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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia (22 – 25 settembre 2018) – Santa Messa nell’area del Santuario della Madre di Dio di Aglona, 24.09.2018


Santa Messa nell’area del Santuario della Madre di Dio di Aglona

Omelia del Santo Padre

Parole di ringraziamento del Santo Padre al termine della Celebrazione Eucaristica

Alle ore 15.45 locali (14.45 ora di Roma), il Santo Padre Francesco è arrivato al Santuario Internazionale della Madre di Dio di Aglona, dove è stato accolto dal Vescovo di Rēzekne-Aglona e Presidente della Conferenza Episcopale di Lettonia, S.E. Mons. Jānis Bulis, e da due bambini in costume tradizionale che gli hanno offerto un omaggio floreale.

Dopo alcuni giri in papamobile tra i fedeli presenti nell’area del Santuario, alle ore 16.30 locali (15.30 ora di Roma), il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica per Maria Madre della Chiesa in latino e in lettone.

Dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia.

Al termine della Santa Messa, dopo l’indirizzo di saluto di S.E. Mons. Jānis Bulis, il Papa ha rivolto a tutti i fedeli presenti delle parole di ringraziamento.

Quindi, dopo l’omaggio alla Vergine e la Benedizione finale, si è trasferito in auto all’eliporto di Aglona per la cerimonia di congedo dalla Lettonia.

Pubblichiamo di seguito l’omelia e le parole di ringraziamento del Santo Padre al termine della Messa:

Omelia del Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione di lavoro in lingua lettone

Testo in lingua italiana

Potremmo ben dire che ciò che San Luca narra all'inizio del libro degli Atti degli Apostoli si ripete oggi qui: siamo intimamente uniti, dedicati alla preghiera e in compagnia di Maria, nostra Madre (cfr 1,14). Oggi facciamo nostro il motto di questa visita: “Mostrati Madre!”, manifesta in quale luogo continui a cantare il Magnificat, in quali luoghi si trova il tuo Figlio crocifisso, per trovare ai suoi piedi la tua salda presenza.

Il Vangelo di Giovanni riporta solo due momenti in cui la vita di Gesù incrocia quella di sua Madre: le nozze di Cana (cfr 2,1-12) e quello che abbiamo appena letto, Maria ai piedi della croce (cfr 19,25-27). Parrebbe che l'evangelista sia interessato a mostrarci la Madre di Gesù in queste situazioni di vita apparentemente opposte: la gioia di un matrimonio e il dolore per la morte di un figlio. Mentre ci addentriamo nel mistero della Parola, Ella ci mostri qual è la Buona Notizia che il Signore oggi vuole condividere con noi.

La prima cosa che l’evangelista fa notare è che Maria sta “saldamente in piedi” accanto a suo Figlio. Non è un modo leggero di stare, neppure evasivo e tanto meno pusillanime. È, con fermezza, “inchiodata” ai piedi della croce, esprimendo con la postura del suo corpo che niente e nessuno potrebbe spostarla da quel luogo. Maria si mostra in primo luogo così: accanto a coloro che soffrono, a coloro dai quali il mondo intero fugge, accanto anche a quelli che sono processati, condannati da tutti, deportati. Non soltanto vengono oppressi o sfruttati, ma si trovano direttamente “fuori dal sistema”, ai margini della società (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53). Con loro c’è anche la Madre, inchiodata sulla croce dell’incomprensione e della sofferenza.

Maria ci mostra anche un modo di stare accanto a queste realtà; non è fare una passeggiata o una breve visita, e nemmeno è un “turismo solidale”. Occorre che coloro che patiscono una realtà di dolore ci sentano al loro fianco e dalla loro parte, in modo fermo, stabile; tutti gli scartati della società possono fare esperienza di questa Madre delicatamente vicina, perché in chi soffre permangono le piaghe aperte del suo Figlio Gesù. Lei lo ha imparato ai piedi della croce. Anche noi siamo chiamati a “toccare” la sofferenza degli altri. Andiamo incontro alla nostra gente per consolarla e accompagnarla; non abbiamo paura di sperimentare la forza della tenerezza e di coinvolgerci e complicarci la vita per gli altri (cfr ibid., 270). E, come Maria, rimaniamo saldi e in piedi: con il cuore rivolto a Dio e coraggiosi, rialzando chi è caduto, sollevando l’umile, aiutando a porre fine a qualunque situazione di oppressione che li fa vivere come crocifissi.

Maria è chiamata da Gesù ad accogliere il discepolo amato come suo figlio. Il testo ci dice che erano insieme, ma Gesù si accorge che non basta, che non si sono accolti a vicenda. Perché si può stare accanto a tantissime persone, si può anche condividere la stessa abitazione, il quartiere o il lavoro; si può condividere la fede, contemplare e godere gli stessi misteri, ma non accogliere, non esercitare un’accettazione amorevole dell’altro. Quanti coniugi potrebbero raccontare la storia del loro essere vicini ma non insieme; quanti giovani sentono con dolore questa distanza rispetto agli adulti; quanti anziani si sentono freddamente accuditi, ma non amorevolmente curati e accolti.

È vero che, a volte, quando ci siamo aperti agli altri, questo ci ha fatto molto male. È anche vero che, nelle nostre realtà politiche, la storia dello scontro tra i popoli è ancora dolorosamente fresca. Maria si mostra come donna aperta al perdono, a mettere da parte rancori e diffidenze; rinuncia a recriminare su ciò che “avrebbe potuto essere” se gli amici di suo Figlio, se i sacerdoti del suo popolo o se i governanti si fossero comportati in modo diverso, non si lascia vincere dalla frustrazione o dall'impotenza. Maria crede a Gesù e accoglie il discepolo, perché le relazioni che ci guariscono e ci liberano sono quelle che ci aprono all’incontro e alla fraternità con gli altri, perché scoprono nell’altro Dio stesso (cfr ibid., 92). Monsignor Sloskans, che riposa qui, dopo essere stato arrestato e mandato lontano scriveva ai suoi genitori: «Vi chiedo dal profondo del mio cuore: non lasciate che la vendetta o l’esasperazione si facciano strada nel vostro cuore. Se lo permettessimo, non saremmo veri cristiani, ma fanatici». In tempi nei quali sembrano ritornare mentalità che ci invitano a diffidare degli altri, che con statistiche ci vogliono dimostrare che staremmo meglio, avremmo più prosperità, ci sarebbe più sicurezza se fossimo soli, Maria e i discepoli di queste terre ci invitano ad accogliere, a scommettere di nuovo sul fratello, sulla fraternità universale.

Ma Maria si mostra anche come la donna che si lascia accogliere, che accetta umilmente di diventare parte delle cose del discepolo. In quel matrimonio che era rimasto senza vino, col pericolo di finire pieno di riti ma arido di amore e gioia, fu lei a ordinare che facessero quello che Lui avrebbe detto loro (cfr Gv 2,5). Ora, come discepola obbediente, si lascia accogliere, si trasferisce, si adatta al ritmo del più giovane. Sempre costa l’armonia quando siamo diversi, quando gli anni, le storie e le circostanze ci pongono in modi di sentire, di pensare e di fare che a prima vista sembrano opposti. Quando con fede ascoltiamo il comando di accogliere e di essere accolti, è possibile costruire l’unità nella diversità, perché non ci frenano né ci dividono le differenze, ma siamo capaci di guardare oltre, di vedere gli altri nella loro dignità più profonda, come figli di uno stesso Padre (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 228).

In questa, come in ogni Eucaristia, facciamo memoria di quel giorno. Ai piedi della croce, Maria ci ricorda la gioia di essere stati riconosciuti come suoi figli, e suo Figlio Gesù ci invita a portarla a casa, a metterla al centro della nostra vita. Lei vuole donarci il suo coraggio, per stare saldamente in piedi; la sua umiltà, che le permette di adattarsi alle coordinate di ogni momento della storia; e alza la sua voce affinché, in questo suo santuario, tutti ci impegniamo ad accoglierci senza discriminazioni, e che tutti in Lettonia sappiano che siamo disposti a privilegiare i più poveri, a rialzare quanti sono caduti e ad accogliere gli altri così come arrivano e si presentano davanti a noi.

