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Lettera del Santo Padre ai partecipanti alla Conferenza Internazionale “Dalla Populorum progressio alla Laudato si’” (Aula Nuova del Sinodo, 23-24 novembre 2017), 24.11.2017


Lettera del Santo Padre

Traduzione in lingua spagnola

Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato ai partecipanti alla Conferenza Internazionale Dalla Populorum progressio alla Laudato si’, organizzata dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale presso l’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, il 23 e 24 novembre 2017:

Lettera del Santo Padre

Venerato Fratello
Signor Cardinale Peter K.A. Turkson

Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

In questi giorni, convocati dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, i rappresentanti di diverse organizzazioni sindacali e movimenti di lavoratori si sono riuniti a Roma per riflettere e confrontarsi sul tema “Dalla Populorum progressio alla Laudato si’. Il lavoro e il movimento dei lavoratori al centro dello sviluppo umano integrale, sostenibile e solidale”. Ringrazio Vostra Eminenza e i collaboratori e rivolgo a tutti il mio cordiale saluto.

Il Beato Paolo VI, nella sua Enciclica Populorum progressio, afferma che «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale», cioè promuovere integralmente tutta la persona e anche tutte le persone e i popoli.[1] E dal momento che «la persona fiorisce nel lavoro»,[2] la dottrina sociale della Chiesa ha messo in risalto, in diverse occasioni, che questa non è una questione tra tante, ma piuttosto la «chiave essenziale» di tutta la questione sociale.[3] In effetti, il lavoro «condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale delle persone, della famiglia, della società».[4]

Come base della fioritura umana, il lavoro è una chiave per lo sviluppo spirituale. Secondo la tradizione cristiana, esso è più di un mero fare; è, soprattutto, una missione. Collaboriamo con l’opera creatrice di Dio, quando, per mezzo del nostro operare coltiviamo e custodiamo il creato (cfr Gen 2,15);[5] partecipiamo, nello Spirito di Gesù, alla sua missione redentrice, quando mediante la nostra attività diamo sostentamento alle nostre famiglie e rispondiamo alle necessità del nostro prossimo. Gesù, che «dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere»[6] e consacrò il suo ministero pubblico a liberare le persone da malattie, sofferenze e dalla stessa morte,[7] ci invita a seguire i suoi passi attraverso il lavoro. In questo modo, «ogni lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare il bene».[8]

Il lavoro, oltre che essere essenziale per la fioritura della persona, è anche una chiave dello sviluppo sociale. «Lavorare con gli altri e lavorare per gli altri»,[9] e il frutto di questo agire offre «occasione di scambi, di relazioni e d’incontro».[10] Ogni giorno, milioni di persone cooperano allo sviluppo attraverso le loro attività manuali o intellettuali, in grandi città o in zone rurali, con incarichi sofisticati o semplici. Tutte sono espressione di un amore concreto per la promozione del bene comune, di una amore civile.[11]

Il lavoro non può essere considerato come una merce né un mero strumento nella catena produttiva di beni e servizi,[12] ma, essendo basilare per lo sviluppo, ha la priorità rispetto a qualunque altro fattore di produzione, compreso il capitale.[13] Di qui l’imperativo etico di «difendere i posti di lavoro»,[14] di crearne di nuovi in proporzione all’aumento della redditività economica,[15] come pure è necessario garantire la dignità del lavoro stesso.[16]

Tuttavia, come osservò Paolo VI, non bisogna esagerare la “mistica” del lavoro. La persona «non è solo lavoro»; ci sono altre necessità umane che dobbiamo coltivare e considerare, come la famiglia, gli amici e il riposo.[17] E’ importante, dunque, ricordare che qualunque lavoro dev’essere al servizio della persona, e non la persona al servizio di esso,[18] e ciò implica che dobbiamo mettere in discussione le strutture che danneggiano o sfruttano le persone, le famiglie, le società e la nostra madre terra.

