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Santa Messa in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno, 03.11.2017


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 11.30 di questa mattina, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

L’odierna celebrazione ci pone ancora una volta davanti agli occhi la realtà della morte, ravvivando in noi anche il dispiacere per il distacco dalle persone che ci sono state vicine e ci hanno fatto del bene; ma la liturgia alimenta soprattutto la nostra speranza per loro e per noi stessi.

La prima Lettura esprime una forte speranza nella risurrezione dei giusti: «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e all’infamia eterna» (Dn 12,2). Quelli che dormono nella regione della polvere, cioè nella terra, sono ovviamente i morti, e il risveglio dalla morte non è di per sé un ritorno alla vita: alcuni infatti si sveglieranno per la vita eterna, altri per la vergogna eterna. La morte rende definitivo il “bivio” che già qui, in questo mondo ci sta dinanzi: la via della vita, cioè quella che conduce alla comunione con Dio, o la via della morte, cioè che conduce lontano da Lui. I “molti” che risorgeranno per una vita eterna sono da intendere come i “molti” per i quali è versato il sangue di Cristo. Sono la moltitudine che, grazie alla bontà misericordiosa di Dio, può sperimentare la realtà della vita che non passa, la vittoria completa sulla morte per mezzo della risurrezione.

Nel Vangelo, Gesù rafforza la nostra speranza, dicendo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51). Sono parole che richiamano il sacrificio di Cristo sulla croce. Egli ha accettato la morte per salvare gli uomini che il Padre gli ha dato e che erano morti nella schiavitù del peccato. Gesù si è fatto nostro fratello e ha condiviso la nostra condizione fino alla morte; con il suo amore ha spezzato il giogo della morte e ci ha aperto le porte della vita. Nutrendoci del suo corpo e del suo sangue noi ci uniamo al suo amore fedele, che porta in sé la speranza della vittoria definitiva del bene sul male, sulla sofferenza e sulla morte. In forza di questo divino legame della carità di Cristo, noi sappiamo che la comunione con i defunti non rimane solo un desiderio, un’immaginazione, ma diventa reale.

La fede che professiamo nella risurrezione ci porta ad essere uomini di speranza e non di disperazione, uomini della vita e non della morte, perché ci consola la promessa della vita eterna radicata nell’unione a Cristo risorto.

Questa speranza, riaccesa in noi dalla Parola di Dio, ci aiuta ad assumere un atteggiamento di fiducia di fronte alla morte: infatti Gesù ci ha dimostrato che essa non è l’ultima parola, ma l’amore misericordioso del Padre ci trasfigura e ci fa vivere la comunione eterna con Lui. Una caratteristica fondamentale del cristiano è il senso dell’attesa trepidante dell’incontro finale con Dio. Lo abbiamo riaffermato poco fa nel Salmo responsoriale: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (42,3). Sono parole poetiche che interpretano in maniera commovente la nostra attesa vigilante e assetata dell’amore, della bellezza, della felicità e della sapienza di Dio.

Queste espressioni del Salmo si erano impresse nell’anima dei nostri fratelli Cardinali e Vescovi che oggi ricordiamo: essi ci hanno lasciato dopo aver servito la Chiesa e il popolo loro affidato, nella prospettiva dell’eternità. Mentre dunque rendiamo grazie per il servizio che generosamente hanno dato al Vangelo e alla Chiesa, ci pare di sentirli ripetere con l’Apostolo: «La speranza non delude» (Rm 5,5). Sì, non delude! Dio è fedele e la nostra speranza in Lui non è vana. Invochiamo per essi l’intercessione materna di Maria Santissima, affinché siano partecipi all’eterno convito, che con fede e amore hanno pregustato durante il pellegrinaggio terreno.

[01639-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

La célébration de ce jour nous met, une fois de plus, la réalité de la mort devant les yeux, ravivant en nous aussi la peine causée par la séparation d’avec les personnes qui nous ont été proches et qui nous ont fait du bien. Mais la liturgie nourrit surtout notre espérance pour eux et pour nous-mêmes.