[01441-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Nous pourrions bien dire que ce que Saint Luc raconte au début du Livre des Actes des Apôtres se répète aujourd’hui ici: nous sommes intimement unis, assidus à la prière et en compagnie de Marie, notre Mère (cf. 1, 10). Aujourd’hui faisons nôtre la devise de cette visite “Montre-toi Mère !”, montre en quel endroit tu continues à chanter le Magnificat, en quels endroits se trouve ton Fils crucifié, pour trouver à ses pieds ta ferme présence.

L’Evangile de Jean rapporte seulement deux moments où la vie de Jésus croise celle de sa Mère: les noces de Cana (cf. 2, 1-12) et celui que nous venons juste de lire, Marie au pied de la croix (cf. 19, 25-27). Il semblerait que l’évangéliste ait pris de l’intérêt à nous montrer la Mère de Jésus dans ces situations de vie apparemment opposées: la joie d’un mariage et la douleur de la mort d’un fils. Tandis que nous pénétrons dans le mystère de la Parole, elle nous montre quelle est la Bonne Nouvelle que le Seigneur veut aujourd’hui partager avec nous.

La première chose que l’Evangéliste fait remarquer est que Marie se tient “debout” à côté de son Fils. Ce n’est pas une manière légère de se tenir, ni fuyante et encore moins pusillanime. Elle est, avec fermeté, “clouée” au pied de la croix, exprimant par la posture de son corps que rien ni personne ne pourrait la déplacer de ce lieu. Marie se montre en premier lieu ainsi: à côté de ceux qui souffrent, de ceux que le monde entier fuit, de ceux aussi qui sont poursuivis en justice, condamnés par tous, déportés. Ils ne sont pas seulement opprimés ou exploités, mais ils sont directement “hors du système”, aux marges de la société (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium n. 53). Avec eux, il y a aussi la Mère, clouée avec eux sur cette croix de l’incompréhension et de la souffrance.

Marie nous montre aussi une manière de se tenir à côté de ces réalités; il ne s’agit pas de faire une promenade ou une brève visite, et ce n’est pas non plus un “tourisme solidaire”. Il faut que ceux qui souffrent réellement nous sentent à leurs côtés et de leur côté, de manière ferme, stable; tous les rejetés de la société peuvent faire l’expérience de cette Mère délicatement proche, parce que les plaies ouvertes de son Fils Jésus demeurent en celui qui souffre. Elle l’a appris au pied de la croix. Nous aussi, nous sommes appelés à “toucher” la souffrance des autres. Allons à la rencontre de notre peuple pour le consoler et l’accompagner; n’ayons pas peur d’expérimenter la force de la tendresse et de nous impliquer et de nous compliquer la vie pour les autres (cf. ibid n. 270). Et comme Marie, restons fermes et debout: avec le cœur tourné vers Dieu et courageux, relevant celui qui est tombé, réconfortant la personne humble, aidant à mettre fin à n’importe quelle situation d’oppression qui les fait vivre comme des crucifiés.

Marie est appelé par Jésus à accueillir le disciple aimé comme son fils. Le texte nous dit qu’ils étaient ensemble, mais Jésus s’aperçoit que cela ne suffit pas, qu’ils ne se sont pas accueillis l’un l’autre. Parce qu’on peut rester à côté de très nombreuses personnes, on peut aussi partager la même habitation, le quartier ou le travail; on peut partager la foi, contempler et jouir des mêmes mystères, mais ne pas accueillir, ne pas accepter l’autre avec amour. Combien de conjoints pourraient raconter l’histoire de leur manière d’être proches mais pas ensemble; combien de jeunes sentent avec souffrance cette distance par rapport aux adultes; combien de personnes âgées se sentent assistées froidement mais pas soignées ni accueillies avec amour.

Il est vrai que, parfois, lorsque nous nous sommes ouverts aux autres, cela nous a fait très mal. Il est vrai aussi que, dans nos réalités politiques, l’histoire de l’affrontement entre les peuples est encore douloureusement fraîche. Marie se montre comme une femme ouverte au pardon, qui met à part les rancœurs et les méfiances; elle renonce à récriminer sur ce qui “aurait pu être” si les amis de son Fils, si les prêtres de son peuple ou si les gouvernants s’étaient comportés d’une autre façon, elle ne se laisse pas vaincre par la frustration et par l’impuissance. Marie croit en Jésus et accueille le disciple, parce que les relations qui nous guérissent et nous libèrent sont celles qui nous ouvrent à la rencontre et à la fraternité avec les autres, parce qu’elles découvrent dans l’autre Dieu lui-même (cf. ibid. n. 92). Monseigneur Slokans, qui repose ici, une fois arrêté et envoyé au loin, écrivait à ses parents: «Je vous demande du fond du cœur: ne permettez pas à la vengeance ou à l’exaspération de se faire un chemin dans votre cœur. Si nous le permettions, nous ne serions pas de vrais chrétiens, mais des fanatiques». En des temps où semblent revenir des mentalités qui nous invitent à nous méfier des autres, qui avec des statistiques veulent nous démontrer que nous serions mieux, nous aurions plus de prospérité, il y aurait plus de sécurité, si nous étions seuls, Marie et les disciples de ces terres nous invitent à accueillir, à parier de nouveau sur le frère, sur la fraternité universelle.

Mais Marie se montre aussi comme la femme qui se laisse accueillir, qui accepte humblement de devenir une part des biens du disciple. Durant ce mariage qui était resté sans vin, avec le danger de finir plein de rites mais aride d’amour et de joie, ce fut elle qui ordonna qu’ils fassent ce qu’il leur aurait dit (cf. Jn 2, 5). Maintenant, comme disciple obéissante, elle se laisse accueillir, elle se déplace, elle s’adapte au rythme du plus jeune. L’harmonie coûte toujours lorsque nous sommes différents, lorsque les années, les histoires et les circonstances nous donnent des manières de sentir, de penser et de faire, qui à première vue semblent opposées. Lorsque nous écoutons avec foi le commandement d’accueillir et d’être accueillis, il est possible de construire l’unité dans la diversité, car les différences ne nous freinent pas ni ne nous divisent, mais nous sommes capables de regarder au-delà, de voir les autres dans leur dignité la plus profonde, comme les enfants d’un même Père (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium n. 228).

Dans cette Eucharistie, comme dans chaque Eucharistie, nous faisons mémoire de ce jour-là. Au pied de la croix, Marie nous rappelle la joie d’avoir été reconnus comme ses enfants, et son Fils Jésus nous invite à l’emmener à la maison, à la mettre au centre de notre vie. Elle veut nous donner son courage, pour rester debout avec fermeté; son humilité, qui lui permet de s’adapter à la situation propre à chaque moment de l’histoire; et elle crie afin que, dans ce sanctuaire, nous nous engagions tous à nous accueillir sans discriminations, et que tous, en Lettonie, nous sachions que nous sommes prêts à privilégier les plus pauvres, à relever ceux qui sont tombés et à accueillir les autres comme ils arrivent et se présentent devant nous.

[01441-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Truly, we can say that what Saint Luke tells us at the beginning of the book of the Acts of the Apostles is being repeated here today: we are joined together in prayer, in the company of Mary our Mother (cf. Acts 1:14). Today we make our own the theme of this Visit: “Show yourself as Mother!” Show us, Mother, where you continue to sing your Magnificat. Show us the places where your Son is crucified, that we may encounter your steady presence at the foot of the cross.

