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Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, 06.01.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 10 di questa mattina, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annuncio del giorno di Pasqua che quest’anno si celebra il 21 aprile:

Omelia del Santo Padre

Epifania: la parola indica la manifestazione del Signore, il quale, come dice san Paolo nella seconda Lettura (cfr Ef 3,6), si rivela a tutte le genti, rappresentate oggi dai Magi. Si svela così la bellissima realtà di Dio venuto per tutti: ogni nazione, lingua e popolazione è da Lui accolta e amata. Simbolo di questo è la luce, che tutto raggiunge e illumina.

Ora, se il nostro Dio si manifesta per tutti, desta tuttavia sorpresa come si manifesta. Nel Vangelo è narrato un via-vai attorno al palazzo del re Erode, proprio mentre Gesù è presentato come re: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (Mt 2,2), domandano i Magi. Lo troveranno, ma non dove pensavano: non nel palazzo regale di Gerusalemme, ma in un’umile dimora a Betlemme. Lo stesso paradosso emergeva a Natale, quando il Vangelo parlava del censimento di tutta la terra ai tempi dell’imperatore Augusto e del governatore Quirinio (cfr Lc 2,2). Ma nessuno dei potenti di allora si rese conto che il Re della storia nasceva al loro tempo. E ancora, quando Gesù, sui trent’anni, si manifesta pubblicamente, precorso da Giovanni il Battista, il Vangelo offre un’altra solenne presentazione del contesto, elencando tutti i “grandi” di allora, potere secolare e spirituale: Tiberio Cesare, Ponzio Pilato, Erode, Filippo, Lisania, i sommi sacerdoti Anna e Caifa. E conclude: «la Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto» (Lc 3,2). Dunque su nessuno dei grandi, ma su un uomo che si era ritirato nel deserto. Ecco la sorpresa: Dio non sale alla ribalta del mondo per manifestarsi.

Ascoltando quella lista di personaggi illustri, potrebbe venire la tentazione di “girare le luci” su di loro. Potremmo pensare: sarebbe stato meglio se la stella di Gesù fosse apparsa a Roma sul colle Palatino, dal quale Augusto regnava sul mondo; tutto l’impero sarebbe diventato subito cristiano. Oppure, se avesse illuminato il palazzo di Erode, questi avrebbe potuto fare del bene, anziché del male. Ma la luce di Dio non va da chi splende di luce propria. Dio si propone, non si impone; illumina, ma non abbaglia. È sempre grande la tentazione di confondere la luce di Dio con le luci del mondo. Quante volte abbiamo inseguito i seducenti bagliori del potere e della ribalta, convinti di rendere un buon servizio al Vangelo! Ma così abbiamo girato le luci dalla parte sbagliata, perché Dio non era lì. La sua luce gentile risplende nell’amore umile. Quante volte poi, come Chiesa, abbiamo provato a brillare di luce propria! Ma non siamo noi il sole dell’umanità. Siamo la luna, che, pur con le sue ombre, riflette la luce vera, il Signore. La Chiesa è il mysterium lunae e il Signore è la luce del mondo (cfr Gv 9,5). Lui, non noi.

La luce di Dio va da chi la accoglie. Isaia nella prima Lettura (cfr 60,2) ci ricorda che la luce divina non impedisce alle tenebre e alle nebbie fitte di ricoprire la terra, ma risplende in chi è disposto a riceverla. Perciò il profeta rivolge un invito, che interpella ciascuno: «Àlzati, rivestiti di luce» (60,1). Occorre alzarsi, cioè levarsi dalla propria sedentarietà e disporsi a camminare. Altrimenti si rimane fermi, come gli scribi consultati da Erode, i quali sapevano bene dov’era nato il Messia, ma non si mossero. E poi bisogna rivestirsi di Dio che è la luce, ogni giorno, finché Gesù diventi il nostro abito quotidiano. Ma per indossare l’abito di Dio, che è semplice come la luce, bisogna prima dismettere i vestiti pomposi. Altrimenti si fa come Erode, che alla luce divina preferiva le luci terrene del successo e del potere. I Magi, invece, realizzano la profezia, si alzano per essere rivestiti di luce. Essi soli vedono la stella in cielo: non gli scribi, non Erode, nessuno a Gerusalemme. Per trovare Gesù c’è da impostare un itinerario diverso, c’è da prendere una via alternativa, la sua, la via dell’amore umile. E c’è da mantenerla. Infatti, il Vangelo odierno conclude dicendo che i Magi, incontrato Gesù, «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12). Un’altra strada, diversa da quella di Erode. Una via alternativa al mondo, come quella percorsa da quanti a Natale stanno con Gesù: Maria e Giuseppe, i pastori. Essi, come i Magi, hanno lasciato le loro dimore e sono diventati pellegrini sulle vie di Dio. Perché solo chi lascia i propri attaccamenti mondani per mettersi in cammino trova il mistero di Dio.

Vale anche per noi. Non basta sapere dove Gesù è nato, come gli scribi, se non raggiungiamo quel dove. Non basta sapere che Gesù è nato, come Erode, se non lo incontriamo. Quando il suo dove diventa il nostro dove, il suo quando il nostro quando, la sua persona la nostra vita, allora le profezie si compiono in noi. Allora Gesù nasce dentro e diventa Dio vivo per me. Oggi, fratelli e sorelle, siamo invitati a imitare i Magi. Essi non discutono, no, camminano; non rimangono a guardare, ma entrano nella casa di Gesù; non si mettono al centro, ma si prostrano a Lui, che è il centro; non si fissano nei loro piani, ma si dispongono a prendere altre strade. Nei loro gesti c’è un contatto stretto col Signore, un’apertura radicale a Lui, un coinvolgimento totale in Lui. Con Lui utilizzano il linguaggio dell’amore, la stessa lingua che Gesù, ancora infante, già parla. Infatti i Magi vanno dal Signore non per ricevere, ma per donare. Ci chiediamo: a Natale abbiamo portato qualche dono a Gesù, per la sua festa, o ci siamo scambiati regali solo tra di noi?

Se siamo andati dal Signore a mani vuote, oggi possiamo rimediare. Il Vangelo riporta infatti, per così dire, una piccola lista-regali: oro, incenso e mirra. L’oro, ritenuto l’elemento più prezioso, ricorda che a Dio va dato il primo posto. Va adorato. Ma per farlo bisogna privare sé stessi del primo posto e credersi bisognosi, non autosufficienti. Ecco allora l’incenso, a simboleggiare la relazione col Signore, la preghiera, che come profumo sale a Dio (cfr Sal 141,2). Ma, come l’incenso per profumare deve bruciare, così per la preghiera occorre “bruciare” un po’ di tempo, spenderlo per il Signore. E farlo davvero, non solo a parole. A proposito di fatti, ecco la mirra, unguento che verrà utilizzato per avvolgere con amore il corpo di Gesù deposto dalla croce (cfr Gv 19,39). Il Signore gradisce che ci prendiamo cura dei corpi provati dalla sofferenza, della sua carne più debole, di chi è rimasto indietro, di chi può solo ricevere senza dare nulla di materiale in cambio. È preziosa agli occhi di Dio la misericordia verso chi non ha da restituire, la gratuità! È preziosa agli occhi di Dio la gratuità. In questo tempo di Natale che volge al termine, non perdiamo l’occasione per fare un bel regalo al nostro Re, venuto per tutti non sui palcoscenici fastosi del mondo, ma nella povertà luminosa di Betlemme. Se lo faremo, la sua luce risplenderà su di noi.