La première lecture exprime une grande espérance en la résurrection des justes: «Un grand nombre de ceux qui dorment au pays de la poussière s’éveilleront, les uns pour la vie éternelle, les autres pour l’opprobre, pour l’horreur éternelle» (Dn 12, 2). Ceux qui dorment dans le pays de la poussière, c’est-à-dire dans la terre, sont évidemment les morts, et le réveil de la mort n’est pas en soi un retour à la vie: certains, en effet, s’éveilleront pour la vie éternelle, d’autres pour la honte éternelle. La mort rend définitive cette “bifurcation” qui, dès ici-bas en ce monde, se présente devant nous : la route de la vie, c’est-à-dire avec Dieu, ou la route de la mort, c’est-à-dire loin de lui. Le “grand nombre” qui ressuscitera pour une vie éternelle est à comprendre comme le“grand nombre” pour lesquels le sang du Christ a été versé. Ils sont la multitude qui, grâce à la bonté miséricordieuse de Dieu, pourront faire l’expérience la réalité de la vie qui ne finit pas, la victoire complète sur la mort par la résurrection.

Dans l’Évangile, Jésus renforce notre espérance en disant: «Je suis le pain vivant qui est descendu du ciel. Si quelqu’un mange de ce pain il vivra éternellement» (Jn 6, 51). Ce sont des paroles qui rappellent le sacrifice du Christ sur la croix. Il a accepté la mort pour sauver les hommes que le Père lui a donnés et qui étaient morts dans l’esclavage du péché. Jésus s’est fait notre frère et il a partagé notre condition jusqu’à la mort; par son amour il a brisé le joug de la mort et nous a ouvert les portes de la vie. En nous nourrissant de son Corps et de son Sang, nous nous unissons à son amour fidèle qui porte en lui l’espérance de la victoire définitive du bien sur le mal, sur la souffrance et sur la mort. En vertu de ce lien divin de la charité du Christ, nous savons que la communion avec les défunts ne reste pas seulement un désir, une imagination, mais devient réalité.

La foi que nous professons en la résurrection nous porte à être des hommes d’espérance, et non de désespoir, des hommes de la vie et non de la mort, car la promesse de la vie éternelle enracinée dans l’union au Christ ressuscité nous console.

Cette espérance, rallumée en nous par la Parole de Dieu, nous aide à prendre une attitude de confiance face à la mort: en effet, Jésus nous a montré qu’elle n’est pas le dernier mot, mais l’amour miséricordieux du Père nous transfigure et nous fait vivre la communion éternelle avec lui. Une caractéristique fondamentale du chrétien est le sens de l'attente anxieuse de la rencontre finale avec Dieu. Nous l’avons réaffirmé il y a un instant dans le Psaume responsorial: «Mon âme a soif de Dieu, le Dieu vivant; quand pourrai-je m’avancer paraître face à Dieu? » (42, 3). Ce sont des paroles poétiques qui interprètent de manière émouvante notre attente vigilante et assoiffée de l’amour, de la beauté, du bonheur et de la sagesse de Dieu.

Ces expressions du Psaume s’étaient imprimées dans l’âme de nos frères Cardinaux et Evêques dont nous nous souvenons aujourd’hui. Ils nous ont laissés, après avoir servi l’Église et le peuple qui leur avait été confié, dans la perspective de l’éternité. Alors que nous rendons grâce pour le service qu’ils ont généreusement rendu à l’Évangile et à l’Église, il nous semble les entendre répéter avec l’Apôtre: «L’espérance ne déçoit pas» (Rm 5, 5). Oui, elle ne déçoit pas! Dieu est fidèle et notre espérance en lui n’est pas vaine. Invoquons pour eux l’intercession maternelle de la Très Sainte Vierge Marie, pour qu’ils participent au banquet éternel qu’avec foi et amour ils ont goûté par avance pendant leur pèlerinage sur la terre.