The Gospel of John speaks of only two moments when the life of Jesus intersects with that of his Mother: the wedding feast at Cana (cf. Jn 2:1-12) and the account we have just read, where Mary stands beneath the cross (cf. Jn 19:25-27). Perhaps the Evangelist wants to show us the Mother of Jesus in these two apparently opposite situations in life – the joy of a wedding feast and sorrow at the death of a child. In her growing understanding of the mystery of the Word, Mary points us to the Good News that the Lord wants to share with us today.

The first thing John mentions is that Mary “stands near the cross of Jesus”, close to her Son. She stood there, at the foot of the cross, with unwavering conviction, fearless and immovable. This is the main way that Mary shows herself – she stands near those who suffer, those from whom the world flees, including those who have been put on trial, condemned by all, deported. Nor is it that they are simply oppressed or exploited; they are completely “outside the system”, on the very fringes of society (cf. Evangelii Gaudium, 53). The Mother also stands close by them, steadfast beneath their cross of incomprehension and suffering.

Mary also shows us how to “stand near” these situations; it demands more than simply passing by or making a quick visit, engaging in a kind of “tourism of solidarity”. Rather, it means that those in painful situations should feel us standing firmly at their side and on their side. All those discarded by society can experience the Mother who remains discreetly near them, for in their sufferings she sees the open wounds of her Son Jesus. She learned this at the foot of the cross. We too are called to “touch” the sufferings of others. Let us go out to meet our people, to console them and accompany them. Let us not be afraid to experience the power of tenderness, to get involved and let our lives become complicated for the sake of others (cf. ibid, 270). Like Mary, let us remain steadfast, our hearts at peace in God. Let us be ever ready to lift up the fallen, raise up the lowly and to help end all those situations of oppression that make people feel crucified themselves.

Jesus asks Mary to receive the beloved disciple as her son. The text tells us that they stood together at the foot of the cross, but Jesus realized that this was not enough, that they had not yet fully “received” one another. For we can stand at the side of many people, even sharing the same home, neighbourhood or workplace; we can share the faith, contemplate and experience the same mysteries, but without embracing or actually “receiving” them with love. How many married couples could speak of lives lived next to one another, but not together; how many young people feel pained by the distance separating them from adults; how many elderly people feel tolerated, but not lovingly cared for and accepted.

Certainly, when we open ourselves to others, we can get badly hurt. In political life, too, past conflicts between peoples can painfully come to the fore. Mary shows herself to be a woman open to forgiveness, to setting aside resentment and suspicion. She does not dwell on “what might have been”, had her Son’s friends, or the priests of his people and their rulers, acted differently. She does not give in to frustration or helplessness. Mary trusts Jesus and receives his disciple, for the relationships that heal us and free us are those that open us to encounter and fraternity with others, in whom we find God himself (cf. Evangelii Gaudium, 92). Bishop Sloskans, who rests here, after being arrested and sent away, wrote to his parents: “I beg you from the bottom of my heart: do not let vengeance or exasperation find a way into your hearts. If we permitted that to happen, we would not be true Christians, but fanatics”. Sometimes we see a return to ways of thinking that would have us be suspicious of others, or would show us with statistics that we would be better off, more prosperous and more secure just by ourselves. At those times, Mary and the disciples of these lands invite us to “receive” our brothers and sisters, to care for them, in a spirit of universal fraternity.

Mary also shows herself as the woman who is willing to be received, who humbly lets herself become part of the disciple’s world. At the wedding feast, when the lack of wine might have left the celebration full of rituals but drained of love and joy, she commanded the servants to do what Jesus told them (cf. Jn 2:5). Now, as an obedient disciple, she is willing to accept, to go along with, the pace of someone younger than herself. Harmony is always difficult when we are different, when our differences of age, life experiences and circumstances lead us to feel, think and act in ways that, at first sight, seem opposed. When, in faith, we listen to the command to receive and be received, it becomes possible to build unity in diversity, for differences neither restrain nor divide us, but allow us to look more deeply and to see others in their most profound dignity, as sons and daughters of the same Father (cf. Evangelii Gaudium, 228).

In this Eucharist, as in every Eucharist, we recall the day of Golgotha. From the foot of the cross, Mary invites us to rejoice that we have been received as her sons and daughters, even as her Son Jesus invites us to receive her into our own homes and to make her a part of our lives. Mary wants to give us her courage, so that we too can remain steadfast, and her humility, so that, like her, we can adapt to whatever life brings. In this, her Shrine, she begs that all of us may recommit ourselves to welcoming one another without discrimination. In this way, all in Latvia may know that we are willing to show preference to the poor, to raise up those who have fallen, and to receive others just as they come, just as they are.

[01441-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Man könnte sagen, dass sich das, was Lukas am Anfang der Apostelgeschichte erzählt, hier und heute wiederholt: wir sind innig vereint, im Gebet und in der Gemeinschaft mit Maria, unserer Mutter (vgl. 1,14). Heute machen wir uns das Motto dieses Besuches zu eigen: „Zeige dich als Mutter!“, zeige uns, an welchen Orten du auch heute noch das Magnificat singst, an welchen Orten dein gekreuzigter Sohn zu finden ist, damit wir zu seinen Füßen auch deiner unerschütterlichen Gegenwart teilhaft werden.

Das Johannesevangelium berichtet nur von zwei Momenten, in denen sich das Leben Jesu mit dem seiner Mutter kreuzt: die Hochzeit zu Kana (vgl. Joh 2,1-12) und die Stelle, die wir gerade gelesen haben, als Maria unter dem Kreuz steht (vgl. Joh 19,25-27). Es sieht so aus, als wollte der Evangelist uns die Mutter Jesu bewusst in diesen scheinbar gegensätzlichen Situationen zeigen: in der Freude über eine Hochzeit und im Leid beim Tod ihres Sohnes. Wenn wir jetzt in das Geheimnis des Wortes eintreten, möge sie uns zeigen, welche Gute Nachricht der Herr uns heute mitteilen möchte.

Zunächst weist der Evangelist darauf hin, dass Maria unbeirrt bei ihrem Sohn steht. Sie steht nicht einfach herum, sie weicht nicht, sie ist nicht verzagt. Sie steht dort standhaft, wie „angenagelt“ am Fuß des Kreuzes und drückt mit ihrer Körperhaltung aus, dass nichts und niemand sie von diesem Ort wegbringen kann. Maria zeigt sich vor allem so: an der Seite derer, die leiden, die von aller Welt gemieden werden, auch an der Seite derer, die angeklagt und von allen verurteilt werden, die deportiert werden. Es ist nicht einfach so, dass sie unterdrückt oder ausgebeutet werden, sondern sie befinden sich direkt „außerhalb des Systems“, am Rande der Gesellschaft (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 53). Bei ihnen ist auch die Mutter, zusammen angenagelt an dieses Kreuz des Unverständnisses und des Leidens.

Maria zeigt uns auch einen Weg, dieser Wirklichkeit zu begegnen; dieser Weg ist weder ein Spaziergang oder ein Kurzbesuch und auch kein „Solidaritätstourismus“. Es geht darum, dass die, welche eine leidvolle Wirklichkeit erleben, spüren können, dass wir fest und zuverlässig an ihrer Seite und auf ihrer Seite stehen. Alle, die von der Gesellschaft ausgeschlossen sind, können diese Mutter erfahren, die ihnen liebevoll nahe ist, denn in den Leidenden sind die Wunden ihres Sohnes Jesus auch heute noch nicht verheilt. Sie hat das am Fuße des Kreuzes gelernt. Auch wir sind gerufen, mit dem Leid unserer Mitmenschen „in Berührung“ zu kommen. Lasst uns ihnen entgegengehen, um sie zu trösten und zu begleiten; haben wir keine Angst davor, die Kraft der Zartheit zu erfahren und uns auf die anderen einzulassen, auch wenn unser Leben dadurch komplizierter wird (vgl. ebd., 270). Und lasst uns wie Maria dabei fest und aufrecht stehen: mit einem Gott zugewandten Herzen und dem Mut, den Gefallenen aufzuhelfen, die Niedrigen aufzurichten und dabei zu helfen, jegliche Unterdrückung zu beenden, die sie wie Gekreuzigte leben lässt.

