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Lettera del Santo Padre Francesco ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu Proprio «Traditionis Custodes» sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970, 16.07.2021


Testo in lingua italiana

Traduzione ufficiale in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Testo in lingua italiana

Roma, 16 luglio 2021

Cari Fratelli nell’Episcopato,

come già il mio Predecessore Benedetto XVI fece con Summorum Pontificum, anch’io intendo accompagnare il Motu proprio Traditionis custodes con una lettera, per illustrare i motivi che mi hanno spinto a questa decisione. Mi rivolgo a Voi con fiducia e parresia, in nome di quella condivisione nella «sollecitudine per tutta la Chiesa, che sommamente contribuisce al bene della Chiesa universale», come ci ricorda il Concilio Vaticano II[1].

Sono evidenti a tutti i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico. La facoltà, concessa con indulto della Congregazione per il Culto Divino nel 1984[2] e confermata da san Giovanni Paolo II nel Motu proprio Ecclesia Dei del 1988[3], era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre. La richiesta, rivolta ai Vescovi, di accogliere con generosità le «giuste aspirazioni» dei fedeli che domandavano l’uso di quel Messale, aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa.

Quella facoltà venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI. Per regolare tale situazione, Benedetto XVI intervenne sulla questione a distanza di molti anni, regolando un fatto interno alla Chiesa, in quanto molti sacerdoti e molte comunità avevano «utilizzato con gratitudine la possibilità offerta dal Motu proprio» di san Giovanni Paolo II. Sottolineando come questo sviluppo non fosse prevedibile nel 1988, il Motu proprio Summorum Pontificum del 2007 intese introdurre in materia «un regolamento giuridico più chiaro»[4]. Per favorire l’accesso a quanti – anche giovani –, «scoprono questa forma liturgica, si sentono attirati da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia»[5], Benedetto XVI dichiarò «il Messale promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII come espressione straordinaria della stessa lex orandi», concedendo una «più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962»[6].

A sostenere la sua scelta era la convinzione che il tale provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l’autorità: il Motu proprio riconosceva a pieno titolo che «il Messale promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino»[7]. Il riconoscimento del Messale promulgato da san Pio V «come espressione straordinaria della stessa lex orandi» non voleva in alcun modo misconoscere la riforma liturgica, ma era dettato dalla volontà di venire incontro alle «insistenti preghiere di questi fedeli», concedendo loro di «celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa»[8]. Lo confortava nel suo discernimento il fatto che quanti desideravano «trovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia», «accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II ed erano fedeli al Papa e ai Vescovi»[9]. Dichiarava inoltre infondato il timore di spaccature nelle comunità parrocchiali, perché «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda»[10]. Perciò invitava i Vescovi a superare dubbi e timori e a ricevere le norme, «vigilando affinché tutto si svolga in pace e serenità», con la promessa che «si potevano cercare vie per trovare rimedio», nel caso fossero «venute alla luce serie difficoltà» nell’applicazione della normativa dopo «l’entrata in vigore del Motu proprio»[11].

A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso «fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente»[12], è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni.

Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch’io stigmatizzo che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile»[13]. Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”. Se è vero che il cammino della Chiesa va compreso nel dinamismo della Tradizione, «che trae origine dagli Apostoli e che progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo» (DV 8), di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la tappa più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa. Dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico[14], e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa.

Proprio il Concilio Vaticano II illumina il senso della scelta di rivedere la concessione permessa dai miei Predecessori. Tra i vota che i Vescovi hanno indicato con più insistenza emerge quello della piena, consapevole e attiva partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla liturgia[15], in linea con quanto già affermato da Pio XII nell’enciclica Mediator Dei sul rinnovamento della liturgia[16]. La costituzione Sacrosanctum Concilium ha confermato questa richiesta, deliberando circa «la riforma e l’incremento della liturgia»[17], indicando i principi che dovevano guidare la riforma[18]. In particolare, ha stabilito che quei principi riguardavano il Rito Romano, mentre per gli altri riti legittimamente riconosciuti, chiedeva che fossero «prudentemente riveduti in modo integrale nello spirito della sana tradizione e venga dato loro nuovo vigore secondo le circostanze e le necessità del tempo»[19]. Sulla base di questi principi è stata condotta la riforma liturgica, che ha la sua espressione più alta nel Messale Romano, pubblicato in editio typica da san Paolo VI[20] e riveduto da san Giovanni Paolo II[21]. Si deve perciò ritenere che il Rito Romano, più volte adattato lungo i secoli alle esigenze dei tempi, non solo sia stato conservato, ma rinnovato «in fedele ossequio alla Tradizione»[22]. Chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non stenterà a trovare nel Messale Romano riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II tutti gli elementi del Rito Romano, in particolare il canone romano, che costituisce uno degli elementi più caratterizzanti.

Un’ultima ragione voglio aggiungere a fondamento della mia scelta: è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione – «Io sono di Paolo; io invece sono di Apollo; io sono di Cefa; io sono di Cristo» –, contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo[23]. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la Messa con il Missale Romanum del 1962. Poiché «le celebrazioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento di unità”»[24], devono essere fatte in comunione con la Chiesa. Il Concilio Vaticano II, mentre ribadiva i vincoli esterni di incorporazione alla Chiesa – la professione della fede, dei sacramenti, della comunione –, affermava con sant’Agostino che è condizione per la salvezza rimanere nella Chiesa non solo “con il corpo”, ma anche “con il cuore”[25].

Cari fratelli nell’Episcopato, Sacrosanctum Concilium spiegava che la Chiesa «sacramento di unità» è tale perché è «Popolo santo adunato e ordinato sotto l’autorità dei Vescovi»[26]. Lumen gentium, mentre ricorda al Vescovo di Roma di essere «perpetuo e visibile principio e fondamento di unità sia dei vescovi, sia della moltitudine dei fedeli», dice che Voi siete «visibile principio e fondamento di unità nelle vostre Chiese locali, nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica»[27].

