiche e delle misure idonee ad affrontarle. La carenza di fermezza decisionale e di chiarezza comunicativa genera confusione, crea sfiducia e mina la coesione sociale, alimentando nuove tensioni. Si instaura un “relativismo sociale” che ferisce l’armonia e l’unità.

Infine, occorre un impegno complessivo della comunità internazionale, affinché tutta la popolazione mondiale possa accedere in egual misura alle cure mediche essenziali e ai vaccini. Purtroppo occorre constatare con dolore che per vaste aree del mondo l’accesso universale all’assistenza sanitaria rimane ancora un miraggio. In un momento così grave per tutta l’umanità, ribadisco il mio appello affinché i Governi e gli enti privati interessati mostrino senso di responsabilità, elaborando una risposta coordinata a tutti i livelli (locale, nazionale, regionale, globale), mediante nuovi modelli di solidarietà e strumenti atti a rafforzare le capacità dei Paesi più bisognosi. In particolare, mi permetto di esortare gli Stati, che si stanno impegnando per stabilire uno strumento internazionale sulla preparazione e la risposta alle pandemie sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad adottare una politica di condivisione disinteressata, quale principio-chiave per garantire a tutti l’accesso a strumenti diagnostici, vaccini e farmaci. E parimenti, è auspicabile che istituzioni come l’Organizzazione Mondiale del Commercio e l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale adeguino i propri strumenti giuridici, affinché le regole monopolistiche non costituiscano ulteriori ostacoli alla produzione e a un accesso organizzato e coerente alle cure a livello mondiale.

Cari Ambasciatori,

lo scorso anno, anche grazie all’allentamento delle restrizioni disposte nel 2020, ho avuto l’occasione di ricevere molti Capi di Stato e di Governo, nonché diverse autorità civili e religiose.

Tra i molteplici incontri, vorrei qui menzionare la giornata del 1° luglio scorso, dedicata alla riflessione e alla preghiera per il Libano. Al caro popolo libanese, stretto dalla morsa di una crisi economica e politica che fatica a trovare soluzione, desidero oggi rinnovare la mia vicinanza e la mia preghiera, mentre auspico che le riforme necessarie e il sostegno della comunità internazionale aiutino il Paese a rimanere saldo nella propria identità di modello di coesistenza pacifica e di fratellanza tra le varie religioni presenti.

Nel corso del 2021, ho potuto riprendere anche i viaggi apostolici. Nel mese di marzo ho avuto la gioia di recarmi in Iraq. La Provvidenza ha voluto che ciò accadesse, come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo. Il popolo iracheno ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene e di vivere in pace. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; è da lì che Dio ha chiamato Abramo per iniziare la storia della salvezza.

In settembre poi mi sono recato a Budapest per la conclusione del Congresso Eucaristico Internazionale; e quindi in Slovacchia. È stata un’opportunità di incontro con i fedeli cattolici e di altre confessioni cristiane, come pure di dialogo con gli ebrei. Parimenti, il viaggio a Cipro e in Grecia, di cui è vivo in me il ricordo, mi ha consentito di approfondire i legami con i fratelli ortodossi e di sperimentare la fraternità tra le varie confessioni cristiane.

Una parte toccante di questo viaggio ha avuto luogo nell’isola di Lesbo, dove ho potuto constatare la generosità di quanti prestano la propria opera per fornire accoglienza e aiuto ai migranti, ma soprattutto ho visto i volti dei tanti bambini e adulti ospiti dei centri di accoglienza. Nei loro occhi c’è la fatica del viaggio, la paura di un futuro incerto, il dolore per i propri cari rimasti indietro e la nostalgia della patria che sono stati costretti ad abbandonare. Davanti a questi volti non possiamo rimanere indifferenti e non ci si può trincerare dietro muri e fili spinati con il pretesto di difendere la sicurezza o uno stile di vita. Questo non si può.

Ringrazio perciò quanti, individui e governi, si adoperano per garantire accoglienza e protezione ai migranti, facendosi carico anche della loro promozione umana e della loro integrazione nei Paesi che li hanno accolti. Sono consapevole delle difficoltà che alcuni Stati incontrano di fronte a flussi ingenti di persone. A nessuno può essere chiesto quanto è impossibilitato a fare, ma vi è una netta differenza fra accogliere, seppure limitatamente, e respingere totalmente.

Occorre vincere l’indifferenza e rigettare il pensiero che i migranti siano un problema di altri. L’esito di tale approccio lo si vede nella disumanizzazione stessa dei migranti concentrati in hotspot, dove finiscono per essere facile preda della criminalità e dei trafficanti di esseri umani, o per tentare disperati tentativi di fuga che a volte si concludono con la morte. Purtroppo, occorre anche rilevare che i migranti stessi sono spesso trasformati in arma di ricatto politico, in una sorta di “merce di contrattazione” che priva le persone della dignità.

In questa sede, desidero rinnovare la mia gratitudine alle Autorità italiane, grazie alle quali alcune persone sono potute venire con me a Roma da Cipro e dalla Grecia. Si è trattato di un gesto semplice ma significativo. Al popolo italiano, che ha sofferto molto all’inizio della pandemia, ma che ha anche mostrato segni incoraggianti di ripresa, rivolgo il mio augurio, perché mantenga sempre quello spirito di apertura generosa e solidale che lo contraddistingue.

In pari tempo, reputo di fondamentale importanza che l’Unione Europea trovi la sua coesione interna nella gestione delle migrazioni, come l’ha saputa trovare per far fronte alle conseguenze della pandemia. Occorre, infatti, dare vita a un sistema coerente e comprensivo di gestione delle politiche migratorie e di asilo, in modo che siano condivise le responsabilità nel ricevere i migranti, rivedere le domande di asilo, ridistribuire e integrare quanti possono essere accolti. La capacità di negoziare e trovare soluzione condivise è uno dei punti di forza dell’Unione Europea e costituisce un valido modello per affrontare in prospettiva le sfide globali che ci attendono.

Tuttavia, le migrazioni non riguardano solo l’Europa, anche se essa è particolarmente interessata da flussi provenienti sia dall’Africa sia dall’Asia. In questi anni abbiamo assistito, tra l’altro, all’esodo dei profughi siriani, a cui si sono aggiunti nei mesi scorsi quanti sono fuggiti dall’Afghanistan. Non dobbiamo neppure dimenticare gli esodi massicci che interessano il continente americano e che premono sul confine fra Messico e Stati Uniti d’America. Molti di quei migranti sono haitiani in fuga dalle tragedie che hanno colpito il loro Paese in questi anni.

La questione migratoria, come anche la pandemia e il cambiamento climatico, mostrano chiaramente che nessuno si può salvare da sé, ossia che le grandi sfide del nostro tempo sono tutte globali. Desta perciò preoccupazione constatare che di fronte a una maggiore interconnessione dei problemi, vada crescendo una più ampia frammentazione delle soluzioni. Non di rado si riscontra una mancanza di volontà nel voler aprire finestre di dialogo e spiragli di fraternità, e questo finisce per alimentare ulteriori tensioni e divisioni, nonché un generale senso di incertezza e instabilità. Occorre, invece, recuperare il senso della nostra comune identità di unica famiglia umana. L’alternativa è solo un crescente isolamento, segnato da preclusioni e chiusure reciproche che di fatto mettono ulteriormente in pericolo il multilateralismo, ovvero quello stile diplomatico che ha caratterizzato i rapporti internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale.

La diplomazia multilaterale attraversa da tempo una crisi di fiducia, dovuta a una ridotta credibilità dei sistemi sociali, governativi e intergovernativi. Importanti risoluzioni, dichiarazioni e decisioni sono spesso prese senza un vero negoziato nel quale tutti i Paesi abbiano voce in capitolo. Tale squilibrio, divenuto oggi drammaticamente evidente, genera disaffezione verso gli organismi internazionali da parte di molti Stati e indebolisce nel suo complesso il sistema multilaterale, rendendolo sempre meno efficace nell’affrontare le sfide globali.

Il deficit di efficacia di molte organizzazioni internazionali è anche dovuto alla diversa visione, tra i vari membri, degli scopi che esse si dovrebbero prefiggere. Non di rado il baricentro d’interesse si è spostato su tematiche per loro natura divisive e non strettamente attinenti allo scopo dell’organizzazione, con l’esito di agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell’umanità e le radici culturali che costituiscono l’identità di molti popoli. Come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, ritengo che si tratti di una forma di colonizzazione ideologica, che non lascia spazio alla libertà di espressione e che oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e istituzioni pubbliche. In nome della protezione delle diversità, si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un’idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità. Si va elaborando un pensiero unico – pericoloso – costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non l’ermeneutica di oggi.

La diplomazia multilaterale è chiamata perciò ad essere veramente inclusiva, non cancellando ma valorizzando le diversità e le sensibilità storiche che contraddistinguono i vari popoli. In tal modo essa riacquisterà credibilità ed efficacia per affrontare le prossime sfide, che richiedono all’umanità di ritrovarsi insieme come una grande famiglia, la quale, pur partendo da punti di vista differenti, dev’essere in grado di trovare soluzioni comuni per il bene di tutti. Ciò esige fiducia reciproca e disponibilità a dialogare, ovvero ad «ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme».[2] Peraltro, «il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale».[3] Non bisogna mai dimenticare che «ci sono alcuni valori permanenti».[4] Non sempre è facile riconoscerli, ma accettarli «conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso».[5] Desidero richiamare specialmente il diritto alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa.

In questa prospettiva, negli ultimi anni è cresciuta sempre più la consapevolezza collettiva in merito all’urgenza di affrontare la cura della nostra casa comune, che sta soffrendo a causa di un continuo e indiscriminato sfruttamento delle risorse. Al riguardo, penso specialmente alle Filippine, colpite nelle scorse settimane da un devastante tifone, come pure ad altre nazioni del Pacifico, vulnerabili dagli effetti negativi del cambiamento climatico, che mettono a rischio la vita degli abitanti, la maggior parte dei quali dipende da agricoltura, pesca e risorse naturali.

Proprio tale constatazione deve spingere la comunità internazionale nella sua globalità a trovare soluzioni comuni e a metterle in pratica. Nessuno può esimersi da tale sforzo, poiché siamo tutti interessati e coinvolti in egual misura. Nella recente COP26 a Glasgow sono stati compiuti alcuni passi che vanno nella giusta direzione, anche se piuttosto deboli rispetto alla consistenza del problema da affrontare. La strada per il conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi è complessa e sembra essere ancora lunga, mentre il tempo a disposizione è sempre meno. Vi è ancora molto da fare e dunque il 2022 sarà un altro anno fondamentale per verificare quanto e come ciò che si è deciso a Glasgow possa e debba essere ulteriormente rafforzato, in vista della COP27, prevista in Egitto nel novembre prossimo.

Eccellenze, Signore e Signori!

Dialogo e fraternità sono i due fuochi essenziali per superare le crisi del momento presente. Tuttavia, «nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti»[6], e tutta la comunità internazionale deve interrogarsi sull’urgenza di trovare soluzioni a scontri interminabili, che talvolta assumono il volto di vere e proprie guerre per procura (proxy wars).

Penso anzitutto alla Siria, dove ancora non si vede un orizzonte chiaro per la rinascita del Paese. Ancora oggi il popolo siriano piange i suoi morti, la perdita di tutto, e spera in un futuro migliore. Sono necessarie riforme politiche e costituzionali, affinché il Paese rinasca, ma è necessario pure che le sanzioni applicate non colpiscano direttamente la vita quotidiana, offrendo uno spiraglio di speranza alla popolazione, sempre più stretta nella morsa della povertà.

Non possiamo dimenticare neppure il conflitto in Yemen, una tragedia umana che si sta consumando da anni in silenzio, lontano dai riflettori mediatici e con una certa indifferenza della comunità internazionale, continuando a provocare numerose vittime civili, in particolare donne e bambini.

Nell’anno passato, non si sono fatti passi in avanti nel processo di pace tra Israele e Palestina. Vorrei davvero vedere questi due popoli ricostruire la fiducia tra di loro e riprendere a parlarsi direttamente per arrivare a vivere in due Stati fianco a fianco, in pace e sicurezza, senza odio e risentimento, ma guariti dal perdono reciproco.

Preoccupazione destano le tensioni istituzionali in Libia; come pure gli episodi di violenza ad opera del terrorismo internazionale nella regione del Sahel e i conflitti interni in Sudan, Sud Sudan ed Etiopia, dove occorre «ritrovare la via della riconciliazione e della pace attraverso un confronto sincero che metta al primo posto le esigenze della popolazione».[7]

Le profonde disuguaglianze, le ingiustizie e la corruzione endemica, nonché le varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone, continuano ad alimentare conflitti sociali anche nel continente americano, dove le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i veri e urgenti problemi dei cittadini, soprattutto dei più poveri e vulnerabili.

La fiducia reciproca e la disponibilità a un confronto sereno devono animare tutte le parti interessate per trovare soluzioni accettabili e durature in Ucraina e nel Caucaso meridionale, così come per evitare l’aprirsi di nuove crisi nei Balcani, in primo luogo in Bosnia ed Erzegovina.

Dialogo e fraternità sono quanto mai urgenti per affrontare, con saggezza ed efficacia, la crisi che colpisce ormai da quasi un anno il Myanmar, dove le strade che prima erano luogo di incontro sono ora teatro di scontri, che non risparmiano nemmeno i luoghi di preghiera.

Naturalmente, tutti i conflitti sono agevolati dall’abbondanza di armi a disposizione e dalla mancanza di scrupoli di quanti si adoperano a diffonderle. A volte ci si illude che gli armamenti servano solo a svolgere un ruolo dissuasivo contro possibili aggressori. La storia, e purtroppo anche la cronaca, ci insegnano che non è così. Chi possiede armi, prima o poi finisce per utilizzarle, poiché, come diceva san Paolo VI, «non si può amare con armi offensive in pugno».[8] Inoltre, «quando ci consegniamo alla logica delle armi e ci allontaniamo dall’esercizio del dialogo, ci dimentichiamo tragicamente che le armi, ancor prima di causare vittime e distruzione, hanno la capacità di generare cattivi sogni».[9] Sono preoccupazioni rese ancor più concrete oggi per la disponibilità e l’utilizzo di armamenti autonomi, che possono avere conseguenze terribili e imprevedibili, mentre dovrebbero essere soggette alla responsabilità della comunità internazionale.

Tra le armi che l’umanità ha prodotto, destano speciale preoccupazione quelle nucleari. A fine dicembre scorso è stata ulteriormente posticipata, a causa della pandemia, la X Conferenza d’Esame del Trattato sulla Non-Proliferazione Nucleare, che era prevista a New York in questi giorni. Un mondo libero da armi nucleari è possibile e necessario. Auspico, pertanto, che la Comunità internazionale colga l’opportunità di quella Conferenza per compiere un passo significativo in tale direzione. La Santa Sede rimane ferma nel sostenere che le armi nucleari sono strumenti inadeguati e inappropriati a rispondere alle minacce contro la sicurezza nel 21° secolo e che il loro possesso è immorale. La loro fabbricazione distoglie risorse alle prospettive di uno sviluppo umano integrale e il loro utilizzo, oltre a produrre conseguenze umanitarie e ambientali catastrofiche, minaccia l’esistenza stessa dell’umanità.

La Santa Sede ritiene parimenti importante che la ripresa a Vienna dei negoziati circa l’Accordo sul nucleare con l’Iran (Joint Comprehensive Plan of Action) possa conseguire esiti positivi per garantire un mondo più sicuro e fraterno.

Cari Ambasciatori!

Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace celebratasi il 1° gennaio scorso, ho cercato di porre in evidenza gli elementi che ritengo essenziali per favorire una cultura del dialogo e della fraternità.

Un posto speciale è occupato dall’educazione, attraverso la quale si formano le nuove generazioni, che sono la speranza e l’avvenire del mondo. Essa è il vettore primario dello sviluppo umano integrale, poiché rende la persona libera e responsabile.[10] Il processo educativo è lento e laborioso, talvolta può indurre allo scoraggiamento, ma mai vi si può rinunciare. Esso è espressione eminente del dialogo, perché non vi è vera educazione che non sia per sua struttura dialogica. L’educazione genera poi cultura e crea ponti d’incontro tra i popoli. La Santa Sede ha inteso sottolinearne il valore anche mediante la partecipazione all’Expo Dubai 2021, negli Emirati Arabi Uniti, con l’allestimento di un Padiglione ispirato al tema dell’Esposizione: “Collegare le menti, creare il futuro”.

La Chiesa Cattolica ha sempre riconosciuto e valorizzato il ruolo dell’educazione per la crescita spirituale, morale e sociale delle giovani nuove generazioni. È perciò ancor più per me motivo di dolore constatare come in diversi luoghi educativi – parrocchie e scuole – si siano consumati abusi sui minori, con gravi conseguenze psicologiche e spirituali sulle persone che li hanno subiti. Si tratta di crimini, sui quali vi deve essere la ferma volontà di fare chiarezza, vagliando i singoli casi, per accertare le responsabilità, rendere giustizia alle vittime e impedire che simili atrocità si ripetano in futuro.

Nonostante la gravità di tali atti, nessuna società può mai abdicare alla responsabilità di educare. Duole constatare, invece, come spesso, nei bilanci statali, poche risorse vengano destinate all’educazione. Essa viene vista prevalentemente come un costo, mentre si tratta del miglior investimento possibile.

La pandemia ha impedito a molti giovani di accedere alle istituzioni educative, con detrimento del loro processo di crescita personale e sociale. Molti, mediante i moderni strumenti tecnologici, hanno trovato rifugio in realtà virtuali, che creano legami psicologici ed emotivi molto forti, con la conseguenza di estraniare dagli altri e dalla realtà circostante e di modificare radicalmente le relazioni sociali. Con ciò non intendo certo negare l’utilità della tecnologia e dei suoi prodotti, che consentono di connettersi sempre più facilmente e rapidamente, ma richiamo l’urgenza di vigilare affinché tali strumenti non sostituiscano i veri rapporti umani, a livello interpersonale, familiare, sociale e internazionale. Se fin da piccoli si impara a isolarsi, più difficile sarà in futuro costruire ponti di fraternità e di pace. In un universo dove esiste solo l’“io”, difficilmente può esserci spazio per un “noi”.

Il secondo elemento che desidero brevemente richiamare è il lavoro, «fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello».[11]

Abbiamo dovuto constatare come la pandemia abbia messo a dura prova l’economia mondiale, con gravi ricadute sulle famiglie e sui lavoratori, che vivono situazioni di disagio psicologico, prima ancora che difficoltà economiche. Essa ha posto ancor più in evidenza le disuguaglianze persistenti in diversi ambiti socio-economici. Si pensi all’accesso all’acqua pulita, al cibo, all’istruzione, alle cure mediche. Il numero delle persone annoverate nella categoria della povertà estrema è in sensibile aumento. Per di più, la crisi sanitaria ha indotto molti lavoratori a cambiare tipo di mansioni, e talvolta li ha obbligati a entrare nell’ambito dell’economia sommersa, privandoli così dei sistemi di protezione sociale previsti in molti Paesi.

In questo quadro, la consapevolezza del valore del lavoro acquista un’importanza ulteriore poiché non esiste sviluppo economico senza il lavoro, né si può pensare che le moderne tecnologie possano rimpiazzare il valore aggiunto procurato dal lavoro umano. Esso è poi occasione di scoperta della propria dignità, di incontro e di crescita umana, via privilegiata attraverso la quale ciascuno partecipa attivamente al bene comune e dà un contributo concreto all’edificazione della pace. Anche in quest’ambito è perciò necessaria maggiore cooperazione tra tutti gli attori a livello locale, nazionale, regionale e globale, specialmente nel prossimo periodo, con le sfide poste dall’auspicata riconversione ecologica. Gli anni a venire saranno un tempo di opportunità per sviluppare nuovi servizi e imprese, adattare quelli già esistenti, aumentare l’accesso al lavoro dignitoso e adoperarsi per il rispetto dei diritti umani e di livelli adeguati di retribuzione e protezione sociale.

Eccellenze, Signore e Signori!

Il profeta Geremia ricorda che Dio ha per noi «progetti di pace e non di sventura, per conceder[ci] un futuro pieno di speranza» (29,11). Non dobbiamo perciò temere di fare spazio alla pace nella nostra vita, coltivando il dialogo e la fraternità tra di noi. La pace è un bene “contagioso”, che si propaga dal cuore di quanti la desiderano e ambiscono a viverla, raggiungendo il mondo intero. A ciascuno di voi, ai vostri cari e ai vostri popoli rinnovo la mia benedizione e l’augurio più sentito di un anno di serenità e di pace.

Grazie!

_______________________

[1] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 226-230.

[2] Messaggio per la LV Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 2021), 2.

[3] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 211.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Messaggio per la LV Giornata Mondiale della Pace, 1.

[7] Messaggio Urbi et Orbi, 25 dicembre 2021.

[8] Discorso alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 5.

[9] Incontro per la pace, Hiroshima, 24 novembre 2019.

[10] Cfr Messaggio per la LV Giornata Mondiale della Pace, 3.

[11] Messaggio per la LV Giornata Mondiale della Pace, 4.

[00038-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Excellences, Mesdames et Messieurs !

Le temps liturgique de Noël s’est achevé hier, une période privilégiée pour cultiver les relations familiales que nous vivons parfois de façon distraite et lointaine, occupés - comme nous le sommes souvent tout au long de l’année - par de nombreux autres engagements. Aujourd’hui, nous voulons en poursuivre l’esprit en nous retrouvant comme une grande famille qui se rencontre et échange. Au fond, tel est le but de la diplomatie : aider à mettre de côté les désaccords dans la cohabitation humaine, favoriser la concorde et expérimenter combien, lorsque nous dépassons les sables mouvants du conflit, nous pouvons redécouvrir le sens de l’unité profonde de la réalité.[1]

Je vous suis donc particulièrement reconnaissant d’avoir voulu prendre part aujourd’hui à notre “rencontre de famille” annuelle, une occasion propice pour nous formuler réciproquement les vœux pour la nouvelle année et pour regarder ensemble les lumières et les ombres de notre temps. J’adresse un remerciement particulier au Doyen, Son Excellence Monsieur George Poulides, Ambassadeur de Chypre, pour les aimables paroles qu’il m’a adressées au nom de tout le Corps diplomatique. À travers vous, je désire également faire parvenir mon salut et mon affection aux peuples que vous représentez.

Votre présence est toujours un signe tangible de l’attention que vos pays ont pour le Saint-Siège et pour son rôle dans la communauté internationale. Nombre d’entre vous sont venus d’autres capitales pour cet événement, rejoignant ainsi le nombre conséquent des Ambassadeurs résidents à Rome, auquel sera bientôt s’ajouté celui de la Confédération Helvétique.