Quando il modello di sviluppo economico si basa solamente sull’aspetto materiale della persona, o quando va a beneficio solo di alcuni, o quando danneggia l’ambiente, provoca un grido, tanto dei poveri quanto della terra, che «reclama da noi un’altra rotta».[19] Questa rotta, per essere sostenibile, deve porre al centro dello sviluppo la persona e il lavoro, ma integrando la problematica lavorativa con quella ambientale. Tutto è interconnesso, e dobbiamo rispondere in modo integrale.[20]

Un valido contributo a tale risposta integrale da parte dei lavoratori è mostrare al mondo quello che voi bene conoscete: il legame tra le tre “T”: terra, tetto e lavoro [trabajo].[21] Non vogliamo un sistema di sviluppo economico che aumenti la gente disoccupata, né senza tetto, né senza terra. I frutti della terra e del lavoro sono per tutti,[22] e «devono essere partecipati equamente a tutti».[23] Questo tema acquista rilevanza speciale in riferimento alla proprietà della terra, sia nelle zone rurali che in quelle urbane, e alle norme giuridiche che garantiscono l’accesso ad essa.[24] E a tale riguardo il criterio di giustizia per eccellenza è la destinazione universale dei beni, il cui «diritto universale al loro uso» è «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale».[25]

E’ pertinente ricordare questo oggi, mentre ci accingiamo a celebrare il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, e anche quando i diritti economici, sociali e culturali devono avere maggiore considerazione. Ma la promozione e la difesa di tali diritti non si può realizzare a spese della terra e delle generazioni future. L’interdipendenza tra il lavoro e l’ambiente ci obbliga a reimpostare i generi di occupazione che vogliamo promuovere in futuro e quelli che devono essere sostituiti o ricollocati, come possono essere, ad esempio, le attività dell’industria di combustibili fossili inquinanti. E’ ineludibile uno spostamento dall’industria energetica attuale a una più rinnovabile per proteggere la nostra madre terra. Ma è ingiusto che questo spostamento sia pagato con il lavoro e con la casa dei più bisognosi. Ossia, il costo di estrarre energia dalla terra, bene comune universale, non può ricadere sui lavoratori e le loro famiglie. I sindacati e i movimenti che conoscono la connessione tra lavoro, casa e terra hanno in merito un grande apporto da dare, e devono darlo.

Un altro contributo importante dei lavoratori per lo sviluppo sostenibile è quello di evidenziare un’altra triplice connessione, un secondo gioco di tre “T”: questa volta tra lavoro, tempo e tecnologia. Quanto al tempo, sappiamo che la «continua accelerazione dei cambiamenti» e «l’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro», che alcuni chiamano «rapidación» non favoriscono lo sviluppo sostenibile né la sua qualità.[26] Sappiamo anche che la tecnologia, da cui riceviamo tanti benefici e tante opportunità, può ostacolare lo sviluppo sostenibile quando è associata a un paradigma di potere, dominio e manipolazione.[27]

Nel contesto attuale, conosciuto come la quarta rivoluzione industriale, caratterizzato da questa “rapidazione” e dalla sofisticata tecnologia digitale, dalla robotica e dall’intelligenza artificiale,[28] il mondo ha bisogno di voci come la vostra. Sono i lavoratori che, nel loro lottare per la giornata lavorativa giusta, hanno imparato ad affrontare una mentalità utilitaristica, di corto raggio e manipolatrice. Per questa mentalità, non importa se c’è degrado sociale e ambientale; non importa che cosa si usa e che cosa si scarta; non importa se c’è lavoro forzato di bambini o se si inquina il fiume di una città. Importa solo il guadagno immediato. Tutto si giustifica in funzione del dio denaro.[29] Dato che molti di voi hanno contribuito a combattere questa patologia nel passato, si trovano oggi molto ben posizionati per correggerla nel futuro. Vi prego di affrontare questa difficile tematica e di mostrarci, secondo la vostra missione profetica e creativa,[30] che è possibile una cultura dell’incontro e della cura. Oggi non più in gioco solo la dignità di chi è occupato, ma la dignità del lavoro di tutti, e della casa di tutti, la nostra madre terra.

