Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua spagnola
Nel pomeriggio di oggi - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima – ha avuto luogo un’assemblea di preghiera nella forma delle «Stazioni» romane, presieduta dal Santo Padre Francesco.
Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.
Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dell’Eucarestia con il rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
«Suonate il corno, proclamate un solenne digiuno» (Gl 2,15), dice il profeta nella prima Lettura. La Quaresima si apre con un suono stridente, quello di un corno che non accarezza le orecchie, ma bandisce un digiuno. È un suono forte, che vuole rallentare la nostra vita che va sempre di corsa, ma spesso non sa bene dove. È un richiamo a fermarsi - un “fermati!” -, ad andare all’essenziale, a digiunare dal superfluo che distrae. È una sveglia per l’anima.
Al suono di questa sveglia si accompagna il messaggio che il Signore trasmette per bocca del profeta, un messaggio breve e accorato: «Ritornate a me» (v. 12). Ritornare. Se dobbiamo ritornare, vuol dire che siamo andati altrove. La Quaresima è il tempo per ritrovare la rotta della vita. Perché nel percorso della vita, come in ogni cammino, ciò che davvero conta è non perdere di vista la meta. Quando invece nel viaggio quel che interessa è guardare il paesaggio o fermarsi a mangiare, non si va lontano. Ognuno di noi può chiedersi: nel cammino della vita, cerco la rotta? O mi accontento di vivere alla giornata, pensando solo a star bene, a risolvere qualche problema e a divertirmi un po’? Qual è la rotta? Forse la ricerca della salute, che tanti oggi dicono venire prima di tutto ma che prima o poi passerà? Forse i beni e il benessere? Ma non siamo al mondo per questo. Ritornate a me, dice il Signore. A me. È il Signore la meta del nostro viaggio nel mondo. La rotta va impostata su di Lui.
Per ritrovare la rotta, oggi ci è offerto un segno: cenere in testa. È un segno che ci fa pensare a che cosa abbiamo in testa. I nostri pensieri inseguono spesso cose passeggere, che vanno e vengono. Il lieve strato di cenere che riceveremo è per dirci, con delicatezza e verità: di tante cose che hai per la testa, dietro cui ogni giorno corri e ti affanni, non resterà nulla. Per quanto ti affatichi, dalla vita non porterai con te alcuna ricchezza. Le realtà terrene svaniscono, come polvere al vento. I beni sono provvisori, il potere passa, il successo tramonta. La cultura dell’apparenza, oggi dominante, che induce a vivere per le cose che passano, è un grande inganno. Perché è come una fiammata: una volta finita, resta solo la cenere. La Quaresima è il tempo per liberarci dall’illusione di vivere inseguendo la polvere. La Quaresima è riscoprire che siamo fatti per il fuoco che sempre arde, non per la cenere che subito si spegne; per Dio, non per il mondo; per l’eternità del Cielo, non per l’inganno della terra; per la libertà dei figli, non per la schiavitù delle cose. Possiamo chiederci oggi: da che parte sto? Vivo per il fuoco o per la cenere?
In questo viaggio di ritorno all’essenziale che è la Quaresima, il Vangelo propone tre tappe, che il Signore chiede di percorrere senza ipocrisia, senza finzioni: l’elemosina, la preghiera, il digiuno. A che cosa servono? L’elemosina, la preghiera e il digiuno ci riportano alle tre sole realtà che non svaniscono. La preghiera ci riannoda a Dio; la carità al prossimo; il digiuno a noi stessi. Dio, i fratelli, la mia vita: ecco le realtà che non finiscono nel nulla, su cui bisogna investire. Ecco dove ci invita a guardare la Quaresima: verso l’Alto, con la preghiera, che libera da una vita orizzontale, piatta, dove si trova tempo per l’io ma si dimentica Dio. E poi verso l’altro, con la carità, che libera dalla vanità dell’avere, dal pensare che le cose vanno bene se vanno bene a me. Infine, ci invita a guardarci dentro, col digiuno, che libera dagli attaccamenti alle cose, dalla mondanità che anestetizza il cuore. Preghiera, carità, digiuno: tre investimenti per un tesoro che dura.