Maria wird von Jesus aufgefordert, den Lieblingsjünger als ihren Sohn anzunehmen. Der Text sagt uns, dass sie zusammen dort standen, aber Jesus erkennt, dass das nicht genug war, dass sie sich nicht gegenseitig angenommen haben. Denn man kann neben vielen Menschen stehen, man kann dabei sogar dasselbe Haus, dasselbe Wohnviertel oder den gleichen Arbeitsplatz teilen; man kann denselben Glauben teilen, die gleichen Geheimnisse betrachten und sich an ihnen erfreuen, ohne den anderen dabei wirklich anzunehmen, ohne ihm liebevolle Annahme zuteilwerden zu lassen. Wie viele Ehepaare könnten ihre Geschichten „einsamer Zweisamkeit“ erzählen; wie viele Jugendliche fühlen eine schmerzliche Distanz zu den Erwachsenen, wie viele alte Menschen werden steril versorgt, fühlen sich dabei aber kaum liebevoll umsorgt und angenommen.

Es mag sein, dass wir manchmal verletzt wurden, wenn wir uns anderen gegenüber geöffnet haben. Es stimmt auch, dass auf politischer Ebene die Geschichte der Auseinandersetzung zwischen den Völkern noch schmerzlich gegenwärtig ist. Maria zeigt sich als eine Frau, die offen ist für Vergebung, die Groll und Misstrauen beiseitelässt; sie fragt auch nicht klagend, was „hätte sein können“, wenn die Freunde ihres Sohnes, wenn die Priester ihres Volkes oder die Herrscher sich anders verhalten hätten, sie lässt sich nicht von Frustration oder Ohnmacht überwältigen. Maria glaubt an Jesus und nimmt den Jünger an, denn die Beziehungen, die uns heilen und befreien, sind jene, die uns zur Begegnung und Brüderlichkeit mit den anderen öffnen, weil sie im anderen Gott selbst entdecken (vgl. ebd., 92). Als Bischof Sloskāns, der hier ruht, verhaftet und in die Verbannung geschickt worden war, schrieb er einmal an seine Eltern: »Ich bitte euch aus der Tiefe meines Herzens: Lasst in euren Herzen weder Rachegefühle noch Aggression aufkommen. Wenn wir dies zuließen, wären wir keine wahren Christen, sondern Fanatiker.« In Zeiten, in denen scheinbar Gesinnungen wiederaufleben, die Misstrauen gegenüber den anderen säen und mithilfe von Statistiken belegen wollen, dass es uns besser ginge, dass es größeren Wohlstand und mehr Sicherheit gäbe, wenn wir allein wären, laden Maria und die Jünger dieses Landes uns ein, den anderen aufzunehmen, wieder auf den Bruder und die Schwester, auf universale Geschwisterlichkeit zu setzen.

Aber Maria zeigt sich auch als eine Frau, die sich aufnehmen lässt, die demütig akzeptiert, fortan zum Jünger zu gehören. Als bei jener Hochzeit der Wein ausgegangen war und die Feier Gefahr lief, voller Riten, aber arm an Liebe und Freude zu enden, war sie es, die Anweisung gab, das zu tun, was Jesus ihnen sagte (vgl. Joh 2,5). Jetzt, als gehorsame Jüngerin, lässt sie sich aufnehmen, sie zieht um und passt sich dem Lebensrhythmus des Jüngeren an. Es geht immer auf Kosten der Harmonie, wenn wir verschieden sind, wenn uns Unterschiede im Alter, in der Lebenserfahrung und andere Umstände auf dem ersten Blick gegensätzlich fühlen, denken und handeln lassen. Wenn wir im Glauben das Gebot vernehmen, aufzunehmen und aufgenommen zu werden, ist es möglich, Einheit in Vielfalt zu schaffen, weil uns die Unterschiede nicht bremsen oder spalten, sondern weil wir fähig sind, über den Tellerrand hinauszuschauen und die anderen in ihrer innersten Würde als Kinder desselben Vaters zu sehen (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 228).

Wie bei jeder Eucharistiefeier begehen wir das Gedächtnis jenes Tages. Am Fuße des Kreuzes erinnert uns Maria an die Freude darüber, dass wir als ihre Kinder anerkannt wurden. Ihr Sohn Jesus lädt uns ein, sie nach Hause mitzunehmen und ihr einen Platz in der Mitte unseres Lebens zu geben. Sie will uns ihren Mut weitergeben, damit wir fest und aufrecht stehen; ihre Demut, die es ihr erlaubt, sich auf die grundlegenden Gegebenheiten jedes Augenblicks der Geschichte einzulassen; und sie verlangt danach, dass wir uns in ihrem Heiligtum hier alle verpflichten, einander ohne Diskriminierung anzunehmen. Denn jeder in Lettland soll wissen, dass wir bereit sind, den Armen einen besonderen Platz einzuräumen, den Gefallenen aufzuhelfen und die anderen so anzunehmen, wie sie zu uns kommen und vor uns stehen.

[01441-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Bien podríamos decir que aquello que relata san Lucas en el comienzo del libro de los Hechos de los Apóstoles se repite hoy aquí: íntimamente unidos, dedicados a la oración, y en compañía de María, nuestra Madre (cf. 1,14). Hoy hacemos nuestro el lema de esta visita: “¡Muéstrate, Madre!”, haz evidente en qué lugar sigues cantando el Magníficat, en qué sitios está tu Hijo crucificado, para encontrar a sus pies tu firme presencia.

El evangelio de Juan relata solo dos momentos en que la vida de Jesús se entrecruza con la de su Madre: las bodas de Caná (cf. Jn 2,1-12) y el que acabamos de leer, María al pie de la cruz (cf. Jn 19,25-27). Pareciera que al evangelista le interesa mostrarnos a la Madre de Jesús en esas situaciones de vida aparentemente opuestas: el gozo de unas bodas y el dolor por la muerte de un hijo. Que, al adentrarnos en el misterio de la Palabra, ella nos muestre cuál es la Buena Noticia que el Señor hoy quiere compartirnos.

Lo primero que señala el evangelista es que María está “firmemente de pie” junto a su Hijo. No es un modo liviano de estar, tampoco evasivo y menos aún pusilánime. Es con firmeza, “clavada” al pie de la cruz, expresando con la postura de su cuerpo que nada ni nadie podría moverla de ese lugar. María se muestra en primer lugar así: al lado de los que sufren, de aquellos de los que todo el mundo huye, incluso de los que son enjuiciados, condenados por todos, deportados. No se trata solo de que sean oprimidos o explotados, sino de estar directamente “fuera del sistema”, al margen de la sociedad (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 53). Con ellos está también la Madre, clavada junto a esa cruz de la incomprensión y del sufrimiento.

También María nos muestra un modo de estar al lado de estas realidades; no es ir de paseo ni hacer una breve visita, ni tampoco es “turismo solidario”. Se trata de que quienes padecen una realidad de dolor nos sientan a su lado y de su lado, de modo firme, estable; todos los descartados de la sociedad pueden hacer experiencia de esta Madre delicadamente cercana, porque en el que sufre siguen abiertas las llagas de su Hijo Jesús. Ella lo aprendió al pie de la cruz. También nosotros estamos llamados a “tocar” el sufrimiento de los demás. Vayamos al encuentro de nuestro pueblo para consolarlo y acompañarlo; no tengamos miedo de experimentar la fuerza de la ternura y de implicarnos y complicarnos la vida por los otros (cf. ibíd., 270). Y, como María, permanezcamos firmes y de pie: con el corazón puesto en Dios y animados, levantando al que está caído, enalteciendo al humilde, ayudando a terminar con cualquier situación de opresión que los hace vivir como crucificados.

