Incontro privato con i Membri del Muslim Council of Elders
Incontro Interreligioso presso il Founder’s Memorial
Incontro privato con i Membri del Muslim Council of Elders
Questo pomeriggio il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Gran Moschea dello Sceicco Zayed per l’incontro privato con i Membri del Muslim Council of Elders.
Al Suo arrivo il Papa è stato accolto all’ingresso del Mausoleo dello Sceicco Zayed dal Grande Imam di al-Azhar, dai Ministri degli Affari Esteri, della Tolleranza e della Cultura. Quindi, accompagnato dal Grande Imam, ha visitato la Grande Moschea. Successivamente, dopo aver reso omaggio alla tomba del Fondatore degli Emirati Arabi Uniti, il Santo Padre è salito insieme al Grande Imam a bordo di una golf cart e ha raggiunto il cortile della moschea (Courtyard Sahan) dove ha avuto luogo l’incontro interreligioso privato, durato 30 minuti, con i Membri del Muslim Council of Elders.
Al termine dell’incontro il Santo Padre, accompagnato dal Grande Imam di al-Azhar e dai tre Ministri, ha varcato la porta centrale della moschea e, dopo averla attraversata, ha raggiunto l’auto appositamente preparata per recarsi insieme al Grande Imam al Founder’s Memorial.
[00173-IT.02]
Incontro Interreligioso presso il Founder’s Memorial
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua araba
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Questo pomeriggio, alle ore 18.35 locali (15.35 ora di Roma), il Santo Padre Francesco, insieme al Grande Imam, si è trasferito al Founder’s Memorial per l’Incontro Interreligioso.
Al loro arrivo, il Papa e il Grande Imam sono stati accolti dal Principe ereditario, Sua Altezza Sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan. Quindi insieme, tenendosi per mano, hanno raggiunto il podio [mentre scorrevano le prime immagini di un video in cui veniva annunciata la firma del “Documento sulla Fratellanza Umana” e l’istituzione del “Premio della Fratellanza Umana” conferito in quest’edizione inaugurale a Papa Francesco e al Grande Imam di Al-Azhar].
Dopo gli indirizzi di saluto di Sua Altezza Sheikh Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, Vice Presidente e Primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti, del Grande Imam, il Santo Padre ha pronunciato il suo discorso.
Al termine, il Papa e il Grande Imam hanno firmato il testo del Documento comune sulla Fratellanza Umana, scritto a mano in arabo e in italiano. Quindi, insieme al Principe ereditario e al Vice Presidente, hanno firmato la prima pietra di una chiesa e di una moschea che sorgeranno una accanto all’altra in un Centro per il Dialogo Interreligioso voluto dal Principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti.
Alla fine dell’incontro, Papa Francesco si è congedato dal Principe ereditario e, insieme al Grande Imam, ha lasciato il Founder’s Memorial per far ritorno alle rispettive residenze.
Al Suo arrivo, all’Al Mushrif Palace, prima della cena, il Santo Padre ha salutato la famiglia del Principe ereditario nel grande salone al piano terra.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’Incontro Interreligioso:
Discorso del Santo Padre
Al Salamò Alaikum! La pace sia con voi!
Ringrazio di cuore Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum e il Dottor Ahmad Al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, per le loro parole. Sono grato al Consiglio degli Anziani per l’incontro che abbiamo poc’anzi avuto, presso la Moschea dello Sceicco Zayed.
Saluto cordialmente anche il Signore Abd Al-Fattah Al-Sisi, Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, terra di Al-Azhar. Saluto cordialmente le Autorità civili e religiose e il Corpo diplomatico. Permettetemi anche un grazie sincero per la calorosa accoglienza che tutti hanno riservato a me e alla nostra delegazione.
Ringrazio anche tutte le persone che hanno contribuito a rendere possibile questo viaggio e che hanno lavorato con dedizione, entusiasmo e professionalità per questo evento: gli organizzatori, il personale del Protocollo, quello della Sicurezza e tutti coloro che in diversi modi hanno dato il loro contributo “dietro le quinte”. Un grazie speciale al Sig. Mohamed Abdel Salam, già consigliere del Grande Imam.
Dalla vostra patria mi rivolgo a tutti i Paesi di questa Penisola, ai quali desidero indirizzare il mio più cordiale saluto, con amicizia e stima.
Con animo riconoscente al Signore, nell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil, ho accolto l’opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo.
Il logo di questo viaggio raffigura una colomba con un ramoscello di ulivo. È un’immagine che richiama il racconto del diluvio primordiale, presente in diverse tradizioni religiose. Secondo il racconto biblico, per preservare l’umanità dalla distruzione Dio chiede a Noè di entrare nell’arca con la sua famiglia. Anche noi oggi, nel nome di Dio, per salvaguardare la pace, abbiamo bisogno di entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo: l’arca della fratellanza.
Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli, che è il Creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che Egli ci ha donato. Si fonda qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza, quale «vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio»[1]. Essa ci dice che tutti abbiamo uguale dignità e che nessuno può essere padrone o schiavo degli altri.
Non si può onorare il Creatore senza custodire la sacralità di ogni persona e di ogni vita umana: ciascuno è ugualmente prezioso agli occhi di Dio. Perché Egli non guarda alla famiglia umana con uno sguardo di preferenza che esclude, ma con uno sguardo di benevolenza che include. Pertanto, riconoscere ad ogni essere umano gli stessi diritti è glorificare il Nome di Dio sulla terra. Nel nome di Dio Creatore, dunque, va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del Nome di Dio utilizzarlo per giustificare l’odio e la violenza contro il fratello. Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata.
Nemico della fratellanza è l’individualismo, che si traduce nella volontà di affermare sé stessi e il proprio gruppo sopra gli altri. È un’insidia che minaccia tutti gli aspetti della vita, perfino la più alta e innata prerogativa dell’uomo, ossia l’apertura al trascendente e la religiosità. La vera religiosità consiste nell’amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi. La condotta religiosa ha dunque bisogno di essere continuamente purificata dalla ricorrente tentazione di giudicare gli altri nemici e avversari. Ciascun credo è chiamato a superare il divario tra amici e nemici, per assumere la prospettiva del Cielo, che abbraccia gli uomini senza privilegi e discriminazioni.
Desidero perciò esprimere apprezzamento per l’impegno di questo Paese nel tollerare e garantire la libertà di culto, fronteggiando l’estremismo e l’odio. Così facendo, mentre si promuove la libertà fondamentale di professare il proprio credo, esigenza intrinseca alla realizzazione stessa dell’uomo, si vigila anche perché la religione non venga strumentalizzata e rischi, ammettendo violenza e terrorismo, di negare sé stessa.
La fratellanza certamente «esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità»[2]. La pluralità religiosa ne è espressione. In tale contesto il giusto atteggiamento non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante: quel che siamo chiamati a fare, da credenti, è impegnarci per la pari dignità di tutti, in nome del Misericordioso che ci ha creati e nel cui nome va cercata la composizione dei contrasti e la fraternità nella diversità. Vorrei qui ribadire la convinzione della Chiesa Cattolica: «Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio»[3].
Vari interrogativi, tuttavia, si impongono: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una fratellanza non teorica, che si traduca in autentica fraternità? Come far prevalere l’inclusione dell’altro sull’esclusione in nome della propria appartenenza? Come, insomma, le religioni possono essere canali di fratellanza anziché barriere di separazione?
La famiglia umana e il coraggio dell’alterità
Se crediamo nell’esistenza della famiglia umana, ne consegue che essa, in quanto tale, va custodita. Come in ogni famiglia, ciò avviene anzitutto mediante un dialogo quotidiano ed effettivo. Esso presuppone la propria identità, cui non bisogna abdicare per compiacere l’altro. Ma al tempo stesso domanda il coraggio dell’alterità[4], che comporta il riconoscimento pieno dell’altro e della sua libertà, e il conseguente impegno a spendermi perché i suoi diritti fondamentali siano affermati sempre, ovunque e da chiunque. Perché senza libertà non si è più figli della famiglia umana, ma schiavi. Tra le libertà vorrei sottolineare quella religiosa. Essa non si limita alla sola libertà di culto, ma vede nell’altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo.
Il dialogo e la preghiera
Il coraggio dell’alterità è l’anima del dialogo, che si basa sulla sincerità delle intenzioni. Il dialogo è infatti compromesso dalla finzione, che accresce la distanza e il sospetto: non si può proclamare la fratellanza e poi agire in senso opposto. Secondo uno scrittore moderno, «chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne, arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di se stesso, né degli altri»[5].
In tutto ciò la preghiera è imprescindibile: essa, mentre incarna il coraggio dell’alterità nei riguardi di Dio, nella sincerità dell’intenzione, purifica il cuore dal ripiegamento su di sé. La preghiera fatta col cuore è ricostituente di fraternità. Perciò, «quanto al futuro del dialogo interreligioso, la prima cosa che dobbiamo fare è pregare. E pregare gli uni per gli altri: siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità»[6].
Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace.
L’educazione e la giustizia
Torniamo così all’immagine iniziale della colomba della pace. Anche la pace, per spiccare il volo, ha bisogno di ali che la sostengano. Le ali dell’educazione e della giustizia.
L’educazione – in latino indica l’estrarre, il tirare fuori – è portare alla luce le risorse preziose dell’animo. È confortante constatare come in questo Paese non si investa solo sull’estrazione delle risorse della terra, ma anche su quelle del cuore, sull’educazione dei giovani. È un impegno che mi auguro prosegua e si diffonda altrove. Anche l’educazione avviene nella relazione, nella reciprocità. Alla celebre massima antica “conosci te stesso” dobbiamo affiancare “conosci il fratello”: la sua storia, la sua cultura e la sua fede, perché non c’è conoscenza vera di sé senza l’altro. Da uomini, e ancor più da fratelli, ricordiamoci a vicenda che niente di ciò che è umano ci può rimanere estraneo[7]. È importante per l’avvenire formare identità aperte, capaci di vincere la tentazione di ripiegarsi su di sé e irrigidirsi.
Investire sulla cultura favorisce una decrescita dell’odio e una crescita della civiltà e della prosperità. Educazione e violenza sono inversamente proporzionali. Gli istituti cattolici – ben apprezzati anche in questo Paese e nella regione – promuovono tale educazione alla pace e alla conoscenza reciproca per prevenire la violenza.
I giovani, spesso circondati da messaggi negativi e fake news, hanno bisogno di imparare a non cedere alle seduzioni del materialismo, dell’odio e dei pregiudizi; imparare a reagire all’ingiustizia e anche alle dolorose esperienze del passato; imparare a difendere i diritti degli altri con lo stesso vigore con cui difendono i propri diritti. Saranno essi, un giorno, a giudicarci: bene, se avremo dato loro basi solide per creare nuovi incontri di civiltà; male, se avremo lasciato loro solo dei miraggi e la desolata prospettiva di nefasti scontri di inciviltà.
La giustizia è la seconda ala della pace, la quale spesso non è compromessa da singoli episodi, ma è lentamente divorata dal cancro dell’ingiustizia.
Non si può, dunque, credere in Dio e non cercare di vivere la giustizia con tutti, secondo la regola d’oro: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).
Pace e giustizia sono inseparabili! Il profeta Isaia dice: «Praticare la giustizia darà pace» (32,17). La pace muore quando divorzia dalla giustizia, ma la giustizia risulta falsa se non è universale. Una giustizia indirizzata solo ai familiari, ai compatrioti, ai credenti della stessa fede è una giustizia zoppicante, è un’ingiustizia mascherata!
Le religioni hanno anche il compito di ricordare che l’avidità del profitto rende il cuore inerte e che le leggi dell’attuale mercato, esigendo tutto e subito, non aiutano l’incontro, il dialogo, la famiglia, dimensioni essenziali della vita che necessitano di tempo e pazienza. Le religioni siano voce degli ultimi, che non sono statistiche ma fratelli, e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti, siano richiami vigili perché l’umanità non chiuda gli occhi di fronte alle ingiustizie e non si rassegni mai ai troppi drammi del mondo.
Il deserto che fiorisce
Dopo aver parlato della fratellanza come arca di pace, vorrei ora inspirarmi a una seconda immagine, quella del deserto, che ci avvolge.
Qui, in pochi anni, con lungimiranza e saggezza, il deserto è stato trasformato in un luogo prospero e ospitale; il deserto è diventato, da ostacolo impervio e inaccessibile, luogo di incontro tra culture e religioni. Qui il deserto è fiorito, non solo per alcuni giorni all’anno, ma per molti anni a venire. Questo Paese, nel quale sabbia e grattacieli si incontrano, continua a essere un importante crocevia tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del pianeta, un luogo di sviluppo, dove spazi un tempo inospitali riservano posti di lavoro a persone di varie nazioni.
Anche lo sviluppo, tuttavia, ha i suoi avversari. E se nemico della fratellanza era l’individualismo, vorrei additare quale ostacolo allo sviluppo l’indifferenza, che finisce per convertire le realtà fiorenti in lande deserte. Infatti, uno sviluppo puramente utilitaristico non dà progresso reale e duraturo. Solo uno sviluppo integrale e coeso dispone un futuro degno dell’uomo. L’indifferenza impedisce di vedere la comunità umana oltre i guadagni e il fratello al di là del lavoro che svolge. L’indifferenza, infatti, non guarda al domani; non bada al futuro del creato, non ha cura della dignità del forestiero e dell’avvenire dei bambini.
In questo contesto mi rallegro che proprio qui ad Abu Dhabi, nel novembre scorso, abbia avuto luogo il primo Forum dell’Alleanza interreligiosa per Comunità più sicure, sul tema della dignità del bambino nell’era digitale. Questo evento ha raccolto il messaggio lanciato, un anno prima, a Roma nel Congresso internazionale sullo stesso tema, a cui avevo dato tutto il mio appoggio ed incoraggiamento. Ringrazio quindi tutti i leader che si impegnano in questo campo e assicuro il sostegno, la solidarietà e la partecipazione mia e della Chiesa Cattolica a questa causa importantissima della protezione dei minori in tutte le sue espressioni.
Qui, nel deserto, si è aperta una via di sviluppo feconda che, a partire dal lavoro, offre speranze a molte persone di vari popoli, culture e credo. Tra loro, anche molti cristiani, la cui presenza nella regione risale addietro nei secoli, hanno trovato opportunità e portato un contributo significativo alla crescita e al benessere del Paese. Oltre alle capacità professionali, vi recano la genuinità della loro fede. Il rispetto e la tolleranza che incontrano, così come i necessari luoghi di culto dove pregano, permettono loro quella maturazione spirituale che va poi a beneficio dell’intera società. Incoraggio a proseguire su questa strada, affinché quanti qui vivono o sono di passaggio conservino non solo l’immagine delle grandi opere innalzate nel deserto, ma di una nazione che include e abbraccia tutti.
È con questo spirito che, non solo qui, ma in tutta l’amata e nevralgica regione mediorientale, auspico opportunità concrete di incontro: società dove persone di diverse religioni abbiano il medesimo diritto di cittadinanza e dove alla sola violenza, in ogni sua forma, sia tolto tale diritto.
Una convivenza fraterna, fondata sull’educazione e sulla giustizia; uno sviluppo umano, edificato sull’inclusione accogliente e sui diritti di tutti: questi sono semi di pace, che le religioni sono chiamate a far germogliare. Ad esse, forse come mai in passato, spetta, in questo delicato frangente storico, un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell’uomo. La corsa agli armamenti, l’estensione delle proprie zone di influenza, le politiche aggressive a discapito degli altri non porteranno mai stabilità. La guerra non sa creare altro che miseria, le armi nient’altro che morte!
La fratellanza umana esige da noi, rappresentanti delle religioni, il dovere di bandire ogni sfumatura di approvazione dalla parola guerra. Restituiamola alla sua miserevole crudezza. Sotto i nostri occhi sono le sue nefaste conseguenze. Penso in particolare allo Yemen, alla Siria, all’Iraq e alla Libia. Insieme, fratelli nell’unica famiglia umana voluta da Dio, impegniamoci contro la logica della potenza armata, contro la monetizzazione delle relazioni, l’armamento dei confini, l’innalzamento di muri, l’imbavagliamento dei poveri; a tutto questo opponiamo la forza dolce della preghiera e l’impegno quotidiano nel dialogo. Il nostro essere insieme oggi sia un messaggio di fiducia, un incoraggiamento a tutti gli uomini di buona volontà, perché non si arrendano ai diluvi della violenza e alla desertificazione dell’altruismo. Dio sta con l’uomo che cerca la pace. E dal cielo benedice ogni passo che, su questa strada, si compie sulla terra.
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[1] Benedetto XVI, Discorso a nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 16 dicembre 2010.
[2] Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2015, 2.
[3] Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 5.
[4] Cfr Discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace, Al-Azhar Conference Centre, Il Cairo, 28 aprile 2017.
[5] F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, II, 2, Milano 2012, 60.
[6] Udienza Generale interreligiosa, 28 ottobre 2015.
[7] Cfr. Terenzio, HeautontimorumenosI, 1, 25.
[00174-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
السلام عليكم!
أشكر من كلِّ قلبي صاحب السموّ الشيخ محمّد بن راشد آل مكتوم، وفضيلة الدكتور أحمد الطيّب، الإمام الأكبر للأزهر الشريف، على كلماتهما. أنا ممتنٌّ لمجلس حكماء المسلمين على اللقاء الذي تمَّ منذ قليل، في مسجد سموّ الشيخ زايد.
أحيّي أيضًا السيد عبد الفتاح السيسي، رئيس جمهورية مصر العربية أرض الأزهر.
أحيّي السلطات المدنيّة والدينيّة والسلك الدبلوماسي. اسمحوا لي أيضًا أن أشكركم جميعًا شكرًا جزيلًا على الاستقبال الحارّ الذي قدّمتموه لي ولوفدنا.