Gesù ha detto: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Il nostro cuore punta sempre in qualche direzione: è come una bussola in cerca di orientamento. Possiamo anche paragonarlo a una calamita: ha bisogno di attaccarsi a qualcosa. Ma se si attacca solo alle cose terrene, prima o poi ne diventa schiavo: le cose di cui servirsi diventano cose da servire. L’aspetto esteriore, il denaro, la carriera, i passatempi: se viviamo per loro, diventeranno idoli che ci usano, sirene che ci incantano e poi ci mandano alla deriva. Invece, se il cuore si attacca a quello che non passa, ritroviamo noi stessi e diventiamo liberi. Quaresima è il tempo di grazia per liberare il cuore dalle vanità. È tempo di guarigione dalle dipendenze che ci seducono. È tempo per fissare lo sguardo su ciò che resta.
Dove fissare allora lo sguardo lungo il cammino della Quaresima? È semplice: sul Crocifisso. Gesù in croce è la bussola della vita, che ci orienta al Cielo. La povertà del legno, il silenzio del Signore, la sua spogliazione per amore ci mostrano la necessità di una vita più semplice, libera dai troppi affanni per le cose. Gesù dalla croce ci insegna il coraggio forte della rinuncia. Perché carichi di pesi ingombranti non andremo mai avanti. Abbiamo bisogno di liberarci dai tentacoli del consumismo e dai lacci dell’egoismo, dal voler sempre di più, dal non accontentarci mai, dal cuore chiuso ai bisogni del povero. Gesù, che sul legno della croce arde di amore, ci chiama a una vita infuocata di Lui, che non si perde tra le ceneri del mondo; una vita che brucia di carità e non si spegne nella mediocrità. È difficile vivere come Lui chiede? Sì, è difficile, ma conduce alla meta. Ce lo mostra la Quaresima. Essa inizia con la cenere, ma alla fine ci porta al fuoco della notte di Pasqua; a scoprire che, nel sepolcro, la carne di Gesù non diventa cenere, ma risorge gloriosa. Vale anche per noi, che siamo polvere: se con le nostre fragilità ritorniamo al Signore, se prendiamo la via dell’amore, abbracceremo la vita che non tramonta. E certamente saremo nella gioia.
[00395-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
«Sonnez du cor, prescrivez un jeûne sacré» (Jl 2, 15), dit le prophète dans la Première Lecture. Le Carême s’ouvre avec un son strident, celui d’une corne qui ne caresse pas les oreilles, mais organise un jeûne. C’est un son puissant, qui veut ralentir notre vie qui va toujours au pas de course, mais souvent ne sait pas bien où. C’est un appel à s’arrêter - un arrête-toi - à aller à l’essentiel, à jeûner du superflu qui distrait. C’est un réveil pour l’âme.
Au son de ce réveil est joint le message que le Seigneur transmet par la bouche du prophète, un message bref et pressant: «Revenez à moi» (v. 12). Revenir. Si nous devons revenir, cela signifie que nous sommes allés ailleurs. Le Carême est le temps pour retrouver la route de la vie. Parce que dans le parcours de la vie, comme sur tout chemin, ce qui compte vraiment est de ne pas perdre de vue le but. Lorsqu’au contraire dans le voyage, ce qui intéresse est de regarder le paysage ou de s’arrêter pour manger, on ne va pas loin. Chacun de nous peut se demander: sur le chemin de la vie, est-ce que je cherche la route? Ou est-ce que je me contente de vivre au jour le jour, en pensant seulement à aller bien, à résoudre quelques problèmes et à me divertir un peu? Quelle est la route? Peut-être la recherche de la santé, que beaucoup disent venir avant tout mais qui un jour ou l’autre passera? Peut-être les biens et le bien-être? Mais nous ne sommes pas au monde pour cela. Revenez à moi, dit le Seigneur. A moi. C’est le Seigneur le but de notre voyage dans le monde. La route est fondée sur Lui.