María es invitada por Jesús a recibir al discípulo amado como su hijo. El texto nos dice que estaban juntos, pero Jesús percibe que no lo suficiente, que no se han recibido mutuamente. Porque uno puede estar al lado de muchísimas personas, puede incluso compartir la misma vivienda, o el barrio, o el trabajo; puede compartir la fe, contemplar y gozar de los mismos misterios, pero no acogerse, no hacer el ejercicio de una aceptación amorosa del otro. Cuántos matrimonios podrían relatar sus historias de estar cerca pero no juntos; cuántos jóvenes sienten con dolor esta distancia con los adultos, cuántos ancianos se sienten fríamente atendidos, pero no amorosamente cuidados y recibidos.

Es cierto que, a veces, cuando nos hemos abierto a los demás nos ha hecho mucho daño. También es verdad que, en nuestras realidades políticas, la historia de desencuentro de los pueblos todavía está dolorosamente fresca. María se muestra como mujer abierta al perdón, a dejar de lado rencores y desconfianzas; renuncia a hacer reclamos por lo que “hubiera podido ser” si los amigos de su Hijo, si los sacerdotes de su pueblo o si los gobernantes se hubieran comportado de otra manera, no se deja ganar por la frustración o la impotencia. María le cree a Jesús y recibe al discípulo, porque las relaciones que nos sanan y liberan son las que nos abren al encuentro y a la fraternidad con los demás, porque descubren en el otro al mismo Dios (cf. ibíd., 92). Monseñor Sloskans, que descansa aquí, una vez apresado y enviado lejos, escribía a sus padres: «Os lo pido desde lo más hondo de mi corazón: no dejéis que la venganza o la exasperación se abran camino en vuestro corazón. Si lo permitiésemos no seríamos verdaderos cristianos, sino fanáticos». En tiempos donde pareciera que vuelve a haber modos de pensar que nos invitan a desconfiar de los otros, que con estadísticas nos quieren demostrar que estaríamos mejor, seríamos más prósperos, habría más seguridad si estuviéramos solos, María y los discípulos de estas tierras nos invitan a acoger, a volver a apostar por el hermano, por la fraternidad universal.

Pero María se muestra también como la mujer que se deja recibir, que humildemente acepta pasar a ser parte de las cosas del discípulo. En aquella boda que se había quedado sin vino, con el peligro de terminar llena de ritos pero seca de amor y de alegría, fue ella la que les mandó que hicieran lo que él les dijera (cf. Jn 2,5). Ahora, como discípula obediente, se deja recibir, se traslada, se acomoda al ritmo del más joven. Siempre cuesta la armonía cuando somos distintos, cuando los años, las historias y las circunstancias nos ponen en modos de sentir, pensar y hacer que a simple vista parecen opuestos. Cuando con fe escuchamos el mandato de recibir y ser recibidos, es posible construir la unidad en la diversidad, porque no nos frenan ni dividen las diferencias, sino que somos capaces de mirar más allá, de ver a los otros en su dignidad más profunda, como hijos de un mismo Padre (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 228).

En esta, como en cada eucaristía, hacemos memoria de aquel día. Al pie de la cruz, María nos recuerda el gozo de haber sido reconocidos como sus hijos, y su Hijo Jesús nos invita a traerla a casa, a ponerla en medio de nuestra vida. Ella nos quiere regalar su valentía, para estar firmemente de pie; su humildad, que la hace adaptarse a las coordenadas de cada momento de la historia; y clama para que en este, su santuario, todos nos comprometamos a acogernos sin discriminarnos. Que todos en Letonia, sepan que estamos dispuestos a privilegiar a los más pobres, levantar a los caídos y recibir a los demás así como vienen y se presentan ante nosotros.

[01441-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Poderíamos justamente dizer que hoje se repete aqui o que São Lucas narra no início do livro dos Atos dos Apóstolos: estamos intimamente unidos, dedicando-nos à oração e na companhia de Maria, nossa Mãe (cf. 1, 14). Hoje fazemos nosso o lema desta visita: «Mostrai-Vos Mãe!», manifestai-nos o lugar onde continuais a cantar o Magnificat, os lugares onde Se encontra o vosso Filho crucificado para, aos seus pés, podermos encontrar a vossa presença firme.

O Evangelho de João refere apenas dois momentos em que a vida de Jesus cruza a de sua Mãe: as bodas de Caná (cf. 2, 1-12) e o texto que acabamos de ler, ou seja, Maria aos pés da cruz (cf. 19, 25-27). Parece que o evangelista tenha interesse em mostrar-nos a Mãe de Jesus nestas situações de vida aparentemente opostas: a alegria de um matrimónio e o sofrimento pela morte dum filho. Enquanto penetramos no mistério da Palavra, Ela mostra-nos qual é a Boa Nova que, hoje, o Senhor quer partilhar connosco.

A primeira coisa que o evangelista ressalta é que Maria está firmemente «de pé» junto de seu Filho. Não se trata dum modo descontraído de estar, nem evasivo e, menos ainda, pusilânime. Está, com firmeza, «cravada» aos pés da cruz, expressando com a posição do seu corpo que nada e ninguém poderia movê-La daquele lugar. É assim que Maria Se mostra em primeiro lugar: junto daqueles que sofrem, daqueles de quem todo o mundo foge, nomeadamente os que são julgados, condenados por todos, deportados. Não se trata apenas de oprimidos ou explorados, mas estão diretamente «fora do sistema», à margem da sociedade (cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 53). Juntamente com eles, está também a Mãe, cravada nesta cruz da incompreensão e do sofrimento.

Maria mostra-nos também o modo como estar junto destas realidades; não é dar um passeio ou fazer uma breve visita, nem se trata sequer de «turismo solidário». É necessário que aqueles que padecem uma realidade dolorosa nos sintam a seu lado e da sua parte, de maneira firme, estável; todos os descartados da sociedade podem experimentar esta Mãe delicadamente próxima, porque, naqueles que sofrem, permanecem as chagas abertas do seu Filho Jesus. Ela aprendeu-o ao pé da cruz. Também nós somos chamados a «tocar» o sofrimento dos outros. Saiamos ao encontro do nosso povo para o consolar e fazer-lhe companhia; não tenhamos medo de experimentar a força da ternura e de nos envolvermos vendo a nossa vida complicada pelos outros (cf. ibid., 270). E, como Maria, permaneçamos firmes e de pé: com o coração voltado para Deus e corajosos, levantando os que caíram, erguendo o humilhado, ajudando a pôr fim a toda e qualquer situação de opressão que os faz viver como crucificados.

Maria é convidada por Jesus a aceitar o discípulo amado como seu filho. O texto refere que estavam juntos, mas Jesus dá-se conta de que isto não é suficiente, porque não se acolheram reciprocamente. De facto, é possível estar junto de muitíssimas pessoas, pode-se até compartilhar a mesma casa, bairro ou trabalho; pode-se compartilhar a fé, contemplar e desfrutar os mesmos mistérios, mas sem acolher, nem praticar uma aceitação amorosa do outro. Quantos esposos poderiam contar a história de estar próximos, mas não juntos! Quantos jovens sentem dolorosamente esta distância dos adultos! Quantos idosos se sentem friamente tratados, mas não carinhosamente cuidados e acolhidos!

