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Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, 06.01.2022


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10 di questa mattina, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica di San Pietro.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

I magi viaggiano verso Betlemme. Il loro pellegrinaggio parla anche a noi, chiamati a camminare verso Gesù, perché è Lui la stella polare che illumina i cieli della vita e orienta i passi verso la gioia vera. Ma da dove è partito il pellegrinaggio dei magi incontro a Gesù? Che cosa ha mosso questi uomini d’Oriente a mettersi in viaggio?

Avevano ottimi alibi per non partire. Erano sapienti e astrologi, avevano fama e ricchezza. Raggiunta una tale sicurezza culturale, sociale ed economica, potevano accomodarsi su ciò che sapevano e su ciò che avevano, starsene tranquilli. Invece, si lasciano inquietare da una domanda e da un segno: «Dov’è colui che è nato? Abbiamo visto spuntare la sua stella» (Mt 2,2). Il loro cuore non si lascia intorpidire nella tana dell’apatia, ma è assetato di luce; non si trascina stanco nella pigrizia, ma è acceso dalla nostalgia di nuovi orizzonti. I loro occhi non sono rivolti alla terra, ma sono finestre aperte sul cielo. Come ha affermato Benedetto XVI, erano «uomini dal cuore inquieto. […] Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale […]. Erano ricercatori di Dio» (Omelia, 6 gennaio 2013).

Questa sana inquietudine, che li ha portati a peregrinare, da dove nasce? Nasce dal desiderio. Ecco il loro segreto interiore: saper desiderare. Meditiamo su questo. Desiderare significa tenere vivo il fuoco che arde dentro di noi e ci spinge a cercare oltre l’immediato, oltre il visibile. Desiderare è accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove”. È come una tela bianca che ha bisogno di ricevere colore. Proprio un grande pittore, Van Gogh, scriveva che il bisogno di Dio lo spingeva a uscire di notte per dipingere le stelle. Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle. Possiamo dire, senza esagerare, che noi siamo ciò che desideriamo. Perché sono i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene. «La nostra vita – diceva Sant’Agostino – è una ginnastica del desiderio» (Trattati sulla prima Lettera di Giovanni, IV, 6).

Fratelli e sorelle, come per i magi, così per noi: il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. A volte noi viviamo uno spirito di “parcheggio”, viviamo parcheggiati, senza questo slancio del desiderio che ci porta più avanti. Ci fa bene chiederci: a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa? È triste quando una comunità di credenti non desidera più e, stanca, si trascina nel gestire le cose invece che lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo. È triste quando un sacerdote ha chiuso la porta del desiderio; è triste cadere nel funzionalismo clericale, è molto triste.

La crisi della fede, nella nostra vita e nelle nostre società, ha anche a che fare con la scomparsa del desiderio di Dio. Ha a che fare con il sonno dello spirito, con l’abitudine ad accontentarci di vivere alla giornata, senza interrogarci su che cosa Dio vuole da noi. Ci siamo ripiegati troppo sulle mappe della terra e ci siamo scordati di alzare lo sguardo verso il Cielo; siamo sazi di tante cose, ma privi della nostalgia di ciò che ci manca. Nostalgia di Dio. Ci siamo fissati sui bisogni, su ciò che mangeremo e di cui ci vestiremo (cfr Mt 6,25), lasciando evaporare l’anelito per ciò che va oltre. E ci troviamo nella bulimia di comunità che hanno tutto e spesso non sentono più niente nel cuore. Persone chiuse, comunità chiuse, vescovi chiusi, preti chiusi, consacrati chiusi. Perché la mancanza di desiderio porta alla tristezza, e all’indifferenza. Comunità tristi, preti tristi, vescovi tristi.

Guardiamo però soprattutto a noi stessi e chiediamoci: come va il viaggio della mia fede? È una domanda che oggi possiamo farci, ognuno di noi. Come va il viaggio della mia fede? È parcheggiata o è in cammino? La fede, per partire e ripartire, ha bisogno di essere innescata dal desiderio, di mettersi in gioco nell’avventura di una relazione viva e vivace con Dio. Ma il mio cuore è ancora animato dal desiderio di Dio? O lascio che l’abitudine e le delusioni lo spengano? Oggi, fratelli e sorelle, è il giorno per fare queste domande. Oggi è il giorno per ritornare ad alimentare il desiderio. E come fare? Andiamo a “scuola di desiderio”, andiamo dai magi. Loro ci insegneranno, nella loro scuola del desiderio. Guardiamo i passi che compiono e traiamo alcuni insegnamenti.

Essi in primo luogo partono al sorgere della stella: ci insegnano che bisogna sempre ripartire ogni giorno, nella vita come nella fede, perché la fede non è un’armatura che ingessa, ma un viaggio affascinante, un movimento continuo e inquieto, sempre alla ricerca di Dio, sempre con il discernimento, in quel cammino.

I magi, poi, a Gerusalemme chiedono: chiedono dov’è il Bambino. Ci insegnano che abbiamo bisogno di interrogativi, di ascoltare con attenzione le domande del cuore, della coscienza; perché è così che spesso parla Dio, il quale si rivolge a noi più con domande che con risposte. E questo dobbiamo impararlo bene: che Dio si rivolge a noi più con domande che con risposte. Ma lasciamoci inquietare anche dagli interrogativi dei bambini, dai dubbi, dalle speranze e dai desideri delle persone del nostro tempo. La strada è lasciarsi interrogare.

Ancora, i magi sfidano Erode. Ci insegnano che abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, che non abbia paura di sfidare le logiche oscure del potere e diventi seme di giustizia e di fraternità in società dove, ancora oggi, tanti Erode seminano morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nell’indifferenza di molti.

I magi, infine, ritornano «per un’altra strada» (Mt 2,12): ci provocano a percorrere strade nuove. È la creatività dello Spirito, che fa sempre cose nuove. È anche, in questo momento, uno dei compiti del Sinodo che noi stiamo facendo: camminare insieme in ascolto, perché lo Spirito ci suggerisca vie nuove, strade per portare il Vangelo al cuore di chi è indifferente, lontano, di chi ha perduto la speranza ma cerca quello che i magi trovarono, «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Uscire oltre, andare avanti.

Al culmine del viaggio dei magi c’è però un momento cruciale: quando arrivano a destinazione “si prostrano e adorano il Bambino” (cfr v. 11). Adorano. Ricordiamoci questo: il viaggio della fede trova slancio e compimento solo alla presenza di Dio. Solo se recuperiamo il gusto dell’adorazione, si rinnova il desiderio. Il desiderio ti porta all’adorazione e l’adorazione ti fa rinnovare il desiderio. Perché il desiderio di Dio cresce solo stando davanti a Dio. Perché solo Gesù risana i desideri. Da che cosa? Li risana dalla dittatura dei bisogni. Il cuore, infatti, si ammala quando i desideri coincidono solo con i bisogni. Dio, invece, eleva i desideri e li purifica, li guarisce, risanandoli dall’egoismo e aprendoci all’amore per Lui e per i fratelli. Per questo non dimentichiamo l’Adorazione, la preghiera di adorazione, che non è tanto comune tra noi: adorare, in silenzio. Per questo, non dimentichiamo l’adorazione, per favore.

E nell’andare così, ogni giorno, avremo la certezza, come i magi, che anche nelle notti più oscure brilla una stella. È la stella del Signore, che viene a prendersi cura della nostra fragile umanità. Mettiamoci in cammino verso di Lui. Non diamo all’apatia e alla rassegnazione il potere di inchiodarci nella tristezza di una vita piatta. Prendiamo l’inquietudine dello Spirito, cuori inquieti. Il mondo attende dai credenti uno slancio rinnovato verso il Cielo. Come i magi, alziamo il capo, ascoltiamo il desiderio del cuore, seguiamo la stella che Dio fa splendere sopra di noi. E come cercatori inquieti, restiamo aperti alle sorprese di Dio. Fratelli e sorelle, sogniamo, cerchiamo, adoriamo.

[00023-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Les Mages sont en route vers Bethléem. Leur pèlerinage parle à nous aussiqui sommes appelés à marcher vers Jésus, parce que c’est lui l’étoile polaire qui illumine les cieux de la vie et qui oriente les pas vers la vraie joie. Mais d’où est parti le pèlerinage des Mages à la rencontre de Jésus? Qu’est-ce qui a poussé ces hommes d’Orient à se mettre en route?

Ils avaient de très bons alibis pour ne pas partir. Ils étaient savants et astrologues, ils avaient renommée et richesse. Ayant atteint une telle sécurité culturelle, sociale et économique, ils pouvaient se contenter de ce qu’ils savaient et de ce qu’ils avaient, rester tranquilles. Au contraire, ils se laissent inquiéter par une question et par un signe: «Où est le roi des Juifs qui vient de naître? Nous avons vu son étoile…» (Mt 2, 2). Leur cœur ne se laisse pas engourdir dans l’antre de l’apathie, mais il est assoiffé de lumière; il ne se traîne pas avec lassitude dans la paresse, mais est embrasé par la nostalgie de nouveaux horizons. Leurs yeux ne sont pas tournés vers la terre, mais ils sont des fenêtres ouvertes sur le ciel. Comme l’a affirmé Benoît XVI, ils étaient «des hommes au cœur inquiet. […] Des hommes en attente qui ne se contentaient pas de leur revenu assuré et de leur position sociale. […] Ils étaient des chercheurs de Dieu» (Homélie, 6 janvier 2013).

