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Santa Messa in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno, 04.11.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 11.30 di questa mattina, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Le Letture che abbiamo ascoltato ci ricordano che siamo venuti al mondo per risorgere: non siamo nati per la morte, ma per la risurrezione. Infatti, come scrive nella seconda Lettura San Paolo, già da ora «la nostra cittadinanza è nei cieli» (Fil 3,20) e, come dice Gesù nel Vangelo, saremo risuscitati nell’ultimo giorno (cfr Gv 6,40). Ed è ancora il pensiero della risurrezione che suggerisce a Giuda Maccabeo nella prima Lettura «un’azione molto buona e nobile» (2 Mac 12,43). Oggi anche noi possiamo chiederci: che cosa mi suggerisce il pensiero della risurrezione? Come rispondo alla mia chiamata a risorgere?

Un primo aiuto ci viene da Gesù, che nel Vangelo odierno dice: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37). Ecco il suo invito: “venite a me” (cfr Mt 11,28). Andare a Gesù, il Vivente, per vaccinarsi contro la morte, contro la paura che tutto finisca. Andare a Gesù: può sembrare un’esortazione spirituale scontata e generica. Ma proviamo a renderla concreta, ponendoci domande come queste: Oggi, nelle pratiche che ho avuto tra le mani in ufficio, mi sono avvicinato al Signore? Ne ho fatto motivo di dialogo con Lui? E nelle persone che ho incontrato, ho coinvolto Gesù, le ho portate a Lui nella preghiera? Oppure ho fatto tutto rimanendo nei miei pensieri, solo rallegrandomi di quello che mi andava bene e lamentandomi di quello che mi andava male? Insomma, vivo andando al Signore o ruoto su me stesso? Qual è la direzione del mio cammino? Cerco solo di fare bella figura, di salvaguardare il mio ruolo, i miei tempi e i miei spazi, o vado al Signore?

La frase di Gesù è dirompente: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori. Come a dire che è prevista la cacciata per il cristiano che non va a Lui. Per chi crede non ci sono vie di mezzo: non si può essere di Gesù e ruotare su sé stessi. Chi è di Gesù vive in uscita verso di Lui.

La vita è tutta un’uscita: dal grembo della madre per venire alla luce, dall’infanzia per entrare nell’adolescenza, dall’adolescenza alla vita adulta e così via, fino all’uscita da questo mondo. Oggi, mentre preghiamo per i nostri fratelli Cardinali e Vescovi, che sono usciti da questa vita per andare incontro al Risorto, non possiamo dimenticare l’uscita più importante e più difficile, che dà senso a tutte le altre: quella da noi stessi. Solo uscendo da noi stessi apriamo la porta che conduce al Signore. Chiediamo questa grazia: “Signore, desidero venire a Te, attraverso le strade e i compagni di viaggio di ogni giorno. Aiutami a uscire da me stesso, per andare incontro a Te, che sei la vita”.

Vorrei cogliere un secondo pensiero, riferito alla risurrezione, dalla prima Lettura, dal nobile gesto compiuto da Giuda Maccabeo per i defunti. Nel farlo egli, è scritto, «pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà» (2 Mac 12,45). Sono, cioè, i sentimenti di pietà a generare magnifiche ricompense. La pietà verso gli altri spalanca le porte dell’eternità. Chinarsi sui bisognosi per servirli è fare anticamera per il paradiso. Se infatti, come ricorda san Paolo, «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13,8), allora proprio essa è il ponte che collega la terra al Cielo. Possiamo dunque chiederci se stiamo avanzando su questo ponte: mi lascio commuovere dalla situazione di qualcuno che è nel bisogno? So piangere per chi soffre? Prego per quelli a cui nessuno pensa? Aiuto qualcuno che non ha da restituirmi? Non è buonismo, non è carità spicciola; sono domande di vita, questioni di risurrezione.

Infine, un terzo stimolo in vista della risurrezione. Lo prendo dagli Esercizi spirituali, dove Sant’Ignazio suggerisce, prima di prendere una decisione importante, di immaginarsi al cospetto di Dio alla fine dei giorni. Quella è la chiamata a comparire non rimandabile, il punto di arrivo per tutti, per tutti noi. Allora, ogni scelta di vita affrontata in quella prospettiva è ben orientata, perché più vicina alla risurrezione, che è il senso e lo scopo della vita. Come la partenza si calcola dal traguardo, come la semina si giudica dal raccolto, così la vita si giudica bene a partire dalla sua fine, dal suo fine. Sant’Ignazio scrive: «Considerando come mi troverò il giorno del giudizio, pensare come allora vorrei aver deciso intorno alla cosa presente; e la regola che allora vorrei aver tenuto, prenderla adesso» (Esercizi spirituali, 187). Può essere un esercizio utile per vedere la realtà con gli occhi del Signore e non solo con i nostri; per avere uno sguardo proiettato sul futuro, sulla risurrezione, e non solo sull’oggi che passa; per compiere scelte che abbiano il sapore dell’eternità, il gusto dell’amore.

