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Messaggio del Santo Padre Francesco per la V Giornata Mondiale dei Poveri (14 novembre 2021), 14.06.2021


Messaggio del Santo Padre

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Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la V Giornata Mondiale dei Poveri che si celebra la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – quest’anno il 14 novembre – sul tema «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7):

Messaggio del Santo Padre

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
per la V Giornata Mondiale dei Poveri

14 novembre 2021, Domenica XXXIII del Tempo Ordinario


«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7)

1. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. Quel gesto suscitò grande stupore e diede adito a due diverse interpretazioni.

La prima è l’indignazione di alcuni tra i presenti, compresi i discepoli, i quali considerando il valore del profumo – circa 300 denari, equivalente al salario annuo di un lavoratore – pensano che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri. Secondo il Vangelo di Giovanni, è Giuda che si fa interprete di questa posizione: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». E l’evangelista annota: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (12,5-6). Non è un caso che questa dura critica venga dalla bocca del traditore: è la prova che quanti non riconoscono i poveri tradiscono l’insegnamento di Gesù e non possono essere suoi discepoli. Ricordiamo, in proposito, le parole forti di Origene: «Giuda sembrava preoccuparsi dei poveri […]. Se adesso c’è ancora qualcuno che ha la borsa della Chiesa e parla a favore dei poveri come Giuda, ma poi si prende quello che mettono dentro, abbia allora la sua parte insieme a Giuda» (Commento al vangelo di Matteo, 11, 9).

La seconda interpretazione è data da Gesù stesso e permette di cogliere il senso profondo del gesto compiuto dalla donna. Egli dice: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me» (Mc 14,6). Gesù sa che la sua morte è vicina e vede in quel gesto l’anticipo dell’unzione del suo corpo senza vita prima di essere posto nel sepolcro. Questa visione va al di là di ogni aspettativa dei commensali. Gesù ricorda loro che il primo povero è Lui, il più povero tra i poveri perché li rappresenta tutti. Ed è anche a nome dei poveri, delle persone sole, emarginate e discriminate che il Figlio di Dio accetta il gesto di quella donna. Ella, con la sua sensibilità femminile, mostra di essere l’unica a comprendere lo stato d’animo del Signore. Questa donna anonima, destinata forse per questo a rappresentare l’intero universo femminile che nel corso dei secoli non avrà voce e subirà violenze, inaugura la significativa presenza di donne che prendono parte al momento culminante della vita di Cristo: la sua crocifissione, morte e sepoltura e la sua apparizione da Risorto. Le donne, così spesso discriminate e tenute lontano dai posti di responsabilità, nelle pagine dei Vangeli sono invece protagoniste nella storia della rivelazione. Ed è eloquente l’espressione conclusiva di Gesù, che associa questa donna alla grande missione evangelizzatrice: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).

2. Questa forte “empatia” tra Gesù e la donna, e il modo in cui Egli interpreta la sua unzione, in contrasto con la visione scandalizzata di Giuda e di altri, aprono una strada feconda di riflessione sul legame inscindibile che c’è tra Gesù, i poveri e l’annuncio del Vangelo.

Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno (cfr Mt 5,3).

I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stesso. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la condivisione genera fratellanza. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura. La prima rischia di gratificare chi la compie e di umiliare chi la riceve; la seconda rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia. Insomma, i credenti, quando vogliono vedere di persona Gesù e toccarlo con mano, sanno dove rivolgersi: i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui.

Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro progetto di vita. Penso, tra gli altri, a Padre Damiano de Veuster, santo apostolo dei lebbrosi. Con grande generosità rispose alla chiamata di recarsi nell’isola di Molokai, diventata un ghetto accessibile solo ai lebbrosi, per vivere e morire con loro. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per rendere la vita di quei poveri malati ed emarginati, ridotti in estremo degrado, degna di essere vissuta. Si fece medico e infermiere, incurante dei rischi che correva e in quella “colonia di morte”, come veniva chiamata l’isola, portò la luce dell’amore. La lebbra colpì anche lui, segno di una condivisione totale con i fratelli e le sorelle per i quali aveva donato la vita. La sua testimonianza è molto attuale ai nostri giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus: la grazia di Dio è certamente all’opera nei cuori di tanti che, senza apparire, si spendono per i più poveri in una concreta condivisione.

4. Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Spesso i poveri sono considerati come persone separate, come una categoria che richiede un particolare servizio caritativo. Seguire Gesù comporta, in proposito, un cambiamento di mentalità, cioè di accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione. Diventare suoi discepoli implica la scelta di non accumulare tesori sulla terra, che danno l’illusione di una sicurezza in realtà fragile ed effimera. Al contrario, richiede la disponibilità a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità e beatitudine, per riconoscere ciò che è duraturo e non può essere distrutto da niente e nessuno (cfr Mt 6,19-20).

L’insegnamento di Gesù anche in questo caso va controcorrente, perché promette ciò che solo gli occhi della fede possono vedere e sperimentare con assoluta certezza: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo. Si tratta, pertanto, di aprirsi decisamente alla grazia di Cristo, che può renderci testimoni della sua carità senza limiti e restituire credibilità alla nostra presenza nel mondo.

5. Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà. Sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema economico che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale.

Lo scorso anno, inoltre, si è aggiunta un’altra piaga che ha moltiplicato ulteriormente i poveri: la pandemia. Essa continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà. I poveri sono aumentati a dismisura e, purtroppo, lo saranno ancora nei prossimi mesi. Alcuni Paesi stanno subendo per la pandemia gravissime conseguenze, così che le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento. Uno sguardo attento richiede che si trovino le soluzioni più idonee per combattere il virus a livello mondiale, senza mirare a interessi di parte. In particolare, è urgente dare risposte concrete a quanti patiscono la disoccupazione, che colpisce in maniera drammatica tanti padri di famiglia, donne e giovani. La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo molto importante in questo frangente.

6. Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata? Uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà, e spesso scarica sui poveri tutta la responsabilità della loro condizione. Ma la povertà non è frutto del destino, è conseguenza dell’egoismo. Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero! Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità. I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere. Quanti esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi! I poveri ci insegnano spesso la solidarietà e la condivisione. È vero, sono persone a cui manca qualcosa, spesso manca loro molto e perfino il necessario, ma non mancano di tutto, perché conservano la dignità di figli di Dio che niente e nessuno può loro togliere.

7. Per questo si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle statistiche e si pensa di commuovere con qualche documentario. La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona. È un’illusione da cui stare lontani quella di pensare che la libertà sia consentita e accresciuta per il possesso di denaro. Servire con efficacia i poveri provoca all’azione e permette di trovare le forme più adeguate per risollevare e promuovere questa parte di umanità troppe volte anonima e afona, ma con impresso in sé il volto del Salvatore che chiede aiuto.

8. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Non si tratta di alleggerire la nostra coscienza facendo qualche elemosina, ma piuttosto di contrastare la cultura dell’indifferenza e dell’ingiustizia con cui ci si pone nei confronti dei poveri.

In questo contesto fa bene ricordare anche le parole di San Giovanni Crisostomo: «Chi è generoso non deve chiedere conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora manchi del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. […] L’uomo misericordioso è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all’interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura» (Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).

9. È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento come lo sono le condizioni di vita. Oggi, infatti, nelle aree del mondo economicamente più sviluppate si è meno disposti che in passato a confrontarsi con la povertà. Lo stato di relativo benessere a cui ci si è abituati rende più difficile accettare sacrifici e privazioni. Si è pronti a tutto pur di non essere privati di quanto è stato frutto di facile conquista. Si cade così in forme di rancore, di nervosismo spasmodico, di rivendicazioni che portano alla paura, all’angoscia e in alcuni casi alla violenza. Non è questo il criterio su cui costruire il futuro; eppure, anche queste sono forme di povertà da cui non si può distogliere lo sguardo. Dobbiamo essere aperti a leggere i segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo contemporaneo. L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta.

Mi auguro che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano» (“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di salvezza.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2021,
Memoria di Sant’Antonio di Padova

FRANCESCO

[00829-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

MESSAGE DU SAINT-PÈRE
pour la Ve Journée mondiale des pauvres

14 novembre 2021, XXXIIIe dimanche du temps ordinaire

 

« Des pauvres, vous en aurez toujours avec vous» (Mc 14,7)

1. «Des pauvres, vous en aurez toujours avec vous » (Mc 14, 7). Jésus a prononcé ces paroles dans le cadre d’un repas à Béthanie, dans la maison d’un certain Simon dit «le lépreux», quelques jours avant la pâque. Comme le raconte l’évangéliste, une femme était entrée avec un vase d’albâtre rempli d’un parfum très précieux et l’avait versé sur la tête de Jésus. Ce geste avait suscité un grand étonnement et a donné lieu à deux interprétations différentes.

La première est l’indignation de certains parmi les personnes présentes, y compris les disciples qui, compte tenu de la valeur du parfum – environ 300 deniers, soit l’équivalent du salaire annuel d’un travailleur – pensent qu’il aurait été préférable de le vendre et de donner le produit aux pauvres. Selon l’Évangile de Jean, c’est Judas qui se fait l’interprète de cette position : «Pourquoi n’a-t-on pas vendu ce parfum pour trois cents deniers que l’on aurait donné à des pauvres ? » Et l’évangéliste note : «Il parlait ainsi, non par souci des pauvres, mais parce que c’était un voleur: comme il tenait la bourse commune, il prenait ce que l’on y mettait. » (12, 5-6). Ce n’est pas un hasard si cette critique sévère vient de la bouche du traître: c’est la preuve que ceux qui ne reconnaissent pas les pauvres trahissent l’enseignement de Jésus et ne peuvent pas être ses disciples. Rappelons-nous, à cet égard, les paroles fortes d’Origène: «Judas semblait se soucier des pauvres [...]. S’il y a maintenant encore quelqu’un qui détient la bourse de l’Église et qui parle en faveur des pauvres comme Judas, mais qui prend ce qu’on y met dedans, alors qu’il ait sa part avec Judas» (Commentaire à l’Évangile de Matthieu 11, 9).

La deuxième interprétation est donnée par Jésus lui-même et permet de saisir le sens profond du geste accompli par la femme. Il dit : «Laissez-la! Pourquoi la tourmenter ? Il est beau le geste qu’elle a fait envers moi» (Mc 14, 6). Jésus sait que sa mort est proche et voit dans ce geste l’anticipation de l’onction pour son corps sans vie avant qu’il ne soit placé au tombeau. Ce point de vue va au-delà de toute attente des convives. Jésus leur rappelle que le premier pauvre c’est Lui, le plus pauvre parmi les pauvres parce qu’il les représente tous. Et c’est aussi au nom des pauvres, des personnes seules, marginalisées et discriminées que le Fils de Dieu accepte le geste de cette femme. Par sa sensibilité féminine, elle montre qu’elle est la seule à comprendre l’état d’esprit du Seigneur. Cette femme anonyme - peut être destinée à représenter l’univers féminin tout entier qui, au fil des siècles, n’aura pas voix au chapitre et subira des violences - inaugure la présence significative des femmes qui participent aux événements culminants de la vie du Christ : sa crucifixion, sa mort et son ensevelissement ainsi que son apparition comme Ressuscité. Les femmes, si souvent discriminées et tenues à l’écart des postes de responsabilité, sont au contraire, dans les pages des Évangiles, protagonistes dans l’histoire de la révélation. Et l’expression finale de Jésus, qui associe cette femme à la grande mission évangélisatrice, est éloquente : «Amen, je vous le dis : partout où l’Évangile sera proclamé – dans le monde entier – on racontera, en souvenir d’elle, ce qu’elle vient de faire» (Mc 14, 9).

2. Cette forte “empathie” entre Jésus et la femme, et la façon dont il interprète son onction en contraste avec la vision scandalisée de Judas et des autres, ouvrent une voie féconde de réflexion sur le lien indissociable qui existe entre Jésus, les pauvres et l’annonce de l’Évangile.

Le visage de Dieu qu’il révèle est en effet, celui d’un Père pour les pauvres et proche des pauvres. Toute l’œuvre de Jésus affirme que la pauvreté n’est pas le fruit de la fatalité, mais le signe concret de sa présence parmi nous. Nous ne le trouvons pas quand et où nous le voulons, mais nous le reconnaissons dans la vie des pauvres, dans leur souffrance et leur misère, dans les conditions parfois inhumaines dans lesquelles ils sont forcés de vivre. Je ne me lasse pas de répéter que les pauvres sont de véritables évangélisateurs parce qu’ils ont été les premiers à être évangélisés et appelés à partager le bonheur du Seigneur et de son Royaume (cf. Mt 5, 3).

Les pauvres de toute condition et de toute latitude nous évangélisent, car ils nous permettent de redécouvrir de manière toujours nouvelle les traits les plus authentiques du visage du Père. «Ils ont beaucoup à nous enseigner. En plus de participer au sensus fidei, par leurs propres souffrances ils connaissent le Christ souffrant. Il est nécessaire que tous nous nous laissions évangéliser par eux. La nouvelle évangélisation est une invitation à reconnaître la force salvifique de leurs existences, et à les mettre au centre du cheminement de l’Église. Nous sommes appelés à découvrir le Christ en eux, à prêter notre voix à leurs causes, mais aussi à être leurs amis, à les écouter, à les comprendre et à accueillir la mystérieuse sagesse que Dieu veut nous communiquer à travers eux. Notre engagement ne consiste pas exclusivement en des actions ou des programmes de promotion et d’assistance; ce que l’Esprit suscite n’est pas un débordement d’activisme, mais avant tout une attention à l’autre qu’il considère comme un avec lui. Cette attention aimante est le début d’une véritable préoccupation pour sa personne, à partir de laquelle je désire chercher effectivement son bien» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, nn. 198-199).

3. Jésus est non seulement du côté des pauvres, mais partage avec eux le même sort. C’est aussi un enseignement fort pour ses disciples de tous les temps. Ses mots «les pauvres, vous en aurez toujours avec vous» indiquent aussi ceci : leur présence parmi nous est constante, mais elle ne doit pas conduire à une habitude qui devienne indifférence, mais impliquer dans un partage de vie qui n’admet pas de procurations. Les pauvres ne sont pas des personnes “extérieures” à la communauté, mais des frères et sœurs avec qui partager la souffrance, pour soulager leur malaise et leur marginalisation, pour qu’on leur rende la dignité perdue et qu’on leur assure l’inclusion sociale nécessaire. Par ailleurs, on sait qu’un geste de bienfaisance présuppose un bienfaiteur et quelqu’un qui en bénéficie, tandis que le partage engendre la fraternité. L’aumône est occasionnelle ; tandis que le partage est durable. La première risque de gratifier celui qui la fait et d’humilier celui qui la reçoit ; la seconde renforce la solidarité et pose les conditions nécessaires pour parvenir à la justice. Bref, les croyants, lorsqu’ils veulent voir Jésus en personne et le toucher de leurs mains, savent vers qui se tourner : les pauvres sont un sacrement du Christ, ils représentent sa personne et nous renvoient à lui.

Nous avons tant d’exemples de saints et de saintes qui ont fait du partage avec les pauvres leur projet de vie. Je pense, entre autres, au père Damien de Veuster, un saint apôtre des lépreux. Avec une grande générosité, il répondit à l’appel à se rendre sur l’île de Molokai, devenue un ghetto accessible uniquement aux lépreux, pour vivre et mourir avec eux. Il s’est retroussé les manches et fit tout pour rendre la vie de ces pauvres malades et marginalisés, réduits à une dégradation extrême, digne d’être vécue. Il se fit médecin et infirmier, inconscient des risques qu’il prenait et dans cette “colonie de la mort”, comme on appelait l’île, il a apporté la lumière de l’amour. La lèpre l’a également frappé, signe d’un partage total avec les frères et sœurs pour lesquels il avait fait don de sa vie. Son témoignage est très actuel en ces jours marqués par la pandémie de coronavirus : la grâce de Dieu est certainement à l’œuvre dans le cœur de beaucoup de personnes qui, dans la discrétion, se dépensent pour les plus pauvres dans un partage concret.

4. Nous devons donc adhérer avec une conviction totale à l’invitation du Seigneur : «Convertissez-vous et croyez en l’Évangile» (Mc 1, 15). Cette conversion consiste avant tout à ouvrir notre cœur afin de reconnaître les multiples expressions de pauvreté et à manifester le Royaume de Dieu par un mode de vie cohérent avec la foi que nous professons. Souvent, les pauvres sont considérés comme des personnes séparées, comme une catégorie qui demande un service de bienfaisance particulier. Suivre Jésus implique, à cet égard, un changement de mentalité, c’est-à-dire de relever le défi du partage et de la participation. Devenir ses disciples implique le choix de ne pas accumuler de trésors sur la terre, qui donnent l’illusion d’une sécurité, en réalité fragile et éphémère.

Au contraire, cela exige la disponibilité à se libérer de tout lien qui empêche d’atteindre le vrai bonheur et la béatitude, pour reconnaître ce qui est durable et ne peut être détruit par rien ni personne (cf. Mt 6, 19-20).

Ici l’enseignement de Jésus va aussi à contre-courant, car il promet ce que seuls les yeux de la foi peuvent voir et expérimenter avec une certitude absolue : «Celui qui aura quitté, à cause de mon nom, des maisons, des frères, des sœurs, un père, une mère, des enfants, ou une terre, recevra le centuple, et il aura en héritage la vie éternelle» (Mt 19, 29). Si l’on ne choisit pas de devenir pauvre de richesses éphémères, de pouvoir mondain et de vantardise, on ne pourra jamais donner sa vie par amour ; on vivra une existence morcelée, pleine de bonnes intentions, mais inefficace pour transformer le monde. Il s’agit donc de s’ouvrir résolument à la grâce du Christ, qui peut nous rendre témoins de sa charité sans limites et redonner de la crédibilité à notre présence dans le monde.

5. L’Évangile du Christ pousse à avoir une attention tout à fait particulière à l’égard des pauvres et demande de reconnaître les multiples, les trop nombreuses formes de désordre moral et social qui engendrent toujours de nouvelles formes de pauvreté. La conception selon laquelle les pauvres sont non seulement responsables de leur condition mais constituent un fardeau intolérable pour un système économique, qui place au centre l’intérêt de certaines catégories privilégiées, semble faire son chemin. Un marché qui ignore ou sélectionne les principes éthiques crée des conditions inhumaines qui frappent des personnes qui vivent déjà dans des conditions précaires. On assiste ainsi à la création de pièges toujours nouveaux de la misère et de l’exclusion, produits par des acteurs économiques et financiers sans scrupules, dépourvus de sens humanitaire et de responsabilité sociale.