É verdade que, às vezes, a abertura aos outros nos fez muito mal. E também é verdade que, nas nossas realidades políticas, a história do choque entre os povos permanece ainda dolorosamente viva. Maria mostra-Se como mulher aberta ao perdão, que põe de lado ressentimentos e difidências; renuncia a lamentar-se como tudo «poderia ter andado» diversamente, se os amigos de seu Filho, os sacerdotes do seu povo ou os governantes se tivessem comportado de outra maneira; não Se deixa vencer pela frustração nem pela impotência. Maria crê em Jesus e acolhe o discípulo, porque as relações que nos curam e libertam são aquelas que nos abrem ao encontro e à fraternidade com os outros, porque, no outro, descobrem o próprio Deus (cf. ibid., 92). Dom Sloskans que repousa aqui, tendo sido preso e enviado para longe, escrevia a seus pais: «Peço-vos do fundo do meu coração que não deixeis que a vingança ou a irritação abram caminho no vosso coração. Se o permitíssemos, não seríamos cristãos verdadeiros, mas fanáticos». Num período em que parecem voltar mentalidades que nos convidam a desconfiar dos outros, que querem demonstrar-nos com estatísticas que estaremos melhor, teremos mais prosperidade, haveria mais segurança se estivéssemos sozinhos, Maria e os discípulos destas terras convidam-nos a acolher, a apostar de novo no irmão, na fraternidade universal.

Mas, Maria mostra-Se também como a mulher que se deixa acolher, que aceita humildemente fazer parte das coisas do discípulo. Naquele matrimónio que ficara sem vinho, com o perigo de acabar cheio de ritos, mas árido de amor e alegria, foi Ela quem ordenou que fizessem o que Ele lhes dissesse (cf. Jo 2, 5). Agora Ela, como discípula obediente, deixa-Se acolher, transfere-Se, adapta-Se ao ritmo do mais novo. A harmonia custa sempre, quando somos diferentes, quando os anos, as histórias e as circunstâncias nos situam em modos de sentir, pensar e fazer que, à primeira vista, parecem opostos. Quando ouvimos, com fé, a ordem de acolher e ser acolhidos, é possível construir a unidade na diversidade, porque não nos travam nem dividem as diferenças, mas somos capazes de olhar mais além, ver os outros na sua dignidade mais profunda, como filhos de um e mesmo Pai (cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 228).

Nesta, como em cada Eucaristia, fazemos memória daquele dia. Aos pés da cruz, Maria lembra-nos a alegria de termos sido reconhecidos como seus filhos, e seu Filho Jesus convida-nos a levá-La para casa, a colocá-La no centro da nossa vida. Ela quer dar-nos a sua coragem para permanecermos firmes de pé; a sua humildade, que Lhe permite adaptar-Se às coordenadas de cada momento da história; e clama neste santuário por que todos nos comprometamos a acolher-nos sem discriminações, e todos, na Letónia, saibam que estamos dispostos a privilegiar os mais pobres, a levantar aqueles que caíram e a acolher os outros à medida que chegam e se apresentam diante de nós.

[01441-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Można słusznie powiedzieć, że to, o czym mówi nam św. Łukasz na początku Dziejów Apostolskich powtarza się dzisiaj w tym miejscu: jesteśmy ściśle zjednoczeni, poświęcając się modlitwie, a towarzyszy nam Maryja, nasza Matka (por. 1, 14). Dziś wkładamy w nasze usta motto tej wizyty: „Okaż się nam Matką!”, okaż, w jakim miejscu kontynuujesz śpiew Magnificat, gdzie jest obecny Twój ukrzyżowany Syn, by u Jego stóp odnaleźć Twoją niezłomną obecność.

Ewangelia Jana pokazuje tylko dwa wydarzenia, w których życie Jezusa schodzi się z życiem Jego Matki: wesele w Kanie (por. 2, 1-12) i przed chwilą odczytany fragment, ukazujący Maryję u stóp krzyża (por. 19, 25- 27). Wydawać by się mogło, że Ewangelista pragnie nam ukazać Matkę Jezusa w tych sytuacjach pozornie przeciwstawnych: radości wesela i cierpieniu z powodu śmierci Syna. Kiedy wkraczamy w tajemnicę Słowa, Maryja ukazuje nam, jaka jest Dobra Nowina, którą Pan chce się z nami dzisiaj podzielić.

Pierwszą rzeczą, na którą zwraca uwagę Ewangelista, jest to, że Maryja „stoi stanowczo” obok swego Syna. Nie jest to sposób stania, bycia, ani lekki, ani niejednoznaczny czy lękliwy. Jest mocno „przybita” u stóp krzyża, wyrażając postawą swego ciała, że nic i nikt nie może Jej przenieść z tego miejsca. Maryja ukazuje się nam przede wszystkim w ten sposób: u boku tych, którzy cierpią, u boku tych, od których ucieka cały świat, także tych, którzy są sądzeni, potępieni przez wszystkich, deportowani. Są nie tylko uciskani lub wykorzystywani, ale są wprost „poza systemem”, na marginesie społeczeństwa (por. Adhort. ap. Evangelii gaudium, 53). Wraz z nimi jest także Matka, przybita razem do tego krzyża niezrozumienia i cierpienia.

Maryja ukazuje nam także sposób bycia, trwania blisko tych spraw. To nie to samo co przechadzka czy krótka wizyta, ani nawet „turystyka solidarnościowa”. Trzeba, aby ci, którzy borykają się z cierpieniem, odczuli, że jesteśmy z nimi, po ich stronie, w sposób zdecydowany, stały, aby wszyscy odrzuceni przez społeczeństwo mogli doświadczyć tej Matki delikatnie bliskiej, bo w człowieku cierpiącym otwarte są rany Jej Syna, Jezusa. Ona nauczyła się tego u stóp krzyża. Także i my jesteśmy powołani, aby „dotknąć” cierpienia innych. Idźmy na spotkanie naszych rodaków, aby ich pocieszyć i towarzyszyć im. Nie bójmy się doświadczenia mocy czułości i angażowania się oraz komplikowania sobie życia dla innych (por. tamże, 270). I, podobnie jak Maryja, stójmy, trwajmy mocno na nogach: z sercem zwróconym do Boga, odważni, pomagając wstać tym, którzy upadli, podnosząc pokornych, pomagając położyć kres wszelkiej sytuacji ucisku, sprawiającej, że żyją jak ukrzyżowani.

Maryja jest wezwana przez Jezusa, by przyjąć umiłowanego ucznia jako swego syna. Tekst mówi nam, że stali razem, ale Jezus uświadamia sobie, że to nie wystarcza, że nawzajem się jeszcze nie przyjęli. Można bowiem być obok bardzo wielu osób, można nawet dzielić to samo mieszkanie, dzielnicę lub pracę, można podzielać tę samą wiarę, kontemplować i dzielić te same tajemnice, ale nie przyjąć, nie dokonać miłosnej akceptacji drugiego. Iluż małżonków mogłoby opowiedzieć historię swojego "bycia obok", ale nie "razem". Iluż młodych ludzi odczuwa z bólem ten dystans wobec dorosłych. Ileż osób starszych odczuwa, że są otoczeni zimną opieką, a nie czule przyjęci i otoczeni troską.

To prawda, żeczasami, kiedy otworzyliśmy się na innych, bardzo nas to bolało. Prawdą jest również, że w naszych realiach politycznych, historia konfliktu między narodami jest wciąż boleśnie świeża. Maryja okazuje się jako kobieta otwarta na przebaczenie, odsunięcie na bok urazów i nieufności. Nie użala się: "co by było gdyby”..., gdyby przyjaciele Jej Syna, gdyby kapłani Jego ludu lub rządzący zachowaliby się inaczej..., nie daje się pokonać frustracji i bezsilności. Maryja wierzy Jezusowi i przyjmuje ucznia, ponieważ relacje, które nas uzdrawiają i czynią wolnymi, to te, które otwierają nas na spotkanie i na braterstwo z innymi, bo odkrywają w drugim samego Boga (por. tamże, 92). Biskup Sloskans, który tutaj spoczywa, kiedy został aresztowany i zesłany, pisał do swych rodziców: „Błagam was z głębi serca: nie pozwólcie, aby zemsta lub rozpacz zagościły w waszym sercu. Gdybyśmy na to pozwolili, nie bylibyśmy prawdziwymi chrześcijanami, lecz fanatykami”. W czasach, gdy zdaje się powracać mentalność, zachęcająca do nieufności wobec innych, próbująca pokazywać przez różne statystyki, że byłoby nam lepiej, że mielibyśmy więcej dobrobytu, większe byłoby bezpieczeństwo, gdybyśmy byli sami, Maryja i uczniowie tych ziem zachęcają nas do gościnności, by na nowo postawić na brata, na powszechne braterstwo.