Chers Ambassadeurs,

nous voyons ces jours-ci combien la lutte contre la pandémie exige encore un effort considérable de la part de tous, et aussi combien la nouvelle année s’annonce difficile. Le coronavirus continue à créer de l’isolement social et à faire des victimes et, parmi ceux qui ont perdu la vie, je voudrais rappeler ici le regretté Mgr Aldo Giordano, Nonce Apostolique bien connu et estimé au sein de la communauté diplomatique. En même temps, nous avons pu constater que là où une campagne de vaccination efficace a eu lieu, le risque d’une évolution grave de la maladie a diminué.

Il est donc important de poursuivre l’effort pour immuniser autant que possible la population. Cela exige un engagement multiple au niveau personnel, politique, et de la communauté internationale tout entière. Avant tout au niveau personnel. Nous avons tous la responsabilité de prendre soin de nous-mêmes et de notre santé, ce qui signifie également le respect de la santé de qui nous est proche. Le soin de la santé est une obligation morale. Malheureusement, nous constatons de plus en plus que nous vivons dans un monde aux forts contrastes idéologiques. On se laisse souvent conditionner par l’idéologie du moment, souvent construite sur des informations infondées ou sur des faits mal documentés. Toute affirmation idéologique rompt les liens de la raison humaine avec la réalité objective des choses. La pandémie, au contraire, nous impose précisément une sorte de “cure de réalité” qui exige de regarder le problème en face et d’adopter les solutions appropriées pour le résoudre. Les vaccins ne sont pas des outils magiques de guérison, mais ils représentent certainement, en plus des traitements qui doivent être développés, la solution la plus raisonnable pour la prévention de la maladie.

La politique doit aussi s’engager à poursuivre le bien de la population par des décisions de prévention et d’immunisation, qui interpellent également les citoyens pour qu’ils se sentent impliqués et responsables, par une communication transparente des problèmatiques et des mesures appropriées pour y faire face. Le manque de fermeté dans les décisions et de clarté dans la communication engendre la confusion, crée la méfiance et sape la cohésion sociale en alimentant de nouvelles tensions. Un “relativisme social”, qui blesse l’harmonie et l’unité, s’instaure.

Enfin, un engagement global de la communauté internationale est nécessaire pour que l’ensemble de la population mondiale ait un accès égal aux soins médicaux essentiels et aux vaccins. Malheureusement, il faut constater avec douleur que l’accès universel aux soins de santé reste un mirage dans de vastes régions du monde. À un moment aussi grave pour toute l’humanité, je réitère mon appel pour que les Gouvernements et les organismes privés concernés fassent preuve de sens des responsabilités, en élaborant une réponse coordonnée à tous les niveaux (local, national, régional, mondial), à travers de nouveaux modèles de solidarité et par des instruments permettant de renforcer les capacités des pays qui en ont le plus besoin. Je me permet d’exhorter en particulier les États, qui s’efforcent d’établir un instrument international de préparation et de réponse aux pandémies sous l’égide de l’Organisation Mondiale de la Santé, à adopter une politique de partage désintéressée, comme principe-clé pour garantir à tous l’accès aux outils de diagnostic, aux vaccins et aux médicaments. De même, il est souhaitable que des institutions telles que l’Organisation Mondiale du Commerce et l’Organisation Mondiale de la Propriété Intellectuelle ajustent leurs instruments juridiques, afin que les règles monopolistiques ne constituent pas de nouveaux obstacles à la production et à un accès organisé et cohérent aux soins au niveau mondial.

Chers Ambassadeurs,

l’année dernière, grâce notamment à l’assouplissement des restrictions imposées en 2020, j’ai eu l’occasion de recevoir de nombreux chefs d’État et de Gouvernement, ainsi que plusieurs autorités civiles et religieuses.

Parmi les multiples rencontres, je voudrais mentionner ici la journée du 1er juillet dernier, consacrée à la réflexion et à la prière pour le Liban. Au cher peuple libanais, aux prises avec une crise économique et politique qui peine à trouver des solutions, je désire aujourd’hui renouveler ma proximité et ma prière, tout en souhaitant que les réformes nécessaires et le soutien de la communauté internationale aident le pays à rester ferme dans son identité de modèle de coexistence pacifique et de fraternité entre les différentes religions qui y sont présentes.

Au cours de l’année 2021, j’ai pu reprendre également les voyages apostoliques. J’ai eu la joie de me rendre en Irak au mois de mars. La Providence a voulu qu’il ait lieu, comme un signe d’espérance après des années de guerre et de terrorisme. Le peuple irakien a le droit de retrouver la dignité qui lui revient et de vivre en paix. Ses racines religieuses et culturelles sont millénaires : la Mésopotamie est berceau de civilisation ; c’est de là que Dieu a appelé Abraham pour initier l’histoire du salut.

En septembre, je me suis ensuite rendu à Budapest pour la clôture du Congrès Eucharistique International, puis en Slovaquie. Ce fut l’occasion de rencontrer les fidèles catholiques et d’autres confessions chrétiennes, ainsi que de dialoguer avec les juifs. De même, le voyage à Chypre et en Grèce, dont le souvenir en moi est encore vif, m’a permis d’approfondir les liens avec les frères orthodoxes et de faire l’expérience de la fraternité entre les différentes confessions chrétiennes.

Une partie émouvante de ce voyage a eu lieu sur l’île de Lesbos où j’ai pu me rendre compte de la générosité de tous ceux qui œuvrent pour fournir un accueil et un aide aux migrants, mais où j’ai surtout vu les visages des nombreux enfants et des adultes des centres d’accueil. Il y a dans leurs yeux la fatigue du voyage, la peur d’un avenir incertain, la douleur pour les êtres chers qu’ils ont laissés derrière eux et la nostalgie de la patrie qu’ils ont été contraints d’abandonner. Devant ces visages, nous ne pouvons pas rester indifférents et nous ne pouvons pas nous retrancher derrière des murs et des fils barbelés sous prétexte de défendre la sécurité ou un mode de vie. Nous ne le pouvons pas.

Je remercie donc ceux qui, individus et gouvernements, œuvrent pour garantir un accueil et une protection aux migrants, en prenant également en charge leur promotion humaine et leur intégration dans les pays qui les ont accueillis. Je suis conscient des difficultés que rencontrent certains États face à des flux humains considérables. On ne peut demander à personne l’impossible, mais il y a une nette différence entre accueillir, même de façon limitée, et repousser totalement.

Il faut vaincre l’indifférence et rejeter la pensée selon laquelle les migrants seraient le problème des autres. Le résultat de cette approche se voit dans la déshumanisation même des migrants concentrés dans des hotspots, où ils finissent par être des proies faciles de la criminalité et des trafiquants d’êtres humains, ou par faire des tentatives désespérées de fuite qui se terminent parfois par la mort. Malheureusement, il faut également relever que les migrants eux-mêmes sont souvent transformés en arme de chantage politique, en une sorte de “marchandise de négociation” qui prive les personnes de leur dignité.

Je désire ici renouveler ma gratitude aux Autorités italiennes, grâce auxquelles quelques personnes ont pu venir à Rome avec moi depuis Chypre et la Grèce. Ce fut un geste simple mais significatif. Je souhaite au peuple italien, qui a beaucoup souffert au début de la pandémie mais qui a également montré des signes encourageants de reprise, de maintenir toujours cet esprit d'ouverture généreuse et de solidarité qui le caractérise.

En même temps, je crois qu'il est d’une importance fondamentale que l'Union Européenne trouve sa cohésion interne dans la gestion des migrations, comme elle a su la trouver face aux conséquences de la pandémie. Il est nécessaire de créer un système cohérent et complet de gestion des politiques d'immigration et d'asile, afin de partager les responsabilités en matière d'accueil des migrants, d'examen des demandes d'asile, de redistribution et d'intégration de ceux qui peuvent être accueillis. La capacité de négocier et de trouver des solutions communes est l'une des forces de l'Union Européenne et constitue un modèle précieux pour relever à long terme les défis mondiaux à venir.

Cependant, les migrations ne concernent pas seulement l'Europe, bien qu'elle soit particulièrement touchée par les flux en provenance d'Afrique et d'Asie. Ces dernières années, nous avons assisté, entre autres, à l'exode des réfugiés syriens, rejoints ces derniers mois par ceux qui fuient l'Afghanistan. Nous ne devons pas non plus oublier les exodes massifs qui touchent le continent américain et se pressent à la frontière entre le Mexique et les États-Unis d'Amérique. Beaucoup de ces migrants sont des Haïtiens qui fuient les tragédies qui ont frappé leur pays ces dernières années.

La question migratoire, ainsi que la pandémie et le changement climatique, montrent clairement que personne ne peut se sauver tout seul, c’est-à-dire que les grands défis de notre époque sont toujours mondiaux. Il est donc inquiétant de constater que face à une plus grande interconnexion des problèmes, les solutions sont de plus en plus fragmentées. On rencontre souvent un manque de volonté d'ouvrir des fenêtres de dialogue et de fraternité, ce qui finit par alimenter de nouvelles tensions et divisions, ainsi qu'un sentiment général d'incertitude et d'instabilité. Au contraire, il convient de retrouver le sens de notre identité commune en tant qu’unique famille humaine. Toute autre alternative ne serait qu'un isolement croissant, marqué de verrouillages et de fermetures réciproques qui saperaient encore davantage le multilatéralisme, qui est pourtant le style diplomatique qui a caractérisé les relations internationales depuis la fin de la seconde guerre mondiale.

La diplomatie multilatérale traverse depuis quelque temps une crise de confiance, due à la baisse de crédibilité des systèmes sociaux, gouvernementaux et intergouvernementaux. Des résolutions, déclarations et décisions importantes sont souvent prises sans de véritables négociations dans lesquelles tous les pays ont voix au chapitre. Ce déséquilibre, qui est devenu dramatiquement évident aujourd'hui, cause une désaffection de la part de nombreux États à l'égard des organismes internationaux et affaiblit le système multilatéral dans son ensemble, le rendant toujours moins efficace pour relever les défis mondiaux.

Le manque d'efficacité de nombreuses organisations internationales est également dû à la vision différente qu'ont les différents membres des objectifs qu'ils devraient se fixer. Il n'est pas rare que le centre d'intérêt se déplace vers des questions qui, par nature, sont clivantes et ne sont pas strictement liées à l'objectif de l’organisation, avec en conséquence des agendas de plus en plus dictés par un mode de pensée qui nie les fondements naturels de l'humanité et les racines culturelles qui constituent l'identité de nombreux peuples. Comme j'ai eu l'occasion de le dire en d'autres occasions, je crois qu'il s'agit d'une forme de colonisation idéologique qui ne laisse pas de place à la liberté d'expression et qui, aujourd'hui, prend de plus en plus la forme de la cancel culture qui envahit de nombreux domaines et institutions publiques. Au nom de la protection de la diversité, on finit par effacer le sens de toute identité, avec le risque de faire taire les positions qui défendent une idée respectueuse et équilibrée des différentes sensibilités. On assiste à l’élaboration d'une pensée unique – dangereuse - contrainte de nier l'histoire, ou pire encore, à la réécrire sur la base de catégories contemporaines, alors que toute situation historique doit être interprétée selon l'herméneutique de l'époque et non selon l’herméneutique actuelle.

La diplomatie multilatérale est donc appelée à être véritablement inclusive, non pas en effaçant mais en valorisant les diversités et les sensibilités historiques qui distinguent les différents peuples. Elle regagnera ainsi en crédibilité et en efficacité pour relever les défis à venir qui demandent à l'humanité de se rassembler comme une grande famille qui, tout en partant de points de vue différents, doit être capable de trouver des solutions communes pour le bien de tous. Cela suppose une confiance réciproque et une disponibilité au dialogue, c'est-à-dire à « s'écouter, discuter, se mettre d'accord et cheminer ensemble ».[2] De plus, « le dialogue est le chemin le plus adéquat pour parvenir à reconnaître ce qui doit toujours être affirmé et respecté, au-delà du consensus de circonstance ».[3] Nous ne devons jamais oublier qu’ « existent des valeurs permanentes ».[4] Il n'est pas toujours facile de les reconnaître, mais les accepter « donne solidité et stabilité à une éthique sociale. Même lorsque nous les avons reconnues et acceptées grâce au dialogue et au consensus, nous voyons que ces valeurs fondamentales sont au-dessus de tout consensus ».[5] Je voudrais rappeler en particulier le droit à la vie, de la conception jusqu’à la fin naturelle, et le droit à la liberté religieuse.

Dans cette perspective, une prise de conscience collective s’est accrue, ces dernières années, de l'urgence de prendre soin de notre maison commune qui souffre d'une exploitation continue et aveugle des ressources. À cet égard, je pense en particulier aux Philippines, frappées ces dernières semaines par un typhon dévastateur, ainsi qu'à d’autres nations du Pacifique vulnérables aux effets négatifs du changement climatique qui mettent en péril la vie des habitants dont la plupart dépendent de l'agriculture, de la pêche et des ressources naturelles.

Un tel constat doit pousser la communauté internationale dans son ensemble à trouver des solutions communes et à les mettre en pratique. Personne ne peut s’exempter d’un tel effort parce que nous sommes tous concernés et engagés au même titre. Lors de la récente COP26 à Glasgow, un certain nombre de pas ont été faits dans la bonne direction, bien qu'ils soient plutôt limités par rapport à l'ampleur du problème à traiter. La route à parcourir pour atteindre les objectifs de l'Accord de Paris est complexe et semble être encore longue, alors que le temps à disposition se réduit. Il reste encore beaucoup à faire, et 2022 sera donc une autre année cruciale pour vérifier dans quelle mesure et comment ce qui a été décidé à Glasgow peut et doit être encore renforcé, dans la perspective de la COP27, prévue en Égypte en novembre prochain.

Excellences, Mesdames et Messieurs !

Le dialogue et la fraternité sont les deux foyers essentiels pour surmonter les crises du moment présent. Cependant, « malgré les multiples efforts visant à un dialogue constructif entre les nations, le bruit assourdissant des guerres et des conflits s'amplifie »[6], et l'ensemble de la communauté internationale doit s'interroger sur l'urgence de trouver des solutions à des conflits interminables qui prennent parfois l'allure de véritables guerres par procuration (proxy wars).

Je pense avant tout à la Syrie où l’on n’entrevoit toujours pas d'horizon clair pour la renaissance du pays. Aujourd'hui encore, le peuple syrien pleure ses morts, la perte de tout, et espère un avenir meilleur. Des réformes politiques et constitutionnelles sont nécessaires pour que le pays puisse renaître, mais il est aussi nécessaire que les sanctions appliquées n'affectent pas directement la vie quotidienne, offrant une lueur d'espoir à la population, de plus en plus prisonnière de la pauvreté.

Nous ne pouvons pas non plus oublier le conflit au Yémen, une tragédie humaine qui se déroule depuis des années en silence, loin des projecteurs médiatiques et dans une certaine indifférence de la part de la communauté internationale, et qui continue à faire de nombreuses victimes civiles, en particulier des femmes et des enfants.

Au cours de l'année écoulée, aucun pas en avant n'a été fait dans le processus de paix entre Israël et la Palestine. Je voudrais vraiment voir ces deux peuples reconstruire la confiance entre eux et recommencer à se parler directement afin de parvenir à vivre dans deux États côte à côte, dans la paix et la sécurité, sans haine ni ressentiment, mais guéris par le pardon mutuel.

Les tensions institutionnelles en Libye sont préoccupantes, tout comme les violents épisodes de terrorisme international dans la région du Sahel et les conflits internes au Soudan, au Sud-Soudan et en Éthiopie où il est nécessaire de « retrouver le chemin de la réconciliation et de la paix par une discussion sincère qui mette les besoins de la population au premier plan ».[7]

Les profondes inégalités, les injustices et la corruption endémique, ainsi que les diverses formes de pauvreté qui offensent la dignité des personnes, continuent d'alimenter des conflits sociaux même sur le continent américain où les polarisations de plus en plus fortes ne contribuent pas à résoudre les problèmes réels et urgents des citoyens, en particulier des plus pauvres et des plus vulnérables.

La confiance réciproque et la disponibilité à un dialogue serein doivent animer toutes les parties concernées afin de trouver des solutions acceptables et durables en Ukraine et dans le Caucase méridional, ainsi que pour éviter que ne s’ouvrent de nouvelles crises dans les Balkans, en premier lieu en Bosnie-Herzégovine.

Le dialogue et la fraternité sont plus urgents que jamais pour faire face avec sagesse et efficacité à la crise qui touche le Myanmar depuis près d'un an, où les rues qui étaient autrefois des lieux de rencontre sont désormais le théâtre d'affrontements qui n'épargnent même pas les lieux de prière.

Naturellement, tous les conflits sont facilités par l'abondance des armes à disponibilité et le manque de scrupules de ceux qui s’affairent à les répandre. On a parfois l’illusion que les armements ne remplissent qu’un rôle dissuasif contre d'éventuels agresseurs. L'histoire, et malheureusement aussi l'actualité, nous enseignent que ce n'est pas le cas. Celui qui possède des armes finit tôt ou tard par les utiliser, car, comme le disait saint Paul VI, « on ne peut pas aimer avec des armes offensives dans les mains ».[8] En outre, « quand nous nous livrons à la logique des armes et nous éloignons de la pratique du dialogue, nous oublions tragiquement que les armes, avant même de faire des victimes et des ruines, peuvent provoquer des cauchemars ».[9] Ces préoccupations sont rendues encore plus concrètes aujourd'hui par la disponibilité et l'utilisation d'armements autonomes qui peuvent avoir des conséquences terribles et imprévisibles, alors qu'ils devraient être soumis à la responsabilité de la communauté internationale.

Parmi les armes que l'humanité a produites, les armes nucléaires sont particulièrement préoccupantes. La 10ème Conférence d’examen du Traité de non-prolifération nucléaire, qui a été reportée à plusieurs reprises en raison de la pandémie, se déroule actuellement à New York. Le Saint-Siège continue de soutenir avec fermeté que les armes nucléaires sont des outils inadéquats et inappropriés pour répondre aux menaces contre la sécurité au XXIème siècle, et que leur possession est hautement immorale. Leur fabrication détourne des ressources aux perspectives d’un développement humain intégral et leur utilisation, en plus de produire des conséquences environnementales catastrophiques, menace l'existence même de l'humanité. En ce sens, le Saint-Siège considère qu'il est d'une importance vitale que la reprise à Vienne des négociations sur l'accord nucléaire avec l'Iran (Joint Comprehensive Plan of Action) puisse aboutir à des résultats positifs afin de garantir un monde plus sûr et plus fraternel.

Chers Ambassadeurs !

Dans mon message pour la Journée mondiale de la paix célébrée le 1er janvier dernier, j'ai voulu mettre en évidence les éléments que je considère essentiels pour favoriser une culture du dialogue et de la fraternité.

Une place particulière est occupée par l'éducation, grâce à laquelle se forment les nouvelles générations, qui sont l'espérance et l'avenir du monde. Elle est le premier vecteur du développement humain intégral parce qu’elle rend la personne libre et responsable[10]. Le processus éducatif est lent et laborieux, il peut parfois conduire au découragement, mais jamais on n’y peut y renoncer. Il est une expression éminente du dialogue car il n'y a pas de véritable éducation qui ne soit dialogique dans sa structure. L'éducation génère ensuite la culture et construit des ponts de rencontre entre les peuples. Le Saint-Siège a voulu en souligner la valeur en participant à l'Expo Dubaï 2021, aux Émirats Arabes Unis, avec l’installation d’un pavillon inspiré du thème de l'exposition : « Connecter les esprits, construire l’avenir ».

L'Église catholique a toujours reconnu et valorisé le rôle de l'éducation dans la croissance spirituelle, morale et sociale des nouvelles générations. C’est donc d'autant plus pour moi une cause de douleur de constater que dans divers milieux éducatifs - paroisses et écoles - des abus sur mineurs ont eu lieu, avec de graves conséquences psychologiques et spirituelles pour les personnes qui les ont subis. Il s'agit de crimes sur lesquels il faut avoir la ferme volonté de faire la lumière en examinant les cas individuels, afin d'établir les responsabilités, de rendre justice aux victimes et d'empêcher que de telles atrocités ne se reproduisent à l'avenir.

Malgré la gravité de tels actes, aucune société ne peut jamais abdiquer sa responsabilité d'éduquer. Pourtant, il est douloureux de constater, comme souvent, que peu de ressources sont allouées à l'éducation dans les budgets des États. Celle-ci est d’abord considérée comme un coût, alors qu’il s’agit du meilleur investissement possible.

La pandémie a empêché de nombreux jeunes d'accéder aux établissements éducatifs, au détriment de leur processus de croissance personnelle et sociale. Nombreux sont ceux qui, grâce aux outils technologiques modernes, ont trouvé refuge dans des réalités virtuelles qui créent des liens psychologiques et émotionnels très forts, avec pour conséquence de les éloigner des autres et de la réalité environnante, et de modifier radicalement les relations sociales. Je n’entends certes pas nier par là l'utilité de la technologie et de ses produits qui nous permettent de nous connecter de plus en plus facilement et rapidement, mais je voudrais rappeler l'urgence de veiller à ce que ces outils ne remplacent pas les véritables relations humaines, au niveau interpersonnel, familial, social et international. Si l’on apprend à s’isoler dès le plus jeune âge, il sera plus difficile à l'avenir de construire des ponts de fraternité et de paix. Dans un univers où n’existe que le “je”, il peut difficilement y avoir de la place pour le “nous”.

Le deuxième élément que je voudrais rappeler brièvement est le travail, « facteur indispensable pour construire et préserver la paix. Il est expression de soi et de ses propres dons, mais aussi effort, fatigue, collaboration avec les autres, puisqu’on travaille toujours avec ou pour quelqu’un. Dans cette perspective fortement sociale, le travail est le lieu où nous apprenons à donner notre contribution pour un monde plus vivable et plus beau ».[11]

Nous avons dû constater combien la pandémie a mis à rude épreuve l'économie mondiale, avec de graves répercussions sur les familles et les travailleurs qui connaissent des situations de détresse psychologique plus encore que des difficultés économiques. Elle a mis encore plus en évidence les inégalités persistantes dans divers domaines socio-économiques. Que l’on pense à l'accès à l'eau potable, à la nourriture, à l’instruction, aux soins médicaux. Le nombre de personnes classées dans la catégorie de l'extrême pauvreté est en forte augmentation. En outre, la crise sanitaire a conduit de nombreux travailleurs à changer d'emploi, et les a parfois obligés à entrer dans l'économie souterraine, les privant ainsi des systèmes de protection sociale prévus dans de nombreux pays.