L’année dernière, un autre fléau s’est ajouté, qui a encore multiplié les pauvres: la pandémie. Elle continue à frapper aux portes de millions de personnes et, quand elle n’apporte pas avec elle la souffrance et la mort, elle est quand même porteuse de pauvreté. Le nombre de pauvres a augmenté de manière démesurée et, malheureusement, cela sera encore dans les mois à venir. Certains pays subissent des conséquences très graves de la pandémie, de sorte que les personnes les plus vulnérables se retrouvent privées de biens de première nécessité. Les longues files d’attente devant les cantines pour les pauvres sont le signe tangible de cette aggravation. Un examen attentif exige que l’on trouve les solutions les plus appropriées pour lutter contre le virus au niveau mondial, sans viser des intérêts partisans. En particulier, il est urgent d’apporter des réponses concrètes à ceux qui souffrent du chômage, qui touche de façon dramatique de nombreux pères de famille, des femmes et des jeunes. La solidarité sociale et la générosité dont beaucoup, grâce à Dieu, sont capables, combinées à des projets clairvoyants de promotion humaine, apportent et apporteront une contribution très importante à cet égard.

6. La question qui n’est en rien évidente reste toutefois ouverte : comment peut-on apporter une réponse tangible aux millions de pauvres qui trouvent souvent comme seule réponse l’indifférence quand ce n’est pas de l’agacement ? Quelle voie de justice faut-il emprunter pour que les inégalités sociales puissent être surmontées et que la dignité humaine, si souvent bafouée, soit rétablie ? Un mode de vie individualiste est complice de la pauvreté, et décharge souvent sur les pauvres toute la responsabilité de leur condition. Mais la pauvreté n’est pas le fruit du destin, elle est une conséquence de l’égoïsme. Il est donc essentiel de mettre en place des processus de développement qui valorisent les capacités de tous, pour que la complémentarité des compétences et la diversité des rôles conduisent à une ressource commune de participation. Beaucoup de pauvreté des “riches” qui pourrait être guérie par la richesse des “pauvres”, si seulement ils se rencontraient et se connaissaient ! Personne n’est si pauvre qu’il ne puisse pas donner quelque chose de lui-même dans la réciprocité. Les pauvres ne peuvent pas être seulement ceux qui reçoivent ; ils doivent être mis dans la condition de pouvoir donner, parce qu’ils savent bien comment le faire. Combien d’exemples de partage sont sous nos yeux! Les pauvres nous enseignent souvent la solidarité et le partage. C’est vrai, ces gens manquent de quelque chose, ils leur manquent souvent beaucoup et même du nécessaire, mais ils ne manquent pas de tout, parce qu’ils conservent leur dignité d’enfants de Dieu que rien ni personne ne peut leur enlever.

7. C’est pourquoi une approche différente de la pauvreté s’impose. C’est un défi que les Gouvernements et les Institutions mondiales doivent relever avec un modèle social tourné vers l’avenir, capable de faire face aux nouvelles formes de pauvreté qui touchent le monde et qui marqueront de manière décisive les décennies à venir. Si les pauvres sont mis en marge, comme s’ils étaient les responsables de leur condition, alors le concept même de la démocratie est mis en crise et chaque politique sociale devient défaillante. Nous devrions avouer avec une grande humilité que nous sommes souvent des incompétents devant les pauvres. On parle d’eux de manière abstraite, on s’arrête aux statistiques et on s’émeut devant quelque documentaire. La pauvreté, au contraire, devrait entraîner une conception créative, permettant d’accroître la liberté effective de pouvoir réaliser l’existence avec les capacités propres à chaque personne. C’est une illusion, dont il faut rester à l'écart, que de penser que la liberté s’obtient et grandit par le fait de posséder de l’argent. Servir efficacement les pauvres provoque l’action et permet de trouver les formes les plus appropriées pour relever et promouvoir cette partie de l’humanité trop souvent anonyme et sans voix, mais qui a imprimé en elle le visage du Sauveur qui demande de l’aide.

8. «Des pauvres, vous en aurez toujours avec vous » (Mc 14, 7). C’est une invitation à ne jamais perdre de vue l’occasion qui se présente de faire le bien. En arrière-plan, on peut entrevoir l’ancien commandement biblique : « Se trouve-t-il chez toi un malheureux parmi tes frères [...], tu n’endurciras pas ton cœur et tu ne fermeras pas la main à ton frère malheureux, mais tu lui ouvriras tout grand la main et lui prêteras largement de quoi suffire à ses besoins. [...] Tu lui donneras largement, ce n'est pas à contrecœur que tu lui donneras. Pour ce geste, le Seigneur ton Dieu te bénira dans toutes tes actions et dans toutes tes entreprises. Certes, le malheureux ne disparaîtra pas de ce pays. Aussi je te donne ce commandement: tu ouvriras tout grand ta main pour ton frère quand il est, dans ton pays, pauvre et malheureux » (Dt 15, 7-8.10-11). Sur la même longueur d’onde, l’apôtre Paul exhorte les chrétiens de ses communautés à secourir les pauvres de la première communauté de Jérusalem et à le faire « sans regret et sans contrainte, car Dieu aime celui qui donne joyeusement » (2 Co 9, 7). Il ne s’agit pas d’alléger notre conscience en faisant quelque aumône, mais plutôt de s’opposer à la culture de l’indifférence et de l’injustice avec lesquelles on se place vis-à-vis des pauvres.

Dans ce contexte, il convient également de rappeler les paroles de saint Jean Chrysostome : «Celui qui est généreux ne doit pas demander des comptes sur la conduite, mais seulement améliorer la condition de pauvreté et satisfaire le besoin. Le pauvre n’a qu’une seule défense : sa pauvreté et la condition de besoin dans laquelle il se trouve. Ne lui demande rien d’autre. Mais que l’homme le plus mauvais du monde, s’il manque de la nourriture nécessaire, soit libéré de la faim. [...] L’homme miséricordieux est un port pour ceux qui sont dans le besoin : le port accueille et libère du danger tous les naufragés ; qu’ils soient malfaiteurs, bons ou qu'ils soient en danger, le port les met à l’abri à l’intérieur de sa crique. Toi aussi, donc, quand tu vois un homme sur la terre qui a fait le naufrage de la misère, ne juge pas, ne lui demande pas compte de sa conduite, mais libère-le du malheur.» (Discours sur le pauvre Lazare, II, 5).

9. Il est décisif d’accroître notre sensibilité afin de comprendre les besoins des pauvres, toujours en mutation comme le sont les conditions de vie. Aujourd’hui, en effet, dans les régions du monde économiquement plus développées, on est moins disposé que par le passé à faire face à la pauvreté. L’état de bien-être relatif auquel on s’est habitué rend plus difficile l’acceptation des sacrifices et des privations. On est prêt à tout pour ne pas être privé de tout ce qui a été le fruit d’une conquête facile. On tombe ainsi dans des formes de rancune, de nervosité spasmodique, de revendications qui conduisent à la peur, à la détresse et, dans certains cas, à la violence. Ce n’est pas le critère sur lequel construire l’avenir; et pourtant, ce sont aussi des formes de pauvreté dont on ne peut détourner le regard. Nous devons être ouverts à lire les signes des temps qui expriment de nouvelles façons d’être évangélisateur dans le monde contemporain. L’assistance immédiate pour aller à la rencontre des besoins des pauvres ne doit pas empêcher d’être clairvoyant pour réaliser de nouveaux signes de l’amour et de la charité chrétienne, comme réponse aux nouvelles pauvretés que l’humanité d’aujourd’hui expérimente.

J’espère que la Journée mondiale des pauvres, qui en est à sa cinquième célébration, pourra s’enraciner de plus en plus au cœur de nos Églises locales et provoquer un mouvement d’évangélisation qui rencontre en premier lieu les pauvres là où ils se trouvent. Nous ne pouvons pas attendre qu’ils frappent à notre porte, il est urgent que nous les atteignions chez eux, dans les hôpitaux et les résidences de soins, dans les rues et les coins sombres où ils se cachent parfois, dans les centres de refuge et d’accueil... Il est important de comprendre ce qu’ils ressentent, ce qu’ils éprouvent et quels désirs ils ont dans leur cœur. Faisons nôtres les paroles pressantes de Don Primo Mazzolari: «Je vous prie de ne pas me demander s’il y a des pauvres, qui ils sont et combien ils sont, parce que je crains que de telles questions ne représentent une distraction ou un prétexte pour s’éloigner d’une indication précise de la conscience et du cœur. [...] Je ne les ai jamais comptés, les pauvres, car on ne peut pas les compter : les pauvres s’embrassent, ils ne se comptent pas» (Adesso n. 7, 15 avril 1949). Les pauvres sont au milieu de nous. Comme ce serait évangélique si nous pouvions dire en toute vérité : nous sommes pauvres, nous aussi, et c’est seulement de cette manière que nous réussissons à les reconnaître réellement et les rendre partie intégrante de notre vie et instrument de salut.

Donné à Rome, Saint Jean de Latran, 13 juin 2021,
en la mémoire de Saint Antoine de Padoue

FRANÇOIS

[00829-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

MESSAGE OF HIS HOLINESS POPE FRANCIS
for the Fifth World Day of the Poor
14 November 2021, Thirty-third Sunday in Ordinary Time

“The poor you will always have with you” (Mk 14:7)

1. “The poor you will always have with you” (Mk 14:7). Jesus spoke these words at a meal in Bethany, in the home of a certain Simon, known as the leper, a few days before Passover. As the Evangelist recounts, a woman came in with an alabaster flask full of precious ointment and poured it over Jesus’ head. This caused great amazement and gave rise to two different interpretations.

The first was indignation on the part of some of those present, including the disciples, who, considering the value of the ointment – about 300 denarii, equivalent to the annual salary of a labourer – thought it should have been sold and the proceeds given to the poor. In Saint John’s Gospel, Judas takes this position: “Why was this ointment not sold for three hundred denarii and given to the poor?” Saint John goes on to note that Judas “said this not because he cared about the poor, but because he was a thief, and as he had the money box, he used to take what was put in it” (12:5-6). It was no accident that this harsh criticism came from the mouth of the traitor: it shows those who do not respect the poor betray Jesus’ teaching and cannot be his disciples. Origen has strong words in this regard: “Judas appeared to be concerned about the poor... If in our own day some hold the purse of the Church and, like Judas, speak out for the poor, but then take out what they put in, let them share in the lot of Judas” (Commentary on the Gospel of Matthew, 11, 9).

The second interpretation was that of Jesus, and it makes us appreciate the profound meaning of the woman’s act. He says, “Let her alone. Why do you trouble her? She has done a beautiful thing to me” (Mk 14:6). Jesus knows that his death is approaching, and he sees in her act an anticipation of the anointing of his lifeless body prior to its placement in the tomb. This was beyond anything the others present could imagine. Jesus was reminding them that he is the first of the poor, the poorest of the poor, because he represents all of them. It was also for the sake of the poor, the lonely, the marginalized and the victims of discrimination, that the Son of God accepted the woman’s gesture. With a woman’s sensitivity, she alone understood what the Lord was thinking. That nameless woman, meant perhaps to represent all those women who down the centuries would be silenced and suffer violence, thus became the first of those women who were significantly present at the supreme moments of Christ’s life: his crucifixion, death, burial and resurrection. Women, so often discriminated against and excluded from positions of responsibility, are seen in the Gospels to play a leading role in the history of revelation. Jesus’ then goes on to associate that woman with the great mission of evangelization: “Amen, I say to you, wherever the Gospel is proclaimed to the whole world, what she has done will be told in memory of her” (Mk 14:9).

2. This powerful “empathy” established between Jesus and the woman, and his own interpretation of her anointing as opposed to the scandalized view of Judas and others, can lead to a fruitful reflection on the inseparable link between Jesus, the poor and the proclamation of the Gospel.

The face of God revealed by Jesus is that of a Father concerned for and close to the poor. In everything, Jesus teaches that poverty is not the result of fate, but a concrete sign pointing to his presence among us. We do not find him when and where we want, but see him in the lives of the poor, in their sufferings and needs, in the often inhuman conditions in which they are forced to live. As I never tire of repeating, the poor are true evangelizers, for they were the first to be evangelized and called to share in the Lord's joy and his kingdom (cf. Mt 5:3).

The poor, always and everywhere, evangelize us, because they enable us to discover in new ways the true face of the Father. “They have much to teach us. Besides participating in the sensus fidei, they know the suffering Christ through their own sufferings. It is necessary that we all let ourselves be evangelized by them. The new evangelization is an invitation to recognize the salvific power of their lives and to place them at the centre of the Church’s journey. We are called to discover Christ in them, to lend them our voice in their causes, but also to be their friends, to listen to them, to understand them and to welcome the mysterious wisdom that God wants to communicate to us through them. Our commitment does not consist exclusively of activities or programmes of promotion and assistance; what the Holy Spirit mobilizes is not an unruly activism, but above all an attentiveness that considers the other in a certain sense as one with ourselves. This loving attentiveness is the beginning of a true concern for their person which inspires me effectively to seek their good” (Evangelii Gaudium, 198-199).

3. Jesus not only sides with the poor; he also shares their lot. This is a powerful lesson for his disciples in every age. This is the meaning of his observation that “the poor you will always have with you”. The poor will always be with us, yet that should not make us indifferent, but summon us instead to a mutual sharing of life that does not allow proxies. The poor are not people “outside” our communities, but brothers and sisters whose sufferings we should share, in an effort to alleviate their difficulties and marginalization, restore their lost dignity and ensure their necessary social inclusion. On the other hand, as we know, acts of charity presuppose a giver and a receiver, whereas mutual sharing generates fraternity. Almsgiving is occasional; mutual sharing, on the other hand, is enduring. The former risks gratifying those who perform it and can prove demeaning for those who receive it; the latter strengthens solidarity and lays the necessary foundations for achieving justice. In short, believers, when they want to see Jesus in person and touch him with their hands, know where to turn. The poor are a sacrament of Christ; they represent his person and point to him.

Many are the examples of saints who made mutual sharing with the poor their life project. I think, among others, of Father Damien de Veuster, the saintly apostle to the lepers. With great generosity, he answered the call to go to the island of Molokai, which had become a ghetto accessible only to lepers, to live and die with them. He rolled up his sleeves and did everything he could to improve the lives of those who were poor, ill and outcast. He became both doctor and nurse, heedless of the risks involved, and brought the light of love to that “colony of death”, as the island was then called. He himself contracted leprosy, which became the sign of his total sharing in the lot of the brothers and sisters for whom he had given his life. His testimony is most timely in our own days, marked by the coronavirus pandemic. The grace of God is surely at work in the hearts of all those who, without fanfare, spend themselves for the poorest, sharing with them in concrete ways.

4. We need, then, wholeheartedly to follow the Lord's invitation to “repent and believe in the Gospel” (Mk 1:15). This conversion consists primarily in opening our hearts to recognizing the many different forms of poverty and manifesting the Kingdom of God through a lifestyle consistent with the faith we profess. Often the poor are viewed as persons apart, as a “category” in need of specific charitable services. Yet following Jesus entails changing this way of thinking and embracing the challenge of mutual sharing and involvement. Christian discipleship entails deciding not to accumulate earthly treasures, which give the illusion of a security that is actually fragile and fleeting. It requires a willingness to be set free from all that holds us back from achieving true happiness and bliss, in order to recognize what is lasting, what cannot be destroyed by anyone or anything (cf. Mt 6:19-20).

Here too, Jesus’ teaching goes against the grain, for it promises what can only be seen and experienced with complete certainty by the eyes of faith. “Everyone who has left houses or brothers or sisters or father or mother or children or lands for my name’s sake will receive a hundredfold, and inherit eternal life” (Mt 19:29). Unless we choose to become poor in passing riches, worldly power and vanity, we will never be able to give our lives in love; we will live a fragmented existence, full of good intentions but ineffective for transforming the world. We need, therefore, to open ourselves decisively to the grace of Christ, which can make us witnesses of his boundless charity and restore credibility to our presence in the world.

5. Christ’s Gospel summons us to display special concern for the poor and to recognize the varied and excessive forms of moral and social disorder that are generating ever new forms of poverty. There seems to be a growing notion that the poor are not only responsible for their condition, but that they represent an intolerable burden for an economic system focused on the interests of a few privileged groups. A market that ignores ethical principles, or picks and chooses from among them, creates inhumane conditions for people already in precarious situations. We are now seeing the creation of new traps of poverty and exclusion, set by unscrupulous economic and financial actors lacking in a humanitarian sense and in social responsibility.

Last year we experienced yet another scourge that multiplied the numbers of the poor: the pandemic, which continues to affect millions of people and, even when it does not bring suffering and death, is nonetheless a portent of poverty. The poor have increased disproportionately and, tragically, they will continue to do so in the coming months. Some countries are suffering extremely severe consequences from the pandemic, so that the most vulnerable of their people lack basic necessities. The long lines in front of soup kitchens are a tangible sign of this deterioration. There is a clear need to find the most suitable means of combating the virus at the global level without promoting partisan interests. It is especially urgent to offer concrete responses to those who are unemployed, whose numbers include many fathers, mothers, and young people. Social solidarity and the generosity which many, thanks be to God, have shown are, together with far-sighted projects of human promotion, making a most important contribution at this juncture.

6. Nonetheless, one question, which is by no means obvious, remains. How can we give a tangible response to the millions of the poor who frequently encounter only indifference, if not resentment? What path of justice must be followed so that social inequalities can be overcome and human dignity, so often trampled upon, can be restored? Individualistic lifestyles are complicit in generating poverty, and often saddle the poor with responsibility for their condition. Yet poverty is not the result of fate; it is the result of selfishness. It is critical, therefore, to generate development processes in which the abilities of all are valued, so that complementarity of skills and diversity of roles can lead to a common resource of mutual participation. There are many forms of poverty among the “rich” that might be relieved by the wealth of the “poor”, if only they could meet and get to know each other! None are so poor that they cannot give something of themselves in mutual exchange. The poor cannot be only those who receive; they must be put in a position to give, because they know well how to respond with generosity. How many examples of sharing are before our eyes! The poor often teach us about solidarity and sharing. True, they may be people who lack some things, often many things, including the bare necessities, yet they do not lack everything, for they retain the dignity of God's children that nothing and no one can take away from them.

