Omelia del Santo Padre
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Alle ore 10.00 di questa mattina, Domenica di Pentecoste, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa all’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo:
Omelia del Santo Padre
«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito» (1 Cor 12,4). Così scrive ai Corinzi l’apostolo Paolo. E prosegue: «Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio» (vv. 5-6). Diversi e uno: San Paolo insiste a mettere insieme due parole che sembrano opporsi. Vuole dirci che lo Spirito Santo è quell’uno che mette insieme i diversi; e che la Chiesa è nata così: noi, diversi, uniti dallo Spirito Santo.
Andiamo dunque all’inizio della Chiesa, al giorno di Pentecoste. Guardiamo gli Apostoli: tra di loro c’è gente semplice, abituata a vivere del lavoro delle proprie mani, come i pescatori, e c’è Matteo, che era stato un istruito esattore delle tasse. Ci sono provenienze e contesti sociali diversi, nomi ebraici e nomi greci, caratteri miti e altri focosi, visioni e sensibilità differenti. Tutti erano differenti. Gesù non li aveva cambiati, non li aveva uniformati facendone dei modellini in serie. No. Aveva lasciato le loro diversità e ora li unisce ungendoli di Spirito Santo. L’unione – l’unione di loro diversi – arriva con l’unzione. A Pentecoste gli Apostoli comprendono la forza unificatrice dello Spirito. La vedono coi loro occhi quando tutti, pur parlando lingue diverse, formano un solo popolo: il popolo di Dio, plasmato dallo Spirito, che tesse l’unità con le nostre diversità, che dà armonia perché nello Spirito c’è armonia. Lui è l’armonia.
Veniamo a noi, Chiesa di oggi. Possiamo chiederci: “Che cosa ci unisce, su che cosa si fonda la nostra unità?”. Anche tra noi ci sono diversità, ad esempio di opinioni, di scelte, di sensibilità. Ma la tentazione è sempre quella di difendere a spada tratta le proprie idee, credendole buone per tutti, e andando d’accordo solo con chi la pensa come noi. E questa è una brutta tentazione che divide. Ma questa è una fede a nostra immagine, non è quello che vuole lo Spirito. Allora si potrebbe pensare che a unirci siano le stesse cose che crediamo e gli stessi comportamenti che pratichiamo. Ma c’è molto di più: il nostro principio di unità è lo Spirito Santo. Lui ci ricorda che anzitutto siamo figli amati di Dio; tutti uguali, in questo, e tutti diversi. Lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle! Ripartiamo da qui, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. II mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico.
Torniamo al giorno di Pentecoste e scopriamo la prima opera della Chiesa: l’annuncio. Eppure vediamo che gli Apostoli non preparano una strategia; quando erano chiusi lì, nel Cenacolo, non facevano la strategia, no, non preparano un piano pastorale. Avrebbero potuto suddividere la gente in gruppi secondo i vari popoli, parlare prima ai vicini e poi ai lontani, tutto ordinato... Avrebbero anche potuto aspettare un po’ ad annunciare e intanto approfondire gli insegnamenti di Gesù, per evitare rischi... No. Lo Spirito non vuole che il ricordo del Maestro sia coltivato in gruppi chiusi, in cenacoli dove si prende gusto a “fare il nido”. E questa è una brutta malattia che può venire alla Chiesa: la Chiesa non comunità, non famiglia, non madre, ma nido. Egli apre, rilancia, spinge al di là del già detto e del già fatto, Lui spinge oltre i recinti di una fede timida e guardinga. Nel mondo, senza un assetto compatto e una strategia calcolata si va a rotoli. Nella Chiesa, invece, lo Spirito garantisce l’unità a chi annuncia. E gli Apostoli vanno: impreparati, si mettono in gioco, escono. Un solo desiderio li anima: donare quello che hanno ricevuto. È bello quell’inizio della Prima Lettera di Giovanni: “Quello che noi abbiamo ricevuto e abbiamo visto, diamo a voi” (cfr 1,3).
Giungiamo finalmente a capire qual è il segreto dell’unità, il segreto dello Spirito. Il segreto dell’unità nella Chiesa, il segreto dello Spirito è il dono. Perché Egli è dono, vive donandosi e in questo modo ci tiene insieme, facendoci partecipi dello stesso dono. È importante credere che Dio è dono, che non si comporta prendendo, ma donando. Perché è importante? Perché da come intendiamo Dio dipende il nostro modo di essere credenti. Se abbiamo in mente un Dio che prende, che si impone, anche noi vorremo prendere e imporci: occupare spazi, reclamare rilevanza, cercare potere. Ma se abbiamo nel cuore Dio che è dono, tutto cambia. Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della stessa vita un dono. E amando umilmente, servendo gratuitamente e con gioia, offriremo al mondo la vera immagine di Dio. Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci.
Cari fratelli e sorelle, guardiamoci dentro e chiediamoci che cosa ci ostacola nel donarci. Ci sono, diciamo, tre nemici del dono, i principali: tre, sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo. Il narcisismo fa idolatrare sé stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti. Il narcisista pensa: “La vita è bella se io ci guadagno”. E così arriva a dire: “Perché dovrei donarmi agli altri?”. In questa pandemia, quanto fa male il narcisismo, il ripiegarsi sui propri bisogni, indifferenti a quelli altrui, il non ammettere le proprie fragilità e i propri sbagli. Ma anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso. Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo: “Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!”. Quante volte abbiamo sentito queste lamentele! E il suo cuore si chiude, mentre si domanda: “Perché gli altri non si donano a me?”. Nel dramma che viviamo, quant’è brutto il vittimismo! Pensare che nessuno ci comprenda e provi quello che proviamo noi. Questo è il vittimismo. Infine c’è il pessimismo. Qui la litania quotidiana è: “Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…”. Il pessimista se la prende col mondo, ma resta inerte e pensa: “Intanto a che serve donare? È inutile”. Ora, nel grande sforzo di ricominciare, quanto è dannoso il pessimismo, il vedere tutto nero, il ripetere che nulla tornerà più come prima! Pensando così, quello che sicuramente non torna è la speranza. In questi tre – l’idolo narcisista dello specchio, il dio-specchio; il dio-lamentela: “io mi sento persona nelle lamentele”; e il dio-negatività: “tutto è nero, tutto è scuro” – ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo, ci guarisce dallo specchio, dalle lamentele e dal buio.
Fratelli e sorelle, preghiamolo: Spirito Santo, memoria di Dio, ravviva in noi il ricordo del dono ricevuto. Liberaci dalle paralisi dell’egoismo e accendi in noi il desiderio di servire, di fare del bene. Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia. Amen.
[00701-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
« Les dons de la grâce sont variés, mais c’est le même Esprit » (1 Cor 12, 4), c’est ainsi qu’écrit l’apôtre Paul aux Corinthiens. Et il poursuit: « Les services sont variés, mais c’est le même Seigneur. Les activités sont variées, mais c’est le même Dieu » (vv. 5-6). Variés et le même : Saint Paul insiste à mettre ensemble deux paroles qui semblent s’opposer. Il veut nous dire que l’Esprit Saint est ce même qui met ensemble des choses variées; et que l’Eglise est née ainsi: nous, divers, unis par le même Esprit Saint.