Perciò, e come ho affermato nell’Enciclica Laudato si’, abbiamo bisogno di un dialogo sincero e profondo per ridefinire l’idea del lavoro e la rotta dello sviluppo..[31] Ma non possiamo essere ingenui e pensare che il dialogo avverrà naturalmente e senza conflitti. Occorrono persone che lavorino senza sosta per dare vita a processi di dialogo a tutti i livelli: a livello dell’impresa, del sindacato, del movimento; a livello di quartiere, cittadino, regionale, nazionale e globale. In questo dialogo sullo sviluppo, tutte le voci e le visioni sono necessarie, ma specialmente le voci meno ascoltate, quelle delle periferie. Conosco lo sforzo di tanta gente per far emergere queste voci nelle sedi in cui si prendono decisioni sul lavoro. A voi chiedo di assumere questo nobile impegno.

L’esperienza ci dice che, perché un dialogo sia fruttuoso, è necessario partire da ciò che abbiamo in comune. Per dialogare sullo sviluppo è conveniente ricordare ciò che ci accomuna come esseri umani: la nostra origine, l’appartenenza e la destinazione.[32] Su questa base, potremo rinnovare la solidarietà universale di tutti i popoli,[33] includendo la solidarietà con i popoli del domani. Inoltre potremo trovare il modo di uscire da un’economia di mercato e finanziaria che non dà al lavoro il valore che gli spetta, e orientarla verso un’altra nella quale l’attività umana è il centro.[34]

I sindacati e i movimenti di lavoratori per vocazione devono essere esperti in solidarietà. Ma per contribuire allo sviluppo solidale vi prego di guardarvi da tre tentazioni. La prima, quella dell’individualismo collettivista, cioè proteggere solo gli interessi di quanti rappresentate, ignorando il resto dei poveri, emarginati ed esclusi dal sistema. Occorre investire in una solidarietà che vada oltre le muraglie della vostre associazioni, che protegga i diritti dei lavoratori, ma soprattutto di quelli i cui diritti non sono neppure riconosciuti. Sindacato è una parola bella che deriva dal greco dikein (fare giustizia) e syn (insieme).[35] Per favore, fate giustizia insieme, ma in solidarietà con tutti gli emarginati.

La mia seconda richiesta è di guardarvi dal cancro sociale della corruzione.[36] Come, in certe occasioni, «la politica è responsabile del proprio discredito a causa della corruzione»,[37] così lo stesso accade con i sindacati. E’ terribile la corruzione di quelli che si dicono “sindacalisti”, che si mettono d’accordo con gli imprenditori e non si interessano dei lavoratori lasciando migliaia di colleghi senza lavoro; questa è una piaga che mina le relazioni e distrugge tante vite e tante famiglie. Non lasciate che gli interessi illeciti rovinino la vostra missione, così necessaria nel tempo in cui viviamo. Il mondo e l’intera creazione aspirano con speranza ad essere liberati dalla corruzione (cfr Rm 8,18-22). Siate fattori di solidarietà e di speranza per tutti. Non lasciatevi corrompere!

La terza richiesta è di non dimenticarvi del vostro ruolo di educare coscienze alla solidarietà, al rispetto e alla cura. La consapevolezza della crisi del lavoro e dell’ecologia esige di tradursi in nuovi stili di vita e politiche pubbliche. Per dar vita a tali stili di vita e leggi, abbiamo bisogno che istituzioni come le vostre coltivino virtù sociali che favoriscano il fiorire di una nuova solidarietà globale, che ci permetta di sfuggire all’individualismo e al consumismo, e che ci motivino a mettere in discussione i miti di un progresso materiale indefinito e di un mercato senza regole giuste.[38]

Spero che questo Congresso produca una sinergia in grado di proporre linee concrete di azione a partire dal punto di vista dei lavoratori, vie che ci conducano a uno sviluppo umano, integrale, sostenibile e solidale.

Ringrazio nuovamente Lei, Signor Cardinale, come pure quanti hanno partecipato e offerto il loro contributo, e a tutti invio la mia benedizione.

Dal Vaticano, 23 novembre 2017

FRANCESCO

____________________________________________

[1] N. 14.

[2] Discorso alla Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL), 28 giugno 2017.

[3] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens (1981), 3.

[4] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2005), n. 269.