[01639-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Today’s celebration once more sets before us the reality of death. It renews our sorrow for the loss of those who were dear and good to us. Yet, more importantly, the liturgy increases our hope for them and for ourselves.

The first reading expresses a powerful hope in the resurrection of the just: “Many of those who sleep in the dust of the earth shall awake, some to everlasting life, and some to shame and everlasting contempt” (Dan 12:2). Those who sleep in the dust of the earth are obviously the dead. Yet awakening from death is not in itself a return to life: some will awake for eternal life, others for everlasting shame. Death makes definitive the “crossroads” which even now, in this world, stands before us: the way of life, with God, or the way of death, far from him. The “many” who will rise for eternal life are to be understood as the “many” for whom the blood of Christ was shed. They are the multitude that, thanks to the goodness and mercy of God, can experience the life that does not pass away, the complete victory over death brought by the resurrection.

In the Gospel, Jesus strengthens our hope by saying: “I am the living bread that came down from heaven. Whoever eats of this bread will live forever” (Jn 6:51). These words evoke Christ’s sacrifice on the cross. He accepted death in order to save those whom the Father had given him, who were dead in the slavery of sin. Jesus became our brother and shared our human condition even unto death. By his love, he shattered the yoke of death and opened to us the doors of life. By partaking of his body and blood, we are united to his faithful love, which embraces his definitive victory of good over evil, suffering and death. By virtue of this divine bond of Christ’s charity, we know that our fellowship with the dead is not merely a desire or an illusion, but a reality.

The faith we profess in the resurrection makes us men and woman of hope, not despair, men and women of life, not death, for we are comforted by the promise of eternal life, grounded in our union with the risen Christ.

This hope, rekindled in us by the word of God, helps us to be trusting in the face of death. Jesus has shown us that death is not the last word; rather, the merciful love of the Father transfigures us and makes us live in eternal communion with him. A fundamental mark of the Christian is a sense of anxious expectation of our final encounter with God. We reaffirmed it just now in the responsorial psalm: “My soul thirsts for God, for the living God. When shall I come and behold the face of God?” (Ps 42:2). These poetic words poignantly convey our watchful and expectant yearning for God’s love, beauty, happiness, and wisdom.

These same words of the psalm were impressed on the souls of our brother cardinals and bishops whom we remember today. They left us after having served the Church and the people entrusted to them in the prospect of eternity. As we now give thanks for their generous service to the Gospel and the Church, we seem to hear them repeat with the apostle: “Hope does not disappoint” (Rom 5:5). Truly, it does not disappoint! God is faithful and our hope in him is not vain. Let us invoke for them the maternal intercession of Mary Most Holy, that they may share in the eternal banquet of which, with faith and love, they had a foretaste in the course of their earthly pilgrimage.

[01639-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die heutige Gedächtnisfeier führt uns wieder einmal die Wirklichkeit des Todes vor Augen und weckt in uns auch die Wehmut des Abschieds von den Menschen, die uns nahestanden und uns Gutes getan haben. Aber vor allem nährt die Liturgie unsere Hoffnung für diese Menschen und auch für uns selber.

Die erste Lesung ist Ausdruck einer starken Hoffnung auf die Auferstehung der Gerechten: »Von denen, die im Land des Staubes schlafen, werden viele erwachen, die einen zum ewigen Leben, die anderen zur Schmach, zu ewigem Abscheu.« (Dan 12,2) Mit denjenigen, die im Land des Staubes schlafen, d.h. in der Erde, sind offensichtlich die Toten gemeint, und das Erwachen vom Tod ist nicht automatisch eine Rückkehr ins Leben: Einige werden in der Tat zum ewigen Leben erwachen, andere zur ewigen Schmach. Der Tod macht die „Weggabelung“ endgültig, vor der wir schon hier in dieser Welt stehen: vor dem Weg des Lebens, also mit Gott, oder vor dem Weg des Todes, also fern von Ihm. Die „Vielen“, die zum ewigen Leben erwachen, sind zu verstehen als die „Vielen“, für die das Blut Christi vergossen wurde. Es ist die große Zahl derer, die dank der barmherzigen Güte Gottes die Wirklichkeit des unvergänglichen Lebens erfahren dürfen, den durch die Auferstehung errungenen vollkommenen Sieg über den Tod.