Dans ce contexte, la prise de conscience de la valeur du travail revêt une importance accrue car il n’existe pas de développement économique sans travail, et l’on ne peut pas non plus penser que les technologies modernes puissent remplacer la valeur ajoutée apportée par le travail humain. Celui-ci est aussi une occasion de découverte de sa propre dignité, de rencontre et de croissance humaine, et un moyen privilégié par lequel chacun participe activement au bien commun et apporte une contribution concrète à la construction de la paix. Dans ce domaine également, il est donc nécessaire de renforcer la coopération entre tous les acteurs au niveau local, national, régional et mondial, surtout dans les temps à venir, en lien avec les défis posés par la très attendue conversion écologique. Les années à venir seront l'occasion de développer de nouveaux services et entreprises, d'adapter ceux qui existent déjà, de faciliter l'accès à un travail digne et d'œuvrer au respect des droits humains et à des niveaux adéquats de rémunération et de protection sociale.

Excellences, Mesdames et Messieurs !

Le prophète Jérémie nous rappelle que Dieu a pour nous « des pensées de paix et non de malheur, pour [nous] donner un avenir et une espérance » (29, 11). C'est pourquoi nous ne devons pas avoir peur de faire une place à la paix dans notre vie, en cultivant le dialogue et la fraternité entre nous. La paix est un bien “contagieux” qui se propage à partir du cœur de ceux qui la désirent et aspirent à la vivre, jusqu’à atteindre le monde entier. À chacun d'entre vous, à vos proches et à vos populations, je renouvelle ma bénédiction et mes vœux les plus sincères pour une année de sérénité et de paix.

Merci !

_______________________

[1] Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), nn. 226-230.

[2] Message pour la 55e Journée Mondiale de la Paix (8 décembre 2021), n. 2.

[3] Lett. enc. Fratelli tutti (3 octobre 2020), n. 211.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Message pour la 55e Journée Mondiale de la Paix (8 décembre 2021), n. 1.

[7] Message Urbi et Orbi (25 décembre 2021).

[8] Discours aux Nations-Unies, 4 octobre 1965, n. 5.

[9] Rencontre pour la paix, Hiroshima, 24 novembre 2019.

[10] Cf. Message pour la 55e Journée mondiale de la Paix, n. 3.

[11] Message pour la célébration de la 55e Journée Mondiale de la Paix, n. 4.

[00038-FR.01] [Texte original: Italien]

 

Traduzione in lingua inglese

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen!

Yesterday concluded the liturgical season of Christmas, a privileged period for cultivating family relationships, from which we can at times be distracted and distant due to our many commitments during the year. Today we want to continue in that spirit, as we once more come together as a large family which discusses and dialogues. In the end, that is the aim of all diplomacy: to help resolve disagreements arising from human coexistence, to foster harmony and to realize that, once we pass beyond conflict, we can recover a sense of the profound unity of all reality.[1]

I am therefore particularly grateful to you for taking part today in our annual “family gathering”, a propitious occasion for exchanging good wishes for the New Year and for considering together the lights and shadows of our time. I especially thank the Dean, His Excellency Mr George Poulides, the Ambassador of Cyprus, for his gracious address to me in the name of the entire Diplomatic Corps. Through all of you, I extend my affectionate greetings to the peoples you represent.

Your presence is always a tangible sign of the attention your countries devote to the Holy See and its role in the international community. Many of you have come from other capital cities for today’s event, thus joining the numerous Ambassadors residing in Rome, who will soon be joined by the Swiss Confederation.

Dear Ambassadors,

In these days, we are conscious that the fight against the pandemic still calls for a significant effort on the part of everyone; certainly, the New Year will continue to be demanding in this regard. The coronavirus continues to cause social isolation and to take lives. Among those who have died, I would like to mention the late Archbishop Aldo Giordano, an Apostolic Nuncio who was well-known and respected in the diplomatic community. At the same time, we have realized that in those places where an effective vaccination campaign has taken place, the risk of severe repercussions of the disease has decreased.

It is therefore important to continue the effort to immunize the general population as much as possible. This calls for a manifold commitment on the personal, political and international levels. First, on the personal level. Each of us has a responsibility to care for ourself and our health, and this translates into respect for the health of those around us. Health care is a moral obligation. Sadly, we are finding increasingly that we live in a world of strong ideological divides. Frequently people let themselves be influenced by the ideology of the moment, often bolstered by baseless information or poorly documented facts. Every ideological statement severs the bond of human reason with the objective reality of things. The pandemic, on the other hand, urges us to adopt a sort of “reality therapy” that makes us confront the problem head on and adopt suitable remedies to resolve it. Vaccines are not a magical means of healing, yet surely they represent, in addition to other treatments that need to be developed, the most reasonable solution for the prevention of the disease.

A political commitment is thus needed to pursue the good of the general population through measures of prevention and immunization that also engage citizens so that they can feel involved and responsible, thanks to a clear discussion of the problems and the appropriate means of addressing them. The lack of resolute decision-making and clear communication generates confusion, creates mistrust and undermines social cohesion, fueling new tensions. The result is a “social relativism” detrimental to harmony and unity.

In the end, a comprehensive commitment on the part of the international community is necessary, so that the entire world population can have equal access to essential medical care and vaccines. We can only note with regret that, for large areas of the world, universal access to health care remains an illusion. At this grave moment in the life of humanity, I reiterate my appeal that governments and concerned private entities demonstrate a sense of responsibility, developing a coordinated response at every level (local, national, regional, global), through new models of solidarity and tools to strengthen the capabilities of those countries in greatest need. In particular, I would urge all states, who are working to establish an international instrument on pandemic preparedness and response under the aegis of the World Health Organization, to adopt a policy of generous sharing as a key principle to guarantee everyone access to diagnostic tools, vaccines and drugs. Likewise, it is appropriate that institutions such as the World Trade Organization and the World Intellectual Property Organization adapt their legal instruments lest monopolistic rules constitute further obstacles to production and to an organized and consistent access to healthcare on a global level.

Dear Ambassadors,

Last year, thanks also to the lessening of the restrictions put in place in 2020, I had occasion to receive many Heads of State and Governments, as well as various civil and religious authorities.

Among those many meetings, I would like to mention that of 1 July 2021, devoted to reflection and prayer for Lebanon. To the beloved Lebanese people, who are working to find a solution to the economic and political crisis that has gripped the nation, I wish today to renew my closeness and my prayers. At the same time, I trust that necessary reforms and the support of the international community will help the country to persevere in its proper identity as a model of peaceful coexistence and brotherhood among the different religions.

In the course of 2021, I was also able to resume my Apostolic Journeys. In March, I had the joy of travelling to Iraq. Providence willed this, as a sign of hope after years of war and terrorism. The Iraqi people have the right to regain their dignity and to live in peace. Their religious and cultural roots go back thousands of years: Mesopotamia is a cradle of civilization; it is from there that God called Abraham to inaugurate the history of salvation.

In September, I travelled to Budapest for the conclusion of the International Eucharistic Congress, and thereafter to Slovakia. It was an opportunity for me to meet with the Catholic faithful and Christians of other confessions, and to dialogue with the Jewish community. I likewise travelled to Cyprus and Greece, a Journey that remains vivid in my memory. That visit allowed me to deepen ties with our Orthodox brothers and to experience the fraternity existing between the various Christian confessions.

A very moving part of that Journey was my visit to the island of Lesbos, where I was able to see at first hand the generosity of all those working to provide hospitality and assistance to migrants, but above all, to see the faces of the many children and adults who are guests of these centres of hospitality. Their eyes spoke of the effort of their journey, their fear of an uncertain future, their sorrow for the loved ones they left behind and their nostalgia for the homeland they were forced to depart. Before those faces, we cannot be indifferent or hide behind walls and barbed wires under the pretext of defending security or a style of life. This we cannot do.

Consequently, I thank all those individuals and governments working to ensure that migrants are welcomed and protected, and to support their human promotion and integration in the countries that have received them. I am aware of the difficulties that some states encounter in the face of a large influx of people. No one can be asked to do what is impossible for them, yet there is a clear difference between accepting, albeit in a limited way, and rejecting completely.

There is a need to overcome indifference and to reject the idea that migrants are a problem for others. The results of this approach are evident in the dehumanization of those migrants concentrated in hotspots where they end up as easy prey to organized crime and human traffickers, or engage in desperate attempts to escape that at times end in death. Sadly, we must also note that migrants are themselves often turned into a weapon of political blackmail, becoming a sort of “bargaining commodity” that deprives them of their dignity.

Here I would like to renew my gratitude to the Italian authorities, thanks to whom several persons were able to come with me to Rome from Cyprus and Greece. This was a simple yet meaningful gesture. To the Italian people, who suffered greatly at the beginning of the pandemic, but who have also shown encouraging signs of recovery, I express my heartfelt hope that they will always maintain their characteristic spirit of generosity, openness and solidarity.

At the same time, I consider it essential that the European Union arrive at internal cohesion in handling migration movements, just as it did in dealing with the effects of the pandemic. There is a need to adopt a coherent and comprehensive system for coordinating policies on migration and asylum, with a view to sharing responsibility for the reception of migrants, the review of requests for asylum, and the redistribution and integration of those who can be accepted. The capacity to negotiate and discover shared solutions is one of the strong points of the European Union; it represents a sound model for a farsighted approach to the global challenges before us.

Nonetheless, the migration issue does not regard Europe alone, even though it is especially affected by waves of migrants coming from Africa and from Asia. In recent years, we have witnessed, among others, an exodus of Syrian refugees and, more recently, the many people who have fled Afghanistan. Nor can we overlook the massive migration movements on the American continent, which press upon the border between Mexico and the United States of America. Many of those migrants are Haitians fleeing the tragedies that have struck their country in recent years.

The issue of migration, together with the pandemic and climate change, has clearly demonstrated that we cannot be saved alone and by ourselves: the great challenges of our time are all global. It is thus troubling that, alongside the greater interconnection of problems, we are seeing a growing fragmentation of solutions. It is not uncommon to encounter unwillingness to open windows of dialogue and spaces of fraternity; this only fuels further tensions and divisions, as well as a generalized feeling of uncertainty and instability. What is needed instead is a recovery of our sense of shared identity as a single human family. The alternative can only be growing isolation, marked by a reciprocal rejection and refusal that further endangers multilateralism, the diplomatic style that has characterized international relations from the end of the Second World War to the present time.

For some time now, multilateral diplomacy has been experiencing a crisis of trust, due to the reduced credibility of social, governmental and intergovernmental systems. Important resolutions, declarations and decisions are frequently made without a genuine process of negotiation in which all countries have a say. This imbalance, now dramatically evident, has generated disaffection towards international agencies on the part of many states; it also weakens the multilateral system as a whole, with the result that it becomes less and less effective in confronting global challenges.

The diminished effectiveness of many international organizations is also due to their members entertaining differing visions of the ends they wish to pursue. Not infrequently, the centre of interest has shifted to matters that by their divisive nature do not strictly belong to the aims of the organization. As a result, agendas are increasingly dictated by a mindset that rejects the natural foundations of humanity and the cultural roots that constitute the identity of many peoples. As I have stated on other occasions, I consider this a form of ideological colonization, one that leaves no room for freedom of expression and is now taking the form of the “cancel culture” invading many circles and public institutions. Under the guise of defending diversity, it ends up cancelling all sense of identity, with the risk of silencing positions that defend a respectful and balanced understanding of various sensibilities. A kind of dangerous “one-track thinking” [pensée unique] is taking shape, one constrained to deny history or, worse yet, to rewrite it in terms of present-day categories, whereas any historical situation must be interpreted in the light of a hermeneutics of that particular time, not that of today.

Multilateral diplomacy is thus called to be truly inclusive, not canceling but cherishing the differences and sensibilities that have historically marked various peoples. In this way, it will regain credibility and effectiveness in facing the challenges to come, which will require humanity to join together as one great family that, starting from different viewpoints, should prove capable of finding common solutions for the good of all. This calls for reciprocal trust and willingness to dialogue; it entails “listening to one another, sharing different views, coming to agreement and walking together”.[2] Indeed, “dialogue is the best way to realize what ought always to be affirmed and respected apart from any ephemeral consensus”.[3] Nor should we overlook “the existence of certain enduring values”.[4] Those are not always easy to discern, but their acceptance “makes for a robust and solid social ethics. Once those fundamental values are adopted through dialogue and consensus, we realize that they rise above consensus”.[5] Here I wish to mention in particular the right to life, from conception to its natural end, and the right to religious freedom.

In this regard, in recent years we have seen a growing collective awareness of the urgent need to care for our common home, which is suffering from the constant and indiscriminate exploitation of its resources. Here I think especially of the Philippines, struck in these last weeks by a devastating typhoon, and of other nations in the Pacific, made vulnerable by the negative effects of climate change, which endanger the lives of their inhabitants, most of whom are dependent on agriculture, fishing and natural resources.

Precisely this realization should impel the international community as a whole to discover and implement common solutions. None may consider themselves exempt from this effort, since all of us are involved and affected in equal measure. At the recent COP26 in Glasgow, several steps were made in the right direction, even though they were rather weak in light of the gravity of the problem to be faced. The road to meeting the goals of the Paris Agreement is complex and appears to be long, while the time at our disposal is shorter and shorter. Much still remains to be done, and so 2022 will be another fundamental year for verifying to what extent and in what ways the decisions taken in Glasgow can and should be further consolidated in view of COP27, planned for Egypt next November.

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen!

Dialogue and fraternity are two essential focal points in our efforts to overcome the crisis of the present moment. Yet “despite numerous efforts aimed at constructive dialogue between nations, the deafening noise of war and conflict is intensifying”.[6] The entire international community must address the urgent need to find solutions to endless conflicts that at times appear as true proxy wars.

I think first of Syria, where the country’s rebirth does not yet clearly appear on the horizon. Even today, the Syrian people mourn their dead and the loss of everything, and continue to hope for a better future. Political and constitutional reforms are required for the country to be reborn, but the imposition of sanctions should not strike directly at everyday life, in order to provide a glimmer of hope to the general populace, increasingly caught in the grip of poverty.

Nor can we overlook the conflict in Yemen, a human tragedy that has gone on for years, silently, far from the spotlight of the media and with a certain indifference on the part of the international community, even as it continues to claim numerous civil victims, particularly women and children.

In the past year, no steps forward were made in the peace process between Israel and Palestine. I would truly like to see these two peoples rebuild mutual trust and resume speaking directly to each other, in order to reach the point where they can live in two states, side by side, in peace and security, without hatred and resentment, but the healing born of mutual forgiveness.

Other sources of concern are the institutional tensions in Libya, the episodes of violence by international terrorism in the Sahel region, and the internal conflicts in Sudan, South Sudan and Ethiopia, where there is need “to find once again the path of reconciliation and peace through a forthright encounter that places the needs of the people above all else”.[7]

Profound situations of inequality and injustice, endemic corruption and various forms of poverty that offend the dignity of persons also continue to fuel social conflicts on the American continent, where growing polarization is not helping to resolve the real and pressing problems of its people, especially those who are most poor and vulnerable.

Reciprocal trust and readiness to engage in calm discussion should also inspire all parties at stake, so that acceptable and lasting solutions can be found in Ukraine and in the southern Caucasus, and the outbreak of new crises can be avoided in the Balkans, primarily in Bosnia and Herzegovina.

Dialogue and fraternity are all the more urgently needed for dealing wisely and effectively with the crisis which for almost a year now has affected Myanmar; its streets, once places of encounter, are now the scene of fighting that does not spare even houses of prayer.

Naturally, these conflicts are exacerbated by the abundance of weapons on hand and the unscrupulousness of those who make every effort to supply them. At times, we deceive ourselves into thinking that these weapons serve to dissuade potential aggressors. History and, sadly, even daily news reports, make it clear that this is not the case. Those who possess weapons will eventually use them, since as Saint Paul VI observed, “a person cannot love with offensive weapons in his hands”.[8] Furthermore, “When we yield to the logic of arms and distance ourselves from the practice of dialogue, we forget to our detriment that, even before causing victims and ruination, weapons can create nightmares”.[9] Today these concerns have become even more real, if we consider the availability and employment of autonomous weapon systems that can have terrible and unforeseen consequences, and should be subject to the responsibility of the international community.

Among the weapons humanity has produced, nuclear arms are of particular concern. At the end of December last, the Tenth Review Conference of the parties to the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons, which was to meet in New York in these days, was once again postponed due to the pandemic. A world free of nuclear arms is possible and necessary. I therefore express my hope that the international community will view that Conference as an opportunity to take a significant step in this direction. The Holy See continues steadfastly to maintain that in the twenty-first century nuclear arms are an inadequate and inappropriate means of responding to security threats, and that possession of them is immoral. Their production diverts resources from integral human development and their employment not only has catastrophic humanitarian and environmental consequences, but also threatens the very existence of humanity.

The Holy See likewise considers it important that the resumption of negotiations in Vienna on the nuclear accord with Iran (the Joint Comprehensive Plan of Action) achieve positive results, in order to guarantee a more secure and fraternal world.

Dear Ambassadors!

In my Message for the World Day of Peace celebrated on 1 January last, I sought to highlight several factors that I consider essential for promoting a culture of dialogue and fraternity.

Education holds a special place, since it trains the younger generation, the future and hope of the world. Education is in fact the primary vehicle of integral human development, for it makes individuals free and responsible.[10] The educational process is slow and laborious, and can lead at times to discouragement, but we can never abandon it. It is an outstanding expression of dialogue, for no true education can lack a dialogical structure. Education likewise gives rise to culture and builds bridges of encounter between peoples. The Holy See wished to stress the importance of education also by its participation in Expo 2021 in Dubai, with a pavilion inspired by the theme of the Expo: “Connecting Minds, Creating the Future”.

The Catholic Church has always recognized and valued the role of education in the spiritual, moral and social growth of the young. It pains me, then, to acknowledge that in different educational settings – parishes and schools – the abuse of minors has occurred, resulting in serious psychological and spiritual consequences for those who experienced them. These are crimes, and they call for a firm resolve to investigate them fully, examining each case to ascertain responsibility, to ensure justice to the victims and to prevent similar atrocities from taking place in the future.

Despite the gravity of such acts, no society can ever abdicate its responsibility for education. Yet, regrettably, state budgets often allocate few resources for education, which tends to be viewed as an expense, instead of the best possible investment for the future.

The pandemic prevented many young people from attending school, to the detriment of their personal and social development. Modern technology enabled many young people to take refuge in virtual realities that create strong psychological and emotional links but isolate them from others and the world around them, radically modifying social relationships. In making this point, I in no way intend to deny the usefulness of technology and its products, which make it possible for us to connect with one another easily and quickly, but I do appeal urgently that we be watchful lest these instruments substitute for true human relationships at the interpersonal, familial, social and international levels. If we learn to isolate ourselves at an early age, it will later prove more difficult to build bridges of fraternity and peace. In a world where there is just “me”, it is difficult to make room for “us”.

The second thing that I would like to mention briefly is labour, “an indispensable factor in building and keeping peace. Labour is an expression of ourselves and our gifts, but also of our commitment, self-investment and cooperation with others, since we always work with or for someone else. Seen in this clearly social perspective, the workplace enables us to learn to make our contribution towards a more habitable and beautiful world”.[11]

We have seen that the pandemic has sorely tested the global economy, with serious repercussions on those families and workers who experienced situations of psychological distress even before the onset of the economic troubles. This has further highlighted persistent inequalities in various social and economic sectors. Here we can include access to clean water, food, education and medical care. The number of people falling under the category of extreme poverty has shown a marked increase. In addition, the health crisis forced many workers to change professions, and in some cases forced them to enter the underground economy, causing them to lose the social protections provided for in many countries.

In this context, we see even more clearly the importance of labour, since economic development cannot exist without it, nor can it be thought that modern technology can replace the surplus value of human labour. Human labour provides an opportunity for the discovery of our personal dignity, for encounter with others and for human growth; it is a privileged means whereby each person participates actively in the common good and offers a concrete contribution to peace. Here too, greater cooperation is needed among all actors on the local, national, regional and global levels, especially in the short term, given the challenges posed by the desired ecological conversion. The coming years will be a time of opportunity for developing new services and enterprises, adapting existing ones, increasing access to dignified work and devising new means of ensuring respect for human rights and adequate levels of remuneration and social protection.

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

The prophet Jeremiah tells us that God has “plans for [our] welfare and not for evil, to give [us] a future and a hope” (29:11). We should be unafraid, then, to make room for peace in our lives by cultivating dialogue and fraternity among one another. The gift of peace is “contagious”; it radiates from the hearts of those who long for it and aspire to share it, and spreads throughout the whole world. To each of you, your families and the peoples you represent, I renew my blessing and offer my heartfelt good wishes for a year of serenity and peace.

Thank you!

_________________________

[1] Cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium (24 November 2013), 226-230.

[2] Message for the 2022 World Day of Peace (8 December 2021), 2.

[3] Encyclical Letter Fratelli Tutti (3 October 2020), 211.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Message for the 2022 World Day of Peace, 1.

[7] Urbi et Orbi Message, 25 December 2021.

[8] Address to the United Nations (4 October 1965), 5.

[9] Meeting for Peace, Hiroshima, 24 November 2019.

[10] Cf. Message for the 2022 World Day of Peace, 3.

[11] Message for the 2022 World Day of Peace, 4.

[00038-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Excelencias, señoras y señores:

Ayer concluyó el tiempo litúrgico de Navidad, período privilegiado para cultivar las relaciones familiares, que a veces nos encuentran distraídos y alejados, ocupados —como frecuentemente estamos durante el año— en muchos otros compromisos. Hoy queremos continuar con ese espíritu, volviéndonos a reunir como una gran familia, que se encuentra y dialoga. En definitiva, este es el objetivo de la diplomacia: ayudar a dejar a un lado los desacuerdos de la convivencia humana, favorecer la concordia y experimentar cómo, cuando superamos las arenas movedizas de los conflictos, podemos redescubrir el sentido de la profunda unidad de la realidad.[1]

Les agradezco de modo especial que hayan querido tomar parte el día de hoy en nuestro “encuentro de familia” anual, ocasión propicia para formularnos recíprocamente nuestros mejores deseos para el año nuevo y para considerar juntos las luces y sombras de nuestro tiempo. Expreso un agradecimiento particular al Decano, Su Excelencia el señor George Poulides, Embajador de Chipre, por la amabilidad de las palabras que me ha dirigido en nombre de todo el Cuerpo diplomático. Por medio de ustedes, también deseo hacer llegar mi saludo y mi afecto a los pueblos que representan.

Vuestra presencia siempre es un signo tangible de la atención que vuestros países tienen para con la Santa Sede y por su papel en la comunidad internacional. Muchos de ustedes llegaron de otras capitales para este evento, uniéndose así al nutrido grupo de los embajadores residentes en Roma, al que en breve también se agregará el de la Confederación Suiza.