Rispondendo alle vostre richieste, prendo la ferma decisione di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenere i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, come l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano. Mi conforta in questa decisione il fatto che, dopo il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa latina un unico Missale Romanum. Per quattro secoli questo Missale Romanum promulgato da san Pio V è stato così la principale espressione della lex orandi del Rito Romano, svolgendo una funzione di unificazione nella Chiesa. Non per contraddire la dignità e grandezza di quel Rito i Vescovi riuniti in concilio ecumenico hanno chiesto che fosse riformato; il loro intento era che «i fedeli non assistessero come estranei o muti spettatori al mistero di fede, ma, con una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipassero all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente»[28]. San Paolo VI, ricordando che l’opera di adattamento del Messale Romano era già stata iniziata da Pio XII, dichiarò che la revisione del Messale Romano, condotta alla luce delle più antiche fonti liturgiche, aveva come scopo di permettere alla Chiesa di elevare, nella varietà delle lingue, «una sola e identica preghiera» che esprimesse la sua unità[29]. Questa unità intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano.

Il Concilio Vaticano II, descrivendo la cattolicità del Popolo di Dio, rammenta che «nella comunione ecclesiale esistono le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva»[30]. Mentre, nell’esercizio del mio ministero al servizio dell’unità, assumo la decisione di sospendere la facoltà concessa dai miei Predecessori, chiedo a Voi di condividere con me questo peso come forma di partecipazione alla sollecitudine per tutta la Chiesa. Nel Motu proprio ho voluto affermare come spetti al Vescovo, quale moderatore, promotore e custode della vita liturgica nella Chiesa di cui è principio di unità, regolare le celebrazioni liturgiche. Spetta perciò a Voi autorizzare nelle vostre Chiese, in quanto Ordinari del luogo, l’uso del Messale Romano del 1962, applicando le norme del presente Motu proprio. Spetta soprattutto a Voi operare perché si torni a una forma celebrativa unitaria, verificando caso per caso la realtà dei gruppi che celebrano con questo Missale Romanum.

Le indicazioni su come procedere nelle diocesi sono principalmente dettate da due principi: provvedere da una parte al bene di quanti si sono radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II; interrompere dall’altra l’erezione di nuove parrocchie personali, legate più al desiderio e alla volontà di singoli presbiteri che al reale bisogno del «santo Popolo fedele di Dio». Al contempo Vi chiedo di vigilare perché ogni liturgia sia celebrata con decoro e fedeltà ai libri liturgici promulgati dopo il Concilio Vaticano II, senza eccentricità che degenerano facilmente in abusi. A questa fedeltà alle prescrizioni del Messale e ai libri liturgici, in cui si rispecchia la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II, siano educati i seminaristi e i nuovi presbiteri.

Per Voi invoco dal Signore Risorto lo Spirito, perché vi renda forti e fermi nel servizio al Popolo che il Signore vi ha affidato, perché per la vostra cura e vigilanza esprima la comunione anche nell’unità di un solo Rito, nel quale è custodita la grande ricchezza della tradizione liturgica romana. Io prego per voi. Voi pregate per me.

FRANCESCO

__________________

[1] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[2] Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali “Quattuor abhinc annos”, 3 ottobre 1984: AAS 76 (1984) 1088-1089.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Litt. Ap. Motu proprio datae “Ecclesia Dei”, 2 luglio 1988: AAS 80 (1998) 1495-1498.

[4] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[5] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[6] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797.

[7] BENEDETTO XVI, Litt. Ap. Motu proprio datae “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 779.

[8] BENEDETTO XVI, Litt. Ap. Motu proprio datae “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 779.

[9] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[10] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797.

[11] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 798.

[12] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 797-798.

[13] BENEDETTO XVI, Epistula Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani, 7 luglio 2007: AAS 99 (2007) 796.

[14] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[15] Cfr. ACTA ET DOCUMENTA CONCILIO OECUMENICO VATICANO II APPARANDO, Series I, Volumen II, 1960.

[16] PIO XII, Litt. Encyc. “Mediator Dei et hominum”, 20 novembre 1947: AAS 39 (1949) 521-595.

[17] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, nn. 1, 14: AAS 56 (1964) 97.104.

[18] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, n. 3: AAS 56 (1964) 98.

[19] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963, n. 4: AAS 56 (1964) 98.

[20] MISSALE ROMANUM ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, editio typica, 1970.

[21] MISSALE ROMANUM ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica altera, 1975; editio typica tertia, 2002; (reimpressio emendata, 2008).

[22] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 3: AAS 56 (1964) 98.

[23] 1Cor 1,12-13.

[24] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 26: AAS 56 (1964) 107.

[25] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 14: AAS 57 (1965) 19.

[26] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 6: AAS 56 (1964) 100.

[27] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium” 21 novembre 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[28] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, 3 dicembre 1963, n. 48: AAS 56 (1964) 113.

[29] PAOLO VI, Costituzione apostolica Missale Romanum (3 aprile 1969), AAS 61 (1969) 222.

[30] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa “Lumen gentium”, 21 novembre 1964, n. 13: AAS 57 (1965) 18.