Cette saine inquiétude qui les a portés à partir en pèlerinage, d’où est-elle née ? Elle est née du désir. Voilà leur secret intérieur: savoir désirer. Méditons là-dessus. Désirer c’est garder vivant le feu qui brûle en nous et qui nous pousse à chercher au-delà de l’immédiat, au-delà du visible. Désirer c’est accueillir la vie comme un mystère qui nous dépasse, comme une fissure toujours ouverte qui invite à regarder au-delà, parce que la vie n’est pas “toute ici”, elle est aussi “ailleurs”. Elle est comme une toile blanche qui a besoin de recevoir des couleurs. Un grand peintre, Van Gogh, écrivait que le besoin de Dieu le poussait à sortir de nuit pour peindre les étoiles (cf. Lettre à Theo, 9 mai 1889). Oui, parce que Dieu nous a faits ainsi: pétris de désir; tournés, comme les Mages, vers les étoiles. Nous pouvons dire sans exagérer que nous sommes ce que nous désirons. Parce que ce sont les désirs qui élargissent notre regard et poussent notre vie au-delà: au-delà des barrières de l’habitude, au-delà d’une vie focalisée sur la consommation, au-delà d’une foi répétitive et fatiguée, au-delà de la peur de nous impliquer et de nous engager pour les autres et pour le bien. «Notre vie – disait saint Augustin – est une gymnastique du désir» (Traités sur la première Lettre de Jean, IV, 6).

Frères et sœurs, il en est pour nous comme pour les Mages : le voyage de la vie et le chemin de la foi ont besoin de désir, d’élan intérieur. Parfois nous vivons dans un esprit de “garage”, nous vivons garés, sans cet élan du désir qui nous fait avancer. Il est bon de nous demander: où en sommes-nous dans le voyage de la foi? Ne sommes-nous pas depuis trop longtemps bloqués, parqués dans une religion conventionnelle, extérieure, formelle, qui ne réchauffe plus le cœur et ne change pas la vie? Nos paroles et nos rites déclenchent-ils dans le cœur des personnes le désir d’aller vers Dieu, ou bien sont-ils une “langue morte” qui ne parle que de soi et à soi-même? Il est triste qu’une communauté de croyants ne désire plus et, fatiguée, se contente de la gestion des choses au lieu de se laisser surprendre par Jésus, par la joie envahissante et inconfortable de l’Évangile. Il est triste qu’un prêtre ferme la porte du désir, il est triste de tomber dans le fonctionnalisme clérical; c’est très triste.

La crise de la foi, dans notre vie et dans nos sociétés, est aussi liée à la disparition du désir de Dieu. Elle est liée au sommeil de l’Esprit, à l’habitude de se contenter de vivre au quotidien, sans s’interroger sur ce que Dieu veut de nous. Nous nous sommes trop repliés sur les cartes de la terre et nous avons oublié de lever le regard vers le Ciel; nous sommes rassasiés de beaucoup de choses, mais dépourvus de la nostalgie de ce qui nous manque. La nostalgie de Dieu. Nous nous sommes fixés sur nos besoins, sur ce que nous mangerons et de quoi nous nous vêtirons (cf. Mt 6, 25), laissant s’évaporer le désir de ce qui va au-delà. Et nous nous trouvons dans la boulimie de communautés qui ont tout et, souvent, ne sentent plus rien dans le cœur. Des personnes fermées, des communautés fermées, des évêques fermés, des prêtres fermés, des personnes consacrées fermées. Parce que le manque de désir conduit à la tristesse et à l’indifférence. Des communautés tristes, des prêtres tristes, des évêques tristes.

Mais surtout, regardons-nous nous-mêmes et demandons-nous: où en est le voyage de ma foi? C’est une question que nous pouvons aujourd’hui nous poser, chacun de nous. Où en est le voyage de ma foi. Est-elle au garage ou en chemin? La foi, pour partir et repartir, a besoin d’être déclenchée par le désir, d’être impliquée dans l’aventure d’une relation vivante et dynamique avec Dieu. Mais mon cœur est-il encore animé du désir de Dieu? Ou bien est-ce que je laisse l’habitude et les déceptions l’éteindre? C’est aujourd’hui, frères et sœurs, le jour pour nous poser ces questions. C’est aujourd’hui le jour pour recommencer à nourrir le désir. Et comment faire? Allons à “l’école du désir”, allons voir les Mages. Ils nous enseigneront dans leur école du désir. Regardons les pas qu’ils accomplissent et tirons quelques enseignements.

D’abord, ils partent au lever de l’étoile: ils nous enseignent qu’il faut toujours repartir chaque jour, dans la vie comme dans la foi, parce que la foi n’est pas une armure qui immobilise, mais un voyage fascinant, un mouvement continu et agité, toujours en recherche de Dieu, toujours en discernement sur le chemin.

Ensuite, les Mages, à Jérusalem, demandent. Ils demandent où se trouve l’Enfant. Ils nous enseignent que nous avons besoin d’interrogations, d’écouter avec attention les questions du cœur, de la conscience; parce que c’est ainsi que, souvent, Dieu parle, qu’il s’adresse à nous plus avec des questions qu’avec des réponses. Et cela, nous devons bien le comprendre: Dieu s’adresse à nous plus par des questions que par des réponses. Mais laissons-nous inquiéter aussi par les interrogations des enfants, par les doutes, les espérances et par les désirs des personnes de notre temps. La voie c’est se laisser interroger.

Par ailleurs, les Mages défient Hérode. Ils nous enseignent que nous avons besoin d’une foi courageuse qui n’ait pas peur de défier les logiques obscures du pouvoir et qui devienne semence de justice et de fraternité dans une société où, encore aujourd’hui, beaucoup d’Hérode sèment la mort et massacrent des pauvres et des innocents, dans l’indifférence de beaucoup.

Les Mages, enfin, retournent « par un autre chemin » (Mt 2, 12): ils nous provoquent à parcourir de nouvelles routes. C’est la créativité de l’Esprit qui fait toute chose nouvelle. C’est aussi, en ce moment, l’un des devoirs du Synode que nous sommes en train de faire: marcher ensemble dans l’écoute, pour que l’Esprit nous suggère des voies nouvelles, des chemins pour apporter l’Évangile au cœur de celui qui est indifférent, loin, de celui qui a perdu l’espérance mais qui cherche ce que les Mages ont trouvé, « une très grande joie » (Mt 2, 10). Sortir au-delà, aller de l’avant.

Mais au point culminant du voyage des Mages il y a un moment crucial: lorsqu’ils arrivent à destination “ils se prosternent et adorent l’Enfant” (cf. v. 11). Ils adorent. Rappelons-nous ceci: le voyage de la foi trouve élan et accomplissement seulement en présence de Dieu. C’est seulement si nous retrouvons le goût de l’adoration que le désir se renouvelle. Le désir te porte à l’adoration et l’adoration te renouvelle le désir. Parce que le désir de Dieu grandit seulement devant Dieu. Parce que seul Jésus guérit les désirs. De quoi? Il les guérit de la dictature des besoins. Le cœur, en effet, tombe malade lorsque les désirs coïncident seulement avec les besoins. Dieu, au contraire, élève les désirs; les purifie, les soigne, en les guérissant de l’égoïsme et en nous ouvrant à l’amour pour lui et pour les frères. Par conséquent, n’oublions pas l’Adoration, la prière d’adoration, qui n’est pas si répandue parmi nous: adorer, en silence. Par conséquent, n’oublions pas l’adoration, s’il vous plait.

Et ainsi, chaque jour, nous aurons la certitude, comme les Mages, que même dans les nuits les plus obscures brille une étoile. C’est l’étoile du Seigneur qui vient prendre soin de notre fragile humanité. Mettons-nous en route vers lui. Ne donnons pas à l’apathie et à la résignation le pouvoir de nous clouer dans la tristesse d’une vie plate. Prenons l’inquiétude de l’Esprit!... des cœurs inquiets! Le monde attend des croyants un élan renouvelé ver le Ciel. Comme les Mages, levons la tête, écoutons le désir du cœur, suivons l’étoile que Dieu fait resplendir au-dessus de nous. Comme des chercheurs inquiets, restons ouverts aux surprises de Dieu. Frères et sœurs, rêvons, cherchons, adorons.

[00023-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The Magi travel towards Bethlehem. Their pilgrimage speaks also to us, who are called to journey towards Jesus, for he is the North Star that lights up the sky of life and guides our steps towards true joy. Yet where did the Magi’s pilgrimage to encounter Jesus begin? What made these men of the East set out on their journey?

They had excellent reasons not to depart. They were wise men and astrologers, famous and wealthy. Having attained sufficient cultural, social and economic security, they could have remained content with what they already knew and possessed. Instead, they let themselves be unsettled by a question and by a sign: “Where is he who has been born king of the Jews? For we have seen his star…” (Mt 2:2). They did not allow their hearts to retreat into the caves of gloom and apathy; they longed to see the light. They were not content to plod through life, but yearned for new and greater horizons. Their eyes were not fixed here below; they were windows open to the heavens. As Benedict XVI said, the Magi were “men with a restless heart… They were filled with expectation, not satisfied with their secure income and their respectable place in society… They were seekers after God” (Homily, 6 January 2013).

Where did it originate, this spirit of healthy restlessness that led them to set out on their journey? It was born of desire. That was their secret: the capacity to desire. Let us think about this. To desire means to fuel the fire that burns within us; it drives us to look beyond what is immediate and visible. To desire means embracing life as a mystery that surpasses us, as an ever-present cranny in the wall that beckons us to look into the distance, since life is not just our here and now, but something much greater. It is like a blank canvas that cries out for colour. A great painter, Vincent Van Gogh, once said that his need for God drove him to go outside at night to paint the stars. For that is the way God made us: brimming with desire, directed, like the Magi, towards the stars. With no exaggeration, we can say that we are what we desire. For it is our desires that enlarge our gaze and drive our lives forward, beyond the barriers of habit, beyond banal consumerism, beyond a drab and dreary faith, beyond the fear of becoming involved and serving others and the common good. In the words of Saint Augustine, “our entire life is an exercise of holy desire” (Homily on the First Letter of John, IV, 6).

