Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Segretario di Stato Card. Pietro Parolin ha pronunciato questa mattina nel corso della Celebrazione Eucaristica davanti alla facciata della Basilica di San Benedetto a Norcia, nel primo anniversario del terremoto:
Omelia del Cardinale Segretario di Stato
Eccellenza,
Distinte Autorità,
Cari sacerdoti,
Cari cittadini di Norcia,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Siamo oggi riuniti per questa celebrazione eucaristica davanti alla facciata della Basilica di San Benedetto, ad un anno dal terremoto in Valnerina che, dopo le prime scosse del 24 agosto, tra il 26 e il 30 ottobre 2016 sconvolse il normale ritmo della vita di queste terre, ricche d’arte, di bellezze paesaggistiche e di tradizioni culturali, che hanno trovato la loro più solida ispirazione nella fede cristiana. vissuta e testimoniata lungo i secoli. Una fede vissuta e testimoniata lungo i secoli, che ha modellato il volto di queste colline e di questi spazi, che favoriscono il raccoglimento e la contemplazione, e che ha plasmato tanto le coscienze quanto le architetture delle vostre piazze e delle vostre chiese.
La bellezza del creato e la laboriosità dell’uomo che lo cura, il succedersi armonioso di valli, fiumi, laghi e montagne e dell’opera dell’uomo che vi costruisce sapientemente paesi e città è tuttavia sempre inserita nel grande mistero dell’universo, deve confrontarsi con l’irruenza delle forze naturali, che si presentano il più delle volte come opportunità e ricchezza da gestire con saggezza e qualche volta si esprimono invece come forza distruttrice, che non possiamo prevedere con precisione né governare completamente.
Il terremoto manifesta una di queste forze e ci ricorda che, anche se possiamo fare molto per arginarne gli effetti, la nostra esistenza rimane soggetta all’immensità delle forze cosmiche. Ci ricorda soprattutto che il creato – splendido e degno della nostra ammirazione – rimanda al Creatore e che l’essere umano è nelle sue mani, condotto da Lui ad un destino definitivo di salvezza, di pace e di felicità, laddove non vi saranno né i terremoti del suolo né le angosce dell’anima e tutti approderemo alla meta.
La facciata di questa Basilica, ingabbiata nei ponteggi della ricostruzione, è l’emblema del sisma, ma è ancora di più la prova della capacità dell’essere umano di risollevarsi, di tornare a sperare, a guardare in alto verso il Cielo e, con la forza di questo sguardo, tornare verso la terra e porre tutta l’intelligenza, la maestria, la fantasia e l’impegno al servizio di un corale riscatto, per risollevare, insieme alle mura delle case, dei luoghi di lavoro e delle chiese, anche il morale delle persone e delle comunità e la gioia di vivere.
Le letture di questa XXX domenica del tempo ordinario ci vengono in aiuto. Vi è un filo rosso che le unisce ed è precisamente lo stretto rapporto tra amore di Dio e amore per il prossimo, tra contemplazione ed azione, tra adorazione di Nostro Signore e piena disponibilità a servire l’uomo, ad essere ciascuno per il suo prossimo visibile testimonianza di carità.
Come abbiamo udito dal brano di Vangelo di S. Matteo ora proclamato, il più grande comandamento presenta una duplice inscindibile forma, di cui l’una conferma la verità e necessità dell’altra.
Non si può infatti amare veramente il prossimo se non si ama il Signore, se non gli si concede il primo posto, se, esplicitamente o implicitamente, non si riconosce di essere dipendenti da Qualcuno di ben più grande di noi che è all’origine del nostro essere e che incontreremo pienamente alla fine del nostro pellegrinaggio terreno.
Senza quella pace interiore che deriva dal sapersi amati da Dio e dall’essere riconciliati con Lui, l’amore al prossimo è sottoposto al rischio di grave distorsione e parzialità. Senza amare Dio l’amore verso il nemico risulta inconcepibile, e diventa molto difficile anche l’amore verso il lontano, il diverso da noi. Alla fine risulta persino difficile amare in modo intelligente le persone a noi vicine, noi stessi e il creato in cui siamo immersi e nel quale ci muoviamo. Quando viene a mancare un solido rapporto con Dio infatti, finiamo per non sopportare più né i nostri limiti, né le ferite e le asprezze che l’esistenza stessa comporta.
D’altra parte però, un amore a Dio che volesse isolarsi dall’essere umano, sarebbe invece la sua più evidente negazione. Se Dio ha inviato il suo Figlio nel mondo per salvarlo, se la croce dimostra il vertice dell’amore per l’essere umano da parte di Dio, come potrà un credente in Dio non amare l’essere umano? Come non accorgersi che la più sicura verifica del nostro amore per Dio, che non vediamo, è l’amore, la compassione, la tenerezza verso l’essere umano che incontriamo ogni giorno?
Come affermava l’Apostolo Giacomo: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta” (Gc 2, 14-17).