Esco da me per andare ogni giorno al Signore? Ho sentimenti e gesti di pietà per i bisognosi? Prendo le decisioni importanti al cospetto di Dio? Lasciamoci provocare almeno da uno di questi tre stimoli. Saremo più in sintonia col desiderio di Gesù nel Vangelo di oggi: non perdere nulla di quanto il Padre gli ha dato (cfr Gv 6,39). Tra le tante voci del mondo che fanno perdere il senso dell’esistenza, sintonizziamoci sulla volontà di Gesù, risorto e vivo: faremo dell’oggi che viviamo un’alba di risurrezione.

[01749-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Les lectures que nous venons d’entendre nous rappellent que nous sommes venus au monde pour ressusciter: nous ne sommes pas nés pour la mort, mais pour la résurrection. En effet, comme l’écrit saint Paul dans la seconde lecture, dès maintenant «nous avons notre citoyenneté dans les cieux» (Ph 3, 20) et, comme le dit Jésus dans l’Evangile, nous serons ressuscités au dernier jour (cf. Jn 6, 40). C’est encore la pensée de la résurrection qui suggère à Juda Maccabées, dans la première lecture, « un fort beau geste, plein de délicatesse»(2M 12, 43). Nous pouvons nous demander,nous aussi : que me suggère la pensée de la résurrection? Comment est-ce que je réponds à mon appel à ressusciter?

Un premier secours nous vient de Jésus qui dit, dans l’Evangile de ce jour : «Celui qui vient à moi, je ne vais pas le jeter dehors» (Jn 6, 37). Voilà son invitation: “Venez à moi” (cf. Mt 11, 28). Aller à Jésus, le Vivant, pour nous vacciner contre la mort, contre la peur que tout finisse. Aller à Jésus: cela peut sembler une invitation spirituelle évidente et générale. Mais essayons de la rendre concrète, en nous posant des questions comme celles-ci: Aujourd’hui, dans les dossiers que j’ai eus en main au travail, me suis-je rapproché du Seigneur? En ai-je fait une occasion de dialogue avec lui? En dans les personnes que j’ai rencontrées, ai-je impliqué Jésus, les ai-je conduites à lui dans la prière? Ou bien ai-je tout fait en restant dans mes pensées, me réjouissant seulement de ce qui allait bien pour moi, et me plaignant de ce qui allait mal? Finalement, est-ce que je vis en allant vers le Seigneur, ou bien tourné vers moi-même? Quelle direction a ma route? Est-ce que je cherche seulement à faire bonne figure, sauvegarder ma place, mes temps et mes espaces, ou bien vais-je vers le Seigneur?

La phrase de Jésus est explosive: celui qui vient à moi, je ne vais pas le jeter dehors. Comme pour dire qu’être jeté dehors est prévu pour le chrétien qui ne va pas à lui. Pour celui qui croit il n’y a pas de moyen terme: on ne peut pas appartenir à Jésus et se renfermer sur soi-même. Celui qui appartient à Jésus vit en sortie vers lui.

Toute la vie est une sortie: du sein maternel pour venir à la lumière, de l’enfance pour entrer dans l’adolescence, de l’adolescence dans la vie adulte, et ainsi de suite, jusqu’à la sortie de ce monde. Aujourd’hui, alors que nous prions pour nos frères Cardinaux et Evêques qui sont sortis de cette vie pour aller à la rencontre du Ressuscité, nous ne pouvons pas oublier la sortie la plus importante et la plus difficile, qui donne sens à toutes les autres: celle de nous-mêmes. C’est seulement en sortant de nous-mêmes que nous ouvrons la porte qui conduit au Seigneur. Demandons cette grâce: “Seigneur, je désire venir à toi, à travers les rues et les compagnons de voyage de tous les jours. Aide-moi à sortir de moi-même, pour aller à ta rencontre, toi qui es la vie”.

Je voudrais recueillir, dans la première lecture, une deuxième pensée qui fait référence à la résurrection, à partir du noble geste accompli par Juda Maccabées pour les défunts. En le faisant, il est écrit qu’il pensait à«la très belle récompense réservée à ceux qui meurent avec piété» (2 M 12, 45). Ce sont donc les sentiments de piété qui conduisent à une très belle récompense. La piété vis-à-vis des autres ouvre grandes les portes de l’éternité. Se pencher sur les personnes dans le besoin pour les servir est l’antichambre du Paradis. Si, en effet, comme le rappelle saint Paul, «l’amour ne passera jamais» (1 Co 13, 8), alors l’amour est le pont qui relie la terre et le ciel. Nous pouvons donc nous demander si nous sommes avancés sur ce pont: est-ce que je me laisse émouvoir par la situation d’une personne nécessiteuse? Est-ce que je sais pleurer pour celui qui souffre? Est-ce que je prie pour ceux à qui personne ne pense? Ce n’est pas du bonnisme, ce n’est pas de la charité à deux sous; ce sont des questions qui concernent la vie, des questions qui concernent la résurrection.