Brothers and sisters, as it was for the Magi, so it is for us. The journey of life and faith demands a deep desire and inner zeal. Sometimes we live in a spirit of a “parking lot”; we stay parked, without the impulse of desire that carries us forward. We do well to ask: where are we on our journey of faith? Have we been stuck all too long, nestled inside a conventional, external and formal religiosity that no longer warms our hearts and changes our lives? Do our words and our liturgies ignite in people’s hearts a desire to move towards God, or are they a “dead language” that speaks only of itself and to itself? It is sad when a community of believers loses its desire and is content with “maintenance” rather than allowing itself to be startled by Jesus and by the explosive and unsettling joy of the Gospel. It is sad when a priest has closed the door of desire, sad to fall into clerical functionalism, very sad.

The crisis of faith in our lives and in our societies also has to do with the eclipse of desire for God. It is related to a kind of slumbering of the spirit, to the habit of being content to live from day to day, without ever asking what God really wants from us. We peer over earthly maps, but forget to look up to heaven. We are sated with plenty of things, but fail to hunger for our absent desire for God. We are fixated on our own needs, on what we will eat and wear (cf. Mt 6:25), even as we let the longing for greater things evaporate. And we find ourselves living in communities that crave everything, have everything, yet all too often feel nothing but emptiness in their hearts: closed communities of individuals, bishops, priests or consecrated men and women. Indeed the lack of desire leads only to sadness and indifference, to sad communities, sad priests or bishops.

Let us look first to ourselves and ask: How is the journey of my faith going? This is a question that we can ask ourselves today, each one of us. How is the journey of my faith going? Is it parked or is it on the move? Faith, if it is to grow, has to begin ever anew. It needs to be sparked by desire, to take up the challenge of entering into a living and lively relationship with God. Does my heart still burn with desire for God? Or have I allowed force of habit and my own disappointments to extinguish that flame? Today, brothers and sisters, is the day we should ask these questions. Today is the day we should return to nurturing our desire. How do we do this? Let us go to the Magi and learn from their “school of desire”. They will teach us in their school of desire. Let us look at the steps they took, and draw some lessons from them.

In the first place, they set out at the rising of the star. The Magi teach us that we need to set out anew each day, in life as in faith, for faith is not a suit of armour that encases us; instead, it is a fascinating journey, a constant and restless movement, ever in search of God, always discerning our way forward.

Then, in Jerusalem the Magi ask questions: they inquire where the Child is to be found. They teach us that we need to question. We need to listen carefully to the questions of our heart and our conscience, for it is there that God often speaks to us. He addresses us more with questions than with answers. We must learn this well: God addresses us more with questions than with answers. Yet let us also be unsettled by the questions of our children, and by the doubts, hopes and desires of the men and women of our time. We need to entertain questions.

The Magi then defy Herod. They teach us that we need a courageous faith, one that is unafraid to challenge the sinister logic of power, and become seeds of justice and fraternity in societies where in our day modern Herods continue to sow death and slaughter the poor and innocent, amid general indifference.

Finally, the Magi return “by another way” (Mt 2:12). They challenge us to take new paths. Here we see the creativity of the Spirit who always brings out new things. That is also one of the tasks of the Synod we are currently undertaking: to journey together and to listen to one another, so that the Spirit can suggest to us new ways and paths to bring the Gospel to the hearts of those who are distant, indifferent or without hope, yet continue to seek what the Magi found: “a great joy” (Mt 2:10). We must always move forwards.

At the end of the Magi’s journey came the climactic moment: once they arrived at their destination, “they fell down and worshiped the Child” (cf. v. 11). They worshiped. Let us we never forget this: the journey of faith finds renewed strength and fulfilment only when it is made in the presence of God. Only if we recover our “taste” for adoration will our desire be rekindled. Desire leads us to adoration and adoration renews our desire. For our desire for God can only grow when we place ourselves in his presence. For Jesus alone heals our desires. From what? From the tyranny of needs. Indeed, our hearts grow sickly whenever our desires coincide merely with our needs. God, on the other hand, elevates our desires; he purifies them and heals them of selfishness, opening them to love for him and for our brothers and sisters. This is why we should not neglect adoration, that prayer of silent adoration which is not so common among us. Please let us not forget adoration.

In this way, like the Magi, we will have the daily certainty that even in the darkest nights a star continues to shine. It is the star of the Lord, who comes to care for our frail humanity. Let us set out on the path towards him. Let us not give apathy and resignation the power to drive us into a cheerless and banal existence. Let our restless hearts embrace the restlessness of the Spirit. The world expects from believers a new burst of enthusiasm for the things of heaven. Like the Magi, let us lift up our eyes, listen to the desire lodged in our hearts, and follow the star that God makes shine above us. As restless seekers, let us remain open to God’s surprises. Brothers and sisters, let us dream, let us seek and let us adore.

[00023-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Sterndeuter reisen nach Betlehem. Ihre Pilgerschaft möchte auch uns etwas sagen: Wir sind gerufen, auf Jesus zuzugehen, denn er ist der Polarstern, der die Himmel des Lebens erhellt und unsere Schritte zur wahren Freude lenkt. Doch wo begann die Pilgerschaft der Sterndeuter zu Jesus? Was bewegte diese Männer aus dem Osten, sich auf Reisen zu begeben?

Sie hatten die besten Ausreden, um nicht aufzubrechen. Sie waren weise Männer und Astrologen, sie besaßen Ansehen und Reichtum. Nachdem sie eine solche kulturelle, soziale und wirtschaftliche Sicherheit erreicht hatten, hätten sie sich auf das verlassen können, was sie an Wissen und Besitz erlangt hatten, sie hätten sich darauf ausruhen können. Stattdessen lassen sie sich von einer Frage und einem Zeichen in Unruhe versetzen: »Wo ist der Neugeborene […]? Wir haben seinen Stern aufgehen sehen ...«. (Mt 2,2). Ihr Herz stumpft in der Höhle der Gleichgültigkeit nicht ab, sondern dürstet nach Licht; es schleppt sich nicht müde in Trägheit dahin, sondern ist entflammt von der Sehnsucht nach neuen Horizonten. Ihre Augen sind nicht auf die Erde gerichtet, sondern sind offene Fenster zum Himmel. Wie Benedikt XVI. erklärte, waren sie »Menschen des unruhigen Herzens. […] Wartende Menschen, die sich nicht begnügten mit ihrem gesicherten Einkommen und ihrer wohl ansehnlichen sozialen Stellung. […] Es waren Gottsucher« (Predigt, 6. Januar 2013).

Woher kommt diese gesunde Unruhe, die sie zur Pilgerschaft bewegt hat? Sie entsteht aus der Sehnsucht. Dies ist ihr inneres Geheimnis: sich sehnen können. Betrachten wir dies. Sich sehnen bedeutet, das Feuer lebendig zu halten, das in uns brennt und uns dazu drängt, über das Unmittelbare, das Sichtbare hinauszugehen. Sich sehnen bedeutet, das Leben als ein Geheimnis, das uns übersteigt, anzunehmen, wie einen immer offenen Spalt, der uns einlädt, weiter zu blicken, denn das Leben ist nicht nur „hier“, es ist auch „anderswo“. Es ist wie eine weiße Leinwand, die der Farbe bedarf. Ausgerechnet ein großer Maler, Van Gogh, schrieb, dass das Bedürfnis nach Gott ihn dazu antrieb, nachts hinauszugehen, um die Sterne zu malen (vgl. Brief an Theo, 9. Mai 1889). Ja, denn Gott hat uns so gemacht: durchwirkt mit Sehnsucht, wie die Sterndeuter ausgerichtet auf die Sterne. Wir können ohne Übertreibungen sagen: Wir sind das, wonach wir uns sehnen. Denn die Sehnsüchte sind es, die unseren Blick weiten und das Leben vorantreiben: über die Schranken der Gewohnheit hinaus, über ein durch Konsum verflachtes Leben hinaus, über einen sich wiederholenden und müden Glauben hinaus, über die Angst hinaus, uns einzubringen und uns für andere und das Gute einzusetzen. Der heilige Augustinus sagte: »Dies ist unser Leben: in der Sehnsucht uns zu üben« (Traktate über den ersten Johannesbrief, IV, 6).

Brüder und Schwestern, wie für die Sterndeuter so gilt auch für uns: Die Reise des Lebens und der Weg des Glaubens benötigen Sehnsucht, inneren Schwung. Zuweilen leben wir in einem Geist des „Parkens“, wir leben geparkt, ohne diesen Schwung der Sehnsucht, der uns voranbringt. Es tut uns gut, uns zu fragen: Wo stehen wir auf der Reise des Glaubens? Sind wir nicht schon viel zu lange stehen geblieben und in einer konventionellen, äußeren, formalen Religion geparkt, die das Herz nicht mehr erwärmt und das Leben nicht verändert? Lösen unsere Worte und Bräuche in den Herzen der Menschen den Wunsch aus, sich auf Gott zuzubewegen, oder sind sie eine „tote Sprache“, die nur von und zu sich selbst spricht? Es ist traurig, wenn eine Gemeinschaft von Gläubigen keine Sehnsucht mehr verspürt und sich ermattet in Verwaltungsangelegenheiten voranschleppt, anstatt sich von Jesus verblüffen zu lassen, von der überwältigenden und aufrüttelnden Freude des Evangeliums. Es ist traurig, wenn ein Priester die Tür der Sehnsucht verschlossen hat; es ist traurig, dem klerikalen Funktionalismus zu verfallen, es ist sehr traurig.

