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Udienza ai partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, 21.09.2019


Alle ore 12.35 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Incontro Internazionale per i Centri Accademici, Movimenti e Associazioni di Nuova Evangelizzazione promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione dal 19 al 21 settembre 2019, presso l’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, sul tema: Incontrare Dio: è possibile? Vie di Nuova Evangelizzazione.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai partecipanti all’Incontro:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

vi do il benvenuto e ringrazio Mons. Fisichella per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

Avete riflettuto su un tema centrale per l’evangelizzazione: come accendere il desiderio di incontrare Dio nonostante i segni che ne oscurano la presenza. In questo senso il Vangelo di Luca ci offre un buono spunto di partenza, quando narra dei due discepoli che andavano a Emmaus: c’era Cristo che camminava con loro, ma per lo sconforto che avevano in cuore non erano in grado di riconoscerlo (cfr Lc 24,13-27). È così anche per molti nostri contemporanei: Dio è loro vicino, ma non riescono a riconoscerlo. Si racconta che una volta Papa Giovanni, incontrando un giornalista che gli diceva di non credere, gli abbia risposto: «Tranquillo! Questo lo dici tu! Dio non lo sa, e ti considera ugualmente come un figlio a cui voler bene». Il segreto, allora, sta nel sentire, insieme alle proprie incertezze, la meraviglia di questa presenza. È lo stesso stupore che colse i discepoli di Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v. 32). Fare ardere il cuore è la nostra sfida.

Spesso succede che la Chiesa sia per l’uomo d’oggi un ricordo freddo, se non una delusione cocente, com’era stata la vicenda di Gesù per i discepoli di Emmaus. Tanti, soprattutto in Occidente, hanno l’impressione di una Chiesa che non li capisca e sia lontana dai loro bisogni. Alcuni, poi, che vorrebbero assecondare la logica poco evangelica della rilevanza, giudicano la Chiesa troppo debole nei confronti del mondo, mentre altri la vedono ancora troppo potente a confronto con le grandi povertà del mondo. Direi che è giusto preoccuparsi, ma soprattutto occuparsi, quando si percepisce una Chiesa mondanizzata, che segue cioè i criteri di successo del mondo e si dimentica che non esiste per annunciare se stessa, ma Gesù. Una Chiesa preoccupata di difendere il suo buon nome, che fatica a rinunciare a ciò che non è essenziale, non prova più l’ardore di calare il Vangelo nell’oggi. E finisce per essere più un bel reperto museale che la casa semplice e festosa del Padre. Eh, la tentazione dei musei! E anche di concepire la tradizione vivente della Chiesa come un museo, di custodire le cose così che tutte siano al loro posto: “Io sono cattolico perché…ho digerito il Denzinger” [Raccolta dei Simboli, delle Definizioni e delle Dichiarazioni sui temi di fede e di morale], diciamolo chiaro.

Eppure ci sono tanti figli che il Padre desidera far “sentire a casa”; sono nostri fratelli e sorelle che, mentre beneficiano di molte conquiste della tecnica, vivono assorbiti dal vortice di una grande frenesia. E mentre portano dentro ferite profonde e faticano a trovare un lavoro stabile, si trovano circondati da un benessere esteriore che anestetizza dentro e distoglie da scelte coraggiose. Quanta gente accanto a noi vive di corsa, schiava di ciò che dovrebbe servirle a stare meglio e dimentica del sapore della vita: della bellezza di una famiglia numerosa e generosa, che riempie il giorno e la notte ma dilata il cuore; della luminosità che si trova negli occhi dei figli, che nessuno smartphone può dare; della gioia delle cose semplici; della serenità che dà la preghiera. Quello che spesso ci chiedono i nostri fratelli e sorelle, magari senza riuscire a porre la domanda, corrisponde ai bisogni più profondi: amare ed essere amati, essere accettati per quello che si è, trovare la pace del cuore e una gioia più duratura dei divertimenti.