Pour retrouver la route, aujourd’hui nous est offert un signe: des cendres sur la tête. C’est un signe qui nous fait penser à ce que nous avons en tête. Nos pensées poursuivent souvent des choses passagères, qui vont et viennent. La légère couche de cendres que nous recevrons est pour nous dire, avec délicatesse et vérité: des nombreuses choses que tu as en tête, derrière lesquelles chaque jour tu cours et te donne du mal, il ne restera rien. Pour tout ce qui te fatigue, de la vie tu n’emporteras avec toi aucune richesse. Les réalités terrestres s’évanouissent, comme poussière au vent. Les biens sont provisoires, le pouvoir passe, le succès pâlit. La culture de l’apparence, aujourd’hui dominante, qui entraîne à vivre pour les choses qui passent, est une grande tromperie. Parce que c’est comme une flambée: une fois finie, il reste seulement la cendre. Le Carême est le temps pour nous libérer de l’illusion de vivre en poursuivant la poussière. Le Carême c’est redécouvrir que nous sommes faits pour le feu qui brûle toujours, non pour la cendre qui s’éteinttout de suite; pour Dieu, non pour le monde; pour l’éternité du Ciel, non pour la duperie de la terre; pour la liberté des enfants, non pour l’esclavage des choses. Nous pouvons nous demander aujourd’hui: de quel côté suis-je ? Est-ce que je vis pour le feu ou pour la cendre?
Dans ce voyage de retour à l’essentiel qu’est le Carême, l’Evangile propose trois étapes que le Seigneur demande de parcourir sans hypocrisie, sans comédie: l’aumône, la prière, le jeûne. A quoi servent-elles? L’aumône, la prière et le jeûne nous ramènent aux trois seules réalités qui ne disparaissent pas. La prière nous rattache à Dieu; la charité au prochain; le jeûne à nous-mêmes. Dieu, les frères, ma vie: voilà les réalités qui ne finissent pas dans le néant, sur lesquelles il faut investir. Voilà où le Carême nous invite à regarder: vers le Haut, avec la prière qui nous libère d’une vie horizontale, plate, où on trouve le temps pour le ‘je’ mais où l’on oublie Dieu. Et puis vers l’autre avec la charité qui libère de la vanité de l’avoir, du fait de penser que les choses vont bien si elles me vont bien à moi. Enfin, il nous invite à regarder à l’intérieur, avec le jeûne, qui nous libère de l’attachement aux choses, de la mondanité qui anesthésie le cœur. Prière, charité, jeûne: trois investissements pour un trésor qui dure.
Jésus a dit: «Là où est ton trésor, là aussi sera ton cœur» (Mt 6, 21). Notre cœur regarde toujours dans quelque direction: il est comme une boussole en recherche d’orientation. Nous pouvons aussi le comparer à un aimant: il a besoin de s’attacher à quelque chose. Mais s’il s’attache seulement aux choses terrestres, tôt ou tard, il en devient esclave: les choses dont on se sert deviennent des choses à servir. L’aspect extérieur, l’argent, la carrière, les passe-temps: si nous vivons pour eux, ils deviendront des idoles qui nous utilisent, des sirènes qui nous charment et ensuite nous envoient à la dérive. Au contraire, si le cœur s’attache à ce qui ne passe pas, nous nous retrouvons nous-même et nous devenons libres. Le Carême est un temps de grâce pour libérer le cœur des vanités. C’est un temps de guérison des dépendances qui nous séduisent. C’est un temps pour fixer le regard sur ce qui demeure.