[00022-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Epiphanie: ce mot signifie la manifestation du Seigneur, qui, comme le dit saint Paul dans la deuxième lecture (cf. Ep. 3,6), se révèle à tous les peuples, représentés aujourd’hui par les Mages. Se dévoile ainsi la merveilleuse réalité de Dieu qui est venu pour tous: toutes les nations, langues et peuples sont accueillis par lui et aimés de lui. Le symbole de cela est la lumière qui rejoint et illumine toutes choses.

Maintenant, si notre Dieu se manifeste à tous, il est cependant surprenant de constater de quelle façon il se manifeste. Dans l’Évangile est raconté un va-et-vient autour du palais du roi Hérode, alors même que Jésus est présenté comme roi: «Où est le roi des Juifs qui vient de naître?» (Mt 2,2), demandent les Mages. Ils le trouveront, mais pas là où ils pensaient: non pas dans le palais royal de Jérusalem, mais dans une humble demeure à Bethléem. Le même paradoxe émergeait à Noël, quand l’Évangile parlait du recensement de toute la terre à l’époque de l’empereur Auguste et du gouverneur Quirinius (cf. Lc 2,2). Mais aucun des puissants d’alors n’a réalisé que le Roi de l’histoire était né en leur temps. Et encore, quand Jésus, âgé d’une trentaine d’années, se manifeste publiquement, précédé par Jean le Baptiste, l’Évangile offre une autre présentation solennelle du contexte, en énumérant tous les "grands" d’alors, les pouvoirs séculiers et spirituels: l’empereur Tibère, Ponce Pilate, Hérode, Philippe, Lysanias, les grands prêtres Hanne et Caïphe. Et il conclut: «la Parole de Dieu fut adressée dans le désert à Jean» (Lc 3,2). Donc à aucun des grands, mais à un homme qui s’était retiré dans le désert. Voilà la surprise: Dieu ne s’élève pas au-devant de la scène du monde pour se manifester.

En écoutant cette liste de personnages illustres, pourrait surgir la tentation de "tourner les projecteurs" sur eux. Nous pourrions penser: c’eût été meilleur si l’étoile de Jésus était apparue à Rome, sur la colline du Palatin, d’où Auguste régnait sur le monde; tout l’empire serait devenu immédiatement chrétien. Ou, s’il avait illuminé le palais d’Hérode, celui-ci aurait pu faire le bien, plutôt que le mal. Mais la lumière de Dieu ne va pas chez celui qui brille de sa propre lumière. Dieu se propose, il ne s’impose pas; il éclaire, mais il n’éblouit pas. C’est toujours une grande tentation de confondre la lumière de Dieu et les lumières du monde. Combien de fois nous avons suivi les éclats séduisants du pouvoir et de la scène, convaincus de rendre un bon service à l’Évangile! Mais nous avons ainsi détourné les lumières du mauvais côté, parce que Dieu n’était pas là. Sa douce lumière resplendit dans l’amour humble. Combien de fois, en tant qu’Église, nous avons essayé de briller de notre propre lumière! Mais nous ne sommes pas le soleil de l’humanité. Nous sommes la lune, qui, même avec ses ombres, reflète la lumière véritable, le Seigneur. L’Église est le mysterium lunae et le Seigneur est la lumière du monde (cf. Jn 9,5). Lui, non pas nous.

La lumière de Dieu va chez celui qui l’accueille. Isaïe, dans la première lecture (cf. 60,2) nous rappelle que la lumière divine n’empêche pas les ténèbres et les brumes épaisses de recouvrir la terre, mais qu’elle resplendit en celui qui est disposé à la recevoir. C’est pourquoi le prophète lance une invitation qui interpelle chacun de nous: «Debout, resplendis» (60,1). Il faut se mettre debout, c’est-à-dire se lever de sa propre sédentarité et se disposer à marcher. Autrement on reste immobile, comme les scribes consultés par Hérode, qui savaient bien où devait naître le Messie, mais qui n’ont pas bougé. Et puis il est nécessaire de se revêtir de Dieu qui est la lumière, chaque jour, jusqu’à ce que Jésus devienne notre vêtement quotidien. Mais pour mettre l’habit de Dieu, qui est simple comme la lumière, il faut d’abord se défaire des vêtements somptueux. Autrement on fait comme Hérode qui, à la lumière divine, préférait les lumières terrestres du succès et du pouvoir. Les Mages, au contraire, réalisent la prophétie, ils se lèvent pour être revêtus de lumière. Eux seuls voient l’étoile dans le ciel: ni les scribes, ni Hérode, personne à Jérusalem. Pour trouver Jésus, il faut déterminer un itinéraire différent, il faut prendre une voie alternative, la sienne, la voie de l’amour humble. Et il faut s’y maintenir. En effet l’Évangile de ce jour conclut en disant que les Mages, ayant rencontré Jésus, «regagnèrent leur pays par un autre chemin» (Mt 2, 12). Un autre chemin, différent de celui d’Hérode. Une voie alternative au monde, comme celle suivie par ceux qui à Noël sont avec Jésus: Marie et Joseph, les bergers. Eux, comme les Mages, ont laissé leurs maisons et sont devenus pèlerins sur les chemins de Dieu. Parce que seul celui qui abandonne ses attachements mondains pour se mettre en chemin trouve le mystère de Dieu.

C’est aussi valable pour nous. Il ne suffit pas de savoir où Jésus est né, comme les scribes, si nous ne rejoignons pas ce . Quand son devient le nôtre, que son quand devient notre quand, sa personne notre vie, alors les prophéties s’accomplissent en nous. Alors Jésus naît au-dedans de nous et il devient Dieu vivant pour moi. Aujourd’hui, frères et sœurs, nous sommes invités à imiter les Mages. Ils ne discutent pas, mais ils marchent; ils ne restent pas à regarder, mais ils entrent dans la maison de Jésus; ils ne se mettent pas au centre, mais ils se prosternent devant lui qui est le centre; ils ne se fixent pas sur leurs plans, mais ils se disposent à prendre d’autres chemins. Dans leurs actes, il y a un contact étroit avec le Seigneur, une ouverture radicale à lui, une implication totale en lui. Avec lui, ils utilisent le langage de l’amour, la même langue que Jésus, encore enfant, parle déjà. En effet, les Mages vont chez le Seigneur non pas pour recevoir, mais pour donner. Demandons-nous: à Noël avons-nous porté un cadeau à Jésus, pour sa fête, ou avons-nous échangé des cadeaux seulement entre nous?