Enfin, une troisième stimulation en vue de la résurrection. Je le prends des Exercices spirituels où Saint Ignace suggère, avant de prendre une décision importante, de s’imaginer sous le regard de Dieu à la fin des temps. Cet appel à comparaître, qui ne peut être reporté, est le point d’arrivée de chacun, de chacun de nous. Alors, tout choix de vie, abordé dans cette perspective, se trouve bien orienté, car plus proche de la résurrection qui est le sens et le but de la vie. De même que le point de départ se calcule à partir de l’objectif, de même que la semence se décide en fonction de la récolte, la vie se détermine convenablement en fonction de sa fin, de son but. Saint Ignace écrit: «Je considérerai avec attention quelles seront mes pensées au jour du jugement ; je me demanderai comment je voudrais avoir délibéré dans l’élection actuelle; et la règle que je voudrais alors avoir suivie est celle que je suivrai à cette heure» (Exercices spirituels, n. 187). Cela peut être un exercice utile pour voir la réalité avec les yeux du Seigneur et pas seulement avec les nôtres; pour avoir un regard projeté vers l’avenir, vers la résurrection, et pas seulement sur l’aujourd’hui qui passe; pour accomplir des choix qui ont saveur d’éternité, le goût de l’amour.

Est-ce que je sors de moi-même pour aller chaque jour vers le Seigneur? Ai-je des sentiments et des gestes de pitié pour les plus nécessiteux? Est-ce que je prends des décisions importantes sous le regard de Dieu? Laissons-nous provoquer par une au moins de ces trois stimulations. Nous serons plus en accord avec le désir de Jésus dans l’Evangile de ce jour: ne rien perdre de ce que le Père lui a donné (cf. Jn 6, 39). Parmi les nombreuses voix du monde qui font perdre le sens de l’existence, accordons-nous sur la volonté de Jésus, ressuscité et vivant: nous ferons, de l’aujourd’hui que nous vivons, une aube de résurrection.

[01749-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The readings we have heard remind us that we came into this world in order to be raised up; we were not born for death but for resurrection. As Saint Paul writes in the second reading, even now “our citizenship is in heaven” (Phil 3:20) and, as Jesus says in the Gospel, we shall be raised up on the last day (cf. Jn 6:40). It is likewise the thought of the resurrection that leads Judas Maccabaeus in the first reading to do “an excellent and noble thing” (2 Macc 12:43). Today we can ask ourselves: how does the thought of the resurrection affect me? How do I respond to my call to be raised up?

Help comes to us first from Jesus, who in today’s Gospel says: “Anyone who comes to me I will never drive away” (Jn 6:37). That is his invitation: “Come to me” (cf. Mt 11:28). To come to Jesus, the living one, in order to be inoculated against death, against the fear that everything will end. To come to Jesus: this might seem a generic and even banal spiritual exhortation. But let us try to make it concrete by asking a few questions. Today, in the files that I handled in the office, did I draw nearer to the Lord? Did I make them an occasion for speaking to him? In the persons whom I met, did I involve Jesus? Did I bring them to him in prayer? Or did I do everything while thinking only of my concerns, rejoicing only in things that went well for me and complaining about those that didn’t? In a word, did I live my day coming to the Lord, or was I simply orbiting around myself? And where am I headed? Do I seek only to make a good impression, to protect my role, my schedule and my free time? Or do I come to the Lord?

Jesus words are striking: “Anyone who comes to me I will never drive away”. As if to say that any Christian who does not come to him will be driven away. For those who believe, there is no middle ground. We cannot belong to Jesus and orbit around ourselves. Those who belong to Jesus live by constantly going forth from ourselves and towards him.

Life itself is a constant going forth: from our mother’s womb to our birth, from infancy to adolescence, from adolescence to adulthood and so on, until the day of our going forth from this world. Today, as we pray for our brother cardinals and bishops who have gone forth from this life in order to meet the risen Lord, we cannot forget the most important and difficult “going forth”, the one that gives meaning to all the others: that of going forth from our very selves. Only by going forth from ourselves do we open the door that leads to the Lord. Let us implore this grace: “Lord, I want to come to you, along the roads and with my traveling companions each day. Help me to go out of myself in order to come towards you, for you are life itself”.

I would like to propose a second thought, about the resurrection, drawn from the first reading and the “noble thing” that Judas Maccabeus did for those who had died. He did it, we are told, because “he was looking to the splendid reward that is laid up for those who fall asleep in godliness” (2 Macc 12:45). Godliness, piety, is richly rewarded. Piety towards others opens the gates of eternity. To bow down before the needy in order to serve them is to be on the path to heaven. If, as Saint Paul says, “love never ends” (1 Cor 13:8), then love is itself the bridge linking earth to heaven. We can ask ourselves whether we are advancing along this bridge. Do I let myself be touched by the situation of someone in need? Can I weep with those who are suffering? Do I pray for those whom no one thinks about? Do I help someone who has nothing to give back to me? This is not to be sentimental or to engage in little acts of charity; these are questions of life, questions of resurrection.

Lastly, I would offer a third thought about the resurrection. I take it from the Spiritual Exercises, where Saint Ignatius suggests that before making any important decision, we should imagine ourselves standing before God at the end of time. That is the final and inevitable moment, one that all of us will have to face. Every life decision, viewed from that perspective, will be well directed, since it is closer to the resurrection, which is the meaning and purpose of life. As the departure is calculated by the goal, as the planting is judged by the harvest, so life is best judged by starting from its end and purpose. Saint Ignatius writes: “Let me consider myself as standing in the presence of my judge on the last day, and reflect what decision on the present matter I would then wish to have made; I will choose now the rule of life that I would then wish to have observed” (Spiritual Exercises, 187). It can be a helpful exercise to view reality through the eyes of the Lord and not only through our own; to look to the future, the resurrection, and not only to this passing day; to make choices that have the flavour of eternity, the taste of love.