أشكر كذلك جميع الأشخاص الذين ساهموا في جعل هذه الزيارة ممكنة والذين عملوا بتفانٍ وحماس ومهنيّة من أجل هذا الحدث: المنظِّمون، وموظّفو البروتوكول، ورجال الأمن، وجميع الذين وبأشكال مختلفة قدّموا مساهمتهم "خلف الكواليس". وأتوجه بشكر خاص للسيد محمد عبد السلام، المستشار السابق للإمام الأكبر.
كما أتوجّه من وطنكم إلى جميع بلدان شبه الجزيرة هذه، والذين أرغب في أن أوجّه إليهم أخلص تحيّاتي الودّية، والمقرونة بالصداقة والتقدير.
بروح ممتنٍّ للربّ، في المئويّة الثامنة للقاء بين القدّيس فرنسيس الأسيزي والسلطان الملك الكامل، قبلتُ فرصة المجيء إلى هنا كمؤمن متعطِّشٍ للسلام وكأخٍ يبحث عن السلام مع الإخوة. الرغبة في السلام، وبتعزيز السلام، وبأن نكون أدوات للسلام: هذا هو ما جئنا من أجله.
إنَّ شعار هذه الزيارة يتألف من حمامة تحمل غصن زيتون. وتذكّر هذه الصورة بقصّة الطوفان الأوّل، الموجود في مختلف التقاليد الدينيّة. بحسب الرواية الكتابيِّة، فإن الله، كي ما تُحفَظ البشريّة من الدمار، قد طلب من نوح أن يدخل في الفُلك مع عائلته. واليوم أيضًا، لكي نحافظ على السلام باسم الله، نحن بحاجة للدخول معًا كعائلة واحدة في فُلك يستطيع أن يعبر بحار العالم العاصفة: إنه فُلك الأخوّة.
نقطة الانطلاق هي الاعتراف بأنَّ الله هو أصل العائلة البشريّة الواحدة. فهو، ولكونه خالق كلِّ شيء وخالق الجميع، يريد أن نعيش كإخوة وأخوات، وأن نقيم في البيت المشترك الذي منحنا هو إياه. هنا تتأسّس الأخوّة، عند جذور بشريّتنا المشتركة، مثل "دعوة ماثلة في مخطّط الله للخلق"1. إنها الدعوة التي تخبرنا بأننا جميعًا نملك الكرامة عينها وبأنّه لا يمكن لأحد أن يكون سيّدًا للآخرين أو عبدًا لهم.
لا يمكننا أن نكرِّم الخالقَ دون أن نحافظَ على قدسيّة كلِّ شخصٍ وكلِّ حياةٍ بشريّة: فكلُّ فردٍ هو ثمينٌ على حدّ السواء في عينيّ الله. لأنّ الله لا ينظر إلى العائلة البشريّة بنظرة تمييز تستثني، وإنما بنظرة محبّة تدمج. لذلك، فالاعتراف بالحقوق عينها لكلّ كائن بشريٍّ، إنما هو تمجيد لاسم الله على الأرض. وباسم الله الخالق، بالتالي، يجب أن تُدان، وبدون تردّد، جميع أشكالِ العنف، لأنّ استعمال اسم الله لتبرير الكراهية والبطش ضدّ الأخ، إنما هو تدنيسٌ خطيرٌ لاسمه. فلا وجود لعنفٍ يمكن تبريره دينيًّا؛ ولا يجب على أحد "استخدام الأديان في تأجيجِ الكراهيةِ والعُنْفِ والتطرُّفِ والتعصُّبِ الأعمى ... [أو] استخدام اسم الله لتبريرِ أعمالِ القتلِ والتشريدِ والإرهابِ والبَطْشِ" (وثيقة الأخوّة البشرية).
إن عدوّة الأخوّة هي النزعة الفردانيّة، التي تُترجم في عزيمة تأكيد الذات والمجموعة الخاصة على حساب الآخرين. وهو فخّ يهدّد جميع جوانب الحياة، حتى الصفات الأسمى والفطريّة لدى الإنسان، أي الانفتاح على المتسامي والتديُّن. إنَّ التديُّن الحقيقيّ يقوم على محبّة الله من كلّ القلب، ومحبّة القريب كمحبّتنا لأنفسنا. وبالتالي يحتاج التصرّف الديني لأن يُنقّى على الدوام من التجربة المتكرّرة لاعتبار الآخرين أعداء وخصوم. كلُّ ديانة هي مدعوّة لتخطّي فجوة التمييز بين أصدقاء وأعداء، كي تتبنّى وجهة نظر السماء، التي تعانق جميع البشر بدون محاباة وتمييز.
لذلك أرغب في التعبير عن تقديري لالتزام هذا البلد في الموافقة على حريّة العبادة وضمانها، مواجهًا التطرّف والكراهية. بهذه الطريقة، فيما تُعزَّز الحريّة الأساسيّة للمرء بإعلان إيمانه الشخصي، والتي هي ضرورة جوهريّة كي يحقّق الإنسان ذاته، يتمُّ السهر أيضًا حتى لا يتمَّ استغلال الديانة، وتتعرّض لخطر نكران ذاتها بقبولها للعنف والإرهاب.
لكن الأخوّة بالتأكيد "تعبّر أيضًا عن التنوّع والاختلاف الموجود بين الإخوة، بالرغم من رابط الولادة بينهم وامتلاكهم للطبيعة عينها ولذات الكرامة"2. والتعدّد الديني هو تعبير عن ذلك. وبالتالي فالموقف الصحيح في هذا الإطار ليس التجانس القسري، ولا التوفيق الخانع: ما دعينا للقيام به، كمؤمنين، هو أن نلتزم من أجل أن يحصل الجميع على المساواة في الكرامة، وذلك باسم الرحيم الذي خلقنا والذي باسمه علينا أن نبحث عن التآلف في التناقضات والأخوّة في الاختلاف. أريد هنا أن أكرر التأكيد على قناعة الكنيسة الكاثوليكية: "لا يمكننا أن ندعو الله أبًا للجميع اذا رفضنا أن نتصرّف كإخوة مع الناس المخلوقين على صورة الله"3.
مع ذلك توجد أسئلة عديدة تفرض ذاتها: كيف نحافظ على بعضنا البعض في العائلة البشريّة الواحدة؟ وكيف نغذّي أخوّة غير نظريّة، تُترجَم في أخوّة حقيقيّة؟ كيف نجعل إدماج الآخر يسود على التهميش باسم انتمائنا الشخصي؟ كيف يمكن للديانات، باختصار، أن تكون قنوات أخوّة بدلاً من أن تكون حواجز إقصاء؟
العائلة البشريّة وشجاعة الاختلاف
إن كنّا نؤمن بوجود العائلة البشريّة، فيجب بالتالي المحافظة عليها، كعائلة. وكما في كلّ عائلة، ذلك يكون أوّلًا من خلال حوار يوميٍّ وحقيقي. هذا الأمر يستلزم هويّة شخصيّة لا يجب التخلّي عنها لإرضاء الآخر. ولكنّه يتطلّب في الوقت عينه شجاعة الاختلاف4، التي تتضمّن الاعتراف الكامل بالآخر وبحريّته، وما ينتج عنه من التزام ببذل الذات كي يتمّ التأكيد على حقوقه الأساسيّة، في كلِّ مكان، ومن قِبَلِ الجميع. لأننا بدون حريّة لا نكون بعد أبناء العائلة البشريّة وإنما عبيد. من بين الحرّيات، أرغب في تسليط الضوء على الحريّة الدينيّة. فهي لا تختصر على حريّة العبادة، بل ترى في الآخر أخًا بالفعل، وابنًا لبشريّتي نفسها، إبنًا يتركه الله حرًّا، ولا يمكن بالتالي لأيّة مؤسّسة بشريّة أن تجبره حتى باسم الله. "انَّ الحريَّةَ حَقٌّ لكُلِّ إنسانٍ: اعتقادًا وفكرًا وتعبيرًا ومُمارَسةً، وأنَّ التَّعدُّدِيَّةَ والاختلافَ في الدِّينِ واللَّوْنِ والجِنسِ والعِرْقِ واللُّغةِ حِكمةٌ لمَشِيئةٍ إلهيَّةٍ، قد خَلَقَ اللهُ البشَرَ عليها، وجعَلَها أصلًا ثابتًا تَتَفرَّعُ عنه حُقُوقُ حُريَّةِ الاعتقادِ، وحريَّةِ الاختلافِ" (وثيقة الأخوّة البشرية).
الحوار والصلاة
إن شجاعة الاختلاف هي روح الحوار الذي يقوم على صدق النوايا. والحوار في الواقع هو عرضة للازدواجية التي تزيد المسافة والشكّ: فليس بإمكاننا أن نعلن الأخوّة ونتصرّف بعدها عكس ذلك. بحسب أحد الكتّاب المعاصرين: "إنَّ الذي يكذب على نفسه ويُصغي إلى أكاذيبه، يصل إلى حدّ عدم القدرة على تمييز الحقيقة، لا في داخله ولا من حوله، ويبدأ هكذا بفقدان احترامه لنفسه وللآخرين"5.
إنَّ الصلاة هي جوهريّة في هذا كلّه: فهي، فيما تجسّد شجاعة الاختلاف إزاء الله، وفي صدق النوايا، تنقّي القلب من الانغلاق على نفسه. الصلاة التي تُتلى من القلب، تجدّد الأخوة. لذلك "فيما يختصّ بمستقبل الحوار بين الأديان ينبغي علينا أوّلاً أن نصلّي. وأن نصلّي من أجل بعضنا البعض: نحن إخوة! بدون الربّ لا شيء ممكن، ولكنّ معه كلّ شيء يصبح ممكنًا! أرجو أن تُطابق صلاتُنا بالتمام –كلٌّ بحسب تقليده– مشيئةَ الله، الذي يريد أن يعترف جميع البشر بأنّهم إخوة وأن يعيشوا على هذا النحو ويؤسّسوا العائلة البشريّة الكبيرة في تناغم التنوّع"6.
ليس هناك من بديل آخر: إمّا نبني المستقبل معًا وإلّا فلن يكون هناك مستقبل. لا يمكن للأديان، بشكل خاص، أن تتخلّى عن الواجب الملحّ في بناء جسور بين الشعوب والثقافات. لقد حان الوقت للأديان أن تبذل ذاتها بشكل فعّال، وبشجاعة وإقدام، وبدون تظاهر، كي تساعد العائلة البشريّة على إنضاج القدرةِ على المصالحة، ورؤيةٍ ملؤها الرجاء، واتّخاذ مسارات سلام ملموسة.
التربية والعدالة
ونعود هكذا إلى الصورة الأولى لحمامة السلام. إن السلام أيضًا، كي يحلِّق، يحتاج إلى جناحَين يرفعانه، إنه يحتاج إلى جناحَي التربية والعدالة.
تتطلّب التربية –وأصل الكلمة اللاتيني يعني الاستخراج والاستخلاص– أن نستخلص ونستخرج الموارد الثمينة في النفس. إنه لأمر مشجّع أن نرى، في هذا البلد، أنه لا يتمّ الاستثمار في استخراج موارد الأرض وحسب، بل أيضًا موارد القلب، أي في تربية الشبيبة. أتمنّى أن يستمرّ هذا الالتزام، وينتشر في مناطق أخرى. إن التربية تتمّ أيضًا في العلاقات والتبادليّة. يجب أن نضيف إلى القول القديم المأثور: "اعرف نفسك" قولاً آخر "اعرف أخاك": قصّته، ثقافته وإيمانه، لأنه لا توجد معرفة حقيقيّة للذات بدون الآخر. كأشخاص، وبالأكثر كإخوة، علينا نذكّر بعضُنا البعضَ أنه لا يوجد أيّ أمر إنسانيّ يمكن أن يبقى غريبًا عنا7. من الأهمية بمكان، بالنسبة للمستقبل، بناءُ هويّات منفتحة، قادرة على التغلّب على تجربة الانغلاق على الذات والتصلّب.
الاستثمار في الثقافة يعزّز انحسارَ الحقد ونموَّ الحضارة والازدهار. فللتربية تَناسُبٌ عكسيٌّ مع العنف. والمؤسّسات الكاثوليكيّة التربويّة –التي تحظى بالتقدير أيضًا في هذا البلد وفي المنطقة– تعزّز هذه التربية على السلام وعلى المعرفة المتبادلة من أجل تدارك العنف.
يحتاج الشباب، الذين غالبًا ما تحيط بهم رسائلُ سلبية وأنباءُ مزيّفة، إلى أن يتعلّموا عدم الاستسلام لإغراءات الماديّة والكراهية والأحكام المسبقة؛ لأن يتعلّموا كيفيّة التصدّي للظلم ولخبرات الماضي الأليمة؛ لأن يتعلّموا الدفاع عن حقوق الآخرين بالحماسة نفسها التي يدافعون فيها عن حقوقهم. سيكونون هم من سيحكمون علينا يومًا ما: إيجابًا، إذا ما قدّمنا لهم أُسسًا صلبة لخلق لقاءاتٍ جديدة من التحضّر؛ وسلباً، إذا ما تركنا لهم مجرّد سرابٍ وتطلّعات كئيبة من الصدامات الشائنة وغير الحضارية.
العدالة هي الجناح الثاني للسلام، التي غالبًا ما لا تتضرّر بفعل أحداث فرديّة، لكنّها تتآكل ببطء جرّاء سرطان الظلم. فالعدل "القائمَ على الرحمةِ هو السبيلُ الواجبُ اتِّباعُه للوُصولِ إلى حياةٍ كريمةٍ، يحقُّ لكُلِّ إنسانٍ أن يَحْيَا في كَنَفِها" (وثيقة الأخوّة البشرية).
ومن ثمَّ، لا يمكن أن نؤمن بالله وألّا نسعى إلى عيش العدالة مع الجميع، بحسب القاعدة الذهبية: "فَكُلُّ مَا تُرِيدُونَ أَنْ يَفْعَلَ النَّاسُ بِكُمُ افْعَلُوا هَكَذَا أَنْتُمْ أَيْضاً بِهِمْ لأَنَّ هَذَا هُوَ النَّامُوسُ وَالأَنْبِيَاءُ" (متى 7، 12).
إن السلام والعدالة لا ينفصلان أبدًا! قال النبي أشعيا "وَيَكُونُ صُنْعُ الْعَدْلِ سَلاَمًا" (32، 17). فالسلام يموت عندما ينفصل عن العدالة، لكن العدالة تكون مزيفةً إنْ لم تكُن كونيّة. فالعدالة الموجهّة فقط إلى أفراد العائلة، وأبناء الوطن، ومؤمني الديانة نفسها، هي عدالةٌ عرجاء، إنها ظلم مقنّع!
للديانات أيضًا واجبُ التذكير بأن جشع الربح يجعل القلب دون حراك، وبأن قوانين السوق الحاليّة، التي تطالب بكلّ شيء وعلى الفور، لا تساعد اللقاء والحوار والعائلة والأبعاد الأساسية للحياة التي تحتاج لوقت ولصبر. لتكن الأديانُ صوتَ المهمّشين، الذين ليسوا إحصاءات إنما إخوة، ولتقف الأديان إلى جانب الفقراء؛ ولتسهر كحارسة الأُخُوَّة في ليل الصراعات؛ ولتكن ناقوسًا ساهرًا كي لا تغلق الإنسانيّةُ عينَيها أمام الظلم وكي لا تستسلم أبدًا أمام مآسي العالم الكثيرة.
الصحراء التي تُزهر
بعد أن تحدّثتُ عن الأخوّة كفُلكِ سلامٍ أودّ الآن الاستلهام من صورة ثانية، صورة الصحراء المحيطة بنا.
هنا، وخلال سنوات قليلة، وبفضل بُعد النظر والحكمة، تحوّلت الصحراء إلى مكان مزدهر ومضياف؛ الصحراء التي كانت حاجزًا عسيرًا ومنيعًا، صارت مكانًا للّقاء بين الثقافات والديانات. لقد أزهرت الصحراء هنا، ليس فقط لأيّام قليلة في السنة، إنما لسنوات كثيرة في المستقبل. إن هذا البلد، الذي تعانقُ فيه الرمالُ ناطحاتَ السحاب، يبقى تقاطعًا هامًا بين الشرق والغرب، بين شمال الأرض وجنوبها، يبقى مكانًا للنمو، حيث الفسحاتُ، التي لم تكن مأهولة في السابق، تقدّم اليوم فرص عمل لأشخاص من أمم مختلفة.
بيد أن النموّ أيضًا له أعداؤه. وإن كانت الفردانية هي عدوّ الأخوّة، أودّ الإشارة إلى أن عائق النموّ هو اللامبالاة، والتي تؤول إلى تحويل الواقع المزهر إلى أرضٍ قاحلة. إن النموّ المنفعيّ البحت، في الحقيقة، لا يوفّر تقدّمًا واقعيًّا ومستدامًا. فوحده النموّ المتكامل والمتماسك يقدّم مستقبلاً لائقًا بالإنسان. إن اللامبالاة تَحُول دون النظر إلى الجماعة البشريّة، أبعد من نطاق الربح، وإلى الأخ أبعد من نطاق العمل الذي يقوم به. اللامبالاة، في الواقع، لا تنظر إلى الغد؛ لا تكترث لمستقبل الخليقة، لا تعتني بكرامة الغريب وبمستقبل الأطفال.
في هذا السياق، أعبّر عن سروري بأن أوّل منتدى دولي للتحالف بين الأديان من أجل مجتمعات أكثر أمانًا، حول مسألة كرامة الطفل في العصر الرقمي، قد عُقد هنا في أبو ظبي في نوفمبر / تشرين الثاني الماضي. لقد استأنف هذا الحدثُ الرسالةَ التي أُطلِقت قبل عام في روما، في المؤتمر الدولي حول الموضوع نفسه، والذي قدّمت له دعمي وتشجيعي الكاملين. إني أشكر بالتالي كلّ القادة الملتزمين في هذا المجال، وأؤكّد لهم دعم وتضامن ومشاركة شخصي والكنيسة الكاثوليكية في هذه القضيّة البالغة الأهمّية، قضيّة حماية القاصرين في كلّ أوجهها.