Si nous sommes allés chez le Seigneur les mains vides, aujourd’hui nous pouvons y remédier. L’֤Évangile présente, en effet, pour ainsi dire, une petite liste de cadeaux: l’or, l’encens et la myrrhe. L’or, considéré comme l’élément le plus précieux, rappelle qu’à Dieu revient la première place. Il doit être adoré. Mais pour le faire, il est nécessaire de se priver soi-même de la première place et de se reconnaître pauvres, et non pas autosuffisants. Voilà alors l’encens, pour symboliser la relation avec le Seigneur, la prière, qui comme un parfum monte vers Dieu (cf. Ps 141,2). Mais, comme l’encens doit brûler pour parfumer, ainsi faut-il pour la prière "brûler" un peu de temps, le dépenser pour le Seigneur. Et le faire vraiment, pas seulement en paroles. A propos des faits, voici la myrrhe, un onguent qui sera utilisé pour envelopper avec amour le corps de Jésus descendu de la croix (cf. Jn 19,39). Le Seigneur désire que nous prenions soin des corps éprouvés par la souffrance, de sa chair la plus faible, de celui qui est laissé en arrière, de celui qui peut seulement recevoir sans rien donner de matériel en échange. Elle est précieuse aux yeux de Dieu la miséricorde envers celui qui n’a rien à redonner, la gratuité! Elle est précieuse aux yeux de Dieu la gratuité. En ce temps de Noël qui arrive à sa fin, ne perdons pas l’occasion de faire un beau cadeau à notre Roi, venu pour tous, non pas sur les scènes somptueuses du monde, mais dans la pauvreté lumineuse de Bethléem. Si nous le faisons, sa lumière resplendira sur nous.

[00022-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

          Epiphany: this word indicates the manifestation of the Lord, who, as Saint Paul tells us in the second reading (cf. Eph 3:6), makes himself known to all the nations, today represented by the Magi.  In this way, we see revealed the glory of a God who has come for everyone: every nation, language and people is welcomed and loved by him.  It is symbolized by the light, which penetrates and illumines all things.

          Yet if our God makes himself known for everyone, it is even more surprising how he does so.  The Gospel speaks of a hum of activity around the palace of King Herod once Jesus appears as a king.  The Magi ask: “Where is the child who has been born king of the Jews?” (Mt 2:2).  They will find him, but not where they thought: not in the royal palace of Jerusalem, but in a humble abode in Bethlehem.  We saw this same paradox at Christmas.  The Gospel spoke of the census of the entire world taken in the days of the Emperor Augustus, when Quirinius was governor (cf. Lk 2:2).  But none of the great men of that time realized that the King of history was being born in their own time.  Again, when Jesus, some thirty years of age, made himself known publicly, preceded by John the Baptist, the Gospel once more solemnly situates the event, listing all the “magnates” of the time, the great secular and spiritual powers: Tiberius Caesar, Pontius Pilate, Herod, Philip, Lysanias, the high priests Annas and Caiaphas.  And it concludes by saying that, at that time, “the word of God came to John, the son of Zechariah, in the wilderness” (Lk 3:2).  To none of the magnates, but to a man who had withdrawn to the desert.  Here is the surprise: God does not need the spotlights of the world to make himself known.

          When we listen to that list of distinguished personages, we might be tempted to turn the spotlight on them.  We might think that it would have been better had the star of Jesus appeared in Rome, on the Palatine Hill, where Augustus ruled over the world; then the whole empire would immediately have become Christian.  Or if it had shone on the palace of Herod, he might have done good rather than evil.  But God’s light does not shine on those who shine with their own light.  God “proposes” himself; he does not “impose” himself.  He illumines; he does not blind.  It is always a very tempting to confuse God’s light with the lights of the world.  How many times have we pursued the seductive lights of power and celebrity, convinced that we are rendering good service to the Gospel!  But by doing so, have we not turned the spotlight on the wrong place, because God was not there.  His kindly light shines forth in humble love.  How many times too, have we, as a Church, attempted to shine with our own light!  Yet we are not the sun of humanity.  We are the moon that, despite its shadows, reflects the true light, which is the Lord.  The Church is the mysterium lunae and the Lord is the light of the world (cf. Jn 9:5).  Him, not us.

          The light of God shines on those who receive it.  Isaiah, in the first reading (cf. 60:2), tells us that that light does not prevent the darkness and the thick clouds from covering the earth, but shines forth on those prepared to accept it.  And so, the prophet addresses a challenging summons to everyone: “Arise, shine” (60:1).  We need to arise, to get up from our sedentary lives and prepare for a journey.  Otherwise, we stand still, like the scribes that Herod consulted; they knew very well where the Messiah was born, but they did not move.  We also need to shine, to be clothed in God who is light, day by day, until we are fully clothed in Jesus.  Yet to be clothed in God, who like the light is simple, we must first put aside our pretentious robes.  Otherwise, we will be like Herod, who preferred the earthly lights of success and power to the divine light.  The Magi, instead, fulfil the prophecy.  They arise and shine, and are clothed in light.  They alone see the star in the heavens: not the scribes, nor Herod, nor any of the inhabitants of Jerusalem.

          In order to find Jesus, we also need to take a different route, to follow a different path, his path, the path of humble love.  And we have to persevere.  Today’s Gospel ends by saying that the Magi, after encountering Jesus, “left for their own country by another road” (Mt 2:12).  Another road, different from that of Herod.  An alternative route than that of the world, like the road taken by those who surround Jesus at Christmas: Mary and Joseph, the shepherds.  Like the Magi, they left home and became pilgrims on the paths of God.  For only those who leave behind their worldly attachments and undertake a journey find the mystery of God.

          This holds true for us too.  It is not enough to know where Jesus was born, as the scribes did, if we do not go there.  It is not enough to know that Jesus was born, like Herod, if we do not encounter him.  When his place becomes our place, when his time becomes our time, when his person becomes our life, then the prophecies come to fulfilment in us.  Then Jesus is born within us.  He becomes the living God for me.  Today we are asked to imitate the Magi.  They do not debate; they set out.  They do not stop to look, but enter the house of Jesus.  They do not put themselves at the centre, but bow down before the One who is the centre.  They do not remain glued to their plans, but are prepared to take other routes.  Their actions reveal a close contact with the Lord, a radical openness to him, a total engagement with him.  With him, they use the language of love, the same language that Jesus, though an infant, already speaks.  Indeed, the Magi go to the Lord not to receive, but to give.  Let us ask ourselves this question: at Christmas did we bring gifts to Jesus for his party, or did we only exchange gifts among ourselves?   