Queridos embajadores:

En estos días vemos cómo la lucha contra la pandemia requiere aún un notable esfuerzo por parte de todos y cómo también el nuevo año se presenta desafiante. El coronavirus sigue creando aislamiento social y cosechando víctimas y, entre los que han perdido la vida, quisiera recordar al recientemente fallecido Mons. Aldo Giordano, Nuncio Apostólico muy conocido y estimado en el seno de la comunidad diplomática. Al mismo tiempo, hemos podido constatar que en los lugares donde se ha llevado adelante una campaña de vacunación eficaz, ha disminuido el riesgo de un avance grave de la enfermedad.

Por lo tanto, es importante que se continúen los esfuerzos para inmunizar a la población lo más que se pueda. Esto requiere un múltiple compromiso a nivel personal, político y de la comunidad internacional en su conjunto. En primer lugar, a nivel personal. Todos tenemos la responsabilidad de cuidar de nosotros mismos y de nuestra salud, lo que se traduce también en el respeto por la salud de quien está cerca de nosotros. El cuidado de la salud constituye una obligación moral. Lamentablemente, cada vez más constatamos cómo vivimos en un mundo de fuertes contrastes ideológicos. Muchas veces nos dejamos influenciar por la ideología del momento, a menudo basada en noticias sin fundamento o en hechos poco documentados. Toda afirmación ideológica cercena los vínculos que la razón humana tiene con la realidad objetiva de las cosas. En cambio, la pandemia nos impone una suerte de “cura de realidad”, que requiere afrontar el problema y adoptar los remedios adecuados para resolverlo. Las vacunas no son instrumentos mágicos de curación, sino que representan ciertamente, junto con los tratamientos que se están desarrollando, la solución más razonable para la prevención de la enfermedad.

Por otra parte, la política debe comprometerse a buscar el bien de la población por medio de decisiones de prevención e inmunización, que interpelen también a los ciudadanos para que puedan sentirse partícipes y responsables, por medio de una comunicación transparente de las problemáticas y de las medidas idóneas para afrontarlas. La falta de firmeza decisional y de claridad comunicativa genera confusión, crea desconfianza y amenaza la cohesión social, alimentando nuevas tensiones. Se instaura un “relativismo social” que hiere la armonía y la unidad.

Por último, es necesario un compromiso global de la comunidad internacional, para que toda la población mundial pueda acceder de la misma manera a los tratamientos médicos esenciales y a las vacunas. Lamentablemente, se constata con dolor que, en extensas zonas del mundo, el acceso universal a la asistencia sanitaria sigue siendo un espejismo. En un momento tan grave para toda la humanidad, reitero mi llamamiento para que los gobiernos y los entes privados implicados muestren sentido de responsabilidad, elaborando una respuesta coordinada a todos los niveles (local, nacional, regional y global), mediante nuevos modelos de solidaridad e instrumentos aptos para reforzar las capacidades de los países más necesitados. Me permito exhortar, en particular, a los estados que se están esforzando por establecer un instrumento internacional sobre la preparación y la respuesta a las pandemias, bajo el patrocinio de la Organización Mundial de la Salud, para que adopten una política de desinteresada ayuda mutua, como principio clave para que el acceso a instrumentos diagnósticos, vacunas y fármacos esté garantizado a todos. Asimismo, sería conveniente que instituciones como la Organización Mundial del Comercio y la Organización Mundial de la Propiedad Intelectual adecuen sus propios instrumentos jurídicos, para que las reglas monopólicas no constituyan ulteriores obstáculos a la producción y a un acceso organizado y coherente a los tratamientos a nivel mundial.

Queridos embajadores:

El año pasado, gracias también a la flexibilización de las restricciones dispuestas en el 2020, tuve ocasión de recibir a muchos jefes de estado y de gobierno, además de diversas autoridades civiles y religiosas.

Entre los múltiples encuentros, quisiera mencionar aquí la jornada del pasado 1 de julio, dedicada a la reflexión y a la oración por el Líbano. Al querido pueblo libanés, azotado por una crisis económica y política difícil de remediar, deseo renovar hoy mi cercanía y mi oración, mientras espero que las reformas necesarias y el apoyo de la comunidad internacional ayuden al país a permanecer firme en su identidad como modelo de coexistencia pacífica y de fraternidad entre las diversas religiones ahí presentes.

Durante el año 2021, también pude reanudar los viajes apostólicos. En el mes de marzo tuve la alegría de visitar Irak. Quiso la Providencia que esto sucediera como un signo de esperanza después de años de guerra y terrorismo. El pueblo iraquí tiene derecho a recuperar la dignidad que le pertenece y a vivir en paz. Sus raíces religiosas y culturales son milenarias: Mesopotamia es cuna de civilización; fue de allí de donde Dios llamó a Abrahán para dar inicio a la historia de la salvación.

Después, en septiembre, visité Budapest para la clausura del Congreso Eucarístico Internacional; y, luego, Eslovaquia. Fue una oportunidad de encuentro con los fieles católicos y de otras confesiones cristianas, como también de diálogo con los judíos. Del mismo modo, el viaje a Chipre y Grecia, del que conservo vivos recuerdos, me permitió profundizar los vínculos con los hermanos ortodoxos y experimentar la fraternidad entre las diversas confesiones cristianas.

Una parte conmovedora de este viaje tuvo lugar en la isla de Lesbos, donde pude constatar la generosidad de quienes trabajan para brindar acogida y ayuda a los migrantes, pero sobre todo vi los rostros de muchos niños y adultos alojados en los centros de acogida. En sus ojos está el cansancio del viaje, el miedo a un futuro incierto, el dolor por los propios seres queridos que dejaron atrás y la nostalgia de la patria que se vieron obligados a abandonar. Ante estos rostros no podemos permanecer indiferentes ni quedarnos atrincherados detrás de muros y alambres espinados, con el pretexto de defender la seguridad o un estilo de vida. Esto no se puede.

Por eso, agradezco a todos aquellos, personas y gobiernos, que se esfuerzan por garantizar acogida y protección a los migrantes, haciéndose cargo también de su promoción humana y de su integración en los países que los han acogido. Soy consciente de las dificultades que algunos estados encuentran frente a flujos ingentes de personas. A nadie se le puede pedir lo que no puede hacer, pero hay una clara diferencia entre acoger, aunque sea limitadamente, y rechazar totalmente.

Es necesario vencer la indiferencia y rechazar la idea de que los migrantes sean un problema de los demás. El resultado de semejante planteamiento se ve en la deshumanización misma de los migrantes, concentrados en los centros de registro e identificación —hotspot—, donde acaban siendo presa fácil de la delincuencia y de los traficantes de seres humanos, o por intentar desesperados planes de fuga que a veces culminan con la muerte. Lamentablemente, también es preciso destacar que los mismos migrantes a menudo son transformados en armas de coacción política, en una especie de “artículo de negociación”, que despoja a las personas de su dignidad.

En esta sede, deseo renovar mi gratitud a las autoridades italianas, gracias a las cuales algunas personas pudieron venir conmigo a Roma desde Chipre y Grecia. Se trató de un gesto sencillo pero significativo. Al pueblo italiano, que sufrió mucho al comienzo de la pandemia, pero que también ha demostrado alentadores signos de recuperación, dirijo mis mejores votos, para que mantenga siempre el espíritu de apertura generosa y solidaria que lo distingue.

Al mismo tiempo, considero de fundamental importancia que la Unión Europea encuentre su cohesión interna en la gestión de las migraciones, como la ha sabido encontrar para hacer frente a las consecuencias de la pandemia. Es necesario, en efecto, dar vida a un sistema coherente e integral de gestión de las políticas migratorias y de asilo, de modo que se compartan las responsabilidades en la recepción de migrantes, la revisión de las solicitudes de asilo, la redistribución e integración de cuantos puedan ser acogidos. La capacidad de negociar y encontrar soluciones compartidas es uno de los puntos de fuerza de la Unión Europea y constituye un modelo válido para afrontar con visión los retos globales que nos esperan.

Las migraciones, sin embargo, no conciernen sólo a Europa, aunque se vea especialmente afectada por los flujos provenientes de África y Asia. En estos años hemos asistido, entre otras cosas, al éxodo de los prófugos sirios, al que se han agregado en los últimos meses los que huyeron de Afganistán. Tampoco debemos olvidar los éxodos masivos que afectan al continente americano y que crean presión en la frontera entre México y Estados Unidos de América. Muchos de esos migrantes son haitianos que huyen de las tragedias que han golpeado su país en estos años.

La cuestión migratoria, como también la pandemia y el cambio climático, muestran claramente que nadie se puede salvar por sí mismo, es decir, que los grandes desafíos de nuestro tiempo son todos globales. Por eso, es preocupante constatar que, frente a una mayor interconexión de los problemas, vaya creciendo una mayor fragmentación de las soluciones. Con frecuencia se observa una falta de voluntad de querer abrir ventanas de diálogo y señales de fraternidad, y esto termina por alimentar más tensiones y divisiones, así como una sensación generalizada de incertidumbre e inestabilidad. Es necesario, en cambio, recuperar el sentido de nuestra común identidad como única familia humana. La alternativa sólo es un creciente aislamiento, marcado por exclusiones y clausuras recíprocas que de hecho ponen aún más en peligro la multilateralidad, que es ese estilo diplomático que ha caracterizado las relaciones internacionales desde el final de la segunda guerra mundial.

Hace tiempo que la diplomacia multilateral atraviesa una crisis de confianza, debida a una reducida credibilidad de los sistemas sociales, gubernamentales e intergubernamentales. A menudo se toman importantes resoluciones, declaraciones y decisiones sin una verdadera negociación en la que todos los países tengan voz y voto. Este desequilibrio, que hoy se ha vuelto dramáticamente evidente, genera una falta de aprecio hacia los organismos internacionales por parte de muchos estados y debilita el sistema multilateral en su conjunto, reduciendo cada vez más su capacidad para afrontar los desafíos globales.

El déficit de eficacia de muchas organizaciones internacionales también se debe a las diferentes visiones, que tienen los diversos miembros, de los fines que estas deberían alcanzar. Con frecuencia, el centro de interés se ha trasladado a temáticas que por su naturaleza provocan divisiones y no están estrechamente relacionadas con el fin de la organización, dando como resultado agendas cada vez más dictadas por un pensamiento que reniega los fundamentos naturales de la humanidad y las raíces culturales que constituyen la identidad de muchos pueblos. Como tuve oportunidad de afirmar en otras ocasiones, considero que se trata de una forma de colonización ideológica, que no deja espacio a la libertad de expresión y que hoy asume cada vez más la forma de esa cultura de la cancelación, que invade muchos ámbitos e instituciones públicas. En nombre de la protección de las diversidades, se termina por borrar el sentido de cada identidad, con el riesgo de acallar las posiciones que defienden una idea respetuosa y equilibrada de las diferentes sensibilidades. Se está elaborando un pensamiento único —peligroso— obligado a renegar la historia o, peor aún, a reescribirla en base a categorías contemporáneas, mientras que toda situación histórica debe interpretarse según la hermenéutica de la época, no según la hermenéutica de hoy.

Por eso, la diplomacia multilateral está llamada a ser verdaderamente inclusiva, no suprimiendo sino valorando las diversidades y las sensibilidades históricas que distinguen a los distintos pueblos. De ese modo, esta volverá a adquirir credibilidad y eficacia para afrontar los próximos retos, que exigen a la humanidad que vuelva a reunirse como una gran familia, la cual, aunque partiendo de puntos de vista diferentes, debe ser capaz de encontrar soluciones comunes para el bien de todos. Esto exige confianza recíproca y disponibilidad para dialogar, concretamente para «escucharse, confrontarse, ponerse de acuerdo y caminar juntos».[2] Por otra parte, «el diálogo es el camino más adecuado para llegar a reconocer aquello que debe ser siempre afirmado y respetado, y que está más allá del consenso circunstancial».[3] Nunca debemos olvidar que «hay algunos valores permanentes».[4] No siempre es fácil reconocerlos, pero aceptarlos «otorga solidez y estabilidad a una ética social. Aun cuando los hayamos reconocido y asumido gracias al diálogo y al consenso, vemos que esos valores básicos están más allá de todo consenso».[5] Deseo destacar especialmente el derecho a la vida, desde la concepción hasta su fin natural, y el derecho a la libertad religiosa.

En esta perspectiva, en los últimos años ha crecido cada vez más la conciencia colectiva en lo referente a la urgencia de afrontar el cuidado de nuestra casa común, que está sufriendo a causa de una continua e indiscriminada explotación de los recursos. A este respecto, pienso especialmente en las Filipinas, golpeadas en las semanas pasadas por un tifón devastador, como también en otras naciones del Pacífico, vulnerables por los efectos negativos del cambio climático, que ponen en riesgo la vida de los habitantes, la mayoría de los cuales dependen de la agricultura, la pesca y los recursos naturales.

Esta constatación es precisamente la que debe impulsar a la comunidad internacional en su conjunto a encontrar soluciones comunes y ponerlas en práctica. Nadie puede eximirse de dicho esfuerzo, porque nos atañe e implica a todos en la misma medida. En la reciente COP26, en Glasgow, se dieron algunos pasos que van en la correcta dirección, aunque más bien débiles respecto a la consistencia del problema a afrontar. El camino para alcanzar los objetivos del Acuerdo de París es complejo y parece todavía largo, mientras el tiempo a disposición es cada vez menos. Todavía hay mucho que hacer, y por consiguiente el 2022 será otro año fundamental para verificar cuánto y cómo, lo que se decidió en Glasgow, pueda y deba ser reforzado posteriormente, en consideración a la COP27, prevista para el próximo mes de noviembre en Egipto.

Excelencias, señoras y señores:

El diálogo y la fraternidad son los dos frentes esenciales para superar las crisis del momento actual. Sin embargo, «a pesar de los numerosos esfuerzos encaminados a un diálogo constructivo entre las naciones, el ruido ensordecedor de las guerras y los conflictos se amplifica»[6], y toda la comunidad internacional debe interrogarse sobre la urgencia de encontrar soluciones a los interminables conflictos, que a veces adoptan la forma de verdaderas guerras subsidiarias (proxy wars).

Pienso en primer lugar en Siria, donde todavía no hay un horizonte claro para la recuperación del país. Aún hoy, el pueblo sirio sigue llorando a sus muertos y la pérdida de todo, con la esperanza de un futuro mejor. Se necesitan reformas políticas y constitucionales para que el país renazca, sin embargo, es también indispensable que las sanciones aplicadas no afecten directamente a la vida cotidiana, ofreciendo un rayo de esperanza a la población, cada vez más atenazada por la pobreza.

Tampoco podemos olvidar el conflicto en Yemen, una tragedia humana que lleva años desarrollándose en silencio, lejos de los reflectores mediáticos y ante una cierta indiferencia de la comunidad internacional, que sigue causando numerosas víctimas civiles, especialmente mujeres y niños.

Durante el año pasado no se produjo ningún avance en el proceso de paz entre Israel y Palestina. Me gustaría que estos dos pueblos reconstruyeran la confianza entre ellos y volvieran a hablarse directamente para poder llegar a vivir en dos estados, uno junto al otro, en paz y seguridad, sin odio ni resentimiento, pero curados por el perdón recíproco.

Las tensiones institucionales en Libia son motivo de preocupación, así como también los episodios de violencia provocados por el terrorismo internacional en la región del Sahel y los conflictos internos en Sudán, Sudán del Sur y Etiopía, donde es necesario «encontrar el camino de la reconciliación y la paz a través de un debate sincero, que ponga las exigencias de la población en primer lugar».[7]

Las desigualdades profundas, las injusticias y la corrupción endémica, así como las diversas formas de pobreza que ofenden la dignidad de las personas, también siguen alimentando los conflictos sociales en el continente americano, donde la polarización cada vez más fuerte no ayuda a resolver los problemas reales y urgentes de los ciudadanos, especialmente de los más pobres y vulnerables.

La confianza mutua y la voluntad para un debate sereno deben animar a todas las partes implicadas para encontrar soluciones aceptables y duraderas en Ucrania y en el Cáucaso meridional, así como evitar la apertura de nuevas crisis en los Balcanes, sobre todo en Bosnia y Herzegovina.

Diálogo y fraternidad son más urgentes que nunca para hacer frente, con sabiduría y eficacia, a la crisis que afecta desde hace casi un año a Myanmar, donde las calles que antes eran lugares de encuentro son ahora escenario de enfrentamientos, que no perdonan ni siquiera los lugares de oración.

Evidentemente, todos los conflictos se ven facilitados por la abundancia de armas disponibles y la falta de escrúpulos de quienes se encargan de difundirlas. A veces nos hacemos la ilusión de que las armas sólo sirven para disuadir a posibles agresores. La historia, y por desgracia también las noticias, nos enseñan que no es así. Quien tiene armas, tarde o temprano acaba usándolas, porque, como decía san Pablo VI, «no es posible amar con armas ofensivas en las manos».[8] Además, «cuando nos entregamos a la lógica de las armas y nos alejamos del ejercicio del diálogo, nos olvidamos trágicamente de que las armas, antes incluso de causar víctimas y ruinas, tienen la capacidad de provocar pesadillas».[9] Estas preocupaciones se concretan aún más hoy en día por la disponibilidad y el uso de armamentos autónomos, que pueden tener consecuencias terribles e imprevisibles, mientras que deberían estar sujetas a la responsabilidad de la comunidad internacional.

Entre las armas que la humanidad ha producido, las nucleares son motivo de especial preocupación. A finales de diciembre pasado se pospuso de nuevo, por causa de la pandemia, la X Conferencia de Revisión del Tratado de No Proliferación de las Armas Nucleares, que estaba prevista en Nueva York para estos días. Un mundo sin armas nucleares es posible y necesario. En este sentido, deseo que la comunidad internacional aproveche la oportunidad de dicha conferencia para dar un paso significativo en esta dirección. La Santa Sede sigue insistiendo en que las armas nucleares son instrumentos inadecuados e inapropiados para responder a las amenazas a la seguridad en el siglo XXI y que su posesión es inmoral. Su fabricación desvía recursos a las perspectivas de un desarrollo humano integral y su uso, además de producir consecuencias humanitarias y medioambientales catastróficas, amenaza la existencia misma de la humanidad. La Santa Sede considera también importante que la reanudación de las negociaciones en Viena sobre el Acuerdo Nuclear con Irán (Joint Comprehensive Plan of Action) pueda alcanzar resultados positivos para garantizar un mundo más seguro y fraterno.

Queridos embajadores:

En mi mensaje para la Jornada Mundial de la Paz, celebrada el pasado 1 de enero, he querido destacar los elementos que considero esenciales para fomentar una cultura del diálogo y la fraternidad.

Un lugar especial lo ocupa la educación, a través de la cual se forman las nuevas generaciones, que son la esperanza y el futuro del mundo. Es el vector principal del desarrollo humano integral, ya que hace a la persona libre y responsable.[10] El proceso educativo es lento y complicado, a veces puede llevar al desánimo, pero nunca se puede abandonar; es una expresión eminente del diálogo, porque no hay verdadera educación que no sea dialógica en su estructura. Asimismo, la educación genera cultura y construye puentes de encuentro entre los pueblos. La Santa Sede ha subrayado el valor de la educación participando en la Expo Dubái 2021, en los Emiratos Árabes Unidos, con un pabellón inspirado en el tema de la Exposición: “Conectando mentes, creando el futuro”.

La Iglesia Católica siempre ha reconocido y valorado el papel de la educación en el crecimiento espiritual, moral y social de las jóvenes nuevas generaciones. Por ello, me resulta aún más doloroso constatar que en diversos ámbitos educativos ―parroquias y colegios― se han producido abusos a menores, con graves consecuencias psicológicas y espirituales para las personas que los han sufrido. Son crímenes sobre los que debe haber una firme voluntad de esclarecimiento, examinando los casos individuales para determinar las responsabilidades, hacer justicia a las víctimas y evitar que semejantes atrocidades se repitan en el futuro.

A pesar de la gravedad de estos actos, ninguna sociedad puede renunciar a su responsabilidad de educar. Por otra parte, es triste constatar cómo, a menudo, en los presupuestos estatales se destinan pocos recursos para la educación. Esta se considera principalmente como un gasto, mientras que, en cambio, es la mejor inversión posible.

La pandemia ha impedido que numerosos jóvenes accedan a los centros educativos, en detrimento de su desarrollo personal y social. Muchos, por medio de las modernas herramientas tecnológicas, han encontrado refugio en realidades virtuales, que crean vínculos psicológicos y emocionales muy fuertes, con la consecuencia de alejarlos de los demás y de la realidad circundante y alterar radicalmente las relaciones sociales. Con ello no trato de negar la utilidad de la tecnología y sus productos, que nos permiten conectarnos cada vez más fácil y rápidamente, pero quiero señalar la urgente necesidad de vigilar para que estos instrumentos no sustituyan las verdaderas relaciones humanas, a nivel interpersonal, familiar, social e internacional. Si se aprende a aislarse desde pequeños, será más difícil en el futuro construir puentes de fraternidad y paz. En un universo donde sólo existe el “yo”, difícilmente puede haber lugar para el “nosotros”.

El segundo elemento que me gustaría recordar brevemente es el trabajo, «factor indispensable para construir y mantener la paz; es expresión de uno mismo y de los propios dones, pero también es compromiso, esfuerzo, colaboración con otros, porque se trabaja siempre con o por alguien. En esta perspectiva marcadamente social, el trabajo es el lugar donde aprendemos a ofrecer nuestra contribución por un mundo más habitable y hermoso».[11]

Hemos constatado cómo la pandemia ha puesto a prueba la economía mundial, con graves repercusiones para las familias y los trabajadores, que están experimentando situaciones de angustia psicológica, antes incluso que dificultades económicas. Además, ha puesto aún más de manifiesto la persistencia de las desigualdades en diversos ámbitos socioeconómicos. Entre ellas, el acceso al agua potable, la alimentación, la educación y la atención médica. El número de personas que viven en pobreza extrema está aumentando considerablemente. Además, la crisis sanitaria ha llevado a muchos trabajadores a cambiar el tipo de empleo y a veces los ha obligado a entrar en el espacio de la economía sumergida, privándolos también de las medidas de protección social previstas en muchos países.

En este contexto, la conciencia del valor del trabajo adquiere una importancia adicional, puesto que no puede haber desarrollo económico sin trabajo, ni se puede pensar que las tecnologías modernas puedan sustituir el valor añadido que aporta el trabajo humano. El trabajo es también ocasión para descubrir la propia dignidad, para ir al encuentro de los demás y crecer como ser humano; es camino privilegiado a través del cual cada uno puede participar activamente en el bien común y contribuir concretamente a la construcción de la paz. Por lo tanto, también en este terreno es necesaria una mayor cooperación entre todos los actores a nivel local, nacional, regional y mundial, especialmente en el próximo período, con los desafíos que plantea la deseada reconversión ecológica. Los próximos años serán una oportunidad para desarrollar nuevos servicios y empresas, adaptar los existentes, aumentar el acceso al trabajo digno y trabajar por el respeto de los derechos humanos y de niveles adecuados de remuneración y protección social.