Do I go forth from myself each day in order to come to the Lord? Do I feel and practise compassion for those in need? Do I make important decisions in the sight of God? Let us allow ourselves to be challenged at least by one of these three thoughts. We will be more attuned to the desire that Jesus expresses in today’s Gospel: that he lose nothing of what the Father has given him (cf. Jn 6:39). Amid so many worldly voices that make us forget the meaning of life, let us grow attuned to the will of Jesus, risen and alive. Thus we will make of our lives this day a dawn of resurrection.

[01749-EN.00] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Lesungen, die wir gehört haben, erinnern uns daran, dass wir zur Welt gekommen sind, um aufzuerstehen: Wir wurden nicht zum Tod geboren, sondern zur Auferstehung. Denn, so schreibt der heilige Paulus in der zweiten Lesung, schon jetzt ist »unsere Heimat […] im Himmel« (Phil 3,20). Und wie Jesus im Evangelium sagt, werden wir auferweckt werden am Jüngsten Tag (vgl. Joh 6,40). Und es ist ebenso der Gedanke an die Auferstehung, der Judas Makkabäus in der ersten Lesung »sehr schön und edel« (2Makk 12,43) handeln lässt. Heute können auch wir uns fragen: Wozu regt mich der Gedanke an die Auferstehung an? Wie antworte ich auf meine Berufung zur Auferstehung?

Eine erste Hilfestellung gibt uns Jesus, der im heutigen Evangelium sagt: »Wer zu mir kommt, den werde ich nicht abweisen« (Joh 6,37). Das ist seine Einladung: „Kommt zu mir“ (vgl. Mt 11,28). Zu Jesus gehen, dem Lebendigen, um sich gegen den Tod, gegen die Angst, dass alles aufhören könnte, impfen zu lassen. Zu Jesus gehen: Es mag als eine selbstverständliche, allgemeine geistliche Ermahnung erscheinen. Aber versuchen wir, sie konkret werden zu lassen, indem wir uns Fragen stellen wie diese: Als ich heute im Büro die Akten bearbeitete, habe ich mich da dem Herrn genähert? Habe ich es zum Anlass genommen, mit ihm zu sprechen? Und bei den Menschen, denen ich begegnet bin, habe ich da Jesus miteinbezogen, habe ich sie im Gebet zu ihm getragen? Oder habe ich alles gemacht, wobei ich in meinen Gedanken nur bei mir war, mich nur über das gefreut habe, was mir gelungen ist, und über das geklagt habe, was mir misslungen ist? Kurz und gut, gehe ich in meinem Leben zum Herrn oder kreise ich um mich selbst? In welche Richtung verläuft mein Weg? Suche ich nur, gute Figur zu machen, meine Rolle, meine Zeiten und Räume zu wahren oder gehe ich zum Herrn?

Das Wort Jesu hat es in sich: Wer zu mir kommt, den werde ich nicht abweisen. Das heißt gleichsam, es ist vorgesehen, den Christen zu vertreiben, der nicht zu ihm kommt. Für den, der glaubt, gibt es keine Kompromisse: Man kann nicht zu Jesus gehören und um sich selbst kreisen. Wer zu Jesus gehört, lebt im Aufbruch zu ihm hin.

Das Leben ist als Ganzes ein Aufbruch, ein Hinausgehen: vom Mutterleib, um zur Welt zu kommen; von der Kindheit, um ins Jugendalter einzutreten; vom Jugendalter ins Erwachsenenleben und so weiter bis zum Hinausgehen von dieser Welt. Wenn wir heute für unsere Brüder, die Kardinäle und Bischöfe beten, die aus diesem Leben geschieden sind, um dem Auferstandenen entgegenzugehen, dann können wir nicht das wichtigste und schwierigste Hinausgehen vergessen, das allen anderen Aufbrüchen Sinn verleiht: das Herausgehen aus uns selbst. Nur wenn wir aus uns selbst herausgehen, öffnen wir die Tür, die zum Herrn führt. Bitten wir um diese Gnade: „Herr, ich möchte zu dir kommen, durch die Straßen und die Weggefährten an jedem Tag. Hilf mir, dass ich aus mir selbst herausgehe, um dir entgegenzugehen, der du das Leben bist.“

Ich möchte einen zweiten Gedanken über die Auferstehung aus der ersten Lesung aufgreifen, ausgehend vom edlen Handeln des Judas Makkabäus für die Verstorbenen. Dabei, so steht geschrieben, »hielt er sich den herrlichen Lohn vor Augen, der für die hinterlegt ist, die in Frömmigkeit entschlafen« (2Makk 12,45). Die Frömmigkeit also bewirkt herrlichen Lohn. Das Erbarmen gegenüber den anderen reißt die Pforten der Ewigkeit auf. Sich über die Bedürftigen zu beugen, um ihnen zu dienen, heißt im Vorzimmer für die Ewigkeit zu warten. Wenn nämlich das gilt, wie der heilige Paulus sagt: »Die Liebe hört niemals auf« (1Kor 13,8), dann ist eben genau die Liebe die Brücke, die die Erde mit dem Himmel verbindet. Wir können uns daher fragen, ob wir auf dieser Brücke voranschreiten: Lasse ich mich von der Situation eines Bedürftigen bewegen? Kann ich um den weinen, der leidet? Bete ich für die, an die niemand denkt? Helfe ich jemandem, der mir nichts zurückgeben kann? Das ist nicht Gutmenschentum, nicht einfach nur Wohltätigkeit; es geht dabei um Fragen des Lebens, es geht um die Auferstehung.