[5] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 34; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens (1981), 25.

[6] Lett. enc. Laborem exercens, 6.

[7] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 261.

[8] Ambrogio, De obitu Valentiniani consolatio, 62, cit. in Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 265.

[9] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus Annus (1991), 31.

[10] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 273; cfr Lett. enc. Laudato si’, 125.

[11] Cfr Discorso alla Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL); Lett. enc. Laudato si’, 231.

[12] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 7.

[13] Cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 276.

[14] Esort. ap. Evangelii gaudium, 203.

[15] Cfr ibid., 204.

[16] Cfr ibid., 205.

[17] Cfr Discorso alla Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL).

[18] Cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 272.

[19] Lett. enc. Laudato si’, 53.

[20] Cfr ibid, 16, 91, 117, 138, 240.

[21] Cfr Discorso ai partecipanti all’incontro mondiale dei movimenti popolari, 5 novembre 2016.

[22] Cfr Lett. enc. Laudato si’, 93.

[23] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 69.

[24] Cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 283.

[25] Lett. enc. Laudato si’, 93.

[26] Ibid., 18.

[27] Cfr ibid., 102-206.

[28] Cfr J. Manyika, «Technology, jobs, and the future of work». McKinsey Global Institute. Nota informativa preparata dal Forum Mondiale Fortune-Time, dicembre 2016 (aggiornata in febbraio 2017).

[29] Si tratta di un pericoloso «relativismo pratico»: cfr Lett. enc. Laudato si’, 122.

[30] Cfr Discorso alla Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL).

[31] Cfr nn. 3 e 14.

[32] Cfr Lett. enc. Laudato si’, 202.

[33] Cfr ibid., 14, 58, 159, 172, 227.

[34] Cfr Discorso alla Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL).

[35] Cfr ibid..

[36] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 60.

[37] Lett. enc. Laudato si’, 197.

[38] Ibid., 209-215.

[01785-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua spagnola

Venerable Hermano
Señor Cardenal Peter K.A. Turkson

Prefecto del Dicasterio para el Desarrollo Humano Integral

En estos días, los representantes de diversas organizaciones sindicales y movimientos de trabajadores se han reunido en Roma, convocados por el Dicasterio para el Servicio Humano Integral, para reflexionar y debatir sobre el tema «De Populorum Progressio a Laudato Si’. El trabajo y el movimiento de los trabajadores en el centro del desarrollo humano integral, sostenible y solidario». Doy las gracias a Vuestra Eminencia y a los colaboradores, asimismo saludo con afecto a todos ustedes.

El Beato Pablo VI en su encíclica Populorum Progressio decía que «el desarrollo [humano] no se reduce al simple crecimiento económico. Para ser auténtico, debe ser integral», es decir, promover toda la integridad de la persona, y también a todas las personas y pueblos.[1] Y dado que «la persona florece en el trabajo»,[2] la Doctrina Social de la Iglesia ha enfatizado, en repetidas ocasiones, que ésta no es una cuestión entre tantas, sino más bien la «clave esencial» de toda la cuestión social.[3] En efecto, el trabajo «condiciona no sólo el desarrollo económico, sino también el cultural y moral de las personas, de la familia, de la sociedad».[4]

Como base del florecimiento humano, el trabajo es clave para el desarrollo espiritual. Según la tradición cristiana, éste es más que una simple labor; es, sobre todo, una misión. Colaboramos con la obra creadora de Dios, cuando por medio de nuestro obrar cultivamos y custodiamos la creación (cf. Gn 2,15);[5] participamos, en el Espíritu de Jesús, de su misión redentora, cuando mediante nuestra actividad alimentamos a nuestras familias y atendemos las necesidades de nuestro prójimo. Jesús, quien «dedicó la mayor parte de su vida terrena a la actividad manual junto al banco del carpintero»[6] y consagró su ministerio público a liberar a personas de enfermedades, sufrimientos y de la muerte misma,[7] nos invita a seguir sus pasos a través del trabajo. De este modo, «cada trabajador es la mano de Cristo que continúa creando y haciendo el bien».[8]