Excelencias, señoras y señores:

El profeta Jeremías nos recuerda que Dios tiene para nosotros «planes de paz y no de desgracia, de dar[nos] un futuro y una esperanza» (29,11). Por eso, no debemos tener miedo de dar cabida a la paz en nuestras vidas, cultivando el diálogo y la fraternidad entre nosotros. La paz es un bien “contagioso”, que se propaga desde el corazón de quienes la desean y aspiran a vivirla, alcanzando al mundo entero. A cada uno de ustedes, a sus seres queridos y a sus pueblos les renuevo mi bendición y mi más sincero deseo de un año de serenidad y paz.

Gracias.

_____________________

 

[1] Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 noviembre 2013), 226-230.

[2] Mensaje para la 55.ª Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2021), 2.

[3] Carta enc. Fratelli tutti (3 octubre 2020), 211.

[4] Ibíd.

[5] Ibíd.

[6] Mensaje para la 55.ª Jornada Mundial de la Paz, 1.

[7] Mensaje Urbi et Orbi, 25 diciembre 2021.

[8] Discurso a la Organización de las Naciones Unidas (4 octubre 1965), 10.

[9] Encuentro por la paz, Hiroshima, 24 noviembre 2019.

[10] Cf. Mensaje para la 55.ª Jornada Mundial de la Paz, 3.

[11] Mensaje para la 55.ª Jornada Mundial de la Paz, 4.

[00038-ES.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

Excelências, Senhoras e Senhores!

Ontem chegou ao fim o tempo litúrgico do Natal, período privilegiado para cultivar as relações familiares que por vezes nos veem tão distraídos e distantes, tão atarefados com tantos compromissos como frequentemente aparecemos no resto do ano. Hoje, queremos dar continuidade ao espírito do Natal, encontrando-nos juntos como uma grande família, que se encontra e dialoga. No fundo, este é o objetivo da diplomacia: ajudar a deixar de lado os dissabores da convivência humana, favorecer a concórdia e experimentar como, superando as areias movediças da conflitualidade, podemos redescobrir o sentido da unidade profunda da realidade.[1]

Por isso, sinto-me particularmente agradecido por terdes querido tomar parte neste nosso «encontro de família» anual, ocasião propícia de trocarmos mutuamente os bons votos para o novo ano e olharmos conjuntamente as luzes e as sombras do nosso tempo. Um agradecimento particular, exprimo-o ao Excelentíssimo Decano, o Senhor George Poulides, Embaixador de Chipre, pela amabilidade das palavras que me dirigiu em nome de todo o Corpo Diplomático. Por vosso intermédio, desejo fazer chegar a minha saudação e a certeza da minha estima também aos povos que representais.

A vossa presença é sempre um sinal palpável da atenção que os vossos países têm pela Santa Sé e o seu papel na comunidade internacional. Para participar neste momento, muitos de vós chegaram doutras capitais, unindo-se assim ao grande grupo dos Embaixadores residentes em Roma, aos quais virá brevemente juntar-se o da Confederação Suíça.

Prezados Embaixadores!

Nestes dias, vemos como a luta contra a pandemia ainda requer, da parte de todos, um esforço considerável e como o novo ano se anuncia também desafiador. O coronavírus continua a criar isolamento social e a ceifar vítimas; dentre os que perderam a vida, gostaria de recordar aqui o saudoso Arcebispo Aldo Giordano, Núncio Apostólico bem conhecido e estimado no seio da comunidade diplomática. Ao mesmo tempo pudemos constatar que, onde se realizou uma campanha de vacinação eficaz, diminuiu o risco dum decurso grave da doença.

Assim é importante que se possa continuar o esforço por imunizar, no máximo possível, a população. Isto requer um múltiplo empenho a nível pessoal, político e da comunidade internacional inteira. Em primeiro lugar, a nível pessoal. Todos temos a responsabilidade de cuidar de nós próprios e da nossa saúde, o que se traduz também no respeito pela saúde de quem vive ao nosso lado. O cuidado da saúde constitui uma obrigação moral. Constatamos cada vez mais, infelizmente, como vivemos num mundo de fortes contrastes ideológicos. Muitas vezes deixamo-nos determinar pela ideologia do momento, frequentemente construída sobre informações infundadas ou factos pouco documentados. Contrariamente a toda a afirmação ideológica que corta os laços da razão humana com a realidade objetiva das coisas, a pandemia impõe-nos uma espécie de «tratamento de realidade», que exige encarar de frente o problema e adotar os remédios adequados para o resolver. As vacinas não são instrumentos mágicos de cura, mas constituem sem dúvida, conjuntamente com os tratamentos que precisam de ser desenvolvidos, a solução mais razoável para a prevenção da doença.

Depois, deve haver o empenho da política na busca do bem da população através de decisões de prevenção e imunização, que envolvam também os cidadãos a fim de poderem sentir-se participantes e responsáveis, graças a uma comunicação transparente das problemáticas e das medidas idóneas para as enfrentar. A falta de firmeza na tomada de decisões e de clareza comunicativa gera confusão, cria desconfiança e mina a coesão social, alimentando novas tensões. Instaura-se um «relativismo social» que fere a harmonia e a unidade.

Por fim, é necessário um empenho geral da comunidade internacional, para que toda a população mundial tenha igual acesso aos cuidados médicos essenciais e às vacinas. Com mágoa, tem-se de constatar que o acesso universal à assistência sanitária ainda permanece uma miragem em vastas áreas do mundo. Num momento tão grave para toda a humanidade, reitero o meu apelo a fim de que os governos e as entidades privadas interessadas mostrem sentido de responsabilidade, elaborando uma resposta coordenada a todos os níveis (local, nacional, regional, global), através de novos modelos de solidariedade e instrumentos aptos para reforçar as capacidades dos países mais carecidos. Em particular, seja-me permitido exortar os Estados, que estão trabalhando para estabelecer um instrumento internacional de preparação e resposta às pandemias sob a égide da Organização Mundial da Saúde, a adotarem uma política de partilha desinteressada, como princípio-chave para garantir a todos o acesso a instrumentos de diagnóstico, vacinas e medicamentos. E de igual modo, espera-se que instituições como a Organização Mundial do Comércio e a Organização Mundial da Propriedade Intelectual adaptem os seus instrumentos jurídicos, para que as regras monopolistas não constituam acrescidos obstáculos à produção e a um acesso organizado e coerente dos tratamentos a nível mundial.

Prezados Embaixadores!

No ano passado, graças também ao abrandamento das restrições impostas em 2020, tive a oportunidade de receber muitos Chefes de Estado e de Governo, bem como várias autoridades civis e religiosas.

Dentre os numerosos encontros, gostaria de mencionar aqui a jornada dedicada à reflexão e oração pelo Líbano, no dia 1 de julho passado. Ao amado povo libanês, aflito por uma crise económica e política que sente dificuldade a encontrar solução, desejo renovar hoje a minha solidariedade e a minha oração, enquanto espero que as reformas necessárias e o apoio da comunidade internacional ajudem o país a manter-se firme na própria identidade de modelo de coexistência pacífica e de fraternidade entre as várias religiões presentes.

No decurso de 2021, pude retomar também as viagens apostólicas. Em março, tive a alegria de ir ao Iraque. A Providência quis que isso acontecesse, como sinal de esperança depois de anos de guerra e terrorismo. O povo iraquiano tem direito a reencontrar a dignidade que lhe pertence e a viver em paz. As suas raízes religiosas e culturais são milenárias: a Mesopotâmia é berço de civilização; foi de lá que Deus chamou Abraão para iniciar a história da salvação.

Depois, em setembro, fui a Budapeste para a conclusão do Congresso Eucarístico Internacional e em seguida à Eslováquia. Foi uma oportunidade de encontro com os fiéis católicos e doutras confissões cristãs, e também de diálogo com os judeus. Da mesma forma, a viagem a Chipre e à Grécia, cuja memória permanece viva em mim, permitiu-me aprofundar os laços com os irmãos ortodoxos e experimentar a fraternidade entre as várias confissões cristãs.

Uma parte comovente desta viagem teve lugar na ilha de Lesbos, onde pude constatar a generosidade de quantos prestam a sua ação para oferecer acolhimento e ajuda aos migrantes, mas sobretudo vi os rostos de tantas crianças e adultos hóspedes dos centros de acolhimento. Nos seus olhos, há o cansaço da viagem, o medo dum futuro incerto, a angústia pelos entes queridos que deixaram para trás e a saudade da pátria que foram obrigados a abandonar. Diante destes rostos, não podemos permanecer indiferentes, nem se pode entrincheirar atrás de muros e arame farpado a pretexto de defender a segurança ou um estilo de vida. Isso não se pode fazer.

Por isso, agradeço a quantos – indivíduos e governos – se esforçam por garantir acolhimento e proteção aos migrantes, cuidando também da sua promoção humana e integração nos países que os acolheram. Estou ciente das dificuldades com que alguns Estados se deparam perante fluxos imensos de pessoas. A ninguém pode ser pedido aquilo que está impossibilitado de fazer, mas há uma diferença nítida entre acolher, embora limitadamente, e repelir totalmente.

É preciso vencer a indiferença e rejeitar a ideia de que os migrantes são um problema de outrem. O resultado desta perspetiva vê-se na própria desumanização dos migrantes concentrados em campos de recolha, onde acabam por ser presa fácil da criminalidade e dos traficantes de seres humanos, ou por se lançar em desesperadas tentativas de fuga que às vezes terminam com a morte. Infelizmente, é preciso também destacar que os próprios migrantes muitas vezes são transformados em arma de chantagem política, numa espécie de «mercadoria de barganha» que priva as pessoas da dignidade.

Desejo renovar aqui a minha gratidão às autoridades italianas, graças às quais algumas pessoas de Chipre e da Grécia puderam vir comigo para Roma. Tratou-se dum gesto simples, mas significativo. Ao povo italiano, que muito sofreu no início da pandemia, mas que também deu sinais encorajadores de retoma, formulo os melhores votos de manter sempre este espírito de abertura generosa e solidária que o carateriza.

Entretanto considero de importância fundamental que a União Europeia encontre a sua coesão interna na gestão das migrações, como a soube encontrar para enfrentar as consequências da pandemia. De facto, é necessário criar um sistema coerente e global de gestão das políticas migratórias e de asilo, de modo que sejam compartilhadas as responsabilidades no acolhimento dos migrantes, na revisão dos pedidos de asilo, na redistribuição e integração de quantos podem ser aceites. A capacidade de negociar e encontrar soluções compartilhadas é um dos pontos de força da União Europeia e constitui um modelo válido para perspetivar os desafios globais que nos esperam.

Todavia as migrações não dizem respeito apenas à Europa, embora esta seja particularmente procurada pelos fluxos vindos da África e da Ásia. Nestes anos, assistimos, para além doutros, ao êxodo dos refugiados sírios, aos quais se vieram juntar nos últimos meses os que fogem do Afeganistão. Também não devemos esquecer os êxodos maciços que buscam o continente americano e pressionam na fronteira entre o México e os Estados Unidos da América. Muitos daqueles migrantes são haitianos em fuga das tragédias que atingiram o seu país nestes anos.

A questão migratória, bem como a pandemia e as mudanças climáticas mostram claramente que ninguém se pode salvar sozinho, ou seja, os grandes desafios do nosso tempo são todos globais. Por isso, é preocupante constatar como, face a uma maior interligação dos problemas, vai crescendo uma mais ampla fragmentação das soluções. Verifica-se, não raro, uma falta de vontade em querer abrir janelas de diálogo e sendas de fraternidade, o que acaba por alimentar novas tensões e divisões, além dum sentimento generalizado de incerteza e instabilidade. Pelo contrário, é preciso recuperar o sentido da nossa identidade comum de uma única família humana. A alternativa só pode ser um crescente isolamento, marcado por preconceitos e fechamentos mútuos que, de facto, colocam ainda mais em perigo o multilateralismo, que é o estilo diplomático que tem caraterizado as relações internacionais desde o fim da II Guerra Mundial.

A diplomacia multilateral atravessa, desde há algum tempo, uma crise de confiança, devido à reduzida credibilidade dos sistemas sociais, governamentais e intergovernamentais. Com frequência, tomam-se importantes resoluções, declarações e decisões sem uma verdadeira negociação onde todos os países tenham possibilidade de intervir. Este desequilíbrio, que hoje se tornou dramaticamente evidente, gera insatisfação para com os organismos internacionais por parte de muitos Estados e enfraquece no seu todo o sistema multilateral, tornando-o cada vez menos eficaz para enfrentar os desafios globais.

A falta de eficácia de muitas organizações internacionais é devida também à diferença de visão, entre os vários membros, dos objetivos que aquelas se deveriam prefixar. Não raro, o centro principal de interesse tem-se deslocado para temáticas que são por sua natureza divisivas e não estritamente atinentes à finalidade da organização, com o resultado de agendas cada vez mais ditadas por um pensamento que nega os fundamentos naturais da humanidade e as raízes culturais que constituem a identidade de muitos povos. Como já tive oportunidade de afirmar noutras ocasiões, considero que se trata duma forma de colonização ideológica, que não deixa espaço à liberdade de expressão e que hoje se concretiza cada vez mais naquela cultura censória, que invade tantos espaços e instituições públicas. Em nome da proteção das diversidades, acaba-se por apagar o sentido de cada identidade, com o risco de silenciar as posições que defendem uma ideia respeitosa e equilibrada das várias sensibilidades. Elabora-se um pensamento único – perigoso – que é forçado a renegar a história ou, pior ainda, a reescrevê-la com base em categorias contemporâneas, quando cada situação histórica deve ser interpretada segundo a hermenêutica da época, não a de hoje.

Por isso, a diplomacia multilateral é chamada a ser verdadeiramente inclusiva, não cancelando, mas valorizando as diversidades e as sensibilidades históricas que caraterizam os vários povos. Recuperará, assim, credibilidade e eficácia para enfrentar os próximos desafios, que exigem que a humanidade se reúna como uma grande família, que, embora partindo de pontos de vista diferentes, deve ser capaz de encontrar soluções comuns para o bem de todos. Isto exige confiança mútua e disponibilidade para dialogar, ou seja, «ouvir-se um ao outro, confrontar posições, pôr-se de acordo e caminhar juntos».[2] Aliás «o diálogo é o caminho mais adequado para se chegar a reconhecer aquilo que sempre deve ser afirmado e respeitado e que ultrapassa o consenso ocasional».[3] Nunca devemos esquecer que «há alguns valores permanentes».[4] Nem sempre é fácil reconhecê-los, mas aceitá-los «confere solidez e estabilidade a uma ética social. Mesmo quando os reconhecemos e assumimos através do diálogo e do consenso, vemos que estes valores basilares estão para além de qualquer consenso».[5] Desejo recordar especialmente o direito à vida, desde a conceção até ao fim natural, e o direito à liberdade religiosa.

Nesta perspetiva, tem crescido progressivamente, nos últimos anos, a consciência coletiva quanto à urgência de enfrentar o cuidado da nossa Casa comum, que geme por causa duma contínua e indiscriminada exploração dos recursos. A este respeito, penso especialmente nas Filipinas, atingidas nas semanas passadas por um tufão devastador, bem como noutras nações do Pacífico, vulneráveis aos efeitos negativos das mudanças climáticas, que colocam em risco a vida dos habitantes, a maioria dos quais depende da agricultura, pesca e recursos naturais.

Precisamente uma tal constatação deve impelir a comunidade internacional, na sua globalidade, a encontrar soluções comuns e colocá-las em prática. Ninguém pode eximir-se deste esforço, pois interessa e envolve igualmente a todos. Na recente COP26 em Glasgow, foram dados alguns passos que vão na direção certa, embora bastante débeis relativamente à consistência do problema a enfrentar. O caminho para se alcançar os objetivos do Acordo de Paris é complexo e parece ainda longo, enquanto se torna cada vez mais curto o tempo à disposição. Ainda há muito a fazer, e por conseguinte 2022 será mais um ano fundamental para verificar quanto e como possa e deva ser ainda mais reforçado o que foi decidido em Glasgow, tendo em vista a COP27 prevista para novembro próximo no Egito.

Excelências, Senhoras e Senhores!

Diálogo e fraternidade são os dois focos essenciais para superar as crises do momento presente. Todavia, «apesar dos múltiplos esforços visando um diálogo construtivo entre as nações, aumenta o ruído ensurdecedor de guerras e conflitos»,[6] e toda a comunidade internacional se deve interrogar sobre a urgência de encontrar soluções para conflitos intermináveis, que por vezes assumem a fisionomia de verdadeiras e próprias guerras por procuração (proxy wars).

Penso antes de mais nada na Síria, onde não se vê ainda um horizonte claro para o renascimento do país. Ainda hoje o povo sírio chora os seus mortos, a perda de tudo e espera por um futuro melhor. São necessárias reformas políticas e constitucionais, para que o país renasça, mas é preciso também que as sanções aplicadas não atinjam diretamente a vida quotidiana, oferecendo um vislumbre de esperança à população, cada vez mais aflita pela pobreza.

Nem podemos esquecer o conflito no Iémen, uma tragédia humana que se desenrola há anos em silêncio, longe dos holofotes dos meios de comunicação e no meio duma certa indiferença da comunidade internacional, continuando a provocar numerosas vítimas civis, especialmente mulheres e crianças.

No ano passado, nenhum progresso foi feito no processo de paz entre Israel e Palestina. Gostaria verdadeiramente de ver estes dois povos reconstruir a confiança entre eles e voltar a falar um com o outro diretamente para chegarem a viver em dois Estados lado a lado, em paz e segurança, sem ódio nem ressentimentos, mas curados pelo perdão mútuo.

Preocupam as tensões institucionais na Líbia; bem como os episódios de violência por obra do terrorismo internacional na região do Sahel e os conflitos internos no Sudão, Sudão do Sul e Etiópia, onde é necessário encontrar «o caminho da reconciliação e da paz, através duma discussão sincera que coloque em primeiro lugar as necessidades da população».[7]

As desigualdades profundas, as injustiças e a corrução endémica, assim como as várias formas de pobreza que ofendem a dignidade das pessoas continuam a alimentar conflitos sociais também no continente americano, onde as polarizações cada vez mais fortes não ajudam a resolver os problemas reais e urgentes dos cidadãos, sobretudo dos mais pobres e vulneráveis.

A confiança mútua e a disponibilidade para um sereno confronto devem animar todas as partes interessadas a encontrarem soluções aceitáveis e duradouras na Ucrânia e no sul do Cáucaso, bem como a evitarem a abertura de novas crises nos Balcãs, principalmente na Bósnia e Herzegovina.

Diálogo e fraternidade são de grande urgência para enfrentar, com sabedoria e eficácia, a crise que assola Myanmar há quase um ano, onde as estradas que antes eram lugares de encontro, agora são palco de confrontos, que não poupam sequer os lugares de oração.

Naturalmente todos os conflitos são favorecidos pela abundância de armas à disposição e pela falta de escrúpulos de quantos se esforçam por espalhá-las. Às vezes, temos a ilusão de que os armamentos servem apenas para desempenhar um papel dissuasor contra possíveis agressores. A história e as notícias também, infelizmente, ensinam-nos que não é assim. Quem possui armas, acaba mais cedo ou mais tarde por usá-las, porque, como dizia São Paulo VI, «não se pode amar com armas ofensivas nas mãos».[8] Além disso, «quando nos rendemos à lógica das armas e afastamos da prática do diálogo, esquecemos tragicamente que as armas, antes mesmo de causar vítimas e ruínas, têm a capacidade de provocar pesadelos».[9] Trata-se de preocupações tornadas ainda mais concretas hoje com a disponibilidade e a utilização de armamentos autónomos, que podem ter consequências terríveis e imprevisíveis, mas que deveriam estar sujeitas à responsabilidade da comunidade internacional.

Dentre as armas que a humanidade produziu, causam particular preocupação as armas nucleares. No fim de dezembro passado, devido à pandemia, teve de ser adiada de novo a X Conferência de Exame do Tratado de Não Proliferação Nuclear, que estava prevista em Nova York nestes dias. Um mundo livre de armas nucleares é possível e necessário. Espero, pois, que a comunidade internacional aproveite a oportunidade da citada Conferência para realizar um passo significativo nesta direção. A Santa Sé continua firmemente a sustentar que as armas nucleares são instrumentos inadequados e impróprios para responder às ameaças à segurança no século XXI e que a sua posse é imoral. A sua fabricação desvia recursos que deviam ser empregues na perspetiva dum desenvolvimento humano integral e a sua utilização, além de produzir consequências humanitárias e ambientais catastróficas, ameaça a própria existência da humanidade.

A Santa Sé considera igualmente importante que a retoma em Viena das negociações do Acordo acerca do nuclear com o Irã (Joint Comprehensive Plan of Action) possa alcançar resultados positivos para garantir um mundo mais seguro e fraterno.

Prezados Embaixadores!

Na mensagem para o Dia Mundial da Paz celebrado no passado dia 1 de janeiro, procurei destacar os elementos que considero essenciais para fomentar uma cultura do diálogo e da fraternidade.

Um lugar especial é ocupado pela educação, através da qual se formam as novas gerações que são a esperança e o futuro do mundo. É o vetor primário do desenvolvimento humano integral, pois torna a pessoa livre e responsável.[10] O processo educativo é lento e trabalhoso, podendo às vezes levar ao desânimo, mas não se pode renunciar a ele jamais. Aquele é expressão eminente do diálogo, porque não há verdadeira educação que não seja estruturalmente dialógica. Depois a educação gera cultura e cria pontes de encontro entre os povos. A Santa Sé pretendeu sublinhar o seu valor participando também na Expo Dubai 2021, nos Emirados Árabes Unidos, com a instalação de um Pavilhão inspirado no tema da Exposição: «Ligar as mentes, criar o futuro».

A Igreja Católica sempre reconheceu e valorizou o papel da educação para o crescimento espiritual, moral e social das novas gerações. Por isso, é ainda mais doloroso para mim constatar como, em vários centros educativos – paróquias e escolas –, foram cometidos abusos sobre menores, com graves consequências psicológicas e espirituais para as pessoas que os sofreram. Trata-se de crimes, sobre os quais deve haver uma firme vontade de esclarecer, examinando os casos individuais para apurar as responsabilidades, fazer justiça às vítimas e impedir que se repitam no futuro semelhantes atrocidades.

Não obstante a gravidade de tais atos, nenhuma sociedade pode jamais abdicar da responsabilidade de educar. Ao contrário, é doloroso constatar como frequentemente, nos orçamentos dos Estados, poucos recursos sejam destinados à educação. Prevalece a sua visão como um custo, quando se trata do melhor investimento possível.