Schließlich noch eine dritte Anregung im Hinblick auf die Auferstehung. Ich entnehme sie den Geistlichen Übungen des heiligen Ignatius. Er empfiehlt, bevor man eine wichtige Entscheidung trifft, sich vorzustellen, am Ende der Tage vor Gottes Angesicht zu stehen. Dieser Ruf dort zu erscheinen kann nicht aufgeschoben werden, es ist der Zielpunkt für alle, für uns alle. Nun, jede Entscheidung im Leben, die wir in dieser Perspektive treffen, ist gut ausgerichtet, weil sie sich näher an die Auferstehung hält, die der Sinn und das Ziel des Lebens ist. Wie man die Abreise vom Ziel her berechnet, wie man die Aussaat von der Ernte her beurteilt, so beurteilt man das Leben gut von seinem Ende her, von seinem Ziel her. Der heilige Ignatius schreibt: »Ich erwäge, wie mir am Tage des Gerichtes zumute sein wird, und ich überlege, wie ich dann wünschte, in der vorliegenden Sache entschieden zu haben; und die Regel, die ich dann befolgt haben möchte, nehme ich jetzt an« (Geistliche Übungen, 187). Dies kann eine nützliche Übung sein, um die Wirklichkeit mit den Augen des Herrn und nicht nur den unsrigen zu sehen; um einen Blick zu haben, der auf die Zukunft, auf die Auferstehung gerichtet ist und nicht nur auf das Heute, das vergeht; um Entscheidungen zu treffen, die den Geschmack der Ewigkeit, die Würze der Liebe haben.

Gehe ich aus mir heraus, um jeden Tag zum Herrn zu gehen? Hege und übe ich Erbarmen gegenüber den Bedürftigen? Treffe ich die wichtigen Entscheidungen vor dem Angesicht Gottes? Lassen wir uns zumindest von einer dieser drei Anregungen ansprechen. Dann werden wir mit dem Wunsch Jesu im heutigen Evangelium mehr im Einklang stehen: keinen von denen, die er ihm gegeben hat, zugrunde gehen zu lassen (vgl. Joh 6,39). Unter den vielen Stimmen der Welt, die uns den Sinn des Lebens verlieren lassen, wollen wir uns mit dem Willen Jesu, der auferstanden ist und lebt, in Einklang bringen: Gestalten wir das Heute so, dass wir einen Morgen der Auferstehung leben.

[01749-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Las lecturas que hemos escuchado nos recuerdan que hemos venido al mundo para resucitar: no hemos nacido para la muerte, sino para la resurrección. Como escribe en la segunda lectura san Pablo, ya desde ahora «somos ciudadanos del cielo» (Flp 3,20) y, como dice Jesús en el Evangelio, resucitaremos en el último día (cf. Jn 6,40). Y es también la idea de la resurrección la que sugiere a Judas Macabeo en la primera lectura una obra de gran rectitud y nobleza (2M 12,43). También hoy nosotros podemos preguntarnos: ¿Qué me sugiere la idea de la resurrección? ¿Cómo respondo a mi llamada a resucitar?

Una primera indicación nos la ofrece Jesús, que en el Evangelio de hoy dice: «Al que venga a mí no lo echaré afuera» (Jn 6,37). Esta es su invitación: «Venid a mí» (Mt 11,28). Ir a Jesús, el que vive, para vacunarse contra la muerte, contra el miedo a que todo termine. Ir a Jesús: puede parecer una exhortación espiritual obvia y genérica. Pero probemos a hacerla concreta, haciéndonos preguntas como estas: Hoy, en el trabajo que he tenido entre manos en la oficina, ¿me he acercado al Señor? ¿Lo he convertido en ocasión de diálogo con Él? ¿Y con las personas que he encontrado, he acudido a Jesús, las he llevado a Él en la oración? ¿O he hecho todo más bien encerrándome en mis pensamientos, alegrándome solo de lo que me salía bien y lamentándome de lo que me salía mal? ¿En definitiva, vivo yendo al Señor o doy vueltas sobre mí mismo? ¿Cuál es la dirección de mi camino? ¿Busco solo causar buena impresión, conservar mi puesto, mi tiempo, mi espacio, o voy al Señor?

La frase de Jesús es desconcertante: El que viene a mí no lo echaré afuera. Está afirmando la expulsión del cristiano que no va a Él. Para el que cree no hay término medio: no se puede ser de Jesús y girar sobre sí mismos. Quien es de Jesús vive en salida hacia Él.

La vida es toda una salida: del seno materno para venir a la luz, de la infancia para entrar en la adolescencia, de la adolescencia hacia la vida adulta y así sucesivamente, hasta la salida de este mundo. Hoy, mientras rezamos por nuestros hermanos Cardenales y Obispos, que han salido de esta vida para ir al encuentro del Resucitado, no podemos olvidar la salida más importante y más difícil, que da sentido a todas las demás: la de nosotros mismos. Sólo saliendo de nosotros mismos abrimos la puerta que lleva al Señor. Pidamos esa gracia: “Señor, deseo ir a Ti, a través de los caminos y de los compañeros de viaje de cada día. Ayúdame a salir de mi mismo, para ir a tu encuentro, tú que eres la vida”.