هنا في الصحراء فُتِحَت دربٌ خصبة للنموّ تقدّم، انطلاقًا من العمل، آمالاً لأشخاص كثيرين ينتمون إلى شعوب وثقافات ومعتقدات مختلفة. ومن بين هؤلاء العديد من المسيحيين، الذين يعود تواجدهم في المنطقة إلى القرون الغابرة، وقد وجدوا فرصًا وقدّموا إسهامًا هامًا في نموّ البلاد ورخائها. إن هؤلاء يحملون معهم أصالة إيمانهم فضلًا عن قدراتهم المهنيّة. إن الاحترام والتسامح اللذين يلقونهما، كما دُور العبادة الضرورية من أجل الصلاة، تسمح لهم بالنضوج روحيًّا بشكل يعود بالفائدة على المجتمع بأسره. أشجّع على الاستمرار في هذه الدرب، كي يتمكّن المقيمون والزوّار من الاحتفاظ، ليس فقط بصورة الأعمال العظيمة التي أُقيمت في الصحراء، إنما أيضًا بصورة أمّة تقبل وتعانق الجميع.
بهذه الروح، أتمنّى أن تبصر النور، ليس هنا فقط بل في كلّ منطقة الشرق الأوسط الحبيبة والحيويّة، فرصٌ ملموسة للقاء: مجتمعاتٌ يتمتّع فيها أشخاصٌ ينتمون إلى ديانات مختلفة بحقّ المواطنة نفسِه، وحيث لا يُنتزع هذا الحقّ إلّا من العنف، بجميع أشكاله.
تعايش أخويّ، يرتكز على التربية والعدالة؛ نموّ بشري، يقوم على الإدماج المضياف وعلى حقوق الجميع: هذه هي بذور سلامٍ، ينبغي على الديانات أن تُنبِتَها. في هذه المرحلة التاريخية الدقيقة، يقع على عاتق الديانات، ربّما أكثر من أيّ وقت مضى، واجبٌ لا يمكن إرجاؤه بعد اليوم: الإسهام بشكل فاعل في تجريد قلب الإنسان من السلاح. إن سباق التسلّح، وتمديد مناطق النفوذ، والسياسات العدائيّة، على حساب الآخرين، لن تؤدّي أبدًا إلى الاستقرار. الحرب لا تولّد سوى البؤس، والأسلحةُ لا تولّد سوى الموت!
إن الأخوّة البشريّة تتطلّب منّا، كممثّلي الأديان، واجبَ حظر كلّ تلميح إلى الموافقة على كلمة "حرب". دعونا نعيد هذه الكلمة إلى قسوتها البائسة. فأمام أعيننا نجد نتائجها المشؤومة. أفكّر بنوع خاص باليمن، وسوريا والعراق وليبيا. لنلتزم معًا، كأخوة في العائلة البشريّة الواحدة التي شاءها الله، ضدّ منطق القوّة المسلحة، ضدّ تقييم العلاقات بوزنها الاقتصادي، ضدّ التسلّح على الحدود وبناء الجدران وخنق أصوات الفقراء؛ لنواجه كلّ هذه الأمور بواسطة قوّة الصلاة العذبة والالتزام اليوميّ في الحوار. ليكن وجودُنا معًا اليوم رسالةَ ثقة، وتشجيعًا لجميع الأشخاص ذوي الإرادة الحسنة، كي لا يستسلموا أمام طوفان العنف، وأمام تصحّر الغيريّة. والله هو مع الإنسان الذي يبحث عن السلام. ومن السماء يبارك كلّ خطوة تُتّخذ على الأرض في هذا الاتّجاه.
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1 بندكتس السادس عشر، كلمة البابا للسفراء الجدد المعتمدين لدى الكرسي الرسولي، 16 ديسمبر / كانون الأول 2010
2 رسالة اليوم العالمي للسلام 1 يناير / كانون الثاني 2015.
3 بيان في علاقة الكنيسة مع الديانات غير المسيحية "في عصرنا"، عدد 5.
4را. كلمة البابا إلى المشاركين في المؤتمر العالمي من أجل السلام، قاعة مؤتمرات الأزهر، القاهرة 28 أبريل / نيسان 2017
5 فيودور دوستويفسكي، الإخوان كارامازوف، الجزء الثاني، 2، ميلانو 2012، ص 60.
6 المقابلة العامة ما بين الأديان، 28 أكتوبر / تشرين الأول 2015
7 ق. ترينزو Terenzio، الذي يعاقبُ نفسَه Heautontimorumenos، الجزء الأول، 1، ص 25
[00174-AR.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Al Salamò Alaikum! La paix soit avec vous!
Je remercie de tout cœur Son Altesse le Sheikh Mohammed bin Rashid Al Maktoum et le Docteur Ahmad Al-Tayyib, Grand Imam d’Al-Azhar, pour leurs paroles. Je suis reconnaissant au Conseil des Anciens pour la rencontre que nous venons d’avoir, près de la Mosquée du Sheikh Zayed.
Je salue par ailleurs cordialement Monsieur Abd Al-Fattah Al-Sisi, Président de la République Arabe d’Égypte, terre d’Al-Azhar. Je salue cordialement les Autorités civiles et religieuses et le Corps diplomatique. Permettez-moi aussi un remerciement sincère pour l’accueil chaleureux que tous m’ont réservé, ainsi qu’à notre délégation.
Je remercie aussi toutes les personnes qui ont contribué à rendre possible ce voyage et qui ont travaillé avec dévouement, enthousiasme et professionnalité pour cet événement: les organisateurs, le personnel du Protocole, celui de la sécurité et tous ceux qui de diverses manières ont donné leur contribution «dans les coulisses». Un merci spécial à Monsieur Mohamed Abdel-Salam, ancien conseiller du Grand Imam.
De votre patrie je me tourne vers tous les pays de cette Péninsule, auxquels je désire adresser mon plus cordial salut, avec amitié et estime.
Avec un esprit reconnaissant au Seigneur, en ce huitième centenaire de la rencontre entre Saint François d’Assise et le sultan al-Malik al-Kāmil, j’ai accueilli l’opportunité de venir ici comme croyant assoiffé de paix, comme frère qui cherche la paix avec les frères. Vouloir la paix, promouvoir la paix, être instruments de paix: nous sommes ici pour cela.
Le logo de ce voyage représente une colombe avec un rameau d’olivier. C’est une image qui rappelle le récit du déluge primordial, présent en diverses traditions religieuses. Selon le récit biblique, pour préserver l’humanité de la destruction, Dieu demande à Noé d’entrer dans l’arche avec sa famille. Nous aussi aujourd’hui, au nom de Dieu, pour sauvegarder la paix, nous avons besoin d’entrer ensemble, comme une unique famille, dans une arche qui puisse sillonner les mers en tempête du monde: l’arche de la fraternité.
Le point de départ est de reconnaître que Dieu est à l’origine de l’unique famille humaine. Lui, qui est le Créateur de tout et de tous, veut que nous vivions en frères et sœurs, habitant la maison commune de la création qu’il nous a donnée. Se fonde ici, aux racines de notre humanité commune, la fraternité, comme «vocation contenue dans le dessein créateur de Dieu»[1]. Elle nous dit que nous avons tous une égale dignité et que personne ne peut être patron ou esclave des autres.
On ne peut honorer le Créateur sans protéger la sacralité de toute personne humaine et de toute vie humaine: chacun est également précieux aux yeux de Dieu. Parce qu’il ne regarde pas la famille humaine avec un regard de préférence qui exclut mais avec un regard de bienveillance qui inclut. Par conséquent, reconnaître à chaque être humain les mêmes droits c’est glorifier le Nom de Dieu sur la terre. Au nom de Dieu Créateur, donc, est condamnée sans hésitation toute forme de violence, parce que c’est une grave profanation du Nom de Dieu de l’utiliser pour justifier la haine et la violence contre le frère. Il n’existe pas de violence qui puisse être justifiée religieusement.
Un ennemi de la fraternité est l’individualisme, qui se traduit dans la volonté de s’affirmer soi-même et son propre groupe au-dessus des autres. C’est un piège qui menace tous les aspects de la vie, jusqu’à la plus haute et innée prérogative de l’homme, c’est-à-dire l’ouverture au transcendant et la religiosité. La vraie religiosité consiste dans le fait d’aimer Dieu de tout son cœur et le prochain comme soi-même. La conduite religieuse a donc besoin d’être continuellement purifiée de la tentation récurrente de juger les autres ennemis et adversaires. Chaque croyance est appelée à dépasser le clivage entre amis et ennemis, pour assumer la perspective du Ciel, qui embrasse les hommes sans privilèges ni discriminations.
Aussi je désire exprimer mon appréciation pour l’engagement de ce pays pour la tolérance et pour garantir la liberté de culte, en faisant face à l’extrémisme et à la haine. En faisant ainsi, alors qu’on promeut la liberté fondamentale de professer sa propre croyance, exigence intrinsèque à la réalisation même de l’homme, on veille aussi à ce que la religion ne soit pas instrumentalisée et risque, en admettant la violence et le terrorisme, de se nier elle-même.
La fraternité certainement «exprime aussi la multiplicité et la différence qui existent entre les frères, bien que liés par la naissance et ayant la même nature et la même dignité».[2] La pluralité religieuse en est une expression. Dans ce contexte l’attitude juste n’est ni l’uniformité forcée, ni le syncrétisme conciliant: ce que nous sommes appelés à faire, en tant que croyants, c’est nous engager pour l’égale dignité de tous, au nom du Miséricordieux qui nous a créés et au nom duquel doit être cherché le règlement des oppositions et la fraternité dans la diversité. Je voudrais ici réaffirmer la conviction de l’Eglise catholique: «Nous ne pouvons invoquer Dieu, Père de tous les hommes, si nous refusons de nous conduire fraternellement envers certains des hommes créés à l’image de Dieu».[3]
Diverses interrogations, cependant, s’imposent: comment nous garder réciproquement dans l’unique famille humaine? Comment nourrir une amitié non théorique, qui se traduise en authentique fraternité? Comment faire prévaloir l’inclusion de l’autre sur l’exclusion au nom de sa propre appartenance? Comment, enfin, les religions peuvent-elles être des canaux de fraternité plutôt que des barrières de séparation?
La famille humaine et le courage de l’altérité
Si nous croyons en l’existence de la famille humaine, il en découle qu’elle doit être protégée en tant que telle. Comme en toute famille, cela arrive d’abord par un dialogue quotidien et effectif. Il suppose sa propre identité, qu’il ne faut pas abdiquer pour plaire à l’autre. Mais en même temps demande le courage de l’altérité[4], qui comporte la pleine reconnaissance de l’autre et de sa liberté, et l’engagement qui suit à m’employer pour que ses droits fondamentaux soient toujours affirmés, partout et par quiconque. Parce que sans liberté il n’y a plus d’enfants de la famille humaine, mais des esclaves. Parmi les libertés je voudrais souligner la liberté religieuse. Elle ne se limite pas à la seule liberté de culte, mais elle voit dans l’autre vraiment un frère, un fils de ma même humanité que Dieu laisse libre et que par conséquent aucune institution humaine ne peut forcer, pas même en son nom.
Le dialogue et la prière
Le courage de l’altérité est l’âme du dialogue, qui se fonde sur la sincérité des intentions. Le dialogue est en effet compromis par la feinte, qui augmente la distance et le soupçon: on ne peut pas proclamer la fraternité et ensuite agir en sens contraire. Selon un écrivain moderne, «celui qui se ment à lui-même et écoute ses propres mensonges, arrive au point de ne plus pouvoir distinguer la vérité, ni en lui-même, ni autour de lui, et ainsi il commence à ne plus avoir d’estime ni de lui-même, ni des autres»[5].
En tout cela la prière est incontournable: tandis qu’elle incarne le courage de l’altérité par rapport à Dieu, dans la sincérité de l’intention, elle purifie le cœur du repli sur soi. La prière faite avec le cœur fortifie la fraternité. C’est pourquoi, «pour ce qui est de l’avenir du dialogue interreligieux, la première chose que nous devons faire est de prier. Et prier les uns pour les autres: nous sommes frères! Sans le Seigneur, rien n’est possible; avec Lui, tout le devient! Que notre prière – chacun selon sa propre tradition – puisse adhérer pleinement à la volonté de Dieu, qui désire que tous les hommes se reconnaissent frères et vivent ainsi, en formant la grande famille humaine dans l’harmonie des diversités»[6].
Il n’y a pas d’alternative: ou bien nous construirons ensemble l’avenir ou bien il n’y aura pas de futur. Les religions, en particulier, ne peuvent renoncer à la tâche urgente de construire des ponts entre les peuples et les cultures. Le temps est arrivé où les religions doivent se dépenser plus activement, avec courage et audace, sans artifice, pour aider la famille humaine à mûrir la capacité de réconciliation, la vision d’espérance et les itinéraires concrets de paix.
L’éducation et la justice
Nous revenons ainsi à l’image initiale de la colombe de la paix. La paix aussi, pour prendre son envol, a besoin d’ailes qui la soutiennent. Les ailes de l’éducation et de la justice.
L’éducation – en latin indique le fait d’extraire, de tirer au-dehors – c’est porter à la lumière les ressources précieuses de l’esprit. Il est réconfortant de constater comment en ce pays on ne s’investit pas seulement dans l’extraction des ressources de la terre, mais aussi dans celles du cœur, dans l’éducation des jeunes. C’est un engagement et je souhaite qu’il se poursuive et se répande ailleurs. L’éducation arrive aussi dans la relation, dans la réciprocité. A la célèbre maxime ancienne «connais-toi toi-même» nous devons accoler «connais le frère»: son histoire, sa culture et sa foi, parce qu’il n’y a pas de vraie connaissance de soi sans l’autre. En tant qu’hommes, et encore plus en tant que frères, rappelons-nous réciproquement que rien de ce qui est humain ne peut nous demeurer étranger[7]. Il est important pour l’avenir de former des identités ouvertes, capables de vaincre la tentation de se replier sur soi et de se raidir.
Investir dans la culture favorise une diminution de la haine et une croissance de la civilisation et de la prospérité. Education et violence sont inversement proportionnelles. Les instituts catholiques – bien appréciés aussi en ce pays et dans la région – promeuvent cette éducation à la paix et à la connaissance réciproque pour prévenir la violence.
Les jeunes, souvent entourés de messages négatifs et de fake news, ont besoin d’apprendre à ne pas céder aux séductions du matérialisme, de la haine et des préjugés; d’apprendre à réagir à l’injustice et aussi aux douloureuses expériences du passé; d’apprendre à défendre les droits des autres avec la même vigueur avec laquelle ils défendent leurs propres droits. Ce seront eux, un jour, qui nous jugeront: bien, si nous leur avons donné des bases solides pour créer de nouvelles rencontres de civilisation; mal, si nous leur avons laissé seulement des mirages et la perspective désolée de néfastes affrontements de barbarie.
La justice est la seconde aile de la paix, laquelle souvent n’est pas compromise par des épisodes particuliers, mais est lentement dévorée par le cancer de l’injustice.
Donc, on ne peut croire en Dieu et ne pas chercher à vivre la justice avec tous, selon la règle d’or: «Tout ce que vous voudriez que les autres fassent pour vous, faites-le pour eux, vous aussi: voilà ce que disent la Loi et les Prophètes» (Mt 7, 12).
Paix et justice sont inséparables! Le prophète Isaïe dit: «Le fruit de la justice sera la paix» (32, 17). La paix meurt quand elle divorce de la justice, mais la justice se trouve fausse si elle n’est pas universelle. Une justice adressée seulement aux membres de la famille, aux compatriotes, aux croyants de la même foi est une justice boiteuse, c’est une injustice masquée!
Les religions ont aussi la tâche de rappeler que l’avidité du profit rend le cœur inerte et que les lois du marché actuel, exigeant tout et tout de suite, n’aident pas la rencontre, le dialogue, la famille, dimensions essentielles de la vie qui nécessitent du temps et de la patience. Que les religions soient la voix des derniers, qui ne sont pas des statistiques mais des frères, et qu’elles soient du côté des pauvres; qu’elles veillent comme des sentinelles de fraternité dans la nuit des conflits, qu’elles soient des rappels vigilants pour que l’humanité ne ferme pas les yeux face aux injustices et ne se résigne jamais aux trop nombreux drames du monde.
Le désert qui fleurit
Après avoir parlé de la fraternité comme arche de paix, je voudrais maintenant m’inspirer d’une seconde image, celle du désert, qui nous entoure.
Ici, en peu d’années, avec clairvoyance et sagesse, le désert a été transformé en un lieu prospère et hospitalier; le désert est devenu, d’obstacle impraticable et inaccessible, un lieu de rencontre entre les cultures et les religions. Ici le désert est fleuri, non seulement pour quelques jours par an, mais pour de nombreuses années à venir. Ce pays, dans lequel sable et gratte-ciels se rencontrent, continue à être un important carrefour entre Occident et Orient, entre Nord et Sud de la planète, un lieu de développement, où des espaces un temps inhospitaliers, proposent des postes de travail à des personnes de diverses nations.
Le développement aussi, toutefois, a ses adversaires. Et si un ennemi de la fraternité était l’individualisme, je voudrais citer comme obstacle au développement l’indifférence, qui finit par convertir les réalités fleuries en landes désertes. En effet, un développement purement utilitariste ne donne pas de progrès réel et durable. Seul un développement intégral et qui a de la cohésion prépare un avenir digne de l’homme. L’indifférence empêche de voir la communauté humaine au-delà du profit et le frère au-delà du travail qu’il accomplit. L’indifférence, en effet, ne regarde pas vers demain; elle ne fait pas attention à l’avenir de la création, elle n’a pas soin de la dignité de l’étranger et de l’avenir des enfants.