Ale Maryja ukazuje się także, jako niewiasta, która pozwala się przyjąć, która pokornie godzi się na to, iż stanie się częścią spraw ucznia. W małżeństwie, w którym zabrakło wina, w obliczu zagrożenia, że skończy się na tym, iż będzie pełno ceremonii, rytuałów, ale zabraknie miłości i radości, to ona nakazała, aby uczynili wszystko, cokolwiek im powie (por. J 2,5). Teraz, jako posłuszna uczennica pozwala się przyjąć, przeprowadza się, dostosowuje się do rytmu najmłodszego. Harmonia zawsze kosztuje, kiedy różnimy się od siebie, kiedy lata, dzieje i okoliczności stawiają przed nami sposoby odczuwania, myślenia i działania, które na pierwszy rzut oka zdają się przeciwne. Kiedy z wiarą słuchamy nakazu przyjmowania i bycia przyjmowanym, możliwe jest budowanie jedności w różnorodności, ponieważ nie hamują nas ani dzielą różnice, ale jesteśmy w stanie spojrzeć dalej, aby zobaczyć innych w ich najgłębszej godności, jako dzieci tego samego Ojca (por. Adhort. ap. Evangelii gaudium, 228).

Podczas tej Eucharystii, tak jak w każdej sprawujemy pamiątkę tamtego dnia. U stóp krzyża Maryja przypomina nam o radości bycia uznanymi za Jej dzieci, a Jej Syn, Jezus, zachęca nas, abyśmy zabrali Ją do domu i umieścili w centrum naszego życia. Ona chce nas obdarzyć swoją odwagą, byśmy stali, trwali mocno na nogach, swoją pokorą, która pozwala Jej dostosować się do współrzędnych każdej chwili dziejów, i woła, abyśmy w tym Jej sanktuarium wszyscy zaangażowali się, by przyjąć siebie nawzajem bez dyskryminacji, i aby wszyscy na Łotwie wiedzieli, że jesteśmy gotowi dać pierwszeństwo najuboższym, podnieść tych, którzy upadli, oraz ugościć, przyjąć innych takimi, jakimi przybywają i stają przed nami.

[01441-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione di lavoro in lingua lettone

Mēs tiešām varētu teikt, ka tas, ko svētais Lūkass stāsta Apustuļu darbu grāmatas sākumā, atkārtojas šodien šeit ar mums: esam cieši vienoti, nodevušies lūgšanai un esam kopā ar Mariju – mūsu Māti (sal. Apd 1, 14) Šodien mēs pieņemam kā savu šīs vizītes moto: “Marija, rādi mums, ka esi Māte!” Rādi mums, Marija, kur Tu turpini dziedāt savu Magnificat, rādi tās vietas, kur ir Tavs krustāsistais Dēls, lai mēs atrastu pie Viņa kājām Tavu spēcīgo klātbūtni!

Jāņa Evaņģēlijs atklāj tikai divas epizodes, kurās krustojas Jēzus un Viņa Mātes dzīves ceļi: tās ir kāzas Kānā (sal. Jņ 2, 1-2) un epizode, kuru lasījām tikko – Marija Krusta pakājē (Jņ 19, 25-27). Šķiet, ka evaņģēlists vēlas mums parādīt Jēzus Māti šajās acīmredzami pretējās situācijās: prieks par laulību un sāpes par dēla nāvi. Tai laikā, kad iedziļināmies Dieva Vārda noslēpumā, viņa mums atklāj, kas ir šī Labā Vēsts, kurā Kungs šodien vēlas dalīties ar mums.

Pirmais, uz ko evaņģēlists norāda, ir tas, ka Marija “stingri stāv uz kājām” līdzās savam Dēlam. Nav viegli tur stāvēt, bet viņa neizvairās un nekādā gadījumā nav mazdūšīga. Viņa stāv stingri, it kā “pienaglota” Krusta pakājē, ar savu stāju parādot, ka nekas un neviens nevarētu likt viņai pamest šo vietu. Ar to Marija rāda vispirms jau to, ka viņa ir līdzās tiem, kas cieš, līdzās tiem, no kuriem visa pasaule bēg, un līdzās arī tiem, kas tiek tiesāti, visu nosodīti un izsūtīti. Nav runa tikai par to, ka viņi ir apspiesti vai izmantoti, bet gan par to, ka viņi vispār ir “ārpus sistēmas”, sabiedrības atstumti (sal. Ap. pamud. Evangelii gaudium, 53). Kopā ar viņiem ir arī Māte, piekalta nesaprašanās un ciešanu krustā.

Marija mums rāda arī to, kādu nostāju ieņemt šo realitāšu priekšā. Tas nelīdzinās pastaigai vai īsam apmeklējumam, un tāpat tas nav kāds “solidaritātes tūrisms”. Nepieciešams, lai tie, kas izcieš sāpīgas situācijas, justu, ka mēs esam viņiem blakus un viņu pusē, turklāt stabili, pastāvīgi. Visi sabiedrības atraidītie var pieredzēt šīs mūsu Mātes maigo tuvumu, jo ikvienā, kas cieš, joprojām ir klātesošas viņas Dēla Jēzus atvērtās brūces. Viņa to iemācījās, stāvot pie Krusta. Arī mēs esam aicināti “pieskarties”citu ciešanām. Iesim pretī cilvēkiem, lai mierinātu un būtu viņiem līdzās! Nebaidīsimies pieredzēt maiguma spēku un būt iesaistītiem, nebaidīsimies, palīdzot citiem, sarežģīt savu dzīvi! (sal. Evangelii gaudium, 270) Un tāpat kā Marija, būsim noturīgi un paliksim stāvus: proti, drosmīgi un ar sirdi pievērstu Dievam; pieceļot tos, kas pakrituši, paaugstinot pazemīgo, palīdzot izbeigt jebkādas apspiešanas situācijas, kuras liek dzīvot kā piesistiem krustā.

Jēzus aicināja Mariju pieņemt mīļoto mācekli kā savu dēlu. Tekstā ir teikts, ka tie bija līdzās, taču Jēzus atklāj, ka ar to nepietiek, ka viņiem savstarpēji jāpieņem vienam otrs. Jo var jau būt blakus daudziem cilvēkiem, dzīvot tai pašā mājoklī, tai pašā kvartālā vai strādāt tai pašā darbavietā, dalīties tai pašā ticībā, kontemplēt un gūt prieku tais pašos dievišķajos noslēpumos, taču nepieņemt otru, nepūlēties pieņemt viņu ar mīlestību. Cik gan daudzi laulātie varētu pastāstīt par viņu atrašanos blakus, taču ne kopā! Cik daudzi jaunieši ar sāpēm jūt šo distanci pieaugušo priekšā! Cik daudzi sirmgalvji gan ir aprūpēti, taču bez sirds siltuma, auksti, bez mīlestības pilnām rūpēm.