7. For this reason, a different approach to poverty is required. This is a challenge that governments and world institutions need to take up with a farsighted social model capable of countering the new forms of poverty that are now sweeping the world and will decisively affect coming decades. If the poor are marginalized, as if they were to blame for their condition, then the very concept of democracy is jeopardized and every social policy will prove bankrupt. With great humility, we should confess that we are often incompetent when it comes to the poor. We talk about them in the abstract; we stop at statistics and we think we can move people’s hearts by filming a documentary. Poverty, on the contrary, should motivate us to creative planning, aimed at increasing the freedom needed to live a life of fulfilment according to the abilities of each person. It is an illusion, which we should reject, to think that freedom comes about and grows through the possession of money. Serving the poor effectively moves us into action and makes it possible to find the most suitable ways of raising and promoting this part of humanity that all too often is anonymous and voiceless, but which has imprinted on it the face of the Saviour who asks for our help.

8. “The poor you will always have with you” (Mk 14:7). This is a summons never to lose sight of every opportunity to do good. Behind it, we can glimpse the ancient biblical command: “If one of your brothers and sisters… is in need, you shall not harden your heart nor close your hand to them in their need. Instead, you shall open your hand to them and freely lend them enough to meet their need… When you give to them, give freely and not with ill will; for the Lord, your God, will bless you for this in all your works and undertakings. For the needy will never be lacking in the land…” (Deut 15:7-8, 10-11). In a similar vein, the Apostle Paul urged the Christians of his communities to come to the aid of the poor of the first community of Jerusalem and to do so “without sadness or compulsion, for God loves a cheerful giver” (2 Cor 9:7). It is not a question of easing our conscience by giving alms, but of opposing the culture of indifference and injustice we have created with regard to the poor.

In this context, we do well to recall the words of Saint John Chrysostom: “Those who are generous should not ask for an account of the poor’s conduct, but only improve their condition of poverty and satisfy their need. The poor have only one plea: their poverty and the condition of need in which they find themselves. Do not ask anything else of them; but even if they are the most wicked persons in the world, if they lack the necessary nourishment, let us free them from hunger. ... The merciful are like a harbour for those in need: the harbour welcomes and frees from danger all those who are shipwrecked; whether they are evildoers, good persons, or whatever they may be, the harbour shelters them within its inlet. You, too, therefore, when you see on land a man or a woman who has suffered the shipwreck of poverty, do not judge, do not ask for an account of their conduct, but deliver them from their misfortune” (Discourses on the Poor Man Lazarus, II, 5).

9. It is crucial that we grow in our awareness of the needs of the poor, which are always changing, as are their living conditions. Today, in fact, in the more economically developed areas of the world, people are less willing than in the past to confront poverty. The state of relative affluence to which we have become accustomed makes it more difficult to accept sacrifices and deprivation. People are ready to do anything rather than to be deprived of the fruits of easy gain. As a result, they fall into forms of resentment, spasmodic nervousness and demands that lead to fear, anxiety and, in some cases, violence. This is no way to build our future; those attitudes are themselves forms of poverty which we cannot disregard. We need to be open to reading the signs of the times that ask us to find new ways of being evangelizers in the contemporary world. Immediate assistance in responding to the needs of the poor must not prevent us from showing foresight in implementing new signs of Christian love and charity as a response to the new forms of poverty experienced by humanity today.

It is my hope that the celebration of the World Day of the Poor, now in its fifth year, will grow in our local Churches and inspire a movement of evangelization that meets the poor personally wherever they may be. We cannot wait for the poor to knock on our door; we need urgently to reach them in their homes, in hospitals and nursing homes, on the streets and in the dark corners where they sometimes hide, in shelters and reception centres. It is important to understand how they feel, what they are experiencing and what their hearts desire. Let us make our own the heartfelt plea of Father Primo Mazzolari: “I beg you not to ask me if there are poor people, who they are and how many of them there are, because I fear that those questions represent a distraction or a pretext for avoiding a clear appeal to our consciences and our hearts... I have never counted the poor, because they cannot be counted: the poor are to be embraced, not counted” (“Adesso” n. 7 – 15 April 1949). The poor are present in our midst. How evangelical it would be if we could say with all truth: we too are poor, because only in this way will we truly be able to recognize them, to make them part of our lives and an instrument of our salvation.

Rome, Saint John Lateran, 13 June 2021,
Memorial of Saint Anthony of Padua

FRANCIS

[00829-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

BOTSCHAFT DES HEILIGEN VATERS
zum V. Welttag der Armen

14. November 2021, 33. Sonntag im Jahreskreis

»Die Armen habt ihr immer bei euch« (Mk 14,7)

1. »Die Armen habt ihr immer bei euch« (Mk 14,7). Jesus spricht diese Worte wenige Tage vor dem Pascha-Fest bei einem Mahl in Bethanien im Haus eines gewissen Simon »des Aussätzigen«. Wie der Evangelist erzählt, war eine Frau mit einem Alabastergefäß voll wohlriechenden Öls gekommen und hatte es über Jesu Haupt gegossen. Diese Geste rief große Verwunderung hervor und gab Anlass zu zwei verschiedenen Interpretationen.

Die erste ist die Entrüstung einiger Anwesender, die Jünger eingeschlossen, die angesichts des Werts dieses Öls – etwa 300 Denare, was dem Jahreslohn eines Arbeiters entsprach – meinen, dass es besser gewesen wäre, es zu verkaufen und den Erlös den Armen zu geben. Im Johannesevangelium ist es Judas, der diese Position vertritt: »Warum hat man dieses Öl nicht für dreihundert Denare verkauft und den Erlös den Armen gegeben?« Und der Evangelist merkt an: »Das sagte er aber nicht, weil er ein Herz für die Armen gehabt hätte, sondern weil er ein Dieb war; er hatte nämlich die Kasse und veruntreute die Einkünfte« (12,5-6). Nicht ohne Grund kommt diese harte Kritik aus dem Mund des Verräters: Es beweist, dass derjenige, der die Armen nicht anerkennt, die Lehre Jesu verrät und nicht sein Jünger sein kann. Erinnern wir uns diesbezüglich an die harten Worte von Origenes: »Judas scheint sich der Armen anzunehmen […]. Wenn es jetzt noch jemanden gibt, der die Kasse der Kirche verwaltet und zugunsten der Armen spricht wie Judas, sich aber dann nimmt, was hineingetan wird, dem soll zusammen mit Judas sein Los bestimmt sein« (Kommentar zum Matthäusevangelium, 11, 9).

Die zweite Deutung gibt Jesus selbst, und sie erlaubt es, den tiefen Sinn dieser von der Frau vollzogenen Geste zu verstehen. Er sagt: »Hört auf! Warum lasst ihr sie nicht in Ruhe? Sie hat ein gutes Werk an mir getan« (Mk 14,6). Jesus weiß, dass sein Tod nahe ist, und er sieht in dieser Geste eine Vorwegnahme der Salbung seines Leichnams vor der Grablegung. Diese Sicht übersteigt alle Vorstellungen der Tischgenossen. Jesus erinnert sie daran, dass er selbst der erste Arme ist, der Ärmste unter den Armen, weil er für alle Armen steht. Und auch im Namen der Armen, der Einsamen, der Ausgegrenzten und Diskriminierten akzeptiert der Sohn Gottes die Geste jener Frau. Mit ihrer weiblichen Sensibilität zeigt sie, dass sie die einzige ist, die den Gemütszustand des Herrn versteht. Mit dieser namenlosen Frau – die deshalb vielleicht dazu bestimmt ist, das gesamte weibliche Universum zu repräsentieren, das im Lauf der Jahrhunderte keine Stimme hat und Gewalt erleidet – beginnt die bedeutsame Anwesenheit von Frauen, die am Höhepunkt des Lebens Christi Anteil nehmen: an seiner Kreuzigung, seinem Tod, seiner Grablegung und seiner Erscheinung als Auferstandener. Die Frauen, die häufig diskriminiert und denen verantwortungsvolle Posten vorenthalten wurden und werden, sind auf den Seiten der Evangelien dagegen Protagonistinnen in der Geschichte der Offenbarung. Und vielsagend ist das abschließende Wort Jesu, der diese Frau mit der großen Mission der Evangelisierung in Zusammenhang bringt: »Amen, ich sage euch: Auf der ganzen Welt, wo das Evangelium verkündet wird, wird man auch erzählen, was sie getan hat, zu ihrem Gedächtnis« (Mk 14,9).

2. Diese starke „Empathie“ zwischen Jesus und der Frau und die Art und Weise, wie er im Gegensatz zur empörten Sicht von Judas und den anderen die Salbung deutet, erschließen einen fruchtbaren Weg der Reflexion über die untrennbare Verbindung, die zwischen Jesus, den Armen und der Verkündigung des Evangeliums besteht.

Denn das Antlitz Gottes, das er offenbart, ist das Antlitz eines Vaters für die Armen, ein den Armen nahes Antlitz. Das gesamte Wirken Jesu bestätigt, dass Armut nicht die Folge schicksalhaften Unglücks ist, sondern konkretes Zeichen seiner Gegenwart unter uns. Wir finden ihn nicht, wann und wo wir wollen, sondern wir erkennen ihn im Leben der Armen, in ihrem Leiden, ihrer Bedürftigkeit, in den zuweilen unmenschlichen Situationen, in denen zu leben sie gezwungen sind. Ich werde nicht müde zu wiederholen, dass die Armen wahrhaft evangelisieren, weil sie zuerst evangelisiert und berufen wurden, die Seligkeit des Herrn und sein Reich zu teilen (vgl. Mt 5,3).

Die Armen jeglicher Situation und auf der ganzen Welt evangelisieren uns, weil sie es uns ermöglichen, auf immer neue Weise die wahren Züge des väterlichen Antlitzes zu entdecken. »Sie haben uns vieles zu lehren. Sie haben nicht nur Teil am sensus fidei, sondern kennen außerdem dank ihrer eigenen Leiden den leidenden Christus. Es ist nötig, dass wir alle uns von ihnen evangelisieren lassen. Die neue Evangelisierung ist eine Einladung, die heilbringende Kraft ihrer Leben zu erkennen und sie in den Mittelpunkt des Weges der Kirche zu stellen. Wir sind aufgerufen, Christus in ihnen zu entdecken, uns zu Wortführern ihrer Interessen zu machen, aber auch ihre Freunde zu sein, sie anzuhören, sie zu verstehen und die geheimnisvolle Weisheit anzunehmen, die Gott uns durch sie mitteilen will. Unser Einsatz besteht nicht ausschließlich in Taten oder in Förderungs- und Hilfsprogrammen; was der Heilige Geist in Gang setzt, ist nicht ein übertriebener Aktivismus, sondern vor allem eine aufmerksame Zuwendung zum anderen, indem man ihn als eines Wesens mit sich selbst betrachtet. Diese liebevolle Zuwendung ist der Anfang einer wahren Sorge um seine Person, und von dieser Basis aus bemühe ich mich dann wirklich um sein Wohl« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 198-199).

3. Jesus steht nicht nur auf der Seite der Armen, sondern er teilt mit ihnen das gleiche Schicksal. Das ist eine eindringliche Lehre auch für seine Jünger aller Zeiten. Sein Wort „Die Armen habt ihr immer bei euch“ weist auch darauf hin: Ihre Gegenwart unter uns ist ständig gegeben, aber sie darf nicht zur Gewohnheit werden, die zur Gleichgültigkeit führt, sondern muss vielmehr zu einem Teilen des Lebens führen, das nicht an andere delegiert werden kann. Die Armen sind keine „Außenstehenden“ in Bezug auf die Gemeinschaft, sondern Brüder und Schwestern, deren Leid geteilt werden muss, um ihre Not und Ausgrenzung zu lindern, damit ihnen so die verlorene Würde zurückgegeben und die notwendige soziale Inklusion gesichert wird. Zudem ist bekannt, dass eine wohltätige Geste einen Wohltäter und einen Empfänger der Wohltat voraussetzt, während das Teilen Geschwisterlichkeit wachsen lässt. Das Almosen ist etwas Gelegentliches; Teilen ist dagegen dauerhaft. Ersteres birgt die Gefahr, den, der es gibt, zufriedenzustellen, und den, der es empfängt, zu demütigen. Das Teilen hingegen stärkt die Solidarität und schafft die notwendigen Voraussetzungen, um Gerechtigkeit zu erreichen. Kurz gesagt: Wenn die Gläubigen Jesus persönlich sehen und ihn mit Händen greifen wollen, dann wissen sie, wohin sie sich wenden müssen, denn die Armen sind das Sakrament Christi, sie repräsentieren seine Person und verweisen auf ihn.

Wir haben viele Beispiele heiliger Männer und Frauen, die das Teilen mit den Armen zu ihrem Lebensprogramm gemacht haben. Ich denke unter anderen an Pater Damian de Veuster, den heiligen Apostel der Leprakranken. Großherzig antwortete er auf den Ruf, sich auf die Insel Molokai zu begeben, die zu einem nur für Leprakranke zugänglichen Ghetto geworden war, um mit ihnen zu leben und zu sterben. Er machte sich an die Arbeit und tat alles, um dem Leben jener kranken und ausgegrenzten Armen in größter Verelendung Würde zu verleihen. Er wurde zum Arzt und Krankenpfleger, unbekümmert um die Risiken, die er einging, und brachte in jene „Todeskolonie“, wie die Insel genannt wurde, das Licht der Liebe. Die Lepra befiel auch ihn, Zeichen vollkommenen Teilens mit den Brüdern und Schwestern, für die er das Leben hingegeben hatte. Sein Zeugnis ist hochaktuell in unseren Tagen, die von der Coronavirus-Pandemie gezeichnet sind: Die Gnade Gottes ist sicherlich in den Herzen der vielen am Werk, die sich in aller Stille durch konkretes Teilen für die Ärmsten aufopfern.

            4. Wir müssen also mit ganzer Überzeugung der Aufforderung des Herrn folgen: »Kehrt um und glaubt an das Evangelium!« (Mk 1,15). Diese Umkehr besteht in erster Linie darin, unser Herz zu öffnen, um die vielfältigen Formen der Armut zu erkennen und das Reich Gottes durch einen Lebensstil zu bezeugen, der mit dem Glauben, den wir bekennen, übereinstimmt. Häufig werden die Armen als von uns getrennte Menschen betrachtet, als Kategorie, die einen besonderen karitativen Dienst erfordert. Jesus nachzufolgen bedeutet in diesem Zusammenhang auch einen Mentalitätswandel, das heißt, die Herausforderung des Teilens und der Teilnahme zu akzeptieren. Seine Jünger zu werden, das umfasst die Entscheidung, auf der Erde keine Schätze anzuhäufen, die die Illusion einer in Wirklichkeit zerbrechlichen und vergänglichen Sicherheit vorgaukeln. Vielmehr erfordert es die Bereitschaft, sich von jeder Bindung zu befreien, die das Erreichen des wahren Glücks und der wahren Seligkeit verhindert, um das zu erkennen, was dauerhaft ist und von nichts und niemandem zerstört werden kann (vgl. Mt 6,19-20).

Die Lehre Jesu geht auch in diesem Fall gegen den Strom, weil sie verheißt, was nur die Augen des Glaubens sehen und mit absoluter Gewissheit erfahren können: »Und jeder, der um meines Namens willen Häuser oder Brüder oder Schwestern oder Vater oder Mutter oder Kinder oder Äcker verlassen hat, wird dafür das Hundertfache erhalten und das ewige Leben erben« (Mt 19,29). Wenn man sich nicht entscheidet, arm an vergänglichem Reichtum, an weltlicher Macht und Eitelkeit zu werden, dann wird man niemals in der Lage sein, das Leben aus Liebe hinzugeben; man wird eine zersplitterte Existenz leben, voll guter Vorsätze, aber unwirksam für eine Veränderung der Welt. Daher geht es darum, sich entschieden der Gnade Christi zu öffnen, die uns zu Zeugen seiner grenzenlosen Liebe machen und unserer Gegenwart in der Welt neue Glaubwürdigkeit verleihen kann.

            5. Das Evangelium Christi drängt uns, eine ganz besondere Aufmerksamkeit für die Armen zu haben, und es erfordert, die vielfachen – zu vielen – Formen moralischer und sozialer Unordnung zu erkennen, die stets neue Formen der Armut hervorrufen. Es scheint sich immer mehr die Auffassung durchzusetzen, dass die Armen nicht nur für ihre Situation selbst verantwortlich sind, sondern dass sie auch eine unerträgliche Last für ein Wirtschaftssystem darstellen, das die Interessen einiger privilegierter Gruppen in den Mittelpunkt stellt. Ein Markt, der die ethischen Prinzipien ignoriert oder selektiv betrachtet, schafft unmenschliche Bedingungen, welche Menschen in Mitleidenschaft ziehen, die bereits in prekären Verhältnissen leben. So entstehen immer neue Fallstricke des Elends und der Ausgrenzung, die von skrupellosen Wirtschafts- und Finanzakteuren ohne humanitäres Bewusstsein und ohne soziale Verantwortung verursacht werden.

Im vergangenen Jahr kam eine weitere Plage hinzu, die die Zahl der Armen noch mehr ansteigen ließ: die Pandemie. Sie klopft weiterhin an die Türen von Millionen von Menschen, und auch wo sie nicht Leid und Tod mit sich bringt, ist sie jedenfalls ein Vorbote der Armut. Die Zahl der Armen hat überdurchschnittlich zugenommen, und das wird leider auch in den kommenden Monaten der Fall sein. Einige Länder leiden unter gravierendsten Folgen der Pandemie, so dass die Schwächsten sich selbst des Allernötigsten beraubt sehen. Die langen Warteschlangen vor den Essensausgaben für Arme sind ein sichtbares Zeichen für diese Verschlechterung. Ein aufmerksamer Blick verlangt, dass geeignete Lösungen gefunden werden, um das Virus auf Weltebene zu bekämpfen, ohne Partikularinteressen nachzugeben. Insbesondere ist es dringend notwendig, denen konkrete Antworten zu geben, die unter den Folgen der Arbeitslosigkeit leiden, die auf dramatische Weise so viele Familienväter, Frauen und junge Menschen trifft. Die soziale Solidarität und die Großherzigkeit, zu der viele, Gott sei Dank, fähig sind, leisten in Verbindung mit weitblickenden Projekten der menschlichen Förderung schon jetzt einen sehr wichtigen Beitrag in diesem Bereich und werden dies weiterhin tun.