Quiera expresar una segunda idea, referida a la resurrección, tomada de la primera Lectura, del noble gesto realizado por Judas Macabeo por los difuntos. Allí está escrito que él lo hizo porque consideraba «que a los que habían muerto piadosamente les estaba reservado un magnífico premio» (2M 12,45). Es decir, son los sentimientos de piedad los que generan un magnífico premio. La piedad hacia los demás abre de par en par las puertas de la eternidad. Inclinarse sobre los necesitados para servirlos es entrar en la antesala del paraíso. Si, como recuerda san Pablo, «la caridad no pasa nunca» (1 Co 13,8), entonces ella es precisamente el puente que une la tierra al cielo. Podemos así preguntarnos si estamos avanzando sobre este puente: ¿me dejo conmover por la situación de alguno que está en necesidad? ¿Sé llorar por el que sufre? ¿Rezo por aquellos a los que nadie recuerda? ¿Ayudo a alguno que no tiene con qué devolverme el favor? No es buenismo, no es caridad trivial, son preguntas de vida, cuestiones de resurrección.

Finalmente, un tercer estímulo en vista de la resurrección. Lo tomo de los Ejercicios Espirituales, en los que san Ignacio sugiere que, antes de tomar una decisión importante, hay que imaginarse en la presencia de Dios al final de los tiempos. Esa es la cita que no se puede posponer, el punto de llegada de todos, de todos nosotros. Entonces, cada elección de vida afrontada en esa perspectiva está bien orientada, porque más cerca de la resurrección, que es el sentido y la finalidad de la vida. Igual que el momento de salir se calcula por el lugar de llegada, igual que la semilla se juzga por la cosecha, así la vida se juzga bien a partir de su final, de su fin. San Ignacio escribe: «Considerando cómo me hallaré el día del juicio, pensar cómo entonces querría haber deliberado acerca la cosa presente; y la regla que entonces querría haber tenido, tomarla agora» (Ejercicios Espirituales, 187). Puede ser un ejercicio útil para ver la realidad con los ojos del Señor y no solo con los nuestros; para tener una mirada proyectada hacia el futuro, hacia la resurrección, y no sólo sobre el hoy que pasa; para tomar decisiones que tengan el sabor de la eternidad, el gusto del amor.

¿Salgo de mí para ir cada día hacia el Señor? ¿Tengo sentimientos y gestos de piedad con los necesitados? ¿Tomo las decisiones importantes en la presencia de Dios? Dejémonos provocar al menos por uno de estos tres estímulos. Estaremos más en sintonía con el deseo de Jesús en el Evangelio de hoy: no perder nada de cuanto el Padre le ha dado (cf. Jn 6,39). En medio de tantas voces del mundo que nos hacen perder el sentido de la existencia, sintonicémonos con la voluntad de Jesús, resucitado y vivo: haremos del momento presente un alba de resurrección.

[01749-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

As Leituras que escutamos lembram-nos que viemos ao mundo para ressuscitar: não nascemos para a morte, mas para a ressurreição. De facto já desde agora, como escreve São Paulo, «a cidade a que pertencemos está nos céus» (Flp 3, 20); e Jesus diz, no Evangelho, que ressuscitaremos no último dia (cf. Jo 6, 40). E é o mesmo pensamento da ressurreição que sugere a Judas Macabeu – segundo a primeira Leitura – uma ação muito boa e nobre (cf 2 Mac 12, 43). Hoje podemos interrogar-nos também nós: Que me sugere o pensamento da ressurreição? Como correspondo à minha vocação para ressuscitar?

Uma primeira ajuda, recebemo-la de Jesus que diz no Evangelho de hoje: «Quem vier a Mim, Eu não o rejeitarei» (Jo 6, 37). E formula este convite: «Vinde a Mim» (Mt 11, 28). Vamos a Jesus, o Vivente, para ser vacinados contra a morte, contra o medo de que tudo acabe. Vamos a Jesus: pode parecer uma banal e genérica exortação espiritual; mas tentemos concretizá-la, interrogando-nos: Hoje, nos casos que me passaram pelas mãos no serviço, aproximei-me do Senhor? Fi-los motivo de diálogo com Ele? E, nas pessoas que encontrei, envolvi Jesus, levei-as a Ele na oração? Ou fiz tudo fechado nos meus pensamentos, limitando-me a regozijar-me com o que me saía bem e a lamentar-me do que resultava mal? Em resumo, vivo a caminho do Senhor ou girando sobre mim mesmo? Qual é a direção do meu caminho? Procuro apenas causar boa impressão, defender a minha função, os meus tempos e os meus espaços, ou vou ter com o Senhor?

A frase de Jesus – quem vier a Mim, Eu não o rejeitarei – é intrigante; como se supusesse a expulsão para o cristão que não vai a Ele. Para a pessoa que acredita não há via intermédia: não se pode ser de Jesus e girar sobre si mesmo. Quem é de Jesus vive em saída para Ele.