Allons donc aux débuts de l’Eglise, au jour de la Pentecôte. Regardons les Apôtres: parmi eux il y a des gens simples, habitués à vivre du travail de leurs mains, comme les pêcheurs, et il y a Matthieu, qui avait été un percepteur d’impôts érudit. Il y a diverses provenances et divers contextes sociaux, des noms juifs et des noms grecs, des caractères doux et d’autres fougueux, des façons de voir et des sensibilités différentes. Ils étaient tous différents. Jésus ne les avait pas changés, il ne les avait pas uniformisés en en faisant des maquettes en série. Non. Il avait laissé leurs diversités et maintenant il les unit en les oignant du Saint Esprit. L’union- l’union de leurs diversités arrive grâce à l’onction. A la Pentecôte, les Apôtres comprennent la force unificatrice de l’Esprit. Ils la voient de leurs yeux quand tous, bien que parlant diverses langues, forment un seul peuple: le peuple de Dieu, façonné par l’Esprit qui tisse l’unité avec nos diversités, qui donne harmonie parce que dans l’Esprit il y a harmonie. Il est l’harmonie.
Venons-en à nous, Eglise d’aujourd’hui. Nous pouvons nous demander: "Qu’est ce qui nous unit, sur quoi se fonde notre unité?". Parmi nous aussi, il y a des diversités, d’opinions par exemple, de choix, de sensibilité. Mais la tentation est toujours celle de vouloir défendre à tout prix nos idées, en les croyant bonnes pour tous et en étant d’accord seulement avec celui qui pense comme nous. Et c’est une mauvaise tentation qui divise. Mais c’est une foi à notre image, non pas ce que veut l’Esprit. On pourrait alors penser que nous sommes unis par les mêmes choses que nous croyons et les mêmes comportements que nous pratiquons. Mais il y a bien plus: notre principe d’unité est le Saint Esprit. Il nous rappelle que nous sommes avant tout, enfants aimés de Dieu; tous égaux, en cela, et tous divers. L’Esprit vient à nous, avec toutes nos diversités et nos misères, pour nous dire que nous avons un seul Seigneur, Jésus, et un seul Père, et que pour cela nous sommes frères et sœurs! Repartons à partir d’ici, regardons l’Eglise comme fait l’Esprit, non pas comme fait le monde. Le monde nous voit de droite et de gauche; avec telle idéologie ou telle autre. L’Esprit nous voit à partir du Père et de Jésus. Le monde voit des conservateurs et des progressistes; l’Esprit voit des enfants de Dieu. Le regard mondain voit des structures à rendre plus efficaces; le regard spirituel voit des frères et sœurs mendiants de miséricorde. L’Esprit nous aime et connaît la place de chacun dans l’ensemble: pour lui, nous ne sommes pas des confettis emportés par le vent, mais des pièces irremplaçables de sa mosaïque.
Retournons au jour de la Pentecôte et découvrons la première œuvre de l’Eglise: l’annonce. Pourtant nous voyons que les Apôtres ne préparent pas une stratégie; quand ils étaient enfermés là, dans le Cénacle, ils ne faisaient pas de stratégie, non, ils ne préparent pas un plan pastoral. Ils auraient pu subdiviser les gens en groupes selon les divers peuples, parler premièrement aux plus proches et ensuite aux plus lointains, tout en ordre… Ils auraient aussi pu attendre un peu avant d’annoncer et, en attendant, approfondir les enseignements de Jésus, afin d’éviter les risques…Non. L’Esprit ne veut pas que le souvenir du Maître soit cultivé dans des groupes fermés, dans des cénacles où on prend goût à "faire son nid". C’est une mauvaise maladie qui peut arriver dans l’Eglise: l’Eglise non pas comme communauté, non pas comme famille, non pas comme mère, mais un nid. Il ouvre, relance, pousse au-delà du déjà dit et du déjà fait, il pousse au-delà des barrières d’une foi timide et prudente. Dans le monde, sans une organisation solide et une stratégie calculée, on va à la dérive. Dans l’Eglise, par contre, l’Esprit garantit l’unité à celui qui annonce. Et les Apôtres y vont: non préparés, ils se mettent en jeu, ils sortent. Un seul désir les anime: donner ce qu’ils ont reçu. Il est beau ce début de la Première Lettre de Jean: «Ce que nous avons vu et entendu, nous vous l’annonçons à vous aussi» (Jn 1, 3).
Nous parvenons finalement à comprendre quel est le secret de l’unité, le secret de l’Esprit. Le secret de l’unité dans l’Eglise, le secret de l’Esprit, c’est le don. Parce qu’il est don, il vit en se donnant et de cette façon, il nous maintient ensemble, en nous faisant participant du même don. Il est important de croire que Dieu est don, qu’il ne se comporte pas en prenant, mais en donnant. Pourquoi est-ce important? Parce que de la manière dont nous entendons Dieu, dépend notre façon d’être croyants. Si nous avons à l’esprit un Dieu qui prend, qui s’impose, nous voudrons nous aussi prendre et nous imposer: occuper des espaces, réclamer de la considération, rechercher du pouvoir. Mais si nous avons dans le cœur Dieu qui est don, tout change. Si nous nous rendons compte que ce que nous sommes est son don, don gratuit et immérité, alors nous aussi, nous voudrons faire de la même vie un don. Et en aimant humblement, en servant gratuitement et avec joie, nous offrirons au monde la vraie image de Dieu. L’Esprit, mémoire vivante de l’Eglise, nous rappelle que nous sommes nés d’un don et que nous grandissons en nous donnant; non pas en nous conservant, mais en nous donnant.
Chers frères et sœurs, regardons-nous du dedans et demandons-nous, qu’est ce qui nous empêche de nous donner. Il existe, disons, trois ennemis du don, les principaux: trois, tapis toujours à la porte de notre cœur: le narcissisme, le fait de se poser en victime et le pessimisme. Le narcissisme fait s’idolâtrer soi-même, il fait se complaire seulement de ses propres intérêts. Le narcissique pense: "La vie est belle si j’y gagne". Et ainsi il arrive même à dire: "Pourquoi devrais-je me donner aux autres?". Dans cette pandémie, combien fait malle narcissisme, le fait de se replier sur ses besoins, indifférent à ceux d’autrui, le fait de ne pas admettre ses propres fragilités et ses propres erreurs. Mais aussi le second ennemi, le fait de se poser en victime, est dangereux. Celui qui se prend pour une victime se plaint tous les jours de son prochain: "Personne ne me comprend, personne ne m’aide, personne ne m’aime, tous sont contre moi!". Que de fois avons-nous entendu ces lamentations! Et son cœur se ferme, pendant qu’il se demande: "Pourquoi les autres ne se donnent-ils pas à moi?". Dans le drame que nous vivons, comme il est mauvais de se poser en victime! Penser que personne ne nous comprend et ne ressent ce que nous ressentons. Ceci est le fait de se poser en victime. Enfin il y a le pessimisme. Ici la litanie quotidienne est: "Rien ne va bien, la société, la politique, l’Eglise…". Le pessimiste s’en prend au monde, mais il reste inerte et pense: "De toute façon à quoi sert-il de donner? C’est inutile". Actuellement, dans le grand effort de recommencer, combien le pessimisme est nocif, le fait de voir tout en noir, le fait de répéter que rien ne sera plus comme avant! En pensant ainsi, ce qui sûrement ne revient pas c’est l’espérance. Parmi ces trois - l’idole narcissique du miroir, le dieu-miroir; le dieu-lamentation: "je me sens comme une personne dans les lamentations"; et le dieu-négativité: "tout est noir, tout est obscur" - nous nous trouvons en manque d’espérance et nous avons besoin d’apprécier le don de la vie, le don qu’est chacun de nous. Pour cela, nous avons besoin de l’Esprit Saint, don de Dieu, qui nous guérit du narcissisme, du fait de se poser en victime et du pessimisme, qui nous guérit du miroir, des lamentations et de l’obscurité.