6. Dennoch bleibt die keineswegs selbstverständliche Frage offen: Wie ist es möglich, den Millionen Armen eine konkrete Antwort zu geben, denen häufig nur Gleichgültigkeit, wenn nicht sogar Verdruss entgegenschlägt? Welcher Weg der Gerechtigkeit ist einzuschlagen, damit die sozialen Ungleichheiten überwunden werden können und ihnen die so oft mit Füßen getretene Menschenwürde zurückgegeben werden kann? Ein individualistischer Lebensstil ist mitschuldig an der Entstehung von Armut und schiebt den Armen oft die gesamte Verantwortung für ihre Situation zu. Aber Armut ist nicht das Ergebnis des Schicksals, sie ist die Folge von Egoismus. Daher ist es entscheidend, Entwicklungsprozesse anzustoßen, bei denen die Fähigkeiten aller genutzt und geschätzt werden, damit die Komplementarität der Kompetenzen und die Verschiedenheit der Rollen zu einer gemeinsamen Ressource der Teilnahme führt. Es gibt viele Formen der Armut bei den „Reichen“, die durch den Reichtum der „Armen“ geheilt werden könnten, wenn sie nur einander begegnen und sich kennenlernen würden! Niemand ist so arm, dass er nicht wechselseitig etwas von sich selbst geben könnte. Die Armen dürfen nicht nur Empfangende sein; sie müssen in die Lage versetzt werden, geben zu können, denn sie wissen sehr gut, wie man dem entspricht. Wie viele Beispiele des Teilens haben wir vor Augen! Die Armen lehren uns häufig Solidarität und das Teilen. Es ist wahr, es sind Menschen, denen etwas fehlt, häufig fehlt ihnen viel und sogar das Notwendige, aber es fehlt ihnen nicht alles, denn ihnen bleibt die Würde der Gotteskinder, die ihnen nichts und niemand nehmen kann.

7. Daher ist ein anderer Umgang mit der Armut notwendig. Es ist eine Herausforderung, die die Regierungen und globalen Institutionen mit einem weitblickenden sozialen Modell in Angriff nehmen müssen, das in der Lage ist, den neuen Formen der Armut zu begegnen, die die ganze Welt betreffen und die kommenden Jahrzehnte entscheidend prägen werden. Wenn die Armen an den Rand gedrängt werden, als wären sie schuld an ihrer Situation, dann gerät das Konzept der Demokratie selbst in die Krise und jegliche Sozialpolitik ist zum Scheitern verurteilt. Mit großer Demut sollten wir bekennen, dass wir angesichts der Armen oft inkompetent sind. Man spricht von ihnen in abstrakter Weise, beschränkt sich auf Statistiken und meint, mit einigen Dokumentarfilmen die Menschen zu rühren. Armut sollte im Gegenteil zu einer kreativen Projektplanung anregen, die eine größere effektive Freiheit möglich macht, durch die jeder Mensch sein Leben mit den eigenen Fähigkeiten verwirklichen kann. Eine Illusion, vor der man sich hüten sollte, ist, zu denken, dass Freiheit durch den Besitz von Geld ermöglicht und vergrößert wird. Den Armen wirksam zu dienen veranlasst zum Handeln und erlaubt es, die geeignetsten Wege zu finden, um diesen Teil der Menschheit wiederaufzurichten und zu fördern, der allzu oft namen- und stimmlos ist, dem aber das Antlitz des um Hilfe flehenden Erlösers eingeprägt ist.

8. »Die Armen habt ihr immer bei euch« (Mk 14,7). Das ist eine Aufforderung, niemals die sich bietende Gelegenheit, Gutes zu tun, aus den Augen zu verlieren. Dahinter ist das alte biblische Gebot zu erkennen: »Wenn bei dir ein Armer lebt, irgendeiner deiner Brüder […], dann sollst du nicht hartherzig sein und sollst deinem armen Bruder deine Hand nicht verschließen. Du sollst ihm deine Hand öffnen und ihm gegen Pfand leihen, was der Not, die ihn bedrückt, abhilft. […] Du sollst ihm etwas geben, und wenn du ihm gibst, soll auch dein Herz nicht böse darüber sein; denn wegen dieser Tat wird dich der Herr, dein Gott, segnen in allem, was du arbeitest, und in allem, was deine Hände schaffen. Die Armen werden niemals ganz aus deinem Land verschwinden« (Dtn 15,7-8.10-11). Auf derselben Linie bewegt sich der Apostel Paulus, wenn er die Christen seiner Gemeinden aufruft, den Armen der ersten Gemeinde in Jerusalem zu Hilfe zu kommen und dies »nicht verdrossen und nicht unter Zwang [zu tun]; denn Gott liebt einen fröhlichen Geber« (2 Kor 9,7). Es geht nicht darum, unser Gewissen zu beruhigen, indem wir Almosen geben, sondern vielmehr darum, der Kultur der Gleichgültigkeit und Ungerechtigkeit gegenüber den Armen entgegenzutreten.

In diesem Zusammenhang ist es gut, auch an die Worte des heiligen Johannes Chrysostomus zu erinnern: »Wer nämlich ein Werk großherziger Menschenfreundlichkeit üben will, muss von dem Bedürftigen keine Rechenschaft über seinen Lebenswandel fordern, sondern nur seiner Armut aufhelfen und seine Bedürfnisse stillen. Der Arme hat einen einzigen Fürsprecher, und dieser ist eben seine Armut und Hilfsbedürftigkeit; und darum sollst du bei ihm nach nichts Weiterem fragen. Und wenn er auch ein großer Sünder wäre, aber an der nötigen Nahrung Mangel litte, so sollen wir doch seinen Hunger stillen. […] Der Barmherzige ist ein Hafen der Notleidenden; ein Hafen aber nimmt alle Schiffbrüchigen ohne Unterschied auf und rettet sie aus der Gefahr. Mögen sie Gerechte oder Ungerechte oder was auch immer sein, so sie nur in Gefahr sind, nimmt er sie in seine rettende Bucht auf. Wenn nun auch du einen Menschen am Boden siehst, der in den Schiffbruch der Armut geraten ist, so sitze nicht über ihn zu Gericht und fordere nicht Rechenschaft von ihm, sondern rette ihn aus seinem Unglück« (De Lazaro, II, 5).

9. Entscheidend ist eine wachsende Sensibilität, um die Bedürfnisse der Armen zu verstehen, die – ebenso wie die Lebensbedingungen – in beständiger Veränderung begriffen sind. Heute ist man in der Tat in den ökonomisch entwickelteren Gegenden der Welt weniger als in der Vergangenheit bereit, sich mit der Armut auseinanderzusetzen. Die Situation relativen Wohlstands, an den man sich gewöhnt hat, macht es schwieriger, Opfer und Verzicht zu akzeptieren. Man ist zu allem bereit, um nur nicht das zu verlieren, was man leicht erreicht hat. So gerät man in verschiedene Formen von Unmut, von krampfhafter Nervosität und von Ansprüchen, die zu Furcht, Angst und in manchen Fällen zu Gewalt führen. Das ist nicht das Kriterium, auf das man die Zukunft aufbauen kann; und doch sind auch dies Formen der Armut, die man nicht übersehen darf. Wir müssen offen sein, die Zeichen der Zeit zu deuten, die Ausdruck sind für neue Modalitäten, wie man die Welt von heute evangelisieren kann. Die unmittelbare Hilfe für die Nöte der Armen darf kein Hindernis sein für einen Weitblick, um neue Zeichen der Liebe und christlicher Caritas zu verwirklichen, als Antwort auf die neuen Formen der Armut, die die Menschheit heute erlebt.

Ich hoffe, dass der Welttag der Armen, der nun schon zum fünften Mal begangen wird, in unseren Ortskirchen immer mehr Wurzeln schlagen und sich einer Bewegung der Evangelisierung öffnen möge, die den Armen in erster Linie dort begegnet, wo sie sind. Wir dürfen nicht darauf warten, dass sie an unsere Tür klopfen; es ist dringend notwendig, dass wir sie in ihren Häusern erreichen, in Krankenhäusern und Pflegeheimen, auf der Straße und in den dunklen Winkeln, wo sie sich manchmal verstecken, in Notunterkünften und Aufnahmezentren ... Es ist wichtig zu verstehen, wie sie sich fühlen, was sie empfinden und welche Wünsche sie im Herzen tragen. Machen wir uns die eindringlichen Worte von Don Primo Mazzolari zu eigen: »Ich möchte euch bitten, mich nicht zu fragen, ob es arme Menschen gibt, wer sie sind und wie viele es sind, denn ich fürchte, dass solche Fragen eine Ablenkung oder einen Vorwand darstellen, um einem klaren Hinweis des Gewissens und des Herzens auszuweichen. [...] Ich habe die Armen nie gezählt, weil sie nicht gezählt werden können: Die Armen müssen umarmt, nicht gezählt werden« („Adesso“ Nr. 7, 15. April 1949). Die Armen sind mitten unter uns. Wie sehr würde es dem Evangelium entsprechen, wenn wir in aller Wahrheit sagen könnten: Auch wir sind arm. Denn nur so kann es uns gelingen, dass wir sie wirklich anerkennen und sie zu einem Teil unseres Lebens und zu Werkzeugen des Heils werden lassen.

Rom, St. Johannes im Lateran, am 13. Juni 2021,
dem Gedenktag des heiligen Antonius von Padua

Franziskus

[00829-DE.01] [Originalsprache: Italien]

Traduzione in lingua spagnola

MENSAJE DEL SANTO PADRE
para la V Jornada Mundial de los Pobres

14 de noviembre de 2021, Domingo XXXIII del Tiempo Ordinario

«A los pobres los tienen siempre con ustedes» (Mc 14,7)

1. «A los pobres los tienen siempre con ustedes» (Mc 14,7). Jesús pronunció estas palabras en el contexto de una comida en Betania, en casa de un tal Simón, llamado “el leproso”, unos días antes de la Pascua. Según narra el evangelista, una mujer entró con un frasco de alabastro lleno de un perfume muy valioso y lo derramó sobre la cabeza de Jesús. Ese gesto suscitó gran asombro y dio lugar a dos interpretaciones diversas.

La primera fue la indignación de algunos de los presentes, entre ellos los discípulos que, considerando el valor del perfume —unos 300 denarios, equivalentes al salario anual de un obrero— pensaron que habría sido mejor venderlo y dar lo recaudado a los pobres. Según el Evangelio de Juan, fue Judas quien se hizo intérprete de esta opinión: «¿Por qué no se ha vendido este perfume por trescientos denarios para darlos a los pobres?». Y el evangelista señala: «Esto no lo dijo porque le importaran los pobres, sino porque era ladrón y, como tenía la bolsa del dinero en común, robaba de lo que echaban en ella» (12,5-6). No es casualidad que esta dura crítica salga de la boca del traidor, es la prueba de que quienes no reconocen a los pobres traicionan la enseñanza de Jesús y no pueden ser sus discípulos. A este respecto, recordamos las contundentes palabras de Orígenes: «Judas parecía preocuparse por los pobres [...]. Si ahora todavía hay alguien que tiene la bolsa de la Iglesia y habla a favor de los pobres como Judas, pero luego toma lo que ponen dentro, entonces, que tenga su parte junto a Judas» (Comentario al Evangelio de Mateo, XI, 9).

La segunda interpretación la dio el propio Jesús y permite captar el sentido profundo del gesto realizado por la mujer. Él dijo: «¡Déjenla! ¿Por qué la molestan? Ha hecho una obra buena conmigo» (Mc 14,6). Jesús sabía que su muerte estaba cercana y vio en ese gesto la anticipación de la unción de su cuerpo sin vida antes de ser depuesto en el sepulcro. Esta visión va más allá de cualquier expectativa de los comensales. Jesús les recuerda que el primer pobre es Él, el más pobre entre los pobres, porque los representa a todos. Y es también en nombre de los pobres, de las personas solas, marginadas y discriminadas, que el Hijo de Dios aceptó el gesto de aquella mujer. Ella, con su sensibilidad femenina, demostró ser la única que comprendió el estado de ánimo del Señor. Esta mujer anónima, destinada quizá por esto a representar a todo el universo femenino que a lo largo de los siglos no tendrá voz y sufrirá violencia, inauguró la significativa presencia de las mujeres que participan en el momento culminante de la vida de Cristo: su crucifixión, muerte y sepultura, y su aparición como Resucitado. Las mujeres, tan a menudo discriminadas y mantenidas al margen de los puestos de responsabilidad, en las páginas de los Evangelios son, en cambio, protagonistas en la historia de la revelación. Y es elocuente la expresión final de Jesús, que asoció a esta mujer a la gran misión evangelizadora: «Les aseguro que, para honrar su memoria, en cualquier parte del mundo donde se proclame la Buena Noticia se contará lo que ella acaba de hacer conmigo» (Mc 14,9).

2. Esta fuerte “empatía” entre Jesús y la mujer, y el modo en que Él interpretó su unción, en contraste con la visión escandalizada de Judas y de los otros, abre un camino fecundo de reflexión sobre el vínculo inseparable que hay entre Jesús, los pobres y el anuncio del Evangelio.

El rostro de Dios que Él revela, de hecho, es el de un Padre para los pobres y cercano a los pobres. Toda la obra de Jesús afirma que la pobreza no es fruto de la fatalidad, sino un signo concreto de su presencia entre nosotros. No lo encontramos cuando y donde quisiéramos, sino que lo reconocemos en la vida de los pobres, en su sufrimiento e indigencia, en las condiciones a veces inhumanas en las que se ven obligados a vivir. No me canso de repetir que los pobres son verdaderos evangelizadores porque fueron los primeros en ser evangelizados y llamados a compartir la bienaventuranza del Señor y su Reino (cf. Mt 5,3).

Los pobres de cualquier condición y de cualquier latitud nos evangelizan, porque nos permiten redescubrir de manera siempre nueva los rasgos más genuinos del rostro del Padre. «Ellos tienen mucho que enseñarnos. Además de participar del sensus fidei, en sus propios dolores conocen al Cristo sufriente. Es necesario que todos nos dejemos evangelizar por ellos. La nueva evangelización es una invitación a reconocer la fuerza salvífica de sus vidas y a ponerlos en el centro del camino de la Iglesia. Estamos llamados a descubrir a Cristo en ellos, a prestarles nuestra voz en sus causas, pero también a ser sus amigos, a escucharlos, a interpretarlos y a recoger la misteriosa sabiduría que Dios quiere comunicarnos a través de ellos. Nuestro compromiso no consiste exclusivamente en acciones o en programas de promoción y asistencia; lo que el Espíritu moviliza no es un desborde activista, sino ante todo una atención puesta en el otro “considerándolo como uno consigo”. Esta atención amante es el inicio de una verdadera preocupación por su persona, a partir de la cual deseo buscar efectivamente su bien» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Jesús no sólo está de parte de los pobres, sino que comparte con ellos la misma suerte. Esta es una importante lección también para sus discípulos de todos los tiempos. Sus palabras «a los pobres los tienen siempre con ustedes» también indican que su presencia en medio de nosotros es constante, pero que no debe conducirnos a un acostumbramiento que se convierta en indiferencia, sino a involucrarnos en un compartir la vida que no admite delegaciones. Los pobres no son personas “externas” a la comunidad, sino hermanos y hermanas con los cuales compartir el sufrimiento para aliviar su malestar y marginación, para devolverles la dignidad perdida y asegurarles la necesaria inclusión social. Por otra parte, se sabe que una obra de beneficencia presupone un benefactor y un beneficiado, mientras que el compartir genera fraternidad. La limosna es ocasional, mientras que el compartir es duradero. La primera corre el riesgo de gratificar a quien la realiza y humillar a quien la recibe; el segundo refuerza la solidaridad y sienta las bases necesarias para alcanzar la justicia. En definitiva, los creyentes, cuando quieren ver y palpar a Jesús en persona, saben a dónde dirigirse, los pobres son sacramento de Cristo, representan su persona y remiten a él.

Tenemos muchos ejemplos de santos y santas que han hecho del compartir con los pobres su proyecto de vida. Pienso, entre otros, en el padre Damián de Veuster, santo apóstol de los leprosos. Con gran generosidad respondió a la llamada de ir a la isla de Molokai, convertida en un gueto accesible sólo a los leprosos, para vivir y morir con ellos. Puso manos a la obra e hizo todo lo posible para que la vida de esos pobres, enfermos y marginados, reducidos a la extrema degradación, fuera digna de ser vivida. Se hizo médico y enfermero, sin reparar en los riesgos que corría, y llevó la luz del amor a esa “colonia de muerte”, como era llamada la isla. La lepra lo afectó también a él, signo de un compartir total con los hermanos y hermanas por los que había dado la vida. Su testimonio es muy actual en nuestros días, marcados por la pandemia de coronavirus. La gracia de Dios actúa ciertamente en el corazón de muchos que, sin aparecer, se gastan por los más pobres en un concreto compartir.

4. Necesitamos, pues, adherirnos con plena convicción a la invitación del Señor: «Conviértanse y crean en la Buena Noticia» (Mc 1,15). Esta conversión consiste, en primer lugar, en abrir nuestro corazón para reconocer las múltiples expresiones de la pobreza y en manifestar el Reino de Dios mediante un estilo de vida coherente con la fe que profesamos. A menudo los pobres son considerados como personas separadas, como una categoría que requiere un particular servicio caritativo. Seguir a Jesús implica, en este sentido, un cambio de mentalidad, es decir, acoger el reto de compartir y participar. Convertirnos en sus discípulos implica la opción de no acumular tesoros en la tierra, que dan la ilusión de una seguridad en realidad frágil y efímera. Por el contrario, requiere la disponibilidad para liberarse de todo vínculo que impida alcanzar la verdadera felicidad y bienaventuranza, para reconocer lo que es duradero y que no puede ser destruido por nada ni por nadie (cf. Mt 6,19-20).

La enseñanza de Jesús también en este caso va a contracorriente, porque promete lo que sólo los ojos de la fe pueden ver y experimentar con absoluta certeza: «Y todo el que deje casas, hermanos, hermanas, padre, madre, hijos o campos por mi causa, recibirá cien veces más y heredará la vida eterna» (Mt 19,29). Si no se elige convertirse en pobres de las riquezas efímeras, del poder mundano y de la vanagloria, nunca se podrá dar la vida por amor; se vivirá una existencia fragmentaria, llena de buenos propósitos, pero ineficaz para transformar el mundo. Se trata, por tanto, de abrirse con decisión a la gracia de Cristo, que puede hacernos testigos de su caridad sin límites y devolverle credibilidad a nuestra presencia en el mundo.