          If we went to the Lord empty-handed, today we can remedy that.   The Gospel, in some sense, gives us a little “gift list”: gold, frankincense and myrrh.  Gold, the most precious of metals, reminds us God has to be granted first place; he has to be worshiped.  But do that, we need to remove ourselves from the first place and to recognize our neediness, the fact that we are not self-sufficient.  Then there is frankincense, which symbolizes a relationship with the Lord, prayer, which like incense rises up to God (cf. Ps 141:2).   Just as incense must burn in order to yield its fragrance, so too, in prayer, we need to “burn” a little of our time, to spend it with the Lord.  Not just in words, but also by our actions.  We see this in the myrrh, the ointment that would be lovingly used to wrap the body of Jesus taken down from the cross (cf. Jn 19:39).  The Lord is pleased when we care for bodies racked by suffering, the flesh of the vulnerable, of those left behind, of those who can only receive without being able to give anything material in return.  Precious in the eyes of God is mercy shown to those who have nothing to give back.  Gratuitousness!  Gratuitousness is precious in God’s eyes.

          In this Christmas season now drawing to its close, let us not miss the opportunity to offer a precious gift to our King, who came to us not in worldly pomp, but in the luminous poverty of Bethlehem.  If we can do this, his light will shine upon us.

[00022-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Epiphanie: Dieses Wort deutet auf die Erscheinung des Herrn hin, der sich, wie der heilige Paulus in der zweiten Lesung (vgl. Eph 3,6) sagt, allen Völkern offenbart. Diese werden heute von den Weisen verkörpert. So enthüllt sich die wunderschöne Wirklichkeit Gottes, der für alle gekommen ist: jede Nation, jede Sprache und jedes Volk ist von ihn angenommen und geliebt. Symbol dafür ist das Licht, das alles erreicht und erleuchtet.

Nun, da sich unser Gott allen offenbart, überrascht es trotzdem, wie er sich offenbart. Im Evangelium wird von einem Hin und Her rund um dem Palast des Königs Herodes berichtet, gerade als Jesus als König vorgestellt wird: »Wo ist der neugeborene König der Juden?« (Mt 2,2), fragen die Weisen. Sie werden ihn finden, aber nicht dort, wo sie gedacht hatten: nicht im königlichen Palast in Jerusalem, sondern in einer bescheidenen Wohnstätte in Betlehem. Dasselbe Paradox hat sich auch zu Weihnachten gezeigt, als das Evangelium von der Volkszählung auf dem ganzen Erdkreis zur Zeit Kaiser Augustus’ und des Statthalters Quirinius (vgl. Lk 2,2) berichtete. Doch keiner der Mächtigen damals war sich bewusst, dass der Herr der Geschichte zu ihrer Zeit geboren wurde. Und als Jesus nach seinem Vorläufer Johannes dem Täufer mit etwa dreißig Jahren öffentlich auftritt, bietet das Evangelium eine weitere feierliche Darstellung des Kontextes in Form einer Aufzählung aller damaligen „Großen“ der weltlichen und geistlichen Macht: Kaiser Tiberius, Pontius Pilatus, Herodes, Philippus, Lysanias sowie die Hohepriester Hannas und Kajaphas. Und am Schluss heißt es: »Da erging in der Wüste das Wort Gottes an Johannes« (Lk 3,2). Es erging also nicht an einen der Großen, sondern an einen Menschen, der sich in die Wüste zurückgezogen hatte. Das ist die Überraschung: Gott tritt nicht in das Rampenlicht der Welt, um sich zu offenbaren.

Beim Hören dieser Liste berühmter Persönlichkeiten könnte die Versuchung aufkommen, die „Schweinwerfer auf sie zu richten“. Wir könnten denken: Es wäre besser gewesen, wenn der Stern Jesu in Rom über dem Palatin erschienen wäre, von dem aus Augustus die Welt regierte; das ganze Reich wäre sofort christlich geworden. Oder wenn er den Palast des Herodes erleuchtet hätte, dann hätte dieser Gutes statt Böses tun können. Aber das Licht Gottes kommt nicht zu dem, der durch eigenes Licht glänzt. Gott bietet sich an, er drängt sich nicht auf; er leuchtet, aber er blendet nicht. Stets ist die Versuchung groß, das Licht Gottes mit den Lichtern der Welt zu verwechseln. Wie oft sind wir dem verlockenden Leuchten der Macht und des Rampenlichtes gefolgt in der Überzeugung, dem Evangelium einen guten Dienst zu tun! Aber so haben wir die Scheinwerfer auf die falsche Seite gerichtet, denn Gott war nicht dort. Sein mildes Licht strahlt in der demütigen Liebe. Wie viele Male schließlich haben wir als Kirche versucht, mit dem eigenen Licht zu scheinen! Aber wir sind nicht die Sonne der Menschheit. Wir sind der Mond, der, selbst mit seinem Schatten, das wahre Licht widerstrahlt, den Herrn. Die Kirche ist das mysterium lunae, und der Herr ist das Licht der Welt (vgl. Joh 9,5). Er, nicht wir.

Das Licht Gottes kommt zu dem, der es aufnimmt. Jesaja weist uns in der ersten Lesung darauf hin, dass das göttliche Licht die Finsternis und das Dunkel nicht daran hindert, die Erde zu bedecken (vgl. 60,2), sondern in demjenigen leuchtet, der bereit ist, es aufzunehmen. Darum spricht der Prophet eine Einladung aus, die jeden aufruft: »Steh auf, werde licht« (60,1). Es ist nötig aufzustehen, das heißt sich aus der eigenen sitzenden Lebensweise zu erheben und sich bereit zu machen zu gehen. Andernfalls bleibt man stehen wie die von Herodes befragten Schriftgelehrten, die wohl wussten, wo der Messias geboren wurde, sich aber nicht in Bewegung setzten. Und dann ist es nötig, sich mit Gott zu bekleiden, der das Licht ist, jeden Tag, bis Jesus unser alltägliches Gewand wird. Um aber das Gewand Gottes anzuziehen, das einfach ist wie das Licht, muss man zuerst die eigenen prunkvollen Kleider ablegen. Andernfalls handelt man wie Herodes, der den irdischen Glanz des Erfolges und der Macht dem göttlichen Licht vorgezogen hat. Die Weisen hingegen verwirklichen die Prophezeiung, sie stehen auf, um licht zu werden. Nur sie sehen den Stern am Himmel: nicht die Schriftgelehrten, nicht Herodes, niemand in Jerusalem. Um Jesus zu finden, muss man eine andere Route festlegen, einen alternativen Weg gehen, seinen Weg, den Weg der demütigen Liebe. Und man muss auf ihm bleiben. Denn das heutige Evangelium schließt damit ab, dass die Weisen nach ihrer Begegnung mit Jesus »auf einem anderen Weg heim in ihr Land« zogen (Mt 2,12). Ein anderer Weg, der sich von dem des Herodes unterscheidet. Einen von der Welt verschiedenen Weg, wie ihn die gegangen sind, die zu Weihnachten bei Jesus sind: Maria und Josef, die Hirten. Wie die Weisen haben sie ihre Wohnstätten verlassen und wurden zu Pilgern auf den Wegen Gottes. Nur wer die eigene Anhänglichkeit an die Welt verlässt, um sich auf den Weg zu machen, findet das Geheimnis Gottes.