Ir taisnība, ka reizēm, kad esam atvērušies citiem, tas mums ir bijis ļoti sāpīgi. Tāpat ir taisnība, ka šī laikmeta politiskajās realitātēs mums atmiņā vēl sāpīgi svaigas palikušas tautu sadursmes nesenajā vēsturē. Un te Marija mums atklājas kā sieviete, kas ir atvērta piedošanai, viņa rāda gatavību nolikt malā ieļaunojumus un neuzticēšanos; viņa atsakās no apsūdzībām par to, kā “būtu varējis būt”, ja viņas Dēla draugi, ja viņas tautas priesteri vai arī, ja pie varas esošie būtu izturējušies citādi. Viņa neļauj sevi uzvarēt frustrācijai vai bezspēcībai. Marija tic Jēzum un pieņem mācekli, jo attiecības, kas mūs dziedina un atbrīvo, ir tās, kas mūs arī atver uz satikšanos un brālību, jo ļauj mums otrā atklāt paša Dieva klātbūtni (sal. Evangelii gaudium,92). Bīskaps Sloskāns, kurš atdusas šeit, pēc tam, kad bija ticis arestēts un izsūtīts, rakstīja saviem vecākiem: “Es no sirds lūdzu jūs, neļaujiet jūsu sirdīs iezagties atriebības vai rūgtuma jūtām! (..) Tad mēs vairs nebūsim īsti kristieši, bet gan fanātiķi.” Laikmetā, kad šķiet atgriežas tādas mentalitātes, kuras mūs aicina neuzticēties citiem, kuras ar statistikas datiem grib mums pierādīt, ka mums klātos labāk un būtu drošāk, ja mēs būtu tikai paši vien, Marija un šo zemju mācekļi aicina mūs pieņemt otru un no jauna uzticēties brāļiem, universālajai brālībai.

Taču Marija rāda sevi arī kā sieviete, kas ļauj uzņemt sevi pašu, kas pazemīgi pieņem, ka kļūst par mācekļa dzīves daļu. Tais kāzās, kurās bija pietrūcis vīna, un tāpēc tās riskēja būt gan bagātas rituāliem, bet ne ar mīlestību un prieku, tā bija viņa, kas teica, ka jādara tas, ko Jēzus viņiem liks. (sal. Jņ2,5) Tagad, kā paklausīga mācekle, viņa ļauj sevi uzņemt, viņa pārceļas un piemērojas tā dzīves ritmam, kurš ir jaunāks par viņu. Tas vienmēr traucē harmonijai, kad esam atšķirīgi, kad gadi, dzīvesstāsti un apstākļi liek mums just, domāt un rīkoties pirmajā acu uzmetienā šķietami pretēji. Bet, kad ar ticību ieklausāmies rīkojumā pieņemt citus un tikt pieņemtiem, kļūst iespējams veidot vienību dažādībā, jo tad atšķirības mūs nekavē un nešķeļ, tad kļūstam spējīgi skatīties tālāk par tām, redzēt citus viņu dziļākajā cieņā – kā tā paša Tēva bērnus. (sal. Evangelii gaudium, 228)

Šajā, tāpat kā katrā Euharistijā, pieminēsim to dienu Golgātas kalnā. Krusta pakājē Marija mums atgādina prieku, jo esam atzīti kā viņas bērni, un viņas Dēls Jēzus aicina mūs ņemt Mariju pie sevis un dot viņai cienīgu vietu mūsu dzīvē. Viņa vēlas dot mums savu drosmi, lai mēs stāvētu stingri un noturīgi; savu pazemību, kas ļauj ņemt vērā katra vēstures brīža koordinātes. Viņa liek atskanēt savai balsij, lai šajā viņas sanktuārijā mēs visi apņemtos pieņemt cits citu bez diskriminācijas un lai Latvijā visi uzzinātu, ka vēlamies dot priekšroku nabadzīgajiem, piecelt tos, kas pakrituši un pieņemt citus tādus, kādus tos sastopam, tādus, kādi tie ir.

[01441-AA.01] [Testo originale: Italiano – traduzione di lavoro]

Parole di ringraziamento del Santo Padre al termine della Celebrazione Eucaristica

Parole di ringraziamento del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione di lavoro in lingua lettone

Parole di ringraziamento del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

al termine di questa celebrazione, ringrazio il vostro Vescovo per le parole che mi ha rivolto. E voglio dire grazie di cuore a tutti coloro che in diversi modi hanno collaborato per questa visita. In particolare, esprimo viva riconoscenza al Presidente della Repubblica e alle Autorità del Paese per la loro accoglienza.

Offro in dono alla Santa Madre di Dio, in questa “Terra Mariana”, una speciale corona del Rosario: la Vergine vi protegga e vi accompagni sempre.

[01442-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs,

A la fin de cette célébration, je remercie votre Evêque pour les paroles qu’il m’a adressées. Et je veux dire merci de tout cœur à tous ceux qui, de diverses manières, ont collaboré à cette visite. En particulier, j’exprime une vive reconnaissance au Président de la République et aux Autorités du pays pour leur accueil.

J’offre en hommage à la Sainte Mère de Dieu, en cette “terre mariale”, un Rosaire particulier: que la Vierge vous protège et vous accompagne toujours.

[01442-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear brothers and sisters,

At the end of this celebration, I thank your bishop for the words he has addressed to me. I want to also to thank, from my heart, all those who in different ways have worked for this visit. In particular, I express my deep gratitude to His Excellency the President of the Republic and to the authorities of the country for their welcome.

I offer to the Most Holy Mother of God, in this “Marian Land”, a special Rosary: May the Blessed Virgin protect and accompany you always.

[01442-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern,

am Ende dieser Feier danke ich eurem Bischof für die Worte, die er an mich gerichtet hat. Und dann möchte ich von Herzen allen Danke sagen, die bei diesem Besuch in irgendeiner Weise mitgeholfen haben. Insbesondere danke ich herzlich dem Präsidenten der Republik und den Autoritäten des Landes für den freundlichen Empfang.

Der Gottesmutter in diesem “Marienland” überreiche ich als Geschenk einen besonderen Rosenkranz: Die Jungfrau Maria behüte euch und gebe euch allezeit ihr Geleit.

[01442-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Al final de esta celebración, agradezco a vuestro Obispo las palabras que me ha dirigido. Quiero dar las gracias de corazón a todos los que de diversas maneras han colaborado en esta visita. En particular, expreso mi profunda gratitud al Presidente de la República y a las autoridades del país por su acogida.

En esta “Tierra mariana”, ofrezco a la Santa Madre de Dios el obsequio de una especial corona del Rosario: Que la Virgen os proteja y os acompañe siempre.

[01442-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Amados irmãos e irmãs!

No final desta celebração, agradeço ao vosso Bispo as palavras que me dirigiu. E, de coração, quero dizer obrigado a todos aqueles que, de várias maneiras, colaboraram para esta visita. Em particular, exprimo sentida gratidão ao Presidente da República e às Autoridades do país pela sua receção.

Ofereço de presente à Santíssima Mãe de Deus, nesta «Terra Mariana», um terço especial do rosário. Que a Virgem vos proteja e sempre vos acompanhe!

[01442-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy Bracia i Siostry,

Na zakończenie tej celebracji, dziękuję waszemu biskupowi za skierowane do mnie słowa. Pragnę z całego serca podziękować wszystkim, którzy na różne sposoby współpracowali przy tej wizycie. W szczególności wyrażam głęboką wdzięczność Prezydentowi Republiki i władzom kraju za gościnność.

Na tej „ziemi Maryjnej” ofiarowuję w darze Matce Bożej, specjalny różaniec. Niech Najświętsza Dziewica was broni i zawsze was prowadzi.

[01442-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione di lavoro in lingua lettone

Dārgie brāļi un māsas!

Šo svinību noslēgumā vēlos pateikties Jūsu bīskapam par man veltītajiem vārdiem. Tāpat vēlos izteikt savu paldies visiem tiem, kuri dažādos veidos ir snieguši savu ieguldījumu šīs vizītes sagatavošanā. Un it sevišķi izsaku dziļu pateicību par uzņemšanu Latvijas Republikas prezidentam un valsts autoritātēm.

Šai “Marijas zemē” – “Terra Mariana”– kā dāvanu Svētajai Dieva Mātei pasniedzu īpašu Rožukroņa kroni: lai Jaunava Marija Jūs vienmēr sargā un pavada!

[01442-AA.01] [Testo originale: Italiano – traduzione di lavoro]

[B0686-XX.02]