5. El Evangelio de Cristo impulsa a estar especialmente atentos a los pobres y pide reconocer las múltiples y demasiadas formas de desorden moral y social que generan siempre nuevas formas de pobreza. Parece que se está imponiendo la idea de que los pobres no sólo son responsables de su condición, sino que constituyen una carga intolerable para un sistema económico que pone en el centro los intereses de algunas categorías privilegiadas. Un mercado que ignora o selecciona los principios éticos crea condiciones inhumanas que se abaten sobre las personas que ya viven en condiciones precarias. Se asiste así a la creación de trampas siempre nuevas de indigencia y exclusión, producidas por actores económicos y financieros sin escrúpulos, carentes de sentido humanitario y de responsabilidad social.

El año pasado, además, se añadió otra plaga que produjo ulteriormente más pobres: la pandemia. Esta sigue tocando a las puertas de millones de personas y, cuando no trae consigo el sufrimiento y la muerte, es de todas maneras portadora de pobreza. Los pobres han aumentado desproporcionadamente y, por desgracia, seguirán aumentando en los próximos meses. Algunos países, a causa de la pandemia, están sufriendo gravísimas consecuencias, de modo que las personas más vulnerables están privadas de los bienes de primera necesidad. Las largas filas frente a los comedores para los pobres son el signo tangible de este deterioro. Una mirada atenta exige que se encuentren las soluciones más adecuadas para combatir el virus a nivel mundial, sin apuntar a intereses partidistas. En particular, es urgente dar respuestas concretas a quienes padecen el desempleo, que golpea dramáticamente a muchos padres de familia, mujeres y jóvenes. La solidaridad social y la generosidad de la que muchas personas son capaces, gracias a Dios, unidas a proyectos de promoción humana a largo plazo, están aportando y aportarán una contribución muy importante en esta coyuntura.

6. Sin embargo, permanece abierto el interrogante, que no es obvio en absoluto: ¿cómo es posible dar una solución tangible a los millones de pobres que a menudo sólo encuentran indiferencia, o incluso fastidio, como respuesta? ¿Qué camino de justicia es necesario recorrer para que se superen las desigualdades sociales y se restablezca la dignidad humana, tantas veces pisoteada? Un estilo de vida individualista es cómplice en la generación de pobreza, y a menudo descarga sobre los pobres toda la responsabilidad de su condición. Sin embargo, la pobreza no es fruto del destino sino consecuencia del egoísmo. Por lo tanto, es decisivo dar vida a procesos de desarrollo en los que se valoren las capacidades de todos, para que la complementariedad de las competencias y la diversidad de las funciones den lugar a un recurso común de participación. Hay muchas pobrezas de los “ricos” que podrían ser curadas por la riqueza de los “pobres”, ¡si sólo se encontraran y se conocieran! Ninguno es tan pobre que no pueda dar algo de sí mismo en la reciprocidad. Los pobres no pueden ser sólo los que reciben; hay que ponerlos en condiciones de poder dar, porque saben bien cómo corresponder. ¡Cuántos ejemplos de compartir están ante nuestros ojos! Los pobres nos enseñan a menudo la solidaridad y el compartir. Es cierto, son personas a las que les falta algo, frecuentemente les falta mucho e incluso lo necesario, pero no les falta todo, porque conservan la dignidad de hijos de Dios que nada ni nadie les puede quitar.

7. Por eso se requiere un enfoque diferente de la pobreza. Es un reto que los gobiernos y las instituciones mundiales deben afrontar con un modelo social previsor, capaz de responder a las nuevas formas de pobreza que afectan al mundo y que marcarán las próximas décadas de forma decisiva. Si se margina a los pobres, como si fueran los culpables de su condición, entonces el concepto mismo de democracia se pone en crisis y toda política social se vuelve un fracaso. Con gran humildad deberíamos confesar que en lo referente a los pobres somos a menudo incompetentes. Se habla de ellos en abstracto, nos detenemos en las estadísticas y se piensa en provocar conmoción con algún documental. La pobreza, por el contrario, debería suscitar una planificación creativa, que permita aumentar la libertad efectiva para poder realizar la existencia con las capacidades propias de cada persona. Pensar que la libertad se concede e incrementa por la posesión de dinero es una ilusión de la que hay que alejarse. Servir eficazmente a los pobres impulsa a la acción y permite encontrar los medios más adecuados para levantar y promover a esta parte de la humanidad, demasiadas veces anónima y sin voz, pero que tiene impresa en sí el rostro del Salvador que pide ayuda.

8. «A los pobres los tienen siempre con ustedes» (Mc 14,7). Es una invitación a no perder nunca de vista la oportunidad que se ofrece de hacer el bien. En el fondo se puede entrever el antiguo mandato bíblico: «Si hubiese un hermano pobre entre los tuyos, no seas inhumano ni le niegues tu ayuda a tu hermano el pobre. Por el contrario, tiéndele la mano y préstale lo que necesite, lo que le falte. […] Le prestarás, y no de mala gana, porque por eso el Señor, tu Dios, te bendecirá en todo lo que hagas y emprendas. Ya que no faltarán pobres en la tierra» (Dt 15.7-8.10-11). El apóstol Pablo se sitúa en la misma línea cuando exhorta a los cristianos de sus comunidades a socorrer a los pobres de la primera comunidad de Jerusalén y a hacerlo «no de mala gana ni por obligación, porque Dios ama a quien da con alegría» (2 Co 9,7). No se trata de aliviar nuestra conciencia dando alguna limosna, sino más bien de contrastar la cultura de la indiferencia y la injusticia con la que tratamos a los pobres.

En este contexto también es bueno recordar las palabras de san Juan Crisóstomo: «El que es generoso no debe pedir cuentas de la conducta, sino sólo mejorar la condición de pobreza y satisfacer la necesidad. El pobre sólo tiene una defensa: su pobreza y la condición de necesidad en la que se encuentra. No le pidas nada más; pero aunque fuese el hombre más malvado del mundo, si le falta el alimento necesario, librémosle del hambre. [...] El hombre misericordioso es un puerto para quien está en necesidad: el puerto acoge y libera del peligro a todos los náufragos; sean ellos malvados, buenos, o sean como sean aquellos que se encuentren en peligro, el puerto los protege dentro de su bahía. Por tanto, también tú, cuando veas en tierra a un hombre que ha sufrido el naufragio de la pobreza, no juzgues, no pidas cuentas de su conducta, sino libéralo de la desgracia» (Discursos sobre el pobre Lázaro, II, 5).

9. Es decisivo que se aumente la sensibilidad para comprender las necesidades de los pobres, en continuo cambio como lo son las condiciones de vida. De hecho, hoy en día, en las zonas económicamente más desarrolladas del mundo, se está menos dispuestos que en el pasado a enfrentarse a la pobreza. El estado de relativo bienestar al que se está acostumbrados hace más difícil aceptar sacrificios y privaciones. Se es capaz de todo, con tal de no perder lo que ha sido fruto de una conquista fácil. Así, se cae en formas de rencor, de nerviosismo espasmódico, de reivindicaciones que llevan al miedo, a la angustia y, en algunos casos, a la violencia. Este no ha de ser el criterio sobre el que se construya el futuro; sin embargo, estas también son formas de pobreza de las que no se puede apartar la mirada. Debemos estar abiertos a leer los signos de los tiempos que expresan nuevas modalidades de cómo ser evangelizadores en el mundo contemporáneo. La ayuda inmediata para satisfacer las necesidades de los pobres no debe impedirnos ser previsores a la hora de poner en práctica nuevos signos del amor y de la caridad cristiana como respuesta a las nuevas formas de pobreza que experimenta la humanidad de hoy.

Deseo que la Jornada Mundial de los Pobres, que llega a su quinta edición, arraigue cada vez más en nuestras Iglesias locales y se abra a un movimiento de evangelización que en primera instancia salga al encuentro de los pobres, allí donde estén. No podemos esperar a que llamen a nuestra puerta, es urgente que vayamos nosotros a encontrarlos en sus casas, en los hospitales y en las residencias asistenciales, en las calles y en los rincones oscuros donde a veces se esconden, en los centros de refugio y acogida... Es importante entender cómo se sienten, qué perciben y qué deseos tienen en el corazón. Hagamos nuestras las apremiantes palabras de don Primo Mazzolari: «Quisiera pedirles que no me pregunten si hay pobres, quiénes son y cuántos son, porque temo que tales preguntas representen una distracción o el pretexto para apartarse de una indicación precisa de la conciencia y del corazón. [...] Nunca he contado a los pobres, porque no se pueden contar: a los pobres se les abraza, no se les cuenta» (“Adesso” n. 7 – 15 abril 1949). Los pobres están entre nosotros. Qué evangélico sería si pudiéramos decir con toda verdad: también nosotros somos pobres, porque sólo así lograremos reconocerlos realmente y hacerlos parte de nuestra vida e instrumentos de salvación.

Roma, San Juan de Letrán, 13 de junio de 2021,
Memoria litúrgica de san Antonio de Padua

FRANCISCO

[00829-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

MENSAGEM DO SANTO PADRE
para o V Dia Mundial dos Pobres
14 de novembro de 2021, XXXIII Domingo do Tempo Comum

«Sempre tereis pobres entre vós» (Mc 14, 7)

1. «Sempre tereis pobres entre vós» (Mc 14, 7): estas palavras foram pronunciadas por Jesus, alguns dias antes da Páscoa, por ocasião duma refeição em Betânia na casa de Simão chamado «o leproso». Como narra o evangelista, entrou lá uma mulher com um vaso de alabastro cheio de perfume muito precioso e derramou-o sobre a cabeça de Jesus. Este gesto suscitou grande estupefação e deu origem a duas interpretações diversas.

A primeira delas é a indignação de alguns dos presentes, incluindo os discípulos, que, ao considerar o valor do perfume (cerca de 300 denários, equivalente ao salário anual dum trabalhador), pensam que teria sido melhor vendê-lo e dar o produto aos pobres. Segundo o Evangelho de João, é Judas que se faz intérprete desta posição: «Porque é que não se vendeu este perfume por trezentos denários, para os dar aos pobres?». E o evangelista observa: «Ele, porém, disse isto, não porque se preocupasse com os pobres, mas porque era ladrão e, como tinha a bolsa do dinheiro, tirava o que nela se deitava» (Jo 12, 5-6). Não é por acaso que esta crítica dura sai da boca do traidor: é a prova de que, quantos não reconhecem os pobres, atraiçoam o ensinamento de Jesus e não podem ser seus discípulos. Recordemos, a este propósito, as palavras fortes de Orígenes: «Judas, aparentemente, estava preocupado com os pobres. (…) Se, agora, ainda houver alguém que tem a bolsa da Igreja e fala a favor dos pobres como Judas, mas depois tira o que metem lá dentro, então tenha parte juntamente com Judas» (Comentário ao Evangelho de Mateus 11, 9).

A segunda interpretação é dada pelo próprio Jesus e permite individuar o sentido profundo do gesto realizado pela mulher. Diz Ele: «Deixai-a. Porque estais a atormentá-la? Praticou em Mim uma boa ação» (Mc 14, 6). Jesus sabe que está próxima a sua morte e vê, naquele gesto, a antecipação da unção do seu corpo sem vida antes de ser colocado no sepulcro. Esta visão ultrapassa todas as expetativas dos convivas. Jesus recorda-lhes que Ele é o primeiro pobre, o mais pobre entre os pobres, porque os representa a todos. E é também em nome dos pobres, das pessoas abandonadas, marginalizadas e discriminadas que o Filho de Deus aceita o gesto daquela mulher. Esta, com a sua sensibilidade feminina, demonstra ser a única que compreendeu o estado de espírito do Senhor. Esta mulher anónima – talvez por isso destinada a representar todo o universo feminino que, no decurso dos séculos, não terá voz e sofrerá violências –, inaugura a significativa presença de mulheres que participam no momento culminante da vida de Cristo: a sua crucifixão, morte e sepultura e a sua aparição como Ressuscitado. As mulheres, tantas vezes discriminadas e mantidas ao largo dos postos de responsabilidade, nas páginas do Evangelho são, pelo contrário, protagonistas na história da revelação. E é eloquente a frase conclusiva de Jesus, que associa esta mulher à grande missão evangelizadora: «Em verdade vos digo: em qualquer parte do mundo onde for proclamado o Evangelho, há de contar-se também, em sua memória, o que ela fez» (Mc 14, 9).

2. Esta forte «empatia» entre Jesus e a mulher e o modo como Ele interpreta a sua unção, em contraste com a visão escandalizada de Judas e doutros, inauguram um fecundo caminho de reflexão sobre o laço indivisível que existe entre Jesus, os pobres e o anúncio do Evangelho.

Com efeito, o rosto de Deus que Ele revela é o de um Pai para os pobres e próximo dos pobres. Toda a obra de Jesus afirma que a pobreza não é fruto duma fatalidade, mas sinal concreto da sua presença no nosso meio. Não O encontramos quando e onde queremos, mas reconhecemo-Lo na vida dos pobres, na sua tribulação e indigência, nas condições por vezes desumanas em que são obrigados a viver. Não me canso de repetir que os pobres são verdadeiros evangelizadores, porque foram os primeiros a ser evangelizados e chamados a partilhar a bem-aventurança do Senhor e o seu Reino (cf. Mt 5, 3).

Os pobres de qualquer condição e latitude evangelizam-nos, porque permitem descobrir de modo sempre novo os traços mais genuínos do rosto do Pai. Eles «têm muito para nos ensinar. Além de participar do sensus fidei, nas suas próprias dores conhecem Cristo sofredor. É necessário que todos nos deixemos evangelizar por eles. A nova evangelização é um convite a reconhecer a força salvífica das suas vidas, e a colocá-los no centro do caminho da Igreja. Somos chamados a descobrir Cristo neles: não só a emprestar-lhes a nossa voz nas suas causas, mas também a ser seus amigos, a escutá-los, a compreendê-los e a acolher a misteriosa sabedoria que Deus nos quer comunicar através deles. O nosso compromisso não consiste exclusivamente em ações ou em programas de promoção e assistência; aquilo que o Espírito põe em movimento não é um excesso de ativismo, mas primariamente uma atenção prestada ao outro, considerando-o como um só consigo mesmo. Esta atenção amiga é o início duma verdadeira preocupação pela sua pessoa e, a partir dela, desejo de procurar efetivamente o seu bem» (Papa Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Jesus não só está do lado dos pobres, mas também partilha com eles a mesma sorte. Isto constitui também um forte ensinamento para os seus discípulos de todos os tempos. As suas palavras – «sempre tereis pobres entre vós» – pretendem indicar também isto: a sua presença no meio de nós é constante, mas não deve induzir àquela habituação que se torna indiferença, mas empenhar numa partilha de vida que não prevê delegações. Os pobres não são pessoas «externas» à comunidade, mas irmãos e irmãs cujo sofrimento se partilha, para abrandar o seu mal e a marginalização, a fim de lhes ser devolvida a dignidade perdida e garantida a necessária inclusão social. Aliás sabe-se que um gesto de beneficência pressupõe um benfeitor e um beneficiado, enquanto a partilha gera fraternidade. A esmola é ocasional, ao passo que a partilha é duradoura. A primeira corre o risco de gratificar quem a dá e humilhar quem a recebe, enquanto a segunda reforça a solidariedade e cria as premissas necessárias para se alcançar a justiça. Enfim os crentes, quando querem ver Jesus em pessoa e tocá-Lo com a mão, sabem aonde dirigir-se: os pobres são sacramento de Cristo, representam a sua pessoa e apontam para Ele.

Temos muitos exemplos de Santos e Santas que fizeram da partilha com os pobres o seu projeto de vida. Penso, entre outros, no Padre Damião de Veuster, Santo apóstolo dos leprosos. Com grande generosidade, respondeu à vocação de ir para a ilha de Molokai – tinha-se tornado um gueto acessível apenas aos leprosos –, a fim de viver e morrer com eles. Lançando-se ao trabalho, tudo fez para tornar digna de ser vivida a existência daqueles pobres doentes e marginalizados, reduzidos à degradação extrema. Fez-se médico e enfermeiro, sem se preocupar com os riscos que corria, levando a luz do amor àquela «colónia de morte», como era designada a ilha. A lepra atingiu-o também a ele, sinal duma partilha total com os irmãos e irmãs pelos quais dera a vida. O seu testemunho é muito atual nestes nossos dias, marcados pela pandemia de coronavírus: com certeza a graça de Deus está em ação no coração de muitas pessoas que, sem dar nas vistas, se gastam concretamente partilhando a sorte dos mais pobres.

4. Por isso precisamos de aderir com plena convicção ao convite do Senhor: «Convertei-vos e acreditai no Evangelho» (Mc 1, 15). Esta conversão consiste, primeiro, em abrir o nosso coração para reconhecer as múltiplas expressões de pobreza e, depois, em manifestar o Reino de Deus através dum estilo de vida coerente com a fé que professamos. Com frequência, os pobres são considerados como pessoas aparte, como uma categoria que requer um serviço caritativo especial. Seguir Jesus comporta uma mudança de mentalidade a esse propósito, ou seja, acolher o desafio da partilha e da comparticipação. Tornar-se seu discípulo implica a opção de não acumular tesouros na terra, que dão a ilusão duma segurança em realidade frágil e efémera; ao contrário, requer disponibilidade para se libertar de todos os vínculos que impedem de alcançar a verdadeira felicidade e bem-aventurança, para reconhecer aquilo que é duradouro e que nada e ninguém pode destruir (cf. Mt 6, 19-20).

Mas o ensinamento de Jesus aparece em contracorrente também neste caso, porque promete aquilo que só os olhos da fé podem ver e experimentar com certeza absoluta: «Todo aquele que tiver deixado casas, irmãos, irmãs, pai, mãe, filhos ou campos por causa do meu nome, receberá cem vezes mais e terá por herança a vida eterna» (Mt 19, 29). Se não se optar por tornar-se pobre de riquezas efémeras, poder mundano e vanglória, nunca se sará capaz de dar a vida por amor; viver-se-á uma existência fragmentária, cheia de bons propósitos mas ineficaz para transformar o mundo. Trata-se, portanto, de abrir-se decididamente à graça de Cristo, que pode tornar-nos testemunhas da sua caridade sem limites e restituir credibilidade à nossa presença no mundo.

5. O Evangelho de Cristo impele a ter uma atenção muito particular para com os pobres e requer que se reconheça as múltiplas, demasiadas, formas de desordem moral e social que sempre geram novas formas de pobreza. Parece ganhar terreno a conceção segundo a qual os pobres não só são responsáveis pela sua condição, mas constituem também um peso intolerável para um sistema económico que coloca no centro o interesse dalgumas categorias privilegiadas. Um mercado que ignora ou discrimina os princípios éticos cria condições desumanas que se abatem sobre pessoas que já vivem em condições precárias. Deste modo assiste-se à criação incessante de armadilhas novas da miséria e da exclusão, produzidas por agentes económicos e financeiros sem escrúpulos, desprovidos de sentido humanitário e responsabilidade social.