Das gilt auch für uns. Es genügt nicht, wie die Schriftgelehrten zu wissen, wo Jesus geboren ist, wenn wir nicht dieses Wo erreichen. Es genügt nicht, wie Herodes zu wissen, dass Jesus geboren ist, wenn wir nicht ihm begegnen. Wenn sein Wo unser Wo wird, sein Wann unser Wann, seine Person unser Leben, dann erfüllen sich die Prophezeiungen an uns. Dann wird Jesus in uns geboren und er wird der lebendige Gott für mich. Heute, liebe Brüder und Schwestern, sind wir eingeladen, die Weisen nachzuahmen. Sie diskutieren nicht, nein, sie gehen; sie bleiben nicht stehen, um zu schauen, sondern treten in das Haus Jesu ein; sie stellen sich nicht in den Mittelpunkt, sondern werfen sich vor ihm nieder, der die Mitte ist; sie versteifen sich nicht auf ihre Pläne, sondern stellen sich darauf ein, andere Wege zu gehen. In ihrem Tun zeigt sich eine enge Verbindung zum Herrn, eine radikale Öffnung auf ihn hin, eine tiefe Beteiligung in ihm. Mit ihm gebrauchen sie die Sprache der Liebe, dieselbe Sprache, die Jesus schon als Kind spricht. Denn die Weisen gehen nicht zum Herrn, um zu empfangen, sondern um zu geben. Fragen wir uns: Haben wir zu Weihnachten Jesus zu seinem Fest ein Geschenk gebracht oder haben wir nur untereinander Geschenke ausgetauscht?

Wenn wir mit leeren Händen zum Herrn gekommen sind, können wir es heute wiedergutmachen. Das Evangelium zählt nämlich sozusagen eine kleine Geschenkliste auf: Gold, Weihrauch und Myrrhe. Das Gold, das als das kostbarste Element gilt, erinnert daran, dass Gott der erste Platz gegeben werden muss. Er muss angebetet werden. Um aber dies zu tun, muss man selber auf den ersten Platz verzichten, sich für bedürftig halten und nicht meinen, sich selbst zu genügen. Dann ist da der Weihrauch, der die Beziehung zum Herrn symbolisiert, das Gebet, das wie ein Räucheropfer zu Gott aufsteigt (vgl. Ps 141,2). Wie aber der Weihrauch verbrannt werden muss, damit er duftet, so muss man für das Gebet ein wenig Zeit „verbrennen“, sie für den Herrn aufwenden. Und man muss es wirklich tun, nicht bloß sagen. In Bezug auf das Tun ist da die Myrrhe, eine Salbe, die verwendet werden wird, um nach der Kreuzabnahme den Leichnam des Herrn liebevoll einzuwickeln (vgl. Joh 19,39). Der Herr möchte, dass wir uns um die vom Leiden mitgenommenen Körper kümmern, um die schwächsten Glieder seines Leibes, um den, der auf der Strecke geblieben ist, um den, der nur empfangen kann, ohne etwas materiell zurückgeben zu können. Wertvoll ist in den Augen Gottes die Barmherzigkeit gegenüber dem, der nichts zurückgeben kann, die Unentgeltlichkeit! Wertvoll ist in den Augen Gottes die Unentgeltlichkeit! In dieser zu Ende gehenden Weihnachtszeit lasst uns nicht die Gelegenheit verpassen, unserem König ein schönes Geschenk zu machen. Er ist für alle gekommen, nicht auf den prächtigen Bühnen der Welt, sondern in der strahlenden Armut von Betlehem. Wenn wir dies tun, wird sein Licht über uns leuchten.

[00022-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Epifanía: la palabra indica la manifestación del Señor quien, como dice san Pablo en la segunda lectura (cf. Ef 3,6), se revela a todas las gentes, representadas hoy por los magos. Se desvela de esa manera la hermosa realidad de Dios que viene para todos: Toda nación, lengua y pueblo es acogido y amado por él. Su símbolo es la luz, que llega a todas partes y las ilumina.

Ahora bien, si nuestro Dios se manifiesta a todos, sin embargo, produce sorpresa cómo se manifiesta. El evangelio narra un ir y venir entorno al palacio del rey Herodes, precisamente cuando Jesús es presentado como rey: «¿Dónde está el Rey de los judíos que ha nacido?» (Mt 2,2), preguntan los magos. Lo encontrarán, pero no donde pensaban: no está en el palacio real de Jerusalén, sino en una humilde morada de Belén. Asistimos a la misma paradoja en Navidad, cuando el evangelio nos hablaba del censo de toda la tierra en tiempos del emperador Augusto y del gobernador Quirino (cf. Lc 2,2). Pero ninguno de los poderosos de entonces se dio cuenta de que el Rey de la historia nacía en ese momento. E incluso, cuando Jesús se manifiesta públicamente a los treinta años, precedido por Juan el Bautista, el evangelio ofrece otra solemne presentación del contexto, enumerando a todos los “grandes” de entonces, poder secular y espiritual: el emperador Tiberio, Poncio Pilato, Herodes, Filipo, Lisanio, los sumos sacerdotes Anás y Caifás. Y concluye: «Vino la palabra de Dios sobre Juan en el desierto» (Lc 3,2). Por tanto, no sobre alguno de los grandes, sino sobre un hombre que se había retirado en el desierto. Esta es la sorpresaHe aquí la sorpresa: Dios no se manifiesta ocupando el centro de la escena.

Al oír esa lista de personajes ilustres, podríamos tener la tentación de “poner el foco de luz” sobre ellos. Podríamos pensar: habría sido mejor si la estrella de Jesús se hubiese aparecido en Roma sobre el monte Palatino, desde el que Augusto reinaba en el mundo; todo el imperio se habría hecho enseguida cristiano. O también, si hubiese iluminado el palacio de Herodes, este podría haber hecho el bien, en vez del mal. Pero la luz de Dios no va a aquellos que brillan con luz propia. Dios se propone, no se impone; ilumina, pero no deslumbra. Es siempre grande la tentación de confundir la luz de Dios con las luces del mundo. Cuántas veces hemos seguido los seductores resplandores del poder y de la fama, convencidos de prestar un buen servicio al evangelio. Pero así hemos vuelto el foco de luz hacia la parte equivocada, porque Dios no está allí. Su luz tenue brilla en el amor humilde. Cuántas veces, incluso como Iglesia, hemos intentado brillar con luz propia. Pero nosotros no somos el sol de la humanidad. Somos la luna que, a pesar de sus sombras, refleja la luz verdadera, el Señor. La Iglesia es el mysterium lunae y el Señor Él es la luz de mundo (cf. Jn 9,5); él, no nosotros.