Frères et sœurs prions-le: Esprit Saint, mémoire de Dieu, ravive en nous le souvenir du don reçu. Libère-nous de la paralysie de l’égoïsme et allume en nous le désir de servir, de faire du bien. Parce que le pire de cette crise, c’est seulement le drame de la gâcher, en nous refermant sur nous-mêmes. Viens, EspritSaint: toi qui es harmonie, fais de nous des bâtisseurs d’unité; toi qui te donnes toujours, donne-nous le courage de sortir de nous-mêmes, de nous aimer et de nous aider, pour devenir une unique famille. Amen
[00701-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“There are different kinds of spiritual gifts, but the same Spirit” (1 Cor 12:4), as the Apostle Paul writes to the Corinthians. He continues: “There are different forms of service, but the same Lord; there are different workings but the same God who produces all of them in everyone” (vv. 5-6). Diversity and unity: Saint Paul puts together two words that seem contradictory. He wants to tell us that the Holy Spirit is the one who brings together the many; and that the Church was born this way: we are all different, yet united by the same Holy Spirit.
Let us go back to the origin of the Church, to the day of Pentecost. Let us look at the Apostles: some of them were fishermen, simple people accustomed to living by the work of their hands, but there were also others, like Matthew, who was an educated tax collector. They were from different backgrounds and social contexts, and they had Hebrew and Greek names. In terms of character, some were meek and others were excitable; they all had different ideas and sensibilities. They were all different. Jesus did not change them; he did not make them into a set of pre-packaged models. No. He left their differences and now he unites them by anointing them with the Holy Spirit. With the anointing comes their union – union in diversity. At Pentecost, the Apostles understand the unifying power of the Spirit. They see it with their own eyes when everyone, though speaking in different languages, comes together as one people: the people of God, shaped by the Spirit, who weaves unity from diversity and bestows harmony because in the Spirit there is harmony. He himself is harmony.
Let us now focus on ourselves, the Church of today. We can ask ourselves: “What is it that unites us, what is the basis of our unity?”. We too have our differences, for example: of opinions, choices, sensibilities. But the temptation is always fiercely to defend our ideas, believing them to be good for everybody and agreeing only with those who think as we do. This is a bad temptation that brings division. But this is a faith created in our own image; it is not what the Spirit wants. We might think that what unite us are our beliefs and our morality. But there is much more: our principle of unity is the Holy Spirit. He reminds us that first of all we are God’s beloved children; all equal, in this respect, and all different. The Spirit comes to us, in our differences and difficulties, to tell us that we have one Lord – Jesus – and one Father, and that for this reason we are brothers and sisters! Let us begin anew from here; let us look at the Church with the eyes of the Spirit and not as the world does. The world sees us only as on the right or left, with one ideology or the other; the Spirit sees us as sons and daughters of the Father and brothers and sisters of Jesus. The world sees conservatives and progressives; the Spirit sees children of God. A worldly gaze sees structures to be made more efficient; a spiritual gaze sees brothers and sisters pleading for mercy. The Spirit loves us and knows everyone’s place in the grand scheme of things: for him, we are not bits of confetti blown about by the wind, rather we are irreplaceable fragments in his mosaic.
If we go back to the day of Pentecost, we discover that the first task of the Church is proclamation. Yet we also see that the Apostles devised no strategy; when they were locked in there, in the Upper Room, they were not strategizing, no, they were not drafting any pastoral plan. They could have divided people into groups according to their roots, speaking first to those close by and then to those far away, in an orderly manner... They could have also waited a while before beginning their preaching in order to understand more deeply the teachings of Jesus, so as to avoid risks... No. The Spirit does not want the memory of the Master to be cultivated in small groups locked in upper rooms where it is easy to “nest”. This is a terrible disease that can also infect the Church: making her into a nest instead of a community, a family or a Mother. The Spirit himself opens doors and pushes us to press beyond what has already been said and done, beyond the precincts of a timid and wary faith. In the world, unless there is tight organization and a clear strategy, things fall apart. In the Church, however, the Spirit guarantees unity to those who proclaim the message. The Apostles set off: unprepared, yet putting their lives on the line. One thing kept them going: the desire to give what they received. The opening part of the First Letter of Saint John is beautiful: “that which we have seen and heard we proclaim also to you” (cf. 1:3).
Here we come to understand what the secret of unity is, the secret of the Spirit. The secret of unity in the Church, the secret of the Spirit is gift. For the Spirit himself is gift: he lives by giving himself and in this way he keeps us together, making us sharers in the same gift. It is important to believe that God is gift, that he acts not by taking away, but by giving. Why is this important? Because our way of being believers depends on how we understand God. If we have in mind a God who takes away and who imposes himself, we too will want to take away and impose ourselves: occupying spaces, demanding recognition, seeking power. But if we have in our hearts a God who is gift, everything changes. If we realize that what we are is his gift, free and unmerited, then we too will want to make our lives a gift. By loving humbly, serving freely and joyfully, we will offer to the world the true image of God. The Spirit, the living memory of the Church, reminds us that we are born from a gift and that we grow by giving: not by holding on but by giving of ourselves.
Dear brothers and sisters, let us look within and ask ourselves what prevents us from giving ourselves. There are, so to speak, three main enemies of the gift, always lurking at the door of our hearts: narcissism, victimhood and pessimism. Narcissism makes us idolize ourselves, to be concerned only with what is good for us. The narcissist thinks: “Life is good if I profit from it”. So he or she ends up saying: “Why should I give myself to others?”. In this time of pandemic, how wrong narcissism is: the tendency to think only of our own needs, to be indifferent to those of others, and not to admit our own frailties and mistakes. But the second enemy, victimhood, is equally dangerous. Victims complain every day about their neighbour: “No one understands me, no one helps me, no one loves me, everyone has it in for me!”. How many times have we not heard these complaints! The victim’s heart is closed, as he or she asks, “Why aren’t others concerned about me?”. In the crisis we are experiencing, how ugly victimhood is! Thinking that no one understands us and experiences what we experience. This is victimhood. Finally, there is pessimism. Here the unending complaint is: “Nothing is going well, society, politics, the Church…”. The pessimist gets angry with the world, but sits back and does nothing, thinking: “What good is giving? That is useless”. At this moment, in the great effort of beginning anew, how damaging is pessimism, the tendency to see everything in the worst light and to keep saying that nothing will return as before! When someone thinks this way, the one thing that certainly does not return is hope. In these three – the narcissist idol of the mirror, the mirror-god; the complaint-god: “I feel human only when I complain”; and the negativity-god: “everything is dark, the future is bleak” – we experience a famine of hope and we need to appreciate the gift of life, the gift that each of us is. We need the Holy Spirit, the gift of God who heals us of narcissism, victimhood and pessimism. He heals us from the mirror, complaints and darkness.
Brothers and sisters, let us pray to him: Holy Spirit, memory of God, revive in us the memory of the gift received. Free us from the paralysis of selfishness and awaken in us the desire to serve, to do good. Even worse than this crisis is the tragedy of squandering it by closing in on ourselves. Come, Holy Spirit: you are harmony; make us builders of unity. You always give yourself; grant us the courage to go out of ourselves, to love and help each other, in order to become one family. Amen.
[00701-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
»Es gibt verschiedene Gnadengaben, aber nur den einen Geist« (1 Kor 12,4), schreibt der Apostel Paulus an die Korinther. Und er fährt fort: »Es gibt verschiedene Dienste, aber nur den einen Herrn; es gibt verschiedene Kräfte, die wirken, aber nur den einen Gott« (V. 5-6). Die Verschiedenen – der Eine: Paulus legt Wert auf die Verbindung dieser scheinbar widersprüchlichen Worte. Er will uns sagen, dass der Heilige Geist dieser Eine ist, der die Verschiedenen zusammenbringt, und dass die Kirche so geboren wird: Wir, die Verschiedenen, werden durch den Heiligen Geist geeint.