Où fixer alors le regard le long du chemin du Carême? C’est simple: sur le Crucifié. Jésus en croix est la boussole de la vie, qui nous oriente vers le Ciel. La pauvreté du bois, le silence du Seigneur, son dépouillement par amour nous montrent les nécessités d’une vie plus simple, libre de trop de soucis pour les choses. De la Croix Jésus nous enseigne le courage ferme du renoncement. Parce que chargés de poids encombrants, nous n’irons jamais de l’avant. Nous avons besoin de nous libérer des tentacules du consumérisme et des liens de l’égoïsme, du fait de vouloir toujours plus, de n’être jamais content, du cœur fermé aux besoins du pauvre. Jésus sur le bois de la croix brûle d’amour, il nous appelle à une vie enflammée de Lui, qui ne se perd pas parmi les cendres du monde; une vie qui brûle de charité et ne s’éteint pas dans la médiocrité. Est-il difficile de vivre comme lui le demande? Oui, c’est difficile, mais il conduit au but. Le Carême nous le montre. Il commence avec la cendre, mais à la fin, il nous mène au feu de la nuit de Pâques; à découvrir que, dans le tombeau, la chair de Jésus ne devient pas cendre, mais resurgit glorieuse. Cela vaut aussi pour nous, qui sommes poussière: si avec nos fragilités nous revenons au Seigneur, si nous prenons le chemin de l’amour, nous embrasserons la vie qui n’a pas de couchant. Et nous serons certainement dans la joie.
[00395-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“Blow the trumpet […] sanctify a fast” (Joel 2:15), says the prophet in the first reading. Lent opens with a piercing sound, that of a trumpet that does not please the ears, but instead proclaims a fast. It is a loud sound that seeks to slow down our life, which is so fast-paced, yet often directionless. It is a summons to stop – a “halt!” –, to focus on what is essential, to fast from the unnecessary things that distract us. It is a wake-up call for the soul.
This wake-up call is accompanied by the message that the Lord proclaims through the lips of the prophet, a short and heartfelt message: “Return to me” (v 12). To return. If we have to return, it means that we have wandered off. Lent is the time to rediscover the direction of life. Because in life’s journey, as in every journey, what really matters is not to lose sight of the goal. If what interests us as we travel, however, is looking at the scenery or stopping to eat, we will not get far. We should ask ourselves: On the journey of life, do I seek the way forward? Or am I satisfied with living in the moment and thinking only of feeling good, solving some problems and having fun? What is the path? Is it the search for health, which many today say comes first but which eventually passes? Could it be possessions and wellbeing? But we are not in the world for this. Return to me, says the Lord. To me. The Lord is the goal of our journey in this world. The direction must lead to him.
Today we have been offered a sign that will help us find our direction: the head marked by ash. It is a sign that causes us to consider what occupies our mind. Our thoughts often focus on transient things, which come and go. The small mark of ash, which we will receive, is a subtle yet real reminder that of the many things occupying our thoughts, that we chase after and worry about every day, nothing will remain. No matter how hard we work, we will take no wealth with us from this life. Earthly realities fade away like dust in the wind. Possessions are temporary, power passes, success wanes. The culture of appearance prevalent today, which persuades us to live for passing things, is a great deception. It is like a blaze: once ended, only ash remains. Lent is the time to free ourselves from the illusion of chasing after dust. Lent is for rediscovering that we are created for the inextinguishable flame, not for ashes that immediately disappear; for God, not for the world; for the eternity of heaven, not for earthly deceit; for the freedom of the children of God, not for slavery to things. We should ask ourselves today: Where do I stand? Do I live for fire or for ash?
On this Lenten journey, back to what is essential, the Gospel proposes three steps which the Lord invites us to undertake without hypocrisy and pretence: almsgiving, prayer, fasting. What are they for? Almsgiving, prayer and fasting bring us back to the three realities that do not fade away. Prayer reunites us to God; charity, to our neighbour; fasting, to ourselves. God, my neighbour, my life: these are the realities that do not fade away and in which we must invest. Lent, therefore, invites us to focus, first of all on the Almighty, in prayer, which frees us from that horizontal and mundane life where we find time for self but forget God. It then invites us to focus on others, with the charity that frees us from the vanity of acquiring and of thinking that things are only good if they are good for me. Finally, Lent invites us to look inside our heart, with fasting, which frees us from attachment to things and from the worldliness that numbs the heart. Prayer, charity, fasting: three investments for a treasure that endures.