Noi abbiamo sperimentato tutto ciò in una parola, anzi in una persona, Gesù. Noi che, pur fragili e peccatori, siamo stati inondati dal fiume in piena della bontà di Dio, abbiamo questa missione: incontrare i nostri contemporanei per far loro conoscere il suo amore. Non tanto insegnando, mai giudicando, ma facendoci compagni di strada. Come il diacono Filippo, che – raccontano gli Atti degli Apostoli – si alzò, si mise in cammino, corse verso l’Etiope e, da amico, gli si sedette accanto, entrando in dialogo con quell’uomo che aveva un grande desiderio di Dio in mezzo a molti dubbi (cfr At 8,26-40). Quant’è importante sentirci interpellati dalle domande degli uomini e delle donne di oggi! Senza pretendere di avere subito risposte e senza dare risposte preconfezionate, ma condividendo parole di vita, non mirate a fare proseliti, ma a lasciare spazio alla forza creatrice dello Spirito Santo, che libera il cuore dalle schiavitù che lo opprimono e lo rinnova. Trasmettere Dio, allora, non è parlare di Dio, non è giustificarne l’esistenza: anche il diavolo sa che Dio esiste! Annunciare il Signore è testimoniare la gioia di conoscerlo, è aiutare a vivere la bellezza di incontrarlo. Dio non è la risposta a una curiosità intellettuale o a un impegno della volontà, ma un’esperienza di amore, chiamata a diventare una storia di amore. Perché – vale anzitutto per noi – una volta incontrato il Dio vivo, bisogna cercarlo ancora. Il mistero di Dio non si esaurisce mai, è immenso come il suo amore.

«Dio è amore» (1 Gv 4,8), dice la Scrittura. Usa il verbo essere, perché Dio è così, non varia a seconda di come ci comportiamo noi: è amore incondizionato, non cambia, nonostante tutto quello che noi possiamo combinare. Come dice il Salmo: «Il suo amore è per sempre» (Sal 136,1). È amore che non si consuma, come nella scena del roveto ardente quando Dio, rivelando per la prima volta il suo nome, già usò il verbo essere: «Io sono colui che sono!» (Es 3,14). Com’è bello annunciare questo Dio fedele, fuoco che non si consuma, ai fratelli che vivono nella tiepidezza perché il primo entusiasmo si è raffreddato. Com’è bello dire loro: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 164).

Alla luce di questo kerigma si sviluppa la vita di fede, che non è una costruzione complicata fatta di tanti mattoncini da mettere insieme, ma la scoperta sempre nuova del «nucleo fondamentale», il battito palpitante del «cuore del Vangelo: la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto»(ibid., 36). La vita cristiana si rinnova sempre con questo primo annuncio. Mi piace ribadire davanti a voi che «quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncioprincipale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti» (ibid., 164). Altrimenti, si nasconde la sottile presunzione che essere più “solidi” significhi diventare istruiti, esperti di cose sacre (cfr Esort. ap. postsin. Christus vivit, 214). Ma la sapienza di Dio si concede ai poveri in spirito, a quanti rimangono con Gesù, amando tutti nel suo nome.

Un’ultima cosa vorrei condividere con voi. Essendo la fede vita che nasce e rinasce dall’incontro con Gesù, ciò che nella vita è incontro aiuta a crescere nella fede: avvicinarsi a chi è nel bisogno, costruire ponti, servire chi soffre, prendersi cura dei poveri, “ungere di pazienza” chi ci sta vicino, confortare chi è scoraggiato, benedire chi ci fa del male... Così diventiamo segni viventi dell’Amore che annunciamo. Vi ringrazio, cari fratelli e sorelle, perché volete diffondere la gioia di essere amati da Dio e di amare come Egli ci ha insegnato. Vi accompagno con la mia benedizione e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

[01476-IT.02] [Testo originale: Italiano]

[B0721-XX.02]