Begeben wir uns also an den Anfang der Kirche, zum Pfingsttag. Schauen wir uns die Apostel an. Unter ihnen gibt es einfache Leute, die, wie etwa die Fischer, gewohnt sind, von ihrer Hände Arbeit zu leben; da ist aber auch Matthäus, der ein gebildeter Steuereinnehmer war. Sie kommen aus unterschiedlichen sozialen Verhältnissen, sie haben jüdische und griechische Namen, sanfte und feurige Charaktere, unterschiedliche Sichtweisen und Empfindungen. Alle waren sie verscheiden. Jesus hatte sie nicht verändert, er hatte sie nicht vereinheitlicht und zu „Serienmodellen“ gemacht. Nein. Er ließ ihre Unterschiede bestehen und nun vereint er sie, indem er sie mit dem Heiligen Geist salbt. Die Vereinigung – die Einheit dieser Verschiedenen – kommt mit der Salbung. An Pfingsten erkennen die Apostel die einheitsstiftende Kraft des Geistes. Mit eigenen Augen sehen sie, dass alle, obwohl sie unterschiedliche Sprachen sprechen, ein einziges Volk bilden, das Volk Gottes, das geformt ist vom Heiligen Geist, der aus unseren Unterschieden eine Einheit webt und alles in Einklang bringt, weil im Heiligen Geist Einklang ist. Er ist der Einklang.
Kommen wir nun zu uns, zur Kirche von heute. Wir können uns fragen: „Was verbindet uns, worauf gründet unsere Einheit?“ Auch bei uns gibt es Unterschiede, z.B. in den Meinungen, in den Entscheidungen, im Empfinden. Aber die Versuchung besteht immer darin, dass wir unsere eigenen Ideen „bis aufs Messer“ verteidigen, dass wir glauben, diese seien gut für alle und dass wir nur mit denen zurechtkommen, die so denken wie wir. Und das ist eine schlimme Versuchung, die Spaltung bringt. Aber dies ist ein Glaube nach unserer Fasson, es ist nicht das, was der Geist will. Man könnte freilich auch meinen, dass unsere Einheit darin besteht, dass wir das Gleiche glauben und die gleichen Verhaltensweisen praktizieren. Aber da ist noch viel mehr. Unser Prinzip der Einheit ist der Heilige Geist. Er erinnert uns daran, dass wir zuallererst Gottes geliebte Kinder sind. Darin sind wir alle gleich und alle verschieden. Der Geist kommt zu uns, mit all unseren Unterschieden und Nöten, um uns zu sagen, dass wir einen einzigen Herrn, nämlich Jesus, und einen einzigen Vater haben und dass wir deshalb Brüder und Schwestern sind! Lasst uns von diesen Überlegungen her noch einmal auf die Kirche schauen, und zwar so, wie der Heilige Geist und nicht wie die Welt sie betrachtet. Aus weltlicher Sicht gehören wir der Rechten oder der Linken an, mit dieser oder jener Ideologie; für den Geist gehören wir zum Vater und zu Jesus. Die Welt sieht Konservative und Progressive; der Geist sieht Kinder Gottes. Ein weltlicher Blick sieht Strukturen, die effizienter gestaltet werden müssten; ein geistlicher Blick sieht Brüder und Schwestern, die um Erbarmen betteln. Der Geist liebt uns und kennt den Platz eines jeden im großen Ganzen. Für ihn sind wir keine im Wind treibenden Konfettischnipsel, sondern unersetzliche Steinchen seines Mosaiks.
Kehren wir zum Pfingsttag zurück und entdecken wir das erste Werk der Kirche: die Verkündigung. Dabei sehen wir aber auch, dass sich die Apostel keine Strategie überlegen. Als sie dort hinter verschlossenen Türen im Abendmahlssaal waren, da überlegten sie sich keine Strategie, nein, da erstellen sie auch keinen Pastoralplan. Sie hätten die Menschen nach den verschiedenen Volkszugehörigkeiten in Gruppen aufteilen können, sie hätten sich zuerst an die Nahen und dann an die weiter Entfernten wenden können, ganz geordnet... Sie hätten mit der Verkündigung auch noch eine Weile warten können, um die Lehre Jesu erst einmal zu vertiefen, und so gewisse Risiken zu vermeiden... Nein, das konnten sie nicht. Der Geist will nicht, dass die Erinnerung an den Meister in geschlossenen Gruppen gepflegt wird, in Kreisen, in denen man sich gerne „sein Nest baut“. Und dies ist eine schlimme Krankheit, die die Kirche befallen kann, dass die Kirche nicht Gemeinschaft, nicht Familie, nicht Mutter, sondern ein Nest ist. Er öffnet, er erhöht, er drängt über das bereits Gesagte und Getane, er drängt über die Einfriedungen eines schüchternen und zurückhaltenden Glaubens hinaus. In der Welt kommt man ohne ein kompaktes Arrangement und eine ausgeklügelte Strategie nicht weit. In der Kirche hingegen garantiert der Geist denen Einheit, die verkündigen. Und so machen sich die Apostel unvorbereitet auf den Weg, sie setzen einiges aufs Spiel, sie gehen hinaus. Ein einziger Wunsch beseelt sie: das weiterzugeben, was sie erhalten haben. Am Anfang des Ersten Johannesbriefes heißt es recht schön: „Das, was wir empfangen und gesehen haben, das geben wir weiter an euch“ (vgl. 1,3).
Und so verstehen wir schließlich, was das Geheimnis der Einheit, was das Geheimnis des Heiligen Geistes ist. Das Geheimnis der Einheit in der Kirche, das Geheimnis des Heiligen Geistes ist die Hingabe. Weil er ganz Gabe ist, lebt er, indem er sich selbst gibt, und auf diese Weise hält er uns zusammen und lässt uns teilhaben an eben dieser Gabe. Es ist wichtig, daran zu glauben, dass Gott ganz Gabe ist, dass er nicht nimmt, sondern gibt. Warum ist das wichtig? Weil es von unserer Gottesvorstellung abhängt, auf welche Weise wir unseren Glauben leben. Wenn wir einen Gott im Sinn haben, der sich alles nimmt, der sich aufdrängt, dann möchten auch wir uns alles nehmen und uns aufdrängen: Räume besetzen, Bedeutung beanspruchen, nach Macht streben. Aber wenn wir Gott als Gabe in unseren Herzen spüren, ändert sich alles. Wenn uns bewusst wird, dass das, was wir sind, sein Geschenk ist, seine freie und unverdiente Gabe, dann werden auch wir dieses Leben zu einem Geschenk machen wollen. Und indem wir demütig lieben und unentgeltlich und freudig dienen, werden wir der Welt das wahre Bild Gottes offenbaren. Der Geist, das lebendige Gedächtnis der Kirche, erinnert uns daran, dass wir uns einer Gabe verdanken und dass wir wachsen, indem wir uns hingeben; nicht indem wir unser Leben bewahren, sondern indem wir uns hingeben.