Die Krise des Glaubens in unserem Leben und in unserer Gesellschaft hat auch mit dem Schwund der Sehnsucht nach Gott zu tun. Sie hat mit der Müdigkeit des Geistes zu tun, mit der Gewohnheit, sich damit zu begnügen, in den Tag hinein zu leben, ohne uns zu fragen, was Gott von uns will. Wir haben uns zu sehr über die Karten der Erde gebeugt und vergessen, unseren Blick zum Himmel zu erheben; wir sind von vielen Dingen gesättigt, aber wir entbehren der Sehnsucht nach dem, was uns fehlt. Sehnsucht nach Gott. Wir sind auf unsere Bedürfnisse fixiert, auf das, was wir essen und was wir anziehen sollen (vgl. Mt 6,25), und lassen das Verlangen nach dem, was darüber hinausgeht, verdunsten. Und wir finden die Bulimie in Gemeinschaften vor, die alles haben und im Herzen oft nichts fühlen. Verschlossene Personen, verschlossenen Gemeinschaften, verschlossene Bischöfe, verschlossene Priester, verschlossene Gottgeweihte. Denn der Mangel an Sehnsucht führt zu Traurigkeit und Gleichgültigkeit. Traurige Gemeinschaften, traurige Priester, traurige Bischöfe.

Schauen wir aber vor allem auf uns selbst und fragen wir uns: Wie steht es um die Reise meines Glaubens? Es ist eine Frage, die wir uns heute stellen können, jeder von uns. Wie steht es um die Reise meines Glaubens? Ist sie geparkt oder unterwegs? Um aufzubrechen und neu zu beginnen, muss der Glaube durch die Sehnsucht entzündet werden, sich auf das Abenteuer einer lebendigen und starken Beziehung zu Gott einlassen. Aber ist mein Herz noch von der Sehnsucht nach Gott beseelt? Oder lasse ich sie durch Gewohnheit und Enttäuschungen erlöschen? Heute, Brüder und Schwestern, ist der Tag, um diese Fragen zu stellen. Heute ist der Tag, um die Sehnsucht wieder zu befeuern. Und wie sollen wir das tun? Gehen wir in die „Schule der Sehnsucht“, gehen wir zu den Sterndeutern. Sie werden uns in ihrer Schule der Sehnsucht lehren. Schauen wir auf die Schritte, die sie vollbringen, und ziehen wir einige Lehren daraus.

Zunächst brechen sie mit dem Aufgang des Sterns auf: Sie lehren uns, dass wir jeden Tag neu beginnen müssen, im Leben wie im Glauben, denn der Glaube ist keine Rüstung, die uns eingipst, sondern eine faszinierende Reise, eine beständige und rastlose Bewegung, die immer auf der Suche nach Gott ist, die immer in der Unterscheidung [der Geister] auf diesem Weg ist.

Die Sterndeuter fragen sodann in Jerusalem: Sie fragen, wo das Kind ist. Sie lehren uns, dass wir Fragestellungen benötigen, dass wir aufmerksam auf die Fragen des Herzens und des Gewissens hören müssen; denn auf diese Weise spricht Gott oft, der sich mehr mit Fragen als mit Antworten an uns wendet. Und dies müssen wir gut lernen: Gott wendet sich an uns mehr mit Fragen als mit Antworten. Aber lassen wir uns auch von den Fragestellungen der Kinder, von den Zweifeln, Hoffnungen und Sehnsüchten der Menschen unserer Zeit in Unruhe versetzen. Der Weg ist, sich Fragen stellen zu lassen.

Ferner fordern die Sterndeuter Herodes heraus. Sie lehren uns, dass wir eines mutigen Glaubens bedürfen, der sich nicht scheut, der finsteren Logik der Macht zu trotzen; er wird dann zum Samenkorn der Gerechtigkeit und der Geschwisterlichkeit in einer Gesellschaft, in der auch heute noch viele Herodes den Tod säen und Arme und Unschuldige dahinraffen, während viele gleichgültig zusehen.

Schließlich zogen die Sterndeuter »auf einem anderen Weg« (Mt 2,12) heim: Sie fordern uns heraus, neue Wege zu gehen. Das ist die Kreativität des Geistes, der immer neue Dinge tut. Das ist in diesem Augenblick auch eine der Aufgaben der Synode, die wir durchführen: im Hören gemeinsam zu gehen, damit der Geist uns neue Wege eingibt, Wege, um das Evangelium in die Herzen derer zu bringen, die gleichgültig sind, die fernstehend sind, die die Hoffnung verloren haben, aber nach dem suchen, was die Sterndeuter gefunden haben, »eine sehr große Freude« (Mt 2,10). Weiter hinausgehen, vorangehen.

Am Höhepunkt der Reise der Sterndeuter steht jedoch ein entscheidender Moment: Als sie an ihrem Ziel ankommen, »fallen sie nieder und beten das Kind an« (vgl. V. 11). Sie beten an. Denken wir daran: Die Reise des Glaubens findet nur in der Gegenwart Gottes Schwung und Erfüllung. Nur wenn wir den Geschmack an der Anbetung wiederfinden, wird die Sehnsucht erneuert. Die Sehnsucht führt zur Anbetung und die Anbetung erneuert die Sehnsucht. Denn die Sehnsucht nach Gott wächst nur, wenn wir vor Gott verweilen. Denn nur Jesus heilt die Sehnsüchte. Wovon? Er heilt sie von der Diktatur der Bedürfnisse. Das Herz wird in der Tat krank, wenn die Sehnsüchte nur mit den Bedürfnissen zusammenfallen. Gott hingegen erhebt die Sehnsüchte und er läutert sie, heilt sie, befreit sie vom Egoismus und öffnet sie für die Liebe zu ihm und zu den Brüdern und Schwestern. Vergessen wir deshalb die Anbetung nicht, das Gebet der Anbetung, das unter uns nicht allzu verbreitet ist: in Stille anbeten. Deswegen vergessen wir bitte nicht die Anbetung.

Und wenn wir so voranschreiten, werden wir wie die Sterndeuter die Gewissheit haben, dass selbst in den dunkelsten Nächten ein Stern leuchtet. Es ist der Stern des Herrn, der kommt, um sich unserer zerbrechlichen Menschheit anzunehmen. Lasst uns zu ihm aufbrechen. Geben wir Apathie und Resignation nicht die Macht, uns an die Traurigkeit eines flachen Lebens festzunageln. Nehmen wir die Unruhe des Geistes an, unruhige Herzen. Die Welt erwartet von den Gläubigen einen neuen Aufschwung zum Himmel. Erheben wir unser Haupt wie die Sterndeuter, hören wir auf die Sehnsucht des Herzens, folgen wir dem Stern, den Gott über uns leuchten lässt. Und bleiben wir als unruhig Suchende offen für die Überraschungen Gottes. Brüder und Schwestern, träumen wir, suchen wir, beten wir an.

[00023-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Los magos viajan hacia Belén. Su peregrinación nos habla también a nosotros: llamados a caminar hacia Jesús, porque Él es la estrella polar que ilumina los cielos de la vida y orienta los pasos hacia la alegría verdadera. Pero, ¿dónde se inició la peregrinación de los magos para encontrar a Jesús? ¿Qué movió a estos hombres de Oriente a ponerse en camino?

Tenían buenas excusas para no partir. Eran sabios y astrólogos, tenían fama y riqueza. Habiendo alcanzado esa seguridad cultural, social y económica, podían conformarse con lo que sabían y lo que tenían, podían estar tranquilos. En cambio, se dejan inquietar por una pregunta y por un signo: «¿Dónde está el rey de los judíos que ha nacido? Porque vimos su estrella…» (Mt 2,2). Su corazón no se deja entumecer en la madriguera de la apatía, sino que está sediento de luz; no se arrastra cansado en la pereza, sino que está inflamado por la nostalgia de nuevos horizontes. Sus ojos no se dirigen a la tierra, sino que son ventanas abiertas al cielo. Como afirmó Benedicto XVI, eran «hombres de corazón inquieto. […] Hombres que esperaban, que no se conformaban con sus rentas seguras y quizás una alta posición social […]. Eran buscadores de Dios» (Homilía, 6 enero 2013).

¿Dónde nace esta sana inquietud que los ha llevado a peregrinar? Nace del deseo. Este es su secreto interior: saber desear. Meditemos esto. Desear significa mantener vivo el fuego que arde dentro de nosotros y que nos impulsa a buscar más allá de lo inmediato, más allá de lo visible. Desear es acoger la vida como un misterio que nos supera, como una hendidura siempre abierta que invita a mirar más allá, porque la vida no está “toda aquí”, está también “más allá”. Es como una tela blanca que necesita recibir color. Precisamente un gran pintor, Van Gogh, escribía que la necesidad de Dios lo impulsaba a salir de noche para pintar las estrellas (cf. Carta a Theo, 9 mayo 1889). Sí, porque Dios nos ha hecho así: amasados de deseo; orientados, como los magos, hacia las estrellas. Podemos decir, sin exagerar, que nosotros somos lo que deseamos. Porque son los deseos los que ensanchan nuestra mirada e impulsan la vida a ir más allá: más allá de las barreras de la rutina, más allá de una vida embotada en el consumo, más allá de una fe repetitiva y cansada, más allá del miedo de arriesgarnos, de comprometernos por los demás y por el bien. «Ésta es nuestra vida —decía san Agustín—: ejercitarnos mediante el deseo» (Tratados sobre la primera carta de san Juan, IV, 6).