[01015-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione ufficiale in lingua inglese

Rome, 16 July 2021

Dear Brothers in the Episcopate,

Just as my Predecessor Benedict XVI did with Summorum Pontificum, I wish to accompany the Motu proprio Traditionis custodes with a letter explaining the motives that prompted my decision. I turn to you with trust and parresia, in the name of that shared “solicitude for the whole Church, that contributes supremely to the good of the Universal Church” as Vatican Council II reminds us.[1]

Most people understand the motives that prompted St. John Paul II and Benedict XVI to allow the use of the Roman Missal, promulgated by St. Pius V and edited by St. John XXIII in 1962, for the Eucharistic Sacrifice. The faculty — granted by the indult of the Congregation for Divine Worship in 1984[2] and confirmed by St. John Paul II in the Motu Proprio Ecclesia Dei in 1988[3] — was above all motivated by the desire to foster the healing of the schism with the movement of Mons. Lefebvre. With the ecclesial intention of restoring the unity of the Church, the Bishops were thus asked to accept with generosity the “just aspirations” of the faithful who requested the use of that Missal.

Many in the Church came to regard this faculty as an opportunity to adopt freely the Roman Missal promulgated by St. Pius V and use it in a manner parallel to the Roman Missal promulgated by St. Paul VI. In order to regulate this situation at the distance of many years, Benedict XVI intervened to address this state of affairs in the Church. Many priests and communities had “used with gratitude the possibility offered by the Motu proprio” of St. John Paul II. Underscoring that this development was not foreseeable in 1988, the Motu proprio Summorum Pontificum of 2007 intended to introduce “a clearer juridical regulation” in this area.[4] In order to allow access to those, including young people, who when “they discover this liturgical form, feel attracted to it and find in it a form, particularly suited to them, to encounter the mystery of the most holy Eucharist”,[5] Benedict XVI declared “the Missal promulgated by St. Pius V and newly edited by Blessed John XXIII, as a extraordinary expression of the same lex orandi”, granting a “more ample possibility for the use of the 1962 Missal”.[6]

In making their decision they were confident that such a provision would not place in doubt one of the key measures of Vatican Council II or minimize in this way its authority: the Motu proprio recognized that, in its own right, “the Missal promulgated by Paul VI is the ordinary expression of the lex orandi of the Catholic Church of the Latin rite”.[7] The recognition of the Missal promulgated by St. Pius V “as an extraordinary expression of the same lex orandi” did not in any way underrate the liturgical reform, but was decreed with the desire to acknowledge the “insistent prayers of these faithful,” allowing them “to celebrate the Sacrifice of the Mass according to the editio typica of the Roman Missal promulgated by Blessed John XXIII in 1962 and never abrogated, as the extraordinary form of the Liturgy of the Church”.[8] It comforted Benedict XVI in his discernment that many desired “to find the form of the sacred Liturgy dear to them,” “clearly accepted the binding character of Vatican Council II and were faithful to the Pope and to the Bishops”.[9] What is more, he declared to be unfounded the fear of division in parish communities, because “the two forms of the use of the Roman Rite would enrich one another”.[10] Thus, he invited the Bishops to set aside their doubts and fears, and to welcome the norms, “attentive that everything would proceed in peace and serenity,” with the promise that “it would be possible to find resolutions” in the event that “serious difficulties came to light” in the implementation of the norms “once the Motu proprio came into effect”.[11]

With the passage of thirteen years, I instructed the Congregation for the Doctrine of the Faith to circulate a questionnaire to the Bishops regarding the implementation of the Motu proprio Summorum Pontificum. The responses reveal a situation that preoccupies and saddens me, and persuades me of the need to intervene. Regrettably, the pastoral objective of my Predecessors, who had intended “to do everything possible to ensure that all those who truly possessed the desire for unity would find it possible to remain in this unity or to rediscover it anew”,[12] has often been seriously disregarded. An opportunity offered by St. John Paul II and, with even greater magnanimity, by Benedict XVI, intended to recover the unity of an ecclesial body with diverse liturgical sensibilities, was exploited to widen the gaps, reinforce the divergences, and encourage disagreements that injure the Church, block her path, and expose her to the peril of division.

At the same time, I am saddened by abuses in the celebration of the liturgy on all sides. In common with Benedict XVI, I deplore the fact that “in many places the prescriptions of the new Missal are not observed in celebration, but indeed come to be interpreted as an authorization for or even a requirement of creativity, which leads to almost unbearable distortions”.[13] But I am nonetheless saddened that the instrumental use of Missale Romanum of 1962 is often characterized by a rejection not only of the liturgical reform, but of the Vatican Council II itself, claiming, with unfounded and unsustainable assertions, that it betrayed the Tradition and the “true Church”. The path of the Church must be seen within the dynamic of Tradition “which originates from the Apostles and progresses in the Church with the assistance of the Holy Spirit” (DV 8). A recent stage of this dynamic was constituted by Vatican Council II where the Catholic episcopate came together to listen and to discern the path for the Church indicated by the Holy Spirit. To doubt the Council is to doubt the intentions of those very Fathers who exercised their collegial power in a solemn manner cum Petro et sub Petro in an ecumenical council,[14] and, in the final analysis, to doubt the Holy Spirit himself who guides the Church.

The objective of the modification of the permission granted by my Predecessors is highlighted by the Second Vatican Council itself. From the vota submitted by the Bishops there emerged a great insistence on the full, conscious and active participation of the whole People of God in the liturgy,[15] along lines already indicated by Pius XII in the encyclical Mediator Dei on the renewal of the liturgy.[16] The constitution Sacrosanctum Concilium confirmed this appeal, by seeking “the renewal and advancement of the liturgy”,[17] and by indicating the principles that should guide the reform.[18] In particular, it established that these principles concerned the Roman Rite, and other legitimate rites where applicable, and asked that “the rites be revised carefully in the light of sound tradition, and that they be given new vigor to meet present-day circumstances and needs”.[19] On the basis of these principles a reform of the liturgy was undertaken, with its highest expression in the Roman Missal, published in editio typica by St. Paul VI[20] and revised by St. John Paul II.[21] It must therefore be maintained that the Roman Rite, adapted many times over the course of the centuries according to the needs of the day, not only be preserved but renewed “in faithful observance of the Tradition”.[22] Whoever wishes to celebrate with devotion according to earlier forms of the liturgy can find in the reformed Roman Missal according to Vatican Council II all the elements of the Roman Rite, in particular the Roman Canon which constitutes one of its more distinctive elements.