Além disso, no ano passado, veio juntar-se outra praga que multiplicou ainda mais o número dos pobres: a pandemia. Esta continua a bater à porta de milhões de pessoas e, mesmo quando não traz consigo o sofrimento e a morte, todavia é portadora de pobreza. Os pobres têm aumentado desmesuradamente e o mesmo, infelizmente, continuará a verificar-se ainda nos próximos meses. Alguns países estão a sofrer gravíssimas consequências devido à pandemia, a ponto de as pessoas mais vulneráveis se encontrarem privadas de bens de primeira necessidade. As longas filas diante das cantinas para os pobres são o sinal palpável deste agravamento. Um olhar atento requer que se encontrem as soluções mais idóneas para combater o vírus a nível mundial, sem olhar a interesses de parte. De modo particular, é urgente dar respostas concretas a quantos padecem o desemprego, que atinge de maneira dramática tantos pais de família, mulheres e jovens. A solidariedade social e a generosidade de que muitos, graças a Deus, são capazes, juntamente com projetos clarividentes de promoção humana, estão a dar e darão um contributo muito importante nesta conjuntura.

6. Entretanto permanece de pé uma questão, nada óbvia: Como se pode dar uma resposta palpável aos milhões de pobres que tantas vezes, como resposta, só encontram a indiferença, quando não a aversão? Qual caminho de justiça é necessário percorrer para que as desigualdades sociais possam ser superadas e seja restituída a dignidade humana tão frequentemente espezinhada? Um estilo de vida individualista é cúmplice na geração da pobreza e, muitas vezes, descarrega sobre os pobres toda a responsabilidade da sua condição. Mas a pobreza não é fruto do destino; é consequência do egoísmo. Portanto é decisivo dar vida a processos de desenvolvimento onde se valorizem as capacidades de todos, para que a complementaridade das competências e a diversidade das funções conduzam a um recurso comum de participação. Há muitas pobrezas dos «ricos» que poderiam ser curadas pela riqueza dos «pobres», bastando para isso encontrarem-se e conhecerem-se. Ninguém é tão pobre que não possa dar algo de si na reciprocidade. Os pobres não podem ser aqueles que apenas recebem; devem ser colocados em condição de poder dar, porque sabem bem como corresponder. Quantos exemplos de partilha diante dos nossos olhos! Os pobres ensinam-nos frequentemente a solidariedade e a partilha. É verdade que são pessoas a quem falta algo e por vezes até muito, se não mesmo o necessário; mas não falta tudo, porque conservam a dignidade de filhos de Deus que nada e ninguém lhes pode tirar.

7. Impõe-se, pois, uma abordagem diferente da pobreza. É um desafio que os governos e as instituições mundiais precisam de perfilhar, com um modelo social clarividente, capaz de enfrentar as novas formas de pobreza que invadem o mundo e marcarão de maneira decisiva as próximas décadas. Se os pobres são colocados à margem, como se fossem os culpados da sua condição, então o próprio conceito de democracia é posto em crise e fracassa toda e qualquer política social. Com grande humildade, temos de confessar que muitas vezes não passamos de incompetentes a respeito dos pobres: fala-se deles em abstrato, fica-se pelas estatísticas e pensa-se sensibilizar com qualquer documentário. Ao contrário, a pobreza deveria incitar a uma projetação criativa, que permita fazer aumentar a liberdade efetiva de conseguir realizar a existência com as capacidades próprias de cada pessoa. Pensar que a posse de dinheiro consinta e aumente a liberdade é uma ilusão de que devemos afastar-nos. Servir eficazmente os pobres incita à ação e permite encontrar as formas mais adequadas para levantar e promover esta parte da humanidade, demasiadas vezes anónima e sem voz, mas que em si mesma traz impresso o rosto do Salvador que pede ajuda.

8. «Sempre tereis pobres entre vós» (Mc 14, 7): é um convite a não perder jamais de vista a oportunidade que se nos oferece para fazer o bem. Como pano de fundo, pode-se vislumbrar o antigo mandamento bíblico: «Se houver junto de ti um indigente entre os teus irmãos (…), não endurecerás o teu coração e não fecharás a tua mão ao irmão necessitado. Abre-lhe a tua mão, empresta-lhe sob penhor, de acordo com a sua necessidade, aquilo que lhe faltar. (…) Deves dar-lhe, sem que o teu coração fique pesaroso; porque, em recompensa disso, o Senhor, teu Deus, te abençoará em todas as empresas das tuas mãos. Sem dúvida, nunca faltarão pobres na terra» (Dt 15, 7-8.10-11). E no mesmo cumprimento de onda se coloca o apóstolo Paulo, quando exorta os cristãos das suas comunidades a socorrer os pobres da primeira comunidade de Jerusalém e a fazê-lo «sem tristeza nem constrangimento, pois Deus ama quem dá com alegria» (2 Cor 9, 7). Não se trata de serenar a nossa consciência dando qualquer esmola, mas antes contrastar a cultura da indiferença e da injustiça com que se olha os pobres.

Neste ponto, faz-nos bem recordar as palavras de São João Crisóstomo: «Quem é generoso não deve pedir contas do comportamento, mas somente melhorar a condição de pobreza e satisfazer a necessidade. O pobre só tem uma defesa: a sua pobreza e a condição de necessidade em que se encontra. Não lhe peças mais nada; mesmo que fosse o homem mais malvado do mundo, se lhe vier a faltar o alimento necessário, libertemo-lo da fome. (…) O homem misericordioso é um porto para quem está em necessidade: o porto acolhe e liberta do perigo todos os náufragos, sejam eles malfeitores, bons ou como forem. Aos que se encontram em perigo, o porto acolhe-os, coloca-os em segurança dentro da sua enseada. Também tu, portanto, quando vês por terra um homem que sofreu o naufrágio da pobreza, não o julgues, nem lhe peças conta do seu comportamento, mas liberta-o da desventura» (Discursos sobre o pobre Lázaro, II, 5).

9. É decisivo aumentar a sensibilidade para se compreender as exigências dos pobres, sempre em mutação por força das condições de vida. Com efeito, nas áreas economicamente mais desenvolvidas do mundo, está-se menos predisposto hoje que no passado a confrontar-se com a pobreza. O estado de relativo bem-estar ao qual se habituaram torna mais difícil aceitar sacrifícios e privações. Está-se pronto a tudo só para não ficar privado daquilo que foi fruto de fácil conquista. Deste modo, cai-se em formas de rancor, nervosismo espasmódico, reivindicações que levam ao medo, à angústia e, nalguns casos, à violência. Este não é o critério sobre o qual construir o futuro; também estas são formas de pobreza, para as quais não se pode deixar de olhar. Devemos estar abertos a ler os sinais dos tempos que exprimem novas modalidades de ser evangelizadores no mundo contemporâneo. A assistência imediata para acorrer às necessidades dos pobres não deve impedir de ser clarividente para atuar novos sinais do amor e da caridade cristã como resposta às novas pobrezas que experimenta a humanidade de hoje.

Faço votos de que o Dia Mundial dos Pobres, chegado já à sua quinta celebração, possa radicar-se cada vez mais nas nossas Igrejas locais e abrir-se a um movimento de evangelização que, em primeira instância, encontre os pobres lá onde estão. Não podemos ficar à espera que batam à nossa porta; é urgente ir ter com eles às suas casas, aos hospitais e casas de assistência, à estrada e aos cantos escuros onde, por vezes, se escondem, aos centros de refúgio e de acolhimento… É importante compreender como se sentem, o que estão a passar e quais os desejos que têm no coração. Façamos nossas as palavras inflamadas do Padre Primo Mazzolari: «Gostaria de pedir-vos para não me perguntardes se existem pobres, quem são e quantos são, porque tenho receio que tais perguntas representem uma distração ou o pretexto para escapar duma específica indicação da consciência e do coração. (…) Os pobres, eu nunca os contei, porque não se podem contar: os pobres abraçam-se, não se contam» (Revista «Adesso», n.º 7, 15 de abril de 1949). Os pobres estão no meio de nós. Como seria evangélico, se pudéssemos dizer com toda a verdade: também nós somos pobres, porque só assim conseguiríamos realmente reconhecê-los e fazê-los tornar-se parte da nossa vida e instrumento de salvação.

Roma, São João de Latrão, na Memória de Santo António,
13 de junho de 2021

FRANCISCO

[00829-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

ORĘDZIE OJCA ŚWIĘTEGO
na V Światowy Dzień Ubogich
14 listopada 2021, XXXIII Niedziela okresu zwykłego

 

“Ubogich zawsze macie u siebie” (Mk 14, 7)

 

1. «Ubogich zawsze macie u siebie» (Mk 14, 7). Jezus wypowiedział te słowa na kilka dni przed świętem Paschy, będąc na obiedzie w Betanii, w domu pewnego Szymona, zwanego „Trędowatym”. Jak opowiada ewangelista, pewna kobieta weszła, trzymając alabastrowy flakonik pełen bardzo cennego olejku, który następnie wylała na głowę Jezusa. Gest ten wzbudził wielkie zdumienie i dał początek dwóm różnym reakcjom.

Pierwszą jest oburzenie wśród niektórych obecnych, wliczając w to uczniów, którzy, biorąc pod uwagę cenę olejku – około 300 denarów, czyli równowartość rocznej zapłaty jednego pracownika – myślą, że byłoby lepiej go sprzedać i oddać zarobione w ten sposób pieniądze dla ubogich. Według Ewangelii świętego Jana, Judasz staje się wyrazicielem tego zdania: «Czemu to nie sprzedano tego olejku za trzysta denarów i nie rozdano ich ubogim?». Ewangelista odnotowuje: «Powiedział zaś to nie dlatego, jakoby dbał o biednych, ale ponieważ był złodziejem, i mając trzos wykradał to, co składano» (12, 5-6). To nie przypadek, że ta ciężka krytyka wychodzi z ust zdrajcy: jest to dowód na to, że ci, którzy nie zauważają ubogich, zdradzają nauczanie Jezusa i nie mogą być Jego uczniami. Pamiętamy, w odniesieniu do tej sytuacji, o mocnych słowach Orygenesa: «Judasz wydawał się troszczyć o ubogich […]. Jeśli teraz jest jeszcze ktoś, kto ma sakiewkę Kościoła i jak Judasz wypowiada się w imieniu ubogich, ale potem bierze dla siebie to, co tam wkładają, niech ma swój udział razem z Judaszem» (Komentarz do Ewangelii Mateusza, 11, 9).

Druga reakcja pochodzi od samego Jezusa i pozwala na zrozumienie głębokiego sensu gestu, który wykonała kobieta. Mówi On: «Zostawcie ją; czemu sprawiacie jej przykrość? Dobry uczynek spełniła względem Mnie» (Mk 14, 6). Jezus wie, że Jego śmierć jest bliska i dostrzega w tym geście uprzedzające namaszczenie swojego martwego ciała, przed złożeniem w grobie. Wizja ta przekracza wszelkie oczekiwania współbiesiadników. Jezus przypomina im, że pierwszym biednym jest On sam, najbiedniejszy z biednych, ponieważ reprezentuje ich wszystkich. Syn Boży akceptuje gest tejże kobiety również w imieniu ubogich, samotnych, osób z marginesu oraz dyskryminowanych. Ona natomiast, w swojej kobiecej wrażliwości, okazuje się być jedyną, która pojmuje stan duszy Pana. Anonimowa kobieta, być może przez to przeznaczona, by reprezentować cały świat kobiecy, który na przestrzeni wieków nie będzie miał głosu i dozna przemocy, rozpoczyna znaczącą obecność kobiet, które biorą udział w szczytowym momencie życia Chrystusa: w ukrzyżowaniu, śmierci oraz w pogrzebie, a następnie w ukazaniu się światu Zmartwychwstałego. Kobiety, tak często dyskryminowane, trzymane z daleka od miejsc odpowiedzialnych, na kartach Ewangelii są natomiast bohaterkami historii objawienia. Jakże wymowne są końcowe słowa Jezusa, które łączą tę kobietę z wielką misją ewangelizacyjną: «Zaprawdę, powiadam wam: Gdziekolwiek po całym świecie głosić będą tę Ewangelię, będą również opowiadać na jej pamiątkę to, co uczyniła» (Mk 14, 9).

2. Ta silna „empatia” pomiędzy Jezusem a kobietą oraz sposób, w jaki interpretuje On jej namaszczenie, w sprzeczności z reakcją oburzenia Judasza i innych, otwierają drogę owocnej refleksji na temat nierozerwalnego połączenia pomiędzy Jezusem, biednymi i głoszeniem Ewangelii.

Oblicze Boga, które On objawia, jest bowiem obliczem Ojca biednych, bliskiego biednym. Całe dzieło Jezusa potwierdza, iż ubóstwo nie jest owocem nieszczęścia, ale konkretnym znakiem Jego obecności pośród nas. Nie odnajdujemy Go tam, gdzie chcemy i wtedy, kiedy chcemy, ale rozpoznajemy Go w życiu ubogich, w ich cierpieniu i wzgardzeniu, w nieludzkich czasem warunkach, w których zmuszeni są żyć. Nie przestaję powtarzać, że ubodzy są prawdziwymi ewangelizatorami, ponieważ pierwsi zostali zewangelizowani i powołani do udziału w błogosławieństwie Pana i Jego Królestwa (por. Mt 5, 3).

Ubodzy, żyjący w rozmaitych warunkach i na wszystkich szerokościach geograficznych ewangelizują nas, ponieważ pozwalają nam odkryć, w sposób zawsze nowy, najbardziej naturalne rysy twarzy Ojca. «Oni mogą nas wiele nauczyć. Oprócz uczestnictwa w sensus fidei, przez własne cierpienia znają Chrystusa cierpiącego. Jest rzeczą konieczną, abyśmy wszyscy pozwolili się przez nich ewangelizować. Nowa ewangelizacja jest zaproszeniem do uznania zbawczej mocy ich egzystencji ido postawienia jej wcentrum drogi Kościoła. Jesteśmy wezwani do odkrycia wnich Chrystusa, do użyczenia im naszego głosu wich sprawach, ale także do bycia ich przyjaciółmi, słuchania ich, zrozumienia ich iprzyjęcia tajemniczej mądrości, którą Bóg chce nam przekazać przez nich. Nasze zaangażowanie nie polega wyłącznie na działaniach albo na programach promocji i opieki. To, co porusza Duch, nie jest nadmiarem aktywizmu, ale przede wszystkim uwagą skierowaną na drugiego człowieka, uznaniem go za jedno z samym sobą. Ta pełna miłości uwaga jest początkiem prawdziwego zatroskania o jego osobę i poczynając od niej, pragnę szukać skutecznie jego dobra» (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Jezus nie tylko staje po stronie ubogich, ale również dzieli z nimi ten sam los. To jest silne przesłanie również dla Jego uczniów po wszystkie czasy. Słowa Jezusa „ubogich zawsze macie u siebie” wskazują również na to: ich obecność wśród nas jest ciągła, ale nie może doprowadzić do przyzwyczajenia, które staje się obojętnością, lecz powinna zaangażować nas do bezwarunkowego dzielenia się życiem. Biedni nie są osobami „zewnętrznymi” dla wspólnoty, ale są braćmi i siostrami, z którymi dzieli się cierpienie po to, by przynieść ulgę w ich ciężkiej sytuacji oraz ich marginalizacji, ażeby została im przywrócona utracona godność, a także po to, by zabezpieczyć im konieczne włączenie społeczne. Z drugiej strony wiadomym jest, iż pojedynczy gest dobroczynności zakłada istnienie dawcy oraz odbiorcy, podczas gdy dzielenie się życiem rodzi braterstwo. Jałmużna jest okazjonalna, natomiast współudział jest czymś trwałym. Jałmużna niesie ze sobą ryzyko gratyfikacji dla tego, kto jej udziela; współudział natomiast wzmacnia solidarność oraz daje podstawy konieczne do osiągnięcia sprawiedliwości. Wierzący zatem, kiedy chcą zobaczyć osobę Jezusa i dotknąć Go swoją ręką, wiedzą gdzie się zwrócić: ubodzy są sakramentem Chrystusa, reprezentują Jego osobę oraz odsyłają do Niego.

Mamy wiele przykładów świętych, którzy dzielili z biednymi swój projekt życia. Przychodzi mi na myśl między innymi ojciec Damian de Veuster, święty apostoł trędowatych. Z wielką szczodrością odpowiedział on na wezwanie, aby udać się na wyspę Molokai, która była gettem dostępnym jedynie dla trędowatych, aby tam żyć i umrzeć z nimi. Zakasał rękawy i zrobił wszystko, aby uczynić życie tych biednych chorych i zmarginalizowanych, zniszczonych w stopniu ekstremalnym, godnym tego, by je przeżyć. Stał się lekarzem i pielęgniarzem, nie zważając na ryzyko, na które się wystawiał i w tej „kolonii śmierci”, jak była nazywana ta wyspa, niósł światło miłości. Trąd uderzył również w niego, ewidentny znak totalnego współudziału z braćmi i siostrami, dla których oddał życie. Jego świadectwo jest bardzo aktualne również w naszych czasach, naznaczonych pandemią koronawirusa: łaska Boża działa z pewnością w sercach wielu, którzy nie wystawiając się na widok, oddają się najbiedniejszym, biorąc konkretny udział w ich życiu.

4. Potrzebujemy zatem z pełnym przekonaniem przyjąć zaproszenie Pana: «nawróćcie się i wierzcie w Ewangelię» (Mk 1, 15). To nawrócenie polega przede wszystkim na otwarciu naszego serca i rozpoznaniu wielorakich przejawów ubóstwa oraz na ukazywaniu Królestwa Bożego poprzez styl życia zgodny z wiarą, którą wyznajemy. Często ubodzy uważani są za osoby oddzielone, jako kategoria, która potrzebuje jakiejś szczególnej posługi charytatywnej. Naśladowanie Jezusa wymaga w tym przypadku zmiany w mentalności, to znaczy przyjęcia wyzwania, jakim jest udział i dzielenie się życiem. Stawanie się Jego uczniami oznacza decyzję na nie gromadzenie skarbów na ziemi, które dają iluzję bezpieczeństwa w delikatnej i ulotnej rzeczywistości. Przeciwnie, domaga się dyspozycyjności do uwolnienia się od każdych więzów, które nie pozwalają na osiągnięcie prawdziwej szczęśliwości i błogosławieństwa, aby rozpoznać to, co jest trwałe i nie może być zniszczone przez nic i przez nikogo (por. Mt 6, 19-20).