Jesus said: “Where your treasure is, there will your heart be also” (Mt 6:21). Our heart always points in some direction: it is like a compass seeking its bearings. We can also compare it to a magnet: it needs to attach itself to something. But if it only attaches itself to earthly things, sooner or later it becomes a slave to them: things to be used become things we serve. Outward appearance, money, a career or hobby: if we live for them, they will become idols that enslave us, sirens that charm us and then cast us adrift. Whereas if our heart is attached to what does not pass away, we rediscover ourselves and are set free. Lent is the time of grace that liberates the heart from vanity. It is a time of healing from addictions that seduce us. It is a time to fix our gaze on what abides.
Where can we fix our gaze, then, throughout this Lenten journey? It is simple: upon the Crucified one. Jesus on the cross is life’s compass, which directs us to heaven. The poverty of the wood, the silence of the Lord, his loving self-emptying show us the necessity of a simpler life, free from anxiety about things. From the cross, Jesus teaches us the great courage involved in renunciation. We will never move forward if we are heavily weighed down. We need to free ourselves from the clutches of consumerism and the snares of selfishness, from always wanting more, from never being satisfied, and from a heart closed to the needs of the poor. Jesus on the wood of the cross burns with love, and calls us to a life that is passionate for him, which is not lost amid the ashes of the world; to a life that burns with charity and is not extinguished in mediocrity. Is it difficult to live as he asks? Yes, it is difficult, but it leads us to our goal. Lent shows us this. It begins with the ashes, but eventually leads us to the fire of Easter night; to the discovery that, in the tomb, the body of Jesus does not turn to ashes, but rises gloriously. This is true also for us, who are dust. If we, with our weaknesses, return to the Lord, if we take the path of love, then we will embrace the life that never ends. And surely we will be full of joy.
[00395-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua spagnola
«Tocad la trompeta, proclamad un ayuno santo» (Jl 2,15), dice el profeta en la primera lectura. La Cuaresma se abre con un sonido estridente, el de una trompeta que no acaricia los oídos, sino que anuncia un ayuno. Es un sonido fuerte, que quiere ralentizar nuestra vida que siempre va a toda prisa, pero a menudo no sabe hacia dónde. Es una llamada a detenerse – un ¡detente!” –, a ir a lo esencial, a ayunar de aquello que es superfluo y nos distrae. Es un despertador para el alma.
El sonido de este despertador está acompañado por el mensaje que el Señor transmite a través de la boca del profeta, un mensaje breve y apremiante: «Convertíos a mí» (v. 12). Convertíos. Si tenemos que regresar, significa que nos hemos ido por otra parte. La Cuaresma es el tiempo para redescubrir la ruta de la vida. Porque en el camino de la vida, como en todo viaje, lo que realmente importa es no perder de vista la meta. Sin embargo, cuando estás de viaje, si lo que te interesa es mirar el paisaje o pararte a comer, no vas muy lejos. Cada uno de nosotros puede preguntarse: ¿en el camino de la vida, busco la ruta? ¿O me conformo con vivir el día, pensando solo en sentirme bien, en resolver algún problema y en divertirme un poco? ¿Cuál es la ruta? ¿Tal vez la búsqueda de la salud, que muchos dicen que es hoy lo más importante, pero que pasará tarde o temprano? ¿Quizás los bienes y el bienestar? Sin embargo no estamos en el mundo para esto. Convertíos a mí, dice el Señor. A mí. El Señor es la meta de nuestro peregrinaje en el mundo. La ruta se traza en relación a él.
Para encontrar de nuevo la ruta, hoy se nos ofrece un signo: ceniza en la cabeza. Es un signo que nos hace pensar en lo que tenemos en la mente. Nuestros pensamientos persiguen a menudo cosas transitorias, que van y vienen. La ligera capa de ceniza que recibiremos es para decirnos, con delicadeza y sinceridad: de tantas cosas que tienes en la mente, detrás de las que corres y te preocupas cada día, nada quedará. Por mucho que te afanes, no te llevarás ninguna riqueza de la vida. Las realidades terrenales se desvanecen, como el polvo en el viento. Los bienes son pasajeros, el poder pasa, el éxito termina. La cultura de la apariencia, hoy dominante, que nos lleva a vivir por las cosas que pasan, es un gran engaño. Porque es como una llamarada: una vez terminada, quedan solo las cenizas. La Cuaresma es el momento para liberarnos de la ilusión de vivir persiguiendo el polvo. La Cuaresma es volver a descubrir que estamos hechos para el fuego que siempre arde, no para las cenizas que se apagan de inmediato; por Dios, no por el mundo; por la eternidad del cielo, no por el engaño de la tierra; por la libertad de los hijos, no por la esclavitud de las cosas. Podemos preguntarnos hoy: ¿De qué parte estoy? ¿Vivo para el fuego o para la ceniza?