Im Evangelium stärkt Jesus unsere Hoffnung, wenn er sagt: »Ich bin das lebendige Brot, das vom Himmel herabgekommen ist. Wer von diesem Brot isst, wird in Ewigkeit leben« (Joh 6,51). Diese Worte verweisen auf das Kreuzesopfer Christi. Er hat den Tod angenommen, um die Menschen zu retten, die der Vater ihm gegeben hat und die dem Tod verfallen waren in der Sklaverei der Sünde. Jesus ist unser Bruder geworden und hat unser Schicksal bis zum Tod mit uns geteilt; durch seine Liebe hat er das Joch des Todes zerbrochen und uns die Türen des Lebens geöffnet. Wenn wir uns von seinem Leib und seinem Blut nähren, vereinen wir uns mit seiner treuen Liebe, die in sich die Hoffnung birgt, dass das Gute über das Böse, über das Leid und den Tod triumphieren wird. Kraft dieses göttlichen Bandes der Liebe Christi wissen wir, dass die Gemeinschaft mit den Verstorbenen nicht nur Wunsch oder Einbildung bleibt, sondern wirklich wird.

Der Glaube an die Auferstehung, zu dem wir uns bekennen, macht uns zu Menschen der Hoffnung und nicht der Verzweiflung, zu Menschen des Lebens und nicht des Todes, weil uns die in der Einheit mit dem Auferstandenen begründete Verheißung des Ewigen Lebens tröstet.

Diese Hoffnung, die das Wort Gottes in uns wieder neu entflammt, hilft uns angesichts des Todes eine innere Haltung des Vertrauens anzunehmen: In der Tat hat Jesus uns gezeigt, dass nicht der Tod das letzte Wort hat, sondern dass uns die barmherzige Liebe des Vaters verwandelt und eintreten lässt in die ewige Gemeinschaft mit ihm. Ein grundlegendes Wesensmerkmal des Christen ist der Sinn für die fiebernde Erwartung der endgültigen Begegnung mit Gott. Wir haben das eben im Antwortpsalm bekräftigt: »Meine Seele dürstet nach Gott, nach dem lebendigen Gott. Wann darf ich kommen und erscheinen vor Gottes Angesicht?« (Ps 42,3). Diese poetischen Worte interpretieren auf bewegende Weise unsere gespannte Erwartung, die nach Liebe, Schönheit, Glückseligkeit und göttlicher Weisheit dürstet.

Diese Ausdrücke des Psalms haben sich der Seele unserer Brüder, der Kardinäle und Bischöfe, derer wir heute gedenken, eingeprägt: Nachdem sie der Kirche und dem ihnen anvertrauten Volk gedient hatten, haben sie uns hier im Blick auf die Ewigkeit verlassen. Während wir für ihren großzügigen Dienst am Evangelium und an der Kirche danken, scheint es uns, als hörten wir sie die Worte des Apostels wiederholen: »Die Hoffnung aber lässt nicht zugrunde gehen« (Röm 5,5). Ja, sie lässt nicht zugrunde gehen! Gott ist treu und unsere Hoffnung in ihn ist nicht vergeblich.

Flehen wir für unsere Verstorbenen die selige Jungfrau Maria um ihre mütterliche Fürsprache an, auf dass sie des Ewigen Gastmahls teilhaftig werden, das sie im Glauben und in der Liebe während ihrer irdischen Pilgerschaft schon anfanghaft verkosten durften.

[01639-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

La celebración de hoy nos pone una vez más frente a la realidad de la muerte, haciendo que también se reavive en nosotros el dolor por la separación de las personas que han estado cerca de nosotros, y nos han ayudado; pero la liturgia alimenta sobre todo nuestra esperanza por ellos y por nosotros mismos.