Nauczanie Jezusa również w tym przypadku idzie pod prąd, ponieważ obiecuje to, co tylko oczy wiary mogą zobaczyć i doświadczyć z absolutną pewnością: «I każdy, kto dla mego imienia opuści dom, braci lub siostry, ojca lub matkę, dzieci lub pole, stokroć tyle otrzyma i życie wieczne odziedziczy» (Mt 19, 29). Jeśli nie wybieramy drogi stawania się ubogimi wobec ulotnych bogactw, władzy światowej i próżnej chwały, to nigdy nie będziemy w stanie ofiarować życia z miłości; będziemy żyli egzystencją fragmentaryczną, pełną dobrych intencji, ale nieskuteczną w przemienianiu świata. Mówimy tu zatem o zdecydowanym otwarciu się na łaskę Chrystusa, który może uczynić nas świadkami swojej miłości bez granic i przywrócić wiarygodność naszej obecności w świecie.

5. Ewangelia Chrystusa przynagla nas do zwrócenia szczególnej uwagi na ubogich i domaga się rozpoznania wielorakich, ciągle zbyt wielu, form nieporządku moralnego i społecznego, które zawsze rodzą nowe formy ubóstwa. Wydaje się, że zyskuje coraz większy poklask koncepcja, według której ubodzy nie tylko są winni swojemu ubóstwu, ale też stanowią ciężar nie do zniesienia dla systemu ekonomicznego, który kładzie w centrum zainteresowań nieliczne kategorie osób uprzywilejowanych. Rynek, który ignoruje lub też traktuje wybiórczo zasady etyczne, stwarza nieludzkie warunki, które wpływają negatywnie na osoby już żyjące w ciężkich warunkach. W ten sposób stajemy się świadkami tworzenia się coraz to nowych pułapek biedy i wykluczenia, generowanych przez działaczy ekonomicznych oraz finansowych pozbawionych skrupułów, pozbawionych zmysłu humanitarnego i odpowiedzialności społecznej.

W ubiegłym roku dołączyła do tego wszystkiego nowa plaga, która jeszcze zwielokrotniła ilość ubogich: pandemia. Nadal puka ona do drzwi milionów osób, a nawet jeśli nie przynosi ze sobą cierpienia i śmierci, to niesie ze sobą ubóstwo. Zwiększyła się niezmiernie liczba ubogich i, niestety, będzie ich jeszcze więcej w najbliższych miesiącach. Niektóre kraje ponoszą z powodu pandemii bardzo ciężkie konsekwencje, do tego stopnia, że osoby najsłabsze zostają pozbawione podstawowych środków do życia. Długie kolejki przed jadłodajniami dla ubogich są namacalnym znakiem tego pogorszenia się sytuacji. Uważne wejrzenie domaga się tego, by znaleźć odpowiedniejsze rozwiązania do zwalczenia wirusa na poziomie światowym, bez dążenia do realizacji jakichś partykularnych interesów. W szczególności pilne jest, by dać konkretną odpowiedź tym, którzy cierpią z powodu bezrobocia, dotykającego w sposób dramatyczny wielu ojców rodzin, wiele kobiet oraz osoby młode. Solidarność społeczna i szczodrość, do której dzięki Bogu wielu jest zdolnych, w połączeniu z dalekowzrocznymi projektami nastawionymi na promocję człowieka, stanowią i będą stanowić bardzo ważny wkład na tej płaszczyźnie.

6. Pozostaje jednakowoż otwarte pytanie, które w żaden sposób nie jest oczywiste: jak jest możliwe dać namacalną odpowiedź milionom ubogich, którzy często spotykają się tylko z obojętnością, jeśli nie z niechęcią? Jaką drogę sprawiedliwości trzeba przemierzyć, ażeby nierówności społeczne mogły zostać przezwyciężone i aby można było przywrócić jakże często zdeptaną godność ludzką? Indywidualistyczny styl życia jest „wspólnikiem” w generowaniu ubóstwa i często zrzuca na biednych całą odpowiedzialność za ich sytuację. Ale ubóstwo nie jest owocem ślepego losu, lecz konsekwencją egoizmu. Dlatego też decydującym jest ożywienie procesów rozwoju, które dowartościowują zdolności wszystkich, aby komplementarność kompetencji oraz różnorodność ról prowadziły do odkrycia zasobów współuczestniczenia. Wiele jest ubóstwa „bogatych”, które mogłoby być uleczone przez bogactwo „biednych”, jeśli tylko mogliby się oni razem spotkać i poznać! Nikt nie jest tak biedny, żeby nie mógł dać czegoś od siebie drugiemu i otrzymać coś od niego z wzajemnością. Biedni nie mogą być tylko tymi, którzy otrzymują; muszą znaleźć się w sytuacji takiej, aby mogli coś dać, ponieważ oni doskonale wiedzą, jak się zrewanżować. Ile przykładów współuczestniczenia mamy tuż przed oczami! Ubodzy często uczą nas solidarności i dzielenia się. To prawda, są osobami którym czegoś brakuje, często brakuje im wiele, a nawet tego, co konieczne, ale nie brakuje im wszystkiego, ponieważ zachowują godność dzieci Bożych, której nikt i nic nie może im odebrać.

7. Z tego powodu przyjmuje się inne podejście do ubóstwa. To wyzwanie, które rządy oraz instytucje światowe powinny przyjąć, razem z dalekowzrocznym modelem socjalnym, zdolnym do wyjścia naprzeciw tym nowym formom ubóstwa, które pojawiają się w świecie, i które naznaczą w sposób zdecydowany najbliższe dekady. Jeśli ubodzy są zmarginalizowani tak, jakby sami byli winni sytuacji, w jakiej się znaleźli, to również sama koncepcja demokracji znajduje się w kryzysie i każda polityka socjalna skazana jest na upadek. Z wielką pokorą powinniśmy wyznać, że przed ubogimi jesteśmy często niekompetentni. Mówi się o nich w sposób abstrakcyjny, zatrzymując się na statystykach, i usiłuje wzruszać jakimś filmem dokumentalnym. Ubóstwo jednak powinno prowokować do kreatywnych projektów, które pozwolą na zwiększenie efektywnej wolności, aby ubodzy mogli realizować swoje życie za pośrednictwem własnych, osobowych zdolności. Iluzją, od której trzeba trzymać się z daleka, jest myślenie, że wolność jest dostępna i powiększa się dzięki posiadaniu pieniędzy. Skuteczna służba ubogim prowokuje do działania i pozwala znaleźć coraz bardziej odpowiednie formy podnoszenia i promocji tej części ludzkości, nazbyt często anonimowej i pozbawionej głosu, która jednak ma w sobie odciśnięte oblicze Zbawiciela proszącego o pomoc.

8. «Ubogich zawsze macie u siebie» (Mk 14, 7). Jest to zaproszenie, aby nigdy nie stracić z oczu darowanej okazji do czynienia dobra. W tle możemy dostrzec starodawne przykazanie biblijne: «Jeśli będzie u ciebie ubogi któryś z twych braci, w jednym z twoich miast, w kraju, który ci daje Pan, Bóg twój, nie okażesz twardego serca wobec niego ani nie zamkniesz swej ręki przed ubogim swym bratem, lecz otworzysz mu swą rękę i szczodrze mu udzielisz pożyczki, ile mu będzie potrzeba. […] Chętnie mu udziel, niech serce twe nie boleje, że dajesz. Za to będzie ci Pan, Bóg twój, błogosławił w każdej czynności i w każdej pracy twej ręki. Ubogiego bowiem nie zabraknie w tym kraju» (Pwt 15, 7-8.10-11). W te słowa wpisuje się również Apostoł Paweł, kiedy zachęca chrześcijan należących do wspólnot przez niego założonych, aby pomagali ubogim z pierwszej wspólnoty w Jerozolimie i by czynili to «nie żałując i nie czując się przymuszonym, albowiem radosnego dawcę miłuje Bóg» (2 Kor 9, 7). Nie chodzi o to, by uspokoić sumienie poprzez danie jakiejś jałmużny, ale raczej o przeciwstawienie się kulturze obojętności i niesprawiedliwości, którą często praktykuje się w stosunku do ubogich.

W tym kontekście dobrze jest pamiętać o słowach św. Jana Chryzostoma: «Ci, którzy są hojni, nie mogą domagać się od biedaka rozliczenia z jego postępowania, a jedynie powinni poprawić jego sytuację oraz zaspokoić potrzebę. Biedni mają tylko jedną obronę: swoje ubóstwo i stan potrzeby, w jakim się znajdują. Nie pytaj go o nic innego; ale nawet gdyby był najbardziej złym człowiekiem na świecie, jeśli brakuje mu niezbędnego pożywienia, uwolnijmy go od głodu. [...] Miłosierny człowiek jest portem dla potrzebujących: port przyjmuje i uwalnia od niebezpieczeństwa wszystkich rozbitków; bez względu na to, czy są to źli ludzie, czy dobrzy, czy jacykolwiek inni, którzy są w niebezpieczeństwie, port chroni ich w swojej zatoce. Dlatego też wy również, kiedy zobaczycie człowieka na ziemi, który znajduje się w ubóstwie jak rozbitek na morzu, nie osądzajcie, nie proście o rachunek z jego postępowania, ale uwolnijcie go od nieszczęścia» (Mowa o ubogim Łazarzu, II, 5).

9. Decydujące jest, aby wzrosła wrażliwość ludzi tak, by pojęli potrzeby ubogich, które ciągle się zmieniają, w zależności od zmian zachodzących w ich warunkach życiowych. Dziś bowiem w najbardziej rozwiniętych ekonomicznie regionach świata jest mniejsza gotowość, w porównaniu do przeszłości, na skonfrontowanie się z ubóstwem. Stan relatywnego dobrobytu, do którego się przyzwyczajono, czyni trudniejszym zaakceptowanie wyrzeczeń i ofiar. Jest się gotowym na wszystko, byle tylko nie być pozbawionym tego, co jest owocem łatwego zysku. W ten sposób wpada się w różne formy pretensji, spazmatycznej nerwowości, żądań które prowadzą do strachu i do niepokoju, a w niektórych przypadkach do przemocy. To nie jest kryterium, na którym można konstruować przyszłość; co więcej, są to również formy bóstwa, od których nie możemy odwracać wzroku. Musimy być otwarci na odczytywanie znaków czasu, które wskazują na nowe sposoby bycia ewangelizatorami w świecie współczesnym. Natychmiastowe towarzyszenie, które wychodzi naprzeciw bieżącym potrzebom ubogich, nie może przeszkadzać dalekowzroczności, aby wprowadziać w czyn nowe znaki miłości i chrześcijańskiej caritas, w odpowiedzi na nowe formy ubóstwa, których doświadcza dziś ludzkość.

Chciałbym, aby Światowy Dzień Ubogich, który celebrujemy już po raz piąty, mógł zakorzenić się jeszcze bardziej w naszych Kościoła lokalnych i otworzyć się na ruch ewangelizacyjny, który spotkałby w pierwszym rzędzie ubogich tam, gdzie oni się znajdują. Nie możemy czekać, aż zapukają do naszych drzwi. Pilnie potrzeba, abyśmy dotarli do nich w ich własnych domach, w szpitalach i w domach opieki, na ulicach i w ciemnych zaułkach, gdzie czasem się chowają, w schroniskach i w centrach przyjęć… Ważne jest, by zrozumieć, jak się czują, czego doświadczają, jakie pragnienia mają w sercu. Przyjmijmy za własne przejmujące słowa księdza Primo Matzzolariego: «Chciałbym was prosić, żebyście nie pytali mnie, czy są biedni ludzie, kim są i ilu ich jest, bo obawiam się, że takie pytania stanowią rozproszenie lub pretekst do unikania dokładnego wskazania sumienia i serca. […] Nigdy nie liczyłem ubogich, ponieważ nie można ich zliczyć: ubogich się przytula, a nie liczy» („Adesso” nr 7, 15 kwietnia 1949 r.). Biedni są wśród nas. Jakże byłoby to ewangeliczne, jeśli moglibyśmy powiedzieć z całą prawdą: również my jesteśmy biedni, ponieważ tylko w ten sposób będziemy mogli rozpoznać ich realnie i sprawić, że staną się częścią naszego życia oraz narzędziem zbawienia.

Rzym, u Św. Jana na Lateranie, 13 czerwca 2021,
we wspomnienie św. Antoniego z Padwy

FRANCISZEK

[00829-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في مناسبة اليوم العالمي الخامس للفقراء

14 نوفمبر/تشرين الثاني 2021، الأحد 33 من زمن السّنة

"أَمَّا الفُقَراء فهُم عِندَكم دائمًا أَبدًا" (مرقس 14، 7)

1. "أَمَّا الفُقَراء فهُم عِندَكم دائمًا أَبدًا" (مرقس 14، 7). قال يسوع هذه الكلمات عندما كان على الغداء، في بيت عنيا، في بيت سمعان الذي يُدعى "الأبرص"، قبل أيّام قليلة من عيد الفصح. كما يروي الإنجيليّ، دخلت امرأة ومعها قارورة طِيبٍ ثمين، فأفاضتْهُ على رأس يسوع. أثارت هذه البادرة دهشة كبيرة وأدّت إلى موقفَيْن مختلفَيْن.

الأوّل هو استياء بعض الحاضرين، بما في ذلك التلاميذ، الذين اعتبروا أنّ قيمة الطّيب - حوالي 300 دينار، أي ما يعادل الدّخل السّنوي للعامل - كان من الأفضل بيعه وإعطاء ثمنه للفقراء. وبحسب إنجيل يوحنّا، فإنّ يهوذا هو الذي جعل من نفسه لسان حال هذا الموقف: "لِماذا لم يُبَعْ هٰذا الطِّيبُ بِثَلاثِمائَةِ دينار، فتُعْطى لِلفُقَراء؟". وأضاف الإنجيليّ: "ولَم يَقُلْ هٰذا لِٱهتِمامِه بِالفُقَراء، بل لأَنَّه كانَ سارِقًا وكانَ صندوقُ الدَّراهِمِ عِندَه، فيَختَلِسُ ما يُلْقى فيه" (12، 5-6). ليس من قبيل المصادفة أن يأتي هذا النّقد القاسي من فم الخائن: إنّه دليل على أنّ الذين لا يعترفون بالفقراء يخونون تعاليم يسوع ولا يمكنهم أن يكونوا تلاميذه. في هذا الصّدد، لنتذكّر كلمات أوريجانوس الشديدة: "بدا يهوذا مهتمًّا بالفقراء [...]. إذا كان لا يزال هناك الآن شخص لديه صندوق الكنيسة ويتحدّث نيابة عن الفقراء مثل يهوذا، ولكن بعد ذلك يأخذ ما قدّموه، فليحصل إذًا على نصيبه مع يهوذا" (تعليق على إنجيل متّى، 11، 9).

الموقف الثاني هو موقف يسوع نفسه، ويسمح لنا بإدراك المعنى العميق للبادرة التي قامت بها المرأة. يقول: "دَعوها، لِماذا تُزعِجونَها؟ فقَد عَمِلَت لي عَمَلاً صالِحًا" (مرقس 14، 6). يعرف يسوع أنّ موته قريب، ويرى في تلك البادرة إشارة سابقة إلى دهن جسده الميت بالطّيب، قبل وضعه في القبر. تتجاوز هذه الرؤية كلّ توقّعات الجلساء معه على المائدة. يذكّرهم يسوع أنّه هو أوّل فقير، وأفقر الفقراء لأنّه يمثّلهم جميعًا. وأيضًا باسم الفقراء، والوحيدين، والمهمّشين، والذين يتعرّضون للتّمييز العنصري، يقبل ابن الله مبادرة تلك المرأة. إنّها، بإحساسها الأنثويّ، تُظهر أنّها الوحيدة التي تدرك حالة الرّبّ. هذه المرأة المجهولة، ولهذا ربما كان مقدّرًا لها أن تمثّل عالم النساء بأكمله، اللواتي لن يكون لهن صوت مسموع على مرّ العصور وسيتعرضن للعنف. وهي تفتتح وتبدأ حضورًا مهمًّا للنّساء اللّواتي يشاركن في حياة المسيح عند بلوغها القمة: صلبه، وموته، ودفنه، وظهوره قائمًا من بين الأموات. فالنّساء، اللّواتي غالبًا ما يتعرّضْن للتّمييز العنصري ويُستَبعَدْنَ عن مواقع المسؤوليّة، هنَّ، في صفحات الأناجيل، بطلات في قصّة الوحي. وعبارة يسوع الختامية بليغة، التي يربط بها هذه المرأة بالرّسالة الإنجيليّة السامية: "الحَقَّ أَقولُ لكم: حَيثُما تُعلَنِ البِشارَةُ في العالَمِ كُلِّه، يُحَدَّثْ أَيضًا بِما صَنَعت هٰذه، إِحْياءً لِذِكرِها" (مرقس 14، 9).

2. هذا "التعاطف" الشديد بين يسوع والمرأة، والطريقة التي يفسّر بها إفاضة الطّيب عليه، على عكس النظرة المتشّكّكة ليهوذا والآخرين، تفتح طريقًا خصبًا للتّفكير في الرّابط الذي لا ينقطع بين يسوع، والفقراء والبشارة بالإنجيل.

إنّ وجه الله الذي يكشفه لنا يسوع هو، في الواقع، وجه أب للفقراء وقريب من الفقراء. كلّ أعمال يسوع تؤكّد أنّ الفقر ليس نتيجة القدر، بل هو علامة ملموسة على حضوره بيننا. نحن لا نجده متى شئنا وحيثما شئنا، بل نلقاه في حياة الفقراء، وفي معاناتهم وعوزهم، وفي ظروف غير إنسانيّة أحيانًا يكونون مجبرين على العيش فيها. لن أمَلَّ أبدًا من التكرار: إنّ الفقراء هم مبشّرون حقيقيّون، لأنّهم كانوا أوّل من تلقّوْا بشارة الإنجيل ودُعُوا إلى المشاركة في نعيم الرّبّ وملكوته (را. متّى 5، 3).