Liebe Brüder und Schwestern, schauen wir auf unser Leben und fragen wir uns, was uns daran hindert, uns selbst zu geben. Es gibt sozusagen drei Feinde der Hingabe, drei besonders schlimme, die immer vor der Tür des Herzens kauern: der Narzissmus, das Selbstmitleid und der Pessimismus. Der Narzissmus führt dazu, dass man sich selbst vergöttert, dass nur der eigene Vorteil zählt. Der Narzisst denkt: „Das Leben ist schön, wenn es sich für mich auszahlt“. Und so sagt er schließlich: „Warum sollte ich mich anderen hingeben?“ Wie schlimm ist, jetzt in dieser Pandemie, der Narzissmus, der Rückzug auf die eigenen Bedürfnisse, die Gleichgültigkeit gegenüber den Bedürfnissen anderer, das Nichteingestehen der eigenen Fehler und Schwächen. Aber auch der zweite Feind, das Selbstmitleid, ist gefährlich. Der von Selbstmitleid Befallene beschwert sich jeden Tag über seine Mitmenschen: „Niemand versteht mich, niemand hilft mir, niemand mag mich, alle haben etwas gegen mich!“ Wie oft haben wir dieses Gejammer schon gehört! Und sein Herz verschließt sich, während er sich fragt: „Warum sind die anderen nicht für mich da?“ Wie unschön ist solches Selbstmitleid angesichts der dramatischen Situation, in der wir uns befinden! Zu denken, dass niemand uns versteht und das fühlt, was wir fühlen. Das ist das Selbstmitleid. Und dann ist da noch der Pessimismus. Hier lautet die tägliche Litanei: „Nichts ist gut, weder die Gesellschaft, noch die Politik, noch die Kirche...“. Der Pessimist hat ein Problem mit der Welt, bleibt aber untätig und denkt: „Was bringt es schon, etwas zu geben? Es ist nutzlos“. Jetzt, im großen Bemühen um einen Neubeginn, wie schädlich ist da der Pessimismus, die Schwarzmalerei und die ständige Leier, dass nichts mehr so sein wird, wie es einmal war! Wenn man so denkt, kehrt die Hoffnung sicher nicht zurück. Wenn diese drei Götzen herrschen – der narzisstische Götze des Spiegels, wenn man sein Spiegelbild vergöttert; der Gott des Gejammers, wenn man sich über das Jammern definiert; und der Gott des Pessimismus, wenn uns alles schwarz und dunkel erscheint - dann erleben wir einen Mangel an Hoffnung und wir müssen das Geschenk des Lebens wieder schätzen lernen, das Geschenk, das jeder von uns ist. Deshalb brauchen wir den Heiligen Geist, die Gabe Gottes, der unseren Narzissmus, unser Selbstmitleid und unseren Pessimismus heilt. Er heilt uns von unseren Spiegelbildern, vom Gejammer und von aller Dunkelheit.
Brüder und Schwestern, lasst uns zu ihm beten: Heiliger Geist, Gedächtnis Gottes, belebe in uns die Erinnerung an die empfangene Gabe. Befreie uns aus der Lähmung des Egoismus und entzünde in uns die Sehnsucht zu dienen und Gutes zu tun. Denn schlimmer als die gegenwärtige Krise wäre nur, wenn wir die Chance, die sie birgt, ungenutzt verstreichen ließen und uns in uns selbst verschlössen. Komm, Heiliger Geist, der du der Einklang bist, mache uns zu Erbauern der Einheit; du, der du dich immer hingibst, gib uns den Mut, aus uns selbst herauszugehen, einander zu lieben und uns gegenseitig beizustehen, um eine einzige Familie zu werden. Amen.
[00701-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
«Hay diversidad de carismas, pero un mismo Espíritu» (1 Co 12,4). Así escribe el apóstol Pablo a los corintios; y continúa diciendo: «Hay diversidad de ministerios, pero un mismo Señor; y hay diversidad de actuaciones, pero un mismo Dios» (vv. 5-6). Diversidad y unidad: San Pablo insiste en juntar dos palabras que parecen contraponerse. Quiere indicarnos que el Espíritu Santo es la unidad que reúne a la diversidad; y que la Iglesia nació así: nosotros, diversos, unidos por el Espíritu Santo.
Vayamos, pues, al comienzo de la Iglesia, al día de Pentecostés. Y fijémonos en los Apóstoles: muchos de ellos eran gente sencilla, pescadores, acostumbrados a vivir del trabajo de sus propias manos, pero estaba también Mateo, un instruido recaudador de impuestos. Había orígenes y contextos sociales diferentes, nombres hebreos y nombres griegos, caracteres mansos y otros impetuosos, así como puntos de vista y sensibilidades distintas. Todos eran diferentes. Jesús no los había cambiado, no los había uniformado y convertido en ejemplares producidos en serie. No. Había dejado sus diferencias y, ahora, ungiéndolos con el Espíritu Santo, los une. La unión —la unión de la diversidad— se realiza con la unción. En Pentecostés los Apóstoles comprendieron la fuerza unificadora del Espíritu. La vieron con sus propios ojos cuando todos, aun hablando lenguas diferentes, formaron un solo pueblo: el pueblo de Dios, plasmado por el Espíritu, que entreteje la unidad con nuestra diversidad, y da armonía porque en el Espíritu hay armonía.
Pero volviendo a nosotros, la Iglesia de hoy, podemos preguntarnos: “¿Qué es lo que nos une, en qué se fundamenta nuestra unidad?”. También entre nosotros existen diferencias, por ejemplo, de opinión, de elección, de sensibilidad. Pero la tentación está siempre en querer defender a capa y espada las propias ideas, considerándolas válidas para todos, y en llevarse bien sólo con aquellos que piensan igual que nosotros. Y esta es una fea tentación que divide. Pero esta es una fe construida a nuestra imagen y no es lo que el Espíritu quiere. En consecuencia, podríamos pensar que lo que nos une es lo mismo que creemos y la misma forma de comportarnos. Sin embargo, hay mucho más que eso: nuestro principio de unidad es el Espíritu Santo. Él nos recuerda que, ante todo, somos hijos amados de Dios; todos iguales, en esto, y todos diferentes. El Espíritu desciende sobre nosotros, a pesar de todas nuestras diferencias y miserias, para manifestarnos que tenemos un solo Señor, Jesús, y un solo Padre, y que por esta razón somos hermanos y hermanas. Empecemos de nuevo desde aquí, miremos a la Iglesia como la mira el Espíritu, no como la mira el mundo. El mundo nos ve de derechas y de izquierdas, de esta o de aquella ideología; el Espíritu nos ve del Padre y de Jesús. El mundo ve conservadores y progresistas; el Espíritu ve hijos de Dios. La mirada mundana ve estructuras que hay que hacer más eficientes; la mirada espiritual ve hermanos y hermanas mendigos de misericordia. El Espíritu nos ama y conoce el lugar que cada uno tiene en el conjunto: para Él no somos confeti llevado por el viento, sino teselas irremplazables de su mosaico.
Regresemos al día de Pentecostés y descubramos la primera obra de la Iglesia: el anuncio. Y, aun así, notamos que los Apóstoles no preparaban ninguna estrategia; cuando estaban encerrados allí, en el cenáculo, no elaboraban una estrategia, no, no preparaban un plan pastoral. Podrían haber repartido a las personas en grupos, según sus distintos pueblos de origen, o dirigirse primero a los más cercanos y, luego, a los lejanos; también hubieran podido esperar un poco antes de comenzar el anuncio y, mientras tanto, profundizar en las enseñanzas de Jesús, para evitar riesgos, pero no. El Espíritu no quería que la memoria del Maestro se cultivara en grupos cerrados, en cenáculos donde se toma gusto a “hacer el nido”. Y esta es una fea enfermedad que puede entrar en la Iglesia: la Iglesia no como comunidad, ni familia, ni madre, sino como nido. El Espíritu abre, reaviva, impulsa más allá de lo que ya fue dicho y fue hecho, Él lleva más allá de los ámbitos de una fe tímida y desconfiada. En el mundo, todo se viene abajo sin una planificación sólida y una estrategia calculada. En la Iglesia, por el contrario, es el Espíritu quien garantiza la unidad a los que anuncian. Por eso, los apóstoles se lanzan, poco preparados, corriendo riesgos; pero salen. Un solo deseo los anima: dar lo que han recibido. Es hermoso el comienzo de la Primera Carta de San Juan: “Eso que hemos recibido y visto os lo anunciamos” (cf. 1,3).