Hermanos y hermanas, el viaje de la vida y el camino de la fe —para los magos, como también para nosotros— necesitan del deseo, del impulso interior. A veces vivimos en una actitud de “estacionamiento”, vivimos estacionados, sin este impulso del deseo que es el que nos que hace avanzar. Nos hace bien preguntarnos: ¿en qué punto del camino de la fe estamos? ¿No estamos, desde hace demasiado tiempo, bloqueados, aparcados en una religión convencional, exterior, formal, que ya no inflama el corazón y no cambia la vida? ¿Nuestras palabras y nuestros ritos provocan en el corazón de la gente el deseo de encaminarse hacia Dios o son “lengua muerta”, que habla sólo de sí misma y a sí misma? Es triste cuando una comunidad de creyentes no desea más y, cansada, se arrastra en el manejo de las cosas en vez de dejarse sorprender por Jesús, por la alegría desbordante e incómoda del Evangelio. Es triste cuando un sacerdote ha cerrado la puerta al deseo; es triste caer en el funcionalismo clerical, es muy triste.

La crisis de la fe, en nuestra vida y en nuestras sociedades, también tiene relación con la desaparición del deseo de Dios. Tiene relación con la somnolencia del alma, con la costumbre de contentarnos con vivir al día, sin interrogarnos sobre lo que Dios quiere de nosotros. Nos hemos replegado demasiado en nuestros mapas de la tierra y nos hemos olvidado de levantar la mirada hacia el Cielo; estamos saciados de tantas cosas, pero carecemos de la nostalgia por lo que nos hace falta. Nostalgia de Dios. Nos hemos obsesionado con las necesidades, con lo que comeremos o con qué nos vestiremos (cf. Mt 6,25), dejando que se volatilice el deseo de aquello que va más allá. Y nos encontramos en la avidez de comunidades que tienen todo y a menudo ya no sienten nada en el corazón. Personas cerradas, comunidades cerradas, obispos cerrados, sacerdotes cerrados, consagrados cerrados. Porque la falta de deseo lleva a la tristeza, a la indiferencia. Comunidades tristes, sacerdotes tristes, obispos tristes.

Pero mirémonos sobre todo a nosotros mismos y preguntémonos: ¿cómo va el camino de mi fe? Es una pregunta que nos podemos hacer hoy cada uno de nosotros. ¿Cómo va el camino de mi fe? ¿Está inmóvil o en marcha? La fe, para comenzar y recomenzar, necesita ser activada por el deseo, arriesgarse en la aventura de una relación viva e intensa con Dios. Pero, ¿mi corazón está animado todavía por el deseo de Dios? ¿O dejo que la rutina y las desilusiones lo apaguen? Hoy, hermanos y hermanas, es el día para hacernos estas preguntas. Hoy es el día para volver a alimentar el deseo. Y ¿Cómo hacerlo? Vayamos a la “escuela del deseo”, vayamos a los magos. Ellos nos lo enseñarán, en su escuela del deseo. Miremos los pasos que realizan y saquemos algunas enseñanzas.

En primer lugar, ellos parten cuando aparece la estrella: nos enseñan que es necesario volver a comenzar cada día, tanto en la vida como en la fe, porque la fe no es una armadura que nos enyesa, sino un viaje fascinante, un movimiento continuo e inquieto, siempre en busca de Dios, siempre con el discernimiento, en aquel camino.

Después, en Jerusalén, los magos preguntan, preguntan dónde está el Niño. Nos enseñan que necesitamos interrogantes, necesitamos escuchar con atención las preguntas del corazón, de la conciencia; porque es así como Dios habla a menudo, se dirige a nosotros más con preguntas que con respuestas. Y esto tenemos que aprenderlo bien: Dios se dirige a nosotros más con preguntas que con respuestas. Pero dejémonos inquietar también por los interrogantes de los niños, por las dudas, las esperanzas y los deseos de las personas de nuestro tiempo. El camino es dejarse interrogar.

Los magos también desafían a Herodes. Nos enseñan que necesitamos una fe valiente, que no tenga miedo de desafiar a las lógicas oscuras del poder, y se convierta en semilla de justicia y de fraternidad en sociedades donde, todavía hoy, tantos Herodes siembran muerte y masacran a pobres y a inocentes, ante la indiferencia de muchos.

Finalmente, los magos regresan «por otro camino» (Mt 2,12), nos estimulan a recorrer nuevos caminos. Es la creatividad del Espíritu, que siempre realiza cosas nuevas. Es también, en este momento, una de las tareas del Sínodo que estamos llevando a cabo: caminar juntos a la escucha, para que el Espíritu nos sugiera senderos nuevos, caminos para llevar el Evangelio al corazón del que es indiferente, del que está lejos, de quien ha perdido la esperanza pero busca lo que los magos encontraron, «una inmensa alegría» (Mt 2,10) Salir e ir más allá, seguir adelante.

Al final del viaje de los magos hay un momento crucial: cuando llegan a su destino “caen de rodillas y adoran al Niño” (cf. v. 11). Adoran. Recordemos esto: el camino de la fe sólo encuentra impulso y cumplimiento ante la presencia de Dios. El deseo se renueva sólo si recuperamos el gusto de la adoración. El deseo lleva a la adoración y la adoración renueva el deseo. Porque el deseo de Dios sólo crece estando frente a Él. Porque sólo Jesús sana los deseos. ¿De qué? Los sana de la dictadura de las necesidades. El corazón, en efecto, se enferma cuando los deseos sólo coinciden con las necesidades. Dios, en cambio, eleva los deseos y los purifica, los sana, curándolos del egoísmo y abriéndonos al amor por Él y por los hermanos. Por eso no olvidemos la adoración, la oración de adoración, que no es muy común entre nosotros. Adorar, en silencio. Por ello, no nos olvidemos de la adoración, por favor.

Y al ir así, día tras día, tendremos la certeza, como los magos, de que incluso en las noches más oscuras brilla una estrella. Es la estrella del Señor, que viene a hacerse cargo de nuestra frágil humanidad. Caminemos a su encuentro. No le demos a la apatía y a la resignación el poder de clavarnos en la tristeza de una vida mediocre. Abracemos la inquietud del Espíritu, tengamos corazones inquietos. El mundo espera de los creyentes un impulso renovado hacia el Cielo. Como los magos, alcemos la cabeza, escuchemos el deseo del corazón, sigamos la estrella que Dios hace resplandecer sobre nosotros. Y como buscadores inquietos, permanezcamos abiertos a las sorpresas de Dios. Hermanos y hermanas, soñemos, busquemos, adoremos.

[00023-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Os Magos estão de viagem para Belém. E a sua peregrinação interpela-nos também a nós, chamados a caminhar para Jesus, porque é Ele a estrela polar que ilumina os céus da vida e orienta os passos para a verdadeira alegria. Mas, qual foi o ponto de partida da peregrinação dos Magos ao encontro de Jesus? O que é que levou estes homens do Oriente a porem-se em viagem?

Tinham ótimas desculpas para não partir: eram sábios e astrólogos, tinham fama e riqueza; de posse duma tal segurança cultural, social e económica, podiam acomodar-se no que tinham e sabiam, deixando-se estar tranquilos. Mas não; deixam-se inquietar por uma pergunta e um sinal: «Onde está Aquele que nasceu? Vimos despontar a sua estrela» (Mt 2, 2). O seu coração não se deixa amortecer na choça da apatia, mas está sedento de luz; não se arrasta pesadamente na preguiça, mas está abrasado pela nostalgia de novos horizontes. Os seus olhos não estão voltados para a terra, mas são janelas abertas para o céu. Como afirmou Bento XVI, eram «pessoas de coração inquieto (...); homens à espera, que não se contentavam com seus rendimentos assegurados e com uma posição social (...); eram indagadores de Deus» (Homilia, 06/I/2013).

Mas esta saudável inquietação, que os levou a peregrinar, donde nasce? Nasce do desejo. Eis o seu segredo interior: saber desejar. Meditemos nisto. Desejar significa manter vivo o fogo que arde dentro de nós e nos impele a buscar mais além do imediato, mais além das coisas visíveis. Desejar é acolher a vida como um mistério que nos ultrapassa, como uma friesta sempre aberta que nos convida a olhar mais além, porque a vida não é «toda aqui», é também «noutro lugar». É como uma tela em branco que precisa de ser colorida. Um grande pintor, Van Gogh, escreveu que a necessidade de Deus o impelia a sair de noite para pintar as estrelas (cf. Carta a Theo, 09/V/1889). Isto deve-se ao facto de Deus nos ter feito assim: empapados de desejo; orientados, como os Magos, para as estrelas. Podemos dizer, sem exagerar, que nós somos aquilo que desejamos. Porque são os desejos que ampliam o nosso olhar e impelem a vida mais além: além das barreiras do hábito, além duma vida limitada ao consumo, além duma fé repetitiva e cansada, além do medo de arriscar, de nos empenharmos pelos outros e pelo bem. «A nossa vida – dizia Santo Agostinho – é uma ginástica do desejo» (Tratados sobre a primeira Carta de João, IV, 6).