A vida é, toda ela, uma saída: do ventre da mãe para vir à luz, da infância para entrar na adolescência e na juventude, da juventude para a vida adulta, etc… até à saída deste mundo. Hoje, ao mesmo tempo que rezamos pelos nossos irmãos Cardeais e Bispos, que saíram desta vida para ir ao encontro do Ressuscitado, não podemos esquecer a saída mais importante e difícil, que dá sentido a todas as outras: a saída de nós mesmos. Só saindo de nós próprios é que abrimos a porta que leva ao Senhor. Peçamos esta graça: «Senhor, quero vir a Vós através das estradas e dos companheiros de viagem de cada dia. Ajudai-me a sair de mim mesmo, para ir ao encontro de Vós, que sois a vida».

Um segundo pensamento alusivo à ressurreição, gostaria de o tirar da primeira Leitura, do nobre gesto realizado a favor dos defuntos por Judas Macabeu. Fê-lo, como está escrito, porque «acreditava que uma bela recompensa aguarda os que morrem com sentimentos de piedade» (2 Mac 12, 45). Por outras palavras, são os sentimentos de piedade que geram uma bela recompensa. A piedade, a compaixão pelos outros abre as portas da eternidade. Inclinar-se sobre os necessitados para os servir é antecâmara do paraíso. De facto, como lembra São Paulo, se «o amor jamais passará» (1 Cor 13, 8), então este é precisamente a ponte que liga a terra ao Céu. Assim, podemos interrogar-nos se estamos a avançar por esta ponte: Deixo-me comover pela situação duma pessoa que passa necessidade? Sei chorar por quem sofre? Rezo por aqueles em quem ninguém pensa? Ajudo alguém mesmo que nada possua para me restituir? Não se trata de sermos bonzinhos, não é caridade mesquinha; é questão de vida, questão de ressurreição.

Finalmente um terceiro estímulo tendo em vista a ressurreição, tiro-o dos Exercícios Espirituais, quando Santo Inácio sugere para, antes de tomar uma decisão importante, nos imaginarmos na presença de Deus no fim dos nossos dias, ou seja, naquela chamada inadiável a comparecer, no ponto de chegada para todos. Pois bem, enfrentada nessa perspetiva, cada opção de vida será bem orientada, porque está mais próxima da ressurreição, que é o sentido e o objetivo da vida. Tal como a partida se calcula a partir da meta, como a sementeira se julga a partir da colheita, assim também a vida se julga bem a partir do seu fim. Santo Inácio escreve: «Considerando como se me encontrasse no dia do julgamento, pensar como teria decidido então sobre o presente; e a regra que eu gostaria de ter seguido então, tomá-la agora» (Exercícios Espirituais, 187). Pode ser um exercício útil ver a realidade com os olhos do Senhor, e não apenas com os nossos; para ter um olhar projetado para o futuro, para a ressurreição, e não apenas fixo no hoje que passa; para realizar opções que tenham o sabor da eternidade, o gosto do amor.

Saio de mim, cada dia, para ir ter com o Senhor? Tenho sentimentos e gestos de piedade para com os necessitados? As decisões importantes, tomo-as na presença de Deus? Deixemo-nos provocar ao menos por um destes três estímulos. Ficaremos mais sintonizados com o desejo de Jesus, no Evangelho de hoje, que é não perder nenhum daqueles que o Pai Lhe deu (cf. Jo 6, 39). Por entre as inúmeras vozes do mundo que fazem perder o sentido da existência, sintonizemo-nos com a vontade de Jesus, ressuscitado e vivo: façamos do dia de hoje que vivemos um alvorecer de ressurreição.

[01749-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Usłyszane przez nas czytania przypominają nam, że przyszliśmy na świat, aby zmartwychwstać: nie urodziliśmy się dla śmierci, ale dla zmartwychwstania. Istotnie, jak pisze w drugim czytaniu św. Paweł, już teraz „nasza ojczyzna jest w niebie” (Flp 3, 20) i, jak mówi Jezus w Ewangelii, zostaniemy wskrzeszeni w dniu ostatecznym (por. J 6, 40). Także myśl o zmartwychwstaniu sugeruje Judzie Machabeuszowi w pierwszym czytaniu „bardzo dobre i szlachetne działanie” (por. 2 Mch 12,43). Dzisiaj również my możemy zadać sobie pytanie: co sugeruje mi myśl o zmartwychwstaniu? Jak odpowiadam na moje powołanie do zmartwychwstania?

Pierwszą pomocą są dla nas słowa Jezusa, który w dzisiejszej Ewangelii mówi: „tego, który do Mnie przychodzi, precz nie odrzucę” (J 6, 37). Jego zaproszenie jest następujące: „przyjdźcie do Mnie” (por. Mt 11,28). Trzeba iść do Jezusa, Żyjącego, aby zaszczepić się przeciwko śmierci, przeciwko lękowi, że wszystko się skończy. Iść do Jezusa: może się to wydawać oczywistą i ogólnikową zachętą duchową. Ale spróbujmy ją uczynić konkretną, zadając sobie następujące pytania: czy dzisiaj, w dokumentach, jakie miałem w swoich rękach w biurze, przybliżyłem się do Pana? Czy uczyniłem je motywem, by nawiązać z Nim dialog? A czy w osobach, które spotkałem, zaangażowałem Jezusa, czy zaniosłem je do Niego w modlitwie? Czy też czyniłem wszystko, trwając w swoich myślach, ciesząc się jedynie z tego, co mi się udawało i narzekając na to, co mi nie szło dobrze? Krótko mówiąc, czy żyję, idąc do Pana czy też kręcąc się wokół siebie? Jaki jest kierunek mojego pielgrzymowania? Czy staram się jedynie zrobić dobre wrażenie, aby zabezpieczyć mój etat, czas własny i moje przestrzenie, czy też idę do Pana?