Dans ce contexte je me réjouis que justement ici à Abu Dhabi, en novembre dernier, ait eu lieu le premier Forum de l’Alliance interreligieuse pour des Communautés plus sûres, sur le thème de la dignité de l’enfant à l’ère numérique. Cet événement a recueilli le message lancé, un an auparavant, à Rome au Congrès international sur le même thème, auquel j’avais donné tout mon appui et mon encouragement. Je remercie donc tous les leaders qui s’engagent dans ce domaine et j’assure mon soutien, ma solidarité et ma participation ainsi que ceux de l’Eglise catholique à cette cause très importante de la protection des mineurs en toutes ses expressions.
Ici, dans le désert, s’est ouvert un chemin fécond de développement qui, à partir du travail, offre une espérance à de nombreuses personnes de divers peuples, cultures et croyances. Parmi elles, de nombreux chrétiens aussi, dont la présence dans la région remonte dans les siècles, ont trouvé une opportunité et apporté une contribution significative à la croissance et au bien-être du pays. Au-delà des capacités professionnelles, ils y apportent la qualité de leur foi. Le respect et la tolérance qu’ils rencontrent, de même que les lieux de culte nécessaires où ils prient, leur permettent cette maturation spirituelle qui bénéficie ensuite à la société tout entière. J’encourage à poursuivre sur ce chemin, afin que tous ceux qui vivent ici ou sont de passage conservent non seulement l’image des grandes œuvres élevées dans le désert, mais d’une nation qui inclut et embrasse quiconque.
C’est dans cet esprit que, non seulement ici, mais dans toute la bien-aimée et névralgique région moyen-orientale, je souhaite des opportunités concrètes de rencontre: que des sociétés où des personnes de diverses religions aient le même droit de citoyenneté et où soit enlevé ce droit à la seule violence, sous toutes ses formes.
Une cohabitation fraternelle, fondée sur l’éducation et sur la justice; un développement humain, édifié sur l’inclusion accueillante et sur les droits de tous: ce sont là des semences de paix, que les religions sont appelées à faire germer. A elles, peut-être comme jamais dans le passé, incombe, dans cette situation historique délicate, une tâche qu’on ne peut renvoyer: contribuer activement à démilitariser le cœur de l’homme. La course aux armements, l’extension des propres zones d’influence, les politiques agressives au détriment des autres n’apporteront jamais la stabilité. La guerre ne sait pas créer autre chose que la misère, les armes rien d’autre que la mort!
La fraternité humaine exige de nous, représentants des religions, le devoir de bannir toute nuance d’approbation du mot guerre. Rendons-le à sa misérable cruauté. Ses néfastes conséquences sont sous nos yeux. Je pense en particulier au Yémen, à la Syrie, à l’Irak et à la Libye. Ensemble, frères dans l’unique famille humaine voulue par Dieu, engageons-nous contre la logique de la puissance armée, contre la monétisation des relations, l’armement des frontières, l’édification de murs, le bâillonnement des pauvres; à tout cela opposons la douce force de la prière et l’engagement quotidien dans le dialogue. Que le fait que nous soyons ensemble aujourd’hui soit un message de confiance, un encouragement à tous les hommes de bonne volonté, pour qu’ils ne se rendent pas aux déluges de la violence et à la désertification de l’altruisme. Dieu est avec l’homme qui cherche la paix. Et du ciel il bénit tout pas qui, sur ce chemin, s’accomplit sur la terre.
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[1] Benoît XVI, Discours aux nouveaux Ambassadeurs près le Saint-Siège, 16 décembre 2010.
[2] Message pour la célébration de la Journée mondiale de la paix, 1er janvier 2015, n. 2.
[3] Déclaration sur les relations de l’Eglise avec les religions non-chrétiennes, Nostra aetate, n.5.
[4] Cf. Discours aux participants à la Conférence internationale pour la paix, Al-Azhar Conference center, Le Caire, 28 avril 2017.
[5] F.M. Dostoievski, Les Frères Karamazov, II, 2.
[6] Audience générale interreligieuse, 28 octobre 2015.
[7] Cf. Terence, Heautontimorumenos, I, 1, 25.
[00174-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
As-salāmu alaykum! Peace be with you!
I give heartfelt thanks to His Highness Sheikh Mohammed bin Rashid Al Maktoum and Doctor Ahmad Al-Tayyib, Grand Imam of Al-Azhar, for their words. I am grateful to the Council of Elders for the meeting that we have just had at the Grand Mosque of Sheikh Zayed.
I also ordially greet Mr. Abd Al-Fattah Al-Sisi, President of the Arab Republic of Egypt, land of Al-Azhar. I cordially greet the civil and religious authorities and the Diplomatic Corps. Allow me also to thank you sincerely for the warm welcome that you all have given to me and our delegation.
I also thank all those who have contributed to making this journey possible and who have worked with dedication, enthusiasm and professionalism towards this event: the organizers, those in the Protocol Office, the security personnel, and all who have made their contribution in various ways “behind the scenes”. A special word of thanks also to Mr Mohamed Abdel Salam, former Adviser to the Grand Imam.
From your country, my thoughts turn to all the countries of this peninsula. To them I address my most cordial greetings, with friendship and esteem.
With a heart grateful to the Lord, in this eighth centenary of the meeting between Saint Francis of Assisi and Sultan al-Malik al Kāmil, I have welcomed the opportunity to come here as a believer thirsting for peace, as a brother seeking peace with the brethren. We are here to desire peace, to promote peace, to be instruments of peace.
The logo of this journey depicts a dove with an olive branch. It is an image that recalls the story – present in different religious traditions – of the primordial flood. According to the biblical account, in order to preserve humanity from destruction, God asked Noah to enter the ark along with his family. Today, we too in the name of God, in order to safeguard peace, need to enter together as one family into an ark which can sail the stormy seas of the world: the ark of fraternity.
The point of departure is the recognition that God is at the origin of the one human family. He who is the Creator of all things and of all persons wants us to live as brothers and sisters, dwelling in the common home of creation which he has given us. Fraternity is established here at the roots of our common humanity, as “a vocation contained in God’s plan of creation”.[1] This tells us that all persons have equal dignity and that no one can be a master or slave of others.
We cannot honour the Creator without cherishing the sacredness of every person and of every human life: each person is equally precious in the eyes of God, who does not look upon the human family with a preferential gaze that excludes, but with a benevolent gaze that includes. Thus, to recognize the same rights for every human being is to glorify the name of God on earth. In the name of God the Creator, therefore, every form of violence must be condemned without hesitation, because we gravely profane God’s name when we use it to justify hatred and violence against a brother or sister. No violence can be justified in the name of religion.
The enemy of fraternity is an individualism which translates into the desire to affirm oneself and one’s own group above others. This danger threatens all aspects of life, even the highest innate prerogative of man, that is, the openness to the transcendent and to religious piety. True religious piety consists in loving God with all one’s heart and one’s neighbour as oneself. Religious behaviour, therefore, needs continually to be purified from the recurrent temptation to judge others as enemies and adversaries. Each belief system is called to overcome the divide between friends and enemies, in order to take up the perspective of heaven, which embraces persons without privilege or discrimination.
I wish to express appreciation for the commitment of this nation to tolerating and guaranteeing freedom of worship, to confronting extremism and hatred. Even as the fundamental freedom to profess one’s own beliefs is promoted – this freedom being an intrinsic requirement for a human being’s self-realization – we need to be vigilant lest religion be instrumentalized and deny itself by allowing violence and terrorism.
Fraternity certainly “also embraces variety and differences between brothers and sisters, even though they are linked by birth and are of the same nature and dignity”.[2] Religious plurality is an expression of this; in such a context the right attitude is neither a forced uniformity nor a conciliatory syncretism. What we are called to do as believers is to commit ourselves to the equal dignity of all, in the name of the Merciful One who created us and in whose name the reconciliation of conflicts and fraternity in diversity must be sought. Here I want to reaffirm the conviction of the Catholic Church: “We cannot truly call on God, the Father of all, if we refuse to treat in a brotherly way any man, created as he is in the image of God”.[3]
Various questions, however, confront us: how do we look after each other in the one human family? How do we nourish a fraternity which is not theoretical but translates into authentic fraternity? How can the inclusion of the other prevail over exclusion in the name of belonging to one’s own group? How, in short, can religions be channels of fraternity rather than barriers of separation?
The human family and the courage of otherness
If we believe in the existence of the human family, it follows that it must, as such, be looked after. As in every family, this happens above all through a daily and effective dialogue. This presupposes having one’s own identity, not to be foregone to please the other person. But at the same time it demands the courage of otherness,[4] which involves the full recognition of the other and his or her freedom, and the consequent commitment to exert myself so that the other person’s fundamental rights are always affirmed, everywhere and by everyone. Without freedom we are no longer children of the human family, but slaves. As part of such freedom, I would like to emphasize religious freedom. It is not limited only to freedom of worship but sees in the other truly a brother or sister, a child of my own humanity whom God leaves free and whom, therefore, no human institution can coerce, not even in God’s name.
Dialogue and Prayer
The courage of otherness is the heart of dialogue, which is based on sincerity of intentions. Dialogue is indeed compromised by pretence, which increases distance and suspicion: we cannot proclaim fraternity and then act in the opposite way. According to a modern author, “The man who lies to himself and listens to his own lie comes to such a pass that he cannot distinguish the truth within him, or around him, and so loses all respect for himself and for others”.[5]
In all this, prayer is essential: while sincerely intended prayer incarnates the courage of otherness in regard to God, it also purifies the heart from turning in on itself. Prayer of the heart restores fraternity. Consequently, “as for the future of interreligious dialogue, the first thing we have to do is pray, and pray for one another: we are brothers and sisters! Without the Lord, nothing is possible; with him, everything becomes so! May our prayer – each one according to his or her own tradition – adhere fully to the will of God, who wants all men and women to recognize they are brothers and sisters and live as such, forming the great human family in the harmony of diversity”.[6]
There is no alternative: we will either build the future together or there will not be a future. Religions, in particular, cannot renounce the urgent task of building bridges between peoples and cultures. The time has come when religions should more actively exert themselves, with courage and audacity, and without pretence, to help the human family deepen the capacity for reconciliation, the vision of hope and the concrete paths of peace.
Education and Justice
Let us return, then, to the initial image of the dove of peace. Peace, in order to fly, needs wings that uphold it: the wings of education and justice.
Education – in Latin it means “extracting, drawing out” – is to bring to light the precious resources of the soul. It is comforting to note how in this country investments are being made not only in the extraction of the earth’s resources, but also in those of the heart, in the education of young people. It is a commitment that I hope will continue and spread elsewhere. Education also happens in a relationship, in reciprocity. Alongside the famous ancient maxim “know yourself”, we must uphold “know your brother or sister”: their history, their culture and their faith, because there is no genuine self-knowledge without the other. As human beings, and even more so as brothers and sisters, let us remind each other that nothing of what is human can remain foreign to us.[7] It is important for the future to form open identities capable of overcoming the temptation to turn in on oneself and become rigid.
Investing in culture encourages a decrease of hatred and a growth of civility and prosperity. Education and violence are inversely proportional. Catholic schools – well appreciated in this country and in the region – promote such education on behalf of peace and reciprocal knowledge in order to prevent violence.
Young people, who are often surrounded by negative messages and fake news, need to learn not to surrender to the seductions of materialism, hatred and prejudice. They need to learn to object to injustice and also to the painful experiences of the past. They need to learn to defend the rights of others with the same energy with which they defend their own rights. One day, they will be the ones to judge us. They will judge us well, if we have given them a solid foundation for creating new encounters of civility. They will judge us poorly, if we have left them only mirages and the empty prospect of harmful conflicts of incivility.
Justice is the second wing of peace, which often is not compromised by single episodes, but is slowly eaten away by the cancer of injustice.
No one, therefore, can believe in God and not seek to live in justice with everyone, according to the Golden Rule: “So whatever you wish that men would do to you, do so to them; for this is the law and the prophets” (Mt 7:12).
Peace and justice are inseparable! The prophet Isaiah says: “And the effect of righteousness will be peace” (32:17). Peace dies when it is divorced from justice, but justice is false if it is not universal. A justice addressed only to family members, compatriots, believers of the same faith is a limping justice; it is a disguised injustice!
The world’s religions also have the task of reminding us that greed for profit renders the heart lifeless and that the laws of the current market, demanding everything immediately, do not benefit encounter, dialogue, family – essential dimensions of life that need time and patience. Religions should be the voice of the least, who are not statistics but brothers and sisters, and should stand on the side of the poor. They should keep watch as sentinels of fraternity in the night of conflict. They should be vigilant warnings to humanity not to close our eyes in the face of injustice and never to resign ourselves to the many tragedies in the world.
The desert that flourishes
Having spoken of fraternity as an ark of peace, I now want to take inspiration from a second image, that of the desert which surrounds us.
Here, in just a few years, with farsightedness and wisdom, the desert has been transformed into a prosperous and hospitable place. From being an unapproachable and inaccessible obstacle, the desert has become a meeting place between cultures and religions. Here the desert has flourished, not just for a few days in the year, but for many years to come. This country, in which sand and skyscrapers meet, continues to be an important crossroads between the West and East, between the North and South of the planet: a place of development, where once inhospitable spaces supply jobs for people of various nations.
Nonetheless, development, too, has its adversaries. If the enemy of fraternity is the individualism referred to above, I want to point to indifference as an obstacle to development, an indifference which ends up converting flourishing realities into desert lands. In fact, a purely utilitarian development cannot provide real and lasting progress. Only an integral and cohesive development provides a future worthy of the human person. Indifference prevents us from seeing the human community beyond its earnings and our brothers and sisters beyond the work they do. Indifference, in fact, does not look to the future; it does not care about the future of creation, it does not care about the dignity of the stranger and the future of children.
In this context I am delighted that here in Abu Dhabi last November the first Forum of the Interreligious Alliance for Safer Communities took place, whose theme was child dignity in the digital world. This event recalled a message issued a year before in Rome during an international congress on the same theme, a congress to which I had given my complete support and encouragement. I thank, therefore, all the leaders who are engaged in this field, and I assure them of my support, solidarity and participation and that of the Catholic Church, in this very important cause of the protection of minors in all its forms.
Here, in the desert, a way of fruitful development has been opened which, beginning from the creation of jobs, offers hope to many persons from a variety of nations, cultures and beliefs. Among them, many Christians too, whose presence in the region dates back centuries, have found opportunities and made a significant contribution to the growth and well-being of the country. In addition to professional skills, they bring you the genuineness of their faith. The respect and tolerance they encounter, as well as the necessary places of worship where they pray, allow them a spiritual maturity which then benefits society as a whole. I encourage you to continue on this path, so that those who either live here or are passing through may preserve not only the image of the great works erected in the desert, but also the image of a nation that includes and embraces all.
It is with this spirit that I look forward to concrete opportunities for meeting, not only here but in the entire beloved region, a focal point of the Middle East. I look forward to societies where people of different beliefs have the same right of citizenship and where only in the case of violence in any of its forms is that right removed.
A fraternal living together, founded on education and justice; a human development built upon a welcoming inclusion and on the rights of all: these are the seeds of peace which the world’s religions are called to help flourish. For them, perhaps as never before, in this delicate historical situation, it is a task that can no longer be postponed: to contribute actively to demilitarizing the human heart. The arms race, the extension of its zones of influence, the aggressive policies to the detriment of others will never bring stability. War cannot create anything but misery, weapons bring nothing but death!
Human fraternity requires of us, as representatives of the world’s religions, the duty to reject every nuance of approval from the word “war”. Let us return it to its miserable crudeness. Its fateful consequences are before our eyes. I am thinking in particular of Yemen, Syria, Iraq and Libya. Together, as brothers and sisters in the one human family willed by God, let us commit ourselves against the logic of armed power, against the monetization of relations, the arming of borders, the raising of walls, the gagging of the poor; let us oppose all this with the sweet power of prayer and daily commitment to dialogue. Our being together today is a message of trust, an encouragement to all people of good will, so that they may not surrender to the floods of violence and the desertification of altruism. God is with those who seek peace. From heaven he blesses every step which, on this path, is accomplished on earth.
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[1] Benedict XVI, Address to the New Ambassadors to the Holy See, 16 December 2010.
[2] Message for the Celebration of the World Day of Peace, 1 January 2015, 2.
[3] Second Vatican Ecumenical Council, Declaration on the Relation of the Church to Non-Christian Religions Nostra Aetate, 5.
[4] Cf. Address to Participants at the International Conference for Peace, Al-Azhar Conference Centre, Cairo, 28 April 2017.
[5] F. M. Dostoyevsky, The Brothers Karamazov, II, 2.
[6] Interreligious General Audience, 28 October 2015.
[7] Cf. Terence, Heautontimorumenos (The Self-Tormentor) I, 1, 25.
[00174-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Al Salamò Alaikum! Der Friede sei mit euch!
Ich danke Seiner Hoheit Scheich Mohammed bin Rashid Al Maktoum und dem Großimam von Al-Azhar Dr. Ahmad Al-Tayyib von Herzen für ihre Worte. Ich bin dem Ältestenrat dankbar für das Treffen, das wir gerade in der Scheich-Zayid-Moschee hatten.
Herzlich begrüße Ich auch den Herrn Abd Al-Fattah Al-Sisi, Präsident der Arabischen Republik Ägypten, Land von Al-Azhar Herzlich begrüße ich die Vertreter des zivilen und religiösen Lebens und das Diplomatische Korps. Gestatten Sie mir auch einen aufrichtigen Dank für den freundlichen Empfang, der mir und unserer Delegation allenthalben zuteilwurde.
Ich möchte auch allen danken, die zur Ermöglichung dieser Reise beigetragen haben und die mit Engagement, Enthusiasmus und Professionalität für dieses Ereignis gearbeitet haben: den Organisatoren, den Mitgliedern des Protokolls, den Sicherheitsleuten und all denen, die auf verschiedene Weise „hinter den Kulissen“ ihren Beitrag geleistet haben. Ein besonderer Dank gilt dem ehemaligen Berater des Großimams Herrn Mohamed Abdel Salam.
Von Ihrem Heimatland aus wende ich mich an alle Länder dieser Halbinsel, an die ich in Freundschaft und Wertschätzung meinen herzlichsten Gruß richten möchte.