Irmãos e irmãs, como no caso dos Magos, também a nossa viagem da vida e o nosso caminho da fé têm necessidade de desejo, de impulso interior. Às vezes vivemos um espírito de «parque de estacionamento», vivemos estacionados, sem este ímpeto do desejo que nos impele para diante. Será bom perguntar-nos: a que ponto estamos nós na viagem da fé? Não estaremos já há bastante tempo bloqueados, estacionados numa religião convencional, exterior, formal, que deixou de aquecer o coração e já não muda a vida? As nossas palavras e ritos despertam no coração das pessoas o desejo de caminhar ao encontro de Deus ou são «língua morta», que fala apenas de si mesma e a si mesma? É triste quando uma comunidade de crentes já não tem desejos, arrastando-se, cansada, na gestão das coisas, em vez de se deixar levar por Jesus, pela alegria explosiva e desinquietadora do Evangelho. É triste quando um sacerdote fechou a porta do desejo; é triste cair no funcionarismo clerical! É muito triste...

Na nossa vida e nas nossas sociedades, a crise da fé tem a ver também com o desaparecimento do desejo de Deus. Tem a ver com a sonolência do espírito, com o hábito de nos contentarmos em viver o dia a dia, sem nos interrogarmos acerca daquilo que Deus quer de nós. Debruçamo-nos demasiado sobre os mapas da terra, e esquecemo-nos de erguer o olhar para o céu; estamos empanturrados com muitas coisas, mas desprovidos da nostalgia do que nos falta. Nostalgia de Deus. Fixamo-nos nas necessidades, no que havemos de comer e vestir (cf. Mt 6, 25), deixando dissipar-se o anseio por aquilo que o ultrapassa. E deparamo-nos com a bulimia de comunidades que têm tudo e muitas vezes já nada sentem no coração. Pessoas fechadas, comunidades fechadas, bispos fechados, padres fechados, consagrados fechados. Porque a falta de desejo leva à tristeza, à indiferença. Comunidades tristes, padres tristes, bispos tristes.

Com os olhos pousados sobretudo em nós mesmos, perguntemo-nos: como está a viagem da minha fé? É uma pergunta que hoje nos podemos colocar, cada um de nós. Como está a viagem da minha fé? Está estacionada ou está em caminho? A fé, para partir uma vez e outra, precisa de ser deflagrada pelo detonador do desejo, de colocar-se em jogo na aventura duma relação sentida e vivaz com Deus. Mas o meu coração vive ainda animado pelo desejo de Deus? Ou deixo que o hábito e as deceções o apaguem? Hoje, irmãos e irmãs, é o dia bom para nos colocarmos estas perguntas. Hoje é o dia bom para voltar a alimentar o desejo. E como fazer? Vamos à «escola de desejo», vamos ter com os Magos. Ensinar-nos-ão, na sua escola do desejo. Fixemos os passos que dão e tiremos algumas lições.

Em primeiro lugar, partem quando aparece a estrela: ensinam-nos que é preciso voltar a partir sempre cada dia, tanto na vida como na fé, porque a fé não é uma armadura que imobiliza, mas uma viagem fascinante, um movimento contínuo e desinquietador, sempre à procura de Deus, sempre com o discernimento, naquele caminho.

Depois, os Magos em Jerusalém perguntam: perguntam onde está o Menino. Ensinam-nos que precisamos de interrogativos, de ouvir com atenção as perguntas do coração, da consciência; porque frequentemente é assim que fala Deus, que Se nos dirige mais com perguntas do que com respostas. Devemos aprender bem isto: Deus dirige-Se a nós mais com perguntas do que com respostas. Mas deixemo-nos desinquietar pelos interrogativos das crianças, pelas dúvidas, as esperanças e os desejos das pessoas do nosso tempo. A estrada é deixar-se questionar.

Além disso os Magos desafiam Herodes. Ensinam-nos que temos necessidade duma fé corajosa, que não tenha medo de desafiar as lógicas obscuras do poder, tornando-se semente de justiça e fraternidade numa sociedade onde, ainda hoje, muitos “herodes” semeiam morte e massacram pobres e inocentes, na indiferença da multidão.

Por fim, os Magos regressam «por outro caminho» (Mt 2, 12): provocam-nos a percorrer estradas novas. É a criatividade do Espírito, que faz sempre coisas novas. É também, neste momento, uma das tarefas do Sínodo que nós estamos a realizar: caminhar numa escuta conjunta, para que o Espírito nos sugira caminhos novos, estradas para levar o Evangelho ao coração de quem é indiferente, vive alheado, de quem perdeu a esperança mas procura aquilo que sentiram os Magos: uma «imensa alegria» (Mt 2, 10). Sair para mais além, caminhar para a frente.

No ponto culminante da viagem dos Magos, porém, há um momento crucial: tendo chegado ao destino, viram o Menino e «prostrando-se adoraram-No» (2, 11). Adoram. Lembremo-nos disto: a viagem da fé só encontra ímpeto e cumprimento na presença de Deus. Só se recuperarmos o gosto da adoração é que se renova o desejo. O desejo leva-te à adoração e a adoração renova em ti o desejo. Porque o desejo de Deus cresce apenas permanecendo diante de Deus. Porque só Jesus cura os desejos. De quê? Cura-os da ditadura das necessidades. Com efeito, o coração adoece quando os desejos coincidem apenas com as necessidades; ao passo que Deus eleva os desejos e purifica-os; cura-os, sanando-os do egoísmo e abrindo-nos ao amor por Ele e pelos irmãos. Por isso, não esqueçamos a Adoração, a oração de adoração que é pouco comum entre nós: adorar, em silêncio. Por isso não esqueçamos a adoração, por favor.

E procedendo assim, cada dia, como os Magos, teremos a certeza de que, mesmo nas noites mais escuras, brilha uma estrela. É a estrela do Senhor, que vem cuidar da nossa frágil humanidade. Ponhamo-nos a caminho rumo a Ele. Não demos à apatia e à resignação a força de nos cravar na tristeza duma vida medíocre. Abramo-nos à inquietude do Espírito, corações inquietos. O mundo espera dos crentes um renovado ímpeto para o Céu. Como os Magos, levantemos a cabeça, ouçamos o desejo do coração, sigamos a estrela que Deus faz brilhar sobre nós. E como indagadores inquietos, permaneçamos abertos às surpresas de Deus. Irmãos e irmãs, sonhemos, procuremos, adoremos.

[00023-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Mędrcy są w drodze do Betlejem. Ich pielgrzymka przemawia także do nas, wezwanych, aby podążać ku Jezusowi, ponieważ On jest gwiazdą polarną, która rozświetla firmament życia i kieruje nasze kroki ku prawdziwej radości. Ale skąd wyruszyła pielgrzymka Magów do Jezusa? Co skłoniło tych ludzi Wschodu do wyruszenia w podróż?

Mieli doskonałe argumenty, by nie wyruszyć w drogę. Byli mędrcami i astrologami, mieli sławę i bogactwo. Osiągnąwszy takie bezpieczeństwo kulturowe, społeczne i ekonomiczne, mogli się zadowolić tym, co znali i co mieli, mogli spać spokojnie. Tymczasem pozwalają, by zaniepokoiło ich pytanie i znak: „Gdzie jest nowo narodzony? Ujrzeliśmy bowiem Jego gwiazdę…” (Mt 2, 2). Ich serce nie pozwala popaść w odrętwienie w otchłani apatii, lecz pragnie światła; nie wlecze się znużone lenistwem, lecz jest rozpalone tęsknotą za nowymi perspektywami. Ich oczy nie są zwrócone na ziemię, lecz są oknami otwartymi ku niebu. Jak powiedział Benedykt XVI, byli „ludźmi niespokojnego serca” [...] Ludźmi oczekującymi, którzy nie zadowalali się swymi pewnymi dochodami i swoją prawdopodobnie znaczącą pozycją społeczną [...]. Byli poszukiwaczami Boga” (Homilia, 6 stycznia 2013 r.).

Skąd bierze się ten zdrowy niepokój, który doprowadził ich do pielgrzymowania? Bierze się z pragnienia. Oto ich tajemnica wewnętrzna: umiejętność pragnienia. Przemyślmy to. Pragnąć oznacza podtrzymywać ogień, który płonie w nas i pobudza nas do poszukiwania poza tym, co doraźne, poza tym, co widzialne. Pragnienie jest akceptacją życia jako tajemnicy, która nas przerasta, jako ciągle otwartej szczeliny, która zaprasza nas do spojrzenia poza nią, ponieważ życie jest nie „tylko tutaj”, ale jest także „gdzie indziej”. Jest jak puste płótno, które trzeba pomalować. Wielki malarz, Van Gogh, napisał, że potrzeba Boga doprowadziła go do wyjścia w nocy, aby namalować gwiazdy (por. List do Theo, 9 maja 1889 r.). Bo takimi właśnie stworzył nas Bóg: przepełnionych pragnieniem, zwróconych, jak Magowie, ku gwiazdom. Bez przesady możemy powiedzieć, że jesteśmy tym, czego pragniemy. Ponieważ to właśnie pragnienia poszerzają nasze spojrzenie i popychają życie do wyjścia poza: poza zapory nawyków, poza życie zbanalizowane konsumpcją, poza wiarę powtarzalną i znużoną, poza lęk przed podjęciem ryzyka, przed zaangażowaniem się na rzecz innych i na rzecz dobra. „Całe życie dobrego chrześcijanina - mówił św. Augustyn - jest świętą tęsknotą” (Homilie na Pierwszy List św. Jana, IV, 6, PSP t. XV, cz. druga, Warszawa 1977, s. 425).