La luz de Dios va a quien la acoge. En la primera lectura, Isaías nos recuerda que la luz divina no impide que las tinieblas y la oscuridad cubran la tierra, pero resplandece en quien está dispuesto a recibirla (cf. 60,2). Por eso el profeta dirige una llamada, que nos interpela a cada uno: «Levántate y resplandece, porque llega tu luz» (60,1). Es necesario levantarse, es decir sobreponerse a nuestro sedentarismo y disponerse a caminar, de lo contrario, nos quedaremos parados, como los escribas consultados por Herodes, que sabían bien dónde había nacido el Mesías, pero no se movieron. Y después, es necesario revestirse de Dios que es la luz, cada día, hasta que Jesús se convierta en nuestro vestido cotidiano. Pero para vestir el traje de Dios, que es sencillo como la luz, es necesario despojarse antes de los vestidos pomposos, en caso contrario seríamos como Herodes, que a la luz divina prefirió las luces terrenas del éxito y del poder. Los magos, sin embargo, realizan la profecía, se levantan para ser revestidos de la luz. Solo ellos ven la estrella en el cielo; no los escribas, ni Herodes, ni ningún otro en Jerusalén. Para encontrar a Jesús hay que plantearse un itinerario distinto, hay que tomar un camino alternativo, el suyo, el camino del amor humilde. Y hay que mantenerlo. De hecho, el Evangelio de este día concluye diciendo que los magos, una vez que encontraron a Jesús, «se retiraron a su tierra por otro camino» (Mt 2,12). Otro camino, distinto al de Herodes. Un camino alternativo al mundo, como el que han recorrido todos los que en Navidad están con Jesús: María y José, los pastores. Ellos, como los magos, han dejado sus casas y se han convertido en peregrinos por los caminos de Dios. Porque solo quien deja los propios afectos mundanos para ponerse en camino encuentra el misterio de Dios.

Vale también para nosotros. No basta saber dónde nació Jesús, como los escribas, si no alcanzamos ese dónde. No basta saber, como Herodes, que Jesús nació si no lo encontramos. Cuando su dónde se convierte en nuestro dónde, su cuándo en nuestro cuándo, su persona en nuestra vida, entonces las profecías se cumplen en nosotros. Entonces Jesús nace dentro y se convierte en Dios vivo para mí. Hoy, hermanos y hermanas, estamos invitados a imitar a los magos. Ellos no discuten, sino que caminan; no se quedan mirando, sino que entran en la casa de Jesús; no se ponen en el centro, sino que se postran ante él, que es el centro; no se empecinan en sus planes, sino que se muestran disponibles a tomar otros caminos. En sus gestos hay un contacto estrecho con el Señor, una apertura radical a él, una implicación total con él. Con él utilizan el lenguaje del amor, la misma lengua que Jesús ya habla, siendo todavía un infante. De hecho, los magos van al Señor no para recibir, sino para dar. Preguntémonos: ¿Hemos llevado algún presente a Jesús para su fiesta en Navidad, o nos hemos intercambiado regalos solo entre nosotros?

Si hemos ido al Señor con las manos vacías, hoy lo podemos remediar. El evangelio nos muestra, por así decirlo, una pequeña lista de regalos: oro, incienso y mirra. El oro, considerado el elemento más precioso, nos recuerda que a Dios hay que darle siempre el primer lugar. Se le adora. Pero para hacerlo es necesario que nosotros mismos cedamos el primer puesto, no considerándonos autosuficientes sino necesitados. Luego está el incienso, que simboliza la relación con el Señor, la oración, que como un perfume sube hasta Dios (cf. Sal 141,2). Pero, así como el incienso necesita quemarse para perfumar, la oración necesita también “quemar” un poco de tiempo, gastarlo para el Señor. Y hacerlo de verdad, no solo con palabras. A propósito de hechos, ahí está la mirra, el ungüento que se usará para envolver con amor el cuerpo de Jesús bajado de la cruz (cf. Jn 19,39). El Señor agradece que nos hagamos cargo de los cuerpos probados por el sufrimiento, de su carne más débil, del que se ha quedado atrás, de quien solo puede recibir sin dar nada material a cambio. La gratuidad, la misericordia hacia el que no puede restituir es preciosa a los ojos de Dios. La gratuidad es preciosa a los ojos de Dios. En este tiempo de Navidad que llega a su fin, no perdamos la ocasión de hacer un hermoso regalo a nuestro Rey, que vino por nosotros, no sobre los fastuosos escenarios del mundo, sino sobre la luminosa pobreza de Belén. Si lo hacemos así, su luz brillará sobre nosotros.

[00022-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Epifania: esta palavra indica a manifestação do Senhor, que Se revela – como diz São Paulo, na segunda Leitura (cf. Ef 3, 6) – aos gentios, hoje representados pelos Magos. Desvenda-se, assim, a verdade sublime que Deus veio para todos: todas as nações, línguas e povos são acolhidos e amados por Ele. Símbolo disso é a luz, que tudo alcança e ilumina.

Ora, se é verdade que o nosso Deus Se manifesta para todos, surpreende, porém, o modo como o faz. O Evangelho mostra-nos o redopio de gente desencadeado em torno do palácio do rei Herodes, precisamente quando se designa Jesus como rei: «Onde está – perguntam os Magos – o rei dos judeus que acaba de nascer?» (Mt 2, 2). Encontrá-Lo-ão, mas não onde pensavam: não no palácio real de Jerusalém, mas numa casa humilde de Belém. O mesmo paradoxo aparecera nos textos de Natal, quando o Evangelho falava do recenseamento de toda a terra no tempo do imperador Augusto e do governador Quirino (cf. Lc 2, 2). Mas, nenhum dos poderosos de então se apercebeu de ter nascido, nos seus dias, o Rei da história. E mais tarde quando Jesus – pelos trinta anos – Se manifesta publicamente, tendo João Batista como precursor, de novo o Evangelho nos proporciona uma solene apresentação do contexto: depois de elencar todos os «grandes» de então, tanto no poder secular como no religioso – Tibério César, Pôncio Pilatos, Herodes, Filipe, Lisânias, os sumos-sacerdotes Anás e Caifás –, conclui: «a Palavra de Deus foi dirigida a João, filho de Zacarias, no deserto» (Lc 3, 2), ou seja, a nenhum dos grandes foi dirigida, mas a um homem que se retirara para o deserto. Eis a surpresa: Deus não sobe à ribalta do mundo para Se manifestar.

Ao ouvir aquela lista de personagens ilustres, poderia vir a tentação de «fixar os holofotes» nelas. Poderíamos pensar: teria sido melhor se a estrela de Jesus aparecesse em Roma, na colina do Palatino, onde reinava Augusto sobre o mundo; todo o império ter-se-ia imediatamente tornado cristão. Ou então, se tivesse iluminado o palácio de Herodes, este teria podido fazer o bem em vez do mal. Mas, a luz de Deus não vai para quem brilha de luz própria. Deus propõe-Se, não Se impõe; ilumina, mas não encandeia. É sempre grande a tentação de confundir a luz de Deus com as luzes do mundo. Quantas vezes corremos atrás dos clarões sedutores do poder e da ribalta, convencidos que prestamos um bom serviço ao Evangelho! Mas, assim, voltamos os holofotes para o lado errado, porque Deus não estava lá. A sua luz amável resplandece no amor humilde. Além disso, quantas vezes tentamos, como Igreja, brilhar de luz própria! Mas, não somos nós o sol da humanidade; somos a lua que, mesmo com as suas sombras, reflete a luz verdadeira, o Senhor. A Igreja é mysterium lunae e o Senhor é a luz do mundo (cf. Jo 9, 5). Ele…, não nós!