Mit dankbarem Herzen gegenüber dem Herrn habe ich die Gelegenheit genutzt, zum achthundertsten Jahrestag des Treffens zwischen dem heiligen Franz von Assisi und Sultan al-Malik al-Kāmil als nach Frieden dürstender Glaubender hierher zu kommen, als Bruder, der zusammen mit seinen Brüdern den Frieden sucht. Den Frieden wollen, den Frieden fördern, Werkzeuge des Friedens sein: dafür sind wir hier.
Das Logo dieser Reise zeigt eine Taube mit einem Olivenzweig. Es ist ein Bild, das an die Geschichte der Sintflut erinnert, die in verschiedenen religiösen Traditionen vorkommt. Nach dem biblischen Bericht bittet Gott Noah, mit seiner Familie in die Arche zu gehen, um die Menschheit vor der Zerstörung zu bewahren. Auch heute müssen wir im Namen Gottes, um den Frieden zu sichern, gemeinsam als eine einzige Familie in eine Arche eintreten, die die stürmischen Meere der Welt befahren kann: die Arche der Brüderlichkeit.
Ausgangspunkt ist dabei die Erkenntnis, dass Gott der Ursprung der einen Menschheitsfamilie ist. Er, der Schöpfer von allem und allen, will, dass wir als Brüder und Schwestern leben und das gemeinsame Haus der Schöpfung bewohnen, das er uns geschenkt hat. Hier, an den Wurzeln des uns gemeinsamen Menschseins, liegt die Brüderlichkeit begründet als Berufung, »die in dem Schöpfungsplan Gottes enthalten ist«[1]. Sie sagt uns, dass wir alle die gleiche Würde haben und dass niemand der Herr oder Sklave anderer sein kann.
Man kann den Schöpfer nicht ehren, ohne die Heiligkeit jedes Menschen und jedes menschlichen Lebens zu bewahren: Jeder Einzelne ist in den Augen Gottes gleichermaßen kostbar. Denn er blickt auf die Menschheitsfamilie ohne jemanden zu bevorzugen oder auszuschließen, sein gütiger Blick schließt alle ein. Deshalb bedeutet die Anerkennung der gleichen Rechte für alle Menschen, den Namen Gottes auf Erden zu verherrlichen. Im Namen Gottes des Schöpfers sind daher alle Formen der Gewalt unweigerlich zu verurteilen, denn es ist eine schwere Entweihung des Namens Gottes, ihn zur Rechtfertigung von Hass und Gewalt gegen den Bruder zu missbrauchen. Es gibt keine Gewalt, die religiös gerechtfertigt werden kann.
Ein Feind der Brüderlichkeit ist der Individualismus, der sich in dem Wunsch ausdrückt, sich selbst und die eigenen Leute über andere zu stellen. Dies ist eine Gefahr, die alle Aspekte des Lebens bedroht, auch den höchsten, dem Menschen angeborenen Vorzug, nämlich seine Offenheit auf das Transzendente hin und die Religiosität. Wahre Religiosität besteht darin, Gott von ganzem Herzen zu lieben und den Nächsten wie sich selbst. Religiöses Verhalten muss daher ständig von der immer wiederkehrenden Versuchung gereinigt werden, andere für Feinde und Gegner zu halten. Jedes Glaubensbekenntnis ist aufgerufen, die Kluft zwischen Freund und Feind zu überwinden, um die Perspektive des Himmels einzunehmen, welche alle Menschen ohne Bevorzugung und Diskriminierung umfasst.
Deshalb möchte ich meine Anerkennung für das Engagement dieses Landes zum Ausdruck bringen, die freie Ausübung der Religion zu tolerieren und zu garantieren sowie Extremismus und Hass zu bekämpfen. Auf diese Weise fördert man die grundlegende Freiheit, den eigenen Glauben zu bekennen, die eine unerlässliche Voraussetzung für die Verwirklichung des Menschen darstellt, man stellt damit aber zugleich sicher, dass die Religion nicht missbraucht wird und in Gefahr steht, Gewalt und Terrorismus zuzulassen und damit sich selbst zu verleugnen.
Die Brüderlichkeit drückt sicherlich »auch die Vielfalt und den Unterschied aus, der unter den Geschwistern besteht, obwohl sie durch die Geburt verbunden sind und die gleiche Natur und die gleiche Würde besitzen«[2] Religiöse Pluralität ist ein Ausdruck davon. In diesem Zusammenhang ist die richtige Haltung weder erzwungene Einheitlichkeit noch konzilianter Synkretismus: Als Gläubige sollen wir uns für die gleiche Würde aller engagieren, im Namen des Barmherzigen, der uns geschaffen hat und in dessen Namen ein Miteinander von Gegensätzen und eine Brüderlichkeit bei aller Verschiedenheit gesucht werden muss. Ich möchte hier die Überzeugung der katholischen Kirche bekräftigen: »Wir können aber Gott, den Vater aller, nicht anrufen, wenn wir irgendwelchen Menschen, die ja nach dem Ebenbild Gottes geschaffen sind, die brüderliche Haltung verweigern.«[3]
Allerdings stellen sich verschiedene Fragen: Wie können wir uns gegenseitig in der einen Menschheitsfamilie beschützen? Wie können wir eine nicht-theoretische Brüderlichkeit fördern, damit sie zu echter brüderlicher Zuneigung wird? Wie kann man erreichen, dass die Einbeziehung des anderen Vorrang vor einer Ausgrenzung im Namen der eigenen Zugehörigkeit hat? Wie also können die Religionen Kanäle der Brüderlichkeit sein statt Barrieren der Trennung?
Die Menschheitsfamilie und der Mut zur Andersheit
Wenn wir an die Existenz der Menschheitsfamilie glauben, folgt daraus, dass sie als solche bewahrt werden muss. Wie in jeder Familie geschieht dies vor allem durch einen täglichen und wirklichen Dialog. Dies setzt die eigene Identität voraus, die man nicht aufgegeben muss, um dem anderen zu gefallen. Aber gleichzeitig erfordert es den Mut zur Andersheit[4], was die volle Anerkennung des anderen und seiner Freiheit miteinschließt, und das daraus folgende Bemühen, mich so einzusetzen, dass seine Grundrechte immer und überall und von allen anerkannt werden. Denn ohne Freiheit ist man nicht mehr Kind der Menschheitsfamilie, sondern Sklave. Unter den Freiheiten möchte ich die Religionsfreiheit hervorheben. Sie beschränkt sich nicht nur auf die freie Ausübung der Religion, sondern sieht im anderen wirklich einen Bruder und eine Schwester, einen Sohn und eine Tochter derselben Menschheit, denen Gott Freiheit gewährt und die daher keine menschliche Institution zwingen kann, auch nicht in seinem Namen.
Der Dialog und das Gebet
Der Mut zur Andersheit ist die Seele des Dialogs, der auf der Lauterkeit der Absichten beruht. In der Tat wird Dialog durch die Verstellung beeinträchtigt, die Distanz und Misstrauen wachsen lässt: Man kann nicht Brüderlichkeit verkünden und dann entgegengesetzt handeln. Ein moderner Schriftsteller schrieb: »Wer sich selbst belügt und der eigenen Lüge traut, kommt soweit, dass er gar keine Wahrheit mehr, weder in sich selbst noch in seiner Umgebung, erkennt, und er gelangt schließlich dazu, weder sich selbst noch andere mehr zu achten«[5].
Bei alledem ist das Gebet unerlässlich: Während es den Mut der Andersheit gegenüber Gott verkörpert, reinigt es bei aufrichtiger Absicht das Herz von seiner Selbstbezogenheit. Das Gebet, das mit dem Herzen verrichtet wird, begründet die Brüderlichkeit immer wieder von neuem. Man kann also sagen, »was die Zukunft des interreligiösen Dialogs betrifft, so ist das Erste, was wir tun müssen: beten. Und füreinander beten: Wir sind Brüder! Ohne den Herrn ist nichts möglich; mit ihm wird alles möglich! Möge unser Gebet – jeder seiner eigenen Tradition gemäß –, möge es dem Willen Gottes vollkommen treu sein, der wünscht, dass alle Menschen einander als Brüder erkennen und als solche leben und in der Eintracht der Vielfalt die große Menschheitsfamilie bilden«[6].
Es gibt keine Alternative: Entweder wir bauen die Zukunft gemeinsam oder es gibt keine Zukunft. Vor allem die Religionen können nicht auf die dringende Aufgabe verzichten, Brücken zwischen Völkern und Kulturen zu bauen. Die Zeit ist gekommen, dass die Religionen sich aktiver, mutig, kühn und aufrichtig, dafür einsetzen, der Menschheitsfamilie zu helfen, ihre Fähigkeit zur Versöhnung, ihre Vision der Hoffnung und konkrete Wege zum Frieden weiterzuentwickeln.
Bildung und Gerechtigkeit
So kommen wir wieder auf das Bild der Friedenstaube zurück. Auch der Frieden braucht für seinen Aufstieg Flügel, die ihn tragen. Die Flügel der Bildung und der Gerechtigkeit.
Das lateinische Wort für Bildung „educatio“ bedeutet so viel wie „herausziehen“, „extrahieren“ – das heißt, die wertvollen Ressourcen der Seele ans Licht zu bringen. Es ist erfreulich zu sehen, dass in diesem Land nicht nur in die Gewinnung von Erdressourcen investiert wird, sondern auch in die Ressourcen des Herzens, in die Bildung junger Menschen. Es ist ein Engagement, das, wie ich hoffe, fortgesetzt wird und auch anderswo Verbreitung findet. Auch Bildung geschieht in Beziehungen, in Gegenseitigkeit. Zu der berühmten alten Maxime „Erkenne dich selbst“ müssen wir noch hinzufügen „Erkenne deinen Bruder“: seine Geschichte, seine Kultur und seinen Glauben, denn es gibt keine wahre Selbsterkenntnis ohne den anderen. Als Menschen, und noch mehr als Brüder und Schwestern, wollen wir uns gegenseitig daran erinnern, dass nichts, was menschlich ist, uns fremd bleiben kann[7]. Für die Zukunft ist es wichtig, offene Identitäten zu bilden, die in der Lage sind, die Versuchung zu überwinden, sich auf sich selbst zurückzuziehen und zu erstarren.
In die Kultur zu investieren fördert einen Rückgang des Hasses und ein Wachstum der Zivilisation und des Wohlstands. Bildung und Gewalt verhalten sich umgekehrt proportional. Katholische Einrichtungen – die auch in diesem Land und in der Region sehr geschätzt werden – fördern eine solche Erziehung zum Frieden und zum gegenseitiges Kennenlernen, um Gewalt zu verhindern.
Junge Menschen, die oft von negativen Botschaften und Fake News umgeben sind, müssen lernen, den Verführungen von Materialismus, Hass und Vorurteilen nicht nachzugeben; sie müssen lernen, auf Ungerechtigkeit und auch auf die schmerzhaften Erfahrungen der Vergangenheit zu reagieren sowie die Rechte anderer mit der gleichen Kraft zu verteidigen wie ihre eigenen. Sie werden uns eines Tages beurteilen: gut, wenn wir ihnen solide Grundlagen gegeben haben, um neuen kulturellen Austausch zu schaffen; schlecht, wenn wir ihnen nur Trugbilder und die desolate Aussicht auf unheilvolle Auseinandersetzungen einer Unkultur hinterlassen haben.
Gerechtigkeit ist der zweite Flügel des Friedens, der oft nicht durch einzelne Ereignisse beeinträchtigt wird, sondern langsam vom Krebs der Ungerechtigkeit zerfressen wird. Man kann daher nicht an Gott glauben ohne zu versuchen, gerecht mit allen nach der goldenen Regel zusammenzuleben: »Alles, was ihr wollt, dass euch die Menschen tun, das tut auch ihnen! Darin besteht das Gesetz und die Propheten« (Mt 7,12).
Frieden und Gerechtigkeit sind nicht voneinander zu trennen! Der Prophet Jesaja sagt: »Das Werk der Gerechtigkeit wird Friede sein« (32,17). Der Frieden stirbt, wenn er sich von der Gerechtigkeit löst, aber die Gerechtigkeit erweist sich als falsch, wenn sie nicht universell ist. Eine Gerechtigkeit, die nur für Familienmitglieder, Landsleute und Gläubige desselben Glaubens gilt, ist eine hinkende Gerechtigkeit, sie ist verschleierte Ungerechtigkeit!
Die Religionen haben auch die Aufgabe, daran zu erinnern, dass die Profitgier das Herz träge macht und dass die Gesetze des gegenwärtigen Marktes, die alles und zwar sofort fordern, nicht förderlich sind für die Begegnung, den Dialog, die Familie – wesentliche Dimensionen des Lebens, die Zeit und Geduld brauchen. Mögen die Religionen den Geringsten eine Stimme verleihen – denn sie sind keine Statistik, sondern Brüder und Schwestern – und mögen sie an der Seite der Armen stehen; sie seien Wächter der Brüderlichkeit in der Nacht des Konflikts, sie seien wachsame Mahner, damit die Menschheit ihre Augen nicht vor den Ungerechtigkeiten verschließt und sich nie mit den allzu vielen Dramen der Welt abfindet.
Die Wüste, die blüht
Nachdem ich von der Brüderlichkeit als einer Arche des Friedens gesprochen habe, möchte ich mich nun von einem zweiten Bild inspirieren lassen, dem der Wüste, die uns umgibt.
Wo wir uns hier befinden, hat man die Wüste innerhalb weniger Jahre mit Weitsicht und Weisheit in einen blühenden und gastfreundlichen Ort verwandelt; die Wüste ist von einem undurchdringlichen und unzugänglichen Hindernis zu einem Ort der Begegnung zwischen Kulturen und Religionen geworden. Hier ist die Wüste aufgeblüht, nicht nur für ein paar Tage im Jahr, sondern auf viele Jahre hin. Dieses Land, wo Sand und Wolkenkratzer aufeinander treffen, ist weiterhin ein wichtiger Knotenpunkt zwischen West und Ost, Nord und Süd des Planeten, ein Ort der Entwicklung, wo einst unwirtliche Lebensräume nun den Menschen ganz unterschiedlicher Nationen Arbeitsplätze bescheren.
Doch auch die Entwicklung hat ihre Gegner. Und wie der Individualismus der Feind der Brüderlichkeit war, möchte ich die Gleichgültigkeit als Hindernis für die Entwicklung hervorheben, die blühende Landschaften letztlich in Wüsten verwandelt. Tatsächlich bringt eine rein utilitaristische Entwicklung keinen echten und dauerhaften Fortschritt. Nur eine ganzheitliche und kohärente Entwicklung kann eine menschenwürdige Zukunft ermöglichen. Die Gleichgültigkeit hindert uns daran, die menschliche Gemeinschaft über ihr Gewinnpotential und den Bruder über seine geleistete Arbeit hinaus zu sehen. In der Tat blickt Gleichgültigkeit nicht in die Zukunft; sie achtet nicht auf die Zukunft der Schöpfung, sie kümmert sich nicht um die Würde des Fremden und die Zukunft der Kinder.
In diesem Zusammenhang freue ich mich, dass im vergangenen November hier in Abu Dhabi das erste Forum der Interreligiösen Allianz für sicherere Gemeinschaften über die Würde der Kinder im digitalen Zeitalter stattgefunden hat. Bei dieser Veranstaltung wurde die Botschaft eines Internationalen Kongresses zu dem gleichen Thema wiederaufgenommen, der ein Jahr zuvor in Rom stattgefunden hatte und zu dem ich all meine Unterstützung und Ermutigung gegeben hatte. Deshalb danke ich allen maßgeblichen Verantwortlichen, die sich in diesem Bereich engagieren, und ich verspreche die Unterstützung, die Solidarität und Teilnahme meinerseits sowie der katholischen Kirche in dieser sehr wichtigen Sache des Jugendschutzes in all seinen Formen.
Hier in der Wüste hat sich ein fruchtbarer Weg der Entwicklung aufgetan, der ausgehend von den hier entstandenen Arbeitsplätzen, vielen Menschen verschiedener Völker, Kulturen und Glaubensüberzeugungen Hoffnung gibt. Unter ihnen haben auch viele Christen, die seit Jahrhunderten in der Region präsent sind, hier gute Möglichkeiten gesehen und einen wesentlichen Beitrag zum Wachstum und Wohlstand des Landes geleistet. Über ihre beruflichen Fähigkeiten hinaus bringen sie ihren aufrichtigen Glauben mit ein. Der Respekt und die Toleranz, der sie begegnen, sowie die notwendigen Gottesdienstorte, an denen sie beten, erlauben ihnen jene geistliche Reife, die dann der gesamten Gesellschaft zugutekommt. Ich ermutige dazu, diesen Weg fortzusetzen, damit diejenigen, die hier leben oder auch nur für kurze Zeit hier sind, nicht nur das Bild der großen, in der Wüste errichteten Bauwerke bewahren können, sondern auch das Bild einer Nation, die alle einbezieht und annimmt.
Mit diesem Geist hoffe ich nicht nur hier, sondern in der ganzen geliebten und sensiblen Region des Nahen Ostens auf konkrete Begegnungsmöglichkeiten: Gesellschaften, in denen Menschen unterschiedlicher Religionen das gleiche Heimatrecht genießen und in denen nur der Gewalt in all ihren Formen dieses Recht abgesprochen wird.
Ein brüderliches Zusammenleben, das auf Bildung und Gerechtigkeit beruht; eine menschliche Entwicklung, die auf einer bereitwilligen Inklusion und auf gleichen Rechten aller beruht: Das sind Samen des Friedens, die aufkeimen zu lassen, die Religionen aufgerufen sind. Wie vielleicht nie zuvor haben sie in dieser heiklen geschichtlichen Situation eine Aufgabe, die nicht mehr aufgeschoben werden kann: einen aktiven Beitrag zur Entmilitarisierung des menschlichen Herzens zu leisten. Das Wettrüsten, die Ausweitung der eigenen Einflussbereiche und eine aggressive Politik zum Nachteil anderer werden nie Stabilität bringen. Krieg schafft nichts als Elend, Waffen nichts als Tod!