Bracia i siostry, tak jak w przypadku Mędrców, podobnie i dla nas: droga życia i droga wiary potrzebują pragnienia, wewnętrznej energii. Czasami żyjemy duchem „parkingu”, żyjemy zaparkowani, bez tej energii pragnienia, która pozwala nam iść do przodu. Warto, abyśmy zadali sobie pytanie: gdzie jesteśmy na drodze wiary? Czy nie utknęliśmy zbyt długo, zaparkowani w konwencjonalnej, zewnętrznej, formalnej religii, która nie rozpala już serca i nie przemienia życia? Czy nasze słowa i rytuały wyzwalają w sercach ludzi pragnienie podążania ku Bogu, czy też są „martwym językiem”, mówiącym tylko o sobie i do siebie? To smutne, kiedy wspólnota wierzących nie żywi już pragnień i znużona wlecze się w zarządzaniu sprawami, zamiast dać się oczarować przez Jezusa, przez rozsadzającą i niepokojącą radość Ewangelii. To smutne, gdy ksiądz zamknął drzwi pragnienia; jest smutne popadanie w klerykalny funkcjonalizm, bardzo smutne.

Kryzys wiary, w naszym życiu i w naszych społeczeństwach, ma również związek z zanikiem pragnienia Boga. Ma on związek z uśpieniem ducha, z przyzwyczajeniem do zadowolenia z życia z dnia na dzień, bez zadawania sobie pytania, czego Bóg od nas chce. Staliśmy się zbyt skupieni na mapach ziemi i zapomnieliśmy o wznoszeniu spojrzenia ku Niebu. Jesteśmy syci wieloma rzeczami, ale brakuje nam tęsknoty za tym, czego nam brakuje. Tęsknoty za Bogiem. Skupiliśmy się na naszych potrzebach, na tym, co będziemy jedli i w co się przyodziejemy (por. Mt 6, 25), pozwalając, by wyparowała tęsknota za czymś więcej. I jesteśmy w stanie jadłowstrętu wspólnot, które mają wszystko, a często nie odczuwają niczego w swoich sercach. Osoby zamknięte, wspólnoty zamknięte, biskupi zamknięci, księża zamknięci, konsekrowani zamknięci. Ponieważ brak pragnienia prowadzi do smutku, do obojętności. Smutne wspólnoty, smutni księża, smutni biskupi.

Przede wszystkim jednak spójrzmy na siebie i zadajmy sobie pytanie: jak przebiega droga mojej wiary? Jest to pytanie, które możemy sobie dziś zadać, każdy z nas. Jak przebiega droga mojej wiary? Jest zaparkowana, czy jest w ruchu? Wiara, aby wyruszyć i wyruszać na nowo, musi być pobudzona przez pragnienie zaangażowania się w przygodę żywej i ożywiającej relacji z Bogiem. Ale czy moje serce jest nadal ożywione pragnieniem Boga? Czy też pozwalam, by przyzwyczajenia i rozczarowania je gasiły? Dziś, bracia i siostry, jest dzień, aby zadać sobie te pytania. Dziś jest dzień, aby powrócić do pobudzania pragnienia. A jak to uczynić? Pójdźmy do „szkoły pragnień”, pójdźmy do Mędrców. Oni nas nauczą, w ich szkole pragnienia. Przyjrzyjmy się krokom, jakie podejmują i wyciągnijmy z nich pewne nauki.

Po pierwsze, wyruszają w chwili, gdy wschodzi gwiazda. Uczą nas, że każdego dnia musimy zaczynać od nowa, zarówno w życiu, jak i w wierze, ponieważ wiara nie jest zbroją, która nas usztywnia, lecz fascynującą podróżą, ciągłym i niespokojnym ruchem, zawsze w poszukiwaniu Boga.

Ponadto Magowie w Jerozolimie pytają: pytają, gdzie jest Dzieciątko. Uczą nas, że trzeba zadawać pytania, słuchać uważnie pytań serca, sumienia, bo tak często przemawia Bóg, który zwraca się do nas bardziej z pytaniami, niż z odpowiedziami. I tego musimy dobrze się nauczyć: Bóg zwraca się do nas bardziej z pytaniami, niż z odpowiedziami. Ale pozwólmy się też niepokoić pytaniami dzieci, wątpliwościami, nadziejami i pragnieniami ludzi naszych czasów. Drogą jest pozwolenie, aby stawiano nam pytania.

Dalej, Magowie rzucają wyzwanie Herodowi. Uczą nas, że potrzebujemy odważnej wiary, która nie boi się rzucić wyzwania mrocznej logice władzy i która staje się ziarnem sprawiedliwości i braterstwa w społeczeństwie, w którym także dzisiaj wielu Herodów sieje śmierć i dokonuje rzezi ubogich i niewinnych, przy obojętności wielu.

Wreszcie Magowie wracają „inną drogą” (Mt 2, 12): prowokują nas do podjęcia nowych dróg. To jest kreatywność Ducha Świętego, który zawsze czyni rzeczy nowe. Jest to także, w tym momencie, jedno z zadań Synodu, który podejmujemy: podążać razem, słuchając, aby Duch Święty podpowiedział nam nowe drogi, sposoby niesienia Ewangelii do serc tych, którzy są obojętni, którzy są daleko, którzy stracili nadzieję, ale szukają tego, co znaleźli Magowie: „wielkiej radości” (por. Mt 2, 10). Wychodzić dalej, iść do przodu.

W u końca wędrówki Mędrców następuje jednak moment przełomowy: po przybyciu do celu „padli na twarz i oddali pokłon Dzieciątku” (por. w. 11). Adorują. Pamiętajmy o tym: droga wiary znajduje bodziec i spełnienie tylko w obecności Boga. Tylko wtedy, gdy odzyskamy smak adoracji, odnowi się pragnienie. Pragnienie prowadzi cię do adoracji, a adoracja pozwala ci odnowić pragnienie. Ponieważ pragnienie Boga wzrasta tylko w obecności Boga. Bo tylko Jezus uzdrawia pragnienia. Od czego? Uzdrawia z dyktatury potrzeb. Serce staje się bowiem chore, gdy pragnienia pokrywają się tylko z potrzebami. Bóg natomiast uwzniośla pragnienia i oczyszcza je, uzdrawia, leczy z egoizmu i otwiera nas na miłość do Niego i do naszych braci. Dlatego nie zapominajmy o adoracji, o modlitwie adoracji, która nie jest zbyt powszechna pomiędzy nami: adorować, w ciszy. Dlatego proszę, nie zapominajmy o adoracji.

Idąc tak każdego dnia, będziemy pewni, tak jak Magowie, że nawet w najciemniejsze noce świeci gwiazda. Jest to gwiazda Pana, który przychodzi, aby zatroszczyć się o nasze kruche człowieczeństwo. Wyruszmy ku Niemu. Nie pozwólmy, aby apatia i rezygnacja miały moc uwięzienia nas w smutku banalnego życia. Nabierzmy niepokoju Ducha, niepokoju serc. Świat oczekuje od ludzi wierzących odnowionego impulsu w kierunku nieba. Jak Magowie, podnieśmy głowy, wsłuchajmy się w pragnienie naszych serc, idźmy za gwiazdą, którą Bóg rozpala nad nami. I jak niespokojni poszukiwacze, bądźmy stale otwarci na Boże niespodzianki. Bracia i siostry, pragnijmy, szukajmy, adorujmy.

[00023-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة عيد ظهور الرّبّ يسوع

يوم الخميس 6 كانون الثّاني / يناير 2022

بازيليكا القدّيس بطرس

سار المجوس إلى بيت لحم. وفي رحلة حجّهم عبرة لنا نحن أيضًا: نحن مدعوّون إلى أن نسير نحو يسوع، لأنّه هو النجمة القطبية التي تنير سماء حياتنا وتوجّه خطواتنا نحو الفرح الحقيقي. ولكن، من أين بدأت رحلة حجّ المجوس للقاء يسوع؟ وما الذي دفع هؤلاء الرجال المشرقيّين لأن يقوموا بهذه الرّحلة؟

كانت لديهم حجج كثيرة حتى لا يبدأوا مسيرتهم. كانوا حكماء وعلماء فلك، وكانوا ذوي شهرة ومال. فبلغوا حالة من الاستقرار الثقافي والاجتماعي والاقتصادي، تجعلهم يكتفون بما يعرفون وبما يملكون، فيستريحون. لكنّهم سمحوا لأنفسهم بأن يضطربوا أمام سؤال وعلامة ظهرت لهم: "أَينَ الَّذي وُلِد؟ فقَد رأَينا نَجمَه في المَشرِق..." (متّى 2، 2). لم تتخدّر قلوبهم في مخبأ اللامبالاة، بل كانت عطشى إلى النّور. ولم تتلكّأ في الكسل، بل أشعلها الشّوق إلى آفاق جديدة. لم تكن عيونهم متَّجهة إلى الأرض، بل كانت نوافذ مفتوحة على السماء. كما قال البابا بنديكتس السّادس عشر: كانوا "أناسًا قلوبهم مضطربة. [...] أناسًا ينتظرون، ولا يكتفون بدخلهم المضمون وبوضعهم الاجتماعي [...]. كانوا يبحثون عن الله (عظة، 6 كانون الثاني/يناير 2013).