Finalmente llegamos a entender cuál es el secreto de la unidad, el secreto del Espíritu. El secreto de la unidad en la Iglesia, el secreto del Espíritu es el don. Porque Él es don, vive donándose a sí mismo y de esta manera nos mantiene unidos, haciéndonos partícipes del mismo don. Es importante creer que Dios es don, que no actúa tomando, sino dando. ¿Por qué es importante? Porque nuestra forma de ser creyentes depende de cómo entendemos a Dios. Si tenemos en mente a un Dios que arrebata, que se impone, también nosotros quisiéramos arrebatar e imponernos: ocupando espacios, reclamando relevancia, buscando poder. Pero si tenemos en el corazón a un Dios que es don, todo cambia. Si nos damos cuenta de que lo que somos es un don suyo, gratuito e inmerecido, entonces también a nosotros nos gustaría hacer de la misma vida un don. Y así, amando humildemente, sirviendo gratuitamente y con alegría, daremos al mundo la verdadera imagen de Dios. El Espíritu, memoria viviente de la Iglesia, nos recuerda que nacimos de un don y que crecemos dándonos; no preservándonos, sino entregándonos sin reservas.
Queridos hermanos y hermanas: Examinemos nuestro corazón y preguntémonos qué es lo que nos impide darnos. Decimos que tres son los principales enemigos del don: tres, siempre agazapados en la puerta del corazón: el narcisismo, el victimismo y el pesimismo. El narcisismo, que lleva a la idolatría de sí mismo y a buscar sólo el propio beneficio. El narcisista piensa: “La vida es buena si obtengo ventajas”. Y así llega a decirse: “¿Por qué tendría que darme a los demás?”. En esta pandemia, cuánto duele el narcisismo, el preocuparse de las propias necesidades, indiferente a las de los demás, el no admitir las propias fragilidades y errores. Pero también el segundo enemigo, el victimismo, es peligroso. El victimista está siempre quejándose de los demás: “Nadie me entiende, nadie me ayuda, nadie me ama, ¡están todos contra mí!”. ¡Cuántas veces hemos escuchado estas lamentaciones! Y su corazón se cierra, mientras se pregunta: “¿Por qué los demás no se donan a mí?”. En el drama que vivimos, ¡qué grave es el victimismo! Pensar que no hay nadie que nos entienda y sienta lo que vivimos. Esto es el victimismo. Por último, está el pesimismo. Aquí la letanía diaria es: “Todo está mal, la sociedad, la política, la Iglesia...”. El pesimista arremete contra el mundo entero, pero permanece apático y piensa: “Mientras tanto, ¿de qué sirve darse? Es inútil”. Y así, en el gran esfuerzo que supone comenzar de nuevo, qué dañino es el pesimismo, ver todo negro y repetir que nada volverá a ser como antes. Cuando se piensa así, lo que seguramente no regresa es la esperanza. En estos tres —el ídolo narcisista del espejo, el dios espejo; el dios-lamentación: “me siento persona cuando me lamento”; el dios-negatividad: “todo es negro, todo es oscuridad”— nos encontramos ante una carestía de esperanza y necesitamos valorar el don de la vida, el don que es cada uno de nosotros. Por esta razón, necesitamos el Espíritu Santo, don de Dios que nos cura del narcisismo, del victimismo y del pesimismo, nos cura del espejo, de la lamentación y de la oscuridad.
Hermanos y hermanas, pidámoslo: Espíritu Santo, memoria de Dios, reaviva en nosotros el recuerdo del don recibido. Líbranos de la parálisis del egoísmo y enciende en nosotros el deseo de servir, de hacer el bien. Porque peor que esta crisis, es solamente el drama de desaprovecharla, encerrándonos en nosotros mismos. Ven, Espíritu Santo, Tú que eres armonía, haznos constructores de unidad; Tú que siempre te das, concédenos la valentía de salir de nosotros mismos, de amarnos y ayudarnos, para llegar a ser una sola familia. Amén.
[00701-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
«Há diversidade de dons espirituais, mas o Espírito é o mesmo»: assim escreve Paulo aos Coríntios. E continua: «Há diversidade de serviços, mas o Senhor é o mesmo; e há diversos modos de agir, mas é o mesmo Deus que realiza tudo em todos» (1 Cor 12, 4-6). Diversidade e o mesmo, diversos e um só: o Apóstolo insiste em juntar duas palavras que parecem opostas. Quer-nos dizer que este um só que junta os diversos é o Espírito Santo. E a Igreja nasceu assim: diversos, unidos pelo Espírito Santo.
Recuemos até aos inícios da Igreja, no dia de Pentecostes, e fixemos os Apóstolos: entre eles, temos pessoas simples, habituadas a viver do trabalho das suas mãos, como os pescadores, e está Mateus, certamente dotado de instrução pois fora cobrador de impostos. Existem origens e contextos sociais diversos, nomes hebraicos e nomes gregos, temperamentos pacatos e outros ardorosos, ideias e sensibilidades diferentes. Eram todos diferentes. Jesus não os mudara, nem os uniformizara, tornando-os modelos em série. Não. Deixara as suas diversidades; e agora une-os, ungindo-os com o Espírito Santo. A união – a união deles que eram diversos – vem com a unção. No Pentecostes, os Apóstolos compreendem a força unificadora do Espírito. Veem-na com os próprios olhos, ao constatar que todos, apesar de falar línguas diversas, formam um só povo: o povo de Deus, plasmado pelo Espírito, que tece a unidade com as nossas diferenças, que dá harmonia porque, no Espírito, há harmonia. Ele é a harmonia.
Mas voltemos à Igreja de hoje. Podemos interrogar-nos: «O que é que nos une, em que se baseia a nossa unidade?» Também entre nós existem diversidades, por exemplo de opinião, preferência, sensibilidade. A tentação, porém, é defender sempre de espada desembainhada as nossas ideias, considerando-as boas para todos e pactuando apenas com quem pensa como nós. E esta é uma tentação ruim, que divide. Mas, esta é uma fé à nossa imagem, não é aquilo que deseja o Espírito. Nesse caso, poder-se-ia pensar que aquilo que nos une fossem as próprias coisas em que acreditamos e os próprios comportamentos que adotamos. Mas não! Há muito mais: o nosso princípio de unidade é o Espírito Santo. E a primeira coisa que Ele nos lembra é que somos filhos amados de Deus; nisto, todos iguais e, todavia, somos todos diferentes. O Espírito vem a nós, com todas as nossas diversidades e misérias, para nos dizer que temos um só e mesmo Senhor, Jesus, um só e mesmo Pai; por isso, somos irmãos e irmãs. Partamos daqui! Olhemos a Igreja como faz o Espírito, não como faz o mundo. O mundo vê-nos de direita e de esquerda, com esta ideologia, com aquela; o Espírito vê-nos do Pai e de Jesus. O mundo vê conservadores e progressistas; o Espírito vê filhos de Deus. O olhar do mundo vê estruturas, que se devem tornar mais eficientes; o olhar espiritual vê irmãos e irmãs implorando misericórdia. O Espírito ama-nos e conhece o lugar de cada um no todo: para Ele não somos papelinhos coloridos levados pelo vento, mas ladrilhos insubstituíveis do seu mosaico.