Die Brüderlichkeit aller Menschen verlangt von uns als Vertreter der Religionen die Verpflichtung, jegliche Form der Billigung des Wortes Krieg zurückzuweisen. Überlassen wir es seiner erbärmlichen Grobheit. Wir haben seine katastrophalen Folgen vor unseren Augen. Ich denke dabei insbesondere an Jemen, Syrien, Irak und Libyen. Lasst uns gemeinsam, liebe Brüder und Schwestern in der einen von Gott gewollten Menschheitsfamilie, gegen die Logik bewaffneter Macht eintreten, gegen die Monetarisierung von Beziehungen, die Aufrüstung der Grenzen, die Errichtung von Mauern, die Knebelung der Armen; all dem setzen wir die sanfte Kraft des Gebets und ein tägliches Bemühen im Dialog entgegen. Unser heutiges Zusammensein sei eine Botschaft des Vertrauens, eine Ermutigung für alle Menschen guten Willens, damit sie sich nicht mit der Flut an Gewalt und der Austrocknung des Altruismus abfinden. Gott ist bei jedem Menschen, der den Frieden sucht. Und vom Himmel aus segnet er jeden Schritt, der hier auf Erden auf diesem Weg gegangen wird.
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[1] Benedikt XVI., Ansprache an die neuen Botschafter beim Heiligen Stuhl, 16. Dezember 2010.
[2] Botschaft zur Feier des Weltfriedenstages, 1. Januar 2015, 2.
[3] Erklärung Nostra aetate über das Verhältnis der Kirche zu den nichtchristlichen Religionen, 5.
[4] Vgl.: Ansprache an die Teilnehmer an der Internationalen Friedenskonferenz, Al-Azhar Conference Centre, Kairo, 28. April 2017.
[5] F.M. Dostojewski, Die Brüder Karamasov, II, 2.
[6] Interreligiöse Generalaudienz, 28. Oktober 2015.
[7] Vgl. Terenz, Heautontimorumenos I, 1, 25.
[00174-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Al Salamò Alaikum! La paz esté con vosotros.
Agradezco sinceramente a Su Alteza el Jeque Mohammed bin Rashid Al Maktoum y al Dr. Ahmad Al-Tayyib, Gran Imán de Al-Azhar, por sus palabras. Doy las gracias al Consejo de los Ancianos por el encuentro que acabamos de tener en la Mezquita Sheikh Zayed.
También saludo cordialmente al Sr. Abd Al-Fattah Al-Sisi, Presidente de la República Árabe de Egipto, tierra de Al-Azhar.
Saludo cordialmente a las autoridades civiles y religiosas y al cuerpo diplomático. Permítanme además un sincero agradecimiento por la cálida bienvenida que nos han dispensado a mí y a mi delegación.
También doy las gracias a todas las personas que contribuyeron a hacer posible este viaje y que han trabajado en este evento con dedicación, entusiasmo y profesionalismo: a los organizadores, al personal de Protocolo, al de Seguridad y a todos aquellos que “entre bambalinas” han colaborado de diversas maneras. Agradezco de forma especial al señor Mohamed Abdel Salam, exconsejero del Gran Imán.
Desde vuestra patria me dirijo a todos los países de la Península, a quienes deseo enviarles mi más cordial saludo, con amistad y aprecio.
Con gratitud al Señor, en el octavo centenario del encuentro entre san Francisco de Asís y el sultán al-Malik al-Kāmil, he aceptado la ocasión para venir aquí como un creyente sediento de paz, como un hermano que busca la paz con los hermanos. Querer la paz, promover la paz, ser instrumentos de paz: estamos aquí para esto.
El logo de este viaje representa una paloma con una rama de olivo. Es una imagen que recuerda la historia del diluvio universal, presente en diferentes tradiciones religiosas. De acuerdo con la narración bíblica, para preservar a la humanidad de la destrucción, Dios le pide a Noé que entre en el arca con su familia. También hoy, en nombre de Dios, para salvaguardar la paz, necesitamos entrar juntos como una misma familia en un arca que pueda navegar por los mares tormentosos del mundo: el arca de la fraternidad.
El punto de partida es reconocer que Dios está en el origen de la familia humana. Él, que es el Creador de todo y de todos, quiere que vivamos como hermanos y hermanas, habitando en la casa común de la creación que él nos ha dado. Aquí, en las raíces de nuestra humanidad común, se fundamenta la fraternidad como una «vocación contenida en el plan creador de Dios».[1] Nos dice que todos tenemos la misma dignidad y que nadie puede ser amo o esclavo de los demás.
No se puede honrar al Creador sin preservar el carácter sagrado de toda persona y de cada vida humana: todos son igualmente valiosos a los ojos de Dios. Porque él no mira a la familia humana con una mirada de preferencia que excluye, sino con una mirada benevolente que incluye. Por lo tanto, reconocer los mismos derechos a todo ser humano es glorificar el nombre de Dios en la tierra. Por lo tanto, en el nombre de Dios Creador, hay que condenar sin vacilación toda forma de violencia, porque usar el nombre de Dios para justificar el odio y la violencia contra el hermano es una grave profanación. No hay violencia que encuentre justificación en la religión.
El enemigo de la fraternidad es el individualismo, que se traduce en la voluntad de afirmarse a sí mismo y al propio grupo por encima de los demás. Es una insidia que amenaza a todos los aspectos de la vida, incluso la prerrogativa más alta e innata del hombre, es decir, la apertura a la trascendencia y a la religiosidad. La verdadera religiosidad consiste en amar a Dios con todo nuestro corazón y al prójimo como a nosotros mismos. Por lo tanto, la conducta religiosa debe ser purificada continuamente de la tentación recurrente de juzgar a los demás como enemigos y adversarios. Todo credo está llamado a superar la brecha entre amigos y enemigos, para asumir la perspectiva del Cielo, que abraza a los hombres sin privilegios ni discriminaciones.
Por eso, quisiera expresar mi aprecio por el compromiso con que este país tolera y garantiza la libertad de culto, oponiéndose al extremismo y al odio. De esta manera, al mismo tiempo que se promueve la libertad fundamental de profesar la propia fe, que es una exigencia intrínseca para la realización del hombre, también se vigila para que la religión no sea instrumentalizada y corra el peligro, al admitir la violencia y el terrorismo, de negarse a sí misma.
La fraternidad ciertamente «expresa también la multiplicidad y diferencia que hay entre los hermanos, si bien unidos por el nacimiento y por la misma naturaleza y dignidad».[2] Su expresión es la pluralidad religiosa. En este contexto, la actitud correcta no es la uniformidad forzada ni el sincretismo conciliatorio: lo que estamos llamados a hacer, como creyentes, es comprometernos con la misma dignidad de todos, en nombre del Misericordioso que nos creó y en cuyo nombre se debe buscar la recomposición de los contrastes y la fraternidad en la diversidad. Aquí me gustaría reafirmar la convicción de la Iglesia Católica: «No podemos invocar a Dios, Padre de todos, si nos negamos a conducirnos fraternalmente con algunos hombres, creados a imagen de Dios».[3]
Sin embargo, se nos presentan varias cuestiones: ¿Cómo protegernos mutuamente en la única familia humana? ¿Cómo alimentar una fraternidad no teórica que se traduzca en auténtica fraternidad? ¿Cómo hacer para que prevalezca la inclusión del otro sobre la exclusión en nombre de la propia pertenencia de cada uno? ¿Cómo pueden las religiones, en definitiva, ser canales de fraternidad en lugar de barreras de separación?
La familia humana y la valentía de la alteridad
Si creemos en la existencia de la familia humana, se deduce que esta, en sí misma, debe ser protegida. Como en todas las familias, esto ocurre principalmente a través de un diálogo cotidiano y efectivo. Presupone la propia identidad, de la que no se debe abdicar para complacer al otro. Pero, al mismo tiempo, pide la valentía de la alteridad,[4] que implica el pleno reconocimiento del otro y de su libertad, y el consiguiente compromiso de empeñarme para que sus derechos fundamentales sean siempre respetados por todos y en todas partes. Porque sin libertad ya no somos hijos de la familia humana, sino esclavos. De entre las libertades me gustaría destacar la religiosa. Esta no se limita solo a la libertad de culto, sino que ve en el otro a un verdadero hermano, un hijo de mi propia humanidad que Dios deja libre y que, por tanto, ninguna institución humana puede forzar, ni siquiera en su nombre.
Diálogo y oración
La valentía de la alteridad es el alma del diálogo, que se basa en la sinceridad de las intenciones. El diálogo está de hecho amenazado por la simulación, que aumenta la distancia y la sospecha: no se puede proclamar la fraternidad y después actuar en la dirección opuesta. Según un escritor moderno, «quien se miente a sí mismo y escucha sus propias mentiras, llega al punto en el que ya no puede distinguir la verdad, ni dentro de sí mismo ni a su alrededor, y así comienza a no tener ya estima ni de sí mismo ni de los demás».[5]
Para todo esto la oración es indispensable: mientras encarna la valentía de la alteridad con respecto a Dios, en la sinceridad de la intención, purifica el corazón del replegarse en sí mismo. La oración hecha con el corazón es regeneradora de fraternidad. Por eso, «en lo referente al futuro del diálogo interreligioso, la primera cosa que debemos hacer es rezar. Y rezar los unos por los otros: ¡somos hermanos! Sin el Señor, nada es posible; con él, ¡todo se vuelve posible! Que nuestra oración —cada uno según la propia tradición— pueda adherirse plenamente a la voluntad de Dios, quien desea que todos los hombres se reconozcan hermanos y vivan como tal, formando la gran familia humana en la armonía de la diversidad».[6]
No hay alternativa: o construimos el futuro juntos o no habrá futuro. Las religiones, de modo especial, no pueden renunciar a la tarea urgente de construir puentes entre los pueblos y las culturas. Ha llegado el momento de que las religiones se empeñen más activamente, con valor y audacia, con sinceridad, en ayudar a la familia humana a madurar la capacidad de reconciliación, la visión de esperanza y los itinerarios concretos de paz.
La educación y la justicia
Volvemos entonces a la imagen inicial de la paloma de la paz. También la paz para volar necesita alas que la sostengan. Las alas de la educación y la justicia.
Educar —en latín significa extraer, sacar— es descubrir los preciosos recursos del alma. Es confortador observar que en este país no solo se invierte en la extracción de los recursos de la tierra, sino también en los del corazón, en la educación de los jóvenes. Es un compromiso que espero continúe y se extienda a otros lugares. También la educación acontece en la relación, en la reciprocidad. Junto a la famosa máxima antigua “conócete a ti mismo”, debemos colocar “conoce a tu hermano”: su historia, su cultura y su fe, porque no hay un verdadero conocimiento de sí mismo sin el otro. Como hombres, y más aún como hermanos, recordémonos que nada de lo que es humano nos puede ser extraño.[7] Es importante para el futuro formar identidades abiertas, capaces de superar la tentación de replegarse sobre sí mismos y volverse rígidos.
Invertir en cultura ayuda a que disminuya el odio y aumente la civilización y la prosperidad. La educación y la violencia son inversamente proporcionales. Las instituciones católicas —muy apreciadas en este país y en la región— promueven dicha educación para la paz y el entendimiento mutuo para prevenir la violencia.
Los jóvenes, rodeados con frecuencia por mensajes negativos y noticias falsas, deben aprender a no rendirse a las seducciones del materialismo, del odio y de los prejuicios; aprender a reaccionar ante la injusticia y también ante las experiencias dolorosas del pasado; aprender a defender los derechos de los demás con el mismo vigor con el que defienden sus derechos. Un día ellos nos juzgarán: bien, si les hemos dado bases sólidas para crear nuevos encuentros de civilización; mal, si les hemos proporcionado solo espejismos y la desolada perspectiva de conflictos perjudiciales de incivilidad.
La justicia es la segunda ala de la paz, que a menudo no se ve amenazada por episodios individuales, sino que es devorada lentamente por el cáncer de la injusticia.
Por lo tanto, uno no puede creer en Dios y no tratar de vivir la justicia con todos, de acuerdo con la regla de oro: «Todo lo que queráis que haga la gente con vosotros, hacedlo vosotros con ella; pues esta es la Ley y los Profetas» (Mt 7,12).
La paz y la justicia son inseparables! El profeta Isaías dice: «La obra de la justicia será la paz» (32,17). La paz muere cuando se divorcia de la justicia, pero la justicia es falsa si no es universal. Una justicia dirigida solo a miembros de la propia familia, compatriotas, creyentes de la misma fe es una justicia que cojea, es una injusticia disfrazada.
Las religiones tienen también la tarea de recordar que la codicia del beneficio vuelve el corazón inerte y que las leyes del mercado actual, que exigen todo y de forma inmediata, no favorecen el encuentro, el diálogo, la familia, las dimensiones esenciales de la vida que necesitan de tiempo y paciencia. Que las religiones sean la voz de los últimos, que no son estadísticas sino hermanos, y estén del lado de los pobres; que vigilen como centinelas de fraternidad en la noche del conflicto, que sean referencia solícita para que la humanidad no cierre los ojos ante las injusticias y nunca se resigne ante los innumerables dramas en el mundo.
El desierto que florece
Después de haber hablado de la fraternidad como arca de paz, me gustaría inspirarme en una segunda imagen, la del desierto que nos rodea.
Aquí, en pocos años, con visión de futuro y sabiduría, el desierto se ha transformado en un lugar próspero y hospitalario; el desierto ha pasado de ser un obstáculo intransitable e inaccesible a un lugar de encuentro entre culturas y religiones. Aquí el desierto ha florecido, no solo por unos pocos días al año, sino para muchos años venideros. Este país, en el que la arena y los rascacielos se dan la mano, sigue siendo una importante encrucijada entre el Occidente y el Oriente, entre el Norte y el Sur del planeta, un lugar de desarrollo, donde los espacios, en otro tiempo inhóspitos, ofrecen puestos de trabajo para personas de diversas naciones.
Sin embargo, el desarrollo tiene también sus adversarios. Y si el enemigo de la fraternidad era el individualismo, me gustaría señalar a la indiferencia como un obstáculo para el desarrollo, que termina convirtiendo las realidades florecientes en tierras desiertas. De hecho, un desarrollo meramente utilitario no ofrece un progreso real y duradero. Solo un desarrollo integral e integrador favorece un futuro digno del hombre. La indiferencia impide ver a la comunidad humana más allá de las ganancias y al hermano más allá del trabajo que realiza. La indiferencia no mira hacia el futuro; no le interesa el futuro de la creación, no le importa la dignidad del forastero y el futuro de los niños.
En este contexto, me alegro de que, en el pasado mes de noviembre, haya tenido lugar aquí en Abu Dhabi el primer Foro de la Alianza Interreligiosa para Comunidades más seguras, sobre el tema de la dignidad del niño en la era digital. Este evento acogió el mensaje publicado un año antes en Roma en el Congreso Internacional sobre el mismo tema, al que le di todo mi apoyo y aliento. Por lo tanto, agradezco a todos los líderes comprometidos en este ámbito y les aseguro mi apoyo, solidaridad y colaboración, como también la de la Iglesia Católica, en esta causa importante de la protección de los menores en todos sus aspectos.
Aquí, en el desierto, se ha abierto un camino de desarrollo fecundo que, a partir del trabajo, ofrece esperanzas a muchas personas de diferentes pueblos, culturas y credos. Entre ellos, también muchos cristianos, cuya presencia en la región se remonta a siglos atrás, han encontrado oportunidades y han contribuido de manera significativa al crecimiento y bienestar del país. Además de las habilidades profesionales, os brindan la autenticidad de su fe. El respeto y la tolerancia que encuentran, así como los lugares de culto necesarios donde rezan, les permiten esa maduración espiritual que luego beneficia a toda la sociedad. Los animo a que continúen en este camino, para que aquellos que viven o están de paso preserven no solo la imagen de las grandes obras construidas en el desierto, sino también de una nación que incluye y abarca a todos.
En este mismo espíritu deseo que, no solo aquí, sino en toda la amada y neurálgica región de Oriente Medio, haya oportunidades concretas de encuentro: una sociedad donde personas de diferentes religiones tengan el mismo derecho de ciudadanía y donde solo se le quite ese derecho a la violencia, en todas sus formas.
Una convivencia fraterna basada en la educación y la justicia; un desarrollo humano, construido sobre la inclusión acogedora y sobre los derechos de todos: estas son semillas de paz, que las religiones están llamadas a hacer brotar. A ellos les corresponde, quizás como nunca antes, en esta delicada situación histórica, una tarea que ya no puede posponerse: contribuir activamente a la desmilitarización del corazón del hombre. La carrera armamentística, la extensión de sus zonas de influencia, las políticas agresivas en detrimento de lo demás nunca traerán estabilidad. La guerra no sabe crear nada más que miseria, las armas nada más que muerte.
La fraternidad humana nos exige, como representantes de las religiones, el deber de desterrar todos los matices de aprobación de la palabra guerra. Devolvámosla a su miserable crudeza. Ante nuestros ojos están sus nefastas consecuencias. Estoy pensando de modo particular en Yemen, Siria, Irak y Libia. Juntos, hermanos de la única familia humana querida por Dios, comprometámonos contra la lógica del poder armado, contra la mercantilización de las relaciones, los armamentos de las fronteras, el levantamiento de muros, el amordazamiento de los pobres; a todo esto nos oponemos con el dulce poder de la oración y con el empeño diario del diálogo. Que nuestro estar juntos hoy sea un mensaje de confianza, un estímulo para todos los hombres de buena voluntad, para que no se rindan a los diluvios de la violencia y la desertificación del altruismo. Dios está con el hombre que busca la paz. Y desde el cielo bendice cada paso que, en este camino, se realiza en la tierra.
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[1] Benedicto XVI, Discurso a los nuevos Embajadores ante la Santa Sede, 16 diciembre 2010.
[2] Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz, 2015, 2.
[3] Decl. Nostra aetate, sobre las relaciones de la Iglesia con las religiones no cristianas, 5.