En este viaje de regreso a lo esencial, que es la Cuaresma, el Evangelio propone tres etapas, que el Señor nos pide de recorrer sin hipocresía, sin engaños: la limosna, la oración, el ayuno. ¿Para qué sirven? La limosna, la oración y el ayuno nos devuelven a las tres únicas realidades que no pasan. La oración nos une de nuevo con Dios; la caridad con el prójimo; el ayuno con nosotros mismos. Dios, los hermanos, mi vida: estas son las realidades que no acaban en la nada, y en las que debemos invertir. Ahí es hacia donde nos invita a mirar la Cuaresma: hacia lo Alto, con la oración, que nos libra de una vida horizontal y plana, en la que encontramos tiempo para el yo, pero olvidamos a Dios. Y después hacia el otro, con caridad, que nos libra de la vanidad del tener, del pensar que las cosas son buenas si lo son para mí. Finalmente, nos invita a mirar dentro de nosotros mismos con el ayuno, que nos libra del apego a las cosas, de la mundanidad que anestesia el corazón. Oración, caridad, ayuno: tres inversiones para un tesoro que no se acaba.
Jesús dijo: «Donde está tu tesoro, allí está tu corazón» (Mt 6,21). Nuestro corazón siempre apunta en alguna dirección: es como una brújula en busca de orientación. Podemos incluso compararlo con un imán: necesita adherirse a algo. Pero si solo se adhiere a las cosas terrenales, se convierte antes o después en esclavo de ellas: las cosas que están a nuestro servicio acaban convirtiéndose en cosas a las que servir. La apariencia exterior, el dinero, la carrera, los pasatiempos: si vivimos para ellos, se convertirán en ídolos que nos utilizarán, sirenas que nos encantarán y luego nos enviarán a la deriva. En cambio, si el corazón se adhiere a lo que no pasa, nos encontramos a nosotros mismos y seremos libres. La Cuaresma es un tiempo de gracia para liberar el corazón de las vanidades. Es hora de recuperarnos de las adicciones que nos seducen. Es hora de fijar la mirada en lo que permanece.
¿Dónde podemos fijar nuestra mirada a lo largo del camino de la Cuaresma? Es sencillo: en el n el crucifijo. Jesús en la cruz es la brújula de la vida, que nos orienta al cielo. La pobreza del madero, el silencio del Señor, su desprendimiento por amor nos muestran la necesidad de una vida más sencilla, libre de tantas preocupaciones por las cosas. Jesús desde la cruz nos enseña la renuncia llena de valentía. Pues nunca avanzaremos si estamos cargados de pesos que estorban. Necesitamos liberarnos de los tentáculos del consumismo y de las trampas del egoísmo, de querer cada vez más, de no estar nunca satisfechos, del corazón cerrado a las necesidades de los pobres. Jesús, que arde con amor en el leño de la cruz, nos llama a una vida encendida en su fuego, que no se pierde en las cenizas del mundo; una vida que arde de caridad y no se apaga en la mediocridad. ¿Es difícil vivir como él nos pide? Sí, es difícil, pero lleva a la meta. La Cuaresma nos lo muestra. Comienza con la ceniza, pero al final nos lleva al fuego de la noche de Pascua; a descubrir que, en el sepulcro, la carne de Jesús no se convierte en ceniza, sino que resucita gloriosamente. También se aplica a nosotros, que somos polvo: si regresamos al Señor con nuestra fragilidad, si tomamos el camino del amor, abrazaremos la vida que no conoce ocaso. Y ciertamente viviremos en la alegría.
[00395-ES.02] [Texto original: Italiano]
[B0195-XX.02]