A sua volta San Giovanni Crisostomo avvertiva: "Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità … Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura” (Omelia N. 5 sul Vangelo di S. Matteo).
I farisei, eruditi, ma bloccati e incapaci di aprirsi alla pienezza della verità, credevano di mettere in difficoltà Gesù con la loro domanda su quale fosse il più grande comandamento. La risposta del Signore invece pone davanti allo specchio ogni coscienza che afferma di credere in Dio e la invita a confermare la sua fede con la misericordia, la bontà, la generosità verso il prossimo nel bisogno e verso tutti.
I farisei, come tutti quelli che si fanno scudo dell’osservanza letterale di leggi e tradizioni per tradirne indisturbati l’autentico spirito, sono essi ad essere messi in difficoltà, sono invitati a vivere in pienezza l’amore a Dio e al prossimo, se intendono davvero dirsi religiosi.
A seguito delle calamità naturali, dopo che si sono scatenati gli elementi, si è scatenata anche la generosità, l’altruismo, la corsa a donare il proprio tempo, le proprie energie e il proprio denaro per essere d’aiuto alle persone più colpite e bisognose. In quei frangenti l’insieme dei pubblici poteri, in sinergia con le associazioni della società civile ed i singoli, si sono impegnati in un’azione congiunta per portare i soccorsi.
Penso in concreto all’impegno delle differenti istituzioni pubbliche a partire dalla Protezione Civile e dai diversi enti locali e statali, alla solidarietà manifestata alla Chiesa di Spoleto-Norcia da parte del Santo Padre, da parte della Santa Sede, da diverse Diocesi e dalla Conferenza Episcopale, penso alla generosità di parrocchie, istituti ed associazioni religiose e, in modo speciale, al sostegno e alla vicinanza a voi mostrata dalla Caritas diocesana e nazionale. Penso ai tanti privati cittadini che hanno dato il loro fattivo contributo.
Significativo è stato poi l’impegno delle massime istituzioni europee a finanziare l’opera di ricostruzione di questa Basilica, riconoscendo implicitamente il ruolo insostituibile per l’Europa del Cristianesimo e della cultura che ha saputo ispirare.
La generosità che immancabilmente si riscontra all’indomani delle calamità, rappresenta anche un’implicita manifestazione di fede, che parte dal riconoscimento dell’essere tutti fratelli e sorelle da aiutare a risollevarsi dalle difficoltà. Ogni gesto di carità contiene dentro di sé il seme della fede e la luce della speranza.
Questo lo affermo non per fornire a tutti i costi un’interpretazione religiosa ad ogni gesto di bontà, ma perché, laddove incontriamo la generosità e la carità, si percepisce anche il buon profumo di Dio, il soave aroma della sua presenza. Chi è mosso dalla carità, anche se non ne fosse pienamente avvertito, è mosso da Dio, perché Dio è carità, è amore sussistente che si dona liberamente.
Da questo luogo così altamente simbolico faccio appello a tutte le istituzioni civili, ecclesiali e private perché cooperino con alacrità e costanza, in sintonia con le popolazioni interessate, affinché, quella sinergia dimostrata nei primi tempi dopo il sisma continui e, anzi, si intensifichi, in modo da portare a termine le opere progettate e quelle avviate, snellendo nei limiti del possibile le procedure. Si compia in tal modo ogni sforzo per evitare lo spopolamento di diversi borghi, ripetutamente feriti dagli eventi tellurici, che li hanno coinvolti in questi decenni, con crolli e diffuse lesioni.
Auspico pertanto una corale e decisa azione che muova risorse e intelligenze per ricostruire, insieme alle case e alle Chiese, anche l’animo delle persone, per sconfiggere la paura e la rassegnazione, due calamità invisibili, eppure gravi quasi quanto un terremoto.
Cari fratelli e sorelle, sono lieto di portarvi il saluto e la benedizione del Santo Padre Francesco, unita alla Sua preghiera e al Suo affetto.
Il Papa, nel ricordo della visita che Egli fece a San Pellegrino di Norcia il 4 ottobre 2016 e dell’udienza alle popolazioni terremotate del 5 gennaio scorso, vi incoraggia a riprendere il cammino, a non lasciarvi abbattere dalle difficoltà, ma a guardare con speranza al futuro. Vi esorta a trarre dall’esempio della vostra storia la forza che vi ha sempre permesso di rialzarvi dopo ogni pur difficile prova.
Il Santo Padre, nell’augurare a tutti voi di superare al più presto mediante l’impegno e la solidarietà di tanti fratelli e sorelle, le conseguenze del sisma, vi esorta a rivolgervi con filiale fiducia al Signore Gesù e a Sua Madre Maria, ad aprire loro senza esitazione la porta del cuore e della mente, per ricevere, insieme alla consolazione del Signore, l’energia necessaria a portare avanti con determinazione e coraggio l’opera di ricostruzione.
Così sia.
[01630-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0751-XX.02]