يبشّرنا الفقراء في كلّ حالة وفي كلّ مكان، لأنّهم يسمحون لنا بإعادة اكتشاف أكثر السّمات أصالة في وجه الآب بطريقة دائمًا جديدة. "إنّهم يقدرون أن يعلّمونا الشيء الكثير. علاوة على مشاركتهم في حسّ الإيمان، فهم بآلامهم الخاصّة يعرفون المسيح المتألّم. من الضروري أن ندعهم يبشّروننا جميعًا. التبشير الجديد بالإنجيل هو دعوة إلى أن نعترف بقوّة وجود الفقراء الخلاصيّة، وإلى أن نضعهم في صميم مسيرة الكنيسة. إنّنا مدعوّون إلى أن نكتشف المسيح فيهم، وأن نعيرهم صوتنا للدّفاع عن قضاياهم، ولكن أيضًا بأن نكون أصدقاء لهم، وأن نصغي إليهم، ونفهمهم، وأن نتقبّل الحكمة السّريّة التي يريد الله أن ينقلها إلينا من خلالهم. التزامنا تجاه الفقراء لا يقوم فقط بأعمال أو برامج تنمية ومساعدة. ما يحرّكه الرّوح القدس ليس النّشاطات الكثيرة والزائدة، بل هو، قبل كلّ شيء، تنبُّهٌ للآخر، واعتباره شيئًا واحدًا معنا. هذا التنبه المحبّ هو بداية الاهتمام الحقيقي بشخصه، وانطلاقًا من ذلك، أرغب في السّعي الفعلي لخيره" (الإرشاد الرّسولي، فرح الإنجيل، 198-199).

3. يسوع ليس فقط في صفّ الفقراء، بل يشاركهم المصير نفسه. هذا تعليم بليغ لتلاميذه أيضًا في كلّ العصور. إنّ كلماته "أَمَّا الفُقَراء فهُم عِندَكم دائمًا أَبدًا" تشير أيضًا إلى هذا: حضورهم بيننا دائم، لكن يجب ألّا يؤدي إلى عادة تصبح لامبالاة، بل يجب أن تكون حياتنا معهم مشاركة ولا تقبل تكليف غيرنا بهم. الفقراء ليسوا أناسًا "خارجيّين" عن الجماعة، لكنّهم إخوة وأخوات نشاركهم معاناتهم، للتّخفيف من مشقّاتهم ووضعهم الهامشي، لاستعادة كرامتهم المفقودة وضمان اندماجهم في المجتمع كما يجب أن يكون. من ناحية أخرى، نعلم أنّ مبادرة الإحسان تفترض وجود مُحسِن ومستفيد، بينما المشاركة تولِّد الأخوّة. الصَّدقة عَرَض، والمشاركة دائمة. قد تكون الصَّدقة إرضاءً لمن يقوم بها، وإذلالًا لمن يتقبلها، بينما تقوّي مشاركة التّضامن وتهيّئ الظروف اللّازمة لتحقيق العدالة. باختصار، عندما يريد المؤمنون رؤية يسوع شخصيًّا ولمسه بيدهم، يعرفون إلى أين يتّجهون: الفقراء هم علامة المسيح، وهم يمثّلون شخصه ويشيرون إليه.

لدينا العديد من الأمثلة على القدّيسين الذين جعلوا مشاركة الفقراء خطّة حياتهم. أفكّر، من بينهم، في الأب داميان دي فوستر، قدّيس ورسول البُرص. استجاب بسخاءٍ كبير إلى الدعوة للذهاب إلى جزيرة مولوكاي، والتي أصبحت معزلًا متاحًا فقط للبرص، ليحيا ويموت معهم. شمَّر عن ساعديه وفعل المستحيل لجعل حياة هؤلاء الفقراء المرضى والمهمّشين حياة تستحق أن تعاش، ولو تحوّلت إلى حالة من التدهور الشّديد. أصبح طبيبًا وممرّضًا، غير مكترث بالمخاطر التي تعرّض لها، وفي "مستعمرة الموت"، كما سمّيت الجزيرة، حملَ نور الحبّ. أصيب هو أيضًا بالبرص، تلك علامة على المشاركة الكاملة مع الإخوة والأخوات الذين بذل حياته من أجلهم. شهادته معاصرة جدًّا في أيّامنا هذه، والتي تميّزت بجائحة فيروس كورونا: نعمة الله تعمل بالتّأكيد في قلوب الكثيرين الذين لا يظهرون للعلن، ولكنهم ينفقون على أفقر النّاس، ويشاركونهم بصورة عملية.

4. نحن بحاجة إذن لأن نقبل دعوة الرّبّ، بقناعة كاملة: "توبوا وآمِنوا بِالبِشارة" (مرقس 1، 15). تقوم هذه التوبة في المقام الأول، بفتح قلوبنا للتعرّف على صور الفقر العديدة وإعلان ملكوت الله من خلال أسلوب حياة منسجم مع الإيمان الذي نعلنه. يُعتبر الفقراء غالبًا أنّهم أشخاص منفصلون، فئةً تتطلّب خدمة محبّة خاصة. اتّباع يسوع يستلزم، في هذا الصّدد، تغييرًا في العقليّة، أي قبول تحدّي المقاسمة والمشاركة. أن نُصبح تلاميذه، يقتضي اختيار عدم اكتناز كنوزٍ في الأرض، والتي تُوهِم بالأمان، وهو في الواقع هشّ وفانٍ. على العكس، اتباع يسوع يتطلّب أن نكون مستعدين لنتحرر من كلّ رباط يحول دون الوصول إلى السّعادة الحقيقيّة والنّعيم، فندرك ما هو دائم ولا يمكن لأيّ شيء أو أيّ شخص أن يدمره (را. متّى 6، 19-20).

حتّى في هذه الحالة، تسير تعاليم يسوع عكس التيار، لأنّها تَعِدُ بما تستطيع فقط عيون الإيمان رؤيته وتجربته بيقين مطلق: "وكُلُّ مَن تَرَكَ بُيوتًا أَو إِخوةً أَو أَخواتٍ أَو أَبًا أَو أُمًّا أَو بَنينَ أَو حُقولاً لأَجلِ ٱسْمي، يَنالُ مائةَ ضِعْفٍ ويَرِثُ الحَياةَ الأَبَدِيَّة" (متّى 19، 29). إذا لم تَخْتَر أن تكون فقيرًا من حيث الثروات الزائلة، والسلطة في هذا العالم، والمجد الباطل، فلن تكون قادرًا أبدًا على بذل حياتك بدافع الحبّ. ستعيش حياة مجزّأة، مليئة بالنّوايا الحسنة ولكنّها لا تقدر أن تغيّر العالم. يجب إذن الانفتاح بشكل حاسم على نعمة المسيح، التي يمكنها أن تجعلنا شهودًا لمحبّته اللامحدودة، وإعادة المصداقيّة إلى حضورنا في العالم.

5. يحثّنا إنجيل المسيح على أن نولي اهتمامًا خاصًّا للفقراء ويطلب منّا التعرّف على الأشكال العديدة جدًّا من الاضطرابات الأخلاقيّة والاجتماعيّة التي تولّد دائمًا أشكالًا جديدة من الفَقْر. هناك مفهوم يقول إنّ الفقراء هم المسؤولون عن حالتهم، بل هم أيضًا عبء لا يُحتمل على نظام اقتصاديّ متمحور على مصلحة بعض الفئات المنتفعة. ويبدو أنّ هذا المفهوم آخذ بالازدياد. السّوق التي تتجاهل المبادئ الأخلاقيّة أو تختار منها ما يرضيها فقط، تخلق ظروفًا غير إنسانيّة تؤثّر على الأشخاص الذين يعيشون من قبل في ظروف صعبة. وهكذا تُخلَق أسباب جديدة دائمًا من العوز والإقصاء، تنتجها عوامل اقتصاديّة وماليّة لا ضمير لها، وهي مجردة من الحسّ الإنساني والمسؤوليّة الاجتماعيّة.

علاوة على ذلك، أضيفت إلى ذلك بليّة أخرى، زادت عدد الفقراء، وهي الجائحة التي ما زالت تقرع أبواب الملايين من النّاس، وعندما لا تحمل معها المعاناة والموت، فإنّها تظلّ نذير فقر متزايد. لقد زاد عدد الفقراء بشكل كبير، ولسوء الحظ، سيزداد أكثر في الأشهر القادمة. تعاني بعض البلدان من عواقب وخيمة للغاية من الجائحة، بحيث يجد الأشخاص الأكثر ضعفًا أنفسهم محرومين من الضروريّات الأساسيّة. الطّوابير الطويلة أمام موائد الطّعام للفقراء هي علامة ملموسة على هذا التدهور. هذا يتطلّب نظرة متأنّية لإيجاد أنسب الحلول لمحاربة الفيروس على مستوى العالم، دون النظر إلى المصالح الخاصّة. ومن المُسْتَعجَل تقديم إجابات محدّدة للذين يعانون من البطالة، والتي تصيب بشكل مأساويّ أرباب العائلات، والنّساء والشباب. إنّ التضامن الاجتماعيّ وسخاء الكثيرين، والحمد لله، والمشاريع ذات النظرة المستقبليّة للنّهوض بالإنسان، ساهمت وتقدّم إسهامًا مهمًّا للغاية في هذا الظّرف الصّعب.

6. ومع ذلك، يبقى السّؤال المُبهم مفتوحًا: كيف يمكن إعطاء إجابة عملية لملايين الفقراء الذين لا يقابَلون إلّا باللامبالاة أو حتى بالتأفف؟ ما هو مسار العدالة الذي يجب اتّباعه لنتمكن من التغلّب على الفروق الاجتماعيّة، ولاستعادة الكرامة الإنسانيّة التي تُداس في كثير من الأحيان؟ إنّ نمط الحياة "الفرديّ" هو شريك في توليد الفقر، بل يحمّل الفقراء غالبًا المسؤوليّة الكاملة عن وضعهم المعيشيّ. لكن الفقر ليس نتيجة القدر، بل هو نتيجة الأنانيّة. لذلك، من الضّروري إنشاء عمليّات تطوير يتمّ فيها تعزيز مهارات الجميع، لأنّ تكامُل المهارات وتنوّع الأدوار يؤدّي إلى مَوارِدَ عامة للمشاركة. هناك العديد من أنواع الفقر في "الأغنياء" الذي يمكن معالجته بغِنَى "الفقراء"، لو التقَوْا وتعارفوا فقط! لا أحد فقير لدرجة أنّه لا يستطيع تقديم شيء من نفسه، في نظام يقوم على التعامل بالمثل. لا يمكن أن يكون الفقراء هم وحدهم الذين يأخذون. يجب أن يوضعوا في حالة يقدرون فيها أن يعطوا، لأنّهم يعرفون جيّدًا كيف يردون على العطاء. أمامنا أمثلة مشاركة كثيرة! الفقراء يعلّموننا غالبًا التّضامن والمشاركة. صحيح أنّهم أناس ينقصهم شيء ما، ينقصهم "الكثير"، وأحيانًا "الضروري"، لكن لا ينقصهم كلّ شيء، لأنّهم يحتفظون بكرامة أبناء الله التي لا يستطيع شيء ولا أحد أن ينتزعها منهم.

7. لهذا يلزم اتّباع نهج مختلف مع الفقر. إنّه تحدّ يتعيّن على الحكومات والمؤسّسات العالميّة أن يتعاملوا معه بأنماط اجتماعية بعيدة النظر، قادرة على مواجهة أشكال الفقر الجديدة التي تملأ العالم والتي ستؤثّر بشكل حاسم على العقود القادمة. إذا تمّ تهميش الفقراء، كما لو كانوا المسؤولين عن وضعهم المعيشي، فإنّ مفهوم الديمقراطيّة نفسه هو في حالة اضطّراب، وكلّ سياسة اجتماعيّة تصبح مهددة بالفشل. يجب أن نعترف، بتواضعٍ كثير، بأنّنا غالبًا غير أكْفَاء أمام الفقراء. يُحكى عنهم بصورة مجردة، ويُكتفى أحيانًا بالإحصائيات، أو يُعتقد إثارة الشفقة ببعض الأفلام الوثائقيّة. على العكس، الفقر يجب أن يدعو إلى تخطيط إبداعي، يزيد الحريّة الفعّالة والمقدرة على تحقيق الحياة بقدرات كلّ شخص. من الأوهام التي يجب إزالتها، مثل الاعتقاد بأنّ المال هو الذي يوجد الحريّة ويزيدها. خدمة الفقراء بصورة فعّالة تدعو إلى العمل، وإلى إيجاد أنسب الطّرق لإحياء وتعزيز هذا القِسم من البشريّة، الذي غالبًا ما يكون مجهول الهويّة ولا صوت له، ووجه المخلّص المطبوع فيه يطلب المساعدة.

8. "أَمَّا الفُقَراء فهُم عِندَكم دائمًا أَبدًا" (مرقس 14، 7). إنّها دعوة إلى عدم إغفال الفرصة المتاحة لفعل الخير، أبدًا. في الخلفيّة، يمكن أن نرى الأمر الوارد في الكتاب المقدس: "إِذا كانَ عِندَكَ فَقيرٌ مِن إِخوَتِكَ [...]، فلا تُقَسِّ قَلبَكَ ولا تَقْبِضْ يَدَكَ عن أَخيكَ الفَقير،بلِ ٱفتَحْ لَه يَدَكَ وأَقرِضْه مِقْدارَ ما يَحْتاجُ إِلَيه. [...] بل أَعطِهِ، لا كَرْهًا إِذا أَعطَيتَه، وبِذٰلك يُبارِكُكَ الرَّبُّ إِلٰهُكَ في كُلِّ أَعْمالِكَ وفي كُلِّ مَشارِيعِك. إِنَّ الأَرضَ لا تَخْلو مِن فَقير" (تثنية الاشتراع 15، 7-8. 10-11). كان الرسول بولس على الموجة نفسها عندما حثّ المسيحيّين في جماعاته على مساعدة فقراء الجماعة الأولى في أورشليم، والقيام بذلك "لا آسِفًا ولا مُكْرَهًا. لأَنَّ اللهَ يُحِبُّ مَن أَعْطى مُتَهَلِّلاً" (2 قورنتس 9، 7). إنّها ليست مسألة إراحة ضميرنا بإعطاء بعض الصّدقات، بل يجب معارضة ثقافة اللامبالاة والظّلم الذي به نعامل الفقراء.

في هذا السّياق، من الجيّد أيضًا التذكير بكلمات القدّيس يوحنّا الذهبيّ الفم: "من كان كريمًا يجب ألّا يطلب بيانًا بشأن حياة الشخص المحتاج، ولكن عليه فقط أن يعالج فقره ويلبّي احتياجاته. كلّ إنسان فقير يطلب شيئًا واحدًا هو تلبية حاجته ووضعه المعوز. لا تطلب أي شيء آخر منه، بل حتّى لو كان هو الأكثر شرًّا من بين جميع الناس، لكنّه فاقد للقوت الضروري، يجب أن نعتقه من الجوع. [...] الذي يعطي صدقة هو ميناء للمحتاجين: والميناء يستقبل كلّ الذين تحطّمت سفينتهم، ويحرّرهم من الخطر، سواء كانوا أشرارًا أو صالحين، أيًّا كان وضع الذين في خطر، ويقدّم لهم الملجأ والحماية. كذلك أنت، عندما ترى على الأرض ذلك الشخص الذي تحطّمت سفينته بالفقر، لا تحكم عليه، ولا تطلب معرفة قصّة حياته، بل حرّره من محنته" (سلسلة عظات عن مثل الغنيّ ولعازر، العظة الثاني، فقرة 5).

9. من المهم جدًّا أن تزداد الحساسيّة لفهم احتياجات الفقراء، التي تتبدّل دائمًا مع ظروف الحياة. اليوم، في الواقع، في أكثر مناطق العالم تقدّمًا على الصّعيد الاقتصادي، أصبح الناس أقلّ استعدادًا لمواجهة الفقر ممّا كانوا عليه في الماضي. حالة الرفاهيّة النسبيّة التي تمّ الاعتياد عليها تجعل من الصّعب قبول التضحيات والحرمان. نحن مستعدّون لعمل أيّ شيء شرط ألّا نُحرَم ممّا حصلنا عليه بسهولة. وهكذا يتمّ الوقوع في أشكال الحقد، وفترات متقطعة من العصبيّة، والمطالبات التي تؤدّي إلى الخوف، والقلق والعنف أحيانًا. ليس هذا هو المعيار الذي نبني عليه المستقبل. ومع ذلك، فهذه أيضًا أشكال من الفقر لا يمكن تجاهلها. يجب أن نكون منفتحين على قراءة علامات الأزمنة، التي تدل على طرق جديدة بها نحمل البشارة في العالم المعاصر. المساعدة الفوريّة لتلبية احتياجات الفقراء يجب ألّا تمنعنا من أن نكون بعيدي النظر، فنحقق علامات جديدة للمحبّة والصّدقة المسيحيّة، جوابًا على الفقر الجديد الذي تختبره البشريّة اليوم.

نحتفل اليوم للمرة الخامسة باليوم العالمي للفقراء، أرجو أن يتأصّل الاحتفال بهذا اليوم أكثر فأكثر في كنائسنا المحليّة، وينفتح على حركة تبشير تلتقي أولًا بالفقراء، هناك حيثُ هم. لا يمكننا أن ننتظر منهم أن يقرعوا بابنا، فمن الملحّ أن نصل إليهم في بيوتهم، وفي المستشفيات ودور الرّعاية، وفي الشوارع وفي الزّوايا المظلمة حيث يختبئون أحيانًا، وفي مراكز اللجوء والاستقبال... من المهم أن نفهم كيف يشعرون، وماذا يختبرون وما هي رغباتهم. لنجعَلْ من كلمات دون بريمو مازولاري الصّادقة كلماتنا: "أودّ أن أطلب منكم ألّا تسألوني هل هناك فقراء، ومن هُم وكَم عددهم، لأنّني أخشى أن تكون هذه الأسئلة تحويل نظر عنهم أو تحويل الانتباه عن إشارة دقيقة في الضّمير والقلب. [...] لم أقم قط بأي إحصاء للفقراء، لأنّه لا يمكن إحصاؤهم: الفقراء يُعانَقون، ولا يُطلب كم هم؟" (مجلّة "الآن" عدد. 7 - 15 أبريل/نيسان 1949). الفقراء هم في ما بيننا. سنعيش بحسب الإنجيل حقًّا إذا استطعنا أن نقول بكلّ حقّ: نحن أيضًا فقراء، لأنّنا بهذه الطريقة فقط سنتمكّن من التعرّف عليهم حقًّا وجعلهم جزءًا من حياتنا وأداة للخلاص.

 

أُعطيَ في روما، في بازيليكا القديس يوحنا في اللاتران، يوم 13 حزيران/يونيو من العام 2021، في تذكار القدّيس أنطونيوس البدواني.

فرنسيس

[00829-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0379-XX.02]