A final reason for my decision is this: ever more plain in the words and attitudes of many is the close connection between the choice of celebrations according to the liturgical books prior to Vatican Council II and the rejection of the Church and her institutions in the name of what is called the “true Church.” One is dealing here with comportment that contradicts communion and nurtures the divisive tendency — “I belong to Paul; I belong instead to Apollo; I belong to Cephas; I belong to Christ” — against which the Apostle Paul so vigorously reacted.[23] In defense of the unity of the Body of Christ, I am constrained to revoke the faculty granted by my Predecessors. The distorted use that has been made of this faculty is contrary to the intentions that led to granting the freedom to celebrate the Mass with the Missale Romanum of 1962. Because “liturgical celebrations are not private actions, but celebrations of the Church, which is the sacrament of unity”,[24] they must be carried out in communion with the Church. Vatican Council II, while it reaffirmed the external bonds of incorporation in the Church — the profession of faith, the sacraments, of communion — affirmed with St. Augustine that to remain in the Church not only “with the body” but also “with the heart” is a condition for salvation.[25]

Dear brothers in the Episcopate, Sacrosanctum Concilium explained that the Church, the “sacrament of unity,” is such because it is “the holy People gathered and governed under the authority of the Bishops”.[26] Lumen gentium, while recalling that the Bishop of Rome is “the permanent and visible principle and foundation of the unity both of the bishops and of the multitude of the faithful,” states that you the Bishops are “the visible principle and foundation of the unity of your local Churches, in which and through which exists the one and only Catholic Church”.[27]

Responding to your requests, I take the firm decision to abrogate all the norms, instructions, permissions and customs that precede the present Motu proprio, and declare that the liturgical books promulgated by the saintly Pontiffs Paul VI and John Paul II, in conformity with the decrees of Vatican Council II, constitute the unique expression of the lex orandi of the Roman Rite. I take comfort in this decision from the fact that, after the Council of Trent, St. Pius V also abrogated all the rites that could not claim a proven antiquity, establishing for the whole Latin Church a single Missale Romanum. For four centuries this Missale Romanum, promulgated by St. Pius V was thus the principal expression of the lex orandi of the Roman Rite, and functioned to maintain the unity of the Church. Without denying the dignity and grandeur of this Rite, the Bishops gathered in ecumenical council asked that it be reformed; their intention was that “the faithful would not assist as strangers and silent spectators in the mystery of faith, but, with a full understanding of the rites and prayers, would participate in the sacred action consciously, piously, and actively”.[28] St. Paul VI, recalling that the work of adaptation of the Roman Missal had already been initiated by Pius XII, declared that the revision of the Roman Missal, carried out in the light of ancient liturgical sources, had the goal of permitting the Church to raise up, in the variety of languages, “a single and identical prayer,” that expressed her unity.[29] This unity I intend to re-establish throughout the Church of the Roman Rite.

Vatican Council II, when it described the catholicity of the People of God, recalled that “within the ecclesial communion” there exist the particular Churches which enjoy their proper traditions, without prejudice to the primacy of the Chair of Peter who presides over the universal communion of charity, guarantees the legitimate diversity and together ensures that the particular not only does not injure the universal but above all serves it”.[30] While, in the exercise of my ministry in service of unity, I take the decision to suspend the faculty granted by my Predecessors, I ask you to share with me this burden as a form of participation in the solicitude for the whole Church proper to the Bishops. In the Motu proprio I have desired to affirm that it is up to the Bishop, as moderator, promoter, and guardian of the liturgical life of the Church of which he is the principle of unity, to regulate the liturgical celebrations. It is up to you to authorize in your Churches, as local Ordinaries, the use of the Missale Romanum of 1962, applying the norms of the present Motu proprio. It is up to you to proceed in such a way as to return to a unitary form of celebration, and to determine case by case the reality of the groups which celebrate with this Missale Romanum.

Indications about how to proceed in your dioceses are chiefly dictated by two principles: on the one hand, to provide for the good of those who are rooted in the previous form of celebration and need to return in due time to the Roman Rite promulgated by Saints Paul VI and John Paul II, and, on the other hand, to discontinue the erection of new personal parishes tied more to the desire and wishes of individual priests than to the real need of the “holy People of God.” At the same time, I ask you to be vigilant in ensuring that every liturgy be celebrated with decorum and fidelity to the liturgical books promulgated after Vatican Council II, without the eccentricities that can easily degenerate into abuses. Seminarians and new priests should be formed in the faithful observance of the prescriptions of the Missal and liturgical books, in which is reflected the liturgical reform willed by Vatican Council II.

Upon you I invoke the Spirit of the risen Lord, that he may make you strong and firm in your service to the People of God entrusted to you by the Lord, so that your care and vigilance express communion even in the unity of one, single Rite, in which is preserved the great richness of the Roman liturgical tradition. I pray for you. You pray for me.

FRANCIS

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[1] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church “Lumen Gentium”, 21 november 1964, n. 23 AAS 57 (1965) 27.

[2] Cfr. Congregation for Divine Worship, Letter to the Presidents of the Conferences of Bishops “Quattuor abhinc annos”, 3 october 1984: AAS 76 (1984) 1088-1089.

[3] John Paul II, Apostolic Letter given Motu proprio “Ecclesia Dei”, 2 july 1988: AAS 80 (1998) 1495-1498.

[4] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 796.

[5] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 796.

[6] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 797.