A pandemia impediu a muitos jovens o acesso às instituições educativas, em detrimento do seu processo de crescimento pessoal e social. Muitos, através dos instrumentos tecnológicos modernos, encontraram refúgio em realidades virtuais que criam laços psicológicos e emocionais muito fortes, com a consequência de se alhearem dos outros e da realidade circundante e modificarem radicalmente as relações sociais. Com isto, não pretendo certamente negar a utilidade da tecnologia e dos seus produtos, que permitem conectar-se sempre com mais facilidade e rapidez, mas recordo a urgência de velar para que tais instrumentos não substituam as verdadeiras relações humanas a nível interpessoal, familiar, social e internacional. Se já desde pequeno se aprende a isolar-se, será mais difícil no futuro construir pontes de fraternidade e de paz. Num universo onde só existe o «eu», dificilmente pode haver espaço para um «nós».

O segundo elemento que desejo relembrar brevemente é o trabalho, «fator indispensável para construir e preservar a paz. Aquele constitui expressão da pessoa e dos seus dotes, mas também compromisso, esforço, colaboração com outros, porque se trabalha sempre com ou para alguém. Nesta perspetiva acentuadamente social, o trabalho é o lugar onde aprendemos a dar a nossa contribuição para um mundo mais habitável e belo».[11]

Salta aos olhos como a pandemia pôs duramente à prova a economia mundial, com graves repercussões nas famílias e nos trabalhadores, que vivem situações marcadas mais pela angústia psicológica do que pelas próprias dificuldades económicas. Aquela colocou ainda mais em evidência as desigualdades persistentes em várias esferas socioeconómicas. Pense-se no acesso a água potável, na alimentação, na instrução, nos cuidados médicos. O número de pessoas incluídas na categoria de pobreza extrema tem aumentado sensivelmente. Além disso, a crise sanitária levou muitos trabalhadores a mudar o tipo de trabalho e obrigou-os por vezes a entrar na economia clandestina, privando-os assim dos sistemas de proteção social previstos em muitos países.

Neste contexto, a consciência do valor do trabalho adquire acrescida importância, pois não existe desenvolvimento económico sem o trabalho, nem se deve pensar que as tecnologias modernas possam substituir o valor acrescentado que advém do trabalho humano. Depois, é ocasião de descobrir a própria dignidade, de encontro e de crescimento humano, via privilegiada através da qual cada um participa ativamente no bem comum e presta uma contribuição concreta para a construção da paz. Por isso é necessária, também neste campo, uma maior cooperação entre todos os atores a nível local, nacional, regional e global, especialmente no próximo futuro com os desafios colocados pela desejada reconversão ecológica. Os próximos anos serão um tempo de oportunidades para desenvolver novos serviços e empresas, adaptar os existentes, aumentar o acesso ao trabalho digno e empenhar-se pelo respeito dos direitos humanos e de níveis adequados de remuneração e proteção social.

Excelências, Senhoras e Senhores!

O profeta Jeremias lembra que Deus tem, a nosso respeito, «desígnios de prosperidade e não de calamidade, de garantir um futuro de esperança» (29, 11). Por isso, não devemos ter medo de abrir espaço para a paz na nossa vida, cultivando o diálogo e a fraternidade entre nós. A paz é um bem «contagioso», que se propaga a partir do coração de quantos a desejam e aspiram a vivê-la abraçando o mundo inteiro. A cada um de vós, aos vossos entes queridos e aos vossos povos, renovo a minha bênção e os votos, bem sentidos, dum ano de serenidade e paz.

Obrigado!

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[1] Cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium (24/XI/2013), 226-230.

[2] Francisco, Mensagem para o 55º Dia Mundial da Paz (08/XII/2021), 2.

[3] Francisco, Carta enc. Tutti fratelli (03/X/2020), 211.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Francisco, Mensagem para o 55º Dia Mundial da Paz, 1.

[7] Idem, Mensagem «Urbi et Orbi» (25/XII/2021).

[8] Discurso nas Nações Unidas (04/X/1965), 5.

[9] Francisco, Encontro em prol da Paz (Hiroshima, 24/XI/2019).

[10] Cf. Mensagem para o 55º Dia Mundial da Paz, 3.

[11] Ibid., 4.

[00038-PO.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua polacca

Ekscelencje, Panie i Panowie!

Wczoraj zakończył się liturgiczny okres Bożego Narodzenia, szczególny okres dbałości o relacje rodzinne, w których czasem okazujemy się rozproszeni i oddaleni, zajęci - jak to często bywa w ciągu roku - wieloma innymi obowiązkami. Dziś chcemy kontynuować duchowość Bożego Narodzenia, będąc razem jako jedna wielka rodzina, spotykając się i rozmawiając. Taki jest przecież cel dyplomacji: pomóc w odłożeniu na bok sporów związanych z ludzkim współistnieniem, wspierać zgodę i doświadczać, jak pokonując ruchome piaski konfliktu, możemy na nowo odkryć sens głębokiej jedności rzeczywistości[1].

Dlatego jestem szczególnie wdzięczny za udział w naszym dorocznym „spotkaniu rodzinnym”, które stanowi dla nas dobrą okazję do złożenia sobie nawzajem życzeń na nowy rok i do wspólnego spojrzenia na światła i cienie naszych czasów. Jestem szczególnie wdzięczny Dziekanowi, Jego Ekscelencji Panu George'owi Poulidesowi, Ambasadorowi Cypru, za miłe słowa, skierowane do mnie w imieniu całego Korpusu Dyplomatycznego. Za waszym pośrednictwem pragnę przekazać moje pozdrowienia i miłość również narodom, które reprezentujecie.

Wasza obecność jest zawsze namacalnym znakiem szacunku, jaki wasze kraje mają dla Stolicy Apostolskiej i jej roli we wspólnocie międzynarodowej. Wielu z was przybyło na dzisiejszą uroczystość z innych stolic, dołączając w ten sposób do licznego grona ambasadorów rezydujących w Rzymie, do których wkrótce dołączy także ambasador Konfederacji Szwajcarskiej.

Drodzy Ambasadorowie,

W tych dniach widzimy, że walka z pandemią nadal wymaga od nas wszystkich znacznego wysiłku, a nowy rok również zapowiada się jako pełen wyzwań. Koronawirus nadal powoduje izolację społeczną i pochłania ofiary, a wśród tych, którzy stracili życie, chciałbym przypomnieć zmarłego arcybiksupa Aldo Giordano, Nuncjusza Apostolskiego, dobrze znanego i szanowanego w środowisku dyplomatycznym. Jednocześnie mogliśmy stwierdzić, że tam, gdzie przeprowadzono skuteczną kampanię szczepień, zmniejszyło się ryzyko poważnego przebiegu choroby.

Dlatego ważne jest, aby można było kontynuować wysiłki na rzecz jak najszerszego uodpornienia ludności. Wymaga to wielopłaszczyznowego zaangażowania na poziomie osobistym, politycznym i wspólnoty międzynarodowej. Przede wszystkim na poziomie osobistym. Wszyscy mamy obowiązek dbać o siebie i swoje zdrowie, co przekłada się również na szacunek dla zdrowia osób nam bliskich. Troska o zdrowie jest obowiązkiem moralnym. Niestety, coraz częściej widzimy, że żyjemy w świecie silnych sporów ideologicznych. Często pozwalamy, aby decydowała o nas ideologia danej chwili, często oparta na bezpodstawnych wiadomościach lub słabo udokumentowanych faktach. Każde stwierdzenie ideologiczne zrywa więzi ludzkiego rozumu z obiektywną rzeczywistością rzeczy. To właśnie pandemia narzuca nam swego rodzaju „troskę o rzeczywistość”, która wymaga od nas spojrzenia problemowi w twarz i przyjęcia odpowiednich środków zaradczych w celu jego rozwiązania. Szczepionki nie są magicznymi narzędziami leczenia, lecz z pewnością stanowią, oprócz terapii, które należy opracować, najrozsądniejsze rozwiązanie w zakresie zapobiegania chorobie.

Musi również istnieć zaangażowanie polityki, by dążyć do dobra ludności poprzez decyzje dotyczące profilaktyki i uodpornienia, które angażują również obywateli, tak aby mogli brać udział i poczuć się odpowiedzialnymi, poprzez przejrzystą komunikację problemów i odpowiednich środków do ich rozwiązania. Brak stanowczości w podejmowaniu decyzji i jasnej komunikacji powoduje zamęt, wywołuje brak zaufania i osłabia spójność społeczną, podsycając nowe napięcia. Powstaje „relatywizm społeczny”, który szkodzi harmonii i jedności.

Wreszcie, potrzebne jest kompleksowe zaangażowanie wspólnoty międzynarodowej, by zapewnić wszystkim mieszkańcom świata równy dostęp do podstawowej opieki medycznej i szczepionek. Niestety, trzeba z bólem stwierdzić, że w znacznej części świata powszechny dostęp do opieki zdrowotnej nadal jest mrzonką. W momencie tak poważnym dla całej ludzkości, ponownie wzywam zainteresowane rządy i podmioty prywatne do wykazania się poczuciem odpowiedzialności poprzez wypracowanie skoordynowanej reakcji na wszystkich szczeblach (lokalnym, krajowym, regionalnym, globalnym), za pomocą nowych modeli solidarności i narzędzi zdolnych do wzmocnienia zdolności krajów najbardziej potrzebujących. W szczególności pozwolę sobie wezwać państwa, które pracują nad ustanowieniem międzynarodowego instrumentu gotowości i reagowania na pandemie pod auspicjami Światowej Organizacji Zdrowia, do przyjęcia polityki bezinteresownego dzielenia się, jako kluczowej zasady w zapewnianiu powszechnego dostępu do narzędzi diagnostycznych, szczepionek i leków. Podobnie pożądane jest, aby instytucje takie jak Światowa Organizacja Handlu i Światowa Organizacja Własności Intelektualnej dostosowały swoje narzędzia prawne, aby reguły monopolistyczne nie stanowiły dodatkowych przeszkód dla produkcji oraz dla zorganizowanego i spójnego dostępu do leczenia na poziomie światowym.

Drodzy Ambasadorowie,

W ubiegłym roku, także dzięki złagodzeniu ograniczeń nałożonych w 2020 roku, miałem okazję przyjąć wielu szefów państw i rządów, a także różnych przedstawicieli władz cywilnych i religijnych.

Wśród wielu spotkań chciałbym tutaj wspomnieć o 1 lipca, dniu poświęconym refleksji i modlitwie w intencji Libanu. Umiłowanemu narodowi libańskiemu, pogrążonemu w kryzysie gospodarczym i politycznym, który z trudem znajduje rozwiązanie, pragnę dziś ponowić wyrazy bliskości i modlitwy, życząc zarazem aby konieczne reformy i wsparcie wspólnoty międzynarodowej pomogły temu krajowi zachować niezachwianą tożsamość jako wzorzec pokojowego współistnienia i braterstwa między różnymi obecnymi tam religiami.

W roku 2021 mogłem również wznowić moje podróże apostolskie. W marcu z radością pojechałem do Iraku. Opatrzność chciała, aby wydarzyło się to, jako znak nadziei po latach wojny i terroryzmu. Naród irakijski ma prawo do odzyskania przynależnej mu godności i do życia w pokoju. Tysiące lat liczą jego korzenie religijne i kulturowe: Mezopotamia jest kolebką cywilizacji. To stamtąd Bóg powołał Abrahama, aby rozpocząć historię zbawienia.

Następnie we wrześniu udałem się do Budapesztu na zakończenie Międzynarodowego Kongresu Eucharystycznego, a potem na Słowację. Była to okazja do spotkania z wiernymi katolickimi oraz innych wyznań chrześcijańskich, a także do dialogu z Żydami. Podobnie podróż na Cypr i do Grecji, którą bardzo dobrze wspominam, pozwoliła mi pogłębić więzi z braćmi prawosławnymi oraz doświadczyć braterstwa między różnymi wyznaniami chrześcijańskimi.

Wzruszająca część tej podróży miała miejsce na wyspie Lesbos, gdzie mogłam zobaczyć szczodrość tych, którzy pracują, aby przyjąć i pomóc migrantom, ale przede wszystkim zobaczyłam twarze wielu dzieci i dorosłych, którzy mieszkają w ośrodkach recepcyjnych. W ich oczach widać zmęczenie podróżą, strach przed niepewną przyszłością, ból za pozostawionymi bliskimi i nostalgię za ojczyzną, którą zmuszeni byli opuścić. Wobec tych twarzy nie możemy pozostać obojętni, nie możemy okopać się za murami i drutami kolczastymi pod pretekstem obrony bezpieczeństwa czy stylu życia. Tak nie można.

Dlatego dziękuję poszczególnym osobom i rządom, które pracują nad zapewnieniem przyjęcia i ochrony migrantów, dbając jednocześnie o ich promocję ludzką i integrację w krajach, które ich przyjęły. Zdaję sobie sprawę z trudności, jakie niektóre państwa napotykają w obliczu dużego napływu osób. Nikogo nie można prosić o zrobienie tego, czego nie jest w stanie uczynić, ale istnieje wyraźna różnica między przyjęciem, choć w ograniczonym zakresie, a całkowitym odrzuceniem.

Musimy przezwyciężyć obojętność i odrzucić pogląd, że migranci to problem innych. Skutek takiego podejścia widzimy wdehumanizacji migrantów skupionych w punktachidentyfikacji i rejestracji, gdzie stają się łatwym łupem dla przestępców i handlarzy ludźmi lub podejmują desperackie próby ucieczki, które czasami kończą się śmiercią. Niestety, należy również zauważyć, że sami migranci często stają się narzędziem szantażu politycznego, swego rodzaju „kartą przetargową”, która pozbawia osoby godności.

W tym miejscu chciałbym ponownie wyrazić wdzięczność władzom włoskim, dzięki którym niektóre osoby mogły przyjechać ze mną do Rzymu z Cypru i Grecji. Był to prosty, ale znaczący gest. Życzę narodowi włoskiemu, który bardzo ucierpiał na początku pandemii, ale który również wykazał budzące otuchę oznaki odbudowy, aby zawsze trwał w tym duchu szczodrej i solidarnej otwartości, który go cechuje.

Jednocześnie uważam, że fundamentalne znaczenie ma to, aby Unia Europejska znalazła swoją wewnętrzną spójność w zarządzaniu migracją, tak jak znalazła ją w radzeniu sobie z konsekwencjami pandemii. W istocie konieczne jest stworzenie spójnego i kompleksowego systemu zarządzania polityką migracyjną i azylową, tak aby zapewnić podział odpowiedzialności za przyjmowanie migrantów, rozpatrywanie wniosków o azyl, redystrybucję i integrację tych, którzy mogą zostać przyjęci. Zdolność do negocjowania i znajdowania wspólnych rozwiązań jest jedną z mocnych stron Unii Europejskiej i stanowi cenny model perspektywicznego radzenia sobie z oczekującymi nas wyzwaniami globalnymi.

Migracja nie dotyczy jednak tylko Europy, choć jest ona szczególnie dotknięta napływem imigrantów zarówno z Afryki, jak i z Azji. W ostatnich latach byliśmy świadkami m.in. exodusu uchodźców syryjskich, do których w ostatnich miesiącach dołączyli uchodźcy z Afganistanu. Nie powinniśmy również zapominać o masowych exodusach dotykających kontynentu amerykańskiego i napierających na granicę między Meksykiem a Stanami Zjednoczonymi Ameryki. Wielu z tych migrantów to Haitańczycy uciekający przed tragediami, które dotknęły ich ojczyznę w minionych latach.

Kwestia migracji, jak również pandemia i zmiany klimatyczne, wyraźnie pokazują, że nikt nie może uratować się sam, że wielkie wyzwania naszych czasów mają charakter globalny. Dlatego niepokojące jest to, że podczas gdy problemy stają się coraz bardziej wzajemnie powiązane, rozwiązania stają się coraz bardziej fragmentaryczne. Nierzadko obserwuje się brak woli do otwarcia okien dialogu i szczelin braterstwa, a to prowadzi do dalszych napięć i podziałów, a także do ogólnego poczucia niepewności i niestabilności. Zamiast tego musimy odzyskać poczucie naszej wspólnej tożsamości jako jednej rodziny ludzkiej. Alternatywą jest jedynie rosnąca izolacja, naznaczona wzajemnym wykluczaniem się i zamykaniem, które w rzeczywistości jeszcze bardziej zagraża wielostronności, temu stylowi dyplomatycznemu, który charakteryzował stosunki międzynarodowe od zakończenia drugiej wojny światowej.

Dyplomacja wielostronna od pewnego czasu przeżywa kryzys zaufania, spowodowany zmniejszoną wiarygodnością systemów społecznych, rządowych i międzyrządowych. Ważne rezolucje, deklaracje i decyzje są często podejmowane bez rzeczywistych negocjacji, w których wszystkie kraje miałyby coś do powiedzenia. Ta nierównowaga, która dziś stała się dramatycznie widoczna, rodzi niechęć wielu państw do organów międzynarodowych i osłabia cały system wielostronny, czyniąc go coraz mniej skutecznym w rozwiązywaniu wyzwań globalnych.

Brak skuteczności wielu organizacji międzynarodowych wynika również z różnej wizji poszczególnych członków co do celów, jakie powinny sobie stawiać. Nierzadko punkt ciężkości zainteresowania przenosi się na kwestie ze swej natury dzielące, nie związane ściśle z celem organizacji, co powoduje, że plan działań jest coraz częściej dyktowany ideą zaprzeczającą naturalnym podstawom człowieczeństwa i korzeniom kulturowym, stanowiącym o tożsamości wielu narodów. Jak już miałem okazję to stwierdzić przy innych okazjach, uważam, że jest to forma kolonizacji ideologicznej, która nie pozostawia miejsca na swobodę wypowiedzi i która dziś coraz częściej przybiera formę tejcancel culture, która wdziera się w wiele obszarów i instytucji publicznych. W imię ochronyróżnorodności, dochodzi do przekreślania sensu jakiejkolwiektożsamości, co grozi tłumieniem stanowisk broniących naznaczonej szacunkiem i zrównoważonej idei różnych wrażliwości. Wypracowuje się jednomyślność – niebezpieczną –, która każe negować historię lub, co gorsza, pisać ją na nowo w oparciu o współczesne kategorie, podczas gdy każda sytuacja historyczna musi być interpretowana zgodnie z hermeneutyką danej epoki, a nie z hermeneutyką dzisiejszą.

Dlatego też dyplomacja wielostronna powinna być prawdziwie inkluzywna, nie poprzez eliminowanie, lecz poprzez docenianie historycznych różnic i wrażliwości, które odróżniają poszczególne narody. W ten sposób odzyska ona wiarygodność i skuteczność, by sprostać przyszłym wyzwaniom, które wymagają od ludzkości zjednoczenia się jako jedna wielka rodzina, która, wychodząc z różnych punktów widzenia, musi być zdolna do znalezienia wspólnych rozwiązań dla dobra wszystkich. Wymaga to wzajemnego zaufania i gotowości do dialogu, czyli do „słuchania siebie nawzajem, konfrontowania się, zgadzania się i podążania razem”[2]. Ponadto „dialog jest najwłaściwszym sposobem na uznanie tego, co należy zawsze potwierdzać i szanować, a co wykracza poza okazjonalne porozumienie”[3].Nie wolno nam nigdy zapomnieć, że „istnieją pewne trwałe wartości”[4].Nie zawsze łatwo je rozpoznać, ale ich akceptacja „nadaje etyce społecznej solidność i stabilność. Nawet jeśli je uznaliśmy i przyjęliśmy, dzięki dialogowi oraz uzgodnieniom, to jednak widzimy, że te podstawowe wartości nie mieszczą się w ramach jakichkolwiek ustaleń”[5]. Chciałbym szczególnie przypomnieć o prawie do życia, od poczęcia do naturalnego kresu, oraz o prawie do wolności religijnej.

W tym kontekście, w ostatnich latach wzrosła zbiorowa świadomość pilnej potrzeby zajęcia się kwestią troski o nasz wspólny dom, który cierpi z powodu ciągłej i niekontrolowanej eksploatacji zasobów. W tej kwestii myślę zwłaszcza o Filipinach, które w ostatnich tygodniach dotknął niszczycielski tajfun, a także o innych narodach Pacyfiku narażonych na negatywne skutki zmian klimatycznych, które zagrażają życiu ich mieszkańców, z których większość zależy od rolnictwa, rybołówstwa i zasobów naturalnych.

Właśnie to stwierdzanie musi pobudzić całą wspólnotę międzynarodową do znalezienia wspólnych rozwiązań i wprowadzenia ich w życie. Nikt nie może zwalniać się z tego wysiłku, ponieważ w równym stopniu dotyczy on i angażujewszystkich. Na ostatniej konferencji COP26 w Glasgow podjęto pewne kroki we właściwym kierunku, choć były one raczej słabe w porównaniu ze skalą problemu, który należy rozwiązać. Droga do osiągnięcia celów porozumienia paryskiego jest złożona i wydaje się być długa, a czasu jest coraz mniej. Nadal pozostaje wiele do zrobienia, zatem rok 2022 będzie kolejnym kluczowym rokiem, aby sprawdzić jak wiele i w jaki sposób to, co postanowiono w Glasgow, można i trzeba dalej umacniać, w oczekiwaniu na COP27, przewidziane w Egipcie w listopadzie bieżącego roku.

Ekscelencje, Panie i Panowie!

Dialog i braterstwo to dwa zasadnicze ogniska, które pozwolą przezwyciężyć kryzysy obecnej chwili. Jednakże „mimo wielu wysiłków zmierzających do konstruktywnego dialogu między narodami, nasila się ogłuszający zgiełk wojen i konfliktów”[6]. a cała wspólnota międzynarodowa musi zadać sobie pytanie o pilną potrzebę znalezienia rozwiązań dla niekończących się konfliktów, które czasami przybierają formę wojen zastępczych(proxy wars).

Myślę przede wszystkim o Syrii, gdzie nadal nie widać jasnych perspektyw na odrodzenie kraju. Dziś nadal naród syryjski opłakuje swoich zmarłych, utratę wszystkiego i ma nadzieję na lepszą przyszłość. Aby kraj ten mógł się odrodzić, potrzebne są reformy polityczne i konstytucyjne, ale konieczne jest również, aby stosowane sankcje nie wpływały bezpośrednio na życie codzienne, dając promyk nadziei ludności, która coraz bardziej pogrąża się w ubóstwie.

Nie możemy też zapomnieć o konflikcie w Jemenie, ludzkiej tragedii, która od lat rozgrywa się w milczeniu, z dala od medialnych reflektorów i przy pewnej obojętności wspólnoty międzynarodowej, nadal powodując liczne ofiary cywilne, zwłaszcza kobiety i dzieci.