La primera lectura expresa una firme esperanza en la resurrección de los justos: «Muchos de los que duermen en el polvo de la tierra despertarán: unos para vida eterna, otros para vergüenza e ignominia perpetua» (12,2). Los que duermen en el polvo, es decir, en la tierra, son obviamente los muertos, y el despertar de la muerte no es en sí mismo un retorno a la vida: algunos despertarán para la vida eterna, otros para vergüenza eterna. La muerte hace definitiva la «encrucijada» que ya está ante nosotros aquí, en este mundo: la senda de la vida, es decir, con Dios, o la senda de la muerte, es decir, lejos de Él. Esos «muchos» que resucitarán para la vida eterna son los «muchos» por los que Cristo ha derramado su sangre. Son esa muchedumbre que, gracias a la bondad misericordiosa de Dios, experimenta la realidad de la vida que no acaba, la victoria completa sobre la muerte a través de la resurrección.

En el Evangelio, Jesús fortalece nuestra esperanza, cuando dice: « Yo soy el pan vivo que ha bajado del cielo; el que coma de este pan vivirá para siempre» (Jn 6,51). Estas palabras remiten al sacrificio de Cristo en la cruz. Él aceptó la muerte para salvar a los hombres que el Padre le había entregado y que estaban muertos en la esclavitud del pecado. Jesús se hizo nuestro hermano y compartió nuestra condición hasta la muerte; con su amor rompió el yugo de la muerte y nos abrió las puertas de la vida. Con su cuerpo y su sangre nos alimenta y nos une a su amor fiel, que lleva en sí la esperanza de la victoria definitiva del bien sobre el mal, sobre el sufrimiento y sobre la muerte. En virtud de este vínculo divino de la caridad de Cristo, sabemos que la comunión con los muertos no es simplemente un deseo, una imaginación, sino que se vuelve real.

La fe que profesamos en la resurrección nos lleva a ser hombres de esperanza y no de desesperación, hombres de la vida y no de la muerte, porque nos consuela la promesa de la vida eterna enraizada en la unión con Cristo resucitado.

Esta esperanza, que la Palabra de Dios reaviva en nosotros, nos ayuda a tener una actitud de confianza frente a la muerte: en efecto, Jesús nos ha mostrado que esta no es la última palabra, sino que el amor misericordioso del Padre nos transfigura y nos hace vivir en comunión eterna con Él. Una característica fundamental del cristiano es el sentido de la espera palpitante del encuentro final con Dios. Lo hemos reafirmado hace poco en el Salmo Responsable: «Mi alma tiene sed de Dios, del Dios vivo: ¿cuándo entraré a ver el rostro de Dios?» (42,3). Son palabras poéticas que expresan de manera conmovedora nuestra espera vigilante y sedienta del amor, de la belleza, de la felicidad y de la sabiduría de Dios.

Estas palabras del Salmo se habían quedado grabadas en el alma de nuestros hermanos cardenales y obispos que hoy recordamos: nos han dejado después de haber servido a la Iglesia y al pueblo que se les confió con la mirada puesta en la eternidad. Por tanto, damos gracias por su servicio generoso al Evangelio y a la Iglesia, al mismo tiempo que nos parece oírles repetir con el Apóstol: «La esperanza no defrauda» (Rm 5,5). Sí, no defrauda. Dios es fiel y nuestra esperanza en Él no es inútil. Invoquemos para ellos la intercesión materna de María Santísima, para que participen en el banquete eterno, que con fe y amor gustaron ya durante su peregrinación terrena.

[01639-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

A celebração de hoje coloca-nos mais uma vez diante dos olhos a realidade da morte, reavivando em nós também o pesar pela separação das pessoas que viveram connosco e nos ajudaram; mas a Liturgia alimenta sobretudo a nossa esperança a respeito deles e de nós próprios.