Tornamos ao dia de Pentecostes e descobrimos a primeira obra da Igreja: o anúncio. Vemos, porém, que os Apóstolos não preparam uma estratégia; quando estavam fechados lá, no Cenáculo, não montavam a estratégia, não; não preparavam um plano pastoral. Teriam podido dividir as pessoas por grupos segundo os vários povos, falar primeiro aos de perto e depois aos que eram de longe, tudo bem ordenado... Teriam podido também temporizar um pouco no anúncio e, entretanto, aprofundar os ensinamentos de Jesus, para evitar riscos... Mas não! O Espírito não quer que a recordação do Mestre seja cultivada em grupos fechados, em cenáculos onde tendemos a «fazer o ninho». E esta é uma doença má que pode vir à Igreja: uma Igreja não comunidade, nem família, nem mãe, mas ninho. O Espírito abre, relança, impele para além do que já foi dito e feito, Ele impele para além dos recintos duma fé tímida e cautelosa. No mundo, sem uma estrutura compacta e uma estratégia calculada é um fracasso. Na Igreja, ao contrário, o Espírito assegura ao arauto a unidade. E os Apóstolos partem: sem preparação, lançam-se, saem. Anima-os um único desejo: dar o que receberam. Como é belo aquele princípio da Primeira Carta de João: aquilo que nós recebemos e vimos, damo-lo a vós (cf. 1, 3)!
Finalmente chegamos a compreender qual é o segredo da unidade, o segredo do Espírito. O segredo da unidade da Igreja, o segredo do Espírito é o dom. Porque Ele é dom, vive doando-Se e, assim, nos mantém unidos, fazendo-nos participantes do mesmo dom. É importante acreditar que Deus é dom, que não se comporta tomando, mas dando. E por que é importante? Porque o nosso modo de ser crentes depende de como entendermos Deus. Se tivermos em mente um Deus que toma, que Se impõe, desejaremos também nós tomar e impor-nos: ocupar espaços, reivindicar importância, procurar poder. Mas, se tivermos no coração que Deus é dom, muda tudo. Se nos dermos conta de que aquilo que somos é dom d’Ele, dom gratuito e imerecido, então também nós quereremos fazer da própria vida um dom. E amando humildemente, servindo gratuitamente e com alegria, ofereceremos ao mundo a verdadeira imagem de Deus. O Espírito, memória viva da Igreja, lembra-nos que nascemos de um dom e crescemos doando-nos; não poupando-nos, mas dando-nos.
Queridos irmãos e irmãs, olhemos no íntimo de nós mesmos e perguntemo-nos o que é que impede de nos darmos. Há – por assim dizer – três inimigos do dom; os principais são três, sempre deitados à porta do coração: o narcisismo, a vitimização e o pessimismo. O narcisismo leva a idolatrar-me a mim mesmo, a comprazer-me apenas com o lucro próprio. O narcisista pensa: «A vida é boa, se eu ganho com ela». E assim chega a dizer: «Por que deveria eu doar-me aos outros?» Nesta pandemia, faz um mal imenso o narcisismo, o debruçar-se apenas sobre as próprias carências, insensível às dos outros, o não admitir as próprias fragilidades e erros. Mas o segundo inimigo, a vitimização, também é perigoso. A vítima lamenta-se todos os dias do seu próximo: «Ninguém me compreende, ninguém me ajuda, ninguém me quer bem, estão todos contra mim!» Quantas vezes ouvimos estas lamentações! E o seu coração fecha-se, enquanto se interroga: «Por que não se doam a mim os outros?» No drama que vivemos, como é má a vitimização! Como é mau pensar que ninguém nos compreende e sente aquilo que sentimos nós! Isto é o fazer a vítima. Por fim, temos o pessimismo. Neste caso, a ladainha diária é: «Nada vai bem, a sociedade, a política, a Igreja...» O pessimista insurge-se contra o mundo, mas fica inerte e pensa: «Assim para que serve doar-se? É inútil». Agora, no grande esforço de recomeçar, como é prejudicial o pessimismo, ver tudo negro, repetir que nada voltará a ser como antes! Pensando assim, aquilo que seguramente não volta é a esperança. Nestes três – o ídolo narcisista do espelho, o deus-espelho; o deus-lamentação: «sinto-me alguém nas lamentações»; e o deus-negatividade: «é tudo negro, é tudo escuro» – encontramo-nos na carestia da esperança e precisamos de apreciar o dom da vida, o dom que é cada um de nós. Por isso, necessitamos do Espírito Santo, dom de Deus que nos cura do narcisismo, da vitimização e do pessimismo; cura do espelho, das lamentações e da escuridão.
Irmãos e irmãs, peçamo-lo: Espírito Santo, memória de Deus, reavivai em nós a lembrança do dom recebido. Libertai-nos das paralisias do egoísmo e acendei em nós o desejo de servir, de fazer bem. Porque pior do que esta crise, só o drama de a desperdiçar fechando-nos em nós mesmos. Vinde, Espírito Santo! Vós que sois harmonia, tornai-nos construtores de unidade; Vós que sempre Vos doais, dai-nos a coragem de sair de nós mesmos, de nos amar e ajudar, para nos tornarmos uma única família. Amen.
[00701-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Różne są dary łaski, lecz ten sam Duch” (1 Kor 12, 4). Tak pisze Apostoł Paweł do Koryntian. I kontynuuje: „Różne też są rodzaje posługiwania, ale jeden Pan; różne są wreszcie działania, lecz ten sam Bóg” (ww. 5-6). Różne i jeden: św. Paweł nalega na połączenie dwóch słów, które zdają się być przeciwstawne. Chce nam powiedzieć, że Duch Święty jest ten jeden, który łączy to, co jest różne, i że Kościół narodził się w ten sposób: my, różni, zjednoczeni przez Ducha Świętego.
Przejdźmy więc do początków Kościoła, do dnia Pięćdziesiątnicy. Spójrzmy na apostołów: są wśród nich ludzie prości, nawykli do życia z pracy rąk własnych, jak rybacy, i jest Mateusz, który był wykształconym poborcą podatkowym. Są wśród nich ludzie różnego pochodzenia i wywodzący się z różnych sytuacji społecznych, o imionach żydowskich i greckich, o charakterach łagodnych oraz wybuchowych, o różnych wizjach i wrażliwościach. Wszyscy byli różni. Jezus nie zmieniał ich, nie ujednolicił czyniąc ich seryjnymi modelami. Nie. Pozostawił ich różnice a teraz łączy namaszczając ich Duchem Świętym. Jedność przychodzi wraz z namaszczeniem. W dniu Pięćdziesiątnicy Apostołowie rozumieją jednoczącą moc Ducha Świętego. Widzą to na własne oczy, gdy wszyscy, choć mówią różnymi językami, tworzą jeden lud: lud Boży, ukształtowany przez Ducha, który splata jedność z naszych różnic, który daje harmonię, bo w Duchu jest harmonia. On jest harmonią.