A luz de Deus vai para quem a acolhe. Isaías, na primeira Leitura (cf. 60, 2), lembra-nos que a luz divina não impede as trevas e o nevoeiro denso de cobrirem a terra, mas resplandece em quem está pronto a recebê-la. Por isso, o profeta dirige um convite, que interpela a cada um: «Levanta-te e resplandece» (60, 1). É preciso levantar-se, isto é, erguer-se do próprio sedentarismo e prontificar-se a caminhar. Caso contrário, fica-se parado como os escribas consultados por Herodes, que sabiam bem onde nascera o Messias, mas não se moveram. Além disso, é preciso revestir-se de Deus – que é a luz – todos os dias, até que Jesus Se torne a nossa vestimenta diária. Mas, para usar a vestimenta de Deus, que é simples como a luz, primeiro é preciso desfazer-se das roupas pomposas. Caso contrário, faz-se como Herodes, que preferia as luzes terrenas do sucesso e do poder à luz divina. Ao invés, os Magos realizam a profecia, levantam-se para ser revestidos de luz. E são os únicos que veem a estrela no céu: nem os escribas, nem Herodes, ninguém em Jerusalém a viu. Para encontrar Jesus, deve-se planear um itinerário diferente, deve-se tomar outro caminho: o d’Ele, o caminho do amor humilde. E deve-se perseverar nele. De facto, na conclusão do Evangelho de hoje, diz-se que os Magos, tendo encontrado Jesus, «regressaram ao seu país por outro caminho» (Mt 2, 12). Outro caminho, diferente do de Herodes, distinto do caminho do mundo. Um caminho como o percorrido pelos que estão com Jesus, no Natal: Maria e José, os pastores. Eles, como os Magos, deixaram suas casas e tornaram-se peregrinos pelos caminhos de Deus. Com efeito, só encontra o mistério de Deus quem deixa os próprios apegos mundanos e se põe a caminho.

O mesmo vale para nós. Não basta saber onde nasceu Jesus, como os escribas, se não caminhamos até esse onde. Não basta saber que Jesus nasceu, como Herodes, se não O vamos encontrar. Quando o seu onde se torna o nosso onde, o seu quando o nosso quando, a sua pessoa a nossa vida, então cumprem-se em nós as profecias. Então Jesus nasce dentro e torna-Se Deus vivo para mim. Hoje, irmãos e irmãs, somos convidados a imitar os Magos. Eles não discutem…, caminham; não ficam a ver, mas entram na casa de Jesus; não se colocam no centro, mas prostram-se aos pés d’Ele, que é o centro; não se fincam nos seus planos, mas prontificam-se a tomar outro caminho. Nos seus gestos, temos um contacto estreito com o Senhor, uma abertura radical a Ele, um envolvimento total com Ele. Com Ele, usam a linguagem do amor, a própria linguagem que Jesus, ainda infante, já fala. De facto, os Magos vão ter com o Senhor, não para receber, mas para dar. Perguntemo-nos: no Natal, trouxemos algum presente a Jesus, pela sua festa, ou trocamos presentes apenas entre nós?

Se fomos ter com o Senhor de mãos vazias, hoje podemos remediar. Com efeito, o Evangelho contém por assim dizer uma pequena lista de prendas: ouro, incenso e mirra. O ouro, considerado o elemento mais precioso, lembra-nos que, a Deus, deve ser dado o primeiro lugar. Deve ser adorado. Mas, para isso, é preciso privar-se a si mesmo do primeiro lugar e considerar-se necessitado, não autossuficiente. E aqui entra o incenso, que simboliza o relacionamento com o Senhor, a oração, que se eleva para Deus como perfume (cf. Sal 141, 2). Ora, como o incenso para exalar o seu perfume se deve queimar, assim também para a oração é preciso «queimar» um pouco de tempo, gastá-lo para o Senhor. Mas fazê-lo de verdade, e não só em palavras. A propósito de factos, entra a mirra, unguento que seria utilizado ao envolver amorosamente o corpo de Jesus descido da cruz (cf. Jo 19, 39). Agrada ao Senhor que cuidemos dos corpos provados pelo sofrimento, da sua carne mais frágil, de quem ficou para trás, de quem só pode receber não tendo nada de material para retribuir. É preciosa aos olhos de Deus a misericórdia com quem não tem para restituir, a gratuidade. É preciosa aos olhos de Deus a gratuidade. Neste tempo de Natal que está a terminar, não percamos a ocasião para dar um lindo presente ao nosso Rei, que veio para todos, não nos cenários faustosos do mundo, mas na pobreza luminosa de Belém. Se o fizermos, resplandecerá sobre nós a sua luz.

[00022-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Epifania: słowo to wskazuje na objawienie się Pana, który, jak mówi św. Paweł w drugim czytaniu (por. Ef 3, 6), objawia się wszystkim narodom, reprezentowanym dzisiaj przez Mędrców. W ten sposób ukazuje się piękna rzeczywistość Boga, który przyszedł dla wszystkich: każdy naród, język i lud jest przez Niego przyjęty i miłowany. Symbolem tego jest światło, które dociera wszędzie i wszystko oświetla.

Ale jeśli nasz Bóg objawia się dla wszystkich, to wciąż powoduje zaskoczenie tym, jak się objawia. W Ewangelii opowiedziana jest droga – do pałacu króla Heroda, właśnie w chwili, kiedy Jezus został przedstawiony jako król: „Gdzie jest nowo narodzony król żydowski?” (Mt 2, 2) - pytają Mędrcy. Znajdą go, ale nie tam, gdzie myśleli: nie w pałacu królewskim w Jerozolimie, lecz w skromnym pomieszczeniu w Betlejem. Ten sam paradoks pojawił się w Boże Narodzenie, kiedy Ewangelia mówiła o spisie ludności całej ziemi za czasów cesarza Augusta i gubernatora Kwiryniusza (por. Łk 2, 2). Ale żaden z ówczesnych możnych nie zdawał sobie sprawy, że Król historii narodził się w ich czasie. I znowu, gdy Jezus w wieku około trzydziestu lat objawił się publicznie, poprzedzony przez Jana Chrzciciela, Ewangelia przedstawia kolejną uroczystą prezentację kontekstu, wymieniając wszystkich „wielkich” tego czasu, władzę świecką i duchową: Tyberiusza Cezara, Poncjusza Piłata, Heroda, Filipa, Lizaniasza, arcykapłanów Annasza i Kajfasza. I konkluduje: „skierowane zostało słowo Boże do Jana… na pustyni” (Łk 3, 2). Zatem nie do żadnego z wielkich, ale do człowieka, który wycofał się na pustynię. Oto niespodzianka: Bóg nie staje w świetle reflektorów świata, aby się objawić.