A Primeira Leitura exprime uma forte esperança na ressurreição dos justos: «Muitos dos que dormem no pó da terra acordarão, uns para a vida eterna, outros para a ignomínia, para a reprovação eterna» (Dn 12, 2). Aqueles que dormem no pó da terra são, obviamente, os mortos e o despertar da morte não significa necessariamente um retorno à vida: com efeito, alguns despertarão para a vida eterna, outros para ignomínia eterna. A morte torna definitiva a «encruzilhada» que já aqui, neste mundo, está diante de nós: o caminho da vida, isto é, com Deus, ou o caminho da morte, isto é, longe d’Ele. Os «muitos» que acordarão para a vida eterna devem ser entendidos como os «muitos» pelos quais é derramado o sangue de Cristo: são a multidão que, graças à bondade misericordiosa de Deus, pode experimentar a realidade da vida que não passa, a vitória completa sobre a morte por meio da ressurreição.

No Evangelho, Jesus fortalece a nossa esperança, ao dizer: «Eu sou o pão vivo, o que desceu do Céu: se alguém comer deste pão, viverá eternamente» (Jo 6, 51). São palavras que evocam o sacrifício de Cristo na cruz. Ele aceitou a morte para salvar os homens que o Pai Lhe deu e que estavam mortos na escravidão do pecado. Jesus fez-Se nosso irmão e partilhou a nossa condição até à morte; com o seu amor, despedaçou o jugo da morte e abriu-nos as portas da vida. Quando nos alimentamos do seu corpo e sangue, unimo-nos ao seu amor fiel, que encerra nele a esperança da vitória definitiva do bem sobre o mal, o sofrimento e a morte. Em virtude deste vínculo divino da caridade de Cristo, sabemos que a comunhão com os defuntos não fica apenas ao nível dum desejo, duma imaginação, mas torna-se real.

A fé que professamos na ressurreição leva-nos a ser homens de esperança e não de desespero, homens da vida e não da morte, porque nos consola a promessa da vida eterna, radicada na união a Cristo ressuscitado.

Esta esperança, reavivada em nós pela Palavra de Deus, ajuda-nos a adotar uma atitude de confiança frente à morte: realmente Jesus demonstrou-nos que a morte não é a última palavra, mas o amor misericordioso do Pai transfigura-nos e faz-nos viver a comunhão eterna com Ele. Uma caraterística fundamental do cristão é o sentido duma ansiosa expectativa do encontro final com Deus. Ainda há pouco o reiteramos no Salmo Responsorial: «A minha alma tem sede de Deus, do Deus vivo! Quando poderei contemplar a face de Deus?» (42, 3). São palavras poéticas que, de forma comovente, interpretam a nossa expetativa vigilante e sedenta do amor, da beleza, da felicidade e da sabedoria de Deus.

Estas expressões do Salmo tinham-se imprimido na alma dos nossos irmãos Cardeais e Bispos que hoje recordamos: deixaram-nos, depois de ter servido a Igreja e o povo a eles confiado, rumo à eternidade. Assim, ao mesmo tempo que damos graças pelo serviço que prestaram generosamente ao Evangelho e à Igreja, parece-nos ouvi-los repetir com o Apóstolo: «A esperança não engana» (Rm 5, 5). Sim, não engana! Deus é fiel e a nossa esperança n’Ele não é vã. Invoquemos para eles a intercessão materna de Maria Santíssima a fim de participarem no banquete eterno, que, com fé e amor, antegozaram durante a peregrinação terrena.

[01639-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Dzisiejsza celebracja po raz kolejny stawia nam przed oczyma rzeczywistość śmierci, ożywiając w nas także żal z powodu oddalenia od osób, które były nam bliskie i uczyniły nam dobro. Ale liturgia posila przede wszystkim naszą nadzieję względem nich i nas samych.