[7] Benedict XVI, Apostolic Letter given Motu proprio “Summorum Pontificum”, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 779.

[8] Benedict XVI, Apostolic Letter given Motu proprio “Summorum Pontificum”, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 779.

[9] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 796.

[10] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 797.

[11] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 798.

[12] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 797-798.

[13] Benedict XVI, Letter to the Bishops on the occasion of the publication of the Apostolic Letter “Motu proprio data” Summorum Pontificum on the use of the Roman Liturgy prior to the reform of 1970, 7 july 2007: AAS 99 (2007) 796.

[14] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church “Lumen Gentium”, 21 november 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[15] Cfr. Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, Series I, Volumen II, 1960.

[16] Pius XII, Encyclical on the sacred liturgy “Mediator Dei”, 20 november 1947: AAS 39 (1949) 521-595.

[17] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, nn. 1, 14: AAS 56 (1964) 97.104.

[18] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, n. 3: AAS 56 (1964) 98.

[19] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, n. 4: AAS 56 (1964) 98.

[20] Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, editio typica, 1970.

[21] Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica altera, 1975; editio typica tertia, 2002; (reimpressio emendata 2008).

[22] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, n. 3: AAS 56 (1964) 98.

[23] 1 Cor 1,12-13.

[24] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, n. 26: AAS 56 (1964) 107.

[25] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church “Lumen Gentium”, 21 november 1964, n. 14: AAS 57 (1965) 19.

[26] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, n. 6: AAS 56 (1964) 100.

[27] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church “Lumen Gentium”, 21 november 1964, n. 23: AAS 57 (1965) 27.

[28] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Costitution on the sacred liturgy “Sacrosanctum Concilium”, 4 december 1963, n. 48: AAS 56 (1964) 113.

[29] Paul VI, Apostolic Constitution “Missale Romanum” on new Roman Missal, 3 april 1969, AAS 61 (1969) 222.

[30] Cfr. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church “Lumen Gentium”, 21 november 1964, n. 13: AAS 57 (1965) 18.

[01015-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Rom, 16. Juli 2021

Liebe Brüder im Bischofsamt,

wie es bereits mein Vorgänger Benedikt XVI. mit Summorum Pontificum gemacht hat, so habe auch ich die Absicht, das Motu Proprio Traditionis custodes mit einem Brief zu begleiten, um die Gründe zu verdeutlichen, die mich zu dieser Entscheidung gedrängt haben. Ich wende mich mit Vertrauen und Freimut an Euch und tue dies im Namen jener gemeinschaftlichen »Sorge für die ganze Kirche«, die »im höchsten Maß zum Wohl der Gesamtkirche [beiträgt]«, wie uns das Zweite Vatikanische Konzil in Erinnerung ruft.[1]

Die Motive, die den heiligen Johannes Paul II. und Benedikt XVI. bewegt haben, die Möglichkeit des Gebrauchs des vom heiligen Pius V. promulgierten und 1962 vom heiligen Johannes XXIII. herausgegebenen Römischen Messbuches für die Feier des Eucharistischen Opfers zu gewähren, sind allen klar ersichtlich. Die Befugnis, die durch ein Indult der Kongregation für den Gottesdienst 1984 erteilt[2] und vom heiligen Johannes Paul II. 1988 mit dem Motu Proprio Ecclesia Dei bestätigt wurde[3], lag vor allem in dem Willen begründet, die Überwindung des Schismas mit der von Erzbischof Lefebvre geleiteten Bewegung zu fördern. Die an die Bischöfe gerichtete Bitte, die »[gerechtfertigten] Wünsche« der Gläubigen, welche den Gebrauch dieses Messbuches erbaten, großzügig aufzunehmen, hatte daher einen kirchlichen Grund in der Wiederherstellung der Einheit der Kirche.

Diese Befugnis wurde von vielen innerhalb der Kirche als Möglichkeit betrachtet, das vom heiligen Pius V. promulgierte Römische Messbuch frei zu gebrauchen, wodurch sich ein paralleler Gebrauch zu dem vom heiligen Paul VI. herausgegebenen Römischen Messbuch entwickelte. Um diese Situation zu regeln, hat nach mehreren Jahren Benedikt XVI. in diese Frage eingegriffen. Es ging ihm um die Regelung einer Angelegenheit innerhalb der Kirche, da viele Priester und Gemeinschaften »dankbar von den Möglichkeiten dieses Motu Proprio« des heiligen Johannes Paul II. »Gebrauch [gemacht hatten]«. Das Motu Proprio Summorum Pontificum von 2007 unterstreicht, dass diese Entwicklung 1988 noch nicht vorauszusehen war, und beabsichtigte, in dieser Hinsicht eine »klarer[e] rechtlich[e] Regelung«[4] einzuführen. Um all denen – auch jungen Menschen –, welche »diese liturgische Form entdecken, sich von ihr angezogen fühlen und hier eine ihnen besonders gemäße Form der Begegnung mit dem Mysterium der heiligen Eucharistie finden«[5], einen Zugang zu ermöglichen, erklärte Benedikt XVI. »das vom hl. Pius V. promulgierte und vom sel. Johannes XXIII. neu herausgegebene Messbuch [zur] außerordentliche[n] Ausdrucksform derselben „Lex orandi“«, und gewährte »eine erweiterte Möglichkeit zum Gebrauch des Missale von 1962«.[6]