Zdanie Jezusa jest wstrząsające: tego, który do Mnie przychodzi, precz nie odrzucę. Jakby mówiło, że dla chrześcijanina, który do Niego nie idzie przewidziane jest wypędzenie. Dla człowieka wierzącego nie ma pośrednich dróg: nie można należeć do Jezusa i kręcić się wokół siebie. Ten kto należy do Jezusa żyje wychodząc ku Niemu.

Całe życie jest wyjściem: z łona matki, by wyjść na światło dzienne, z dzieciństwa, aby wejść w wiek dojrzewania, z okresu dojrzewania do życia dorosłego i tak dalej, aż do opuszczenia tego świata. Dzisiaj, modląc się za naszych braci kardynałów i biskupów, którzy wyszli z tego życia, aby udać się na spotkanie ze Zmartwychwstałym, nie możemy zapominać o najważniejszym i najtrudniejszym wyjściu, które nadaje sens wszystkim innym: wyjściu z naszych ograniczeń. Jedynie wychodząc z naszych ograniczeń otwieramy bramę, która prowadzi do Pana. Prośmy o tę łaskę: „Panie, pragnę przyjść do Ciebie, poprzez drogi i towarzyszy podróży każdego dnia. Pomóż mi wydostać się z siebie, aby wyjść na spotkanie z Tobą, który jesteś życiem".

Chciałbym podjąć drugą myśl, odnoszącą się do zmartwychwstania, z pierwszego czytania, mówiącego o szlachetnym geście Judy Machabeusza wobec zmarłych. Czyniąc to, jak napisano: „uważał, że dla tych, którzy pobożnie zasnęli, jest przygotowana najwspanialsza nagroda - była to myśl święta i pobożna” (2 Mch 12,45). Oznacza to, że uczucia pobożności rodzą wspaniałe nagrody. Miłosierdzie wobec innych otwiera na oścież drzwi wieczności. Pochylanie się nad potrzebującymi, aby im służyć, to czynienie przedsionka do raju. Jeśli rzeczywiście, jak przypomina nam św. Paweł, „miłość nigdy nie ustaje” (1 Kor 13,8), to właśnie ona jest mostem łączącym ziemię z Niebem. Możemy zatem postawić sobie pytanie, czy zbliżamy się do tego mostu: czy daję się wzruszyć sytuacją kogoś potrzebującego? Czy potrafię płakać z powodu tych, którzy cierpią? Czy modlę się za tych, o których nikt nie myśli? Czy pomagam komuś, kto nie może mi się odwzajemnić? To nie jest płytkie uszczęśliwianie, nie jest to miłość groszowa; są to kwestie życia, kwestie zmartwychwstania.

Wreszcie trzecia zachęta z myślą o zmartwychwstaniu. Zaczerpnę ją z Ćwiczeń Duchowych, gdzie święty Ignacy sugeruje, aby przed podjęciem ważnej decyzji wyobrazić sobie siebie przed Bogiem pod koniec swoich dni. Jest to o wezwanie, którego zdaje się nie można odłożyć na później, punkt docelowy dla wszystkich. Zatem każda decyzja życiowa podejmowana w tej perspektywie jest dobrze ukierunkowana, ponieważ jest bliższa zmartwychwstaniu, będącemu sensem i celem życia. Tak jak punkt wyjścia jest oceniany po skutkach, jak zasiew jest oceniany na podstawie żniwa, tak życie właściwie się ocenia w odniesieniu do jego kresu, na podstawie jego końca. Święty Ignacy pisze: „Patrząc i rozważając, w jakim stanie ducha chciałbym się znaleźć w dniu sądu Bożego, pomyśleć nad tym, jakiej wtedy życzyłbym sobie decyzji, żeby była powzięta w sprawie obecnej” (Ćwiczenia duchowe, 187). Może to być użyteczne ćwiczenie, by widzieć rzeczywistość oczyma Pana, a nie tylko naszymi; aby spoglądać ku przyszłości, ku zmartwychwstaniu, a nie tylko na dzień dzisiejszy, który przemija; by dokonywać wyborów, które mają posmak wieczności, smak miłości.

Czy wychodzę ze swoich ograniczeń, by każdego dnia iść do Pana? Czy odczuwam i okazuję litość potrzebującym? Czy podejmuję ważne decyzje w obliczu Boga? Pozwólmy się sprowokować co najmniej przez jeden z tych trzech bodźców. Będziemy bardziej zgodni z pragnieniem Jezusa w dzisiejszej Ewangelii: niczego nie utracić z tego, co dał Mu Ojciec (por. J 6, 39). Wśród wielu głosów świata, które powodują zatracenie sensu istnienia, dostrójmy się do woli Jezusa zmartwychwstałego i żyjącego: sprawmy od dzisiaj, abyśmy żyli jutrzenką zmartwychwstania.

[01749-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0841-XX.02]