Przejdźmy do nas, do dzisiejszego Kościoła. Możemy zadać sobie pytanie: „Co nas łączy, na czym opiera się nasza jedność?”. Także wśród nas istnieją różnice, na przykład opinii, wyborów, wrażliwości. Zawsze jednak istnieje pokusa zawziętej obrony swoich idei, sądząc, że są one dobre dla wszystkich i dogadując się tylko z tymi, którzy myślą tak, jak my. A to jest brzydka pokusa, która dzieli. Ale to jest wiara na nasz obraz, to nie to, czego chce Duch. Można by wówczas pomyśleć, że tym co nas jednoczy są te samy rzeczy, w które wierzymy i te same zachowania, jakie stosujemy. Ale jest znacznie więcej: naszą zasadą jedności jest Duch Święty. Przypomina On nam, że przede wszystkim jesteśmy umiłowanymi dziećmi Bożymi; w tym wszyscy tacy sami i wszyscy różni. Duch przychodzi do nas, ze wszystkimi naszymi różnicami i nędzami, aby nam powiedzieć, że mamy jednego Pana, Jezusa, i jednego Ojca, i że dlatego jesteśmy braćmi i siostrami! Zacznijmy od tego, spójrzmy na Kościół tak, jak czyni to Duch, a nie jak czyni to świat. Świat widzi nas jako prawicowców albo lewicowców, z tą, albo inną ideologią; Duch widzi nas jako należących do Ojca i Jezusa. Świat widzi konserwatystów i postępowców; Duch widzi dzieci Boże. Spojrzenie światowe widzi struktury, które trzeba uczynić bardziej wydajnymi; spojrzenie duchowe widzi braci i siostry żebrzących o miłosierdzie. Duch nas miłuje i zna miejsce każdego w całości: dla Niego nie jesteśmy konfetti niesionymi przez wiatr, ale niezastąpionymi fragmentami Jego mozaiki.
Wróćmy do dnia Pięćdziesiątnicy i odkryjmy pierwsze dzieło Kościoła: głoszenie. Widzimy jednak, że apostołowie nie przygotowują strategii; gdy byli zamknięci tam, w Wieczerniku, nie planowali strategii, nie, nie przygotowują planu duszpasterskiego. Mogli podzielić ludzi na grupy według różnych narodów, mówić najpierw do bliskich, a następnie do dalekich, wszystko uporządkowane... Mogli też poczekać chwilę z głoszeniem, a w międzyczasie pogłębić nauki Jezusa, by uniknąć ryzyka... Nie. Duch nie chce, aby pamięć o Mistrzu była kultywowana w zamkniętych grupach, w wieczernikach, w których przyzwyczajamy się do „zagnieżdżenia”. A to jest poważna choroba, która może dotknąć Kościół: Kościół nie wspólnota, nie rodzina, nie matka, ale gniazdo. [Duch] otwiera, wypycha poza to, co już zostało powiedziane i uczynione, poza opłotki nieśmiałej i skrupulatnej wiary. W świecie, bez solidnego uporządkowania i skalkulowanej strategii zmierzamy ku upadkowi. W Kościele natomiast Duch Święty gwarantuje jedność tym, którzy głoszą. A apostołowie idą: nieprzygotowani, podejmują zaangażowanie, wychodzą. Ożywia ich tylko jedno pragnienie: obdarzać tym, co otrzymali. Piękny jest ten początek Pierwszego Listu Jana: „oznajmiamy wam, cośmy ujrzeli i usłyszeli” (1, 3).
W końcu udaje się nam zrozumieć, co jest tajemnicą jedności, tajemnicą Ducha. Tajemnicą jedności Kościoła, tajemnicą Ducha jest dar. Ponieważ On jest darem, żyje dając siebie i w ten sposób utrzymuje nas razem, czyniąc nas uczestnikami tego samego daru. Ważne jest, byśmy wierzyli, że Bóg jest darem, że nie działa biorąc, lecz dając. Dlaczego to takie ważne? Ponieważ od tego jak pojmujemy Boga, zależy nasz sposób bycia ludźmi wierzącymi. Jeśli mamy na myśli Boga, który bierze, który się narzuca, to my także chcielibyśmy brać i się narzucać: zajmować przestrzenie, przypominać o swoim znaczeniu, zabiegać o władzę. Ale jeśli mamy w naszych sercach Boga, który jest darem, wszystko się zmienia. Jeśli uświadomimy sobie, że to, czym jesteśmy jest Jego darem, darem bezinteresownym i niezasłużonym, to wówczas także i my będziemy chcieli uczynić z naszego życia dar. A miłując pokornie, służąc bezinteresownie i z radością, będziemy przedstawiali światu prawdziwy obraz Boga. Duch Święty, żywa pamięć Kościoła, przypomina nam, że rodzimy się z daru i że wzrastamy dając siebie; nie zachowując siebie, ale dając siebie.
Drodzy bracia i siostry, spójrzmy w nasze wnętrze i zadajmy sobie pytanie, co nam przeszkadza w dawaniu siebie. Są, powiedzmy, trzej główni nieprzyjaciele daru: trzej stale czyhający u bram serca: narcyzm, robienie z siebie ofiary i pesymizm. Narcyzm sprawia, że człowiek czyni siebie bożkiem, sprawia, że zadowala nas jedynie to, co nam się opłaca. Narcyz myśli: „Życie jest piękne, jeśli ja zyskuję”. I nawet tak mówi: „Dlaczego miałbym dawać siebie innym?”. W tej pandemii, jakże wiele zła wyrządza narcyzm, koncentrowanie się na własnych potrzebach, będąc obojętnymi na potrzeby innych, nie przyznając się do własnych słabości i błędów. Ale groźny jest także drugi nieprzyjaciel - robienie z siebie ofiary. Ktoś robiący z siebie ofiarę codziennie narzeka na bliźniego: „Nikt mnie nie rozumie, nikt mi nie pomaga, nikt mnie nie kocha, wszyscy mnie nienawidzą!” Ile razy słyszeliśmy te narzekania! I jego serce się zamyka, gdy się zastanawia: „Dlaczego inni nie dają mi siebie?". W dramacie, który przeżywamy, jakże okropne jest robienie z siebie ofiary! Myślenie, że nikt nas nie rozumie i nie czuje tego, co my odczuwamy. To jest robienie z siebie ofiary. Jest też wreszcie pesymizm. Tutaj codzienna litania brzmi: „W każdej dziedzinie nie jest dobrze, w społeczeństwie, polityce, Kościele...”. Pesymista narzeka na świat, ale pozostaje obojętny i myśli: „Jaki sens ma dawanie? Jest nieprzydatne”. Teraz, w wielkim wysiłku, by zacząć od nowa, jakże szkodliwy jest pesymizm, widzenie wszystkiego w czarnych barwach, powtarzanie, że nic już nigdy nie będzie takie samo, jak dawniej! Jeśli myślimy w ten sposób, to na pewno nie powróci nadzieja. W tych trzech – narcystycznym idolu lustra, bogu-lustrze; bogu-narzekaniu: „w narzekaniu czuję się osobą”; i bogu-pesymizmie: „wszystko jest czarne, wszystko ciemne” - znajdujemy się w stanie katastrofalnego głodu nadziei i musimy docenić dar życia, dar, którym jest każdy z nas. Dlatego potrzebujemy Ducha Świętego, daru Boga, który uzdrawia nas z narcyzmu, z robienia z siebie ofiary i z pesymizmu, uzdrawia nas z lustra, z narzekań, z ciemności.
Bracia i siostry, módlmy się do Niego: Duchu Święty, pamięci Boga, ożyw w nas pamięć o otrzymanym darze. Uwolnij nas od paraliżu egoizmu i rozpal w nas pragnienie służenia, czynienia dobra. Bo gorszy niż ten kryzys, jest tylko dramat zmarnowania go, zamykając się w sobie. Przyjdź, Duchu Święty: Ty, który jesteś harmonią, uczyń nas budowniczymi jedności; Ty, który zawsze dajesz siebie, daj nam odwagę, by wyjść z siebie, aby się miłować i pomagać, by stać się jedną rodziną. Amen.
[00701-PL.02] [Testo originale: Italiano]
[B0311-XX.02]