من أين جاء هذا القلق السّليم الذي دفعهم إلى الترحال؟ جاء من الرغبة. هذا هو السرّ في داخلهم: كانت فيهم رغبة. لنتأمل في هذا. الرغبة تعني أن نُبقي النّار في داخلنا مشتعلة، فتدفعنا إلى البحث أبعد مما هو بين أيدينا، وأبعد مما نراه. الرغبة هي أن نستقبل الحياة على أنّها سرٌّ يفوق فهمنا، وعلى أنّها ثغرة مفتوحة دائمًا تدعونا إلى النظر إلى ما هو أبعد، لأنّ الحياة ليست ”"كلّها هنا“، بل هي أيضًا ”في مكان آخر“. إنّها مثل قطعة قماش بيضاء بحاجة إلى أن تُلوَّن. كتب الرّسّام الكبير فان خوخ أنّ الحاجة إلى الله هي التي كانت تدفعه إلى الخروج ليلًا ليرسم النّجوم. نعم، لأنّ الله صنعنا هكذا: مجبولين بالرّغبة، ووجّهنا، مثل المجوس، نحو النّجوم. يمكننا أن نقول دون مبالغة إنّنا نكون على ما نرغب عليه. لأنّ الرّغبات هي التي توسّع نظرنا وتدفع الحياة إلى ما هو أبعد: إلى أبعد من حواجز العادة، وإلى أبعد من حياة متدنية قائمة على الاستهلاك، وإلى أبعد من الإيمان المتكرِّر والمُتعَب، وإلى أبعد من الخوف من أن نعيد النظر في أنفسنا، فنلتزم من أجل الآخرين ومن أجل الخير. قال القدّيس أغسطينس: "حياتنا هي تدريب للرّغبة" (عظات القدّيس أغسطينس على رسالة يوحنّا الأولى، العظة 4، 6).

أيّها الإخوة والأخوات، ما حدث للمجوس، يحدث معنا أيضًا: إنّ رحلة الحياة ومسيرة الإيمان تحتاجان إلى رغبة، وإلى قوّة دفع داخلية. أحيانًا نعيش بروح ”موقف السيارات“، نعيش متوقفين، بدون قوّة دفع الرغبة التي تحملنا قدمًا. حسنٌ لنا أن نتساءل: أين نحن من مسيرة الإيمان؟ ألسنا متوقّفين منذ فترة طويلة داخل دين تقليديّ، دين مظاهر، ورسميّات، لا يبعث دِفئًا في القلب ولا يبدل الحياة؟ كلماتنا وطقوسنا الدينيّة هل تثير في قلوب النّاس الرّغبة في أن يتوجّهوا نحو الله، أم هي ”لغة ميتة“ تتكلّم عن نفسها وتكلِّم نفسها؟ إنّه أمر محزن عندما تفقد جماعة المؤمنين الرّغبة، وتجُرُّ خطواتها متعَبة، وتحافظ على الأمور على ما هي، بدلاً من أن تترك المسيح يدفعها، فتمتلئ بفرح الإنجيل المندفع والمبدِّل. إنّه أمر محزن عندما يغلق الكاهن باب الرغبة. إنّه أمر محزن أن نقع في روح الوظيفة الإكليريكي، إنّه أمر محزن للغاية.

إنّ أزمة الإيمان، في حياتنا وفي مجتمعاتنا، لها علاقة أيضًا بغياب شوقنا إلى الله. ولها علاقة بغفوة روحنا، وبعادة اكتفائنا بحياتنا اليومية من دون أن نسأل أنفسنا ماذا يريد الله منّا. لقد انطوينا كثيرًا على خرائط الأرض، ونسينا أن نرفع نظرنا نحو السّماء، امتلأنا بأمور كثيرة، ولكنّنا حرمنا أنفسنا من الحنين إلى ما ينقصنا. الحنين إلى الله. تشبّثنا باحتياجاتنا، ماذا نأكل وماذا نلبس (راجع متّى 6، 25)، وتركنا الشوق إلى ما هو أبعد يتبخّر. ووجدنا أنفسنا في حالة من الشّرَهِ المَرَضي في مجتمعات تملك كلّ شيء، وفي كثير من الأحيان صارت لا تشعر بأيّ شيء في قلبها. أصبحنا أناس منغلقين، وجماعات منغلقة، وأساقفة منغلقين، وكهنة منغلقين، ومكرسين منغلقين. لأنّ فقدان الرّغبة يؤدّي إلى الحزن واللامبالاة. يؤدي إلى جماعات حزينة، وكهنة حزينين، وأساقفة حزينين.

لننظر أوّلًا إلى أنفسنا ونتساءل: كيف هي مسيرة إيماني؟ إنّه سؤال يمكننا أن نطرحه على أنفسنا اليوم. كيف هي مسيرة إيماني؟ هل هي متوقفة أم في مسيرة؟ من أجل الانطلاق والانطلاق من جديد، يحتاج الإيمان إلى رغبة تدفعه، فيدخل في مغامرةِ علاقةٍ حيّة وحيويّة مع الله. لكن، هل ما زالت في قلبي رغبة تدفعني إلى الله؟ أم تركتُ العادات والإحباطات تطفئ فيَّ كلّ رغبة؟ اليوم، أيّها الإخوة والأخوات، هو اليوم الذي فيه نطرح هذه الأسئلة على أنفسنا. اليوم هو اليوم الذي فيه نعود إلى تأجيج الرّغبة فينا. وكيف نفعل ذلك؟ لنذهب إلى ”مدرسة الرّغبات“، لنذهب إلى المجوس. وهم سيعلموننا في مدرسة الرغبات. ولننظر ماذا فعلوا ونستخلص بعض العِبر.

أولًا، انطلقوا عند ظهور النّجم: علّمونا أنّه يجب دائمًا أن ننطلق من جديد كلّ يوم، في الحياة وفي الإيمان، لأنّ الإيمان ليس درعًا يجمِّدنا ويمنعنا من الحركة، بل هو مسيرة خلَّابة، وحركة مستمرّة ومضطربة، تبحث دائمًا عن الله، ودائمًا مع التمييز، في هذه المسيرة.

ثم سأل المجوس في أورشليم: سألوا أين الطّفل. علّمونا أنّنا بحاجة إلى تساؤلات، وأن نستمع بعناية إلى أسئلة قلبنا وضميرنا، لأنّ الله كثيرًا ما يكلّمنا بهذه الطّريقة، ويتوجّه إلينا بالأسئلة، أكثر منه بالأجوبة. ويجب أن نتعلم هذا جيدًا: الله يتوجّه إلينا بالأسئلة، أكثر منه بالأجوبة. ولنسمج لأنفسنا بأن نهتم أيضًا لتساؤلات الأطفال، وللشّكوك، والآمال ورغبات الناس في عصرنا. الطريق هو أن نسمح لأنفسنا بأن تُطرَح علينا الأسئلة.

تحدّى المجوس أيضًا هيرودس. وبذلك علّمونا أنّنا بحاجة إلى إيمان شجاع لا يخاف أن يتحدّى منطق السلطة المظلم، فيصبح بذرة للعدالة والأخوّة في مجتمع حيث أمثال هيرودس كثيرون، حتّى اليوم، يزرعون الموت ويقومون بالمجازر تجاه الفقراء والأبرياء، والأكثرية تنظر وهي لا مبالية.

أخيرًا، رجع المجوس "في طَريقٍ آخَرَ" (متّى 2، 12): فهم يتَحَدَّوْنَنا حتى نسلك طرقًا جديدة. إبداع الرّوح القدس هو الذي يصنع دائمًا أمورًا جديدة. وهذه أيضًا، في هذا الوقت، إحدى مهام السّينودس التي نقوم بها: أن نسير معًا في إصغاء، حتّى يلهمنا الرّوح القدس طرقًا جديدة، طرقًا لأن نحمل الإنجيل إلى قلب الذين لا يبالون، أو هم بعيدون، أو فقدوا الرّجاء، ولكنّهم يبحثون عمّا وجده المجوس، وهو "فرح عظيم جِدًّا" (متّى 2، 10). أن نخرج إلى ما هو أبعد، وأن نمضي قدمًا.

وفي ذروة رحلة المجوس، توجد لحظة حاسمة، وهي: عندما بلغوا هدفهم، "جَثَوا له ساجدين" (راجع الآية 11). سجدوا. لنتذكّر هذا: لا تجد مسيرة الإيمان دفعًا واكتمالًا إلّا في حضور الله. إذا استعَدْنا معنى السجود، إذاك فقط تتجدّد الرغبة. الرغبة تقودك إلى السجود، والسجود يجعلك تجدّد الرغبة. لأنّ الرّغبة إلى الله لا تنمو إلّا بوقوفنا أمام الله. ولأنّ يسوع وحده يشفي الرّغبات. من ماذا؟ يشفيها من دكتاتوريّة الاحتياجات. في الواقع، يمرض قلبنا عندما تتوافق رغباتنا فقط مع احتياجاتنا. بينما يرفع الله رغباتنا، ويطهّرها، ويداويها، ويشفيها من الأنانيّة ويفتحنا على محبّته ومحبّة إخوتنا. لهذا، لا ننسَ السّجود، وصلاة السجود، التي ليست معتادة بيننا: أن نسجد في صمت. لهذا، من فضلكم، لا ننسَ السجود.

وإذا سرنا كذلك، كلّ يوم، سنكون متأكّدين، مثل المجوس، أنّه حتّى في أشدّ الليالي ظلامًا هناك نجم يضيء. إنّه نجم الرّبّ الذي جاء ليهتمّ بإنسانيّتنا الضّعيفة. لِنَسِرْ نحوه. ولا نسمَحْ للامبالاة والاستسلام أن يحتجزانا في الحزن والحياة السهلة. ينتظر العالم من المؤمنين اندفاعة متجدّدة نحو السّماء. لنرفع رؤوسنا، مثل المجوس، ولنستمع إلى رغبة قلبنا، ونتبع النّجم الذي يجعله الله يضيء فوقنا. ومثل باحثين قلقين، لنبقَ منفتحين على مفاجآت الله. أيّها الإخوة والأخوات، لنحلم ولنبحث ولنسجد.

[00023-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0012-XX.02]