El trabajo, además de ser esencial para el florecimiento de la persona, es también la clave para el desarrollo social. «Trabajar con otros y para otros»,[9] y el fruto de este hacer «es ocasión de intercambio, de relaciones, y de encuentro».[10] Cada día, millones de personas cooperan al desarrollo a través de sus actividades manuales o intelectuales, en grandes urbes o en zonas rurales, con tareas sofisticadas o sencillas. Todas son expresión de un amor concreto para la promoción del bien común, de un amor civil.[11]

El trabajo no puede considerarse como una mercancía ni un mero instrumento en la cadena productiva de bienes y servicios,[12] sino que, al ser primordial para el desarrollo, tiene preferencia sobre cualquier otro factor de producción, incluyendo al capital.[13] De allí el imperativo ético de «preservar las fuentes de trabajo»,[14] de crear otras nuevas a medida que aumenta la rentabilidad económica,[15] como también se necesita garantizar la dignidad del mismo.[16]

Sin embargo, tal como lo advirtió Pablo VI, no hay que exagerar la mística del trabajo. La persona «no es sólo trabajo»; hay otras necesidades humanas que necesitamos cultivar y atender, como la familia, los amigos y el descanso.[17] Es importante, pues, recordar que cualquier tarea debe estar al servicio de la persona, y no la persona al servicio de esta,[18] lo cual implica que debemos cuestionar las estructuras que dañan o explotan a personas, familias, sociedades o a nuestra madre tierra.

Cuando el modelo de desarrollo económico se basa solamente en el aspecto material de la persona, o cuando beneficia sólo a algunos, o cuando daña el medio ambiente, genera un clamor, tanto de los pobres como de la tierra, que «nos reclama otro rumbo».[19] Este rumbo, para ser sostenible, necesita colocar en el centro del desarrollo a la persona y al trabajo, pero integrando la problemática laboral con la ambiental. Todo está interconectado, y debemos responder de modo integral.[20]

Una contribución válida a dicha respuesta integral por parte de los trabajadores, es mostrar al mundo lo que ustedes bien conocen: la conexión entre las tres «T»: tierra, techo y trabajo.[21] No queremos un sistema de desarrollo económico que fomente gente desempleada, ni sin techo, ni desterrada. Los frutos de la tierra y del trabajo son para todos,[22] y «deben llegar a todos de forma justa».[23] Este tema adquiere relevancia especial en relación con la propiedad de la tierra, tanto en zonas rurales como urbanas, y con las normas jurídicas que garantizan el acceso a la misma.[24] Y en este asunto el criterio de justicia por excelencia, es el destino universal de los bienes, cuyo «derecho universal a su uso» es «principio fundamental de todo el ordenamiento ético-social».[25]

Es pertinente recordar esto hoy, cuando celebraremos dentro de poco el septuagésimo aniversario de la Declaración Universal de Derechos Humanos, y también cuando los derechos económicos, sociales y culturales deben percibirse con mayor fuerza. Pero la promoción y defensa de tales derechos no puede realizarse a costa de la tierra y de las generaciones futuras. La interdependencia entre lo laboral y lo ambiental nos obliga a replantearnos la clase de tareas que queremos promover en el futuro y las que necesitan reemplazarse o relocalizarse, como pueden ser a modo de ejemplo, las actividades de la industria de combustibles fósiles contaminantes. Es imperioso una transferencia de la industria energética actual a una más renovable para cuidar nuestra madre tierra. Pero es injusto que dicha transferencia sea pagada con el trabajo y el techo de los más necesitados. Es decir, el costo de extraer energía de la tierra, bien común universal, no puede recaer sobre los trabajadores y sus familias. Los sindicatos y movimientos, que saben de la conexión entre trabajo, techo y tierra, tienen la obligación de aportar al respecto.