W ciągu ostatniego roku nie nastąpił postęp w procesie pokojowym między Izraelem a Palestyną. Bardzo chciałabym, aby te dwa narody odbudowały między sobą zaufanie i wznowiły rozmowy bezpośrednie, tak aby mogły żyć w dwóch państwach obok siebie, w pokoju i bezpieczeństwie, bez nienawiści i urazy, lecz uzdrowione poprzez wzajemne przebaczenie.

Niepokój budzą napięcia instytucjonalne w Libii, a także akty przemocy międzynarodowego terroryzmu w regionie Sahelu oraz wewnętrzne konflikty w Sudanie, Sudanie Południowym i Etiopii, gdzie konieczne jest „znalezienie drogi do pojednania i pokoju poprzez szczery dialog, który na pierwszym miejscu stawiałby potrzeby ludności”[7].

Głębokie nierówności, niesprawiedliwość i endemiczna korupcja, a także różne formy ubóstwa, które uwłaczają godności osób, stale podsycają konflikty społeczne także na kontynencie amerykańskim, gdzie coraz silniejsza polaryzacja nie pomaga w rozwiązywaniu rzeczywistych i palących problemów obywateli, zwłaszcza najuboższych i najbardziej bezbronnych.

Wzajemne zaufanie i gotowość podjęcia spokojnej konfrontacji muszą ożywić wszystkie zainteresowane strony, aby znaleźć możliwe do przyjęcia i trwałe rozwiązania na Ukrainie i na południowym Kaukazie, jak również uniknięcia otwarcia nowych kryzysów na Bałkanach, przede wszystkim w Bośni i Hercegowinie.

Dialog i braterstwo są pilniejsze niż kiedykolwiek, jeśli mamy mądrze i skutecznie poradzić sobie z kryzysem, który od prawie roku dotyka Mjanmę, gdzie ulice, które wcześniej były miejscami spotkań, są obecnie sceną starć, które nie oszczędzają nawet miejsc modlitwy.

Oczywiście, wszystkie konflikty ułatwia obfitość dostępnej broni oraz brak skrupułów tych, którzy starają się ją rozprzestrzeniać. Niekiedy ludzie ulegają złudzeniu, że zbrojenia służą jedynie jako środek odstraszający ewentualnych agresorów. Historia, a niestety także wiadomości, uczą nas, że tak nie jest. Kto posiada broń, prędzej czy później jej używa, bo jak powiedział św. Paweł VI: „nie można kochać, mając broń ofensywną w pięści”[8]. Ponadto, „kiedy poddajemy się logice zbrojeń i porzucamy praktykowanie dialogu, tozapominamy niestety, że broń, nawet zanim spowoduje ofiary i ruiny, rodzi złe sny”[9].Obawy te stają się dziś jeszcze bardziej konkretne ze względu na dostępność i wykorzystanie broni autonomicznej, która może mieć straszliwe i nieprzewidywalne konsekwencje, podczas gdy powinna ona podlegać odpowiedzialności wspólnotymiędzynarodowej.

Wśród broni, które wyprodukowała ludzkość, przedmiotem szczególnego niepokoju jest broń jądrowa. Pod koniec grudnia ubiegłego roku, w związku z pandemią, 10. konferencja przeglądowa w sprawie Traktatu o nierozprzestrzenianiu broni jądrowej, która miała się odbyć w ostatnich dniach w Nowym Jorku, została ponownie przełożona. Świat wolny od broni nuklearnej jest możliwy i konieczny. Mam zatem nadzieję, że społeczność międzynarodowa wykorzysta okazję, jaką jest ta konferencja, aby uczynić znaczący krok w tym kierunku. Stolica Apostolska trwa na stanowisku, że broń jądrowa jest nieadekwatnym i niewłaściwym narzędziem reagowania na zagrożenia bezpieczeństwa w XXI wieku, a jej posiadanie jest niemoralne. Jej wytwarzanie odwodzi zasoby od perspektyw integralnego rozwoju ludzkości, a jej stosowanie, oprócz katastrofalnych skutków dla ludzkości i środowiska, zagraża samemu istnieniu ludzkości.

Stolica Apostolska uważa za równie ważne, aby wznowienie w Wiedniu negocjacji w sprawie porozumienia nuklearnego z Iranem (Joint Comprehensive Plan of Action) mogło przynieść pozytywne rezultaty w celu zapewnienia bezpieczniejszego i bardziej braterskiego świata.

Drodzy Ambasadorowie!

W moim Orędziu na obchodzony 1 styczniaŚwiatowy Dzień Pokojustarałem się uwypuklić elementy, które uważam za niezbędne do krzewienia kultury dialogu i braterstwa.

Szczególne miejsce zajmuje edukacja, dzięki której kształtują się nowe pokolenia, będące nadzieją i przyszłością świata. Jest ona podstawowym nośnikiem integralnego rozwoju człowieka, ponieważ czyni go osobą wolną i odpowiedzialną[10]. Proces edukacyjny jest powolny i żmudny, może czasem prowadzić do zniechęcenia, ale nigdy nie można z niego zrezygnować. Jest on wybitnym wyrazem dialogu, ponieważ nie ma prawdziwego wychowania, które nie byłoby dialogiczne w swojej strukturze. Edukacja rodzi ponadto kulturę i buduje mosty spotkania między narodami. Stolica Apostolska podkreśliła wartość edukacji, uczestnicząc w Expo Dubai 2021, w Zjednoczonych Emiratach Arabskich, z pawilonem inspirowanym tematem wystawy: „Łącząc umysły, tworzymy przyszłość”.

Kościół katolicki zawsze uznawał i doceniał rolę edukacji w duchowym, moralnym i społecznym rozwoju nowych pokoleń. Dlatego z tym większym smutkiem odnotowuję, że w różnych środowiskach edukacyjnych – parafiach i szkołach – dochodziło do wykorzystywania dzieci, co miało poważne konsekwencje psychologiczne i duchowe dla osób, które tego doświadczyły. Są to przestępstwa, odnośnie do których musi istnieć zdecydowana wola wyjaśnienia, zbadania poszczególnych przypadków w celu ustalenia odpowiedzialności, oddania sprawiedliwości ofiarom i zapobieżenia powtórzeniu się podobnych okrucieństw w przyszłości.

Pomimo powagi takich czynów, żadne społeczeństwo nie może nigdy zrzec się odpowiedzialności za edukację. Z drugiej strony, z przykrością należy stwierdzić, że w budżetach państw na edukację przeznacza się niewiele środków. Edukacja jest postrzegana głównie jako koszt, podczas gdy jest to najlepsza możliwa inwestycja.

Pandemia uniemożliwiła wielu młodym ludziom dostęp do instytucji edukacyjnych, ze szkodą dla ich rozwoju osobistego i społecznego. Wielu z nich, za pomocą nowoczesnych narzędzi technologicznych, znalazło schronienie w rzeczywistościach wirtualnych, które tworzą bardzo silne więzi psychologiczne i emocjonalne, co w konsekwencji prowadzi do wyobcowania z innych i z otaczającej rzeczywistości oraz radykalnej modyfikacji relacji społecznych. Nie chodzi tu oczywiście o zaprzeczenie użyteczności technologii i jej wytworów, które pozwalają nam łatwiej i szybciej sią łączyć, ale chciałabym zwrócić uwagę na pilną potrzebę czuwania, aby narzędzia te nie zastąpiły prawdziwych relacji ludzkich, na poziomie międzyosobowym, rodzinnym, społecznym i międzynarodowym. Jeśli od najmłodszych lat będziemy uczyli się izolować, tym trudniej będzie nam w przyszłości budować mosty braterstwa i pokoju. We wszechświecie, w którym istnieje tylko „ja”, z trudnością znajdzie się miejsce na „my”.

Drugim elementem, który chciałbym krótko przypomnieć, jest praca, będąca „nieodzownym czynnikiem budowania i zachowania pokoju. Jest ona wyrażaniem siebie i swoich darów, ale także zaangażowania, trudu, współpracy z innymi, bo zawsze pracuje się z kimś lub dla kogoś. W tej wyraźnie społecznej perspektywie praca jest miejscem, w którym uczymy się wnosić swój wkład na rzecz świata bardziej przyjaznego i piękniejszego”[11].

Musieliśmy stwierdzić, że pandemia poważnie nadwerężyła gospodarkę światową, wywołując poważne reperkusje dla rodzin i pracowników, którzy doświadczają sytuacji cierpienia psychicznego, bardziej nawet, niż trudności gospodarczych. Uwypukliła ona jeszcze bardziej utrzymujące się nierówności w różnych obszarach społeczno-ekonomicznych. Obejmują one dostęp do czystej wody, żywności, edukacji i opieki medycznej. Liczba osób żyjących w skrajnym ubóstwie gwałtownie wzrasta. Ponadto, kryzys sanitarny skłonił wielu pracowników do zmiany zatrudnienia, a niekiedy zmusił ich do wejścia w gospodarczą szarą strefę, pozbawiając ich w wielu krajach dostępu do systemów ochrony socjalnej.

W tym kontekście świadomość wartości pracy nabiera dodatkowego znaczenia, ponieważ bez pracy nie może być mowy o rozwoju gospodarczym, nie można też sądzić, że nowoczesne technologie mogą zastąpić wartość dodaną, jaką wnosi praca ludzka. Jest ona również okazją do odkrycia swojej godności, do spotkania z innymi i do rozwoju jako osoba ludzka, a także uprzywilejowany sposób, w jaki każda osoba może aktywnie uczestniczyć w dobru wspólnym i wnieść konkretny wkład w budowanie pokoju. Również w tej dziedzinie istnieje zatem potrzeba większej współpracy między wszystkimi podmiotami na szczeblu lokalnym, krajowym, regionalnym i globalnym, zwłaszcza w nadchodzącym okresie, w obliczu wyzwań związanych z pożądaną konwersją ekologiczną. Nadchodzące lata będą okazją do rozwoju nowych usług i przedsiębiorstw, dostosowania tych już istniejących, zwiększenia dostępu do godnej pracy i działań na rzecz poszanowania praw człowieka oraz odpowiedniego poziomu płac i ochrony społecznej.

Ekscelencje, Panie i Panowie!

Prorok Jeremiasz przypomina nam, że Bóg ma dla nas „zamiary pełne pokoju, a nie zguby, by zapewnić nam przyszłość, jakiej oczekujemy” (29, 11). Dlatego nie możemy lękać się uczynienia miejsca dla pokoju w naszym życiu, dbając o dialog i braterstwo między sobą. Pokój jest dobrem „zaraźliwym”, które rozprzestrzenia się z serc tych, którzy go pragną i starają się nim żyć, docierając do całego świata. Każdemu z was, waszym bliskim i waszym narodom ponawiam moje błogosławieństwo i moje serdeczne życzenia na rok pogody ducha i pokoju.

Dziękuję!

____________________________

[1]Por. Adhort. ap.Evangelii gaudium(24 listopada 2013), 226-230.

[2]Orędzie na 55. Światowy Dzień Pokoju(8 grudnia 2021), 2.

[3]Enc.Fratelli tutti(3 października 2020), 211.

[4]Tamże.

[5]Tamże.

[6]Orędzie na 55. Światowy Dzień Pokoju(8 grudnia 2021), 1

[7]Orędzie Urbi et Orbi, 25 grudnia 2021 r.

[8]Discorso alle Nazioni Unite(4 października 1965), 5.

[9]Przemówienie przy pomniku pokoju, Hiroszima, 24 listopada 2019 r.

[10]Por.Orędzie na 55. Światowy Dzień Pokoju(8 grudnia 2021), 3.

[11]Orędzie na 55. Światowy Dzień Pokoju(8 grudnia 2021), 4.

[00038-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

كلمة قداسة البابا فرنسيس

إلى الدبلوماسيّين المُعتَمدين لدى الكرسي الرسولي

في مناسبة اللقاء السنوي لتبادل التهاني بالعام الجديد

10 كانون الثاني / يناير 2022

في قاعة البركات

بالأمس انتهى زمن عيد الميلاد بحسب الليتورجيا، وهو زمن مميز لتقوية العلاقات في حياة العائلات، وقد تكون أحيانًا مشتتة أو متباعدة، أو منشغلة - كما هو الحال غالبًا خلال العام - في العديد من الالتزامات الأخرى. اليوم، نريد أن نستمر في روح التواصل هذا، فنجد أنفسنا معًا عائلةً كبيرة، تلتقي وتتحاور. بعد كلّ شيء، هذا هو هدف الدبلوماسية: المساعدة على إزالة الخلافات بين البشر الذين يعيشون معًا، وتعزيز الوئام. ونريد أن نختبر كيف نستعيد معنى الوَحدة العميق في واقع البشرية، بعد أن نتغلب على الرمال المتحركة في المخاصمات[1].

لذلك فإنّني ممتن لكم بشكل خاص لأنّكم أردتم المشاركة اليوم في ”اجتماعنا العائلي“ السنوي. هذه مناسبة مواتية لنتبادل التمنيات للسنة الجديدة وللنظر معًا في أضواء وظلال هذه الأيام. أتوجه بالشكر الخاص إلى العميد، سعادة السيد جورج بوليديس، سفير قبرص، للكلمات اللطيفة التي وجهها إليَّ نيابة عن السلك الدبلوماسي بأكمله. ومن خلالكم، أودّ أن أبلغ تحياتي ومحبتي أيضًا إلى الشعوب التي تمثلونها.

حضوركم اليوم هو دائمًا علامة ملموسة على الاهتمام الذي توليه بلادكم للكرسي الرسولي ودوره في المجتمع الدولي. وقد جاء كثير منكم من عواصم أخرى للمشاركة في حدث اليوم، وانضموا إلى المجموعة الكبيرة من السفراء المقيمين في روما، والذين سينضم إليهم قريبًا ممثل الاتحاد السويسري.

السفراء الأعزاء،

إنا نرى في هذه الأيام كيف أن مكافحة الجائحة ما زالت تقتضي جهدًا كبيرًا من الجميع، وما زلنا نتوقع أن يكون العام الجديد مليئًا بالتحديات. ما زال فيروس الكورونا يخلق العزلة الاجتماعية ويحصد الضحايا، ومن بين الذين فقدوا حياتهم، أودّ أن أذكر هنا رئيس الأساقفة الراحل ألدو جوردانو، السفير البابوي المعروف والمحترم في الأسرة الدبلوماسية. في الوقت نفسه، أمكننا أن نرى أنّه حيثما تم تنظيم حملة تطعيم فعالة، انخفض خطر تقدّم المرض.

لذلك من المهم أن تستمر الجهود المبذولة لتطعيم السكان بأكبر قدر ممكن. وهذا يتطلب التزامًا متعددًا على المستوى الشخصي والسياسي وكلّ المجتمع الدولي. أولًا وقبل كلّ شيء على المستوى الشخصي. كلّ واحد مسؤول، وعليه أن يعتني بنفسه وصحته، وهذا يعني أن نحترم صحة كلّ من كان قريبًا منا. الرعاية الصحية واجب أخلاقي. للأسف، إنّنا نرى أكثر فأكثر أنّنا نعيش في عالم من التناقضات الأيديولوجية الشديدة. في كثير من الأحيان نسمح لأنفسنا بأن نتأثر بأيديولوجية اللحظة، والتي غالبًا ما تكون مبنية على معلومات لا أساس لها، أو هي أقوال ليس لها توثيق كاف. كلّ بيان أيديولوجي يقطع روابط العقل البشري بالواقع الموضوعي للأشياء. من ناحية أخرى، تتطلب الجائحة أن يكون لدينا نوع من ”علاج للواقع“، الأمر الذي يتطلب منا أن ننظر في المشكلة كما هي، ونتخذ العلاج المناسب لحلها. اللقاحات ليست أدوات سحرية للشفاء، لكنّها تمثل بالتأكيد، بالإضافة إلى العلاجات التي يجب تطويرها، الحل الأكثر منطقية للوقاية من الأمراض.

ثم يجب أن يكون هناك التزام من قبل السياسة لمتابعة السعي لتحقيق خير السكان باتخاذ القرارات للوقاية والتحصين، وهذا يقتضي توعية المواطنين حتى يشعروا بأنفسهم مشاركين ومسؤولين، فيتم عرض المشكلات بصورة شفافة، وكذلك الإجراءات المناسبة لمعالجتها. النقص في الحَزم في اتخاذ القرار والنقص في الوضوح في عرض الأمور يولد الارتباك وعدم الثقة ويقوِّض التماسك الاجتماعي، ويغذي توترات جديدة. وتظهر ”نسبية اجتماعية“ تضر بالانسجام والوَحدة.

أخيرًا، هناك حاجة إلى التزام شامل من قبل المجتمع الدولي، حتى يتمكن كلّ سكان العالم من الحصول بصورة متساوية على الرعاية الطبية الأساسية وعلى اللقاحات. للأسف، يجب أن نلاحظ بألم أنّ الوصول الشامل إلى الرعاية الصحية في مناطق واسعة من العالم لا يزال سرابًا. في مثل هذه اللحظة الخطيرة للبشرية جمعاء، أكرّر مناشدتي للحكومات والهيئات الخاصة المعنية لكي تبدي إحساسًا بالمسؤولية، فتطوِّر استجابة منسقة على جميع المستويات (المحلية والوطنية والإقليمية والعالمية)، من خلال نماذج وأدوات جديدة للتضامن ولتعزيز قدرات البلدان ولا سيّما أكثرها حاجة. أسمح لنفسي أن أحث، خاصة، الدول التي تعمل على إنشاء أداة دولية بشأن الاستعداد ومواجهة الجائحة برعاية منظمة الصحة العالمية، لكي تعتمد سياسة مشتركة غير متحيزة، كمبدأ أساسي لضمان وصول الجميع إلى وسائل التشخيص، واللقاحات والأدوية. وبالمثل، من المستحسن أن تقوم المؤسسات، مثل منظمة التجارة العالمية والمنظمة العالمية للملكية الفكرية، بتكييف أدواتها القانونية، حتى لا تشكل القواعد الاحتكارية عقبات أخرى أمام الإنتاج، وحتى تسمح بالوصول المنظم والمتسق إلى الرعاية الصحية في جميع أنحاء العالم.

السفراء الأعزاء،

في العام الماضي، وبفضل تخفيف القيود التي تم وضعها في عام 2020، أتيحت لي الفرصة أن أستقبل العديد من رؤساء الدول والحكومات، ومختلف السلطات المدنية والدينية.

من بين اللقاءات العديدة، أودّ أن أذكر هنا لقاء اليوم الأوّل من تموز/يوليو الماضي، الذي خُصِّص للتأمل والصّلاة من أجل لبنان. إلى الشعب اللبناني العزيز، الواقع في أزمة اقتصادية وسياسية، وهو يسعى جاهدًا لوجود حلّ لها، أريد اليوم أن أجدّد تأكيد قربي منه وصلاتي من أجله، وأتمنى أن تساعد الإصلاحات اللازمة ودعم المجتمع الدولي لكي يبقى هذا البلد ثابتًا في هويته وبقائه نموذجًا للعيش السلمي معًا والأخوّة بين مختلف الأديان فيه.

خلال عام 2021، تمكنت أيضًا من استئناف الرحلات الرسولية. في آذار/مارس، كان من دواعي سروري الذهاب إلى العراق. وأرادت العناية الإلهية أن تكون رحلتي علامة أمل بعد سنوات من الحرب والإرهاب. إنّه من حق الشعب العراقي أن يستعيد كرامته وأن يعيش بسلام. إنّه شعب تعود جذوره الدينية والثقافية إلى آلاف السنين: فبلاد ما بين النهرين هي مهد الحضارة. ومن هناك دعا الله إبراهيم ليبدأ تاريخ الخلاص.

ثم في أيلول/سبتمبر ذهبت إلى بودابست من أجل اختتام المؤتمر الإفخارستي الدولي، ومن هناك إلى سلوفاكيا. كانت تلك فرصة للقاء المؤمنين الكاثوليك والجماعات المسيحية الأخرى، وللحوار أيضًا مع الجماعة اليهودية. وبالمثل، سمحت لي الرحلة إلى قبرص واليونان، والتي لا تزال ذكراها حية في نفسي، بتعميق الروابط مع الإخوة الأرثوذكس وعيش خبرة الأخوّة بين مختلف الجماعات المسيحية.

حدث جزء مؤثر من هذه الرحلة في جزيرة ليسبوس، حيث تمكنت من رؤية سخاء أولئك الذين يعملون لتوفير الضيافة والمساعدة للمهاجرين، لكن قبل كلّ شيء رأيت وجوه العديد من الأطفال والكبار الذين كانوا ضيوفًا في مراكز الاستقبال. في عيونهم تعب من السفر، وخوف من مستقبل مجهول، وألم الأحباء الذين تركوهم وراءهم، والحنين إلى الوطن الذي أجبروا على الرحيل منه. أمام هذه الوجوه لا يمكننا أن نظل غير مبالين ولا يمكن أن نتحصن خلف الجدران والأسلاك الشائكة بحجة الدفاع عن الأمن أو أسلوب حياة محدَّد. لا يمكننا أن نفعل هذا.

لذلك، أشكر الجميع، الأفراد والحكومات، الذين يعملون على تقديم الترحيب والحماية للمهاجرين، ويهتمون أيضًا بتقدمهم الإنساني ​وباندماجهم في البلدان التي رحبت بهم. إنّي أدرك الصعوبات التي تواجهها بعض البلدان في مواجهة التدفقات الكبيرة من اللاجئين. لا يمكن أن يُطلب من أحد، ما لا يقدر أن يعمله، لكن هناك فرق بين الترحيب، ولو بعدد محدود، وبين الرفض الكليّ.

يجب التغلب على اللامبالاة ورفض الفكرة أنّ المهاجرين هم مشكلة لغيرنا. يمكن رؤية نتيجة هذا الموقف في تجريد المهاجرين من إنسانيتهم، حين يُجَمَّعون في بعض ”النقاط الساخنة“، وحيث ينتهي بهم الأمر إلى أن يكونوا فريسة سهلة للجريمة وللمتاجرين بالبشر، أو يحاولون الهرب يائسين، وتنتهي محاولتهم أحيانًا بالموت. للأسف، يجب الإشارة أيضًا إلى أنّ المهاجرين أنفسهم يتحولون غالبًا إلى سلاح للابتزاز السياسي، إلى نوع من ”سلعة للمساومة“ تحرم الإنسانَ كرامتَه.

في هذا المقام، أريد أن أجدّد شكري وتقديري للسلطات الإيطالية، التي تمكن بفضلها بعض الأشخاص من القدوم معي إلى روما من قبرص واليونان. كانت لفتة بسيطة ولكن لها دلالتها. إلى الشعب الإيطالي، الذي عانى كثيرًا في بداية الجائحة، ولكنّه أظهر أيضًا علامات مشجعة على التعافي، أتمنّى أن يحافظ دائمًا على روح الانفتاح السخي والتضامن الذي يميزه.