[4] Cf. Discurso a los participantes en la Conferencia Internacional para la paz, Al-Azhar Conference Centre, El Cairo, 28 abril 2017.
[5] F.M. Dostoievski, Los hermanos Karamazov, II, 2.
[6] Audiencia General, 28 octubre 2015.
[7] Cf. Terencio, Heautontimorumenos I, 1, 25.
[00174-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Al Salamò Alaikum! A paz esteja convosco!
De coração agradeço a Sua Alteza o Xeque Mohammed bin Rashid Al Maktoum e ao Doutor Ahmad Al-Tayyib, Grande Imã de Al-Azhar, pelas suas palavras. Estou grato ao Conselho dos Anciãos pelo encontro que acabamos de ter na Mesquita do Xeque Zayed.
Saúdo também cordialmente o Senhor Abd Al-Fattah Al-Sisi, Presidente da República Árabe do Egito, terra de Al-Azhar. Saúdo cordialmente as Autoridades civis e religiosas e o Corpo Diplomático. Permitam-me também um sincero obrigado pela calorosa receção que todos reservaram a mim e à nossa delegação.
Agradeço também a todas as pessoas que contribuíram para tornar possível esta viagem e que trabalharam com dedicação, entusiasmo e profissionalismo para este evento: os organizadores, o pessoal do Protocolo, o da Segurança e todos aqueles que, nos «bastidores», de várias maneiras deram a sua contribuição. Um agradecimento particular ao Senhor Mohammed Abdel Salam, ex-conselheiro do Grande Imã.
Daqui, da vossa pátria, dirijo-me a todos os países desta Península, saudando-os cordialmente com respeito e amizade.
De ânimo reconhecido ao Senhor, aproveitei o ensejo do VIII centenário do encontro entre São Francisco de Assis e o sultão al-Malik al-Kamil para vir aqui como crente sedento de paz, como irmão que procura a paz com os irmãos. Desejar a paz, promover a paz, ser instrumentos de paz: para isto, estamos aqui.
O logotipo desta viagem representa uma pomba com um ramo de oliveira. É uma imagem que nos traz à memória a narração do dilúvio primordial, presente em várias tradições religiosas. Segundo a narração bíblica, para preservar a humanidade da destruição, Deus pede a Noé para entrar na arca com a sua família. Hoje também nós, em nome de Deus, para salvaguardar a paz, precisamos de entrar juntos, como uma única família, numa arca que possa sulcar os mares tempestuosos do mundo: a arca de fraternidade.
O ponto de partida é reconhecer que Deus está na origem da única família humana. Criador de tudo e de todos, quer que vivamos como irmãos e irmãs, morando nesta casa comum da criação que Ele nos deu. Funda-se aqui, nas raízes da nossa humanidade comum, a fraternidade como «vocação contida no desígnio criador de Deus».[1] Esta fraternidade diz-nos que todos temos igual dignidade, pelo que ninguém pode ser dono ou escravo dos outros.
Não se pode honrar o Criador sem salvaguardar a sacralidade de cada pessoa e de cada vida humana: cada um é igualmente precioso aos olhos de Deus. Com efeito, Ele não olha a família humana com um olhar de preferência que exclui, mas com um olhar de benevolência que inclui. Por isso, reconhecer os mesmos direitos a todo o ser humano é glorificar o Nome de Deus na terra. Assim, em nome de Deus Criador, é preciso condenar, decididamente, qualquer forma de violência, porque seria uma grave profanação do Nome de Deus utilizá-Lo para justificar o ódio e a violência contra o irmão. Religiosamente, não há violência que se possa justificar.
Inimigo da fraternidade é o individualismo, que se traduz na vontade de eu mesmo e o meu próprio grupo nos sobrepormos aos outros. Trata-se duma insídia que ameaça todos os aspetos da vida, mesmo a mais alta e inata prerrogativa do homem que é a abertura ao transcendente e a religiosidade. A verdadeira religiosidade consiste em amar a Deus de todo o coração e ao próximo como a si mesmo. Por isso, a conduta religiosa precisa de ser continuamente purificada duma tentação frequente: considerar os outros como inimigos e adversários. Cada credo é chamado a superar o desnível entre amigos e inimigos, assumindo a perspetiva do Céu que abraça os homens sem privilégios nem discriminações.
Desejo, pois, expressar apreço pelo compromisso deste país em tolerar e garantir a liberdade de culto, contrapondo-se ao extremismo e ao ódio. Assim procedendo, ao mesmo tempo que se promove a liberdade fundamental de professar o próprio credo, exigência intrínseca na própria realização do homem, vela-se também para que a religião não seja instrumentalizada e corra o risco de, admitindo violência e terrorismo, se negar a si mesma.
É certo que, «apesar de os irmãos estarem ligados por nascimento e possuírem a mesma natureza e a mesma dignidade, a fraternidade exprime também a multiplicidade e a diferença que existe entre eles».[2] Expressão disso mesmo é a pluralidade religiosa. Neste contexto, a atitude correta não é a uniformidade forçada nem o sincretismo conciliador: o que estamos chamados a fazer como crentes é trabalhar pela igual dignidade de todos em nome do Misericordioso, que nos criou e em cujo Nome se deve buscar a composição dos contrastes e a fraternidade na diversidade. Gostaria, aqui, de reiterar a convicção da Igreja Católica, segundo a qual «não podemos invocar Deus como Pai comum de todos, se nos recusamos a tratar como irmãos alguns homens, criados à sua imagem».[3]
No entanto, várias questões se impõem: Como salvaguardar-nos mutuamente na única família humana? Como alimentar uma fraternidade que não seja teórica, mas se traduza em autêntica união? Como fazer prevalecer a inclusão do outro sobre a exclusão em nome da própria afiliação? Enfim, como podem as religiões ser canais de fraternidade em vez de barreiras de separação?
A família humana e a coragem da alteridade
Se acreditamos na existência da família humana, segue-se daí que a mesma, enquanto tal, deve ser salvaguardada. Como se verifica em cada família, consegue-se isso, antes de mais nada, através dum diálogo diário e efetivo. Isto pressupõe a própria identidade, a que não se deve abdicar para agradar ao outro; mas, ao mesmo tempo, requer a coragem da alteridade,[4] que supõe o pleno reconhecimento do outro e da sua liberdade com o consequente compromisso de me gastar para que os seus direitos fundamentais sejam respeitados sempre, em toda parte e por quem quer que seja. Com efeito, sem liberdade, já não se é filho da família humana, mas escravo. E. dentre as liberdades, gostaria de salientar a liberdade religiosa. Esta não se limita à mera liberdade de culto, mas vê no outro verdadeiramente um irmão, um filho da minha mesma humanidade, que Deus deixa livre e, por conseguinte, nenhuma instituição humana pode forçar, nem mesmo em nome d’Ele.
O diálogo e a oração
A coragem da alteridade é a alma do diálogo, que se baseia na sinceridade de intenções. Com efeito, o diálogo é comprometido pelo fingimento, que aumenta a distância e a suspeita: não se pode proclamar a fraternidade e, depois, agir em sentido oposto. Segundo um escritor moderno, «quem mente a si mesmo e escuta as próprias mentiras, chega ao ponto de já não ser capaz de distinguir a verdade dentro de si mesmo nem ao seu redor e, assim, começa a perder a estima por si mesmo e pelos outros».[5]
Em tudo isto, é indispensável a oração: esta, ao mesmo tempo que encarna a coragem da alteridade em relação a Deus, na sinceridade da intenção, purifica o coração de fechar-se em si mesmo. A oração feita com o coração é um restaurador de fraternidade. Por isso, «quanto ao futuro do diálogo inter-religioso, a primeira coisa que devemos fazer é rezar. E rezar uns pelos outros: somos irmãos! Sem o Senhor, nada é possível; com Ele, tudo se torna possível! Possa a nossa oração – cada um segundo a sua tradição – aderir plenamente à vontade de Deus, o Qual deseja que todos os homens se reconheçam irmãos e vivam como tais, formando a grande família humana na harmonia das diversidades».[6]
Não há alternativa: ou construiremos juntos o futuro ou não haverá futuro. De modo particular, as religiões não podem renunciar à tarefa impelente de construir pontes entre os povos e as culturas. Chegou o tempo de as religiões se gastarem mais ativamente, com coragem e ousadia e sem fingimento, por ajudar a família humana a amadurecer a capacidade de reconciliação, a visão de esperança e os itinerários concretos de paz.
A educação e a justiça
E voltamos, assim, à imagem inicial da pomba da paz. Também a paz, para levantar voo, precisa de asas que a sustentem: as asas da educação e da justiça.
A educação – educere, em latim, significa extrair, tirar fora – é trazer à luz os preciosos recursos da alma. É consolador verificar como, neste país, não se investe apenas na extração dos recursos da terra, mas também nos recursos do coração, na educação dos jovens. É um compromisso que almejo possa continuar e difundir-se por outros lados. A própria educação tem lugar na relação, na reciprocidade. À famosa máxima antiga «conhece-te a ti mesmo», devemos juntar «conhece o irmão»: a sua história, a sua cultura e a sua fé, porque, sem o outro, não há verdadeiro conhecimento de si mesmo. Como homens e mais ainda como irmãos, lembremos uns aos outros que nada do que é humano nos pode ficar alheio.[7] Em ordem ao futuro, é importante formar identidades abertas, capazes de vencer a tentação de se fechar em si mesmas e empedernir-se.
Investir na cultura favorece a diminuição do ódio e o aumento da civilidade e prosperidade. Educação e violência são inversamente proporcionais. As instituições católicas – apreciadas também neste país e na região – promovem tal educação para a paz e compreensão mútua para prevenir a violência.
Cercados frequentemente por mensagens negativas e notícias falsas, os jovens precisam de aprender a não ceder às seduções do materialismo, do ódio e dos preconceitos, a reagir à injustiça e também às experiências dolorosas do passado e a defender os direitos dos outros com o mesmo vigor com que defendem os próprios. Um dia, serão eles a julgar-nos: bem, se lhes tivermos dado bases sólidas para criar novos encontros de civilidade; mal, se lhes tivermos deixado apenas miragens e a desoladora perspetiva de nefastos conflitos de incivilidade.
A justiça é a segunda asa da paz; com frequência, esta não é comprometida por episódios individuais, mas é lentamente devorada pelo câncer da injustiça.
Portanto, não se pode crer em Deus sem procurar viver a justiça com todos, como diz a regra de ouro: «O que quiserdes que vos façam os homens, fazei-o também a eles, porque isto é a Lei e os Profetas» (Mt 7, 12).
Paz e justiça são inseparáveis! Diz o profeta Isaías: «A paz será obra da justiça» (32, 17). A paz morre, quando se divorcia da justiça, mas a justiça revela-se falsa se não for universal. Uma justiça circunscrita apenas aos familiares, aos compatriotas, aos crentes da mesma fé é uma justiça claudicante… uma injustiça disfarçada!
As religiões têm também a tarefa de lembrar que a ganância do lucro torna néscio o coração e que as leis do mercado atual, ao exigir tudo e súbito, não ajudam o encontro, o diálogo, a família: dimensões essenciais da vida que precisam de tempo e paciência. Que as religiões sejam voz dos últimos – estes não são estatísticas, mas irmãos – e estejam da parte dos pobres; velem como sentinelas de fraternidade na noite dos conflitos, sejam apelos diligentes à humanidade para que não feche os olhos perante as injustiças e nunca se resigne com os dramas sem conta no mundo.
O deserto que floresce
Depois de ter falado da fraternidade como arca de paz, gostaria agora de me inspirar numa segunda imagem: o deserto, que nos envolve.
Aqui, com clarividência e sabedoria, em poucos anos o deserto foi transformado num lugar próspero e hospitaleiro; de obstáculo impérvio e inacessível que era, o deserto tornou-se lugar de encontro entre culturas e religiões. Aqui o deserto floresceu, não apenas durante alguns dias no ano, mas para muitos anos vindouros. Este país, em que se tocam areia e arranha-céus, continua a ser uma importante encruzilhada entre o Ocidente e o Oriente, entre o Norte e o Sul do planeta, um lugar de desenvolvimento, onde espaços outrora inóspitos proporcionam empregos a pessoas de várias nações.
Mas o desenvolvimento também tem os seus adversários. E, se o inimigo da fraternidade é o individualismo, como obstáculo ao desenvolvimento apontaria a indiferença, que acaba por converter as realidades florescentes em zonas desertas. De facto, um desenvolvimento puramente utilitarista não gera progresso real e duradouro. Só um desenvolvimento integral e coeso prepara um futuro digno do homem. A indiferença impede de ver a comunidade humana para além dos lucros, e ver o irmão para além do trabalho que faz. Com efeito, a indiferença não olha para o amanhã; não se importa com o futuro da criação, não cuida da dignidade do forasteiro nem do futuro das crianças.
Neste contexto, alegro-me com o facto de se ter realizado precisamente aqui em Abu Dhabi, em novembro passado, o primeiro Fórum da Aliança inter-religiosa por Comunidades mais seguras, dedicado ao tema da dignidade da criança na era digital. Este evento retomou a mensagem lançada um ano antes, em Roma, no Congresso internacional sobre o mesmo tema, ao qual dei todo o meu apoio e encorajamento. Agradeço, pois, a todos os líderes que estão empenhados neste campo e asseguro o apoio, a solidariedade e a participação da Igreja Católica nesta causa importantíssima da proteção dos menores em todas as suas expressões.
Aqui, no deserto, abriu-se um caminho de fecundo desenvolvimento que, a partir do trabalho, dá esperança a muitas pessoas de vários povos, culturas e credos. E, entre elas, contam-se também muitos cristãos, cuja presença na região remonta séculos atrás tendo contribuído significativamente para o crescimento e bem-estar do país. Além das próprias capacidades profissionais, trazem-vos a genuinidade da sua fé. O respeito e a tolerância que encontram, bem como os necessários lugares de culto onde rezam, permitem-lhes aquele amadurecimento espiritual que se traduz em benefício para a sociedade inteira. Encorajo-vos a continuar por este caminho, para que quantos vivem aqui ou estão de passagem conservem a imagem não só das grandes obras erguidas no deserto, mas também duma nação que inclui e abraça a todos.
É com este espírito que almejo, não só aqui mas em toda a amada e nevrálgica região do Médio Oriente, oportunidades concretas de encontro: sociedades onde pessoas de diferentes religiões tenham o mesmo direito de cidadania e onde só à violência, em todas as suas formas, se tire tal direito.
Uma convivência fraterna, fundada na educação e na justiça, e um desenvolvimento humano, construído sobre a inclusão acolhedora e sobre os direitos de todos, constituem sementes de paz, que as religiões são chamadas a fazer germinar. Cabe a elas neste delicado momento histórico, talvez como nunca antes, uma tarefa que não se pode adiar mais: contribuir ativamente para desmilitarizar o coração do homem. A corrida aos armamentos, o alargamento das respetivas zonas de influência, as políticas agressivas em detrimento dos outros nunca trarão estabilidade. A guerra nada mais pode criar senão miséria; as armas nada mais, senão morte!
A fraternidade humana impõe-nos, a nós representantes das religiões, o dever de banir toda a nuance de aprovação da palavra guerra. Restituamo-la à sua miserável crueza. Estão sob os nossos olhos as suas consequências nefastas. Penso em particular no Iémen, na Síria, no Iraque e na Líbia. Juntos, irmãos na única família humana querida por Deus, comprometamo-nos contra a lógica da força armada, contra a monetarização das relações, o armamento das fronteiras, o levantamento de muros, o amordaçamento dos pobres; oponhamos a tudo isto a força suave da oração e o empenho diário no diálogo. Que o nosso estar juntos hoje seja uma mensagem de confiança, um encorajamento a todos os homens de boa vontade para que não se rendam aos dilúvios da violência nem à desertificação do altruísmo. Deus está com o homem que procura a paz. E, do céu, abençoa cada passo que se realiza, neste caminho, sobre a terra.
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[1] Bento XVI, Discurso aos novos Embaixadores junto da Santa Sé (16/XII/2010).
[2] Francisco, Mensagem para o Dia Mundial da Paz de 2015 (8/XII/2014), 2.
[3] Conc. Ecum. Vat. II, Decl. sobre as relações da Igreja com as religiões não-cristãs Nostra aetate, 5.
[4] Cf. Francisco, Discurso aos participantes na Conferência Internacional pela Paz (Al-Azhar Conference Centre, Cairo, 28/IV/2017).
[5] F. Dostoiévski, Os irmãos Karamazov, II, 2 (Milão 2012), 60.
[6] Francisco, Audiência Geral inter-religiosa (28/X/2015).
[7] Cf. Terêncio, Heautontimorumenos I, 1, 25.
[00174-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Al Salamò Alaikum! Pokój wam!
Serdecznie dziękuję Jego Wysokości Szejkowi Mohammed bin Rashid Al Maktoum i dr. Ahmadowi Al-Tayyibowi, Wielkiemu Imamowi z Al-Azhar za ich słowa. Jestem wdzięczny Radzie Starszych za spotkanie, które właśnie odbyliśmy w meczecie Szejka Zajida.
Pozdrawiam też serdecznie Pana Abd Al-Fattah Al-Sisi, Prezydent Arabskiej Republiki Egiptu, ziemi Al-Azhar. Pozdrawiam serdecznie władze cywilne i religijne oraz korpus dyplomatyczny. Pozwolę sobie również serdecznie podziękować za ciepłe powitanie, jakie wszyscy zgotowali mnie i naszej delegacji.
Dziękuję również wszystkim osobom, które przyczyniły się do umożliwienia tej podróży, i które pracowały z poświęceniem, entuzjazmem i profesjonalizmem na rzecz tego wydarzenia: organizatorom, pracownikom protokołu, bezpieczeństwa i tym wszystkim, którzy na różne sposoby wnieśli swój wkład „za kulisami”. Szczególne podziękowanie kieruję do p. Mohameda Abdel-Salama, byłego radcy Wielkiego Imama.