Otra contribución importante de los trabajadores para el desarrollo sustentable, es la de resaltar otra triple conexión, un segundo juego de tres «T»: esta vez entre trabajo, tiempo y tecnología. En cuanto al tiempo, sabemos que la «continua aceleración de los cambios» y la «intensificación de ritmos de vida y de trabajo», que algunos llaman «rapidación», no colaboran con el desarrollo sostenible ni con la calidad del mismo.[26] También sabemos que la tecnología, de la cual recibimos tantos beneficios y oportunidades, puede obstaculizar el desarrollo sustentable cuando está asociada a un paradigma de poder, dominio y manipulación.[27]

En el contexto actual, conocido como la cuarta revolución industrial, caracterizado por esta rapidación y la refinada tecnología digital, la robótica, y la inteligencia artificial,[28] el mundo necesita de voces como la de ustedes. Son los trabajadores quienes, en su lucha por la jornada laboral justa, han aprendido a enfrentarse con una mentalidad utilitarista, cortoplacista, y manipuladora. Para esta mentalidad, no interesa si hay degradación social o ambiental; no interesa qué se usa y qué se descarta; no interesa si hay trabajo forzado de niños o si se contamina el río de una ciudad. Sólo importa la ganancia inmediata. Todo se justifica en función del dios dinero.[29] Dado que muchos de ustedes han contribuido a combatir esta patología en el pasado, se encuentran hoy muy bien posicionados para corregirla en el futuro. Les ruego que aborden esta difícil temática y que nos muestren, desde su misión profética y creativa,[30] que es posible una cultura del encuentro y del cuidado. Hoy ya no es sólo la dignidad del empleado la que está en juego, sino la dignidad del trabajo de todos, y de la casa de todos, nuestra madre tierra.

Por ello, y tal como lo afirmé en la encíclica Laudato Si’, necesitamos de un diálogo sincero y profundo para redefinir la idea del trabajo y el rumbo del desarrollo.[31] Pero no podemos ser ingenuos y pensar que el diálogo se dará naturalmente y sin conflictos. Hacen falta agentes que trabajen sin cesar para generar procesos de diálogo en todos los niveles: a nivel de la empresa, del sindicato, del movimiento; a nivel barrial, de ciudad, regional, nacional, y global. En este diálogo sobre el desarrollo, todas las voces y visiones son necesarias, pero en especial aquellas voces menos escuchadas, las de las periferias. Conozco el afán de mucha gente por traer dichas voces a la luz en los foros donde se toman decisiones sobre el trabajo. A ustedes les pido que se sumen a esta noble labor.

La experiencia nos dice que para que un diálogo sea fructífero, es preciso partir de lo que tenemos en común. Para dialogar sobre desarrollo, es conveniente recordar lo que nos aúna: nuestro origen, pertenencia y destino.[32] Sobre esta base, podremos renovar la solidaridad universal de todos los pueblos,[33] incluyendo la solidaridad con los pueblos del mañana. Además, podremos encontrar el modo de salir de una economía de mercado y de finanzas, que no da al trabajo el valor que corresponde, y orientarla hacia aquella en la que la actividad humana es el centro.[34]

Los sindicatos y movimientos de trabajadores por vocación deben ser expertos en solidaridad. Pero para aportar al desarrollo solidario, les ruego se cuiden de tres tentaciones. La primera, la del individualismo colectivista, es decir, de proteger sólo los intereses de sus representados, ignorando al resto de los pobres, marginados y excluidos del sistema. Se necesita invertir en una solidaridad que trascienda las murallas de sus asociaciones, que proteja los derechos de los trabajadores, pero sobre todo de aquellos cuyos derechos ni siquiera son reconocidos. Sindicato es una palabra bella que proviene del griego dikein (hacer justicia), y syn (juntos).[35] Por favor, hagan justicia juntos, pero en solidaridad con todos los marginados.

Mi segundo pedido es que se cuiden del cáncer social de la corrupción.[36] Así como, en ocasiones, «la política es responsable de su propio descrédito por la corrupción»,[37] lo mismo ocurre con los sindicatos. Es terrible esa corrupción de los que se dicen «sindicalistas», que se ponen de acuerdo con los emprendedores y no se interesan de los trabajadores dejando a miles de compañeros sin trabajo; esto es una lacra, que mina las relaciones y destruye tantas vidas y familias. No dejen que los intereses espurios arruinen su misión, tan necesaria en los tiempos en que vivimos. El mundo y la creación entera aguardan con esperanza a ser liberados de la corrupción (cf. Rm 8,18-22). Sean factores de solidaridad y esperanza para todos. ¡No se dejen corromper!