Seine Entscheidung wurde von der Überzeugung gestützt, dass mit dieser Maßnahme einer der wesentlichen Beschlüsse des Zweiten Vatikanischen Konzils nicht in Zweifel gezogen würde und damit seine Autorität unterwandert würde: Das Motu Proprio erkennt voll und ganz an, dass »das von Paul VI. promulgierte Römische Messbuch die ordentliche Ausdrucksform der „Lex orandi“ der katholischen Kirche des lateinischen Ritus ist«.[7] Die Anerkennung des Messbuchs Pius’ V. »als außerordentliche Ausdrucksform derselben „Lex orandi“« wollte in keiner Weise die Liturgiereform in Abrede stellen, sondern war von dem Willen bestimmt, den »inständigen Bitten dieser Gläubigen« entgegenzukommen und ihnen zu gewähren, »das Messopfer nach der vom sel. Johannes XIII. im Jahr 1962 promulgierten und niemals abgeschafften Editio typica des Römischen Messbuchs als außerordentliche Form der Liturgie der Kirche zu feiern«.[8] Bei seiner Unterscheidung wurde Benedikt XVI. von der Tatsache ermutigt, dass diejenigen, die sich »nach der ihnen vertrauten Form der heiligen Liturgie sehnten«, »klar die Verbindlichkeit des II. Vaticanums annahmen und treu zum Papst und zu den Bischöfen standen«.[9] So erklärte er ferner die Befürchtung als unbegründet, es könne in den Gemeinschaften der Pfarreien zu Spaltungen kommen, da »sich beide Formen des Usus des Ritus Romanus gegenseitig befruchten [können]«.[10] Daher lud er die Bischöfe ein, Zweifel und Befürchtungen zu überwinden und die Normen anzunehmen und »darüber zu wachen, dass alles friedlich und sachlich geschieht«. Dies erfolgte mit dem Versprechen, dass »Wege gesucht werden [können], um Abhilfe zu schaffen«, wenn nach »Inkrafttreten des Motu Proprio« bei der Anwendung der Normen »wirklich ernsthafte Schwierigkeiten aufgetreten sein sollten«.[11]

Im Abstand von dreizehn Jahren habe ich die Glaubenskongregation beauftragt, Euch einen Fragebogen bezüglich der Anwendung des Motu Proprio Summorum Pontificum zu senden. Die eingegangenen Antworten haben eine Situation offenbart, die mich traurig und besorgt macht, und mich darin bestärkt, dass es notwendig ist einzugreifen. Leider wurde die pastorale Absicht meiner Vorgänger, denen es darum ging, »alle Anstrengungen zu unternehmen, um all denen das Verbleiben in der Einheit oder das neue Finden zu ihr zu ermöglichen, die wirklich Sehnsucht nach Einheit tragen«,[12] oft schwer missachtet. Eine von Johannes Paul II. und mit noch weiterem Großmut von Benedikt XVI. gewährte Möglichkeit, um die Einheit der Kirche unter Achtung der verschiedenen liturgischen Sensibilitäten wiederherzustellen, ist dazu verwendet worden, die Abstände zu vergrößern, die Unterschiede zu verhärten, Gegensätze aufzubauen, welche die Kirche verletzen und sie in ihrem Weg hemmen, indem sie sie der Gefahr der Spaltung aussetzen.

Mich schmerzen die Missbräuche der einen und der anderen Seite bei der Feier der Liturgie in gleicher Weise. Genauso wie Benedikt XVI. verurteile ich, dass »das neue Missale vielerorts nicht seiner Ordnung getreu gefeiert, sondern geradezu als eine Ermächtigung oder gar als Verpflichtung zur „Kreativität“ aufgefasst wurde, die oft zu kaum erträglichen Entstellungen der Liturgie führte«.[13] Aber nicht weniger macht mich ein instrumenteller Gebrauch des Missale Romanum von 1962 traurig, der immer mehr gekennzeichnet ist von einer wachsenden Ablehnung nicht nur der Liturgiereform, sondern des Zweiten Vatikanischen Konzils unter der unbegründeten und unhaltbaren Behauptung, dass es die Tradition und die „wahre Kirche“ verraten habe. Wenn es zutrifft, dass der Weg der Kirche innerhalb der Dynamik der Überlieferung verstanden werden muss, und »diese apostolische Überlieferung […] in der Kirche unter dem Beistand des Heiligen Geistes einen Fortschritt [kennt]« (Dei Verbum, 8), dann stellt das Zweite Vatikanische Konzil die jüngste Etappe dieser Dynamik dar, bei der sich der katholische Episkopat in eine Haltung des Zuhörens begeben hat, um zu unterscheiden, welchen Weg der Geist der Kirche weist. Am Konzil zu zweifeln heißt die Absichten der Konzilsväter selbst in Zweifel zu ziehen, die im Ökumenischen Konzil ihre kollegiale Vollmacht in feierlicher Form cum Petro et sub Petro ausgeübt haben.[14] Es heißt letztlich am Heiligen Geist zu zweifeln, der die Kirche führt.

Gerade das Zweite Vatikanische Konzil erhellt den Sinn der Entscheidung, die von meinen Vorgängern erteilte Erlaubnis zu überprüfen. Unter den Voten, welche die Bischöfe mit größerer Eindringlichkeit eingegeben haben, sticht jenes hinsichtlich der vollen, bewussten und tätigen Teilnahme des ganzen Volkes Gottes an der Liturgie hervor.[15] Dies steht in einer Linie mit dem, was schon Pius XII. in der Enzyklika Mediator Dei zur Erneuerung der Liturgie gesagt hatte.[16] Die Konstitution Sacrosanctum Concilium hat diese Forderung bestätigt, als sie die Erneuerung und Förderung der Liturgie[17] beschloss und die Grundsätze aufstellte, welche die Erneuerung leiten sollten.[18] In besonderer Weise wurde festgelegt, dass diese Grundsätze den Römischen Ritus betrafen, während für die anderen rechtlich anerkannten Riten darum gebeten wurde, dass sie »in ihrem ganzen Umfang gemäß dem Geist gesunder Überlieferung überprüft und im Hinblick auf die Verhältnisse und Notwendigkeiten der Gegenwart mit neuer Kraft ausgestattet werden«.[19] Die Liturgiereform wurde auf der Grundlage dieser Prinzipien durchgeführt. Sie findet ihren höchsten Ausdruck im Römischen Messbuch, dessen Editio typica vom heiligen Paul VI. promulgiert[20] und vom heiligen Johannes Paul II. erneuert wurde.[21] Daher hat man davon auszugehen, dass der Römische Ritus, der im Laufe der Jahrhunderte mehrmals an die Erfordernisse der Zeit angepasst wurde, nicht nur bewahrt, sondern in Treue zur Überlieferung erneuert worden ist.[22] Wer mit Andacht nach der vorherigen Form der Liturgie zelebrieren möchte, wird keine Schwierigkeiten haben, im gemäß der Absicht des Zweiten Vatikanischen Konzils erneuerten Römischen Messbuch alle Elemente des Römischen Ritus zu finden, besonders den Römischen Kanon, der eines der charakteristischsten Elemente darstellt.