Z waszej ojczyzny zwracam się do wszystkich krajów tego półwyspu, do których pragnę skierować moje najserdeczniejsze pozdrowienia, z przyjaźnią i szacunkiem.
Z wdzięcznością Panu, w osiemsetną rocznicę spotkania Franciszka z Asyżu i sułtana Malika al-Kamila, z zadowoleniem przyjąłem możliwość przybycia tutaj, jako człowiek wierzący spragniony pokoju, jako brat, który szuka pokoju z braćmi. Pragnienie pokoju, promowanie pokoju, bycie narzędziami pokoju: po to tutaj jesteśmy.
Logo tej podróży przedstawia gołębicę z gałązką oliwną. Jest to obraz przypominający opis pierwotnego potopu, obecny w różnych tradycjach religijnych. Według historii biblijnej, aby ocalić ludzkość przed zniszczeniem, Bóg prosi Noego, by wszedł do arki wraz ze swoją rodziną. My też dzisiaj, w imię Boga, aby zachować pokój, potrzebujemy wejść razem, jako jedna rodzina, do arki, która mogłaby popłynąć po wzburzonym morzu świata: arki braterstwa.
Punktem wyjścia jest uznanie, że Bóg jest początkiem jedynej ludzkiej rodziny. On, który jest Stwórcą wszystkiego i wszystkich, chce, abyśmy żyli jak bracia i siostry, zamieszkując we wspólnym domu stworzenia, który On nam dał. Tutaj, u korzeni naszego wspólnego człowieczeństwa, ma swe podstawy braterstwo jako „powołanie zawarte w stwórczym planie Boga”[1]. Mówi nam ono, że wszyscy mamy równą godność i że nikt nie może być panem ani niewolnikiem innych.
Nie możemy czcić Stwórcy nie strzegąc świętości każdej osoby i każdego życia ludzkiego: każdy jest równie cenny w oczach Boga. Nie patrzy On bowiem na rodzinę ludzką spojrzeniem preferencji, która wyklucza, ale ze spojrzeniem życzliwości, która integruje. Dlatego uznanie tych samych praw przysługujących każdej istocie ludzkiej jest uwielbianiem imienia Boga na ziemi. Zatem w imię Boga Stwórcy trzeba bez wahania potępić wszelką formę przemocy, ponieważ poważną profanacją Imienia Boga jest używanie Go do usprawiedliwienia nienawiści i przemocy wobec brata. Nie ma przemocy, która może być uzasadniona religijnie.
Wrogiem braterstwa jest indywidualizm, który przekłada się na wolę postawienia siebie i swojej grupy nad innymi. Jest to pułapka, która zagraża wszystkim aspektom życia, nawet najwznioślejszej i nadprzyrodzonej prerogatywie człowieka, czyli otwartości na transcendencję i religijność. Prawdziwa religijność polega na miłowaniu Boga całym sercem i bliźniego, jak siebie samego. Praktykowanie religii powinno być zatem stale oczyszczane z powracającej pokusy osądzania innych jako wrogów i przeciwników. Każda wiara jest powołana do przezwyciężania dystansu między przyjaciółmi a nieprzyjaciółmi, aby przyjąć perspektywę Nieba, które ogarnia ludzi bez przywilejów i dyskryminacji.
Dlatego chciałbym wyrazić uznanie dla wysiłków tego kraju na rzecz tolerancji i zapewnienia wolności kultu, zwalczając ekstremizm i nienawiść. W ten sposób, krzewiąc podstawową swobodę wyznawania swojej wiary, będącą nieodłącznym wymogiem realizacji swego człowieczeństwa, czuwa się także, aby religia nie była instrumentalizowana i by, dopuszczając przemoc i terroryzm, nie groziło jej zaprzeczenie samej sobie.
Braterstwo z pewnością „wyraża także różnorodność i różnicę istniejącą między braćmi, choć są oni związani przez narodzenie i mają tę samą naturę oraz tę samą godność”[2]. Pluralizm religijny jest tego wyrazem. W tym kontekście właściwą postawą nie jest ani wymuszona jednolitość, ani też ugodowy synkretyzm: to, do czego czynienia jesteśmy powołani jako ludzie wierzący, to podejmowanie wysiłków na rzecz równej godności wszystkich, w imię Miłosiernego, który nas stworzył i w imię którego trzeba szukać pojednania sprzeczności i braterstwa w różnorodności. Tutaj chciałbym potwierdzić przekonanie Kościoła katolickiego: „Nie możemy wzywać Boga jako na Ojca wszystkich, jeśli wobec niektórych ludzi, stworzonych na obraz Boży, nie chcemy postępować po bratersku”[3].
Narzucają się jednak różne pytania: jak chronić siebie nawzajem w jednej rodzinie ludzkiej? Jak umacniać braterstwo nie-teoretyczne, które przekładałoby się na autentyczne braterstwo? Jak sprawić, by pierwszeństwo miała integracja przed wykluczeniem w imię własnej przynależności? Podsumowując: w jaki sposób religie mogą być kanałami braterstwa, a nie murami oddzielenia?
Rodzina ludzka a odwaga inności
Jeśli wierzymy w istnienie rodziny ludzkiej, to wynika z tego, że należy strzec rodziny jako takiej. Podobnie jak w każdej rodzinie, dzieje się to przede wszystkim poprzez codzienny i skuteczny dialog. Zakłada on własną tożsamość, z której nie wolno rezygnować, żeby zadowolić drugiego. Ale jednocześnie wymaga on odwagi inności[4], co pociąga za sobą pełne uznanie drugiego i jego wolności, oraz wypływające stąd zaangażowanie, by poświęcać się, aby jego prawa podstawowe były uznawane zawsze, wszędzie i przez każdego. Bez wolności nie jesteśmy już bowiem dziećmi rodziny ludzkiej, lecz niewolnikami. Wśród wolności chciałbym podkreślić wolność religijną. Nie ogranicza się ona jedynie do swobody kultu, ale doprawdy dostrzega w drugim brata, syna tego samego mojego człowieczeństwa, którego Bóg obdarza wolnością i którego zatem żadna ludzka instytucja nie może przymuszać, również w Jego imię.
Dialog i modlitwa
Odwaga inności jest duszą dialogu, opartego na szczerości intencji. Dialog jest bowiem zagrożony przez udawanie, które powiększa dystans i podejrzenia: nie można głosić braterstwa, a następnie działać w odwrotnym kierunku. Zdaniem wielkiego pisarza, „ten, kto sam przed sobą kłamie i własnego kłamstwa słucha, prawdy żadnej już nie widzi ani w sobie, ani dokoła siebie, a przeto szacunek traci dla siebie i dla innych”[5].
W tym wszystkim niezbędna jest modlitwa: ona, ucieleśniając odwagę inności w odniesieniu do Boga, w szczerości intencji, oczyszcza serce z zamknięcia się w sobie. Modlitwa wznoszona z sercem umacnia braterstwo. Dlatego „jeśli chodzi o przyszłość dialogu międzyreligijnego, to pierwszą rzeczą, jaką musimy robić, jest modlić się. I modlić się za siebie wzajemnie: jesteśmy braćmi! Bez Pana nic nie jest możliwe; z Nim wszystko staje się możliwe! Oby nasza modlitwa — każdego zgodnie z jego tradycją — mogła być w pełni zgodna z wolą Boga, który pragnie, by wszyscy ludzie uznali się za braci i żyli jak bracia, tworząc wielką rodzinę ludzką w harmonii różnorodności”[6].
Nie ma alternatywy: albo wspólnie zbudujemy przyszłość, albo nie będzie przyszłości. Zwłaszcza religie nie mogą zrezygnować z pilnego zadania budowania mostów między narodami i kulturami. Nadszedł czas, kiedy religie powinny aktywniej poświęcać się, z odwagą i śmiałością, bez udawania, by dopomóc rodzinie ludzkiej w dojrzewaniu zdolności do pojednania, wizji nadziei i konkretnych dróg pokoju.
Edukacja i sprawiedliwość
Powracamy zatem do początkowego obrazu gołębicy pokoju. Także pokój, aby wznosić się do lotu potrzebuje skrzydeł, które go wspierają. Skrzydeł edukacji i sprawiedliwości.
Edukacja - po łacinie oznacza wydobywanie, wyciąganie – to ujawnianie cennych zasobów duszy. Cieszy fakt, że w tym kraju inwestuje się nie tylko w wydobywanie zasobów ziemi, ale także zasobów serca, w edukację młodych ludzi. Jest to trud, który, mam nadzieję, będzie kontynuowany i rozpowszechniany gdzie indziej. Także edukacja dokonuje się w relacji, we wzajemności. Do słynnej starożytnej maksymy „poznaj samego siebie” musimy dodać „poznaj twojego brata”: jego historię, jego kulturę i wiarę, ponieważ nie ma prawdziwego poznania siebie bez drugiego. Jako ludzie, a tym bardziej jako bracia, przypomnijmy sobie nawzajem, że nic z tego, co ludzkie, nie może pozostać dla nas obce[7]. Ważne jest dla przyszłości formowanie tożsamości otwartych, zdolnych do przezwyciężenia pokusy, by zamykać się w sobie i stać się upartymi.
Inwestowanie w kulturę sprzyja także zmniejszeniu nienawiści oraz wzrostowi uprzejmości i dobrobytu. Edukacja i przemoc są odwrotnie proporcjonalne. Instytuty katolickie – bardzo cenione także w tym kraju i w tym regionie - promują taką edukację dla pokoju i na rzecz wzajemnego poznania, aby zapobiegać przemocy.
Młodzież, często otoczona przesłaniami negatywnymi i fałszywymi wiadomościami (fake news), musi się nauczyć, by nie dawać wiary pokusom materializmu, nienawiści i uprzedzeń; nauczyć się reagować na niesprawiedliwość, a także na bolesne doświadczenia z przeszłości; nauczyć się bronić praw innych osób równie stanowczo, jak broni własnych praw. To oni któregoś dnia nas osądzą: dobrze, jeśli daliśmy im solidne podstawy do tworzenia nowych spotkań różnych kultur; źle, jeśli zostawiliśmy im tylko złudzenia i przygnębiającą perspektywę niszczących konfliktów prymitywności.
Sprawiedliwość jest drugim skrzydłem pokoju, który często nie jest zagrożony przez pojedyncze epizody, ale powoli zżerany przez raka niesprawiedliwości.
Nie można zatem wierzyć w Boga i nie starać się żyć sprawiedliwie ze wszystkimi, zgodnie ze złotą zasadą: „Wszystko więc, co byście chcieli, żeby wam ludzie czynili, i wy im czyńcie! Albowiem na tym polega Prawo i Prorocy” (Mt 7, 12).
Pokój i sprawiedliwość są nierozłączne! Prorok Izajasz mówi: „Dziełem sprawiedliwości będzie pokój” (32,17). Pokój umiera, gdy odstępuje od sprawiedliwości, ale sprawiedliwość okazuje się fałszywą, jeśli nie jest powszechna. Sprawiedliwość skierowana tylko do członków rodziny, rodaków, wiernych wyznających tę samą wiarę jest kulawą sprawiedliwością, jest ukrytą niesprawiedliwością!
Zadaniem religii jest również przypominanie, że chciwość zysku czyniserce bezczynnym, a aktualne prawa rynku, wymagając wszystkiego i natychmiast, nie służą spotkaniu, dialogowi, rodzinie, istotnym wymiarom życia, które potrzebują czasu i cierpliwości. Niech religie będą głosem ostatnich, którzy nie są danymi statystycznymi, lecz braćmi, i niech stają po stronie ubogich; nich czuwają jako strażnicy braterstwa w nocy konfliktów, niech będą czujną uwagą, aby ludzkość nie zamykała oczu w obliczu niesprawiedliwości i nigdy nie poddała się wobec zbyt wielu dramatów świata.
Pustynia, która rozkwita
Powiedziawszy o braterstwie jako o arce pokoju, chciałbym teraz zaczerpnąć inspirację z drugiego obrazu, jakim jest otaczająca nas pustynia.
Tutaj, w ciągu niewielu lat, z dalekowzrocznością i mądrością, pustynia została przekształcona w miejsce zasobne i gościnne; z nieosiągalnej i niedostępnej przeszkody, pustynia stała się miejscem spotkań między kulturami i religiami. Tutaj pustynia zakwitła, nie tylko przez kilka dni w roku, ale na wiele następnych lat. Ten kraj, w którym spotykają się piasek i drapacze chmur, pozostaje ważnym skrzyżowaniem dróg między Wschodem a Zachodem, między Północą a Południem planety, miejscem rozwoju, gdzie przestrzenie niegdyś niegościnne przeznaczają miejsca pracy dla osób różnych narodowości.
Jednak także rozwój ma swoich nieprzyjaciół. A jeśli wrogiem braterstwa był indywidualizm, to chciałbym wskazać jako przeszkodę w rozwoju obojętność, która doprowadza do przekształcania tego, co kwitnące w ziemie pustynne. Rozwój czysto utylitarny nie daje bowiem rzeczywistego i trwałego postępu. Tylko rozwój integralny i spójny stanowi przyszłość godną człowieka. Obojętność uniemożliwia widzenie wspólnoty ludzkiej poza zyskami a brata poza pracą, którą wykonuje. Obojętność nie patrzy w istocie w przyszłość; nie dba o przyszłość stworzenia, nie troszczy się o godność cudzoziemca i o przyszłość dzieci.
W tym kontekście cieszę się, że właśnie tutaj, w Abu Zabi, w listopadzie ubiegłego roku miało miejsce pierwsze Forum Międzyreligijnego Aliansu na rzecz Bezpieczniejszych Wspólnot, dotyczące kwestii godności dziecka w erze cyfrowej. To wydarzenie podjęło przesłanie wystosowane rok wcześniej w Rzymie podczas Międzynarodowego Kongresu na ten sam temat, któremu udzieliłem pełnego poparcia i zachęty. Dziękuję zatem wszystkim przywódcom zaangażowanym w tej dziedzinie i zapewniam wsparcie, solidarność i udział mój oraz Kościoła katolickiego w tej bardzo ważnej sprawie ochrony małoletnich we wszystkich jej przejawach.
Tutaj, na pustyni, otworzyła się płodna droga rozwoju, która, wychodząc od pracy, daje nadzieję wielu ludziom różnych narodów, kultur i wyznań. Wśród nich jest także wielu chrześcijan, których obecność w tym regionie sięga wielu wieków. Znaleźli oni nowe możliwości i wnieśli znaczący wkład w rozwój i dobrobyt kraju. Oprócz umiejętności zawodowych, przynoszą autentyzm swej wiary. Szacunek i tolerancja, jakie napotykają, a także niezbędne miejsca kultu, w których się modlą, pozwalają im na to dojrzewanie duchowe, które przynosi następnie korzyści całemu społeczeństwu. Zachęcam was do kontynuowania tej drogi, aby ci, którzy tu żyją lub przebywają tymczasowo, zachowali nie tylko obraz wielkich dzieł zbudowanych na pustyni, ale także narodu włączającego i ogarniającego wszystkich.
W tym duchu, nie tylko tutaj, ale w całym ukochanym i newralgicznym regionie Bliskiego Wschodu pragnę konkretnych możliwości spotkania: społeczeństw, w których ludzie różnych religii mają takie samo prawo obywatelstwa i gdzie samej przemocy, we wszystkich jej przejawach, to prawo będzie odbierane.
Braterskie współistnienie oparte na edukacji i sprawiedliwości; rozwój ludzki oparty na gościnnym włączeniu i na prawach wszystkich: to są ziarna pokoju, do których rozwijania powołane są religie. Ich obowiązkiem, być może, w tej delikatnej sytuacji historycznej, jak nigdy przedtem, jest zadanie, którego nie można już odkładać na późnej: aktywnie przyczyniać się do demilitaryzacji ludzkiego serca. Wyścig zbrojeń, rozszerzenie własnych stref wpływów, agresywna polityka ze szkodą dla innych nigdy nie przyniosą stabilności. Wojna nie może stworzyć niczego innego jak nędzę, a broń - tylko śmierć!
Ludzkie braterstwo wymaga od nas, przedstawicieli religii, obowiązku usunięcia wszelkich odcieni akceptacji dla słowa „wojna”. Zwróćmy je ich nieszczęsnej bezwzględności. Mamy przed oczyma jego nikczemne konsekwencje. Myślę zwłaszcza o Jemenie, Syrii, Iraku i Libii. Razem, bracia w jedynej ludzkiej rodzinie, jakiej chce Bóg, starajmy się przeciwstawić logice siły zbrojnej, spieniężeniu relacji, uzbrojeniu granic, wznoszeniu murów, kneblowaniu ubogich; temu wszystkiemu przeciwstawiamy słodką moc modlitwy i codzienne zaangażowanie w dialog. Nasze bycie razem niech będzie przesłaniem ufności, zachętą dla wszystkich ludzi dobrej woli, aby nie poddawali się potopom przemocy i pustynnieniu altruizmu. Bóg jest z człowiekiem, który dąży do pokoju. I z nieba błogosławi każdy krok, który na tej drodze jest podejmowany na ziemi.
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[1] BENEDYKT XVI, Discorso a nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 16 dicembre 2010.
[2] Orędzie na obchody Światowego Dnia Pokoju, 1 stycznia 2015, 2.
[3] Deklaracja o stosunku Kościoła do religii niechrześcijańskich Nostra aetate, 5.
[4] Por. Przemówienie do uczestników międzynarodowej konferencji pokojowej. Centrum Konferencyjne Al-Azhar. Kair, 28 kwietnian2017, w: „L’Osservatore Romano”, wyd. pl. n. 5 (392)/2017, s. 5.
[5] Fiodor Dostojewski, Bracia Karamazow, II, 2, Warszawa, 1959 s. 55.
[6] Audiencja generalna 28 października 2015, w: L’Osservatore Romano, wyd. pl. n. 11 (377)/2015, s. 38.
[7] Por. TERENCJUSZ, Heautontimorumenos, 1,1,25
[00174-PL.02] [Testo originale: Italiano]
[B0096-XX.02]