El tercer pedido es que no se olviden de su rol de educar conciencias en solidaridad, respeto y cuidado. La conciencia de la crisis del trabajo y de la ecología necesita traducirse en nuevos hábitos y políticas públicas. Para generar tales hábitos y leyes, necesitamos que instituciones como las de ustedes cultiven virtudes sociales que faciliten el florecimiento de una nueva solidaridad global, que nos permita escapar del individualismo y del consumismo, y que nos motiven a cuestionar los mitos de un progreso material indefinido y de un mercado sin reglas justas.[38]

Espero que este Congreso produzca una sinergia suficiente como para proponer líneas de acción concretas desde la mirada de los trabajadores, caminos que nos conduzcan a un desarrollo humano integral, sostenible y solidario.

Le doy las gracias nuevamente a usted, Señor Cardenal, como también a los que han participado y contribuido, y a todos les doy mi bendición.

Vaticano, 23 de noviembre de 2017

FRANCISCO

____________________________________________________

[1] Beato Pablo VI, 1967, Populorum Progressio, 14.

[2] Papa Francisco, 2017, Discurso a la Confederación Italiana de Sindicatos de Trabajadores (CISL), 28 junio 2017.

[3] San Juan Pablo II, 1981, Laborem Excercens, 3.

[4] Pontificio Consejo Justicia y Paz, 2005, Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 269.

[5] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, 1966, Const. past. sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 34; san Juan Pablo II, 1981, Laborem Excercens, 25.

[6] Laborem Excercens, 6.

[7] Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 261.

[8] Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 265. [San Ambrosio, De obitu Valentiniani consolatio, 62].

[9] San Juan Pablo II, 1991, Centesimus Annus, 31.

[10] Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 273; cf. Papa Francisco, 2015, Laudato Si’, 125.

[11] Cf. Discurso a la Confederación Italiana de Sindicatos de Trabajadores (CISL); y Laudato Si’, 231.

[12] Cf. Laborem Excercens, 7.

[13] Cf. Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 276.

[14] Papa Francisco, 2013, Exhortación Apostólica Evangelii Gaudium, 203.

[15] Cf. Evangelii Gaudium, 204.

[16] Cf. Evangelii Gaudium, 205.

[17] Cf Discurso a la Confederación Italiana de Sindicatos de Trabajadores (CISL).

[18] Cf. Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 272.

[19] Laudato Si’, 53.

[20] Cf. Laudato Si’, 16, 91, 117, 138, 240.

[21] Cf. Papa Francisco, 2016, Discurso a los participantes en el encuentro mundial de movimientos populares, Aula Pablo VI, Sábado 5 noviembre 2016.

[22] Cf. Laudato Si’, 93.

[23] Conc. Ecum. Vat. II, 1966, Const. Past. sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 69.

[24] Cf. Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 283.

[25] Laudato Si’, 93.

[26] Laudato Si’, 18.

[27] Cf. Laudato Si’, 102-206.

[28] Cf. Manyika, J., 2016, «Technology, jobs, and the future of work». McKinsey Global Institute. Nota informativa preparada para el Foro Mundial Fortune-Time en el Vaticano, diciembre 2016 (actualizada en febrero 2017).

[29] Se trata de un peligroso «relativismo práctico» (Papa Francisco, 2015, Laudato Si’, 122).

[30] Cf. Discurso a la Confederación Italiana de Sindicatos de Trabajadores (CISL).

[31] Cf. Laudato Si’, 3, 14.

[32] Cf. Laudato Si’, 202.

[33] Cf. Laudato Si’, 14, 58, 159, 172, 227.

[34] Cf. Discurso a la Confederación Italiana de Sindicatos de Trabajadores (CISL).

[35] Cf. Discurso a la Confederación Italiana de Sindicatos de Trabajadores (CISL).

[36] Cf.Evangelii Gaudium, 60.

[37] Laudato Si’, 197.

[38] Laudato Si’, 209-2015.

[01785-ES.01] [Texto original: Italiano]

[B7777-XX.02]