Einen letzten Grund, auf dem meine Entscheidung beruht, möchte ich noch anfügen: In den Worten und den Haltungen vieler wird immer deutlicher, dass zwischen der Entscheidung, nach den vor dem Zweiten Vatikanischen Konzil gültigen liturgischen Büchern zu zelebrieren, und der Ablehnung der Kirche und ihrer Einrichtungen im Namen dessen, was sie für die „wahre Kirche“ halten, eine enge Beziehung besteht. Es handelt sich um ein Verhalten, das der Gemeinschaft widerspricht und jenen Drang zur Spaltung nährt – »Ich halte zu Paulus - ich zu Apollos - ich zu Kephas - ich zu Christus« –, gegen den sich der Apostel Paulus entschieden gewandt hat.[23] Wenn ich mich gezwungen sehe, die Befugnis zu widerrufen, die von meinen Vorgängern gewährt wurde, so geschieht das, um die Einheit des Leibes Christi zu verteidigen. Der falsche Gebrauch, der davon gemacht wurde, steht den Motiven entgegen, die meine Vorgänger bewogen haben, die Freiheit zur Feier der Messe nach dem Missale Romanum von 1962 zu gewähren. »Die liturgischen Handlungen sind nicht privater Natur, sondern Feiern der Kirche, die das „Sakrament der Einheit“ ist«,[24] und müssen daher in Gemeinschaft mit der Kirche erfolgen. Während das Zweite Vatikanische Konzil die äußeren Bande der Eingliederung in die Kirche – das Glaubensbekenntnis, die Sakramente, die Gemeinschaft – bekräftigte, sagte es mit dem heiligen Augustinus, dass es Bedingung des Heiles sei, nicht nur „dem Leibe“, sondern auch „dem Herzen“ nach im Schoße der Kirche zu verbleiben.[25]

Liebe Brüder im Bischofsamt, Sacrosanctum Concilium erklärte, dass die Kirche »das „Sakrament der Einheit“ ist; sie ist nämlich das heilige Volk, geeint und geordnet unter den Bischöfen«.[26] Während Lumen gentium den Bischof von Rom daran erinnert, dass er »das immerwährende, sichtbare Prinzip und Fundament für die Einheit der Vielheit von Bischöfen und Gläubigen« ist, sagt es, dass Ihr das »sichtbar[e] Prinzip und Fundament in [Euren] Teilkirchen« seid; »in ihnen und aus ihnen besteht die eine und einzige katholische Kirche«.[27]

In Beantwortung Eurer Bitten treffe ich die feste Entscheidung, alle Normen, Instruktionen, Gewährungen und Gewohnheiten außer Kraft zu setzen, die diesem Motu Proprio vorausgegangen sind, und die liturgischen Bücher, die von den heiligen Päpsten Paul VI. und Johannes Paul II. in Übereinstimmung mit den Dekreten des Zweiten Vatikanischen Konzils promulgiert wurden, als einzige Ausdrucksform der Lex orandi des Römischen Ritus anzusehen. Bei dieser Entscheidung ermutigt mich die Tatsache, dass auch der heilige Pius V. nach dem Konzil von Trient alle Riten außer Kraft gesetzt hat, die nicht ein nachgewiesenes Alter für sich in Anspruch nehmen konnten, und für die ganze lateinische Kirche ein einziges Missale Romanum vorgeschrieben hat. Über vier Jahrhunderte hinweg war so das vom heiligen Pius V. promulgierte Missale Romanum die hauptsächliche Ausdrucksform des Römischen Ritus und besaß eine vereinheitlichende Funktion für die Kirche. Als die zum Ökumenischen Konzil versammelten Bischöfe eine Erneuerung, dieses Ritus gefordert haben, wollten sie nicht seine Würde und seine Größe in Abrede stellen. Ihre Absicht war, dass die »Gläubigen diesem Geheimnis des Glaubens nicht wie Außenstehende und stumme Zuschauer beiwohnen; sie sollen vielmehr durch die Riten und Gebete dieses Mysteriums wohl verstehen lernen und so die heilige Handlung bewusst, fromm und tätig mitfeiern«.[28] Der heilige Paul VI. hat daran erinnert, dass die Arbeit zur Anpassung des Römischen Messbuches schon von Pius XII. begonnen wurde, und erklärte, dass die Überarbeitung des Römischen Messbuches im Licht der ältesten liturgischen Quellen das Ziel hatte, der Kirche zu erlauben, in der Mannigfaltigkeit der Sprachen »ein und dasselbe Gebet« zum Himmel zu erheben, das ihre Einheit zum Ausdruck bringen sollte.[29] Diese Einheit, so ist es meine Absicht, möge in der ganzen Kirche des Römischen Ritus wiederhergestellt werden.