في الوقت نفسه، أعتقد أنّه من الأهمية بمكان أن يجد الاتحاد الأوروبي تماسكه الداخلي في التعامل مع الهجرة، كما استطاع أن يكون في مواجهة عواقب الجائحة. من الضروري إنشاء نظام متماسك وشامل لإيجاد السياسات اللازمة للتعامل مع الهجرة وطالبي اللجوء، فيتم تقاسم المسؤوليات في استقبال المهاجرين، وإعادة النظر في طلبات اللجوء، وإعادة توزيع ودمج كلّ الذين يمكن قبلوهم. القدرة على التفاوض وإيجاد حلول مشتركة هي إحدى نقاط القوّة في الاتحاد الأوروبي، وهو بها نموذج صالح لمواجهة التحديات العالمية التي تنتظرنا.

ومع ذلك، فإنّ الهجرة لا تخص فقط أوروبا، ولو أنّها معنية بصورة خاصة بموجات اللاجئين القادمين من كلّ من إفريقيا وآسيا. شهدنا في السنوات الأخيرة، من بين ما شاهدنا، الهجرة الجماعية للاجئين السوريين، والتي أضيف إليها في الأشهر الأخيرة اللاجئون الذين فرّوا من أفغانستان. وينبغي ألّا ننسى الهجرات الجماعية في القارة الأمريكية، والتي تشتد على الحدود بين المكسيك والولايات المتحدة الأمريكية. العديد من هؤلاء المهاجرين هم من الهايتيين الفارين من المآسي التي عصفت ببلدهم في السنوات الأخيرة.

قضية الهجرة، وكذلك الجائحة وتغيّر المناخ، تُظهر بوضوح أنّه لا يمكن لأحد أن ينقذ نفسه وحده، أي أنّ التحديات الكبرى في زمننا كلّها عالمية. لذلك من المثير للقلق أن نرى أنّ المشاكل من جهة تزداد ترابطًا في ما بينها، بينما الحلول بالعكس تزداد تجزئة. وليس من النادر أن نجد البعض لا يريدون فتح نوافذ الحوار وبداية شيء من الأخوّة، وهذا ينتهي بتأجيج المزيد من التوترات والانقسامات، فضلًا عن الشعور العام بعدم اليقين وعدم الاستقرار. بدلاً من ذلك، ينبغي أن نستعيد الإحساس بهويتنا المشتركة كعائلة بشرية واحدة. البديل هو العزلة المتزايدة فقط، التي تميزت بسبب عمليات احتكار وإغلاقات متبادلة عرَّضت في الواقع التعددية للخطر، أي الأسلوب الدبلوماسي الذي ميّز العلاقات الدولية منذ نهاية الحرب العالمية الثانية.

تمر الدبلوماسية المتعددة الأطراف اليوم بأزمة ثقة منذ بعض الوقت، بسبب انحسار مصداقية الأنظمة الاجتماعية والحكومية وبين الحكومات. هناك قرارات مهمة وتصريحات، وأحكام، تتخذ أحيانًا من دون مفاوضات حقيقية ولا يكون لكلّ الدول رأي فيها. هذا الخلل، الذي أصبح واضحًا بشكل مأساوي اليوم، يولد الابتعاد تجاه المنظمات الدولية من جانب العديد من الدول، ويضعف النظام متعدد الأطراف ككل، ويجعله أقل فاعلية في مواجهة التحديات العالمية.

عدم فعالية العديد من المنظمات الدولية يرجع أيضًا إلى اختلاف الرؤى لدى الأعضاء للأهداف التي ينبغي أن يحددوها. ليس من النادر أن يتحوّل مركز الثقل في الاهتمام إلى قضايا هي بطبيعتها مثيرة للانقسام ولا ترتبط ارتباطًا وثيقًا بهدف المنظمة، وذلك نتيجة لأجندات تمليها بشكل متزايد فكرة تنكر الأسس الطبيعية للإنسانية والجذور الثقافية التي تشكل هوية العديد من الشعوب. كما أتيحت لي الفرصة لتأكيد ذلك في مناسبات أخرى، أعتقد أنّنا نتعرض لشكل من أشكال الاستعمار الأيديولوجي، الذي لا يترك مجالًا لحرية التعبير، والذي يصبح اليوم، بصورة متزايدة، ثقافة إلغاء، تغزو العديد من الأوساط والمؤسسات العامة. وباسم حماية التنوع، ينتهي بنا الأمر إلى إلغاء معنى كلّ هوية، مع المخاطرة بإسكات المواقف التي تدافع عن فكرة متوازنة تحترم الحساسيات المختلفة. إنّه يتم اليوم تطوير فكر واحد - خطير - مُجبَرٍ على إنكار التاريخ، وما هو أسوأ من ذلك، يعيد كتابة التاريخ على أساس قوالب فكرية معاصرة، مع أنّه يجب تفسير كلّ موقف تاريخي وفقًا لمفاهيم عصره، وليس وفقًا لمفاهيم اليوم.

لذلك، فإنّ الدبلوماسية متعددة الأطراف مدعوة إلى أن تكون ذات طابع شمولي حقًا، فلا تلغي بل تعترف بقيمة التنوع والحساسيات التاريخية التي تميّز مختلف الشعوب. بهذه الطريقة، تستعيد مصداقيتها وفعاليتها لمواجهة التحديات القادمة، التي تتطلب أن تتحد البشرية كعائلة كبيرة، والتي، ولو انطلقت من وجهات نظر مختلفة، يجب أن تكون قادرة على إيجاد حلول مشتركة لخير الجميع. وهذا يتطلب ثقة متبادلة واستعدادًا للحوار، أي "أن نصغي بعضنا إلى بعض، ونناقش بعضنا بعضًا، ونتّفق بعضنا مع بعض، ونسير معًا"[2]. علاوة على ذلك، فإنّ "الحوار هو أنسب طريقة للتعرف على ما يجب تأكيده واحترامه دائمًا، والذي هو أكثر من اتفاق عارض"[3]. يجب ألّا ننسى أبدًا أنّ "هناك بعض القيم الدائمة"[4]. ليس من السهل دائمًا التعرف عليها، لكن قبولها "يعطي صلابة واستقرارًا للأخلاق الاجتماعية. حتى عندما نعرفها ونقبلها بفضل الحوار والتوافق، نرى أنّ هذه القيم الأساسية تتجاوز كلّ توافق"[5]. أودّ بشكل خاص أن أذكّر بالحق في الحياة، منذ الحمل إلى النهاية الطبيعية، والحق في الحرية الدينية.

في هذه الرؤية، ازداد الوعي الجماعي في السنوات الأخيرة للضرورة الملحة لمواجهة قضية العناية ببيتنا المشترك، الذي يعاني من الاستغلال المستمر والعشوائي للموارد. في هذا الصدد، أفكّر بشكل خاص في الفلبين، التي ضربها إعصار مدمر في الأسابيع الأخيرة، وكذلك دول أخرى في المحيط الهادئ، المعرضة للآثار السلبية لتغير المناخ، والتي تتعرض فيه حياة السكان للخطر، إذ يعتمد معظمهم على الزراعة وصيد الأسماك والموارد الطبيعية.

وهذا الحدث بالتحديد هو الذي يجب أن يدفع المجتمع الدولي ككل لإيجاد حلول مشتركة ووضعها موضع التنفيذ. لا أحد يستطيع الهروب من هذا الجهد، لأنّنا جميعًا معنيون ومشاركون بالتساوي. في مؤتمر المناخ COP26 الأخير في غلاسكو، تم اتخاذ بعض الخطوات في الاتجاه الصحيح، ولو كانت ضعيفة نوعًا ما بالنظر إلى خطورة المشكلة التي يجب معالجتها. يبدو أنّ الطريق إلى تحقيق أهداف اتفاق باريس معقد وطويل، بينما الوقت المتاح ما زال ينفَد شيئا فشيئا. لا يزال هناك الكثير يجب القيام به، وبالتالي سيكون عام 2022 عامًا أساسيًا آخر للتحقق من مدى وكيفية تقوية ما تم تحديده في غلاسكو، بانتظار المؤتمر السابع والعشرين المقرر عقده في تشرين الثاني/نوفمبر المقبل في مصر.

أصحاب السعادة، السيدات والسادة!

الحوار والأخوّة هما المحوران الأساسيان للتغلب على أزمات اللحظة الحالية. ومع ذلك، "على الرّغم من الجهود المتعدّدة الهادفة إلى الحوار البناء بين الدول، ما زال ضجيج الحروب والنزاعات يزداد ويصمّ الآذان"[6]، فيجب على كلّ المجتمع الدولي أن يتساءل عن الحاجة الملحة لإيجاد حلول للصراعات التي لا تنتهي، والتي تتخذ أحيانًا وجه حروب حقيقية، وحروب بالوكالة.

أفكّر أولاً في سوريا، حيث لا يلوح حتى الآن على الأفق أية إشارة واضحة لنهضة البلاد. وحتى اليوم، الشعب السوري يبكي موتاه، وفقدان كلّ شيء، ويأمل في مستقبل أفضل. هناك حاجة إلى إصلاحات سياسية ودستورية، حتى يولد البلد من جديد، ولكن من الضروري أيضًا ألّا تكون العقوبات المطبقة مؤثرة بشكل مباشر في الحياة اليومية، وأن تقدّم الإصلاحات بصيص أمل للسكان، الذين يزدادون كلّ يوم قربًا من لسعات الفقر.

ولا يمكننا أن ننسى الصراع في اليمن، وهو مأساة إنسانية تُنَفَّذ منذ سنوات في صمت، بعيدًا عن الأضواء الإعلامية وبشيء من اللامبالاة من المجتمع الدولي، ولا يزال يتسبب في وقوع العديد من الضحايا المدنيين، لا سيّما النساء والأطفال.

في العام الماضي، لم يتم إحراز أي تقدّم في عملية السّلام بين إسرائيل وفلسطين. أودّ حقًا أن أرى هذين الشعبين يعيدان بناء الثقة بينهما، ويستأنفان الحديث معًا مباشرة ليتوصلا إلى العيش في دولتين جنبًا إلى جنب، في سلام وأمن، دون كراهية وضغينة، وأن يتم الشفاء على أساس المغفرة المتبادلة.

عادت المخاوف لإيقاظ التوترات المؤسسية في ليبيا. وكذلك حوادث العنف على يد الإرهاب الدولي في منطقة الساحل، والصراعات الداخلية في السودان وجنوب السودان وإثيوبيا، حيث من الضروري أن "يكتشفوا من جديد طريق المصالحة والسّلام، بمواجهة صادقة تضع احتياجات السّكان في المقام الأوّل"[7].

إنّ اللامساواة العميقة والمظالم والفساد المستشري، فضلًا عن الأشكال المختلفة للفقر التي تهين كرامة الإنسان، ما زالت تؤجج الصراعات الاجتماعية في القارة الأمريكية أيضًا، حيث لا تساعد الاستقطابات التي تزداد حدة لحلّ المشاكل الحقيقية والملحة للمواطنين، ولا سيّما أشدهم فقرًا وضعفًا.

وفي أوكرانيا وجنوب القفقاز، يجب أن توجد ثقة متبادلة واستعداد لمواجهة سلمية، فتساعد جميع الأطراف لإيجاد حلول مقبولة ودائمة، وكذلك تجنب اندلاع أزمات جديدة في البلقان، ولا سيّما في البوسنة والهرسك.

الحوار والأخوّة أصبحا ضرورة ملحة جدًّا، لمواجهة الأزمة في ميانمار بحكمة وبصورة فعالة، فهي تضرب البلاد منذ سنة تقريبًا، حيث الشوارع التي كانت ذات يوم مكان لقاء أصبحت مسرحًا للاشتباكات، حتى أماكن الصّلاة لم تسلم مما يحدث.

بالطبع، كلّ النزاعات تسهلها كثرة الأسلحة المتوفرة وغياب الضمير في كلّ الذين يعملون على توفيرها. نتوَهم في بعض الأحيان أنّ السلاح يلعب فقط دورًا رادعًا ضد المعتدين المحتملين. لكن التاريخ يعلمنا، والأخبار اليومية أيضًا للأسف، أنّ الأمر ليس كذلك. الذين يمتلكون الأسلحة عاجلًا أم آجلاً ينتهي بهم الأمر إلى استخدامها، لأنّه، كما قال القديس بولس السادس، "لا يمكن للإنسان أن يحب وفي يده أسلحة مهددة"[8]. علاوة على ذلك، "عندما نستسلم لمنطق السلاح ونبتعد عن ممارسة الحوار، فإنّنا ننسى بشكل مأساوي أنّ الأسلحة، حتى قبل أن تصنع الضحايا والدمار، لها القدرة على توليد أحلام شر"[9]. وقد زادت هذه المخاوف الواقعية اليوم بسبب توفر واستخدام الأسلحة المستقلة، والتي يمكن أن تكون لها عواقب وخيمة ولا يمكن التنبؤ بها، لذلك ينبغي أن تكون خاضعة لمسؤولية المجتمع الدولي.

بين الأسلحة التي أنتجتها البشرية، تثير الأسلحة النووية القلق الأكبر. في نهاية شهر كانون الأوّل/ديسمبر الماضي، بسبب الجائحة، تمّ مرة أخرى تأجيل المؤتمر العاشر لمعاهدة عدم انتشار الأسلحة النووية، الذي كان من المتوقع عقده في نيويورك في هذه الأيام الأخيرة. إنّ عالمًا خال من الأسلحة النووية أمرٌ ممكن وضروري. لذلك أتمنّى أن يغتنم المجتمع الدولي فرصة ذلك المؤتمر لاتخاذ خطوة مهمة في هذا الاتجاه.لا يزال الكرسي الرسولي ثابتًا في القول إنّ الأسلحة النووية أدوات غير ملائمة وغير مناسبة للرد على التهديدات الأمنية في القرن الحادي والعشرين، وإن حيازتها أمر غير أخلاقي. يؤدي تصنيعها إلى تحويل الموارد عن آفاق التنمية البشرية المتكاملة، كما أن استخدامها، بالإضافة إلى إحداث عواقب إنسانيّة وبيئية كارثية، يهدد وجود البشرية نفسه.

الكرسي الرسولي يرى أنّه مهمُّ بالمقدار نفسه استئناف المفاوضات في فيينا بشأن الاتفاق النووي مع إيران (خطة العمل الشاملة المشتركة) لأنّه يمكن أن يحقق نتائج إيجابية من أجل ضمان عالم أكثر أمانًا وأخوّة.

السفراء الأعزاء!

في رسالتي في مناسبة يوم السّلام العالمي الذي تمّ الاحتفال به في الأوّل من كانون الثاني/يناير الماضي، حاولت تسليط الضوء على العناصر التي أعتبرها ضرورية لتعزيز ثقافة الحوار والأخوّة.

للتربية بين تلك العناصر مكانة خاصة، فهي التي تكوِّن الأجيال الجديدة، أمل ومستقبل العالم. إنّها الناقل الأساسي للتنمية البشرية المتكاملة، لأنّها تجعل الشخص حرًّا ومسؤولًا[10]. العملية التربوية بطيئة وشاقة، وفي بعض الأحيان يمكن أن تؤدي إلى الإحباط، لكن لا يمكن التخلي عنها أبدًا. إنّها تعبير مهم عن الحوار، لأنّه لا توجد تربية لا تنشئ على الحوار. والتربية تلِد الثقافة، وتبني جسور لقاء بين الشعوب. أراد الكرسي الرسولي التأكيد على قيمة العملية التربوية بالمشاركة في معرض دبي 2021، في دولة الإمارات العربية المتحدة، فأقام جناحًا خاصًّا مستوحى من موضوع المعرض: ”التواصل بين العقول وصنع المستقبل“.

اعترفت الكنيسة الكاثوليكية دائمًا بدور التربية، وأعلت من شأنها، في مجال التنمية الروحية والأخلاقية والاجتماعية للأجيال الجديدة. لذلك من المؤلم للغاية أن أرى كيف تم ارتكاب سوء معاملة أطفال في أماكن تعليمية مختلفة – في الرعايا والمدارس - مع ما تبعها من عواقب نفسية وروحية خطيرة للأشخاص الذين عانوا منها. هذه جرائم، ويجب أن تكون هناك إرادة قويّة لتوضيح الأمور، وغربلة كلّ حالة بمفردها، وتحديد المسؤوليات، وإنصاف الضحايا، ومنع وقوع فظائع مماثلة مرة أخرى في المستقبل.

على الرّغم من خطورة مثل هذه الأعمال، لا يمكن لأي مجتمع أن يتنازل عن مسؤوليته في التربية. من المؤلم أن نلاحظ، مع ذلك، في ميزانيات الدولة، أنّه يتم غالبًا تخصيص موارد قليلة للتربية. فيُنظر إليها بشكل أساسي على أنّها تكلفة ونفقة، مع أنّها أفضل استثمار ممكن.

حرمت الجائحة العديد من الشباب من الوصول إلى المؤسسات التربوية، فأضر ذلك بعملية نموهم الشخصي والاجتماعي. وجد كثيرون، من خلال الأدوات التكنولوجية الحديثة، ملاذًا في الواقع الافتراضي، الذي يخلق روابط نفسية وعاطفية قوية جدًا، مما يؤدي إلى الابتعاد عن الآخرين وعن الواقع المحيط، وإلى تغيير العلاقات الاجتماعية بشكل جذري. لا أقصد بهذا بالتأكيد إنكار فائدة التكنولوجيا ومنتجاتها، والتي تسمح لنا بالاتصال بشكل أسهل وأسرع، لكنّني أريد أن أنبّه على الحاجة الملحة للسهر حتى لا تحل هذه الأدوات محل العلاقات الإنسانية الحقيقية، على المستوى الشخصي والعائلي والاجتماعي والدولي. إذا تعلّم المرء أن يعزل نفسه في سن مبكر، سيكون من الصعب عليه في المستقبل أن يبني جسور الأخوّة والسّلام. في عالم حيث يوجد ”أنا“ فقط، بصعوبة يوجد مكان لـ ”نحن“.

العنصر الثاني الذي أودّ أن أذكره بإيجاز هو العمل، فهو "مقوّمٌ لا غنى عنه لبناء السّلام والحفاظ عليه. إنّه تعبير عن الذات وعن المواهب الخاصّة، ولكنّه أيضًا التزام، وجهد، وتعاون مع الآخرين، لأنّنا نعمل دائمًا مع أو من أجل شخصٍ آخر. من هذا المنظور الاجتماعي الملحوظ، يكون العمل المكان الذي فيه نتعلّم أن نقدّم مساهمتنا من أجل عالم يزداد جمالًا وقابليّة للعيش"[11].

فُرِضَ علينا أن نرى كيف عرَّضت الجائحة الاقتصاد العالمي لأزمة شديدة، مع تداعيات خطيرة على العائلات والعمال، الذين يعيشون في أوضاع ضائقة نفسية، حتى قبل الصعوبات الاقتصادية. وقد سلطت الضوء بشكل أكبر على التفاوتات المستمرة في مختلف المجالات الاجتماعية والاقتصادية. لنفكر مثلًا في إمكانية الوصول إلى المياه النظيفة والغذاء والتعليم والرعاية الطبية. إنّ عدد الأشخاص المصنفين في فئة الفقر المدقع ازداد زيادة كبيرة. بالإضافة إلى ذلك، أدّت الأزمة الصحية بالعديد من العمال إلى تغيير نوع العمل، وأجبرتهم أحيانًا على دخول اقتصاد الظل، وبالتالي حُرِموا من أنظمة الحماية الاجتماعية المتوفرة في البلدان العديدة.

في هذا السياق، يكتسب الوعي بقيمة العمل أهمية أكبر، إذ لا توجد تنمية اقتصادية بدون عمل، ولا يمكننا أن نعتقد أنّ التقنيات الحديثة يمكن أن تحل محل القيمة المضافة التي يوفرها العمل البشري. إنّها أيضًا فرصة لاكتشاف كرامة الشخص، واللقاء والنمو البشري، وهي طريقة مميزة لمشاركة كلّ فرد في النشاط من أجل الخير العام، ولمساهمته بشكل ملموس في بناء السّلام. في هذا المجال أيضًا، هناك حاجة إلى مزيد من التعاون بين جميع العاملين على المستويات المحلية والوطنية والإقليمية والعالمية، لا سيّما في الفترة المقبلة، مع التحديات التي يطرحها التحوّل البيئي المأمول. ستكون السنوات القادمة فرصة سانحة لتطوير خدمات ومشاريع جديدة، وتكييف الخدمات القائمة، وزيادة إمكانية الوصول إلى العمل الكريم، والعمل من أجل احترام حقوق الإنسان وتحديد مستويات أجور كافية، والحماية الاجتماعية.

أصحاب السعادة، السيدات والسادة!

يذكر النبي إرميا أنّ أفكار الله لنا "هي أفكار سلام لا بلوى، ”ليمنحنا“ بقاء ورجاء" (29، 11). لذلك يجب ألّا نخاف من إفساح المجال للسّلام في حياتنا، من خلال تنمية الحوار والأخوّة بيننا. السّلام خير ”مُعدٍ“ ينتشر في قلوب طالبيه وقلوب الذين يطمحون في أن يعيشوه، مرتبطين بالعالم أجمع. إلى كلّ واحد منكم وأحبائكم وشعوبكم، أجدّد بركتي وأصدق أمانيَّ لسنة طمأنينة وسلام.

شكرًا.

[00038-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0021-XX.02]

 

[1] راجع الإرشاد الرسولي، فرح الإنجيل، (24 تشرين الثاني/نوفمبر 2013)، 226-230.

[2] رسالة في مناسبة اليوم العالمي الخامس والخمسين للسّلام (8 كانون الأوّل/ديسمبر 2021)، 2.

[3] رسالة بابوية عامة، Fratelli tuttiكلّنا إخوة“ (3 تشرين الأوّل/أكتوبر 2020)، 211.

[4] المرجع نفسه.

[5] المرجع نفسه.

[6] رسالة في مناسبة اليوم العالمي الخامس والخمسين للسّلام، 1.

[7] رسالة إلى مدينة روما والعالم، 25 كانون الأوّل/ديسمبر 2021.

[8] كلمة أمام الجمعية العامة للأمم المتحدة (4 تشرين الأوّل/أكتوبر 1965)، 5.

[9] لقاء من أجل السلام، هيروشيما، 24 تشرين الثاني/نوفمبر 2019.

[10] راجع رسالة في مناسبة اليوم العالمي الخامس والخمسين للسّلام، 3.

[11] رسالة في مناسبة اليوم العالمي الخامس والخمسين للسّلام، 4.