Pierwsze czytanie wyraża mocną nadzieję na zmartwychwstanie sprawiedliwych: „Wielu zaś, co posnęli w prochu ziemi, zbudzi się: jedni do wiecznego życia, drudzy ku hańbie, ku wiecznej odrazie” (Dn 12,2). Ci, którzy śpią w krainie prochu, to znaczy w ziemi, to oczywiście zmarli, a przebudzenie ze śmierci nie jest samo w sobie powrotem do życia: niektórzy zbudzą się do życia wiecznego, inni do wiecznej hańby. Śmierć czyni ostatecznym „rozdroże”, które jest już tutaj, na tym świecie: droga życia, to znaczy z Bogiem, albo droga śmierci, to znaczy daleko od Niego. „Wielu”, którzy zostaną wskrzeszeni do życia wiecznego należy rozumieć jako „wielu”, za których przelana została krew Chrystusa. Są to rzesze, które dzięki miłosiernej dobroci Boga mogą doświadczyć rzeczywistości życia, które nie przemija, całkowitego zwycięstwa nad śmiercią poprzez zmartwychwstanie.

W Ewangelii Jezus umacnia naszą nadzieję, mówiąc: „Ja jestem chlebem żywym, który zstąpił z nieba. Jeśli kto spożywa ten chleb, będzie żył na wieki”(J 6, 51). Są to słowa przywołujące ofiarę Chrystusa na krzyżu. Przyjął On śmierć, aby zbawić ludzi, których dał Mu Ojciec, a którzy byli umarli w niewoli grzechu. Jezus stał się naszym bratem i dzielił naszą kondycję aż po śmierć. Swoją miłością złamał jarzmo śmierci i otworzył nam bramy życia. Karmiąc się Jego ciałem i krwią łączymy się z Jego wierną miłością, która niesie w sobie nadzieję ostatecznego zwycięstwa dobra nad złem, nad cierpieniem i śmiercią. Na mocy tej boskiej więzi miłości Chrystusa wiemy, że komunia ze zmarłymi nie jest jedynie pragnieniem, wyobraźnią, ale staje się realna.

Wyznawana przez nas wiara w zmartwychwstanie prowadzi nas do bycia ludźmi nadziei, a nie rozpaczy, ludźmi życia, a nie śmierci, bo pociesza nas obietnica życia wiecznego zakorzenionego w zjednoczeniu z Chrystusem zmartwychwstałym.

Ta nadzieja, rozpalona w nas przez Słowo Boże pomaga nam przyjąć postawę ufności w obliczu śmierci: Jezus ukazał nam bowiem, że nie jest ona ostatnim słowem, ale przemienia nas miłosierna miłość Ojca i sprawia, że żyjemy w wiecznej jedności z Nim. Podstawową cechą chrześcijanina jest poczucie niecierpliwego oczekiwania na ostateczne spotkanie z Bogiem. Potwierdziliśmy to stanowczo przed chwilą w psalmie responsoryjnym: „Dusza moja Boga pragnie, Boga żywego, kiedyż więc przyjdę i ujrzę oblicze Boże?” (42,3). Są to słowa poetyckie, które wyrażają w poruszający sposób nasze oczekiwanie czujne i spragnione miłości, piękna, szczęścia i mądrości Boga.

Te wyrażenia Psalmu wryły się w duszach naszych braci kardynałów i biskupów, których dziś wspominamy: opuścili nas po latach służby Kościołowi i powierzonego im ludu w perspektywie wieczności. Kiedy zatem składamy dziękczynienie za ich hojną posługę Ewangelii i Kościołowi, zdaje się nam, iż słyszymy jak wraz z Apostołem powtarzają: „Nadzieja zawieść nie może” (Rz 5,5). Tak, nie zawodzi! Bóg jest wierny, a nasza nadzieja w Nim nie jest daremna. Módlmy się dla nich o macierzyńskie wstawiennictwo Najświętszej Maryi Panny, aby mieli udział w wieczystej uczcie, której przedsmak mieli już w wierze i miłości, podczas ziemskiej pielgrzymki.

[01639-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0757-XX.03]