Gdy słuchamy tej listy sławnych ludzi, może pojawić się pokusa, aby na nich skierować światło. Moglibyśmy pomyśleć: lepiej byłoby, gdyby gwiazda Jezusa pojawiła się w Rzymie na Wzgórzu Palatyńskim, z którego cesarz August rządził światem; całe imperium natychmiast stałoby się chrześcijańskie. Albo, gdyby oświeciła pałac Heroda, mógłby uczynić coś dobrego, zamiast złego. Ale światło Boga nie trafia do tych, którzy świecą własnym światłem. Bóg proponuje siebie, lecz nie narzuca się; świeci, ale nie oślepia. Zawsze istnieje wielka pokusa mylenia światła Boga ze światem świata. Ileż razy goniliśmy za zwodzącymi przebłyskami władzy i pierwszego planu na scenie, przekonani, że oddajemy dobrą posługę Ewangelii! Ale w ten sposób ustawiliśmy światła po niewłaściwej stronie, ponieważ Boga tam nie było. Jego łagodne światło jaśnieje w pokornej miłości. Ileż razy, jako Kościół, staraliśmy się błyszczeć własnym światłem! Ale to nie my jesteśmy słońcem ludzkości. Jesteśmy księżycem, który, pomimo swoich cieni, odzwierciedla prawdziwe światło, Pana. Kościół jest misterium lunae a Pan jest światłością świata (J 9, 5). On, nie my.

Światło Boga kieruje się do tych, którzy je przyjmują. Izajasz w pierwszym czytaniu (por. 60, 2) przypomina nam, że boskie światło nie przeszkadza ciemności i gęstym mgłom w okrywaniu ziemi, lecz jaśnieje u tych, którzy gotowi są je przyjąć. Dlatego prorok kieruje zaproszenie, które jest dla każdego wyzwaniem: „Powstań, świeć” (60, 1). Trzeba wstać, to znaczy powstać ze swojego zasiedzenia i przygotować się do chodzenia. W przeciwnym razie trwamy w bezruchu, podobnie jak uczeni w Piśmie, których wypytywał Herod, a którzy dobrze wiedzieli, gdzie narodził się Mesjasz, ale nie ruszyli się. Następnie trzeba przeoblec się w Boga, który jest światłem, każdego dnia, aż Jezus stanie się naszą codzienną szatą. Ale by przywdziać szatę Boga, która jest prosta, jak światło, trzeba najpierw pozbyć się szat nadętych. W przeciwnym razie czynimy jak Herod, który nad światło Boże przedkładał światła doczesne sukcesu i władzy. Natomiast Mędrcy wypełniali proroctwo, powstali, aby być przyodziani światłem. Tylko oni widzieli gwiazdę na niebie: nie uczeni w Piśmie, nie Herod, czy ktokolwiek w Jerozolimie. By znaleźć Jezusa, trzeba wytyczyć inną trasę, trzeba podjąć drogę alternatywną – Jego drogę, drogę pokornej miłości. I trzeba jej się trzymać. Istotnie dzisiejsza Ewangelia kończy się stwierdzeniem, że Mędrcy, poznawszy Jezusa, „inną drogą udali się do ojczyzny” (Mt 2, 12). Inną drogą, różną od drogi Heroda. Drogą alternatywną wobec świata, jak ta, jaką przebyli ci, którzy byli z Jezusem na Boże Narodzenie: Maryja i Józef, pasterze. Podobnie jak Mędrcy, opuścili oni swoje domy i stali się pielgrzymami na drogach Boga. Tylko bowiem ten, kto porzuca swoje przywiązania doczesne, aby wyruszyć w drogę, odnajduje tajemnicę Boga.

Dotyczy to również nas. Nie wystarczy wiedzieć, gdzie urodził się Jezus, jak uczeni w Piśmie, jeśli nie dotrzemy do tego miejsca. Nie wystarczy wiedzieć, że Jezus się narodził, jak Herod, jeśli Go nie spotykamy. Kiedy jego miejsce staje się naszym miejscem, Jego kiedy staje się naszym kiedy, Jego osoba, naszym życiem, wówczas proroctwa się w nas wypełniają. Wtedy Jezus rodzi się w naszym wnętrzu i staje się Bogiem żywym dla mnie. Dzisiaj, bracia i siostry, jesteśmy zachęceni do naśladowania Mędrców. Oni nie dyskutują, nie, idą; nie pozostają rozglądając się, lecz wchodzą do domu Jezusa; nie stawiają siebie w centrum, lecz upadają na twarz przed Nim, będącym centrum; nie trzymają się sztywno swoich planów, ale przygotowują się do pójścia innymi drogami. W ich gestach jest ścisły kontakt z Panem, radykalna otwartość na Niego, całkowite włączenie w Niego. Z Nim posługują się językiem miłości, tym samym językiem, którym Jezus już przemawia, będąc jeszcze niemowlęciem. Mędrcy idą do Pana, nie po to, by przyjmować, ale by dawać. Zadajmy sobie pytanie: czy w Boże Narodzenie przynieśliśmy jakieś dary dla Jezusa, na Jego święto, czy też wymieniliśmy jedynie prezenty między sobą?

Jeśli poszliśmy do Pana z pustymi rękami, dzisiaj możemy to naprawić. Ewangelia zawiera bowiem niejako małą listę prezentów: złoto, kadzidło i mirrę. Złoto, uważane za coś najcenniejszego przypomina nam, że pierwsze miejsce należy oddać Bogu. Trzeba Go adorować. Ale, aby to uczynić, trzeba wyzbyć się pierwszego miejsca i uważać siebie za potrzebujących, a nie samowystarczalnych. Następnie pojawia się kadzidło symbolizujące związek z Panem, modlitwę, która jak woń wznosi się do Boga (por. Ps 141,2). Ale, ponieważ kadzidło, by wydać woń, musi się spalać, tak też i modlitwa musi „spalić” trochę czasu, trzeba poświęcić go dla Pana. I trzeba to zrobić naprawdę, a nie tylko w słowach. A co do faktów - oto mirra, olejek, który będzie używany do owinięcia z miłością ciała Jezusa zdjętego z krzyża (por. J 19, 39). Podoba się Panu, kiedy troszczymy się o ciała doświadczone cierpieniem, jego najsłabsze ciała, tych, którzy pozostali w tyle, tych, którzy mogą jedynie otrzymywać, nie dając w zamian nic materialnego. Drogocenne w oczach Boga jest miłosierdzie wobec tych, którzy nie mają niczego, aby oddać w zamian, bezinteresowność! Drogocenna w oczach Boga jest bezinteresowność. W tym dobiegającym końca okresie Bożego Narodzenia, nie traćmy okazji, aby uczynić piękny dar dla naszego Króla, który przyszedł dla wszystkich, nie na wystawnych scenach świata, ale w świetlistym ubóstwie Betlejem. Jeśli to uczynimy, Jego światło zajaśnieje nad nami.

[00022-PL.02] [Testo originale: Italiano]

[B0008-XX.02]