Bei der Beschreibung der Katholizität des Volkes Gottes erinnert das Zweite Vatikanische Konzil daran, dass es »in der kirchlichen Gemeinschaft zu Recht Teilkirchen [gibt], die sich eigener Überlieferungen erfreuen, unbeschadet des Primats des Stuhles Petri, welcher der gesamten Liebesgemeinschaft vorsteht, die rechtmäßigen Verschiedenheiten schützt und zugleich darüber wacht, dass die Besonderheiten der Einheit nicht nur nicht schaden, sondern ihr vielmehr dienen«.[30] Während ich in Ausübung meines Dienstes an der Einheit die Entscheidung treffe, die von meinen Vorgängern gewährten Befugnisse zurückzuziehen, bitte ich Euch, als Ausdruck der Teilhabe an der Sorge für die ganze Kirche diese Last mit mir zu teilen. Es war meine Absicht, im Motu Proprio klarzustellen, dass es dem Bischof als Leiter, Förderer und Wächter des liturgischen Lebens in der Kirche, in der er das Prinzip der Einheit ist, zukommt, die Feier der Liturgie zu ordnen. Es ist also Eure Aufgabe, als Ortsordinarien in Euren Kirchen den Gebrauch des Römischen Messbuchs von 1962 in Anwendung der Normen dieses Motu Proprio zu erlauben. Es ist vor allem Eure Aufgabe, darauf hinzuarbeiten, dass man zu einer einheitlichen Zelebrationsform zurückkehrt, und in jedem einzelnen Fall die Realitäten der Gruppen zu überprüfen, die nach diesem Missale Romanum zelebrieren.

Die Anweisungen, wie in den Diözesen vorzugehen ist, werden hauptsächlich von zwei Grundsätzen geleitet: Einerseits gilt es, für das Wohl derer zu sorgen, die in der vorhergehenden Zelebrationsform verwurzelt sind und Zeit brauchen, um zum Römischen Ritus zurückzukehren, wie er von den Heiligen Paul VI. und Johannes Paul II promulgiert wurde. Andererseits ist die Errichtung von Personalpfarreien einzustellen, die mehr vom Wunsch und Willen einzelner Priester abhängen als vom Bedürfnis des „heiligen Volkes Gottes“. Zugleich bitte ich Euch, darüber zu wachen, dass jede Liturgie mit Würde und in Treue zu den nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil promulgierten liturgischen Büchern gefeiert wird ohne exzentrisches Gehabe, das leicht in Missbrauch abgleitet. Zu dieser Treue gegenüber den Vorschriften des Messbuches und der liturgischen Bücher, in denen sich die vom Zweiten Vatikanischen Konzil gewollte Liturgiereform widerspiegelt, sollen die Seminaristen und die Neupriester erzogen werden.

Ich bitte den auferstandenen Herrn für Euch um den Heiligen Geist, damit er Euch im Dienst an dem Volk, das der Herr Euch anvertraut hat, stark und entschlossen mache, sodass durch Eure Sorge und Euer Wächteramt die Einheit auch in der Einheit des einen Ritus zum Ausdruck komme, in dem der ganze Reichtum der Tradition der Römischen Liturgie bewahrt ist. Ich bete für Euch. Ihr betet für mich.

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[1] Vgl. Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Dogmatische Konstitution über die Kirche Lumen gentium (21. November 1964), 23: AAS 57 (1965) 27.

[2] Kongregation für den Gottesdienst, Schreiben an die Vorsitzenden der Bischofskonferenzen Quattuor abhinc annos (3. Oktober 1984): AAS 76 (1984), 1088-1089.

[3] Johannes Paul II., Apostolisches Schreiben in Form eines Motu Proprio Ecclesia Dei (2. Juli 1988): AAS 80 (1998), 1495-1498.

[4] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 796.

[5] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 796.

[6] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 797.

[7] Benedikt XVI., Litt. Ap. Motu proprio datae “Summorum Pontificum” (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 779.

[8] Benedikt XVI., Litt. Ap. Motu proprio datae “Summorum Pontificum” (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 779.

[9] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 796.

[10] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 797.

[11] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 798.

[12] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 797-798.

[13] Benedikt XVI., Epistula ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani (7. Juli 2007): AAS 99 (2007), 796.

[14] Vgl. Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Dogmatische Konstitution über die Kirche Lumen gentium (21. November 1964), 23: AAS 57 (1965), 27.

[15] Vgl. Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, Series I, Volumen II, 1960.

[16] Pius XII., Litt. Encyc. Mediator Dei et hominum (20. November 1947): AAS 39 (1949), 521-595.

[17] Vgl. Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 1 und 14: AAS 56 (1964), 97.104.

[18] Vgl. Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 3: AAS 56 (1964), 98.

[19] Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 4: AAS 56 (1964), 98.

[20] Missale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, editio typica, 1970.

[21] Missale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica tertia, 2002 (reimpressio emendata, 2008).

[22] Vgl. Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 4: AAS 56 (1964), 98.

[23] 1Kor 1,12-13.

[24] Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 26: AAS 56 (1964), 107.

[25] Vgl. Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Dogmatische Konstitution über die Kirche Lumen gentium (21. November 1965), 14: AAS 57 (1965), 19.

[26] Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 6: AAS 56 (1964), 100.

[27] Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Dogmatische Konstitution über die Kirche Lumen gentium (21. November 1965), 23: AAS 57 (1965), 27.

[28] Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Konstitution über die heilige Liturgie Sacrosanctum Concilium (4. Dezember 1963), 48: AAS 56 (1964), 113.

[29] Vgl. Paul VI., Apostolische Konstitution Missale Romanum (3. April 1969), AAS 61 (1969), 222.

[30] Zweites Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Dogmatische Konstitution über die Kirche Lumen gentium (21. November 1965), 13: AAS 57 (1965), 18.

[01015-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

[B0469-XX.01]